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IL SOLFEGGIO DI CHI “BATTE LA SOLFA”
“Battere la solfa” equivale a solfeggio o riproduzione di un tema musicale, ma le due note musicali (sol e fa) indicano anche un rumore petulante e invadente. Infatti, l’espressione “che solfa!” si usa anche per indicare noia e qualcosa di poco interessante. Nel solfeggio parlato lo strumento voce, usato in modo stentoreo e monocorde, scandisce i valori musicali senza tenere conto dei segni d’espressione come la legatura di frase, l’accento intensivo (con il quale si può ottenere anche una diversa alternanza degli accenti naturali forti e deboli) e le indicazioni di agogica quali, ad esempio, l’accelerando e il ritardando.
Il primo strumento musicale scoperto dall’uomo è stato ovviamente il suono della voce. Questo meraviglioso mezzo sonoro spesso viene sottovalutato da chi è convinto di fare musica solo quando si suona uno strumento come il pianoforte o la chitarra.
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Invece, il solfeggio rappresenta un modo di suonare con la voce. E questo va tenuto presente sia dagli insegnanti, che devono scegliere studi “musicali” per le esercitazioni, sia dagli studenti che devono imparare a “suonare” con la voce, interpretando i segni dinamici, le legature e tutti gli altri segni d’espressione.
Non per niente Schumann diceva: «Non bisogna soltanto suonare i brani, ma anche solfeggiarli, senza l’aiuto del pianoforte». E i vecchi maestri, in sintonia col grande compositore, quando si doveva eseguire un brano difficile, consigliavano di solfeggiarlo prima di suonarlo.
Dunque, solfeggiare musica d’autore, dopo i necessari esercizi preparatori, significa passare subito all’interpretazione, saltando la semplice e poco utile lettura.
Il solfeggio è una pre-esecuzione vocale che richiede una vera e propria interpretazione. Cosa che, in seguito, sarà trasferita sul proprio strumento.
Non si può solfeggiare allo stesso modo Bach, Joplin e Maderna, ossia lo stile classico, il sincopato del jazz e la musica aleatoria. Così come non si può canticchiare la marcia trionfale dell’Aida usando le stesse sfumature musicali che si userebbero in una improvvisazione jazz.
Niente è più inutile e dannoso della lettura di una pagina musicale senza entusiasmo e bravura nel cercare di personalizzarla, secondo fantasia, sensibilità e competenza dell’esecutore.
La musica è un’arte magica, come confermato da un celebre artista figurativo, a sua volta figlio di musicisti, quale Paul Klee, che disse: «L’arte non riproduce ciò che si vede (e nel nostro caso si sente), ma rende visibile ciò che non sempre lo è».
Il solfeggio rappresenta un modo di suonare con la voce. Questo va tenuto presente sia dagli insegnanti, che devono scegliere studi musicali per le esercitazioni, sia dagli alunni, che devono imparare a “suonare” con la voce dando il giusto rilievo ai segni dinamici, alle legature e a tutti gli altri segni d’espressione.
Molte volte si riesce a far capire un ritmo difficile cantandolo o suonandolo, come se fosse una canzone, invece di pretenderne l’asettica lettura con la notazione musicale. Se è vero che il solfeggio rappresenta la base di ogni insegnamento musicale è anche vero che pochi lo eseguono in maniera professionale.
Le differenze di esecuzione fra i vari sistemi, a cominciare dalla scansione degli accenti di suddivisione fino a un diverso più dolce o concitato tono di voce, sono molte.
Per la scansione degli accenti di suddivisione, alcuni usano battere alternativamente il pollice e l’indice della mano sinistra sul tavolo; mentre la destra viene usata per il movimento di autodirezione. Altri usano solo la mano destra, sia per suddividere sia per dividere gli accenti (principali e secondari).
Un buon sistema per il solfeggio ritmico è quello di poggiare il polso sul tavolo e suonare i valori tamburellando con l’indice, o indice e medio, proprio come se si stesse suonando su un tamburo; poi, appena si è sicuri del movimento, si può accoppiare anche il battito della mano sinistra sulle ginocchia, o del piede sul pavimento, per sottolineare gli accenti principali.
Con il metodo L’innato istinto della batteria (Edizioni Curci) i bambini suonano subito. Poi, quando si sono resi conto di come è bello suonare uno strumento musicale, imparano molto volentieri anche la “noiosa” teoria.
Anche in questo libro useremo il Sistema batteria jazz (Edizioni Curci, 1987), già sperimentato in molte scuole con il primo volume de La musica tra ritmo e creatività; mentre per la parte teorica ricordiamo che nelle prime pagine del metodo Teoria pratica della musica (Edizioni Curci, 2006), alla quale rimandiamo chi è a digiuno di teoria, sono stati trattati i seguenti argomenti:
La musica e i suoi elementi costitutivi
I segni di durata dei suoni e del silenzio
Rigo musicale e tagli aggiuntivi
La battuta o misura e la frazione tempo
Lettura e conteggio delle pause
Conteggio delle pause veloci con le “Ghost Note”
Come si stabilisce il nome, la posizione e l’altezza dei suoni
Come ti prolungo la durata di una nota
I tanti significati dei termini musicali
Accenti naturali divisione e suddivisione
Unità di misura e di tempo nel gesto direttoriale
Come si battono i tempi più usati
Schemi di base per la divisione dei tempi più usati
Gruppi e sottogruppi irregolari
Tempi irregolari
Gli accenti dei tempi semplici e composti
Importanza degli accenti naturali nella pratica esecutiva
Swing e dintorni (sincope, sincopato, contrattempo e accenti).
Tutti temi che affronteremo e impareremo per primi, con il già collaudato Sistema batteria jazz, prima di passare al vecchio sistema dell’autodirezione.