L'arte del violino

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Titolo originale: Die Kunst des Violinspiels di Carl Flesch

Revisione generale di Maximilian Simon e Nadine Contini

© 2020 by Ries & Erler, Berlin Alle Rechte vorbehalten

Revisione/correzione bozze: Stefan Rauh, Bettina Hermann, Antonia Krödel

Artwork di copertina: Dio Lau

Layout e impaginazione: Goscha Nowak

Grafica musicale: Henry Koch

Crediti fotografici

Copertina: Archivio immagini Pisarek / akg-images

Aletta: Felix Broede

Pag. 8: Lebrecht Musica e arte / Alamy Foto Stock

Pag. 10: Goscha Nowak

Pag. 14, 15, 17, 18, 19, 20, 21, 35, 50, 51, 54: André Wunstorf

Pag. 56, 57, 151, 152, 155: iStock / ultrapro

Per l’edizione italiana

Direzione editoriale: Laura Moro

Revisione e adattamento della traduzione di Alfredo Curci: Clemens Wolken

Revisione tecnica: Carlo Rizzari

Redazione: Jansan Favazzo, Samuele Pellizzari, Edoardo Clavenna

Revisione della grafica musicale: Paolo Mellini

Impaginazione: Valentina Mondelli

© 2024 by Edizioni Curci S.r.l. – Galleria del Corso, 4 – 20122 Milano

Tutti i diritti sono riservati

EC 12364 / ISBN: 9788863954760 www.edizionicurci.it

Prima stampa in Italia nel 2024 da

4.

Carl Flesch, 1873 – 1944
© 2024 by Edizioni Curci S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati.

PREFAZIONE

Con L’arte del violino noi violinisti teniamo fra le mani l’alfa e l’omega del nostro strumento, perché l’ungherese Carl Flesch è una delle figure chiave della storia dell’arte violinistica del Novecento. La sua attività come solista e musicista da camera fu ben presto eclissata dalla sua pionieristica opera di insegnante: nel 1897 l’allora ventiquattrenne Flesch fu per la prima volta nominato professore (al Conservatorio di Bucarest); in seguito insegnò tra l’altro al Curtis Institute di Philadelphia, alla Berliner Musikhochschule, ai suoi corsi estivi privati di Baden-Baden e infine al Conservatorio di Lucerna.

Carl Flesch ha rivoluzionato dalle fondamenta il metodo di studio e di insegnamento, sostituendo all’imitazione e alla replica puramente meccanica l’analisi della qualità dei propri atti. Con i suoi scritti didattici come la Raccolta di studi per il violino, L’arte del violino, Il sistema delle scale e Il problema del suono sul violino egli ha fornito dei manuali di studio che fin dalla loro prima apparizione sono diventati la base imprescindibile dell’insegnamento del violino.

Flesch ha formato un’intera generazione di eccellenti violinisti, tra cui Ginette Neveu, Ida Haendel, Max Rostal, Henryk Szeryng, e anche le mie insegnanti Erna Honigberger e, a Lucerna nel 1943 e nel 1944, Aida Stucki. Grazie al metodo di Flesch tutti questi grandi musicisti sono diventati dei maestri straordinari, e naturalmente le sue intuizioni hanno rappresentato il cuore della loro attività didattica. Per mia grande fortuna, questo immenso e insostituibile tesoro di conoscenze mi accompagna fin dalla mia prima lezione di violino. E quando, nell’ambito della collaborazione con i borsisti della fondazione da me istituita oppure durante le masterclass, mi si presentano delle impasse di natura musicale, riesco a superarle ricorrendo agli insegnamenti di Flesch. È con profonda convinzione che trasmetto agli altri le sue conoscenze e in campo musicale mi considero – con un certo orgoglio – una nipote di questo straordinario didatta del violino.

