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IL SOMMARIO Caritas 2016 ................................................7 Lo Stato preferisce gli immigrati ....................8 Daniele Bertè...............................................9 Il personaggio – Katarzyna Medlarska ..........10 Aggressione donne .....................................15 Occorrono leggi più severe..........................16 L’autodifesa ...............................................17 Giorgio Galletto, campione mondiale............19 Il Marketing telefonico ................................21 Emigrazione al femminile ............................24 Gli emigranti trentini...................................26 La città dei morti ........................................27 Storia delle Olimpiadi..................................29 Quando niente è impossibile: le paralimpiadi....30 Fertility day o politiche della famiglia ...........32 Fertility day il floppy tra donne, figli e lavoro ...34 Il Sexting, la colpa a chi? ............................36 Il Sexting, fenomeno pericoloso...................37 AIDO chiama il Trentino ..............................39 Come di diventa donatori AIDO ...................41 Io non rischio. La Protezione Civile ..............43 SPAZIO ESPOSITIVO - Case prefabbricate....44 I pescatori di Levico Terme .........................46 La strada ferata......................................... 48 L’avvocato risponde - Gli animali nei condomini ...49 L’inquisizione..............................................53 La Alpi, dimore delle streghe .......................55 La pranoterapia- Rosanna Conci ..................57 La Chiesa dei Coronini ................................58 L’albero di Natale al Santo Padre .................59 Le cronache ...............................................60 San Martino… non solo lanterne ..................64 La moda si apre a tutti................................67 Angelo Fassina, pittore della vita .................68 NO al taglio delle Guardie mediche ..............69 In ricordo di Silvio Giuseppe Peruzzi.............70 Nuove norme di separazione e divorzio ........72 Medicina & Salute: le onde d’urto ................74 Il Castello di Pergine...................................76 Quando il lavoro diventa stress....................78 La correzione della presbiopia .....................81 Valsugana: ambiente e natura .....................82 Girovagando: L’isola di Lampedusa ..............84 Giocherellando ...........................................86
La violenza sulle donne... pag 13
ANNO 2 - NOVEMBRE 2016 DIRETTORE RESPONSABILE Armando Munao’ - 333 2815103 direttore@valsugananews.com VICEDIRETTORE Franco Zadra COORDINAMENTO EDITORIALE Enrico Coser COLLABORATORI Roberto Paccher - Luisa Bortolotti - Elisa Corni Erica Zanghellini - Francesco Cantarella Maurizio Cristini - Alice Rovati - Daniele Spena Alessandro Dalledonne - Mario Pacher - Franco Zadra Laura Fratini - Francesca Schraffl - Sabrina Mottes Eleonora Oss Emer - Chiara Paoli - Tiziana Margoni Patrizia Rapposelli - Zeno Perinelli - Adelina Valcanover CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA Dott.ssa Cinzia Sollazzo - Dott. Alfonso Piazza Dott. Giovanni Donghia - Dott. Marco Rigo EDITORE Edizione Printed srl Viale Vicenza, 1 - Borgo Valsugana IMPAGINAZIONE, GRAFICA Grafiche Futura STAMPA Grafiche Futura PER LA PUBBLICITÀ SU VALSUGANA NEWS info@valsugananews.com
Italiani poveri, poveri italiani... pag 5
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Tremate, tremate le streghe sono tornate... pag 51
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poverta in italia I
Italiani poveri, poveri italiani! di Armando Munao’
È
la Caritas a lanciare l’allarme con la sua ultima ricerca sulla povertà. Il Rapporto 2016 sulla povertà, riporta un dato ineluttabile del 2015 che riguarda soprattutto il Sud Italia: per la prima volta, da che si raccolgono i dati, gli italiani che hanno chiesto aiuto all’istituzione religiosa è stato superiore a quello degli stranieri. E l’Istat conferma che sono soprattutto i giovani a soffrire uno stato d’indigenza. In quell’età dove fiorisce la ricchezza della vita, più si cade nel baratro della carenza di mezzi materiali. Giovani marchiati come consumatori difettosi, allineati davanti al plotone d’esecuzione di una società che chiede a tutti l’adesione incondizionata ai precetti consumistici per non esserne esclusi. Giovani comunque indotti dalla pubblicità, a impiegare i loro pochi soldi e risorse nell’acquisto dissennato di oggetti di consumo (l’immagine di giovani profughi aitanti, tutti con lo smatphone attaccato all’orecchio, impegnati in telefonate internazionali, è quella che più eccita l’immaginario xenofobo dell’occidente contemporaneo), invece che in beni necessari, per proteggersi dalla derisione
e dall’umiliazione sociale. Per definire la “povertà” diremo, infatti, che è una condizione di deficit di risorse necessarie per raggiungere e mantenere quel livello di vita che è reputato decente, civile, tollerabile a lungo senza grandi sacrifici, da un individuo, una famiglia, una comunità locale, un determinato segmento o strato o classe della popolazione. Un dato quindi misurabile, relativo però al momento storico che si sta vivendo e anche alla cultura. Un dato però che è percepito in maniera diversa da un soggetto all’altro. Comunque la si voglia definire, l’idea che più fortemente emerge dalla rilevazione del dato povertà è quella di diseguaglianza. Non sorprende quindi che si esasperino conflitti a tutti i livelli, guerre tra poveri, confronti impietosi tra italiani e stranieri. Come cantava De Andrè, «per tutti il dolore degli altri è dolore a metà». Ma se i poveri, come è giusto aspettarsi, stanno male, anche i ricchi non se la passano bene in una società dove la povertà è in costante aumento, perché occorre considerare la globalità dei fat-
tori sociali in cui il malessere si sviluppa. Poveri ricchi, costretti dalla paura a chiudersi nelle loro ville con piscina, che hanno un’immagine dei poveri come del tutto inutili perché colpevoli di non contribuire al consumo di beni, gente che per via dei loro scarsi redditi e mancanza di prospettiva non sono in grado di mantenere attivo il mercato, sono un virus che minaccia costantemente il corpo sociale con la malattia della recessione. Ricchi che vedono i poveri anche come pericolosi, sempre a rischio di marginalità, di divenire ladri d’appartamento, potenziali rapinatori. Una visione che rende florido il mercato dei sistemi d’allarme e che trasforma le nostre città in mega prigioni dove rinchiudersi per difendersi da chi sta peggio. Case che hanno perso la vocazione all’accoglienza, all’integrazione, per trasformarsi in fortini dove proteggere e conservare il proprio benessere. È questa la direzione che la nostra società sta prendendo, anche velocemente. Fa un certo effetto, davanti a questo quadro, riascoltare le parole di Matteo Renzi del 2014, un secolo fa, quando al Quirinale accettò la guida del Governo: «Ho sciolto la riserva e quindi avverto la responsabilità, la delicatezza e anche lo straordinario onore che deriva dal dare all'Italia un governo che sia in grado di dare una speranza alle nuove generazioni e a tutti gli italiani». Una speranza da non perdere, ma che sembra lontana dal arrivare...
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poverta in italia I
CARITAS 2016
Povertà ed esclusione sociale
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l Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia (e alle porte dell’Europa) nella sua edizione del 2016 si colloca in una particolare congiuntura storico-sociale. Il 2015 è stato infatti definito come l’annus horribilis per i movimenti migratori, non solo per l’elevato numero di rifugiati, sfollati e morti registrati, ma anche per l’incredibile debolezza ed egoismo che molti Paesi hanno dimostrato nell’affrontare quella che, innanzitutto, si è rivelata una emergenza umanitaria. Nel mondo il numero di persone costrette a lasciare le proprie case in cerca di protezione a causa di guerre, conflitti e persecuzioni è arrivato ai livelli massimi mai registrati, superando la quota di 65 milioni. In Europa il numero dei profughi giunti via mare (nel 2015) risulta quattro volte più grande di quello dell’anno precedente, facendo registrare anche un incremento del numero delle vittime nelle traversate.
Di fronte a tali dinamiche la politica europea è risultata frammentata, disunita e per molti aspetti inadeguata. Le immagini di muri e fili spinati sono ancora nitide e attuali e stridono con gli ideali e i principi del grande “sogno europeo”, quello di un continente senza più confini, aperto al libero scambio di persone e merci. È dunque in questo delicato momento storico ricco di insidie e in cui in tutto il continente sembra riemergere la paura del diverso, che Caritas Italiana ha deciso di affrontare il tema della povertà in Italia allargando il proprio sguardo oltre i confini nazionali, cercando di descrivere le forti interconnessioni che esistono tra la situazione italiana e quel che accade alle sue porte. Per favorire una maggiore consapevolezza dei processi in atto, nel rapporto sono riportati numerosi zoom di taglio internazionale, prodotti anche da altri organismi e Caritas europee. L’immagine dei vasi comunicanti assume un carattere ambivalente: aiuta a leggere il reale o meglio i nessi, frequentemente trascurati, che esistono oggi tra povertà, emergenze internazionali, guerre ed emigrazioni; al tempo stesso vuole
essere l’auspicio per un futuro in cui le gravi disuguaglianze socio-economiche, alla base dei movimenti migratori, possano annullarsi favorendo un maggiore e più equo livello di benessere per tutti. In Italia − secondo i dati Istat − vivono in uno stato di povertà 1 milione 582 mila famiglie, un totale di quasi 4,6 milioni di individui. Si tratta del numero più alto dal 2005 a oggi; e si tratta, parlando di povertà assoluta, della forma più grave di indigenza, quella di chi non riesce ad accedere a quel paniere di beni e servizi necessari per una vita dignitosa. Le situazioni più difficili sono quelle vissute dalle famiglie del Mezzogiorno, dalle famiglie con due o più figli minori, dalle famiglie di stranieri, dai nuclei il cui capofamiglia è in cerca di un’occupazione o operaio e dalle nuove generazioni. Un elemento inedito messo in luce nel rapporto e che stravolge il vecchio modello di povertà italiano è che oggi la povertà assoluta risulta inversamente proporzionale all’età, diminuisce all’aumentare di quest’ultima. La crisi del lavoro ha infatti penalizzato soprattutto giovani in cerca “di una prima/nuova occupazione”. (A.M.)
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Lo Stato preferisce i migranti?
di Franco Zadra
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embra inevitabile leggere il dato riportato dal Rapporto Caritas 2016 e ribaltarlo in una questione che appare ovvia: se gli italiani sono più poveri degli stranieri che ospitano, visto che li hanno superati di numero nel fare la fila davanti alla porta della Caritas a chiedere aiuti, alimentari ed economici, allora qualcosa non torna. Lo Stato si spende di più nel tutelare e soccorrere i migranti rispetto ai suoi cittadini nel bisogno? «L'Italia gestisce il fenomeno dei flussi migratori – si legge nel sito del Ministero dell’Interno - da Paesi che non fanno parte dell’Unione europea attraverso politiche che coniugano l’accoglienza e l’integrazione con l’azione di contrasto all’immigrazione irregolare». Naturalmente tutto questo ha un costo. Quanto? Partendo dai famosi 35 Euro al giorno per immigrato (che non sono dati al migrante, ma che sono comunque un costo) c’è chi calcola una cifra che si aggira attorno ai 3 e passa miliardi all’anno. Se poi si aggiungono tutte quelle attività correlate all’emer-
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genza migrazione non si fatica a immaginare costi che equivalgono una manovrina finanziaria, di quelle che ogni tanto sopraggiungono a correggere i conti della manovra ufficiale. Per farcene un’idea basta leggere il comunicato stampa del Ministero dell’Interno del 18 ottobre scorso, presentato a Siracusa, riguardo il naufragio nel canale di Sicilia del 18 aprile 2015 e la doverosa attività di identificazione delle vittime. Solo un esempio tra i molti accaduti in quell’anno horribilis che, letto senza cinismo, andrebbe confrontato con le situazioni che abbiamo in casa facendo semplicemente un elenco delle figure professionali (da tradurre in costi) coinvolte in quella attività di emergenza, chiedendosi se forse anche il grido d’allarme lanciato dalla Caritas non sia da interpretare come un’emergenza da affrontare con mezzi simili.
A parte gli impiegati delle associazioni/ONG coinvolte, cominciamo a contare quelli dell'ufficio del commissario del Governo, del ministero degli Affari Esteri, gli addetti alla gestione e coordinamento delle identificazioni dei corpi dei migranti, decine di sindaci, rappresentanti delle autorità giudiziarie, delle forze dell’ordine, della Marina Militare, del comando generale delle capitanerie di Porto, accademici delle università che svolgono attività di ricerca, medici legali, genetisti, antropologi forensi, tutti coinvolti sulla base di un apposito protocollo d’intesa. Ma non vi è soltanto la gestione dell’emergenza, ci sono anche tutte le altre spese accessorie che, francamente, si conciliano poco con un aiuto concreto, e non solo quelle incontrollabili. L’appalto indetto lo scorso settembre dal Dipartimento per le libertà civili e l’Immigrazione del Ministero dell’Interno, una altro piccolo esempio tra molti, riguarda l’affidamento di un servizio di impaginazione, redazione grafica e stampa della rivista “LibertàCivili”, al fine di stimolare il dibattito culturale e il confronto sui temi della migrazione e dell’assistenza. Costo per 12 numeri: 250mila Euro. Era Tremonti che diceva agli italiani che «con la cultura non si mangia». Infatti, gli italiani lo hanno capito benissimo: finirà che non mangeranno più nulla, ma avranno la consolazione di leggerlo su “LibertàCivili”.
poverta in italia I
Daniele Bertè,
un consigliere comunale tra i poveri
Era il 17 ottobre 1987 quando più di 100mila persone si riunirono al Trocadéro di Parigi – dove nel 1948 fu firmata la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo – per onorare le vittime della povertà, della violenza e della fame. In quell’occasione fu ribadito che la povertà rappresenta una violazione dei diritti di ogni individuo e che per tale ragione deve essere eradicata. Il 22 dicembre 1992 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite proclamò il 17 ottobre Giornata mondiale contro la povertà. Daniele Bertè, consigliere comunale di Rovereto, ha colto l’occasione della celebrazione scorsa, per lanciare una iniziativa volta a rinnovare l’impegno di tutti nella lotta contro la povertà. «Per affrontare le criticità sociali – dice Daniele Bertè – che sono ormai diffuse
in tutti gli angoli di una città che si amministra, occorre metterci la faccia. Sono realtà invisibili solo per chi non si muove per andarle a vedere. La Giornata mondiale contro la povertà è stata per me un’occasione imperdibile. Mi sono recato nei luoghi più “malfamati” di Rovereto e ho incontrato persone stupende, ho parlato con loro, ho ascoltato le loro storie. Non ci si crede di quanta voglia di parlare abbiano certe persone». Daniele, certo, ha una formazione particolare. Diplomato Oss a Riva del Garda, ha lavorato per quattro anni come operatore socio sanitario. «Il contatto umano – continua Daniele – è uno strumento a portata di tutti, ma è anche quello meno praticato da gente che avrebbe la responsabilità di compiere scelte politiche, di indirizzare lo sviluppo di una comunità. Avevo invitato alcuni consiglieri provinciali (Daniele fa anche i nomi) inviando una mail per invitarli a condividere questa iniziativa, questa occasione speciale, per conoscere una realtà di emarginazione del tutto assente nella program-
mazione politica. Non ho ricevuto nessuna risposta. Anche tra i miei colleghi di Rovereto non ho trovato grande entusiasmo. Mi è capitato di venire aggredito per strada. Nessuno mi ha chiesto cosa era successo, come stavo. Zero totale!». Ma praticamente che cosa hai fatto in quella giornata? «Due cose basilari – dice Daniele – di quelle che possono fare tutti: ho ascoltato e osservato. Ho incontrato persone alle quali ho semplicemente chiesto come stavano. Ho ascoltato storie di sofferenza, emarginazione, alcolismo, che non ti lasciano dormire tranquillo, ma che hanno la forza per costringerti a pensare, a cercare soluzioni, a intervenire con creatività. Da solo posso fare poco, ma conto di coinvolgere altri, di fare gruppo con i poveri per iniziare a sollevare la coltre di indifferenza e per vincere l’immobilismo dell’amministrazione». Non hai avuto paura? «La paura l’ho avuta – dice ancora Daniele -, ma mi rifiuto di pensare come invece fa il nostro Assessore alle politiche sociali, del quale ho chiesto le dimissioni, che queste persone non si lascino avvicinare, che non possiamo fare nulla per loro se non provare pietà. I problemi vanno risolti adesso con le risorse che abbiamo adesso». Un progetto immediato? «Ho creato un gruppo Whatsapp per coinvolgere i genitori nel segnalare le criticità che si incontrano nei parchi cittadini. Ma le idee per sviluppare questo tipo di approccio alla realtà non mancano». (F.Z.)
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il Personaggio di Adelina Valcanover Soprano lirico. Nasce in Polonia, dove a 16 anni inizia lo studio del canto, che la porterà a laurearsi prima alla Accademia di musica di Bydgoszcz, e poi all'Istituto Superiore di Studi Musicali di Reggio Emilia con votazione di 110 e Lode. Ancora studente inizia la carriera artistica contando nel teatro dell'Opera di Bydgoszcz in Iolanta di Chaikovskiy (Brigida), Il flauto magico di Mozart (2°dama) Dido and Aeneas (Dido). In Italia prende parte a diverse serate di musica da camera, concerti (Reggio Emilia, Parma, Bellagio, Lovere, Orta, Novara, Como, Pergine Valsugnana) e all'estero a Francoforte, Monaco Montecarlo, Londra, Nowy Sacz (Polonia). Continua la carriera lirica cantando in questi anni ne La Serva Padrona di Pergolesi nei Teatri di Parma, Reggio Emilia, Bellagio, Sorbolo, Rusalka all'Opera di Roma, Cavalleria Rusticana, al festival in Castello di Novara, Macbet a Modena e Bolzano, Don Carlo ancora a Modena, The Rape of Lucretia al Teatro Nazionale di Spalato e al Teatro Verdi di Trieste, alla Salle Garnier di Montecarlo è soprano protagonista della Symphonie Interrompu e de La Chançon du Mal Aimé di Leo Ferré sotto la direzione di Gianluigi Gelmetti con registrazione discografica. Ha interpretato il ruolo di Berta in Il barbiere di Siviglia di Rossini, a Firenze nel nuovo Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, al Palais Princier di Montecarlo per un concerto con la direzione di G. Luigi Gelmetti. Lo scorso settembre è stata Suor Angelica nell’opera omonima di G. Puccini a Pergine.
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KATARZYNA MEDLARSKA Vorrei che fosse lei a presentarsi. “Sono un soprano lirico e maestra di belcanto”. Come Le è nata l’idea di cantare? “Mia mamma faceva parte del coro parrocchiale e ha una voce meravigliosa ancora adesso e mi ricordo che fin da piccola mi cantava le nostre canzoni popolari. Con questo mi ha trasmesso l’amore per il canto”. Lei è nata in Polonia e ora vive a Pergine. Come mai? “Per amore! Come spesso capita. In realtà ero in Italia per studio all’Istituto Superiore di Studi Musicali di Reggio Emilia, dove mi sono perfezionata nel canto lirico col Maestro Mauro Trombetta. Questo era un corso Erasmus per l’ultimo anno di Accademia di Musica di Bydgoszcz (Polonia del Nord). E ho avuto l’incontro che mi ha portato qui”. L’Italia è la patria del belcanto. Ha ancora un ruolo importante qui? “Secondo me, sì! Perché il belcanto è nato in Italia e la vostra tradizione, la lingua italiana, è dei musicisti e da noi all’estero riteniamo essenziale perfezionarci qui”. In Italia il canto è piuttosto trascurato. Anche in Polonia? “No, anzi! In Polonia si studia molto e il programma didattico prevede molte materie. Chi studia canto, oltre a questo, deve prepararsi in arte scenica, balletto, tre lingue (l’italiano è obbligatorio), storia della musica, armonia, solfeggio, teoria della musica, ensamble operistico, coro, allestimento di opere, dove, al termine dei cinque anni di studi, un giovane laureato può avere la possibilità di debuttare in teatro in un’opera lirica”. Il master class di canto lirico che ruolo riveste? “Premesso che il master class che dura normalmente pochi giorni, serve a perfezionarsi, quindi frequentarne è molto utile. Perciò nella mia classe di canto, oltre al corso annuale tenuto da me, con i master class hanno occasione di perfezionarsi con altri validi maestri. Avendo acquisito una notevole esperienza italiana, ho potuto tenere dei master class nel nord della Polonia in Scuole di Musica tra cui a Olsztyn insieme a un’esperta di arte scenica e dizione italiana e questo team è stato molto apprezzato”.
A Pergine c’è l’associazione “Amici della Lirica”, quale ruolo riveste in quell’ambito? “Come è noto l’associazione si propone di divulgare e avvicinare alla lirica la popolazione e, a Pergine, ho riscontrato un grande interesse. Il mio compito all’interno di “Amici della Lirica” è di
cantare nei vari concerti e coinvolgo anche i miei allievi della Scuola Musicale “Camillo Moser” di Pergine, inoltre collaboro con l’Orchestra Giovanile Trentina diretta da Andrea Fuoli e con il coro Noras Vocal Ensemble diretto da Carmen Sartori. In un anno tutto questo ci ha portati all’allestimento di un’opera lirica. La prima nel nuovo teatro di Per-
gine. Vorrei sottolineare che parecchi artisti erano della scuola musicale perginese. La regia, del Maestro Mauro Trombetta.Un grande successo di pubblico”. Lei è un’eccellenza nel mondo della lirica, stando al Suo curriculum. Pergine non le va un po’ stretta? “Vede, io ho viaggiato molto all’estero, ho visto tanti bei posti, ma mi trovo molto bene a Pergine. È un luogo dove trovo serenità, a misura di persona, voglio dire. Inoltre ho risposte molto gratificanti e positive dal pubblico che mi apprezza e mi ama”. Quali sono i Suoi progetti per il futuro? “Per esempio, incentivare gli scambi musicali con la Polonia e con le scuole musicali italiane. Mi piacerebbe riportare all’eccellenza la lirica, nel Paese dove è nata, proponendo concerti di vario genere (lirica, musical, ecc.). Ho anche qualcos’altro in mente, ma preferisco non anticipare”.
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V IOLENZA I numeri della
sulle
Donne
di Armando Munao’
VIOLENZA sulle DONNE I
dati presentati dall'Istat e dai vari istituti di ricerca e statistiche riguardanti il femminicidio e la violenza, a qualsiasi livello, sulle donne ci evidenziano numeri e percentuali decisamente preoccupanti. Dall'inizio del 2016 alla fine di settembre, secondo gli ultimi dati, 64 donne sono state uccise in Italia. Omicidi che per circa 80% dei casi avvengono tra le mura domestiche e oltre la metà tra coppie di età compresa tra 24/55 anni. E questa “tragedia”, purtroppo, non accenna a diminuire perché da almeno dieci anni i femminicidi sono in costante aumento. Analizzando i dati dell’ultimo decennio, le donne uccise sono 1740: 1251 all’interno della famiglia, 846 per mano di un fidanzato e 224 assassinate da un ex. Nel 40,9% dei casi, a causare l’assassino è il movente passionale e nel 21,6% l’omicida ha agito dopo una lite o per un dissapore. E questi “mostri” per concre-
tizzare il loro efferato scopo hanno utilizzato nel 32,5% un’arma da taglio, nel 30,1% hanno dato fuoco alla vittima, nel 12,2% hanno fatto uso di “armi improprie” e il 15% ha strangolato o soffocato la vittima . I numeri ci dicono anche che spesso all’omicidio della donna segue il suicidio del killer (31,3% dei femminicidi l’assassino si è poi tolto la vita, nel 9% ci ha provato senza riuscirci) Ci sono, poi, le violenze e le aggressioni subite dalla vittima prima di essere uccisa: verificatesi nel 16,7% dei casi, ma solo l’8,7% delle quali denunciate alle forze dell’ordine. Oltre al femminicidio, sempre secondo i dati, compresi quelli di Telefono Rosa, esistono ragazze, madri e figlie che nel silenzio subiscono soprusi: quasi 9.000 le donne vittime di violenza e circa 1.300 di stalking. Il fatto preoccupante, però, è che circa il 90% delle donne non denuncia tali atti di sopraffazione. A questa situazione deve essere aggiunta quella che nello specifico comprende tutti i casi di violenza.
