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PERDERSI A BOLOGNA
A 80 ANNI DALLA NASCITA DI LUCIO DALLA UN TOUR NELLA
SUA CITTÀ NATALE, TRA I LUOGHI CHE HANNO ISPIRATO LE SUE
CANZONI PIÙ MEMORABILI
Nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino», cantava Lucio Dalla nella geniale Disperato erotico stomp, un via vai tra i portici alla ricerca di una passione carnale. Come dargli torto? La città felsinea presenta una pianta romana fatta di strade parallele e perpendicolari dove è bello perdersi e ritrovarsi, magari girovagando accompagnati dai pezzi più importanti del cantautore di Anna e Marco. Quest’anno, infatti, cadono gli 80 anni dalla nascita dell’ambasciatore della bolognesità nel mondo. La data è quella di una delle sue composizioni più iconiche: 4 marzo 1943. Il brano si sarebbe dovuto intitolare Gesù Bambino ma la censura cambiò le carte in tavola. La hit è stata intonata, per la prima volta, al Teatro Duse, in via Cartoleria 42. Questa potrebbe essere la prima tappa ideale del tour per scoprire il rapporto tra Bologna e un artista immenso. Da qui si passa in un batter di ciglio alla seconda, piazza Cavour, che ispirò una delle più note canzoni di Dalla: «Santi che pagano il mio pranzo non ce n’è sulle panchine in piazza Grande». Proprio su una di queste è stata installata una statua che ritrae Dalla, seduto con sguardo sognante e un accenno di sorriso beffardo, realizzata dallo scultore Antonello Paladino.
Si prosegue con la piazza e la Basilica di San Domenico, dove Lucio andava a giocare da bambino. Una volta adul- to, la chiesa divenne per lui un luogo in cui trovare momenti di raccoglimento.
Camminando un po’ si arriva in via degli Orefici, la walk of fame del jazz: sulla strada e sui marciapiedi sono allineate stelle bianche e dorate coi nomi dei big di questo genere musicale. Forse non tutti sanno che Dalla iniziò suonando il clarinetto (da autodidatta) nella famosa Doctor Dixie Jazz Band, esibendosi nel Kinki Club, storico locale in via Zamboni che ha da poco chiuso i battenti. Nel gruppo suonava anche il regista Pupi Avati che, per sua stessa ammissione, scelse di mollare la musica per dedicarsi al cinema dopo aver toccato con mano il talento di Lucio.
Tappa irrinunciabile è il civico 15 di via D’Azeglio, dove si trova la casa dell’artista, che ora ospita un museo a lui dedicato. Chi cercava il suo nome sul citofono faticava a trovarlo: sulle targhette, infatti, campeggiavano gli pseudonimi commendator Domenico Sputo e avvocato Alvaro Tritone. Ora si può leggere chiaramente una scritta: Fondazione Lucio Dalla. L’esposizione permanente si trova al piano nobile del palazzo quattrocentesco e la visita guidata attraversa tre stanze. La prima è la Caruso, sede dell’etichetta Pressing Line, fondata e presieduta dallo stesso cantante. Qui sono nati alcuni dei suoi album più celebri come DallAmeriCaruso, Dalla-Morandi, Canzoni. Ma la casa discografica ha prodotto anche altri talenti di successo, da Luca Carboni a Samuele Bersani. L’ambiente testimonia una grande integrazione tra vita privata e professionale: Dalla considerava i collaboratori come la propria famiglia. Non mancano dipinti e sculture o ritratti realizzati da amici artisti come quello di Carlo Pasini interamente realizzato con puntine da disegno. La seconda stanza è quella delle Colonne, uno dei salotti casalinghi, con alti soffitti affrescati in stile neoclassico bolognese, pavimenti in legno di inizio ‘800 e alte colonne lavorate a marmo. Tutto quello che è presente nella camera ha riferimenti al Sud Italia, dove il musicista amava trascorrere l’estate. Si passa, infine, al piccolo ufficio e studio personale dove Lucio riceveva gli ospiti per le riunioni. Tra i tanti oggetti spicca un frammento del muro di Berlino davanti al quale fu composto il brano Futura. E un disegno di Milo Manara, copertina dell’album 12000 Lune, in cui il cantautore è rappresentato come un marinaio in mezzo al mare: alle sue spalle, la Basilica di San Petronio in una notte stellata. Uscendo dall’abitazione e girando a destra si può scorgere in alto sulla facciata, proprio accanto al balconcino del suo studio, un graffito leggerissimo di Mario Martinelli che ritrae Dalla mentre suona il sax tra i gabbiani. L’edificio si affaccia in piazza De’ Celestini: qui c’è la chiesa di San Giovanni Battista dei Celestini dove l’artista venne battezzato.
Per un ultimo saluto al grande Lucio si può visitare il cimitero monumentale della Certosa, appena fuori dal cerchio delle mura cittadine. Tra le lapidi del poeta Giosuè Carducci, del pittore Giorgio Morandi e del cantante lirico Carlo Maria Broschi, più noto come
Farinelli, si fa notare il monumento a Dalla creato sempre da Paladino. La silhouette in bronzo del cantante con cappello, bastone e clarinetto è tratta da uno scatto alle isole Tremiti opera dell’amico fotografo Luigi Ghirri. La piccola scultura raffigurante un ragno, invece, è lì per ricordare il soprannome del musicista.
Il tour nella Bologna di Dalla potrebbe finire qui ma non si esaurisce mai: in ogni scorcio della piccola metropoli ci si imbatte in disegni e murales che lo ritraggono. Il capoluogo emiliano è capace di scaldare il cuore di ogni visitatore con i portici, la Basilica di San Luca (che merita una visita) e la pizza al taglio di Altero (un must culinario) proprio come cantava Lucio in Dark Bologna. E come dice il brano, tornando in questa città è facile ritrovarsi a pensare: «Bologna, sai, mi sei mancata un casino».