Mi riempie dunque di profonda gioia l’uscita di questa nuova edizione dell’Arte del violino che mantiene il contenuto originale ma ne aggiorna la lingua, vecchia di quasi cento anni, rendendola più accessibile al lettore di oggi. Servendomi di una metafora, direi che Flesch parte dalla storia della pittura del settimo secolo per arrivare fino all’impressionismo e a un mondo traboccante di suoni e timbri: soltanto basandosi sulla sua analisi del “problema del suono” è possibile dar conto di tutte quelle tinte emotive e delle loro inesauribili nuances

Firma di Carl Flesch nel guest book del suo editore e collega Franz Ries, 31 gennaio 1918
© 2024 by Edizioni Curci S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati.

PREMESSA

Rinfrescare, sfoltire e riportare in vita: queste poche parole esprimono ciò che ci siamo prefissi lavorando alla nuova edizione dell’Arte del violino. Ci auguriamo caldamente di essere riusciti a spingere e interessare ancora i lettori a questa bibbia del violino. Per molti violinisti, noi compresi, il tedesco ormai arcano di Carl Flesch ha sempre reso più difficile accostarsi ai suoi insegnamenti così preziosi, e ha rappresentato una grande sfida. Eppure nell’Arte del violino egli ci svela l’inestimabile valore del suo sapere, ancora oggi attuale come un secolo fa. Con la nostra revisione abbiamo inteso dargli una nuova veste, che si adatti al nostro tempo.

Il primo volume della versione originale fu pubblicato nel dicembre del 1923, il secondo nell’agosto del 1928. L’Arte del violino non è un metodo in senso tradizionale, ma illustra in modo estremamente dettagliato le norme generali della tecnica del violino, che Carl Flesch voleva rendere accessibili a quante più persone possibile, migliorando, con ciò, il livello generale delle esecuzioni, rivolgendosi sia agli allievi sia ai docenti. L’affermarsi di un nuovo tipo di insegnante che aiutasse i propri allievi a diventare delle coscienze pensanti gli è sempre stato molto a cuore.

Abbiamo fuso i due volumi dell’edizione originale in un unico libro. Per rendere più fluida la lettura abbiamo mantenuto il termine “il violinista”, anche se esso comprende in sé il termine, assolutamente equivalente, “la violinista”. Lo stesso dicasi per “l’insegnante”, “l’allievo” e altre denominazioni di persona. Anche l’uso dei pronomi segue il testo originale: “io” rappresenta la prospettiva personale dello stesso Carl Flesch, mentre con “noi” egli si riferisce a sé stesso e agli altri violinisti. Le parti in corsivo sono sue citazioni originali [riprese invariate dalla prima edizione curata da Alberto Curci, n.d.T.].

Siamo molto felici di poter pubblicare un’opera così completa. In questa sede desideriamo ringraziare il nostro editore Andreas Meurer e sua figlia Caroline Helms, che ci hanno affidato questo compito così impegnativo. Il nostro ringraziamento più sentito è rivolto ai nostri genitori: a Sonja e al dottor Rainer Simon così come a Birgitt e Bernard Contini, per l’affettuoso sostegno che mai ci hanno fatto mancare.

MAXIMILIAN SIMON E NADINE CONTINI BERLINO, NOVEMBRE 2020

La padronanza delle seguenti capacità rappresenta il presupposto per la nobile arte del suonare il violino:

I. LA TECNICA GENERALE

Per tecnica generale intendo la completa educazione del meccanismo delle due braccia, con lo scopo di produrre perfettamente tutti i suoni possibili. In questa sezione viene affrontata l’attività manuale

II. LA TECNICA APPLICATA

Tutte le abilità acquisite vengono impiegate per superare le difficoltà tecniche di una composizione. Potremmo anche parlare di scienza del suonare il violino.

III. LA FORMA ARTISTICA

Una volta acquisita una perfetta formazione tecnica e averla applicata con successo, ci si può dedicare liberamente allo spirito della composizione ed eseguirla in modo personale. La tecnica necessaria passa in secondo piano e ora ha solo il compito di servire la musica. Soltanto a questo punto si può parlare del suonare il violino come arte.

I princìpi di quest’arte sopravvivono da decenni, ma sono soggetti a continui cambiamenti. Tuttavia vi è una legge immutabile: «La tecnica perfetta consiste nel produrre tutti i suoni con purezza, di bella sonorità, col grado di forza richiesto e infine nel loro giusto valore di tempo». Attraverso lo studio cerchiamo di avvicinarci quotidianamente quanto più possibile a questo ideale. Molte strade portano a Roma, ma alcune vi conducono più velocemente e molto più facilmente.