Quasi 7 milioni di donne, infatti, hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni: il 21% ha subìto violenza fisica, il 23% violenza sessuale, il 5,8% forme più gravi di violenza come stupri e tentati stupri. Sono circa 700 mila le donne che hanno subìto stupri e quasi 800 mila le vittime di tentati stupri. In merito poi allo stalking, altro fenomeno, in continuo aumento, i numeri ci sottolineano che oltre 3milioni e 600mila donne lo hanno subito nel corso della vita e di queste, 1 milione 600 mila circa l'ha subìto dall'ex partner e il restante da persone diverse dall'ex partner. Le donne separate o divorziate hanno subìto violenze fisiche o sessuali in misura maggiore rispetto alle altre (51,4% contro 31,5%). Critica anche la situazione delle donne con problemi di salute o disabilità: ha subìto violenze fisiche o sessuali il 36% di chi è in cattive condizioni di salute e il 36,6% di chi ha limitazioni gravi. Il rischio di subire stupri o tentati stupri è doppio (10% contro il 4,7% delle donne senza problemi).
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sulle
Donne
eDONNE
di Patrizia Rapposelli
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arco del Colle Oppio, Roma, una sorta di giardino archeologico considerato oasi di pace e bellezza per contrasto emblema nell’ultimo tempo di degrado sociale, “ghetto” e ritrovo di senzatetto, nella notte dello scorso mese si è fatto scenario di una brutale aggressione, una delle ultime citate dalle notizie di cronaca. Sono 652 mila le donne che lo scorso anno hanno subito il trauma di uno stupro e 746 vittime di aggressioni sessuali. Dati inquietanti che indicano una soggettività lesa e ferita di donne capitate in una via inopportuna al momento sbagliato; esperienze drammatiche che lasciano nella psiche una traccia indelebile. Mi piace adattare a tale tema le parole di un noto sociologo, il quale dice:” Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non libertà prevale nella civiltà industriale avanzata”. Una non libertà di camminare per una strada scarsamente illuminata e poco frequentata, una normalizzazione di uno stato dall’allarme che sottoscrive nella categoria di pericolo alcune zone periferiche o addirittura centrali in alcune ore del giorno, una finta libertà che fa sentire
impotenti. Quelle 652 vittime nascondono manifestazioni sintomatiche connesse al trauma seguito che andranno ad incidere sul funzionamento normale della vita; dalla reviviscenza del trauma, all’evitamento, all’aumento arousal e sintomi dissociativi. Significa che la vittima potrebbe avere degli incubi ricorrenti del trauma subito o flahback che la riportano a quella situazione come se la stesse rivivendo, cercherà di evitare luoghi e persone che le ricordino quel momento associati a sintomi di distacco o estraneità verso gli altri, livelli di ansia molto intensi rispetto al periodo precedente al trauma: una presa della sua libertà. Non resta che raccogliere le forze e rialzarsi per andare avanti, ma consapevoli che la ferita di quell’esperienza non può cancellarsi. La riflessione poggia le basi sull’idea di uno scenario che troppe volte si sta ripetendo. L’ istituzione della difesa urla il bisogno di prevenzione. Velleitario è pensare che sia possibile annullare completamente il rischio di subire una aggressione, la società moderna non permette ciò a causa di una complessità culturale ed evoluzione della stessa, oltre a un mutamento comportamentale dei soggetti e della visione della donna; non è possibile argomentare in quanto solo un approfondimento sociologico andrebbe a
spiegare la problematicità del fenomeno. Esiste nonostante ciò, un mondo di prevenzione che nel suo sviluppo vuole porsi l’obiettivo di ridurre il rischio di cadere prede di aggressioni o nel caso di reagire con efficacia. Il punto è difendersi e scappare senza essere esperte di arti marziali; la precauzione fa leva su corsi di autodifesa: imparare a vivere con meno paura ed una maggiore consapevolezza della propria forza. Una conoscenza che non dà la certezza assoluta di sfuggire ad un esperienza traumatica, ma che offre una possibilità maggiore. Difendersi è innanzitutto una questione psicologica e un atteggiamento mentale, imparare ad essere consci dei propri limiti psicofisici e aumentare lo stato di allerta per evitare. La reazione ha solo uno scopo: neutralizzare o meglio scoraggiare l’aggressore per il tempo necessario a scappare e prendersi un vantaggio; la difesa personale non deve far sentire onnipotenti,ma dovrebbe servire a rendere consapevoli e cauti. Facendo i giusti calcoli la possibilità che una donna viva un esperienza di questo tipo è estremamente alta e il fenomeno non interessa solo ragazze, non ha limiti di età, così come ha fotografato l’Istat. Nell’ingiustizia dell’attuale situazione non basta che fermarsi e riflettere sull’idea che la paura rende prigionieri e la speranza più liberi: attenzione, consapevolezza e prevenzione.
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V IOLENZA
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Donne
Occorrono
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LEGGI SEVERE
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ggressività e violenza sono termini sicuramente noti a tutti in quanto accompagnano l’uomo nel suo cammino fin dalla sua comparsa sulla terra. Possiamo anche dire che tali caratteristiche hanno consentito all’umanità di superare indenne una serie di pericoli e difficoltà trovate nel corso dei secoli. Quindi è legittimo dire che ciascuno di noi si porta dentro un po’ di aggressività e di violenza anche se la nostra società odierna tende a non accettare e a deplorare queste caratteristiche. La violenza ha molte facce che sono state classificate con termini diversi ma che nascono tutte dallo stesso istinto aggressivo: prepotenza, arroganza, sopruso, furia, violenza, aggressione, violenza sessuale, stupro e altre motivazioni. La violenza inoltre assume nella nostra società ancora altre sfaccettature come il furto, la rapina, violenza privata; ovvero la violenza posta in essere su cose fisiche e non direttamente sulla persona. Soprattutto negli ultimi tempi la diffusione di questi comportamenti definiti antisociali ha ingenerato in molte persone un sentimento definito come “ansia da aggressione”. Cioè queste persone sono limitate nei rapporti sociali e negli spostamenti per la paura di essere vittime di violenza.
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Per aggressione s’intende l’atto di aggredire, dell’assalire qualcuno a scopo di offenderlo, cioè infliggere a questo delle lesioni inabilitanti. Per aggressività invece si intende l’indole di una persona di mettere in atto della violenza ovvero l’essere aggressivo. L’aggressività di una persona secondo recenti studi è strettamente legata alla frustrazione. Interessante è il collegamento di un comportamento aggressivo rivolto verso terzi quando il soggetto non può rimuovere un ostacolo frustante perché non accessibile o pericoloso. In una persona aggressiva troviamo un indebolimento delle inibizioni dovuto all’idea che l’aggressività possa essere remunerativa o giustificata soprattutto se legata a precedenti esperienze positive. Inoltre soprattutto tra i giovani prendono piede comportamenti aggressivi legati a immagini televisive e cinematog ra fic he che fanno allontanare il soggetto dalla realtà. In caso di deformazione patologica si riscontra anche la sensazione di piacere che
di Franco Zadra appaga l’aggressore quando vede realizzata la violenza sulla sua vittima. Uno studio particolareggiato delle tipologie di aggressione finalizzato anche alla difesa personale ha diviso queste in: Liti che degenerano in aggressioni; aggressioni da parte di teppisti e/o malviventi; aggressioni a scopo di rapina; aggressioni da parte di ubriachi a drogati; aggressioni da parte di maniaci; aggressioni per violenza, anche sessuale e aggressioni per nuocere alla persona.
V IOLENZA L' AUTODIFESA
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Donne
contro la
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a cronaca di ogni giorno ci informa come le aggressioni a persone siano sempre più in aumento. Molti cittadini si avvicinano quindi a corsi di difesa personale alla ricerca delle proprie potenzialità istintive unite alla esigenza di aumentare il livello di consapevolezza delle proprie capacità di difesa. La FIJLKAM per fare fronte a questa sempre più forte richiesta già nel 1998 avviò uno studio costituito da tecnici federali delle discipline rappresentate allo scopo di individuare un programma tecnico multidisciplinare capace di soddisfare le esigenze degli insegnanti e soprattutto strutturato in modo semplice ed efficace per offrire alle persone che si avvicinavano a tali corsi un metodo univoco affidabile e professionalmente corretto, basato sull’analisi di tecniche semplici ma efficaci, applicabili da chiunque, anche senza aver avuto precedenti esperienze marziali o sportive. Già nel 2000 si davano avvio a dei corsi preparatori per i tecnici interessati a tale disciplina. Dopo i primi anni, potendo anche studiare i risultati attenuti sui corsisti si apportavano alla metodologia alcune variazioni e tutt’ora si continua a migliorare il sistema di insegnamento al fine di fornire all’utente finale un valido ausilio per la crescita delle proprie potenzialità difensive. L’ M.G.A. è il metodo di insegnamento della difesa personale sviluppato dalla Federazione Italiana Judo Karate e altre Arti Marziali (F.I.J.L.KA.M) . Questo metodo è in continua evolu-
zione e perfezionamento, non si tratta di uno stile o di una scuola, bensì di un "sistema", cioè un qualcosa che funge da "mezzo" per imparare la difesa personale. Quindi è un metodo. Globale sta appunto indicare che non è fossilizzato su una delle arti marziali ma nelle loro globalità sono state prese in esame le tecniche ritenute più idonee alle esigenze della difesa, quindi non vi sono tecniche acrobatiche o che richiedano conoscenze specifiche ma semplici dirette utilizzate da tutti. Nel corso viene dato ampio spazio alle esigenze delle singole persone ed alle loro caratteristiche (fisiche ed emotive), cercando di guidarle verso la massima efficacia alla ricerca di quei movimenti che risultano personalizzati per questo è detta autodifesa perché è adattata ad ogni singola persona. L’ M.G.A. è la sintesi di alcune tecniche di aikido, jujitsu, judo, karate e lotta. Il metodo è costituito sull’efficacia accertata del concetto di cedevolezza su cui si fondano molte arti marziali, la cui strategia si concretizza nell’assecondare i movimenti dell’aggressore per rivolgere contro di lui la sua stessa forza. Questo metodo si basa esclusivamente su tecniche di difesa ed è stato studiato anche per coloro che pur non avendo potenzialità fisiche o una giovane età hanno però deciso di imparare a difendersi anche solo per sentirsi più sicuri.
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Giorgio Galetto, campione mondiale
di Elisa Corni
...SUI CIELI DI CALDONAZZO C
hi direbbe che dietro a un sorriso accogliente e due occhi chiari si potesse nascondere un eroico campione di volo a vela? Giorgio Galetto abita a Caldonazzo e mi spiega subito che il volo non è questione di coraggio ma di conoscenza. «Sai come vola un’aereo?» mi chiede. Devo ammettere che non ho ben chiari tutti i meccanismi che fanno sì che un oggetto si libri in aria. «Visto che nel nostro paese c’è poca cultura aereonautica - spiega il volovelista - molti hanno paura di precipitare nel vuoto, ma ciò non è possibile». Parla per esperienza, lui che il suo
primo volo nemmeno se lo ricorda. Cresciuto con un padre che oggi, all’età di 92 anni ancora vola, Galetto è salito sul suo primo aereo da bambino. «Ero troppo piccolo per ricordarmelo», racconta mentre beviamo un caffè. Quella in cui è cresciuto è una famiglia di amanti del volo. Mi mostra delle fotografie del nonno Lutalto che nel corso della Prima Guerra Mondiale era tra gli eroi che solcavano i cieli per epiche battaglie sul filo del rasoio. 101 anni fa il nonno di Giorgio Galetto saliva sul suo primo aereo da combattimento, e la sua storia è raccontata in una mostra realizzata dalla famiglia ed esposta nel paese natale del nonno, Sanguinetto, nel basso veronese. Insomma, sembra che il volo i Galetto lo abbiano nel sangue, e nemmeno le donne della famiglia sono esenti da quella che Giorgio stesso definisce una «malattia». Sua moglie, infatti, ha sempre volato, e ora è membro della Fé-
dération aéronautique internationale (FAI), l’ente internazionale che si occupa di qualunque cosa voli, dai deltaplani ai droni, dagli aerei di linea ai razzi spaziali. Le prime esperienze di volo Giorgio Galetto le ha fatte a bordo dell’aereo a motore del padre, che fin da bambino lo portava con sé alla scoperta dell’immenso cielo sopra le nostre teste. Poi un giorno Giorgio si è avvicinato agli alianti. «Attorno al 1969 l’aeroporto di Trento è stato spostato da Gardolo a Mattarello, dove si trova ancora oggi, perché a Trento Nord verso sera si alza un forte vento che rendeva il volo piuttosto pericoloso. Nel nuovo aeroporto ho cominciato a spingere gli alianti dei volovelisti, e poi un bel giorno ci sono salito sopra». Da lì i primi brevetti di volo, l’inizio dell’attività agonistica nel 1979 e i primi risultati a livello nazionale - dal 1984 fa parte della Nazionale Italiana di volo a vela. Nel corso della sua carriera agonistica Giorgio Galetto ha portato a casa importanti riconoscimenti e premi nazionali e internazionali: è stato 14 volte campione italiano di distanza; nel 2010 il suo è stato considerato “Volo dell’Anno” tra oltre 100.000 voli realizzati da volovelisti di tutto il mondo; nel 1999 ha raggiunto il gradino più alto nel Campionato del Mondo
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tenutosi a Bayeruth (primo italiano a vincere su suolo tedesco). Ma questa è solo una piccola parte della lunga e ricca carriera agonistica del campione trentino. Domando a Giorgio: «Ma come si svolge una gara di volo?». Mi spiega che ci sono sostanzialmente due tipi di gare: distanza, e velocità su percorso assegnato. In questa seconda tipologia di gare, una volta lanciato in aria l’aliante, il pilota deve sfruttare le condizioni meteorologiche, per esempio per i cosiddetti “voli in onda”, per percorrere le distanza previste nel minor tempo possibile. «Raggiungiamo anche velocità notevoli, considerato che ci muoviamo senza un motore. Fino ai 160 km orari». C’è poi una gara che coinvolge i piloti sparsi in tutto il mondo. Il cosiddetto On Line Contest. Questa si basa sulla durata del volo, e i volovelisti non hanno bisogno di trovarsi tutti assieme nello stesso posto, perché il contest si basa sul caricamento online dei video del loro volo. «Ci sono decine e decine di voli, divisi per categoria. I voli più importanti sono stati fatti per esempio in Argentina, sulle Ande, dove le particolari condizioni meteo permettono di stare in alta quota molto a lungo sfruttando le cosiddette onde», spiega il più volte campione del mondo. Quello che Giorgio Galletto ha descritto è un mondo entusiasmante e unico. «Volare provoca delle emozioni difficili da spiegare. Ti tocca dal punto di vista emotivo, psichico e fisico. Ti costringe a gestire una terza dimensione nella quale muoverti», racconta a me che ho volato solo sugli aerei di linea. «Purtroppo - conclude Galetto - nel nostro paese c’è poca cultura in questo senso. Il volo è sempre stato associato al Fascismo e dopo la guerra lo si è tenuto in disparte. Oggi siamo solo in 2.000 a praticare il volo a vela in Italia, e ci sono pochi giovani. C’è bisogno di diffondere la bellezza di questo sport». Lascio Giorgio al suo lavoro di programmazione. A gennaio, infatti, sarà impegnato nel prossimo campionato del mondo, in Australia. In bocca al lupo!
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Come difendersi dalle telefonate pubblicitarie indesiderate
Il Marketing telefonico C
apita sempre più spesso di ricevere telefonate da operatori commerciali che propongono servizi o prodotti o che ci chiedono di dedicare alcuni minuti del nostro tempo per partecipare ad un “sondaggio”. Un martellamento tale che induce spesso a non rispondere più ad alcun numero sconosciuto, col rischio però di perdere telefonate di persone di cui non si era salvato il numero in rubrica e che nulla hanno a che fare con le chiamate fastidiose delle agenzie di telemarketing. Nella maggior parte dei casi il numero telefonico è stato comunicato da noi stessi, più o meno consapevolmente, mettendo una firma di troppo in moduli per accedere ad offerte promozionali, per avere una carta fedeltà, per concludere un contratto d’acquisto etc… Il metodo è quello dell’informativa della privacy; solitamente ci si trova a barrare tre caselline di cui l’ultima recita: “Autorizzo a cedere i miei dati ad aziende partner/terze per ricevere offerte e promozioni”. Bisogna stare attenti a tutto ciò che si firma perché il consenso al trattamento dei nostri dati personali può rivelarsi un
pericoloso boomerang perchè Detto in poche parole: se in passato è stata data questa autorizzazione è praticamente matematico ricevere offerte attraverso il telemarketing. La stessa cosa può succedere se il nominativo è presente su un elenco telefonico pubblico. In quest’ultimo caso, si possono bloccare le chiamate fastidiose, iscrivendosi, gratuitamente, al Registro Pubblico delle Opposizioni, creato proprio per tutelare la privacy degli abbonati agli elenchi telefonici. Per iscriversi sono disponibili diversi strumenti sul sito www.registrodelleopposizioni.it: modulo elettronico sul sito web, posta elettronica, telefonata, lettera raccomandata e fax. L’iscrizione al Registro è valida a tempo indeterminato, finché l’abbonato rimane intestatario della numerazione iscritta. Nel caso in cui nonostante l’iscrizione l’abbonato riceva ancora telefonate indesiderate è possibile rivolgersi al Garante per la protezione dei dati personali o all’Autorità giudiziaria. Prima di fare segnalazioni è bene: • Accertarsi dell’avvenuta iscrizione al Registro; • Controllare che siano trascorsi 15 giorni dal momento dell’iscrizione (solo dopo questo termine, infatti, l’opposizione diviene effettiva); • Verificare di non aver prestato il consenso al trattamento dei propri dati per finalità di telemarketing allo specifico soggetto
di Alice Rovati
che ha effettuato la chiamata o a soggetti terzi che effettuano chiamate pubblicitarie pescando il numero da fonti diverse dagli elenchi telefonici pubblici (es. albi professionali). In generale, per arginare le telefonate indesiderate si può cercare di agire contro chi disturba per scoraggiare eventuali future chiamate chiedendo esplicitamente dove hanno preso il nominativo: sono obbligati a rispondere. Se rispondono che l’hanno pescato dagli elenchi pubblici degli abbonati, avvisarli che si è già iscritti (o si è in procinto di farlo) al Registro Pubblico delle Opposizioni e che quindi non devono più chiamare. Se rispondono che il nominativo è stato fornito da un’altra azienda a cui si era dato il consenso al trattamento dei dati, si deve scrivere per revocare l’autorizzazione. Se nonostante tutto, continuano a chiamare, diffidare l’operatore dal farlo nuovamente e segnalare il comportamento scorretto all’Autorità Garante per la Privacy (www.garanteprivacy.it) che, accertata la violazione, interviene con sanzioni che vanno da 10 mila a 120 mila euro.
La dott.ssa Alice Rovati è laureata in Giurisprudenza, percorso europeo e transnazionale, con master in Europrogettazione. Giurista esperta in diritto dei consumatori, docente di diritto. È Rappresentante di Altroconsumo per la Provincia di Trento.
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Il Centro di Servizi “ Villa Prati di Castel Ivano
PER IL BENESSERE DELL’ANZIANO I
l Centro di Servizi “ Villa Prati” ha lo scopo di favorire la permanenza della persona nel proprio ambiente di vita, offrendo un supporto significativo alle famiglie di appartenenza. Le attività sono modulate a seconda del livello di autosufficienza. E' una struttura diurna che, oltre a garantire l’assistenza necessaria e favorire lo sviluppo delle relazioni interpersonali e gli stimoli per una vita attiva ed integrata, si pone come obiettivi principali la socializzazione e l'animazione, integrandoli con servizi di pasto e trasporto e, a richiesta, parrucchiera, estetista, educazione motoria, cura e igiene della persona, attività culturali, ludico/espressive, di socializzazione ed
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animazione e servizio di trasporto da e per casa. Il livello di autonomia della persona deve consentirle di partecipare alla vita comunitaria del Centro e, oltre a garantire l’assistenza necessaria, Il Centro di Servizi risponde a bisogni di anziani autosufficienti o con un parziale grado di compromissione delle capacità funzionali, che vivono nella propria abitazione o in alloggi protetti ed a quelle persone adulte destinatarie di interventi di assistenza domiciliare. Cosa molto importante è che tutte le attività sono svolte alla presenza di operatori e personale qualificato. Tali servizi sono fruibili in seguito a domanda individuale, che deve essere redatta e sottoscritta su apposito modulo dall'interessato e presentata agli uffici competenti. L’Assistente Sociale referente per il Centro formulerà il progetto d’intervento e valuterà la pertinenza del servizio alle diverse richieste. Il progetto di inserimento individua obiettivi e compiti particolari valorizzando le capacità fisiche, mentali e relazionali della persona inserita
rendendola partecipe al processo di salvaguardia della propria autonomia, coinvolge l’eventuale rete familiare e dei servizi presenti, stabilisce verifiche in itinere riguardante la valutazione degli obiettivi concordati e l’adeguatezza del servizio offerto rispetto alle condizioni psicofisiche della persona. Il Centro è aperto tutti i giorni dal lunedì al venerdì dalla ore 9,00 alle 16,00. Per informazioni e iscrizioni contattare: • COMUNITÀ VALSUGANA E TESINO SETTORE SOCIO-ASSISTENZIALE Piazzetta Ceschi, 1 BORGO VALSUGANA - Tel.: 0461 755565 •
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DAL TRENTINO AL VORARLBERG
Storia di un’emigrazione alfemminile
di Chiara Paoli
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alla Valsugana al Vorarlberg: una storia di donne (18701915) di Casimira Grandi è l’articolo d’apertura del volume edito nel 1994, dedicato alla Migrazione artigianale nelle Alpi, facente parte della collana della Comunità di lavoro regioni alpine. Se prima la donna era vista come emigrante solo in funzione dell’uomo, e cioè soltanto in considerazione del ricongiungimento famigliare; a partire dal XIX secolo la donna diviene membro attivo, lavoratrice che non necessita più della mediazione maschile. In una Valsugana risorgimentale, con il passaggio del Veneto all’Italia, si interrompono bruscamente i rapporti e gli scambi commerciali che da molti anni i Valsuganotti intrattenevano con la vicina regione. Nell’ultimo quarto dell’ottocento il Trentino si trova ad affrontare una terribile crisi economica che induce moltissime persone ad emigrare, soprattutto dalle valli periferiche, dove la
Trentini che lavorano in ferrovia - 1880
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situazione diviene insostenibile. In realtà non possiamo propriamente parlare di emigrazione, perché in uno stato multietnico come l’Impero Austroungarico i valsuganotti rimasero entro i confini imperiali, ma si trattava di trasferirsi comunque in una terra lontana, con una lingua, costumi e tradizioni diverse. Le filande davano lavoro a molte donne della vallata, ma la crisi riduce drasticamente nel giro di pochi anni il numero di filande che passano da 162 nel 1875 ad appena 19 nel 1892, ecco che ha inizio la prima ondata di disoccupazione femminile, una nuova forza lavoro che in loco non trovava sbocchi e possibilità. Nel 1880 un cappellano del Vorarlberg sottolineava come nei cotonifici locali venissero preferite tessitrici italiane e trentine che lavoravano fino a 12 ore con salario ridotto, rispetto alla mano d’opera locale che avanzava maggiori pretese.
