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IL PAESE DEI MILLE PAESI

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PRIMA DI SCENDERE

PRIMA DI SCENDERE

Altri luoghi di interesse della cittadina sono il Santuario di San Paolino, l’eremo di Sant’Onofrio, antico convento dei Filippini, la chiesa di Sant’Agata, il municipio, la chiesa di Maria Santissima del Carmelo, il Museo etno-antropologico e la cinquecentesca chiesa di Maria Santissima Assunta edificata nel 1532 nel luogo in cui secoli prima sorgeva la moschea.

È un territorio, questo, dove le tradizioni sono molto sentite e partecipate, a cominciare dalla festa di San Giuseppe, il 19 marzo. Ogni anno, a Sutera, il comitato dei festeggiamenti in onore del santo sceglie tre persone del paese per vestire i panni della Madonna, di San Giuseppe e di Gesù bambino. Le celebrazioni prendono inizio al mattino con un corteo presieduto dal sacerdote che, insieme ai fedeli, si reca a casa delle persone scelte per la vestizione dei figuranti e poi in chiesa per officiare la Santa Messa.

Subito dopo il corteo, figuranti, sacerdote e fedeli raggiungono piazza Mameli per la storica Tavulata di San Giuseppe – in siciliano Tavuli di San Giuseppi – una lunga tavola imbandita in loro onore con i prodotti tipici della zona. Dopo la benedizione viene distribuita a tutti la minestra del santo, preparata dai componenti del comitato, mentre chi interpreta la sacra famiglia mangia anche altre pietanze locali, come i minnulicchi, dolci di pasta fritta della tradizione siciliana.

«È ancora in uso, anche se in misura minore rispetto agli anni passati, apparecchiare nelle proprie case i vicchiareddi, ossia tavole imbandite dai fedeli che, per riconoscenza al santo, invitano a pranzo i parenti o i vicini», racconta il presidente della pro loco, Carmelo Mattina. «Dopo la festa di San Giuseppe Sutera si animerà, di nuovo, con i riti e le processioni della Settimana santa, per rivivere il dramma doloroso della mor- te di Cristo. Le confraternite faranno da corollario a un entusiasmante rito che segue la veglia pasquale e la Resurrezione di Cristo. Martedì dopo Pasqua, poi, partirà una solenne processione dalla vetta della montagna per accompagnare, fino al centro del paese, le preziose urne in argento contenenti le sacre reliquie dei compatroni San Paolino e Sant’Onofrio. Emozioni che vanno vissute di persona».

Alcuni piatti tipici del borgo sono il maccu di fave, una minestra a base di legumi, lu pitirri, una sorta di polenta di farina di semola di grano duro, e li virciddratu, ciambelline di pasta di pane, che a nominarle in dialetto sembrano ancora più buone. Specialità che hanno sapori antichi e richiedono contenitori all’altezza: per trasportare li virciddratu, ma anche le mandorle di varietà fellamasa, l’olio di oliva e i formaggi, viene spesso utilizzato lu panaru, un cesto di rami di ulivo, salice o olmo intrecciati artigianalmente.

U’ PITIRRI

di

Sandra Jacopucci

Una perla tipica dell’entroterra siciliano, forse importata dall’Africa in epoca romana ma con evidenti influenze arabe: u’ pitirri è una minestra densa e cremosa, caratterizzata dall’aroma del finocchietto selvatico fresco in cui si identifica gran parte dell’Isola.

Secondo l’antica ricetta le uova si miscelano a mani aperte, una alla volta, alla farina di semola – in dialetto questo si chiama “frisculiare” – anche se in origine si usava solo acqua come per il cous cous. Il composto ottenuto si sgrana in un setaccio a maglia larga, detto crivu, e si lascia asciugare per circa 24 ore. Poi si fanno bollire in acqua e sale verdure invernali come cavolo verde, borragine, cavolfiore, cardi selvatici tritati a coltello, carota, sedano, cipolla e piselli e, a cottura ultimata, si aggiunge la pasta. Si mescola lentamente per qualche minuto e si porta in tavola con olio extravergine di oliva a crudo.

di Peppone Calabrese PepponeCalabrese peppone_calabrese [Conduttore Rai1, oste e gastronomo]

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