I. LA TECNICA GENERALE

1. LO STRUMENTO E LE PARTI CHE LO COMPONGONO

I vecchi strumenti italiani, primi fra tutti i capolavori di Antonio Stradivari, rappresentano ancora per noi un punto di riferimento e sono avvolti dal mito. Fortunatamente negli ultimi anni i violini moderni sono migliorati dal punto di vista qualitativo e per molti violinisti costituiscono una valida alternativa agli strumenti antichi, molto costosi. Le caratteristiche più importanti di un buono strumento sono: facile emissione e portata del suono, timbro gradevole, uguaglianza del timbro delle quattro corde. Tali pregi vengono influenzati dalla fattura, dallo spessore del legno, dalla qualità della vernice e dallo stato di conservazione dello strumento. In generale, gli strumenti più piccoli sono da preferirsi ai grandi. Quando si acquista un violino più grande, per esempio un Maggini, bisogna fare attenzione che la mano non venga costretta a sforzi eccessivi. Alcuni violini, a causa della rotondità più circolare che ellittica della parte superiore della tavola armonica, si suonano più difficilmente di altri. Per i bambini, la grandezza dello strumento deve essere sempre in giusto rapporto con lo sviluppo delle mani, altrimenti negli anni a venire potrebbero manifestarsi conseguenze dannose.

L’acquisto di un violino rappresenta un momento importante e ricco di conseguenze nella vita di ogni artista. Lo strumento nella fase di prova viene valutato in modo assolutamente soggettivo ed emozionale. Sulla scelta influisce il grado di preparazione raggiunto dal violinista, la disposizione del momento, l’ambiente, il gusto personale, le impressioni uditive di chi ascolta e altri fattori. I violinisti che possiedono un suono molto personale sono inadatti a provare uno strumento, poiché il loro suono così particolare si sostituisce alla “personalità” del violino. Inoltre, il prolungato confronto fra due strumenti vizia l’orecchio, inducendo valutazioni piuttosto bizzarre. Per questa ragione consiglio di provare soltanto un ristretto numero di strumenti in un lasso di tempo piuttosto breve.

Considero di enorme importanza la cura dello strumento; tuttavia, perfino celebri violinisti a volte trascurano il loro violino, mentre sarebbe necessario pulirlo dopo ogni utilizzo. Lo strato di polvere di colofonia sullo strumento e sulle corde deve essere eliminato con un panno morbido, perché altrimenti potrebbe danneggiare la vernice. È necessario che le corde vengano pulite con tamponi imbevuti di alcol che non devono entrare in contatto con la vernice. La polvere si deposita anche all’interno dello strumento, ed è facilmente eliminabile inserendo nei fori a F un pugno di granelli di riso e agitandoli con attenzione per poi estrarli insieme alla polvere ed eliminarli subito dopo. Tale operazione di pulizia non è dannosa per il violino e il suono ne guadagna enormemente.

Un violino che risente delle alte temperature può avere un suono velato e non più brillante. In tali casi può essere d’aiuto diminuire per ventiquattr’ore la pressione delle corde sulla tavola armonica accordandole un’ottava sotto, e dunque togliere parzialmente allo strumento una pressione che può arrivare fino a ventiquattro chilogrammi. Lo strumento, allora, pare nuovamente respirare e, in cambio, dona all’esecutore una nuova freschezza del suono. Anche lo spessore delle corde svolge un ruolo fondamentale. È necessario provare e osservare molti diversi generi di corda, e in che modo esse influiscono sul suono. Un violino può aver bisogno di corde spesse; un altro, al contrario, mal le sopporta. Proprio gli strumenti pregiati hanno bisogno di un montaggio di corde “personalizzato”, che verrà trovato soltanto dopo molti tentativi. Le tante qualità di corde, fatte dei materiali più eterogenei, offrono innumerevoli possibilità.