Ha inizio un flusso inesorabile che tra il 1886 ed il 1915, dalla sola Telve giungono a Bludenz 41 donne che trovano occupazione presso l’opificio Klarenbrunn della ditta Getzner-Mutter. Nello stesso periodo sono ben 138 le donne provenienti dalla Valsugana impiegate in questa azienda. In un tempo in cui si riteneva che la povertà fosse dovuta all’oziosità ed all’incapacità personale, si tendeva a nascondere la propria situazione, che non era ben vista dalle autorità; non stupisce quindi che a questo argomento non venisse dato peso e che le notizie in merito siano assai scarse. Ma anche le operaie trentine ad un certo punto cercano di far valere i propri diritti; nella rivista “La Famiglia Cristiana” del 1894 si trova notizia di uno sciopero presso la tessitura Mueller e Oberholzer dovuto alla riduzione di un terzo del salario. Le forze che entrano in gioco sono duplici, di matrice cristiana da un lato e di stampo socialista dall’altro, proprio con la stampa socialista si diffondono articoli sulla “tratta delle bianche”, che denunciano le condizioni di lavoro a cui erano sottoposte le donne impiegate negli opifici del Vorarlberg. Ma le misere paghe e le giornate lavorative da 12 ore, non hanno agito da deterrente ed il Vorarlberg diviene la provincia di lingua tedesca dell’Impero con il maggior numero di italiani, che salgono dalle 3085 unità del 1890 a 5884 nel 1900. Seguono movimenti ed associazioni che nascono con l’intento di migliorare le condizioni di lavoro ed assicurare una paga minima giornaliera alle ope-
Lavoratrici Trentine - 1900 raie, la stessa stampa cattolica sostiene il “Diritto sacrosanto di agitarsi per promuovere e migliorare le proprie condizioni” (cit. Casimira Grandi, p. 303, in “La Squilla”, 1906, N° 43, p. 2). Le lavoratrici trentine in Vorarlberg rimangono comunque sempre legate ai luoghi d’origine, dove portano le innovazioni di cui sono state partecipi, contribuendo così al miglioramento delle condizioni di lavoro delle colleghe rimaste in Trentino. Nel nuovo secolo ha inizio l’opera dell’Ufficio per la Mediazione del Lavoro, che svolge delle inchieste relative all’immigrazione per motivi di lavoro; nel 1914 il dottor Bonfanti direttore dell’ufficio, effettua uno studio specifico sull’emigrazione femminile, che considera una vera e propria piaga sociale. Nei suoi scritti si fa riferimento in particolare all’alto tasso di figli illegittimi partoriti dalle operaie impiegate nell’industria tessile, anche se è difficile sostenere che la percentuale di illegittimità fosse più alta rispetto alla media, considerando che non abbiamo dati con cui effettuare una comparazione; inoltre molti di
questi bambini venivano successivamente legittimati per mezzo del cosiddetto matrimonio riparatore. Quella che in alcuni giornali dell’epoca viene definita anche “tratta delle schiave” è un triste capitolo della storia della Valsugana, una vicenda di donne, che subiscono vessazioni e sopportano condizioni di lavoro disagiate e sfiancanti, pur di contribuire con il proprio lavoro al sostentamento della famiglia.
Un sincero ringraziamento al dr. Josef Concin per la collaborazione e per la concessione delle foto
Angelina Gonzo e Maria Stefani - 1912
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Gliemigrati trentini e valsuganotti
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a ricerca è stata realizzata e condotta dalla Fondazione Migrantes della Cei. Una analisi approfondita che ha dato dei risultati, almeno per quanto riguarda la Valsugana, davvero interessanti. Partiamo da un dato. I trentini che hanno scelto, per diverse ragioni, di vivere all'estero sono quasi 5.000. Altrettante persone che da tempo hanno abbandonato la loro terra natia ma che, a tutti gli effetti, sono ancora cittadini italiani. Hanno deciso, però, di scegliere altri luoghi dove vivere e lavorare. Una situazione che, in questi ultimi anni, ha coinvolto sempre più famiglie, con molti giovani che, di fronte all'incertezza sia economica che lavorativa, hanno preso una decisione drastica. E i numeri, come ricorda la stessa Fondazione Migrantes, sono in crescita: solo negli ultimi due anni il loro numero è salito da 47.062 a 49.783 tra 2015 e 2016. Si tratta di oltre il 9% dei residenti in Trentino. La cittadina trentina maggiormente coinvolta, e non potrebbe essere diversamente, è Trento che è anche al 23° posto nella speciale classifica a livello nazionale
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per espatriati. In tutto 8.646 persone, il 7,4% della popolazione residente. A seguire ci sono, il Comune di Levico con 2.183 iscritti, pari a oltre il 27% dei residenti attuali, e Rovereto con 1.843 iscritti. A questo punto, però, leggendo l'analisi della Fondazione Migrantes della Cei c'è un dato che spicca più di tutti. E riguarda un piccolo comune della Valsugana dove, l'incidenza dei residenti all'estero sulla popolazione residente è pari al 65%. Parliamo di Novaledo dove i residenti all'estero risultano essere 699 persone. Poco distante troviamo Canal San Bovo, il piccolo comune del Primiero, dove i 754 residenti all'estero sono il 49,3% dei residenti. Al terzo posto, in questa speciale classifica, troviamo Roncegno Terme. Secondo l'analisi della Fondazione Migrantes, infatti, il paese registra 1.140 residenti all'estero, una moltitudine che, di fatto, incide per il 39,6% dei residenti. Se si guarda
ai Paesi scelti da chi se ne va dalla nostra provincia, la Fondazione Migrantes mette in fila Germania, Brasile, Svizzera, Austria e Argentina ai primi cinque posti, anche se in questo caso la graduatoria riguarda anche i circa 39.285 altoatesini che nel 2016 risultavano iscritti all'Aire. I primi cinque Stati in cui sono residenti gli abitanti della regione che hanno scelto di andarsene all'estero accolgono in complesso oltre il 74% degli iscritti all'Aire. Sesto posto per il Regno Unito, scelto in questi anni da circa il 3% degli abitanti di Trentino e Sudtirolo che vivono all'estero. In fondo alla classifica, la Serbia, l'Irlanda, il Perù, la Svezia, e la Colombia con lo 0,2%. I trentini residenti all'estero hanno per il 25% tra i 18 e i 34 anni, per il 23% circa tra i 35 e i 49 anni. Il 15% ha meno di 17 anni, mentre gli over 65 sono il 17,7%, il restante 19% ha tra i 50 e i 64 anni. Ad andarsene sono anche i nuovi trentini, ossia stranieri che vogliono cercare nuove prospettive di lavoro e vita fuori dal Paese, ma non mancano i pensionati che puntano a spostarsi in realtà dove il loro assegno previdenziale pesa maggiormente rispetto all'Italia. (A.D.)
Lacittà deimorti di Luisa Bortolotti
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ovembre è “il mese dei morti”, della rievocazione dei defunti, in cui ricordiamo i nostri cari scomparsi in modo particolare, forse ancora più di come già li pensiamo di solito. È consuetudine, nel giorno dedicato al ricordo dei defunti, visitare i cimiteri locali e portare in dono fiori e lumini sulle tombe; in molte località italiane è anche diffusa l'usanza di preparare alcuni dolciumi. E’ una ricorrenza che risale a tradizioni precristiane che la chiesa ha semplicemente fatto proprie "cristianizzando" antiche feste “pagane”, presenti in tutte le culture italiche ed europee. Queste celebrazioni legate al capodanno agrario e a culti ancestrali dei morti sono state ricondotte nell'ambito religioso salvaguardando solo la data e, parzialmente, il significato. La stessa "festa di halloween", festeggiata negli ultimi anni, ma non gradita alla chiesa e che i più credono di origine statunitense, altro non è che una ricorrenza legata al culto dei morti. La tradi-
zione della zucca intagliata a forma di teschio e illuminata da una candela che viene posta sulla porta di casa per spaventare i defunti che nella notte magica tra il 31 Ottobre e il 1° Novembre tornerebbero sulla terra era diffusa in Italia sin dalla notte dei tempi, dal Friuli al Veneto, al Piemonte, in Romagna, nelle Marche, fino al Sannio. In quella notte si credeva che il mondo dei morti e quello dei vivi venissero in contatto, e che fosse possibile per i morti tornare sulla terra ma anche per i vivi passare nel regno dell'oltretomba. Nella città di Trento c’è sempre, non solo a novembre, sotto gli occhi di tutti, una “città dei morti”, un mondo parallelo ricco di monumenti, tombe, targhe e luoghi un tempo dedicati al ricordo di chi ci ha preceduti. Ma spesso ci si passa accanto, “senza vederlo”. Lo si può visitare e soprattutto si dovrebbe farlo conoscere ai giovani, per farli riflettere sul difficile rapporto che la società contemporanea ha con l’inevitabile evento della morte. Si potrebbe partire dall’analisi dalle tavole epitaffio, esposte nel Museo diocesano, che i principi vescovi Giovanni Hinder-
bach (vescovo per 20 anni) e Udalrico Liechtenstein (vescovo per 33 anni) commissionarono a corredo del proprio monumento sepolcrale. Si potrà individuare il messaggio che per mezzo di questi “testamenti visivi” essi hanno voluto trasmettere ai posteri. Poi uno sguardo alla grande tavola commissionata dal canonico Girolamo Roccabruna, che fu canonico di Trento e Bressanone, e arcidiacono, che offre l’occasione per parlare della “vanitas”, cioè delle nature morte con elementi simbolici che alludono al tema della caducità della vita. Interessante proseguire con una visita in Cattedrale alla scoperta dei principali monumenti funebri ancora presenti; poi nell'area archeologica della Basilica Paleocristiana di San Vigilio, un tempo basilica cimiteriale, per concludere con un breve sopralluogo in città alla ricerca di luoghi e opere particolarmente significativi, collegati al tema del ricordo di chi ci ha lasciato. In un’epoca in cui della morte non si parla, non si tratta, non si discute. Il suo stesso nome viene mascherato ed evitato: la persona cara 'non c'è più', 'se ne è andata', è stata 'persa'.
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O li m p i a d i LA STORIA DELLE
di Veronica Gianello
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Giochi Olimpici sono un evento sportivo quadriennale(l’Olimpiade nell’antica Grecia indicava l’intervallo di tempo che intercorreva tra un’edizione dei Giochi e la successiva). Durante questa manifestazione, atleti da tutto il mondo gareggiano per la propria Nazione in 38 discipline diverse suddivise per varie categorie e specialità. I Giochi Olimpici come noi li conosciamo sono stati creati dal barone francese Pierre de Coubertin nel 1896. Il suo intento era quello di riprendere gli antichi Giochi greci in chiave moderna, e permettere così alla Francia di riscattare la propria potenza dopo la guerra franco-prussiana. Sui Giochi Olimpici Antichi invece abbiamo scarse testimoniante e diverse ipotetiche genesi. Sappiamo per certo che erano celebrazioni miste sportive e religiose, soprattutto in onore di Zeus; e che proprio per questa attitudine pagana, vennero abolite con l’avvento in Grecia degli imperatori cristiani. I Giochi Antichi avevano sempre luogo nella città di Olimpia, e ne vennero disputate ben 292 edizioni tra gli anni 776 a.C. e 393 d.C. Tuttavia il programma di gara era molto ridotto rispetto all’edizione moderna, per ovvi motivi. Le prime edizioni prevedevano solamente gare di “stadion”, di corsa; solo successivamente si aggiunsero la
lotta, il pugilato, il pentathlon e l’equitazione. Gli atleti vincitori veniPanathinaiko - Atene 1896 vano immortalati in poemi e statue, incoronati con l’alloro e celebrati dalla popolazione intera. Molte differenze ma anche molte similitudini dunque tra Giochi Olimpici Antichi e Giochi Olimpici Moderni. Mentre nell’Antica Grecia i partecipanti potevano essere solamente ellenici, la Pentathlon giochi antichi. Lancio del disco e del giavellotto prima edizione delle Olimpiadi moderne, con i suoi 250 partecipanti, volle subito a sottolineare La bandiera olimpica ad esempio raffiin maniera positiva l’internazionalità gura i cinque famosi cerchi colorati su della competizione. Sappiamo bene sfondo bianco. Questi rappresentano i però che nella storia abbiamo comunque cinque continenti; i colori—rosso, nero, assistito a episodi di razzismo, violenza giallo, verde e blu—sono i più utilizzati e discriminazione di vario genere. Tut- tra le bandiere di tutto il mondo, mentre tavia, dal 1908 il Comitato Olimpico l’intreccio delle figure simboleggia l’uniInternazionale(CIO) ha redatto la Carta versalità dello spirito olimpico. Olimpica: un documento che ogni Per uno sportivo partecipare a un’Olimatleta partecipante è tenuto a firmare. piade è un’esperienza unica, la massima Il primo articolo della Carta richiede ambizione in carriera. Il lavoro di alleproprio “ la non discriminazione, l'ugua- namento, di verifiche e qualifica parte glianza di genere e lo sviluppo sosteni- praticamente appena si conclude l’Olimbile”. Questo spirito è ben rappresentato piade precedente e dura per quattro dai simboli più conosciuti dei Giochi. anni(molte volte gli atleti vengono convocati o scartati a poche settimane dalla partenza!). L’impegno, la pressione e la costanza si riassumono nell’atleta Barone Pierre de Coubertin conosciuto per essere rappresentante una squadra, ma dietro stato il fondatore dei moderni Giochi olimpici. di lui c’è una macchina organizzativa per nulla scontata. I prossimi Giochi si terranno nel 2020 dunque, a Tokyo, e il quartier generale è già in fermento da anni. Entro il 2017 invece verrà scelta la città ospitante per i Giochi del 2024, e tra polemiche e critiche, potrebbero anche tenersi in Italia. Roma, Parigi, Budapest, Los Angeles o Amburgo? Presto lo scopriremo, e oggi come nell’Antica Grecia saremo pronti a vivere a pieno lo spirito sportivo che solo i Giochi sanno regalare!
La medaglie d'oro delle prime Olimpiadi moderne
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QUANDO NIENTE è IMPOSSIBILE: le
i d a i p m i l ra a P
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iamo nel secondo dopoguerra, un periodo certamente non facile. Le varie forme dittatoriali in Europa, e non solo, hanno spesso esaltato e celebrato la perfezione del corpo umano, del corpo scolpito, sano e— per quanto sia relativo—del corpo “bello”. Lo sport e l’appartenenza alla propria Nazione come atleta è un simbolo di grande prestigio e vanto verso gli altri Paesi. Ma il dopoguerra, purtroppo, è stato anche un periodo di desolazione, miseria e vite stravolte in diversi modi. Il ruolo della psicologia e della riabilitazione nelle vite di coloro che tornavano dal fronte è stato cruciale. È proprio per questo motivo che il dott. Guttmann organizzò nel 1948 una competizione sportiva per veterani britannici con danni permanenti alla colonna vertebrale. Attratti dall’idea, nel 1952 anche diversi atleti olandesi presero parte ai Giochi, dando vita al carattere internazionale della competizione. Fu un italiano però, il medico Antonio Maglio, a programmare un’edizione dei Giochi per disabili negli stessi impianti che
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poco meno di un mese prima avevano ospitato le XVII Olimpiadi estive di quell'anno. Siamo a Roma, ed è il 1960: per la prima volta il Comitato Olimpico Internazionale riconosce l’evento come “Giochi Paralimpici” e da quel momento ogni quattro anno hanno luogo entrambe le manifestazioni, a simboleggiare la pari dignità e importanza di atleti disabili e non. Ma com’è possibile far gareggiare atleti che, seppur disabili, vengono da malattie o incidenti diversi tra loro? Proprio per organizzare al meglio competizioni eque e sportive esiste una categorizzazione delle disabilità e una classificazione di queste ultime, e successivamente dei test, come accade per gli olimpionici, per verificare il livello di preparazione generale. Tuttavia, quello che stupisce di più quando si assiste a una gara paralimpica non è la limitazione, la mancanza di qualcosa. Tutto ciò passa in secondo piano e quello da cui restiamo attratti è la grandezza di questi atleti, non per le performance sportive, né per la loro potenza nonostante le difficoltà: ciò che ci fa sentire a volte piccoli è la loro immensa umanità. Riprendersi da malattie, incidenti, interventi con la loro forza d’animo non è da tutti. Non si tratta di agonismo, di competitività, si tratta invece di una rivincita contro un destino che ha stravolto la loro vita. Non per niente il motto dei Giochi Paralimpici è “Spirit in Motion”, “Spirito in Movimento”, a simboleggiare che oltre la disabilità Beatrice Vio, medaglia d'o ro nel fioretto ci sono uomini, donne, e tanta voglia
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di Veronica Gianello
Alex Zanardi, medaglia d’o ro nella handbike di raggiungere comunque i propri sogni. Se già e incredibile pensare alle storie degli atleti che hanno iniziato a praticare sport solo dopo gli incidenti avuti, come cura riabilitativa, è ancor più strabiliante immaginare gli atleti che per tutta la vita hanno fatto dello sport il loro mestiere, e in una manciata di secondi si sono ritrovati con un pugno di mosche in mano. Il caso che molti di noi hanno più impresso nella memoria è certamente quello di Alex Zanardi. Classe 1966, si avvicina al mondo delle corse prima con il Kart e poi in Formula 1 nonostante la disapprovazione dei genitori, che proprio in un incidente stradale avevano visto morire la sorella di Alex. È il 2001, e si sta disputando una competizione del circuito kart europeo, quando a tredici giri dalla fine, Alex perde il controllo della vettura facendo un testacoda che posiziona il mezzo in posizione perpendicolare, proprio mentre lo sta raggiungendo a tutta velocità il compagno Alex Tagliani. L’impatto è violentissimo e Alex perde entrambi gli arti inferiori: solo un miracolo può salvargli la vita. Quel miracolo, questa volta, avviene: Zanardi dopo settimane di coma, interventi e riabilitazioni riprende in mano la sua vita; torna addirittura a correre in macchina e diventa l’emblema dello sport per disabili. Pro-
prio durante queste manifestazioni, Zanardi si appassiona all’handbike e inizia una nuova carriera sportiva che lo porta nel 2012 a conquistare il traguardo più ambito: la medaglia olimpica. Porta a casa 3 titoli a Londra, e 3 a Rio: una per ogni categoria in cui gareggia. Ma sono davvero tante le belle immagini che ci restano dopo le ultime Paralimpiadi brasiliane; immagini di speranza, di forza e di incoraggiamento. Ma anche un’immagine di vita vera, perché, come ha sottolineato il presidente Mattarella, “Il portatore di handicap le Paralimpiadi le fa tutti i giorni”. Un’edizione paralimpica ricca di soddisfazioni anche per l’Italia che chiude il medagliere al nono posto portando a casa ben 39 medaglie, migliorando il risultato di Londra 2012!
ISTITUTO DI ESTETICA
MEDAGLIERE PARALIMPICO RIO 2016 NAZIONE
CINA GRAN BRETAGNA UCRAINA STATI UNITI AUSTRALIA BRASILE PAESI BASSI GERMANIA ITALIA POLONIA
ORO
ARGENTO
BRONZO
TOTALE
107 64 41 40 22 14 17 18 10 9
81 39 37 44 30 29 19 25 14 18
51 44 39 31 29 29 26 14 15 12
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Fertility day o politiche della famiglia
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di Elisa Corni
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n Italia nel 2015 sono nati 488 mila bambini, 15 mila in meno rispetto all’anno precedente. A cosa è dovuto questo calo? Forse le giovani coppie amano dormire in letti separati? Una campagna a spot una volta l’anno e l’istituzione del Fertility Day sono la risposta giusta per ovviare a questo calo? Guardandoci attorno possiamo farci un’idea più chiara della situazione generale. In Europa, in generale, dopo il boom di nascite degli anni Sessanta, la natalità è andata piano piano calando.
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Sono lontani i tempi in cui nascevano 7,7 milioni di bambini all’anno (era il 1964, per la cronaca). Da quota 16,4 bambini nati ogni mille abitanti negli anni Settanta, siamo passati a un misero 10,1 ‰. Ma non tutti i paesi vedono così poco la cicogna come il Bel Paese, che con 1,37 bambini per donna nel 2015, si colloca in fondo alla classifica Europa 28. Dietro di noi solo Spagna (1,32), Grecia (1,30) e Portogallo (1,23). Secondo alcuni studiosi e analisti, il calo delle nascite non è necessariamente collegato a un calo del desiderio, o alla mancanza di voglia di maternità e paternità. Numerosi fattori, contribuiscono a questa situazione. Come per esempio la difficoltà nel trovare lavoro fisso o di lunga durata. Basti pensare che, nel 2015, 800 mila italiane hanno abbandonato più o meno volontariamente il lavoro dopo aver avuto un figlio. Nel nostro paese, infatti, poco più del 60% delle donne riprende il lavoro dopo aver dato alla luce un figlio. Questione
di genere? No, visto che il tasso di occupazione delle donne senza figli è dell’82%, quasi 20 punti di differenza. Sembra proprio una questione collegata all’italianità, visto che, per esempio, in Francia sono oltre 7 su dieci le donne che riprendono il loro posto di lavoro dopo la gravidanza; in Islanda e in Danimarca sono rispettivamente l’84 e l’85% delle madri a non “restare a casa”. Che questo sia collegato alla natalità lo dicono i numeri. In Islanda, infatti, il numero di bambini per donna raggiunge quasi quota due: 1,93. In Danimarca, dove s’investe l’8,6% del PIL nelle politiche a sostegno delle famiglie, scendiamo a quota 1,69. Ma è la Francia il paese dove si fanno più figli: 2,01 figli per donna per i nostri cugini transalpini. Il caso della Francia ha incuriosito molti analisti e statisti che si sono scervellati per capire cosa funzioni particolarmente bene a Parigi e dintorni. A quanto pare, un buon punto di partenza è quello delle politiche di assistenza alla famiglia. I transalpini investono tra il 3,5 e il 4% del loro Prodotto Interno Lodo in sussidi e politiche di assistenza
alle famiglie, tradizionali o meno. Nel nostro paese ci fermiamo al 2%, e ancora più bassi sono gli investimenti di Grecia e Portogallo (il cui tasso di fertilità è più basso del nostro). Norvegia, Finlandia e Danimarca superano abbondantemente queste cifre, e in questi paesi il tasso di natalità è effettivamente più alto. In cosa si traducono questi investimenti? Tanto per cominciare in asili nido e strutture che aiutino i neo-genitori nella cura quotidiana del bambino. Nel nostro paese, come in Spagna e Grecia, meno del 40% dei bambini va all’asilo nido, contro il 54% della Norvegia e il 65% della Danimarca. Grande responsabilità è data alle madri che, come abbiamo visto, tendono a lasciare il lavoro, e alle cure dei nonni. Elisabetta Addis, economista dell’Università di Sassari, sostiene che «forse un bonus bebè può essere la soluzione. Ma come dimostrano diversi studi non c’è correlazione diretta tra benefici economici e numero di figli. Non mancano invece le correlazioni tra realtà ricche di servizi di alto livello per la famiglia e
tasso di fertilità». Ma non sono solo gli investimenti e i servizi a fare la differenza. Come evidenzia in un’intervista Ron Lesthaeghe, professore di demografia a Bruxelles, «Oggi giorno politiche governative e di equivalenza dei generi (gender equality) sono necessarie per sostenere la popolazione». Sì, perché le linee guida dettate dall’Unione europea invitano i paesi membri a promuovere l’uguaglianza di genere attraverso politiche che premino chi retribuisce donne e uomini in egual misura (e in questo l’Italia non se la
cava male), e coinvolgano di più gli uomini nella vita familiare. Per esempio attraverso i congedi di paternità. Secondo una serie di studi, nei paesi dove al congedo è associata anche una corretta retribuzione (superiore al 60% dello stipendio precedente al congedo), l’85% dei padri prende una pausa dal lavoro per crescere i propri figli. Sono paesi come la Svezia, dove lo stipendio scende all’80%, o la Danimarca, dove per un anno lo stipendio è invariato. E in Italia? Un papà che vuole prendersi cura della propria famiglia riceve un terzo del suo stipendio normale.
