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CHE COS’È IL SOLFEGGIO E A COSA SERVE
Il solfeggio consiste nel leggere le note a tempo. Con questa pratica, dal nome proveniente dalle note sol e fa della solmisazione*, s’imparano i nomi e i valori dei suoni e si acquista il senso del ritmo, doti indispensabili per suonare uno strumento e per scrivere la musica.
Il solfeggio, per prassi, può essere parlato o cantato.
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Nel solfeggio parlato si leggono solo i nomi delle note, ovviamente a tempo; in quello cantato oltre a leggere a tempo le note, occorre anche intonarle.
In tutt’e due i casi ci si deve auto-dirigere, ossia portare il tempo con la mano, come fanno molti direttori d’orchestra che dirigono a mani nude, rinunciando alla classica bacchetta. Il corso di solfeggio che si studiava negli ex conservatori comprendeva anche la teoria. Infatti la dicitura esatta scritta sui programmi di studio era Teoria e solfeggio.
In questo metodo ci occuperemo solo di pratica musicale, rimandando coloro che hanno bisogno anche della teoria al metodo Sapere per suonare, teoria-pratica della musica per strumentisti e cantanti (Edizioni Curci).
Nel solfeggio eseguito professionalmente è necessario applicare la suddivisione, cioè la dilatazione dei tempi per facilitare la lettura delle note, solo quando è richiesta dall’andamento (come se si suonasse in una orchestra).
L’andamento, ossia la velocità di esecuzione di un brano, di solito viene indicato con termini quali Andante, Moderato, Allegro ecc.
Nel solfeggio parlato o cantato conviene usare sempre gli schemi ritmici professionali, ossia gli stessi movimenti che usano i direttori per fare andare a tempo l’orchestra. Per fare questo bisogna prima sapere come si battono i vari tempi e gli schemi di divisione e suddivisione, come esemplificato di seguito.
Divisione (4 movimenti)
Suddivisione