I piroli devo essere ben assicurati nel cavigliere così da evitare che possano sdrucciolare. Per tale ragione, le corde vengono inserite in questo modo: l’estremità superiore di ogni corda viene introdotta con la giusta lunghezza nel pirolo e avvolta (immagine a sinistra).

Quindi la corda viene sistemata in modo da farla aderire alla parete del cavigliere (immagine a destra).

Noi accordiamo afferrando il pirolo con la mano sinistra e utilizzando l’indice come leva. Per le corde di La e Mi è il pollice a esercitare la contropressione, mentre per quelle di Sol e Re sono l’anulare e il mignolo.

Molti violinisti giustamente accordano il La un po’ più alto se suonano con l’accompagnamento del pianoforte. Ciò dipende dal fatto che dobbiamo accordare il nostro strumento per quinte pure mentre le quinte del pianoforte, a causa dell’accordatura temperata, sono più basse di alcune oscillazioni. Se accordassimo perfettamente il La, le corde Re e Sol sarebbero fin dall’inizio troppo basse rispetto al pianoforte [nell’intonare per quinte, al temperamento equabile, il nostro orecchio tende a preferire un più preciso rapporto di frequenza di 2/3, naturalmente del tutto privo di battimenti, n.d.E.]. Non è semplice quando si suona da solista con l’orchestra prendere il La dell’oboe. Soprattutto in sale dove la temperatura è molto alta un’accordatura del genere già dopo quindici minuti può risultare fatale, poiché a causa del caldo l’accordatura degli archi si abbassa, mentre nei fiati cresce. Di conseguenza, a volte ci troviamo davanti al dilemma di dover suonare all’inizio di un concerto con un’accordatura alta oppure, nel prosieguo del concerto, troppo bassa. Poiché per l’orecchio è più sopportabile un’accordatura troppo alta, decidiamo in favore del male minore. Spesso ho osservato che i violinisti vogliono accordare le corde più gravi distendendole con forza (una sorta di pizzicato alla Bartók) oppure, per alzare l’accordatura, premono la corda nel cawvigliere prima del capotasto. Alcuni costruttori di violini mi hanno confermato che entrambe queste abitudini sono dannose per lo strumento.

Oltre al corpo del violino, per il suono riveste la massima importanza il ponticello. Il lato sinistro del ponticello deve essere sufficientemente alto da permettere alla corda Sol di vibrare liberamente senza toccare la tastiera e produrre rumore. Verso destra il ponticello si appiattisce, per cui la compressione delle corde più alte richiede meno forza. La sua curva deve essere fatta in modo che in ogni posizione e con qualsiasi pressione ciascuna corda possa essere suonata senza toccare le altre. Un ponticello troppo alto rende difficile l’emissione del suono, uno troppo basso schiaccia il timbro. L’altezza del ponticello (in inglese bridge) dipende dall’inclinazione del manico e della tastiera, la quale a sua volta viene dettata dalla curvatura del corpo dello strumento. Violini piatti sopportano molto bene ponticelli alti, al contrario strumenti bombati ponticelli più bassi. Lo spessore ottimale del ponticello varia a seconda delle caratteristiche dello strumento: un violino di difficile emissione, dal timbro scuro, richiede un ponticello sottile; un violino

dal suono chiaro e luminoso uno più spesso. Solo un liutaio esperto è in grado di regolare la perfetta posizione del ponticello: essa dipende dai fori a F e dalla grandezza e dalla posizione dell’anima. Il ponticello, insieme ai suoi due piedi, dovrebbe essere posizionato esattamente al centro delle due F del violino; non deve inclinarsi verso il manico e neanche in maniera troppo accentuata nell’altra direzione: la qualità del suono ne risentirebbe notevolmente. Ci sono poi altri fattori che incidono sul suono come l’umidità dell’aria, la qualità delle corde e dei crini, il materiale dei piroli e degli altri accessori.

Desidero sottolineare quanto segue: il cattivo suono di uno strumento dipende quasi sempre dall’esecutore. Molti violinisti si rivolgono continuamente ai costruttori chiedendo loro consiglio per eliminare, attraverso altri accorgimenti timbrici, i loro apparenti problemi. Tuttavia è molto meglio studiare ogni giorno un’ora in più.