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FERTILITY DAY...
...il flop tra donne, figli e lavoro
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gli italiani, e soprattutto alle italiane, la campagna voluta dal Ministro Beatrice Lorenzin per il Fertlity Day lo scorso settembre non è piaciuta molto. Del resto, in un paese in profonda crisi economica, con tassi di disoccupazione alle stelle e differenze di genere di una certa portata, a chi piace sentirsi dire che il tempo scorre e che è ora di procreare?! Sì, perché in maniera poco elegante questo era quanto declamavano i discussi manifesti della campagna: «La bellezza non ha età, la fertilità sì»; «Datti una mossa, non aspettare la cicogna»; «La fertilità è un bene comune». La risposta dei più, soprattutto nel mondo digitale, è stata ironica e dura. Scimmiottando le tristi immagini della campagna ministeriale, gli italiani hanno tenuto a sottolineare che, per
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esempio, in Italia si hanno difficilmente contratti di lavoro abbastanza lunghi da “permettersi” di diventare genitori. O che gli stipendi medi dei giovani, quelli cui si rivolgeva il ministero, sono troppo bassi. Come fare figli, se un over 35 su due vive ancora con i genitori? E le cose non stanno migliorando, perché nel corso degli ultimi 7 anni, secondo una ricerca di Findomestic, la quota dei non più ragazzi ancora a carico di mamma e papà è passata dal 60 al 66%, contro una media europea passata dal 47 al 49%. Ma davvero in Italia si fanno pochi figli? La tendenza, dopo il boom degli anni Sessanta, è sempre stata una leggera decrescita, ma il 2015 per la prima volta nella storia del nostro paese ha segnato un segno negativo. Lo scorso anno, infatti, ci sono stati più decessi (653 mila) che nascite (488 mila). Il nostro, insomma, è un paese che, a detta di alcuni esperti, sta lentamente morendo. E così, sulla scia di quanto accade in altri paesi d’Europa e del mondo occidentale, si è deciso di realizzare una campagna per promuovere le nuove nascite. I dati non sono certo rosei, dato che il nostro caso di natalità ha toccato quota 1,37, terzo peggior risultato
dall’epoca del Baby Boom. Questo valore, per mantenere la popolazione stabile, dovrebbe aggirarsi attorno al 2, valore raggiunto da pochi paesi occidentali. C’è infatti una generale tendenza al calo delle nascite in quasi tutti i paesi europei, con alcune famose eccezioni. Ma quello di fare pochi figli non è l’unico “merito” degli italiani; le nostre, infatti, sono tra le mamme meno giovani d’Europa; in questo non ci batte nessuno. Mediamente, le italiane diventano mamme dopo i 31 anni, e una grossa fetta delle nostre connazionali lo fa oltre i 40 anni. Secondo la recente campagna del ministro Lorenzin, ma soprattutto secondo una serie di ricerche sociologiche e mediche, fare figli in età avanzata comporta una serie di rischi tanto per la madre quanto per il bambino. L’insorgere di anomalie cromosomiche, malattie rare e disfunzioni aumenta infatti con l’aumentare dell’età della madre. Se tutti questi numeri sono tristemente veri, è altrettanto vero che nel nostro paese una serie di fattori, non necessariamente collegarti con la pigrizia o l’immaturità delle quali sono tacciate le giovani generazioni, influenzano la vita quotidiana. E portano gli italiani e le italiane a non fare figli. Scopriamolo assieme nell’infografica nella pagina 33. E.C.
LA COLPA A CHI? di Patrizia Rapposselli
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Una abitudine, quella di mettere in web foto sex o video hard, che sempre di più condiziona i giovani e non di rado è causa di conseguenze gravissime, compreso il suicidio della volontaria o involontaria “attrice”.
n trend aberrante....Chiunque doveva ricevere quel video hard, girato per gioco o eccesso di vanità, l’ha tradita. Il video divenuto virale si è diffuso in rete e la maledizione del web non l’ha mollata. Una libertà personale violata e derisa da uno spazio digitale che condivide per distruggere: la storia di una donna che per imprudenza è finita in un’imbarazzante passatempo senza fine e di contraccambio si è preso la sua di vita. Un caso è sintomatico, nel senso che una ragazza su dieci condivide contenuti intimi e per sbaglio o scherzo innaturale finisce nella trappola del web e da lì non si cancella. Il sexting, un caso dietro l’altro in un susseguirsi di notizie di cronaca, è fenomeno di moda ad ogni età e le conseguenze possibili non fanno sconto su alcuno. Tale pratica che sembra aver dato vita ad un trend aberrante consiste nell’invio di materiale spinto a contenuto sessuale, in particolare è tendenza condividere su whatsapp,che per ine-
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sperienza, vendetta o gioco possono essere diffusi su qualsiasi spazio digitale provocando al protagonista una fama lesiva. Tutti gli utenti attivi su un canale social sono potenzialmente un hub informativo: ognuno può immettere o veicolare informazioni di qualunque tipo ed il gesto della condivisione digitale è talmente veloce che ha reso endemica la capacità di comunicare. Cosa accade se si perde il controllo di ciò che viene inviato? Le notizie a tal riguardo impongono una riflessione che vada di gran lunga oltre alla misura in link e commenti di un social, al quale poco importa del poi; l’onta della vergogna rispetto a filmati che dovrebbero rimanere nella sfera intima e privata sono gettati in pasto al web come tendenza del momento. DI CHI LA COLPA? Posta la legittimità delle proprie performance sessuali e ponendoci oggettivamente di fronte a tale fenomeno che accomuna più donne ci troviamo in una bilancia che pende sottilmente da una parte all’altra in un equilibrio che vede l’imprudenza di un errore di calcolo bilanciarsi ad un’ignoranza etica e vendicativa tra chi consente la ripresa e chi la svilisce rendendola pubblica. Lo psicologo scrittore statunitense Wayne Dyer sostiene che dare la colpa ad altri è un piccolo e pulito meccanismo che puoi usare ogni volta che non vuoi prenderti la respon-
sabilità per qualcosa. Ritengo l’avventatezza relativa ad un certo agire non possa più far parte della nostra epoca, la quale non sembra chiedersi “dell’altro”; il proliferare di copie dei video e lo stesso effetto streisand, fenomeno mediatico per il quale il tentativo di censurare o rimuoverli ne provoca, contrario alle attese, un ampia pubblicizzazione, non si preoccupa né della tutela, né della privacy della protagonista, la quale sulla bocca di tutti vede la dignità svanire nel web. Navigando in rete non è difficile trovare commenti violenti che rilegano l’errore di una bravata o la semplice smania di apparire nel “se l’era cercata” o ancora “femmina immorale”, ma troppo poco spazio si lascia al domo maschilismo di chi scatena la diffusione online; la bilancia nella superficialità della condivisione alimenta un accanimento contro chi un errore effettivamente lo ha commesso: fidarsi della persona sbagliata. Come già detto una ragazza su dieci condivide foto-video osé nella noncuranza delle conseguenze, basta una sbagliata valutazione e una bravata per rendere quel gioco dannoso, ma ciò sembra far parte di una moda in rapida espansione. Tradita la fiducia, quel video vende quel corpo, usato per scopi sessuali e denudato dalla dignità, divenendo nel pubblico un ritratto umiliato e sfruttato da coloro che affidano il valore di sé alla rete.
IL SEXTING,
FENOMENO PERICOLOSO di Erica Zanghellini
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l sexting, è un fenomeno sociale riguardante soprattutto le nuove generazioni, potenzialmente molto pericolo e spesso sottovalutato. Anche se non per tutti è una parola famigliare, siamo in molti a conoscerlo come fenomeno della cronaca quotidiana. La parola “sexting” è la fusione tra due termini inglesi, e il significato sta ad indicare la condivisione tra più persone di messaggi, foto oppure video a tema sessuale, con l'ausilio dei cellulari, tablet o computer all'insaputa di chi l'ha prodotto. Spesso e volentieri coinvolge le nuove generazioni, cioè gli adolescenti e i giovani adulti. I principali aspetti peculiari del sexting sono:
• aspetti tecnologici: Per via dei dispositivi attuali, in brevissimo tempo, condivisioni, invii multipli e diffusione sui social network rendono virale l'esposizione in internet di ciò che è stato prodotto; • permanenza nel web: Il materiale pubblicato può rimanere online potenzialmente per sempre, se non rimosso, ma questo fattore spesso e volentieri non viene calcolato; • fiducia cieca nel ricevente: Non si mette in dubbio che la persona destinataria possa tradirci e divulgare i video, le immagine o i messaggi compromettenti con altre persone; • consapevolezza della gravità: I ragazzi non riescono a pensare che stanno divulgando spesso e volentieri materiale pedopornografico, che li mette a rischio di finire in mondi illegali e potenzialmente pericolosi. Ricordiamoci che nel web è facile nascondersi dietro a false identità, e quello che può apparire come un coetaneo in realtà può essere un adulto con delle inclinazioni sessuali per i minori. conseguenze • psicologiche e sociali:
La “vittima” che si ritrova in questo circolo vizioso dovrà affrontare una serie di difficili e complicati postumi sia a livello personale che a livello della propria rete sociale. Le motivazioni per cui un ragazzo o una ragazza invia del materiale provocante, sono innumerevoli e spaziano dall'aumentare la propria popolarità, a farsi vedere coinvolti in una relazione amorosa, oppure mostrarsi adulto o chissà cos'altro. Il problema non nasce di per sè nel produrre un materiale video o fotografico seducente, ma il diventare di dominio pubblico tramite la condivisione involontaria del/la protagonista. Come si può intuire il passo è breve tra lo scattarsi o filmarsi in pose stuzzicanti e/o compromettenti e la divulgazione di tale materiale con gli altri. Una volta innescato tale meccanismo, non se ne ha più il controllo, basta pensare che in un minuto di orologio le potenziali condivisioni sono infinite. Questo fenomeno è diffusissimo e la causa va ricercata nella superficialità con cui tale documentazione viene spedita, senza calcolare le potenziali conseguenze. Quanti ragazzi si sono fidati di persone che non meritavano la loro fiducia, vedendo il loro materiale diffuso in modo virale, dal quale non si è più tornati indietro e che per alcuni è stato fatale?
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Proviamo a pensare a quanti ex fidanzati/e hanno condiviso con altri foto o video prodotti dal partner passato, per le più disparate motivazioni. Bisogna tener conto che soprattutto nell'adolescenza gli innamoramenti possono essere fugaci e che si può essere esposti a potenziali rivendicazioni sentimentali dal/la fidanzato/a abbandonato. Gli adolescenti, frequentemente, non hanno gli strumenti per difendersi, l'esperienza è poca e sono ancora fragili, ma soprattutto spesso e volentieri non riescono a confidarsi con gli adulti di riferimento, in questi casi. Essendo un argomento così delicato, solo una figura adulta può aiutarli a gestire questa situazione e cercare di difenderli contenendo i danni. D' altra parte anche se non è così facile come adulti coordinare tali emergenze, non possiamo esimerci da un ottica anche preventiva per contenere questo fenomeno, dobbiamo assumerci la responsabilità e mettere in atto adeguate
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strategie di fronteggiamento, rispetto la precoce esposizione alla vita sessuale e le possibili conseguenze per i giovani. Se riflettiamo scrupolosamente sull'origine di questa tematica troveremo tante ragioni/spiegazioni nella società attuale per cui c'è una spinta a comportarsi così. Quante volte deduciamo dai mass media che il valore dato a una persona è il prodotto della sua capacità di essere attraente agli occhi degli altri? Se ci pensate questo implica comportarsi, atteggiarsi e conformarsi in canoni precisi. Per tutto ciò è importante fornire la possibilità ai ragazzi di seguire dei corsi di educazione all'affettività e sulle emozioni per chiarire quanto detto sopra, ma soprattutto approfondire gli aspetti legati alla propria identità sia psicologica che fisica, nonché il rispetto dell'altro. E se la divulgazione dei video/foto è già avvenuta? Che cosa si può fare? - Cerchiamo di mantenere un comportamento calmo e freddo, se riusciamo condividiamo quanto avvenuto con un adulto di riferimento e asseconda di dove la foto o il video è stato caricato (social network o sito internet) contattiamo tempestivamente il provider e comunichiamogli la nostra volontà di togliere tale materiale dal web. Questo ci permetterà di contenere le visualizzazioni e quindi la diffusione del materiale che ci vede protagonisti. - Se non riusciamo ad abbattere la paura del giudizio con chi ci cono-
sce, ricordiamoci che esiste il Safer Internet Center Italiano che mette a disposizione un servizio di supporto relativo alla gestione di problematiche avvenute per un scorretto utilizzo dei nuovi Media. - E infine ricordiamoci che il miglior intervento in questi casi è la prevenzione, il calcolare le conseguenze delle nostre azioni è il passo vincente. Le regole che è bene infondere ai propri figli sono due ma, sono molto importanti. Rammentiamogli: - uno, di non spedire o condividere immagini spinte; - due, se diventano loro il ricevente di questo tipo di materiale, rendiamoli coscienti del fatto che possono fare la differenza e fermare un circolo vizioso molto pericolo per il protagonista. Cerchiamo di non alimentare l'ingranaggio condividendolo a nostra volta con i nostri contatti, anche se lì per lì può sembrare molto attraente o divertente.
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Associazione Italiana Donatori Organi
AIDO chiama ilTRENTINO con la danza di SIMONA ATZORI “ da una vita spezzata un’altra può rinascere”
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ra il 14 novembre 1971 quando Giorgio Brumat diede vita al primo gruppo provinciale di donatori di organi a Bergamo (D.O.B.). Meno di due anni dopo, il 26 febbraio 1973, nel capoluogo bergamasco prende avvio l’Associazione Italiana Donatori Organi (A.I.D.O.). Una nascita più che attesa, perfettamente in sincronia con i primi trapianti in Italia che allora riguardavano solo i reni. L’obiettivo dell’AIDO è quello di cercare di diffondere la prospettiva di tale trattamento risolutivo, come auspicabile alternativa alla emodialisi nei nefropatici. Allora la dialisi, unico trattamento possibile, costringeva i pazienti a spostarsi di decine di chilometri, anche tre volte la settimana, per una carenza logistica nella dislocazione dei centri di cura. Ancora più urgente di oggi si presentava perciò la necessità di una soluzione come il trapianto. Associarsi volontariamente per dare la possibilità ad altri di sopravvivere alla morte del
Il Presidente provinciale dott. Mario Magnani
donatore di organi, tessuti e cellule è l’ideale di AIDO. Dopo solo 4 anni, AIDO superò i 70.000 iscritti in 600 sedi comunali, e stipulò un accordo con il Ministero dell'Istruzione per far conoscere l'associazione e i suoi scopi nelle scuole italiane. Nel 1986 l'allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga conferì all'associazione la medaglia d'oro al merito della sanità pubblica. I dati pubblicati dal Centro Nazionale Trapianti confermano una attività complessiva di donazione, dal 1992 al 2015, in costante crescita. Aumentano le donazioni, vi sono più donatori utilizzati,
più trapianti, meno opposizioni da parte dei familiari delle persone decedute. In particolare, dal 1992 al 2000, periodo in cui si contano solo i trapianti da cadavere a vivente, si è passati da 329 a 821 donatori. Dal 2001 al 2015, in cui si contano anche le donazioni di fegato e di rene da vivente, oltre a quelli da cadaveri utilizzati, si è passati da 1077 a 1489. Confrontando il 2014 e il 2015, si nota un leggero calo nelle opposizioni che vanno dal 31 % al 30,5 %. Sono di conseguenza in aumento anche i trapianti: 1083 nel 1992, 3326 nel 2015. Un aumento che riflette una migliore organizzazione del lavoro e una attività delle rianimazioni italiane più centrata sull’obiettivo per un accertamento neurologico dei decessi maggiormente efficiente. Nello specifico, per i trapianti di rene si è passati da 611 (da cadavere) nel 1992, a 1580 (da cadavere) più 301 (da vivente) nel 2015. I Centri Trapianti più attivi nel 2015 per il trapianto di rene da cadavere sono, Padova (90), Torino (89), Verona (87), Bologna (77). Ma si contano altri 36 centri sul territorio
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italiano che trapiantano reni da cadavere, e, fortunatamente verrebbe da dire, l’ultimo in questa classifica dell’attività di trapianto è il pediatrico di Torino con 4 trapianti. Per i trapianti di fegato vi è stata una crescita costante dal 1992 (202) al 2006 (1089 da cadavere; 33 da vivente), e una sostanziale stabilizzazione fino al 2015 (1071 da cadavere; 23 da vivente), con il Centro Trapianti di Pisa in testa alla classifica di attività con 119 trapianti di fegato da cadavere. Meno costanti sono stati i trapianti di cuore, passati da 243 nel 1992, a 390 nel 1995, 353 nel 2004, 278 nel 2011, e 246 nel 2015. Il Niguarda di Milano nel 2015 ne ha effettuati 29, mentre sono stati 27 a Padova, e 22 a Bergamo. 17 sono stati i trapianti di polmone nel 1992, fino ad arrivare a 112 nel 2015, con punte superiori al trend nel 1997 (83), 1999 (101), 2013 (141). Nel 2015 è il Policlinico di Milano a effettuare 20 trapianti di polmone, mentre a Padova ne sono stati fatti 18, e a Torino 16. Molto più discontinuo si presenta il grafico dei trapianti di Pancreas, nelle combinazioni con il trapianto di rene e altri organi. 38 sono stati nel 1992, per scendere a 20 nel 1995, risalire a 51 nel 1998, per mostrare una intensificazione dell’attività dal 2001 al 2009 con punte che arrivarono a 95 trapianti nel 2004. Nel 2015 sono stati 31 nella
combinazione rene-pancreas; 16 solo pancreas; e 3 con altre combinazioni. Il Centro San Raffaele di Milano ne ha compiuti 14, mentre Padova e Pisa, 10 ciascuno. Molto più rari, e si contano solo dal 2002, i trapianti di intestino. Una media di 4 trapianti all’anno dal 2002 al 2011; zero dal 2012 al 2014; uno soltanto nel 2015. Sono 9070 i pazienti in lista di attesa registrati nel 2015. 6765 per il trapianto del rene (vi sono in realtà 8433 iscrizioni poiché per il rene ogni paziente può averne più di una); 1072 per il fegato; 731 per il cuore; 383 per il polmone; 248 per il pancreas; e 20 per l’intestino. Per un tempo di attesa che va da 3,1
Al centro il Presidente provinciale AIDO dott. Mario Magnani
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anni per i pazienti in lista, a 2,2 anni per i pazienti usciti di lista. 2 anni è invece il tempo medio di attesa in lista per i trapianti di fegato. 2,8 anni per i trapianti di cuore. 2,3 per i trapianti di polmone. 3,2 per il pancreas. Al 19 ottobre 2016 sono 9293 le persone in lista di attesa per un trapianto. 1.794.740 cittadini hanno espresso il loro consenso alla donazione di organi; 146.899 mediante registrazione presso le Asl; 325.590 mediante registrazione presso i Comuni; 1.322.251 mediante iscrizione all’Aido. Se si va a guardare l’attività di donazione per l’anno 2015, si vede che i donatori nella Provincia Autonoma di Trento sono stati 9, un piccolo numero se confrontato con i 273 della Lombardia. Anche per questo conviene approfittare dell’attività di promozione di Aido, andando allo spettacolo che Simona Atzori terrà al Teatro auditorium di Trento, lunedì 28 novembre 2016, alle 21, intitolato “Una stanza viola”. Milanese, figlia di genitori sardi, Simona Atzori, pur essendo priva di braccia dalla nascita, non si è mai persa d'animo e ha intrapreso sin da giovane l'attività di pittrice e di ballerina classica. Nel 2001 si è laureata in "arti visuali" alla University of Western Ontario a London (Canada). Una testimonial d’eccezione per lo spirito di Aido che appartiene ai donatori di vita. Una vita fragile ma bella che vale la pena di essere vissuta, sempre.
COME SI DIVENTA DONATORI
in ret e nel lare il modulo di adesio ne, rep erib ile mpi co ente ffici su è . D.O 'A.I. all e Per aderir chiusa con aff rancatura pri orit aria sta bu in o iarl inv e me) fir (3 arlo sito w ww.aido.it, firm di sede Provinciale A.I.D.O. de l luogo la esso pr ta) anda com rac re cor (no n oc resi den za/domi cilio. 61.9160 26; Si ghel e, 7 – 38 122 Trento. Tel . 04 Via in è o ent Tr di ciale vin pro e La sezion ovincia@aido.it. Fax 0461. 9160 26; E-mail trento.pr negli archivi iato tra mit e e- mail o fax in quanto inv ere ess ò pu n no ne esio ad di Il mo dulo atui ta e n la firma origin ale. L' isc rizione è gr co ento cum do il to" rva onse "c Aido deve ess ere ma. Ri cevuto il ne l modulo, il versament o di un a som e, icar ind io tor bliga ob è n no o per tant ino ederà, en tro 30 gg., a inviare il tesser ovv pr .O. A.I.D e sed la o, mat fir e modulo compilato . Il te sserino rizzo sp ecifi cato nel modul o st esso indi all’ ore) nat do l de arta (C e di ade sion pe rsonali. In oltre , il no minativo enti cum do i n co vato ser con e dovrà es sere firmato form ativo A.I.D.O.) co nsultab ile In a istem (S .A. S.I l de ase tab da nel del l’associato sa rà ins erit o re in nti. È facoltà del donat ore di recede pete com rie nita Sa re uttu Str lle in te mpo reale da e scritta all a Sede dan done opport una co municazion one iazi ssoc ll’A da to men mo si qua lsia l qu ale si richiede la restitu zion e de la n co nza, side re di cia ovin pr ia A.I .D.O de lla propr firmato al mome nto dell’iscrizione. mo dell o di adesione compi lato e
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Anche a Borgo Valsugana
rischio”
“Io non
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na due giorni per sensibilizzare la popolazione sui comportamenti da tenere prima, durante e dopo l'evento alluvionale. È quanto successo, nelle scorse settimane a Borgo quando, in piazza Degasperi, è arrivata la campagna nazionale "Io non rischio". Promossa in tutta Italia e in Trentino dalla Protezione Civile, ha fatto tappa a Borgo, come a Trento, per ricordare anche il mezzo secolo dalla disastrosa alluvione del novembre 1966. Da sempre il fiume Brenta è "croce" e "delizia" del paese. Una ventina i volontari impegnati a distribuire materiale informativo, presentare le forze in campo e i mezzi che - comune, associazioni e Protezione Civile - sono pronti a schierare per affrontare l'evento clamoroso. Davanti agli occhi attenti di diversi cittadini, i vigili del fuoco di Borgo, coordinati dal comandante David Capraro, ne hanno approfittato per simulare il posizionamento delle paratie mobili sul ponte in via Bordignon, quello che collega piazza Dante Alighieri a via Spagolla. Lo hanno fatto in un quarto d'ora, pronti, in caso di necessità, a
posizionare anche altre paratie per un tratto di circa cento metri, compreso tra i portici del Lungo Brenta Trento e quelli, più avanti, del Lungo Brenta Trieste. Una simulazione perfettamente riuscita, resa ancor più reale dalla preparazione, in diretta e in piazza De Gasperi, dei sacchetti di terra da posizionare, in caso di alluvione, sull'argine del Brenta. Operazione, quest'ultima, realizzata utilizzando moderne attrezzature e insacchettatrici, sia elettriche che manuali. Una due giorni che ha registrato una grande partecipazione, sia dei cittadini che del mondo del volontariato locale. Al primo piano del
municipio, a cura dei Servizi Bacini Montani della Provincia, sono state esposte vecchie foto riguardante tutti i lavori idraulici e di regimazione delle acque, realizzate in passato sul territorio comunale. Non solo a Borgo, ma anche nella frazione di Olle, in Val di Sella e, soprattutto, nella zona dei Boai. Una zona, quest'ultima, ad alto rischio idrogeologico e spesso soggetta a frane e smottamenti di cui ha parlato, in occasione di una riunione pubblica nella sala consiliare, anche il responsabile di zona del Servizio Bacini Montani della Provincia, Antonio Manica. (A.D.)