L’importanza della qualità di un arco spesso viene sottovalutata. Un violino, indipendentemente da colui che lo suona, ha qualità proprie come la piacevolezza del timbro, la pienezza e la portata del suono. Tuttavia le qualità di un arco non si possono determinare obiettivamente, poiché dipendono troppo dal modo di suonare e dalla tecnica dell’arco di ciascun esecutore. Per tale ragione con la propria bacchetta si ha un rapporto ancora più personale che con il violino stesso. La bacchetta non deve essere né troppo flessibile né troppo rigida, poiché ambedue questi estremi influenzano la qualità del suono. Se essa deve essere tesa debolmente o fortemente dipende dal sistema che si adopera nel tenere l’arco e dagli insegnamenti ricevuti. Affronterò in seguito e più nel dettaglio questo argomento. Il peso dell’arco oscilla tra i 52 e i 62 grammi. Io ritengo che 58 grammi sia quello ottimale. Un arco eccessivamente leggero è assai difficile da controllare, richiede troppa pressione alla punta e non è dunque consigliabile. I vecchi fabbricanti di archi, soprattutto François Tourte, oltre alle bacchette di lunghezza normale, ne costruivano anche altre più corte di 1-2 centimetri. Purtroppo i costruttori moderni hanno completamente abbandonato questa prassi, sebbene per violinisti con braccia più corte un arco meno lungo sarebbe di grande vantaggio per poter suonare senza eccessivo dispendio di energie anche alla punta in maniera parallela al ponticello. Un uso eccessivo di colofonia, anche con buona condotta dell’arco, è da evitare perché il suono diventa ruvido. I crini usurati dell’arco inducono a una pressione esagerata e la qualità del suono ne risente, per questo devono essere regolarmente sostituiti.

II. LA TECNICA APPLICATA

Per tecnica applicata intendo l’importante relazione che sussiste tra le semplici conoscenze teoriche e la loro effettiva applicazione. Soltanto attraverso lo studio possiamo imparare la tecnica necessaria, metterla in pratica e affinarla. Le formule tecniche generiche, prese in sé, sembrano essere piuttosto semplici e comprensibili, tuttavia nel loro utilizzo si manifestano infinite possibilità di combinazione.

1. LO STUDIO IN GENERALE

Lo studio non è nient’altro che la via che dal “non saper eseguire” conduce alla capacità di “saper eseguire”. Una successione di suoni che non conosciamo viene dapprima appresa lentamente e frammentariamente, finché attraverso lo studio essa viene interiorizzata e le sequenze dei movimenti, impresse nella memoria, vengono automatizzate.

Per percorrere questa strada distinguiamo tre stadi.

1. Esecuzione cosciente e lenta delle singole note e dei nuovi movimenti che si rendono necessari: non conoscere e non sapere.

2. Riassunto delle note che sono state apprese e dei singoli movimenti in esecuzioni complesse quale conseguenza dell’impulso dato dalle immagini delle note: conoscere, senza sapere a memoria

3. Interiorizzazione e comprensione della composizione, affinché l’esecuzione scaturisca da un impulso interiore; sapere = suonare a memoria

«Quanto più incoscienti sono i movimenti che si richiedono per suonare, tanto più sicura è la tecnica».

La strada qui descritta corrisponde dunque al trasformarsi di movimenti coscienti in movimenti incoscienti. Ma se questi movimenti nel loro succedersi automatico vengono disturbati da riflessioni sulla loro correttezza, si produce un disturbo motorio che porta alla cosiddetta “stecca”. Ciononostante nell’esecuzione incosciente i grandi salti e i suoni tenuti al ponticello rappresentano delle eccezioni, poiché devono essere coscientemente controllati anche per mezzo dell’occhio. Anche complesse elaborazioni tematiche, per esempio quelle di una fuga di Bach, possono essere rievocate in modo mirato da una immagine interiore che ne assicuri l’esecuzione a memoria. Se sul palcoscenico dobbiamo eseguire composizioni complesse e di lunga durata, come ad esempio il Concerto in Re maggiore di Beethoven, dobbiamo dosare accuratamente le nostre forze e utilizzarle in modo mirato; le diteggiature e le arcate che richiedono meno sforzo sono dunque dei requisiti fondamentali.

Lo studio consiste principalmente in ripetizioni, ma solo nella misura in cui nel violinista rimanga intatta la gioia del fare musica. Ogni violinista è responsabile dello sviluppo di un idoneo, individuale e sano metodo di studio, e della risoluzione di tutti i problemi. Esercizi di tecnica effettuati poco prima di un concerto hanno effetti stancanti e incidono sulla necessaria ispirazione e concentrazione. Per superare le difficoltà tecniche, e per poter consolidare le basi violinistiche, sarebbe meglio dedicarsi al loro studio con regolarità, in un lungo arco di tempo

e a piccole quantità. La padronanza della tecnica violinistica non dovrebbe mai essere l’unico scopo dello studio, poiché l’esercizio scrupoloso comprende sempre anche il lavoro artistico.

Esattamente cosa deve essere studiato? Questi tre scopi ci danno la risposta.

1. Padronanza di una tecnica generale più ampia possibile.

2. Corretto impiego di questa tecnica nel brano.

3. Perfetta esecuzione musicale di tutto il brano.

Se il violinista si dedica soltanto a uno di questi scopi, si creano degli squilibri. Per questa ragione, un adeguato studio giornaliero di circa quattro ore che prenda in considerazione i tre punti prima citati mi pare essere la soluzione più vantaggiosa.

• Un’ora di tecnica generale (sistema delle scale con esercizi d’arco, studi).

• Un’ora e mezza di studio tecnico del repertorio.

• Un’ora e mezza di pura musica con esecuzione della composizione studiata, possibilmente con accompagnamento di pianoforte.

La tecnica generale, a causa della sua monotonia, richiede quella freschezza spirituale che si possiede all’inizio del lavoro giornaliero; è per tale ragione che ho stabilito questa successione. Lo studio tecnico del repertorio sarà sempre quello a cui dedicare maggiore intensità, mentre quello della pura musica a mio parere viene troppo spesso trascurato, poiché mette chiaramente in evidenza le difficoltà tecniche ancora da superare e offre, quindi, il materiale per lo studio del giorno successivo.

2. LO STUDIO DELLA TECNICA GENERALE

ESERCIZI GIORNALIERI – IL SISTEMA DELLE SCALE

Il “Sistema delle scale” che ho inventato è stato immaginato per lo studio giornaliero. In un lasso di tempo limitato, tutte le formule tecniche devono essere imparate, migliorate e conservate. Una buona gestione del proprio tempo permette di dedicarsi a tutti gli esercizi, senza perdere la freschezza mentale per lo studio del repertorio. Scale diatoniche, arpeggi, accordi di settima, intervalli di terza e scale cromatiche devono essere studiate come segue:

• nell’estensione di un’ottava su una corda (nn. 1-4);

• a tre ottave (n. 5);

• doppie corde a terze (n. 6);

• seste (n. 7);

• ottave (n. 8);

• ottave diteggiate (n. 9);

• decime (n. 10).

IL SISTEMA DELLE SCALE

III. FORMA ARTISTICA E INSEGNAMENTO

1. GLI ELEMENTI MUSICALI GENERALI NELL’ESECUZIONE VIOLINISTICA

Il problema generale, nell’arte dell’eseguire, consiste nel mettere d’accordo la libertà della nostra personalità con il messaggio a cui il compositore vuole dar voce nei suoi lavori. Affinché ciò possa avvenire, dobbiamo innanzitutto comprenderne le intenzioni musicali e poi realizzarle nel rispetto della composizione. Il gusto musicale di ogni musicista è fortemente individuale; tuttavia, per quanto riguarda l’esecuzione, vigono delle regole che dobbiamo osservare: anche un’interpretazione che nasce esclusivamente dall’ispirazione del momento deve tener conto di queste leggi. Con un’educazione violinistica che si basa sullo sviluppo della sicurezza dello stile e della musicalità, conseguiamo una “cultura musicale” e possiamo infondere vita a un’interpretazione in modo convincente. Per cultura musicale intendo la conoscenza delle leggi riguardanti la teoria delle forme musicali e dell’armonia, la metrica, la ritmica, l’ornamentazione, l’articolazione, la dinamica, l’agogica, il fraseggio e lo stile musicale. I seguenti paragrafi tratteranno questi campi in relazione alle esigenze strettamente violinistiche. Noi impariamo consapevolmente le regole dell’esecuzione musicale attraverso la riflessione che ne controlla la corretta attuazione fino a che siano state completamente interiorizzate, diventando così un fatto del tutto naturale.