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L'Associazione
PESCATORI DI LEVICO Nel comune di Levico Terme esiste un’associazione che ha un’importante ruolo sociale, storico e ambientale: la Società Pescatori dilettanti di Levico Terme. È stata fondata negli anni Sessanta e oggi vanta più di 100 iscritti. Sono i soci ordinari, muniti dell’obbligatoria abilitazione, residenti nel Comune di Levico, e possono praticare la pesca sportiva nelle acque di uno dei tre laghi più sani d’Europa.
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raccontarci tutto questo è il presidente Gualtiero “Walter” Pohl, che da tre decadi ricopre questa carica. «Dal punto di vista naturale, ittico e di salubrità delle acque, il nostro lago è tra i migliori del continente», spiega fiero il presidente. La sua associazione da decenni si occupa tra le altre cose di mantenere “sano” il lago, con la cura e il monitoraggio delle specie ittiche, e con le “semine”. Perché un’associazione come quella dei pescatori di Levico non ha solo il compito di organizzare gare di
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di Elisa Corni
pesca e raccogliere le quote associative, ma anche di monitorare la ricchezza naturalistica dell’ecosistema del lago. «Prima dell’ultima legge sulla pesca in Trentino - racconta Pohl - i pescatori sportivi dilettanti di Levico avevano la possibilità di pescare anche nelle acque correnti. Significa nei fiumi, nei torrenti e negli emissari del lago. Ora ci limitiamo al lago, dove pratichiamo pesca dalle rive come dalle barche». La pesca, infatti, non è una pratica semplice. A seconda della specie di pesce che si vuole pescare, la si pratica diversamente. Per esempio, quella al Coregone, uno dei pesci Il presidente Walter Pohl con un coregone più pregiati del Lago di Levico, viene fatta in acqua, dalle barche. Altri tipi di pesca invece hanno modalità diverse. Ci sono pesci che si pescano di notte, specie che si catturano solo in determinati mesi dell’anno, altre che invece non si possono pescare. E tutto ciò, metodi, norme e regole, sono determinati dalle leggi provinciali e regolati dalle indicazioni dell’associazione. La ricchezza del lago di Levico, che può vantare nelle sue acque la presenza di quasi tutte le specie di acqua dolce del Trentino, va salvaguardata. Alborelle, pesci sole, triotti, scardole, cavedani, tinche, carpe, anguille e lucci sono solo alcuni degli abi-
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Un “pierino” accompagnato dal suo supervisore adulto mostra il coregone pescato tanti del lago, e ciascuno di loro ha abitudini, periodi di riproduzione, dimensioni diverse. «Negli ultimi anni racconta Walter Pohl - stiamo assistendo a un graduale ripopolamento naturale del persico trota, o boccalone, un pesce che era quasi scomparso. Come associazione abbiamo deciso che fino al 2018 cercheremo di ridurre al minimo la pesca di questo bel pesce, per permettergli di tornare a un numero stabile». Secondo la convenzione con il Comune che detiene i diritti di pesca nel lago, l’associazione deve occuparsi quindi del monitoraggio delle specie ittiche, e del ripopolamento attraverso le semine. «Ogni anno immettiamo nel lago circa 35.000 avannotti di trota lacustre. Tra pesci predatori, cormorani e altri uccelli ittiofagi. Se ne sopravvive qualche centinaio siamo fortunati», racconta quasi rassegnato il presidente, e prosegue: «Un paio di anni fa abbiamo seminato circa 2.000 avannotti di anguilla perché c’era stata una moria di anguille collegata alla peste rossa, una malattia tipica di questo pesce che lo spella, lasciando esposta la carne viva». Molte delle specie presenti nel lago sono però alloctone, ovvero non autoctone. Questo perché nel corso dei decenni sono state introdotte specie da altri paesi. È il caso per esempio del boccalone di cui abbiamo già parlato. Si tratta di una specie nativa delle Ame-
riche, e infatti si chiama “black bass”. «Anche il pesce sole proviene dal continente americano - racconta Walter - nei nostri laghi però soffre di nanismo, raggiungendo i 3-4 etti. Nei paesi d’origine può raggiungere i tre chili di peso». Quali son quelle originarie, viene da chiedersi. «Il nostro è un lago a vocazione cirrinide, ovvero ospiterebbe prevalentemente carpa e tinca», spiega il presidente. L’associazione ha inoltre un altro scopo: la gestione dei permessi di pesca per i turisti. «Ogni anno distribuiamo i cosiddetti “permessi d’ospite”, con i quali chi ha la licenza di pesca e non abita a Levico può pescare sul lago. Sono una buona fetta del nostro
bilancio, con il quale ci occupiamo di pulizia, controllo e semina». Quello che un po’ manca a questa importante associazione è il ricambio generazionale. «I giovani non sono molto interessati alla pesca - racconta rammaricato Pohl - alcuni vengono in compagnia dei genitori o dei nonni, ma se fino a qualche anno fa potevamo organizzare le gare per i “pierini”, i pescatori sotto i 18 anni, oggi non riusciamo più a raggiungere il numero minimo di 5 partecipanti». Per contattare la Società Pescatori dilettanti di Levico Terme, informarvi e magari partecipare: Walter Pohl, 348 3046762, info@metanservice.com
Un pescatore membro dell’associazione e il suo persico reale
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120 anni fa a Levico arrivava col treno il progresso in Valsugana
Su “La strada ferata” di Luciano De Carli
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el 1864, due anni prima della spedizione militare del Gen. Medici (1866), la città di Venezia, e altre città venete, il Comune di Trento e i Comuni della Valsugana incaricavano l'ing. Luigi Tatti di elaborare un progetto di collegamento ferroviario Venezia-Trento. Passano gli anni: si forma nel 1872 il «Comitato per il completamento delle ferrovie venete ai confini austriaci». Seguono diciannove anni di sensibilizzazione presso il governo di Vienna finché il 6 febbraio 1894 l'imperatore Francesco Giuseppe rilascia il documento in cui incaricava l'ing. Stummier di predisporre un progetto, ridimensionato per esigenze strategico militari, però solo da Trento a Tezze di Grigno, non fino a Primolano. Già fin dal 1877 la linea ferroviaria italiana era arrivata fino a Bassano. Questi gli antefatti: dall'iniziale intuizione sono passati 30 anni, ma l'11 gennaio 1894 si dà inizio ai lavori anche a Trento e in Valsugana per completare, in breve tempo, due anni, i 4 lotti dei lavori previsti. A Levico, già stazione emergente in campo turistico termale a livello europeo, oltre al collegamento ferroviario, si costruiva la stazione ferroviaria e un elegante “Kaffee”, parte in muratura, parte, il prospetto, in legno massiccio proveniente dall'Austria. Sempre quella struttura -“Kaffee-restaurant”- ha funzionato fino agli anni '80. Ora ha urgente bisogno di restauro e un utilizzo adeguato. Sempre quell'ambiente, ombreggiato da ippocastani, con giardino e roseto, ha accolto i turisti della Belle Epoque, gli stranieri, i termalisti che arrivavano con la ferrovia da ogni parte d'Europa. Era il biglietto da visita che la Levico del tempo offriva, assieme al curatissimo giardino, all'utenza turistica. Per il “centenario della ferrovia della Val-
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sugana” , il Comune ebbe un'attenta regia, assieme a vari enti, associazioni, al Comitato per l'ammodernamento della ferrovia del cav Baldi. Stazione addobbata a festa con bandiere, con pitture dell'artista Gianmaria Bertoldi, Banda cittadina schierata, folla plaudente di famiglie, scolari e studenti, compagnie d'arma, fermata della locomotiva alla stazione, accoglienza col sindaco Loredana Fontana, corteo lungo il Viale della stazione fino al parco, pranzo d'onore al Grand Hotel Imperial, ripartenza. Per l'occasione l'Ass. Chiarentana e l'Ass. Scrittori del Trentino Alto Adige, stamparono un portfolio di poesie “Fòra, fòra per la Valsugana”, con stupende illustrazioni dell'artista Pierluigi Negriolli, e il volume di cronaca-storiadocumenti e foto ”La strada ferata” a ricordo del centenario. Il socio Emilio Beber, già capostazione di Borgo Valsugana, predispose un DVD sempre sul passaggio della locomotiva per la Valsugana. Nel volume ed. 1996 ci sono scritti dei poeti Sandro Boato e Renzo Francescotti, dello storico Umberto Mattalia, dei giornalisti Elio Fox, Alberto Tafner, Enrico Bortolamedi, Tiziano Dalprà, dei valsuganotti Maria Deipradi Negriolli e Luigi Ferrai. Il «Cenacolo di Poesia, Cultura e Tradizioni» aveva invece organizzato un concorso a premi per Scuole Materne, Elementari, Medie, e Istituti, culminato con premiazione e mostra dei disegni ed elaborati vari, in molti Comuni dall'Alta e Bassa Valsugana e alla Stazione di Trento. Le poesie contenute nel volume presero impressioni e immagini della Valsugana, di Levico del passato, il pittore Dallabrida in riva al lago, la Stefi della ferata, la locandiera e le ostarie, Robert Musil con i suoi «Razzi sora al lago, La freccia volante, Gli assetati», i soldati “giara
del stradon” che vanno sul treno al fronte, la ferrovia alla Pineta di Caldonazzo per rifornire gli altopiani di merce varia e bombe per i forti, pecore e bufali ungheresi fin sul lago, i pescatori di notte, la “Dama bianca” al castello di Pergine e i vari personaggi mitici o storici che il poeta, autore dei due libri, immagina di incontrare durante il viaggio del treno lungo la valle, gli “aizimponeri” dei tre turni per costruire la “strada ferata”. 1996-2016, vent'anni: passano in fretta. La stazione nel frattempo è stata rimaneggiata dalla PAT, pochi anni fa, dopo le pressioni del Comitato e delle locali Associazioni: scambi, sottopassi, bar nuovo con ristorazione, pensiline, nuovi servizi igienici, ma... languono da anni il giardino e il vecchio “Kaffee”, che ha visto arrivare e ripartire Etzy, la principessa di Windischgraetz, le nobildonne austroungariche e gli ufficiali del Kaiser, i Maestri Toscanini, Puccini, Mascagni, Veronelli, Carnacina, Vergani, la Orsomando, il nostro primo concittadino onorario prof. Diego Valeri, e tante personalità che hanno onorato la città turistico-termale di Levico, al centro della Valsugana.
Gli animali nei condominio
L’AVVOCATO RISPONDE
di Zeno Perinelli Tizio lavora come panettiere e abita in un condominio; al piano superiore vi risiede l'anziana Caia, vedova sola, la quale gode della compagnia del barboncino Fido. Fido è un cane casalingo e affettuoso, buono ma guardingo; ad ogni rumore abbaia con forza per attirare l'attenzione dell'amata padrona. Tizio ha verificato che nel regolamento di condominio approvato dall'Assemblea anni addietro, era previsto il divieto per i proprietari di tenere animali domestici, proprio al fine del quieto vivere comune: si chiede, dunque, se siffatta previsione possa impedire a Caia di mantenere Fido nell'appartamento.
P
er rispondere a tale quesito, va subito osservato come l'attuale art. 1138 co. 5 del Codice Civile, a seguito della riforma operata dall'art. 16, l. 11 dicembre 2012, n. 220 (in vigore il 18 giugno 2013) prevede ora espressamente che “Le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”. Invero, già precedentemente la giurisprudenza aveva affrontato il tema, concludendo che una simile clausola condominiale non era da ritenersi valida, posto che incideva sulla proprietà esclu-
siva dei singolo proprietario: in altri termini – si sosteneva – l'Assemblea del Condominio non può porre limitazioni alle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle porzioni del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva e, per l'effetto, non può impedire al singolo Condomino di detenere un animale domestico (Cassazione civile, sez. II, 15/02/2011, n. 3705 secondo cui “Il divieto di tenere negli appartamenti i comuni animali domestici non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo detti regolamenti importare limitazioni delle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle porzioni del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva”). Tale orientamento giurisprudenziale è stato normativamente confermato – come anzidetto – dal nuovo art. 1138 co. 5 c.c.. Di certo, dunque, Tizio non potrà impedire a Caia di tenere Fido all'interno della sua proprietà. Nulla gli impedisce, però, di agire in giudizio per il risarcimento del danno e per impedire gli effetti molesti ai sensi
degli artt. 2043 e 844 del Codice Civile: il combinato di tale norme, infatti, permette di ottenere il risarcimento del danno qualora le immissioni (nella fattispecie gli abbai e i latrati di Fido), superino la normale tollerabilità, criterio volutamente ampio e rimesso alla discrezionalità del Giudice. Tale rimedio si aggiunge poi alle norme generalmente previste dal Codice Penale (art. 659 Codice Penale, rubricato “Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone") e ai Regolamenti Comunali che vietano, specie nelle ore notturne e diurne di riposo, rumori eccessivi e fastidiosi e la cui tutela è rimessa - rispettivamente - alla Forza Pubblica e alla Polizia Locale.
L’avvocato Zeno Perinelli esercita a Trento, nello studio in Via Grazioli.
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Tremate, Tremate... le
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streghe son tornate
ovembre ha inizio nella notte di ognissanti, quello che orami conosciamo come halloween, quando con il sopraggiungere del buio fantasmi e streghe ritornano a farci visita. Ma quella che vogliamo raccontare oggi è la storia di tante donne, che vennero ingiustamente accusate di stregoneria, a causa delle loro capacità di riconoscere le proprietà benefiche delle piante, che utilizzavano per curare se stesse e gli altri. Erroneamente ritenuta vicenda medievale, i primi processi alle streghe di cui si ha testimonianza in Trentino e in Europa, sono quelli che si svolgono in Val di Fiemme alle soglie del cinquecento. Le vicende ci sono note grazie alla trascrizione dei verbali dei processi, pubblicata tra il 1888 ed il 1890 da Augusto Panizza, i documenti originali dal 1841 sono conservati nell’Archivio della Biblioteca Civica di Trento. Le persone, soprattutto quelle che vivevano isolate, venivano ritenute streghe per il semplice fatto di utilizzare le erbe per curarsi, ma era considerata “strega” anche chi teneva con sé un gatto nero, aveva una rossa chioma o una chiazza nell’iride dell’occhio (il presunto “segno del diavolo”). Le calamità naturali sono spesso difficili da accettare, ed è proprio la terribile inondazione dell’Avisio nel luglio del 1500, che scatena tra la popolazione le prime dicerie. In Alto Adige erano già state arse sul rogo alcune donne ritenute streghe e pare lecito sospettare che dietro l’inondazione ci sia lo zampino di qualche altra fattucchiera. Gennaio 1501, Giovanni dalle Piatte di Anterivo viene arrestato con l’accusa di
essere uno stregone, guaritore e chiaroveggente; sottoposto a tortura, non confessa e mentre gli oggetti ritenuti magici vengono bruciati, lui viene allontanato dalla Valle. L’esiliato viene nuovamente arrestato nel novembre del 1504 ed in questa occasione, le sevizie lo inducono a rivelare i primi nomi delle streghe, il cui processo ha inizio già nel dicembre dello stesso anno. Le streghe vennero sottoposte a supplizio nel Grotòn, nei sotterranei del palazzo vescovile di Cavalese. A conclusione dei processi che si susseguirono e che implicarono molte donne, ma anche qualche uomo, furono pronunciate ben 28 condanne: la maggior parte di queste persone vennero bruciate sui roghi, alcune “streghe” si spensero durante la prigionia o furono scagliate nelle acque dell’Avisio, e solo poche ebbero la fortuna di riuscire ad allontanarsi dalla Valle. Ma se tra la popolazione la superstizione trovava ampio riscontro, oggi giorno
di Chiara Paoli
sappiamo bene che dietro questi processi, spesso fittizi, si nascondevano interessi di tipo economico, come sostiene Italo Giordani nel suo volume “Processi per stregoneria in Valle di Fiemme : 1501, 1504-1506”. La nota stesa da Silvester Leitner, notaio del tribunale di Fiemme, documenta la confisca dei beni alle streghe bruciate e ai fuggitivi, mentre sette degli incriminati risultarono nullatenenti. Vigilio Firmian con questa operazione riuscì a incassare 1135 fiorini, una buona rivalsa contro i cittadini di Castello di Fiemme, che si erano opposti ai nuovi dazi imposti dal signore, ottenendo il sostegno dell’Imperatore Massimiliano. Qui ogni anno ai primi di gennaio, a Cavalese prende vita una suggestiva rievocazione, che ripercorre i processi per stregoneria che interessarono la Val di Fiemme all'aprirsi del XVI secolo. La rappresentazione si basa sui verbali
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dei processi dell’epoca, mentre a fare da sfondo é il suggestivo centro storico di Cavalese, partendo dal palazzo della Magnifica Comunità per arrivare a quello che viene presentato come Banco de la Reson, luogo dove si svolgevano realmente i processi. A Coredo in Valle di Non, è tristemente nota l’“Inquisizione D’Anaunia” che, a partire dal 1611, avvia un lungo e straordinario processo di stregoneria che ha come sede Palazzo Nero, ora residenza privata; qui nella “Sala del Giudizio” è conservato un ciclo di affreschi in stile tardo gotico dedicato alla leggenda di Genoveffa di Brabante, regina di Francia, ingiustamente sospettata di infedeltà, ma infine dichiarata innocente. Così non fu per streghe e stregoni, nel 1614 sono dieci i condannati: sette donne e tre uomini, che vennero strangolati e poi messi a bruciare sui roghi davanti al “Palazzo Assessorile”. Altre diciannove persone furono condannate a pene pecuniarie o corporali, accusate di essere indemoniate, di aver causato catastrofi ed epidemie, nonché ritenute colpevoli di avvelenamento nei confronti di alcuni abitanti del paese, tra cui anche alcuni bambini. Le sventurate, accusate di svariati e orrendi crimini, dall’eresia, all’abiura della fede cattolica; passando per l’omicidio, l’infanticidio, il cannibalismo ed il veneficio (cioè ritenute avvelenatrici). Il tutto ovviamente sotto la saggia egida del “Malleus Maleficarum” (Il martello delle streghe), volume in latino pubblicato
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dai frati domenicani Jacob Sprenger e Heinrich Institor Kramer, nel 1487 allo scopo di arginare l'eresia, il paganesimo e la stregoneria in Germania. Il ‘santo’ testo prevedeva in primo luogo la ricerca del marchio del diavolo, che poteva essere una semplice voglia o un neo, che veniva interpretato come “bollo di Satana”. Dopo l’ispezione si procedeva alla tortura, venivano inflitte le più sadiche violenze, tanto che la morte rappresenta per le vittime la liberazione da tali orribili sevizie. Siamo infine nella piazza di Nogaredo, dove tutto ebbe inizio nell'anno 1646, quando Mercuria accusò Domenica Chemelli di furto e stregoneria, per cui sospettate entrambe, vennero rinchiuse nelle carceri di Castel Noarna, con loro anche Lucia, figlia di Domenica. Il processo si svolge a Palazzo Lodron e si protrae per un anno; l'avvocato difensore delle imputate, Marco Antonio Bertelli di Nomi, dimostrò che gli interrogatori e le confessioni erano state estorte sotto tortura e gli venne permesso di far sottoporre le accusate ad una perizia medica. Il dottore sostenne che le donne non portavano sul corpo alcun segno del
diavolo e sebbene l’avvocato esprimesse l’opinione che le donne sono "ignoranti, credulone e facilmente soggiogabili", esse vennero dichiarate colpevoli e condannate alla decapitazione e successivo rogo il 13 aprile del 1647, assieme ad altre quattro donne. L’esecuzione avvenne il giorno successivo, per mano del boia Ludovico Oberdorfer di Merano in località Giare, tutta la popolazione dovette prendere parte a questo lugubre spettacolo, pena una sanzione di 25 ducati a individuo. Nel processo venne citato anche un uomo, Santo Graziadei, che venne incarcerato e morì di stenti in prigione nel 1651. Se i processi più noti in Trentino sono quelli narrati, nulla toglie che in ogni paese ed in ogni vallata ci fossero persone che la popolazione riteneva essere streghe e stregoni e questo è testimoniato anche dai nomi di luogo. Molti i toponimi in Trentino che fanno riferimento alle Strie, una settantina circa, diversi anche i micro-toponimi (nomi di luoghi minori) della Valsugana, che ci ricordano la presenza delle fattucchiere: Aqua de le strie assieme ai Cròzzi de l'Aqua de le strie si trovano a Telve di Sopra, un Cròz de le strie si trova a Baselga di Piné, ma anche a Lona – Lases, in quest’ultima località testimoniato anche un Sas de le strie. Ancora un Sasso de le Strie si trova in quel di Torcegno, la Casòta de le strie (imbocco di un cunicolo militare in muratura) a Calceranica e la Casa de le stréghe c’è anche a Pergine Valsugana. Occhio quindi perché le streghe sono dappertutto…tremate, tremate, le streghe son tornate!
Una sanguinosa questione di potere
L’INQUISIZIONE C
irca mille anni fa, gli eretici iniziarono a predicare all’interno della Chiesa cattolica la necessità del ritorno ai principi di povertà e condivisione che nei secoli si erano perduti. Il Papa sentì allora l’esigenza sempre più forte di arginare e contrastare questo fenomeno che indeboliva il potere ecclesiastico e rischiava di far perdere fedeli alla comunità dei credenti. Già Innocenzo III, alla fine del 1100, aveva caldeggiato la nascita di un organo che si occupasse in modo specifico del problema. Gregorio IX, agli inizi del 1200, diede vita all’Inquisizione, un tribunale speciale ecclesiastico il cui compito era quello di limitare e punire in modo esemplare l’eresia, riportando l’ordine tra i fedeli. Il tribunale era presieduto dagli inquisitori che avevano pieno potere in materia di eresia entro aree di territorio delimitate. Il Papa scelse i Domenicani e i Francescani per ricoprire questo ruolo, disciplinandone con apposite bolle le competenze e l’autorità che si estese poi anche alla lotta alla stregoneria. I condannati dall’Inquisizione venivano affidati al tribunale civile, poiché la Chiesa non poteva condannarli a morte. I giudici dovevano giurare di trattare l’imputato con clemenza ma solamente per non
far apparire l’autorità ecclesiastica apertamente responsabile delle condanne a morte. Al contempo, la Chiesa romana caldeggiava la severità verso i colpevoli, dichiarando che, nel caso in cui il potere civile si fosse dimostrato pigro nei confronti degli eretici, gli stessi giudici avrebbero potuto essere dichiarati complici di eresia e dunque passibili delle stesse pene. Condannare un eretico era considerato un atto meritevole e chi portava la legna per il rogo otteneva l’indulgenza plenaria. Se gli accusati invece si pentivano, venivano condannati dall’inquisitore al carcere a vita, dove quasi sempre morivano di stenti. Ma prima erano costretti a denunciare i presunti complici e così la caccia si allargò a macchia d’olio, coinvolgendo sempre più innocenti, rei solamente di antipatia, di povertà di spirito o di eccessiva autonomia di pensiero. Alla metà del 1200 Innocenzo IV, con la bolla “Ad Extirpanda”, autorizzò la tortura per favorire le confessioni. Dopo la Francia dove aveva iniziato la sua attività per limitare la crescita del movimento dei valdesi, alla fine del 1400 Sisto IV introdusse l’Inquisizione anche in Spagna, su richiesta della regina Isabella I. La corona spagnola ottenne
di Sabrina Mottes
Tomas De Torquemada dal Papa la possibilità di controllare personalmente i tribunali inquisitori che divennero strumento politico di intolleranza raziale, oltre che religiosa, specialmente contro gli ebrei che vennero sterminati in grande numero. L’Inquisizione agiva attraverso il Grande Inquisitore di Spagna. Tra questi, particolarmente noto per la violenza e l’uso sistematico della tortura e della pena di morte fu il domenicano Tomas de Torquemada. In quell’epoca l’Inquisizione acquisì poteri sempre maggiori in tutta Europa. Bastava un’accusa per venire arrestati e sottoposti a processo. Nel 1542 Paolo III con la bolla “Licet ab inizio” istituì l’Inquisizione romana. In Italia il Supremo inquisitore era il Papa. Tra i processi più noti quello contro Galieo Galilei, che sosteneva le tesi di Copernico, e quello di Giordano Bruno, filosofo domenicano. Con Papa Paolo V la mitezza iniziò a farsi strada e si richiamarono sempre più i tribunali all’osservanza delle norme processuali con l’introduzione di testimonianze a discarico dei presunti colpevoli e dell’avvocato difensore per gli accusati. Con l’andare del tempo l’Inquisizione divenne una istituzione per la tutela della fede e dei costumi all’interno della Chiesa. La lunga follia si era finalmente conclusa.