METRICA E RITMICA

Secondo il Musik-Lexikon di Riemann, le espressioni “metrica” e “ritmica” si equivalgono. Tuttavia egli denomina “qualità ritmica” le differenze della durata del suono (breve e lunga) e “qualità metrica” le differenze del peso (leggero e pesante), così come vengono espresse anche in alcune definizioni di movimenti, come ad esempio “Gavotta”. Il metro indica la pulsazione fondamentale mentre il ritmo denota il valore delle note all’interno del metro. Benché dal punto di vista teorico i due concetti siano diversi, nella pratica difficilmente possono tenersi separati. Il ritmo ha per l’organismo umano un significato elementare, poiché il battito del cuore, il respiro, il camminare e il correre sottostanno alle sue leggi. Noi possiamo ascoltare, vedere e sentire il ritmo nei nostri muscoli. Ogni uomo ha in sé questa innata pulsazione fondamentale che confluisce in modo del tutto naturale nella musica. Per questo il ritmo è il vero e proprio elemento originario. Nel metro, così come nel ritmo, il fattore determinante è l’appoggio [accentuazione, n.d.R.], ovvero l’accento [un appoggio rinforzato, n.d.R.]. Noi distinguiamo fra accento metrico, ritmico, dinamico, agogico e patetico. L’accento metrico indica l’accentuazione, più pensata che realmente eseguita, del tempo forte, in contrapposizione al tempo debole. Infatti, se l’accento metrico è udibile chiaramente, rovina il fraseggio e la libertà dell’interpretazione. Accentuazioni che vengono provocate da movimenti del corpo sui tempi forti causano gli stessi problemi:

1. Satz

Beethoven, Konz., 1. Satz ( ) -

L’accento ritmico ha luogo quando un’accentuazione chiaramente percepibile si ripete a intervalli regolari e rende chiara la struttura della frase:

Ibid., III mov.

ebenda, 3. Satz

Beethoven, Konz., 1. Satz

Beethoven, Str. Qu. op. 18 Nr 4, 3. Satz

Questo tipo di accento è per il pubblico decisamente più piacevole dell’accento metrico, che ha sempre qualcosa di scolastico.

1. Satz

ebenda, 3. Satz

L’accento dinamico serve a rinforzare consapevolmente il valore di una nota e non ha una motivazione né metrica né ritmica:

Saint-Saëns, Havanaise

Beethoven, Str. Qu. op. 18 Nr 4, 3. Satz

Beethoven, Quart. op. 18 n. 4, III mov.

Beethoven, Str. Qu. op. 18 Nr 4, 3. Satz

, viene utilizzato quando intendiamo dare rilievo a una nota

Beethoven, Str. Qu. op. 18 Nr 4, 3. Satz

Dvorak, Str. Qu. op. 96, 2. Satz

Saint-Saëns, Havanaise

Saint-Saëns, Havanaise

Dvorak, Str. Qu. op. 96, 2. Satz

= pathetischer Akzent

Se nel punto di massima espressione si uniscono l’accento dinamico e quello agogico, parliamo di accento patetico (o anche drammatico).

Bruch, Konz. d-Moll, 1. Satz

Dvorak, Str. Qu. op. 96, 2. Satz

Dvořák, Quart. op. 96, II mov.

Falsch

= pathetischer Akzent

Bruch, Konz. d-Moll, 1. Satz

Bruch, Konz. d-Moll, 1. Satz

Tuttavia, l’accento patetico non deve alterare il valore prescritto delle note. Ciò vale in particolare per l’accentuazione della nota più acuta di una terzina:

Bruch, Konz. d-Moll, 1. Satz

Bruch, Conc. in Re min., I mov.