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L'operato del feroce Inquisitore Heinrick Kramer
di Sabrina Mottes
ALPI, DIMORA DI STREGHE N
elle Alpi e soprattutto nelle nostre Dolomiti le condanne per stregoneria furono moltissime. Tra il 1480 e il 1520 metà dei roghi di presunte streghe in Europa furono accesi nelle Alpi. Le condanne in Italia furono circa un centinaio, delle quali ben ottantadue in Trentino! Ma perché proprio qui? Alcune condizioni favorirono, in queste zone, il fenomeno della caccia alle streghe. La povertà, anche culturale, di popoli che potevano essere facilmente suggestionati. La chiusura e la natura aspra delle vallate alpine, delimitate da alti monti dove la superstizione stagnava favorendo la paura e la diffidenza verso l’ignoto e il diverso. Il terzo motivo fu l’esposizione ad una natura ostile che con una gelata o una grandinata azzerava quasi completamente le possibilità di vita. Ad accentuare questa terza concausa, fu la piccola Era glaciale che dalla metà del 1300 e fino alla fine del 1800 portò al brusco abbassamento delle temperature in tutto l’emisfero settentrionale (Europa ed America del
Papa Pio II, che aprì i primi contatti con Kramer
nord). Le coltivazioni non riuscivano a maturare e il bestiame moriva di fame, dando luogo a carestie e malattie che decimavano le popolazioni già provate. Tra queste la peste fu la più temuta e quella che maggiormente scatenò la caccia agli “untori” e alle streghe, i presunti diffusori della peste. Proprio nella zona del Tirolo storico, cioè tra il Trentino e il Land di Innsbruck, prese l’avvio la missione del più feroce e famoso inquisitore, il domenicano Heinrick “institor” Kramer. Egli iniziò la sua attività a Trento nel 1475 nel processo per il presunto omicidio del Simonino, il piccolo trovato morto nella roggia sottostante la sinagoga e falsamente dichiarato vittima di un rito sacrificale ebreo. Nel corso della sua “carriera” di inquisitore, Kramer più volte venne allontanato dalle aree a lui affidate a causa dei suoi metodi brutali. Il vescovo di Bressanone Georg Golser, verificata la delirante follia del frate nei confronti delle possibili streghe, accolse la richiesta dell’arciduca Sigismondo d’Asburgo di nominare una commissione per verificarne le irregolarità e lo allontanò dalla sua diocesi. Le sette donne ancora incarcerate con l’accusa di stregoneria, superstiti delle 50 che Kramer aveva fatto arrestare, vennero liberate. Il frate continuò però ad avere la protezione del Papa e, insieme a Jakob Sprenger, scrisse il manuale “Malleus maleficarum” (martello contro le streghe malefiche). Diffuso in 30.000 copie (moltissime per l’epoca) e adottato dagli inquisitori di tutta Europa, era un misto vaneggiante di superstizioni e teologia
che dettava con truci descrizioni i principi fondamentali per il riconoscimento delle streghe e i metodi di tortura per estorcerne le confessioni. Oggi ci si interroga sulla evidente misoginia del frate che ha contribuito, accecato dal suo odio verso le donne e dalla sua perversione, a mandare a morte molte povere innocenti prima in Tirolo e poi in Boemia.
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Le testimonianze di chi ha avuto benefici
LA PRANOTERAPEUTA
ROSANNA CONCI
di Mario Paccher
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a signora Rosanna Conci vanta ben trentacinque anni di esperienza professionale come pranoterapeuta, esercitati in gran parte a Torino ma anche ad Aosta, Bari, Roma, Terni, all’estero. Ora si sta godendo la meritata pensione a Barco di Levico, suo paese natale, dove trascorre le giornate curando l’orto e il giardino di casa. Molti sono i quotidiani e le riviste giornalistiche nazionali ed internazionali come La Stampa, Corriere della Sera, La Domenica del Corriere, Stop, Grand'Hotel, Visto ed altri ancora, sui quali sono stati riportati articoli con la citazione dei casi da lei guariti. Ma quali malattie si posso curare con la pranoterapia, ossia con la bioenergia? Ecco quanto ci ha dichiarato la signora Conci: “Si possono curare malattie del sistema nervoso, del ritardo psicomotorio dei bambini, del sistema circolatorio, disturbi ormonali, malattie reumatiche e infiammatorie, malattie della pelle. E’ importante sottolineare, afferma ancora la nota pranoterapeuta, che “questa non è una terapia miracolistica ma la bioenergia ridà la vita e la voglia di vivere, aiuta a creare un equilibrio psicofisico del corpo umano. Inoltre offre un’ottima possibilità di recupero fisiologico e psicologico, recupero che è sempre da rapportarsi alla reazione soggettiva del paziente, nonché alla sua età e alla cronicità della malattia. E’ inoltre utile ricordare che la pranoterapia può essere utilizzata non solo come sistema di cura alternativo e integrativo della medicina ufficiale, ma anche come azione preventiva poiché aumenta e favorisce le difese immunitarie”. E Rosanna sottolinea che mai ha fatto miracoli, ma che con le sue mani ha curato migliaia di persone affette da malattie le più disparate e spesso è riuscita a portare benefici a persone che avevano ottenuto scarsi risultati dalla medicina tradizionale.
E precisa anche che le sue cure non hanno controindicazioni di sorta. Tornata a Barco nell’ormai lontano 2000, la signora Conci ha voluto, dopo tanti anni di inattività, “provare se stessa”. Ha voluto vedere se ancora possedeva le capacità di curare con l’imposizione delle sue mani. Ebbene, come lei afferma, “mi sono stati sottoposti due bambini con difficoltà di parola e sono riuscita ad ottenere sensibili miglioramenti.” E sono proprio le mamme che confermano e testimoniano tali affermazioni: La signora Luz G., madre di Paolo di 8 anni che abita a Trento: Mio figlio era affetto da dislessia verbale. Non parlava, urlava, piangeva ed aveva tanta paura. Ha fatto a marzo di quest’anno un ciclo di 10 sedute, ora capisce e parla come gli altri ragazzi, sembra un altro bambino. Anche la maestra ha detto che c’è stato un cambio totale”. Pure la signora Veronica A., mamma di Dilan di 5 anni, ci dichiara: “Lui è nato affetto da “spettro autismo”. Era un bambino molto chiuso, non parlava e quando lo chiamavi non dava ascolto, era sempre isolato dagli altri. Adesso, dopo un ciclo di sedute, parla molto e si interessa di tutto ed è totalmente cambiato. La signora Rosanna, per concludere, desidera precisare: “Non invito nessuno a venire da me, ma desidero solo dimostrare quanto è valida la vera bioenergia che è in grado di risolvere patologie senza dare fastidio alla scienza medica o sostituirsi ad essa, ma bensì di aprire una collaborazione al fine di dare piacere alla vita per i bambini bisognosi e togliere la sofferenza alle famiglie coinvolte”. Rosanna ci tiene a dire poi che nella sua famiglia c’è davvero il DNA prano, poichè sia il figlio Nello che la figlia dottoressa Claudia, hanno capacità terapeutiche e possono trasmettere la stessa energia.
La pranoterapia è una pratica di medicina alternativa che consiste nell'imposizione delle mani in corrispondenza della parte malata allo scopo di permettere il passaggio di prana (un supposto "soffio vitale") tra il corpo dell'operatore e quello del paziente. Chi pratica la pranoterapia è chiamato pranoterapeuta o pranoterapista. Essendo il prana un concetto religioso mutuato dall'Induismo, tale pratica dovrebbe essere utilizzata per il benessere spirituale, tuttavia alcuni operatori e associazioni di operatori propongono la pranoterapia come pratica terapeutica.
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CASTELLO TESINO
LA CHIESA DEI CORONINI D
ista circa un’ora e mezzo di cammino da Castello Tesino la frazione Coronini, una località montana dove esiste un gruppo di rustici casolari e dove in un tempo ormai lontano vi abitavano costantemente cinque o sei famiglie. Oggi la frazione è spopolata e solo durante il periodo estivo vi si reca qualche discendente di quei nuclei familiari o per la fienagione o per un breve periodo di riposo. Là sorge anche una graziosa cappella a forma ottagonale costruita con pietre bianche provenienti dal monte Pavana (zona in cui un tempo esisteva una cava), che fu eretta nell’anno 1876. L’aveva fatta costruire certo Domenico Piasente, figlio di Santo, nato e vissuto in quella frazione, che la volle dedicare alla Madonna del Sacro Cuor di Gesù. Così riportano le cronache dell’epoca: “Il Piasente aveva fatto voto assieme alla moglie, di consacrare 400 fiorini della propria sostanza per fabbricare in quella frazione una cappelletta che tornasse a gloria del Signore e della sua Madre Santissima, ed a vantaggio spirituale degli abitanti di quella frazione, i quali, impossibilitati per la massima parte dell'anno di recarsi alla Parrocchiale sia per la lunghezza del cammino che per le nevi che troppo spesso lo rendono impraticabile, potessero in detta cappella soddisfare privatamente ai loro doveri di pietà e di devozione. Il buon vecchietto di Piasente, dotato di quella semplicità tutta propria dei credenti montanari, nel farsi formulare il contratto cogli impresari del lavoro, non si curò nell'apporre le necessarie condizioni per mettersi al sicuro da maggiori dispendi di lavoro non calcolati, e così in fine dell'opera, con sua somma sorpresa si vide portata la spesa alla vistosissima somma di circa
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1.200 fiorini. Il povero uomo, ben vedendo che colle proprie sostanze non poteva sopperire ad un tal debito, prese ad andar mendicando in tutte le famiglie delle vicine vallate, fino a che potè raggranellare assieme, con gravi stenti e sacrifici, quel tanto che occorreva per soddisfare ad ogni spesa per la cappella. In questo modo il Piasente poté compiere ancora quell'opera che fu oggetto di lunghe e vivissime sue brame. Non gli fu però dato di vedere appieno soddisfatti i suoi desideri, perchè prima che potesse essere benedetta la cappella da celebrarvi la Santa Messa, veniva chiamato dal Signore alla beata eternità, il giorno 15 marzo 1879. Nel suo testamento, fatto ai 14 marzo del 1879, il Piasente disponeva che uno de' suoi più bei campi, quello adiacente alla chiesetta e chiamato "alla Croce", dovesse formare la dote della Cappella, annettendovi anche l'obbligo perpetuo di una Santa Messa bassa da celebrarsi annualmente, come anche quello di mantenervi il lume durante la recita del Santo Rosario. L'8 giugno dell'anno 1880, giorno della ricorrenza dei Santi Sisinio, Martirio e Alessandro, dei quali l’altare custodisce alcuni frammenti sacri, previa autorizzazione vescovile del 15 ottobre 1879, venne benedetta la cappella da don Gioachino Bazzanella e concelebrata una solenne Messa assieme ai reverendi parroci don Giovanni Caldrari di San Donato e don Francesco Zotta,
di Mario Pacher
davanti ad uno straordinario concorso di popolo venuto dalle Parrocchie di Castello e di San Donà”. L’annuale festa votiva si tenne fino a qualche anno fa per iniziativa di Giuseppe Piasente di Pieve Tesino, pronipote di Domenico. Ora però non più, perché Giuseppe, nella primavera 2012, concluse la sua vita terrena. Ci sono stati altri parenti, sia pur non tanto prossimi, che per qualche anno ne hanno curato la manutenzione e la pulizia anche dell’area circostante. Ma ora non più, e così la chiesetta è praticamente abbandonata.
Dalla Val Campelle in piazza San Pietro
L’albero di
Natale L
’albero è considerato sin dall’antichità e dalle più diverse religioni, quale simbolo di vita. E’ antichissima l’usanza di decorare quelli che venivano definiti Alberi del Paradiso con nastri, piccole decorazioni colorate e animali votivi, mentre le luci che illuminano la pianta pare corrispondessero a un ugual numero di anime. Mentre gli Alberi Cosmici sono arricchiti da simboli quale il sole e la luna, stelle e pianeti, l’abete era considerato l’albero sacro al Dio Odino, la principale divinità germanica. L’albero si contraddistingue quale simbolo di vita, emblema che scandisce le stagioni ed il ritorno della primavera, periodo in cui gli alberi ger-
mogliano per poi dare i loro frutti. Già i Celti, tra il IV ed il III secolo a.C. avevano come consuetudine quella di decorare alberi sempreverdi in occasione delle celebrazioni per il solstizio d'inverno, mentre i Romani decoravano le proprie abitazioni con rami di pino durante i Saturnalia o Calende di gennaio (fine dicembre). L'albero di Natale entra successivamente a far parte delle tradizioni cristiane, anche se la Chiesa delle origini ne aveva vietato l'uso, preferendo sostituirlo con l'agrifoglio, pianta che meglio simboleggia la passione di Cristo, dove le spine richiamano la corona, ed il rosso delle bacche evoca il sangue versato di Cristo. I culti pagani vengono considerati in età medievale quale anticipazione della religione cristiana, e l’albero viene quindi interpretato come simbolo di Cristo; la Bibbia d’altro canto contiene numerosi riferimenti all’ albero, a partire dall' Albero della vita per giungere infine all’albero della Croce. La tradizione dell'albero di Natale, è in particolar modo sentita nelle regioni nordiche, soprattutto di lingua tedesca, ma si è ormai diffusa in tutto il mondo. E’ nel 1982, sotto
L' a lbero donato al Santo Padre
il pontificato di Giovanni Paolo II che viene allestito il primo albero di Natale in piazza San Pietro, luogo fondamentale per la comunità cristiana. Tradizionalmente l’albero viene addobbato il giorno dell’Immacolata Concezione, tranne in alcune città, come Milano che vede l’albero decorato già il 7 per il patrono, Sant’Ambrogio e Bari che batte tutti sul tempo, ornandolo il 6 dicembre per San Nicola. Quest’anno in piazza San Pietro l’8 dicembre darà mostra di sé uno splendido abete donato dalla Valsugana a Papa Francesco. Il maestoso albero, proveniente dalla Val Campelle è nato e cresciuto nel cuore del Lagorai, nella spianata antistante l'Hotel Sat Lagorai. L’ultimo albero per la piazza romana proveniente dal Trentino, è stato donato nel 2007 dalla Val Rendena ed è proprio in quello stesso anno che l’amministrazione comunale di Scurelle si rende disponibile tramite la Curia Trentina, per offrire al Vaticano un albero di Natale. La risposta si è fatta attendere, ma nel maggio di quest’anno il Vaticano provvede a chiedere la disponibilità al Comune, che dopo gli accertamenti del caso, con l’aiuto della Provincia, della Protezione Civile e dell’Esercito conferma la fattibilità e la possibilità di inviare a Roma l’abete del Lagorai. L’albero verrà tagliato intorno al 20 novembre e condotto a Scurelle con l’elicottero; qui verrà imballato e caricato su un autoarticolato per il trasporto speciale, l’arrivo a Roma è previsto tra il 24 ed il 25 novembre. La cerimonia ufficiale di accensione dell'albero avrà luogo il 9 dicembre e la delegazione trentina (Comune, Provincia e Diocesi), assieme a quella di Malta, che offrirà quest'anno il presepe, saranno ricevute da Papa Francesco per un udienza generale. (C.P.)
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LEVICO TERME
Il Memorial Pietro Moriconi
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er ricordare la figura del tenente cav. Pietro Moriconi, per tanti anni comandante della locale Stazione Carabinieri e che, dopo il suo pensionamento si dedicò interamente alle associazioni di volontariato e in quelle umanitarie, due interi pullman di persone fra iscritti a diverse associazioni e semplici cittadini, hanno partecipato domenica scorsa 16 ottobre al “4^ memorial Pietro Moriconi” organizzato dalla locale Associazione del Fante, e fortemente voluto dall’ex presidente cav. Enzo Libardi. Con loro c’erano anche i figli dell’amato tenente, Osvaldo e Morena, che assieme hanno raggiunto la Basilica del Santo a Padova dove hanno assistito ad una S. Messa. Al termine del rito liturgico è stata ricordata la figura di quest’uomo tanto generoso ed umano che nella città di Levico Terme ha lasciato un segno indelebile. Moriconi aveva ricoperto anche la carica di presidente onorario della locale sezione del Fante. Alla trasferta ha partecipato anche il consigliere nazionale e presidente provinciale Giorgio Iob. Poi il folto gruppo ha raggiunto Occhiobello per un pranzo collettivo a base di pesce. Il cav. Libardi si sta ora adoperando verso l’amministrazione comunale di Levico Terme affinchè a Pietro Moriconi e anche a Camillo D’Alonzo Avancini, pittore e poeta nonchè vicepresidente dei Fanti, venga intitolata una via od altro in loro memoria. (M.P.)
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FESTA DELLA ZUCCA
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uon successo con migliaia di visitatori, ha ottenuto la nuova edizione del Festival della zucca, svoltosi ad ottobre in seconda edizione a Levico Terme, ed organizzato dal Consorzio Levico in Centro. Un appuntamento legato al “Festival del gusto” per dare maggior risalto ai prodotti autunnali. Migliaia sono stati i visitatori venuti da tutto il Trentino e anche dal Veneto che hanno osservato le più di mille zucche di varie qualità e dimensioni, esposte nei vari banconi ai lati delle principali vie del centro. Molto soddisfatto per l’ottima riuscita della manifestazione si è dichiarato il presidente del Consorzio Gianni Beretta, che già pensa alla nuova edizione nel 2017. (M.P.)
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n riconoscimento e un attestato che gratifica Renato e lo soddisfa pienamente non solo per le parole espresse dal Presidente Nazionale Marcello Annoni, ma anche e soprattutto per il grande impegno che ha saputo dimostrare nel campo della solidarietà, del volontariato, del vero altruismo e per la lodevole ed indefessa attività nei campi socio-beneficoassistenziali. Bravissimo Renato, i nostri migliori complimenti e congratulazioni.
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TESINO:
PROROGATA LA MOSTRA D
opo il successo estivo, la mostra di stampe “Imprenditori dell’immagine. Le vicende dei Tesini in Belgio” – inaugurata in luglio al Museo per Via di Pieve Tesino e inizialmente prevista solo fino al 30 settembre – resterà visitabile fino al 31 gennaio 2017. Una proroga che conferma il crescente interesse che questa particolare esperienza locale sta suscitando, non solo in bassa Valsugana. L’esposizione è frutto dalla collaborazione tra la Fondazione Trentina Alcide De Gasperi e l’Institut Royal du Patrimoine Artistique del Belgio e raccoglie i frutti del simposio internazionale “The Tesini, surprising catalysts in the development of the image in Belgium in the 19th century” organizzato lo scorso 17 marzo a Bruxelles. La mostra, curata
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dalla professoressa Elda Fietta, raccoglie oltre 40 pezzi originali, in gran parte provenienti da collezioni private belghe. Il percorso espositivo realizza un viaggio nelle Fiandre, rappresentate dagli editori tesini che in Belgio trovarono un ambiente culturale particolarmente favorevole per installare le proprie imprese, grazie anche alla presenza di una legislazione più favorevole che in altri paesi in materia di libertà d’espressione. Altrove, infatti, misure e controlli più restrittivi erano un limite importante per chi, vendendo immagini, veicolava di fatto anche le idee che esse rappresentavano in materia religiosa, politica e morale. Gli studi promossi dal simposio di Bruxelles hanno portato a identificare ben 15 editori tesini operanti in 8 diverse città belghe, attivi nella prima metà dell’Ottocento. La commissione scientifica del Museo ha deciso di prorogare la mostra anche in considerazione dell’esperienza che in questo stesso periodo un altro museo europeo ha deciso di proporre, aprendo le sue sale alla storia del commercio tesino. Si tratta del museo Singer di Laren, in Olanda, nelle cui sale fino all’8
gennaio 2017 sarà visitabile la mostra Schoonheid te koop. Kunsthandel Frans Buffa & Zonen 1790 – 1951 (Bellezza in vendita. I mercanti d’arte Frans Buffa & figli 1790-1951). Un’intera esposizione dedicata a Frans Buffa, un altro testimone di spicco della grande schiera di venditori tesini che fecero fortuna in tutta Europa tra Settecento e Ottocento. Insomma: dopo le fortunate mostre degli scorsi anni sull’esperienza dei tesini nella Russia degli zar, i recenti studi condotti sul Belgio e l’Olanda stanno contribuendo a definire i profili di una storia collettiva che sembra avere ancora molto da raccontare. E, soprattutto, di una storia che mette a confronto studiosi di diversi paesi europei, accomunati dall’esperienza di questi particolari “imprenditori dell’immagine” che furono i tesini. La mostra di Pieve Tesino sarà visitabile fino al 29 gennaio 2017, negli orari di apertura del Museo: il sabato e la domenica dalle 10 alle 13 e dalle 14.30 alle 18.00. Maggiori informazioni su www.museopervia.it (a.d.)
Grazie ai Nonni Vigili
Anche per l’anno scolastico in corso, Levico Terme può contare sui “Nonni vigili” per garantire agli scolari un servizio di accompagnamento all’inizio e al termine delle lezioni. Nel presentare il servizio, il primo cittadino Michele Sartori ha spiegato come a causa delle scarse risorse comunali non sia più possibile avvalersi del servizio per gli attraversamenti pedonali nei pressi dell’edificio scolastico, ma si sia dovuto ricorrere alle varie associazioni, trovando grande disponibilità in particolare nell’Associazione dei Pensionati. Ha ricordato anche il servizio di “Pedibus” che, grazie ancora ai pensionati, si garantisce dal lunedì al venerdì ai circa 70 ragazzi, di raggiungere la scuola e di fare ritorno in sicurezza. Noi pensionati, ha affermato il presidente Marco Francescatti, “siamo orgogliosi di poter offrire anche per quest’anno scolastico quel servizio di accompagnamento che già in passato avevamo svolto”. (m.p.)
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NOVALEDO
La Piazzetta – Tiroler Kaiserjager
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er iniziativa dell’Amministrazione comunale di Novaledo in collaborazione con il Gruppo Storico Trentino, è stata intitolata domenica 2 ottobre a Novaledo, nel corso di una solenne cerimonia, una “Piazzetta – Tiroler Kaiserjager”. All’evento, unico in tutta la provincia e fortemente voluto dall’amministrazione comunale, sindaco Diego Margon e vicesindaco Barbara Cestele in particolare, con la collaborazione del concittadino Franco Margon del Gruppo Storico Trentino, hanno partecipato diverse compagnie degli Kaiserjager e Kaiserschutzen del Trentino e del Tirolo, rappresentanti di altre associazioni combattentistiche e d’arma, alcuni amministratori comunali dei paesi vicini. Dopo la sfilata lungo la via principale capeggiata dalla camionetta dei Vigili del Fuoco e della Banda Civica di Borgo Valsugana, nella parrocchiale è stata concelebrata una Messa e deposta una corona al vicino Monumento ai Caduti. Al termine è stato raggiunto il piazzale di Casa Zen dove si è svolta la cerimonia di intitolazione e la scopertura di una targa, alla presenza anche dell’ex presidente altoatesino Luis Durnwalder, Eva Klotz, il rappresentante delle Minoranze linguistiche Gamper e il consigliere provinciale Walter Kaswalder. Il sindaco Diego Margon ha sottolineato il valore di questo gesto che è fatto per “ricordare e commemorare i nostri concittadini che militarono in quei gloriosi reggimenti dando
la vita”. La sua vice Cestele: “Il percorso fatto per arrivare a questa memorabile giornata è stato attento e minuzioso, ma crediamo sia tanto importante non dimenticare le sofferenze dei nostri soldati sul fronte della Galizia”. E sempre ad opera del vicesindaco signora Cestele, era stata allestita anche una mostra di circa 300 foto di tanti nostri soldati durante la grande guerra. Unica nota stonata, come hanno fatto notare anche alcuni cittadini venuti da fuori, l’assenza totale dei consiglieri di minoranza di fronte ad un evento di carattere storico fatto esclusivamente per ricordare i nostri soldati che non fecero più ritorno alle loro case, e che nulla aveva a che vedere con la politica.
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Presentato il libro “ LA FONTE”
È
stato presentato recentemente nella sala consiliare del comune di Levico Terme, davanti a tanto pubblico, il nuovo libro di Adelia Antoniolli Cesareo “La Fonte”. Un volume-romanzo di quasi 200 pagine che si articola, come ha descritto la bibliotecaria dott.ssa Elena Libardi, in 20 capitoli che rappresentano nuclei narrativi a sé stanti in cui si raccontano vicende e momenti di vita dei personaggi”. Il sindaco Michele Sartori ha sottolineato lo spirito creativo della signora Adelia che in questi ultimi cinque anni ha passato alle stampe ben cinque romanzi: Petali di rosa (2011), Rebecca. Viaggio nella memoria (2013), Il Tronco (2014), L’Attesa (2015) ed ora La Fonte. Così facendo, ha affermato la scrittrice e poeta Luisa Gretter Adamoli nel presentare l’opera, “si comprende l’importanza del narrare come cura contro le
amarezze e le pene della vita. Animata da questi sentimenti e dall’indomito coraggio che l’ha sempre accompagnata e sostenuta nel corso della vita, Adelia, benché colpita dal dolore per la perdita dell’amato figlio Antonello, è sempre stata sostenuta dalla fede e consolata dall’attività letteraria. Hanno accompagnato la presentazione gli allievi della Scuola musicale di Levico, Caldonazzo e Borgo Valsugana. (M.P.)
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San Martino… …non solo lanterne di Chiara Paoli
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artino di Tours, nasce a Samaria, in quella che è l’attuale Ungheria, nel 316, il padre gli diede questo nome in onore di Marte, dio della guerra. Si trasferisce in giovane età a Pavia, dove il padre veterano, ottiene un podere. Un editto imperiale del 331 obbliga i figli dei veterani ad arruolarsi nell’esercito romano. Così avvenne per Martino che viene mandato ad Amiens in Gallia con un corpo scelto di soldati, entrando a far parte della guardia imperiale. E’ qui che avviene il famoso episodio che tutti conoscono; nel gelido inverno del 335, durante una ronda Martino si imbatte in un povero seminudo. Percependo la sua sofferenza il soldato divise il suo mantello militare (clamide bianca della guardia imperiale) per offrirne una parte al mendicante. La notte successiva gli appare in sogno Gesù, che sulle spalle tiene l’altra metà del suo mantello militare, e dice agli
angeli: «Ecco qui Martino, il soldato romano che non è battezzato, egli mi ha vestito». Al suo risveglio Martino ritrova il mantello nella sua integrità. Da allora il miracoloso mantello viene conservato come reliquia, entrando a far parte della collezione di frammenti sacri dei re Merovingi dei Franchi. E’ da qui che ebbe origine il termine cappella, i cappellani sono in origine coloro che erano incaricati di custodire il mantello corto, detto in latino cappella. Martino, già catecumeno la Pasqua successiva viene battezzato, entrando a far parte della comunità cristiana. Lascia l’esercito quando ha circa quarant’anni d’età, e inizia la sua nuova missione per la lotta all’eresia ariana,
San Martino divide il suo prezioso mantello con un povero, particolare della facciata del Duomo di Lucca dedicato al santoca - Italia
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Simone Martini sanzionata dal I concilio di Nicea nel 325. Il suo impegno gli costa caro, viene frustato e allontanato dalla Francia e successivamente da Milano dove erano stati nominati vescovi ariani. Nel 357 giunge sull'Isola Gallinara ad Albenga in provincia di Savona, dove per quattro anni si dedica a vita eremitica. Rientrato a Poitiers con l’elezione di un nuovo vescovo cattolico, diviene monaco e a lui si uniscono numerosi compagni che sotto la protezione del vescovo Ilario, danno vita a Ligugé, ad uno dei primi monasteri d'occidente. Sono i cittadini di Tours che a gran voce chiedono la sua elezione a vescovo nel 371, carica che non lo distoglie dalla sua missione, che lo vede proseguire la sua vita da monaco, portando avanti la lotta all’eresia e visitando i villaggi, dimostrando compassione e misericordia verso tutti. La sua fama cresce a dismisura, sia per l’attribuzione di miracoli, come ad esempio la guarigione di una
fanciulla paralitica nella città di Amiens, il risanamento di un lebbroso o ancora il risanamento dello schiavo morso da un serpente; ma anche per le sue grandi doti di carità, giustizia e sobrietà visibili a tutti nella sua opera. Martino di Tours muore l'8 novembre del 397 a Candes-Saint-Martin, dove si era recato per riportare la pace tra i sacerdoti di quel luogo. Il santo viene celebrato l'11 novembre, data della sua sepoltura, che è divenuta una festa straordinaria in tutto l'Occidente, sostenuta dalla fama del santo e dal fatto che moltissimi cristiani portavano il nome di Martino. Molte chiese in Europa sono dedicate a san Martino. Tra queste Lucca e Belluno hanno dedicato a San Martino la propria Cattedrale, mentre il santo è patrono di diversi paesi del nostro Trentino, San Martino di Castrozza, Cimego, Noriglio e Zuclo. Ogni anno l'11 novembre i bambini delle Fiandre, delle aree cattoliche della Germania, dell'Austria, e del Trentino Alto Adige, partecipano ad una processione di lanterne, che vogliono rievocare la fiaccolata su imbarcazione che accompagnò le spoglie del santo verso Tours. Solitamente ad apertura della processione procede un uomo vestito come Martino, mentre alle sue spalle i bambini intonano canzoni dedicate al santo e sulle loro lanterne. In Italia tutti conoscono l’estate di san Martino che speriamo riporti un po’ di caldo all'inizio di novembre, numerose sono le feste popolari organizzate in quest’occasione, che è associata anche alla maturazione del vino nuovo, da cui nasce il proverbio "A San Martino ogni mosto diventa vino". Ma nelle zone agricole del nord d’Italia, questa data segnava anche l’inizio e la fine dei contratti di affitto e mezzadria, perciò in tale giornata bisognava liberare la casa del podere da cui “fare San Martino” diviene sinonimo di traslocare.
CASTELNUOVO
Amatriciana a mezzogiorno
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iù di cinquecento persone provenienti da tutta la Bassa Valsugana, hanno preso parte alla “Amatriciana a mezzogiorno” organizzata dal Comune di Castelnuovo in collaborazione con le associazioni locali, e svoltasi nella piazza lungo viale Venezia a Castelnuovo. Agli intervenuti è stato offerto un piatto di pasta all’amatriciana, un buon bicchiere e un frutto con una modesta spesa di 5 euro. Il ricavato della manifestazione è destinato totalmente alle popolazioni del Centro Italia colpite dal recente terremoto. (M.P.)
La Basilica di San Martino
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ABBIGLIAMENTO E INTIMO DA 0 A 99 ANNI
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MODA: si apre a tutti…. Da “haute couture” al pret- a porter
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a moda, intesa come foggia corrente del vestire, rappresenta un fenomeno psicologico e culturale, ma soprattutto storico ed economico-sociale della società, che mira a veicolare, da sempre, il messaggio di appartenenza ad un preciso status sociale. L’universo dell’abbigliamento vede al suo interno una rilevante complessità, che rende difficile il suo studio da una parte e che lo lega dall’altra al carattere umano. Le origini di questo fenomeno risalgono all’epoca delle antiche civiltà d’Egitto e della Mesopotamia, dove l’uomo nel periodo delle grandi glaciazioni, inizia a volersi coprire utilizzando pelli d’animale cacciato; il passaggio che portò l’uso delle pelli ai tessuti fu molto lungo, parliamo delle civiltà sumere e assiro babilonesi, i quali usarono la lana dei loro greggi per tessere abiti. L’inizio della storia da qui partita, vede poi una rapida evoluzione assieme al progresso, in particolare ci spostiamo nell’Europa barocca del Seicento con una Spagna che inizia a considerare l’abito una mera comunicazione dello stato sociale, un’Italia che la vede oltremodo come espres-
sione della personalità e una Parigi che diviene capitale d’Europa della moda, adottando entrambe le visioni. La Francia di Re Sole pone però il vero accento sull’abito. I nobili potevano essere accettati a corte se partecipi dell’evoluzione della moda nella sua totalità, caratterizzando un periodo di lusso sfrenato, dall’altra i ricchi iniziarono effettivamente a prendere le distanze dal vestire delle classi meno abbienti. Nel settecento il barocco lascia il posto al roccocò e i sarti francesi divennero i più ricercati e pagati, ma si trovarono in competizione con l’Italia, la quale tra la seta e i ricami tentò di guadagnarsi il titolo di paese dell’eleganza. L’avvento poi della rivoluzione francese porta al mondo della moda un radicale cambiamento: aggirarsi per strada con abiti di lusso voleva dire rischiare la vita, quindi si prediligevano i semplici vestiti del popolo e l’arrivo del telaio meccanico fece in modo che gli abiti divennero economicamente più accessibili anche per le classi inferiori. Dall’Ottocento però ritorna l’amore
per il lusso e il bisogno del borghese di distinguersi dal povero, è così che si ha la ricerca per i propri abiti di materiali di altissima qualità. La società non era più divisa in due classi; c’era la nobiltà, il povero e la classe intermedia del borghese che in qualche modo doveva allontanarsi dalla massa e in egual modo c’era l’alta sartoria e la manodopera femminile nell’industria tessile. Arriviamo ad oggi, consapevoli che la moda cerca di trovare un’identità che si adegui alla società del momento. Si viene a creare una situazione economica precaria in cui prende importanza la moda dal basso. Molti stilisti ora si accostano al “pret- a porter” dove le creazioni si avvicinano alle esigenze della gente comune. Ad oggi l’effetto società a fatto in modo che la moda potesse ravvicinarsi ad ogni tipo di classe; i bei tessuti e colori possono soddisfare le esigenze di ognuno con una vasta scelta di negozi e qualità e dove la moda, anche quella bella e piacevole da indossare, nel quotidiano, trova, nei grandi negozi, la sua giusta ed appropriata dimensione.
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ANGELO FASSINA... il pittore della vita di Luciano De Carli
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stato una vera emozione incontrare il pittore veneto novantunenne Angelo Fassina, arrivato a Baselga di Pinè con una nipote per incontrare, ora anziano, una artista con la quale aveva esposto proprio a Baselga un'estate di quasi 50 anni fa. Allora Fassina era già un artista maturo, lei, CHIARA Tonini,una giovane promessa della pittura. Era lì per la presentazione di un volume, documento di vita della sua giovane collega di un tempo. S'era messo in disparte per lasciare che tutta la presentazione si svolgesse secondo l'iter predisposto. Chi lo conosceva s'era però avvicinato al Maestro per ascoltare ultime indicazioni della sua lunga ed operosa esistenza. Fassina è un grande Artista del Novecento,
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da sempre insegnante d'arte alle Scuole Medie di Piombino Dese. Tre quarti di secolo di pittura, con le primissime tele attorno al 1940. Dopo le prime tele d'esordio s'impegna nel decoro di numerosi edifici di culto delle Province di Treviso e Padova.”La sua diventa esperienza artistica, ma pure religiosa che ci fa intravvedere la sequenza archetipica di san Francesco “- sottolinea sapientemente il critico Michele Bordin. Per un certo periodo i temi trattati dall'Artista sono iconograficamente religiosi: pittura contemplativa, pittura religiosa, pittura sacra messa servizio della pubblica preghiera. Una cinquantina di soggetti, nella sua ultima mostra antologica del 2015, dimo-
strano compiutamente la sua ascesa meditativa e contemplativa:Vie Crucis,dipinti come Figliol prodigo o Getsemani, le vetrate dedicate a Maria, Angelo dell'infanzia... sono la punta di diamante della sua umiltà e contemplazione, del suo occhio limpido e della sua meraviglia per il Creato: lode e preghiera non verbale! Ma l'Artista non si astrae dalla realtà e con una serie di dipinti Ritratti ed Autoritratti, tele con figure femminili, dipinti d'artigiani e contadini, di marinai, riesce a colloquiare anche con l'immanenza del reale. Lo fa in una maniera lieve, pur se presenta contrasti cromatici e sentimentali, riflessi, colore essenziale e scelte di vita, baluginare di colori che rendono ogni immagine allusiva di nuovi significati. Venticinque tele ci propongono una vissuta, coinvolgente panoramica floreale che rimandano a Bruno Saetti, suo insegnante o all'ammirazione per i colori di Kandisky, ma pure all'essenzialità dei suoi amati colleghi del passato come Giotto,van Gogh, ma anche del presente... Giorgio Morandi e la sua pittura metafisica silente,il sardo Mario Sironi che ricorderà in alcuni dipinti isolani, Arturo Martini con le sue plastiche sculture. Il Maestro Angelo Fassina composto,riservato, ha seguito con attenzione tutta la presentazione, i canti del coro,atteso paziente che l'artista CHIARA lo omaggiasse di un caldo abbraccio e di alcune parole di stima,riconoscenza ed ammirazione e che gli regalasse ,come omaggio alla sua umanità semplice e cordiale, una canzone del Coro “Costalta”, come “Rifugio bianco”.
Incontro pubblico in Tesino
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al taglio delle guardie mediche
ontinua il percorso dei consiglieri provinciali Claudio Cia, Maurizio Fugatti e Manuela Bottamedi tra i territori colpiti dai tagli alle guardie mediche. Presenti alla conferenza stampa diversi cittadini, l’ex senatore leghista Erminio Boso, Roberto Pacher - referente territoriale della Lega Nord -, Martina Loss - Lega Nord e componente della Consulta per la riforma dello Statuto e Marco Gonzo, di “Agire per il Trentino”. Maurizio Fugatti (Lega Nord) ha evidenziato come non sia la prima volta che il governo provinciale va a tagliare proprio in Tesino, ricordando alcuni temi molto sentiti dalla popolazione come la chiusura del centro diurno, le vicende riconducibili alla variante, i tagli all’ospedale di Borgo che si riflettono direttamente su questo territorio e ora i tagli alla guardia medica. «Tutte scelte – ha sottolineato – che i cittadini si vedono calare dall’alto dalla Giunta provinciale senza possibilità di un confronto».
Roberto Pacher ha confermato come questi continui tagli stiano minando la sopravvivenza della comunità, trasformandola da zona turistica a periferia depressa. Duro attacco, il suo, contro chi dovrebbe rappresentare la comunità del Tesino in Consiglio provinciale e poi invece dichiara alla stampa che quella della guardia medica non è una priorità per il territorio. Manuela Bottamedi ha ribadito come questi incontri sul territorio siano fondamentali per ascoltare le testimonianze della popolazione e confrontarsi con chi opera quotidianamente all’interno dei servizi sanitari. «I cittadini del Tesimo, ha concluso, pagano le tasse come tutti gli altri abitanti della Provincia, ma con i nuovi tagli alle guardie mediche in caso di bisogno dovranno rivolgersi al pronto soccorso, pagando i rispettivi ticket, ritrovandosi doppiamente penalizzati». Claudio Cia (Agire) ricorda
come dai primi giorni di novembre la guardia medica sarà soppressa e gli abitanti del Tesino dovranno andare a Borgo Valsugana, dove già non è presente l’anestesista h24, non il radiologo o il laboratorio di analisi, evidenziando come poi ci si stracci le vesti per i dati negativi riconducibili alla mobilità sanitaria. Cia ha stigmatizzato come alcuni politici siano presenti sul territorio solo in prossimità delle elezioni, per poi dimenticarsene subito dopo essere stati eletti.
Cambiano le regole europee
LATTE, FORMAGGI E YOGURT AVRANNO LA LORO ETICHETTA IDENTIFICATIVA E finalmente dall'Europa una buona notizia. Ameno speriamo che le cose non cambino per effetto di qualche inspiegabile ricorso da parte di quache Stato membro dell'Unione. Finelmente gli italiani sapranno cosa mangiano e cosa contengono alcuni tra i più importanti alimenti che quotidianamente si mettono in tavola, specialmente per quanto riguarda i bambini. L'Italia aveva inviato alla competente commissione europea un decreto relativo alla etichettatture di alcuni elementi da applicare su alcuni generi alimentai. In base al principio del “silenzio- assenso” la richiesta dell'Italia è diventata esecutiva. Quindi dal 1° gennaio 2017 tutti noi conosceremo, con rife-
rimento al latte fresco, allo Yogurt, burro, formaggi freschi, formaggi Dop e Igp, latte Uht queste nuove indicazioni e non sarò più sufficiente la dicitura “Made in Italy” come in passato. 1) Paese di mungitura ovvero nella nazione dove è stato munto il latte; 2) paese di condizionamento ovvero il nome della nazione nella quale il latte è stato condizionato; 3) paese di trasformazione ovvero la nazione nella quale il latte è stato trasformato.
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Un uomo e un Presidente nel ricordo di tutti
Silvio Giuseppe Peruzzi I
n ogni comunità, sia essa grande o piccola, ci sono o ci sono stati uomini che per il loro comportamento, il loro impegno, ma soprattutto per la loro personalità, lasciano un deciso segno. Imprimono nella mente dei concittadini un ricordo indelebile destinato a rimanere nel tempo più vivo che mai. Silvio Giuseppe Peruzzi è uno di questi. Un personaggio che con il suo vivere e il suo fare ha etichettato e caratterizzato la quotidianità di Levico Terme, dove è stato uno dei primi artigiani nel settore della termoidraulica. Una professionalità, la sua, che nel tempo gli ha permesso di diventare nel 1963, dopo il naturale tirocinio “sotto padrone”, titolare della ditta Peruzzi con l'iniziale sede operativa in Via Cesare Battisti, sempre a Levico Terme. Competenza e conoscenza del proprio
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mestiere gli hanno permesso di trasferirsi, nel 1993, in una nuova e più funzionale struttura per meglio soddisfare le domande e richiesta della crescente clientela, sempre più soddisfatta dal lavoro del “nostro”. E al “nostro” si affiancano i figli, Silvia, Paolo, e Sergio, per formare un poker decisamente funzionante che bene s’integra e completa la loro operatività commerciale e artigianale. E ancora, crescita e sviluppo la famiglia Peruzzi concretizza inaugurando, nel 2005, l'attuale sede in Via dei Morari, la quale, forte dei suoi 500 metri e oltre di planimetria utile e operativa, si può considerare senza tema di smentita una delle più complete della nostra zona. La vita e la quotidianità di Silvio Peruzzi però, non sono state caratterizzate solo dal lavoro che tante soddisfazioni e riconoscimenti gli ha sicuramente dato.
La sua correttezza, la sua preparazione sociale e la sua onestà intellettuale sono state da tutti riconosciuti, tant’è che la comunità di Levico Terme l’ha chiamato a occupare ruoli e cariche di vero e assoluto prestigio: Assessore alla Sport, Presidente del Calcio Levico, degli Artigiani e “Number One” dell’Associazione Cacciatori. Purtroppo un destino crudele l’ha portato via dall'affetto dei suoi cari e da coloro i quali, per lui, nutrivano un grande e sincero sentimento di stima e di amicizia. E sono “loro”, i suoi cacciatori, che ogni anno dedicandogli il “Memorial Silvio Giuseppe Peruzzi”, giunto quest’anno alla 12esima edizione, lo vogliono ricordare alla comunità, agli appassionati della caccia, e chi non ha avuto la “fortuna” e il piacere di conoscerlo e di vivere accanto a lui. La storia di questo Memorial, voluto dal
fratello Luigi e dal nuovo Presidente Rino Spada, grade amico dello scomparso, inizia nel 2004 e da allora, da quel lontano primo compleanno, è stato un continuo crescendo in grado d’attirare interesse, attenzione, e sempre maggiore partecipazione, anche d’intere famiglie. Il tutto mirato a trascorrere una giornata all’insegna della spensieratezza e dell’amicizia. Una giornata dove i giovani e gli adulti hanno concretizzato il più alto significato del vivere insieme, gustando anche le specialità preparate da esperti cuochi. Nel corso della piacevole manifestazione, tenutasi in Vezzena, in quella zona tanto amata da Silvio, e presso la baita che lui aveva sempre cercato di costruire, ma realizzata dal nuovo direttivo, è stata organizzata una gara di tiro con fucile ad aria compressa libera da vincoli, l’assegnazione del trofeo in palio offerto dalla famiglia Peruzzi con premiazione alle tre categorie. Un simpatico particolare degno di nota: tra i partecipanti ci sono stati anche i nipotini di Silvio che si sono dati battaglia per primeggiare e aggiudi-
carsi un premio, da conservare nel cassetto dei ricordi più belli legati al nonno. Il trofeo Memorial Peruzzi è stata vinto da Patrik Vettorazzi che nella Cat. Giovani ha preceduto Davide Peruzzi e Maino Andriolo. Negli Adulti, 1° Peruzzi Giacomo, 2° Giorgio Tomasi e 3° Michele Valcanover. Infine, tra le donne, prima classificata è stata Ornella Guerriero, seguita da Renata Tosin e Marcella Danesi Peruzzi. In chiusura un doveroso ringraziamento, anche a nome della famiglia Peruzzi, rivolto a chi si è impegnato e prodigato per l’ottima riuscita di questa manifestazione, come di tutte le precedenti. (A.M.)
BOSENTINO
La festa dei pensionati
È
stato festeggiato alla grande recentemente a Bosentino, il 25^ anno di fondazione del locale Gruppo Pensionati e Anziani. La gioiosa giornata è iniziata con la partecipazione dei soci e di tanta popolazione ad una solenne S. Messa nella parrocchiale, celebrata da don Giorgio Gabos e solennizzata dai canti del Coro Madonna
del Feles diretto dal maestro Ivo Baruchelli. Nel corso della celebrazione sono stati ricordati in particolare o soci che in questo quarto di secolo hanno concluso la loro vita terrena e, al termine, il Corpo bandistico di Vigolo Vattaro diretto da Giovanni Costa, ha tenuto, sul sagrato della chiesa, un concerto musicale. Parole di lode per l’attività che svolge questo importante piccolo ente locale in favore di tante persone non più giovani della comunità, sono venute dal vicesindaco Armando Tamanini e dall’assessore Michela Bonvecchio, che hanno poi consegnato alla presidente Rosana Andreatta a nome dell’amministrazione comunale, una targa di riconoscenza. Presente anche l’assessore della Comunità di Valle Alta Valsugana e Bernstol Alberto Frisanco, nonché diverse rappresentanze dei Circoli Pensionati di Vigolo Vattaro, Vattaro, Calceranica, Caldonazzo e Centa San Nicolò, con i quali da anni ormai esistono rapporti di amicizia e di collaborazione. Poi presso il ristorante Begher, la settantina di soci intervenuti dei circa 90 iscritti, ha partecipato ad un pranzo collettivo e al taglio della grande torta di compleanno. (m.p.)