Falsch

Errato

Giusto

«Per sentire e rendere l’accento patetico, si richiede un’anima, e perciò esso appartiene a quel mezzo di espressione eminentemente artistico. Tale accento non è soggetto a nessuna regola; esso può comprendere una sola o parecchie note che si susseguono; può cadere dappertutto, tanto sui tempi forti quanto sui tempi deboli, sulla nota finale come su quella che inizia un ritmo. Il suo carattere essenziale viene determinato dall’imprevisto, da qualcosa di eccezionale o di diverso».

Mathis Lussy, Traité de l’expression musicale

La stanghetta della misura, la legatura e la virgola sono quei segni che suddividono in modo chiaro un brano musicale. La stanghetta è un mezzo di espressione generale, indispensabile soprattutto nella musica da camera o nelle prove d’orchestra. Essa suddivide la composizione in quelle unità volute dal tempo prescritto, per esempio 4/4 o 6/8, ed evidenzia il peso metrico. La si può paragonare all’inizio del verso di una poesia. Tuttavia, tanto nella poesia quanto nella musica, non sempre denota l’inizio di un verso o di una frase. Per un principiante la stanghetta è di grande importanza per contare e per comprendere la suddivisione ma il musicista più progredito, per riuscire a strutturare una frase, deve lasciarsi alle spalle la rigida divisione della battuta. «Le funzioni della stanghetta devono essere apprese dal bambino, ma superate dall’artista». L’importanza dei tempi della battuta è invece molto più importante per la forma ritmica e per le inflessioni che non la stanghetta. Noi distinguiamo tra tempi forti e tempi deboli. Per esempio, nella misura 2/4 oppure in un 6/8 veloce, il primo tempo è forte mentre il secondo è debole:

Beethoven, Quart. op. 18 n. 2, IV mov. Vc. I Vln.

Beethoven, Str. Qu., op. 18 Nr. 2, 4. Satz

Beethoven, Quart. op. 18 n. 3, IV mov.

op. 18 Nr. 3, 4. Satz

op. 18 Nr. 3, 4. Satz

Beethoven, Str. Qu., op. 18 Nr. 3, 3. Satz

591

& ## .

592 593 6 8 3 4

II Vln.

Beethoven, Str. Qu.,

Beethoven, Str. Qu.,

Beethoven, Str. Qu.,

Beethoven, Str. Qu., op. 18 Nr. 3, 4. Satz

In una battuta di 3/8 oppure di 3/4 il primo tempo è forte, mentre il secondo e il terzo sono deboli:

Beethoven, Str. Qu., op. 18 Nr. 3, 4. Satz . . .. . . & ### . II. Viol.

Beethoven, Str. Qu.,

Beethoven, Quart. op. 18 n. 3, III mov.

Beethoven, Str. Qu., op. 18 Nr. 3, 3. Satz

Beethoven, Str. Qu., op. 18 Nr. 3, 3. Satz .

Beethoven, Str. Qu., op. 18 Nr. 3, 3. Satz

Il seguente esempio dimostra quanto l’accentuazione possa dipendere dal ritmo:

Beethoven, Konz.,

Beethoven, Str. Qu., op. 18 Nr. 3, 3. Satz & #

Beethoven, Konz., 2. Satz

Beethoven, Conc. in Re magg., II mov.

Beethoven, Konz., 2. Satz & # & #

Ci sono accentuazioni che possono essere corrette dal punto di vista della declamazione, ma che a lungo andare stancano l’ascoltatore. Nell’esempio seguente devono essere messe in evidenza solo le note più acute mentre devono essere evitate continue accentuazioni di ogni prima, terza e quinta croma:

Brahms, Conc. in Re magg., I mov.

Brahms, Konz., 1. Satz

Accentuazione sempre uguale

Gleichförmige Akzentuierung

Accentuare le note più acute e l’inizio del motivo

Akzentuierung der höchsten Note sowie des Motivbeginns

Lalo, Symph. espagnole, 1. Satz

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