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nuove forme di separazione e divorzio Le
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recenti interventi normativi hanno permesso di accelerare e semplificare le procedure di separazione e divorzio. Le prime misure risalgono al 2014 e prevedono due distinti procedimenti rispetto a quello (che già tutti conosciamo) in tribunale: la negoziazione assistita da avvocati e il procedimento davanti al sindaco. Entrambe le procedure valgono quando la separazione e il divorzio sono consensuali. La coppia che vorrà consensualmente separarsi o divorziare non dovrà quindi più necessariamente rivolgersi al tribunale, presentando ricorso congiunto per ottenere l’omologa della separazione, la sentenza che pronuncia lo scioglimento del matrimonio o la cessazione dei suoi effetti civili ma potrà scegliere una delle due nuove opzioni, che riducono notevolmente i tempi della procedura. Il fine della norma è di stimolare le parti al raggiungimento di una soluzione di separazione, cessazione degli effetti civili o scioglimento del matrimonio e modifica delle condizioni di separazione o divorzio, senza adire l’autorità giudiziaria, affidando da una parte il ruolo di negoziatore all’avvocato, dall’altra, in pre-
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senza di situazioni che non riguardino soggetti deboli da tutelare (come ad esempio figli minori), coinvolgendo l’ufficio comunale. Il valore di questi procedimenti è parificato a quello dei provvedimenti giudiziali. In particolare, la negoziazione assistita consente ai coniugi che hanno concordato integralmente le condizioni di separazione o di divorzio, di sottoscrivere un accordo che verrà autenticato da un avvocato e da questi depositato presso la competente procura della repubblica, al fine di ottenere il nullaosta o l’autorizzazione del PM. Successivamente l’accordo autorizzato verrà trasmesso dal legale, entro 10 giorni, all’ufficiale dello stato civile del comune di celebrazione delle nozze, il quale curerà l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio. Nella redazione dell’accordo sono rilevanti i compiti e le funzioni attribuite all’avvocato, il cui ruolo consiste nel tutelare i diritti dei coniugi anche al di fuori di un procedimento giurisdizionale, fa-
di Daniele Spena
vorire la conciliazione tra i coniugi e, in caso di figli minori, ricordare alle parti l’importanza che i figli trascorrano tempi adeguati con entrambi i genitori. In alternativa i coniugi possono concludere l’accordo di separazione, divorzio o modifica delle condizioni dei provvedimenti precedenti anche davanti al sindaco o del comune di residenza di uno di loro o di quello presso cui è stato celebrato il matrimonio. Il tutto personalmente o con l’assistenza facoltativa dell’avvocato. Il sindaco, una volta ricevuto l’accordo e non prima di 30 giorni dalla ricezione, invita i coniugi a comparire davanti a lui per la conferma definitiva. La procedura ha due vincoli: non può essere applicata se vi sono
figli minori, portatori di handicap grave o economicamente non sufficienti; non può inoltre contenere atti con cui si dispone il trasferimento di diritti patrimoniali (l’accordo può contenere la previsione di un assegno periodico). Detta normativa si affianca a quella sul c.d. “divorzio breve”, che ha ridotto i tempi che devono intercorrere fra separazione e divorzio: sei mesi nel caso di separazione consensuale, un anno in caso di separazione giudiziale. In caso di separazione consensuale, con negoziazione assistita il termine decorre dal giorno in cui viene depositato l’accordo o nel giorno in cui sia stato firmato davanti all’ufficiale di stato civile. Invece, in caso di separazione consensuale o giudiziale davanti al giudice, il termine decorre dal momento in cui i coniugi si siano presentati davanti al presidente del tribunale o al suo delegato. Un’altra novità riguarda lo scioglimento della comunione dei beni tra i coniugi che scatta nel momento in cui v’è l’autorizzazione del presidente del tribunale; in precedenza, invece, per la fine del regime di comu-
nione bisognava attendere la sentenza ufficiale di separazione o il cosiddetto provvedimento di omologa. L’applicazione dei nuovi termini per la domanda di divorzio e lo scioglimento della comunione legale vale anche per i procedimenti in corso. La riduzione dei tempi necessari per lo scioglimento del matrimonio probabilmente porrà fine al fenomeno del turismo “divorzile”, cioè al fatto che alcune coppie italiane particolarmente impazienti di separarsi ricorrevano a giudici di altri paesi europei, nei quali i tempi per il divorzio sono molto più brevi. Questo perché un regolamento europeo permette ai coniugi di ricorrere ad un tribunale di un altro paese comunitario per divorziare, essendo sufficiente avere la residenza in quel paese. In sostanza, dopo quarantacinque anni, tutto cambia in materia di separazione e divorzio. Tutti ricordano che il divorzio è un argomento che ha storicamente diviso il nostro Paese: introdotto nel
1970, è stato oggetto di referendum dopo soli quattro anni. Al termine della consultazione popolare, circa il 60% dei votanti confermò la legge. Come molte altre questioni che riguardano la famiglia, la separazione e il divorzio rimangono argomenti sensibili, che dividono non soltanto le persone ma anche le relative concezioni etiche e politiche.
Daniele Spena è Avvocato Civilista con studio a Pergine Valsugana
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MEDICINA & SALUTE Rivoluzione nei Centri BSC con l'arrivo di una apparecchiatura di ultimissima generazione
ONDE D’URTO… …una terapia importante, efficace, ma soprattutto indolore
trento - rovereto - cles
L
a terapia di onde d’urto, per alcune patologie, è attualmente quanto di meglio si possa trovare. Esistono, però, alcune differenze importanti tra le apparecchiature in commercio, e un paziente non sempre riceve la corretta terapia. Per questo motivo, nel presente articolo, cercheremo di fornire le informazioni utili e necessarie per meglio conoscere le onde d’urto ed il loro più appropriato utilizzo. Le onde d’urto sono onde acustiche ad altissima energia e rispetto agli ultrasuoni sono molto più potenti quindi più efficaci. A seconda della tipologia delle apparecchiature usate , si differenziano in: *RADIALI: raggiungono una profondità nei tessuti ridotta e quindi non hanno buona efficacia quando è richiesta un’azione profonda, anche se vengono usate comunque proprio per il basso costo. Sono necessarie molte più sedute rispetto alle onde focali e per alcune patologie sono completamente inutili.
*FOCALI :sono più potenti, raggiungono profondità più importanti, e sono le uniche che agiscono su alcuni problemi in modo risolutivo. La loro azione, efficacia e potenza permette di ottenere ottimi risultati in poche sedute(3/5). L’uso delle onde d’urto, essendo una metodica non invasiva, è in molti casi, una validissima terapia per la cura di molte patologie, anche e specialmente in fase acuta, grazie alle loro proprietà benefiche di tipo antinfiammatorio, antidolorifico ed “anti-edema” (cioè per contrastare il “gonfiore”), nonché per stimolare la riparazione tissutale. Ulti-
mamente si sono mostrate efficaci anche nell’ambito della rigenerazione cutanea, accelerando il processo di guarigione di piaghe, ulcere e ferite “difficili” di varia origine, anche posttraumatica. La terapia consiste in una raffica di colpi a potenza medio/elevata per la durata di circa 10/15 minuti e anche se questi colpi possono in certi casi essere dolorosi, nei Centri BSC viene usata una apparecchiatura che, è in grado di somministrare elevata energia senza dolore. E’ importante sapere che le onde d’urto non si usano: su encefalo, midollo spinale, gonadi o se nella zona da trattare vi sono patologie tumorali e tromboflebiti; in gravidanza e sugli organi cavi (es. polmone ed intestino); sulla spalla sinistra se il paziente è portatore di pacemaker. Come si svolge la terapia Le sedute hanno la durata di circa 10/15 minuti. Vengono effettuate 3
TRATTAMENTO DI TUTTI I DOLORI E DELLE DISFUNZIONI DI ORIGINE MECCANICA
Medicina e Omeopatia - Intolleranze alimentari con test leucocitotossico - Osteopatia strutturale, viscerale e cranio-sacrale Osteopatia pediatrica e per donne in gravidanza (con veri Osteopati laureati) - Fisioterapia (onde d'urto, laser super pulsanti, tecar terapia) - Palestra riabilitativa e ginnastica correttiva, antalgica, posturale, dolce per anziani) - Hatha Yoga Podologia, cura del piede e plantari - Esami posturali - Massaggi (anche sportivi) - Logopedia - Psicologia e Psicoterapia.
CLES - Via Tiberio Claudio, 5 - Tel: 0463 625174 - TRENTO - Via dei Mille, 61 - Tel: 0461 392491 - ROVERETO - P.zza A. Leoni, 22 - Tel: 0461 392491 (recapito sede di Trento)
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Le onde d’urto sedute, una ogni settimana. Dopo la terza seduta si aspettano circa 20 giorni al termine dei quali si fissa un colloquio per analizzare il risultato. Come tutti i trattamenti di tipo “biologico”, che lavorano su una risposta da parte dei tessuti, il risultato non è immediato, ma si manifesta nel corso delle settimane. Per tutto ciò spiegato, per correttezza verso il paziente e per effettuare una terapia efficace, presso i Centri BSC prima di intraprendere una terapia di onde d’urto, è necessario un colloquio gratuito. Nei Centri BSC vengono utilizzate sia onde radiali sia onde focali a seconda del problema da trattare. (p.r.) Patologie per le quali le onde d’urto sono indicate ed efficaci
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Neuroma di Morton epicondiliti/epitrocleiti dito a scatto dupuytren rizoartrosi calcificazioni tendiniti tendinosi dolore al coccige borsiti sperone calcaneare fascite plantare disfunzione erettile ulcere anche nel paziente diabetico sindrome degli adduttori meniscopatie tendinite/borsite della zampa d’oca tendinite d’Achille esiti cicatriziali di strappi muscolari
Le onde d’urto sono onde acustiche che accompagnano la nostra vita quotidiana senza essere notate. Il rumore provocato dai tuoni o la deflagrazione causata da un’esplosione sono esempi in cui le onde d’urto giocano un ruolo importante. Grazie alle onde d’urto, l’energia può essere trasmessa a lunghe distanze. Un aeroplano, che infrange la barriera del suono, genera un rumore molto forte, che può arrivare a far tintinnare i bicchieri di una credenza. L’onda d’urto ha quindi trasmesso energia dall’aeroplano sino ai bicchieri. La terapia con onde d'urto o ESWT (Extracorporeal ShockWave Therapy) sfrutta il fenomeno della cavitazione provocato da onde acustiche impercettibili ad elevata intensità per curare patologie litiasiche delle vie urinarie, patologie ortopediche e neurologiche. Le onde d'urto producono microtraumi in grado di accelerare i processi biologici di riparazione dei tessuti: si attivano le forze di auto-guarigione, il metabolismo migliora, l'irrorazione sanguigna aumenta e il tessuto danneggiato si rigenera e guarisce. Da un punto di vista fisico sono definite come onde acustiche ad alta energia. Sono, impulsi pressori con tempi brevissimi di salita del fronte (10 miliardesimi di secondo) e di durata (dell’ordine di 2 - 5 milionesimi di secondo) che generano una forza meccanica diretta con l'obiettivo principale di trasferire energia sui tessuti corporei, per stimolarne i processi riparativi. Le onde d'urto sono state impiegate in campo medico a partire dal 1980 nel trattamento delle patologie litiasiche delle vie urinarie (disgregazione dei calcoli renali) con l'idea fondamentale di poter distruggere con precisione le strutture bersaglio presenti all'interno dell'organismo, senza danneggiare i tessuti circostanti. Questo fatto rappresenta un enorme progresso rispetto all'intervento chirurgico, rimasto a lungo l'unica opzione terapeutica nelle calcolosi resistenti alle cure mediche tradizionali. Verso la metà degli anni 80 nuovi studi hanno aperto ulteriori orizzonti sulle effettive potenzialità terapeutiche delle onde d'urto, in particolare in campo ortopedico sia per la cura dei tessuti molli che dei tessuti ossei. Sempre maggiore negli ultimi anni la ricerca in campo dermatologico dove le onde d'urto sembrano avere una grande efficacia terapeutica in molte patologie quali ferite croniche, ustioni, ulcere diabetiche. (Tratto da Wipedia)
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Il CastellodiPergine Nelle antiche fortificazioni medioevali «si riconosce la capacità di attirare su di sé l'interesse di tutti: quello dello studioso, che con attenzione scientifica cerca di leggere l'architettura passata attraverso l'analisi delle murature e degli intonaci; come quello del bambino, che va oltre a ciò che vede, facendo correre l'immaginazione tra leggende e saloni affrescati».
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urante le notti di luna leggende del Trentino- e legate alla piena una figura miste- storia del castello di Pergine. Una storia riosa si aggira per stanze che inizia attorno all'Anno Mille, ma del castello. E' uno spi- forse anche prima quando, in età retica, rito malinconico. E' il poi romana e successivamente in età fantasma, conosciuto come la Dama longobarda, la sommità del colle Tegazzo Bianca, di una giovane donna, (forse la costituiva un importante punto di osmoglie suicida di uno degli antichi pro- servazione e di difesa. prietari del castello?) apparso per la Dalla sommità del colle Tegazzo, il caprima volta a seguito di una delle molte stello di Pergine, con i sui elementi sedute spiritiche che ebbero luogo, nel- gotici, domina la Valsugana. Questo l'immediato dopo guerra, nelle sale di antico guardiano è composto dal Caquesto vecchio maniero. Questa non è stello Superiore ( Mastio o Torre Grande) l'unica leggenda legata al castello. Si e da un secondo edificio; il Castello Innarra, infatti, dell'esistenza in passato feriore detto anche Palazzo Baronale di una Torre delle Torture, di una Prigione con torrione angolare risalente al XVI della goccia e della Torre dei Coltelli: secolo. Due cinte murarie, rinforzate luoghi che racchiudono un passato di con torri e bastioni, difendono l'intero dolore e di sofferenza. complesso. Vi si accede attraversando Si racconta, poi, di misteriose caccie la Torre di Guardia. Seguendo la cinta notturne e delle anime dannate degli muraria si arriva alla Torre delle Torture antichi castellani che ancora oggi per- (o Torre Rotonda). Da questa posizione, seguitano i loro sudditi. Sono storie fra la Torre Rotonda e la Torre di Guardia, che fanno parte del patrimonio culturale è possibile ammirare Pergine, Civezzano, orale della Valsugana -messe nero su le Dolomiti di Brenta, i monti del Pinebianco da Mauro Neri nei libri Mille tano e la Valle dei Mocheni.
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di Andrea Casna
Dal medioevo all'età moderna. Le informazioni precedenti all'Anno Mille sono scarse. Un documento dell'845 cita un certo Avardus de Pergines chiamato, assieme ad altre personalità, ad assistere ad un processo che vede coinvolti alcuni contadini della Vallagarina -impegnati a lottare per difendere la propria libertà- e il monastero di Santa Maria in Organo (Verona), proprietario in quella zona di alcune terre. Al termine della seduta si decide che i contadini chiamati in giudizio, che vivono e lavorano sulle terre di proprietà del monastero, devono prestare le opere richieste, non per la loro condizione personale, ma per quella delle terre che lavoravano. E' un documento importante capace di delineare una parte del contesto storico e sociale di quel periodo. Un periodo in cui Trento inizia ad avere un ruolo cruciale come capoluogo di un comitato al confine fra il Regno d'Italia e il Regno di Germania. Questa importanza cresce nel corso dei secoli arrivando a concretizzarsi nel
1027 quando il Vescovo di Trento Udalrico II ottiene dall'Imperatore Corrado II il Salico i comitati di Trento, Bolzano e Venosta. E il perginese, con il suo castello, ha proprio il compito di controllare l'antica Via Claudia Augusta che collegava il Veneto con Trento. Le prime notizie si hanno nel 1147 quando Riprandus de Perzino potenzia il castello con edifici e palazzi comitali. Fra il XIII e il XIV secolo è conteso fra i vescovi di Trento, Conti del Tirolo e i signori di Padova. Dalla seconda metà del XIV secolo è nelle mani dei duchi d'Austria per poi ritornare sotto il controllo, nel 1531, del Principe Vescovo di Trento. Sede delle autorità competenti, il castello è sempre stato punto di riferimento per la comunità di Pergine. All'alba del Novecento il castello cambia destinazione. Nel 1905 la Curia Vescovile di Trento vende l'intero complesso all'avvocato Ferdinand Putz di Monaco che lo trasforma in albergo e in un centro pangermanista per la diffusione di una idea di Trentino tedesco. Dopo aver svolto la funzione, durante la Grande Guerra, di luogo di riposo
per gli ufficiali dell'esercito austro-ungarico, nel corso degli anni '20 del Novecento l'antico guardiano di pietra apre le porte all'americana e studiosa di occultismo Annie Halderman e al filosofo indiano Jiddu Krishnamurti (18951986) che, proclamato “Maestro del Mondo” dall'Associazione Teosofica, farà del castello un centro per diffondere
i propri insegnamenti. Ora, comprato nel1956 da Mario Oss, svizzero e originario di Pergine Valsugana. questo antico testimone della nostra storia è albergo e ristorante. Ospita mostre di arte contemporanea e il primo e il secondo piano del palazzo sono accessibili al pubblico.
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MEDICINA&SALUTE La sindrome del burnout
Quando il lavoro diventa stress
di Laura Fratini
Stanchezza, senso di scarsa realizzazione personale e cinico disinteresse per il proprio lavoro correlati a lunghi periodi di stress. Sono i sintomi di quello che viene chiamato "burnout", in italiano "bruciato" o più semplicemente "scoppiato", un malessere di cui si sempre più parlare.
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ella lettera psicologica è una sindrome ben definita, che descrive in parte le sensazioni vissute da chi sperimenta questo stato e sintomi che comporta. Tra le forme di stress che possono derivare dal lavoro, questa rientra in una peculiare tipologia, una vera e propria forma di esaurimento o logorio derivante dalla natura di alcune mansioni professionali. Da uno studio effettuato nel 1970, H. Freudenberger e da C. Maslach, portarono avanti le prime osservazioni su fenomeno del burnout, all’interno di un reparto di
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igiene mentale. Avevano notato come alcuni operatori sviluppassero dei sintomi tipici di questo problema. In seguito a questo studio, si evidenziò che il burnout colpisce in misura prevalente coloro che svolgono le cosiddette professioni d’aiuto o “helping professions” ma anche coloro che pur, avendo obiettivi lavorativi diversi dall’assistenza, entrano continuamente in contatto con persone che vivono stati di disagio o sofferenza. A partire dai primi anni in cui il fenomeno è stato studiato, esso è stato riscontrato anche in tutte quei mestieri legati alla gestione quotidiana dei problemi delle persone in difficoltà, a partire dai poliziotti, carabinieri, vigili del fuoco, fino ai consulenti fiscali, avvocati, nonché in quelle tipologie di professioni educative (es. insegnanti) che generano un contatto, spesso con un coinvolgimento emotivo profondo. -Il primo tipo di burnout –
a cui giunge chi lavora freneticamente per il successo fino all’esaurimento – è quello di chi affronta lo stress lamentandosi della gerarchia organizzativa sul lavoro, con la sensazione che questa rappresenti un limite ai propri obiettivi e alle proprie ambizioni . Questa strategia porta ad un sovraccarico di stress e alla fine a gettare la spugna. -Il secondo tipo di burnout nasce dalla noia e dalla mancanza di sviluppo personale ed è più strettamente associato a una strategia di evitamento emotivo. Questi lavoratori poco esigenti tendono a gestire lo stress prendendo sempre più le distanze dal lavoro fino ad approdare a un senso di spersonalizzazione e di cinismo. -L’ultimo tipo di Burnout –quello esausto – sembra derivare da una strategia basata sulla rinuncia a fronte di molto stress: anche se queste persone desiderano raggiungere un certo obiettivo, non riescono a trovare la motivazione necessaria a superare gli ostacoli per raggiungerlo. Al di là delle definizioni cliniche, vi sono dei sintomi che possiamo ben indivi-
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soffre non trova sollievo nell'ambiente familiare. Per risolvere il problema, tuttavia, è necessario focalizzarsi sia sull’individuo e la sua problematica sia sul luogo di lavoro e tutto ciò che ne comporta. Ad oggi, la prevenzione rimane lo strumento migliore contro il burnout: per fare questo bisogna accrescere l’entusiasmo ed il coinvolgimento sul posto di lavoro, favorendo anche un’aggregazione positiva fra colleghi. Ecco, a livello pratico, alcuni suggerimenti: combattere la monotonia della routine quotidiana, porsi sempre degli obiettivi realistici e raggiungibili. Importante è separare il più possibile vita lavorativa e vita privata, riorganizzare il lavoro con equità e buon senso, rafforzare relazioni positive con i colleghi e in alcuni casi, avere una possibilità di crescita a livello professionale.
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duare: il burnout comporta esaurimento emotivo, depersonalizzazione, un atteggiamento spesso improntato al cinismo e un sentimento di ridotta realizzazione personale. Il soggetto tende a sfuggire l'ambiente lavorativo assentandosi sempre più spesso e lavorando con entusiasmo ed interesse sempre minori, a provare frustrazione e insoddisfazione, nonché una ridotta empatia nei confronti delle persone delle quali
dovrebbe occuparsi. Il burnout si accompagna spesso ad un deterioramento del benessere fisico, a sintomi psicosomatici come insonnia, depressione e bassa stima di sé, nervosismo e rabbia, apatia e indifferenza, ostilità verso il prossimo, stanchezza e frequenti mal di testa ma anche problemi gastrointestinali. I disagi si avvertono dapprima nel campo professionale, ma poi vengono con facilità trasportati sul piano personale e il soggetto può ricorrere ad abuso di alcol, di sostanze psicoattive ed il rischio di suicidio può essere estremamente elevato. Questo disturbo è difficile da riconoscere e diagnosticare, spesso passa del tutto inosservato. L’aiuto più efficace, di solito, è rappresentato dal ricorso ad un professionista, come lo psicologo, poiché purtroppo chi ne
ANALISI PER L’EMOGLOBINA GLICATA
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BENESSERE&SALUTE
LA CORREZIONE DELLA PRESBIOPIA
Rolando Zambelli è titolare dell’Ottica Valsugana con sede a Borgo Valsugana in Piazza Martiri della Resistenza. È Ottico, Optometrista e Contattologo.
di Rolando Zambelli
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a presbiopia non è realmente un difetto visivo non essendo legato ad alterazione di una o più strutture dell’occhio. E’ infatti la conseguenza di una modificazione fisiologica dovuta all’età che impedisce l’accomodazione, ovvero la messa a fuoco di particolari a distanza ravvicinata. La presbiopia, che si manifesta generalmente verso i 45 anni, peggiora con gli anni e quindi sempre maggiore sarà la necessità di compensare la crescente difficoltà di messa a fuoco da vicino e anche a distanza intermedia (60-100cm). Per la correzione della presbiopia si utilizzano normalmente occhiali o anche lenti a contatto, ci sono inoltre anche tecniche recenti ancora poco conosciute, di tipo chirurgico. Gli occhiali per essere corretti vengono approntati individualmente su prescrizione dell’ottico optometrista o dell’oculista. Gli occhiali già pronti (premontati) che si acquistano nei negozi di ottica, farmacia o altro hanno al contrario parametri standard, quindi distanza di centratura tra le pupille (distanza interpupillare) fissa e simmetrica,
le due lenti destra e sinistra hanno lo stesso potere. Sono indicati solo per la presbiopia semplice, perciò in caso di astigmatismo o diversa gradazione tra i due occhi la correzione sarebbe approssimativa e di conseguenza la visione, specie se prolungata, poco confortevole o anche poco definita. L’utilizzo per lunghi periodi è comunque sconsigliato. La correzione della presbiopia con occhiali può essere fatta utilizzando lenti monofocali che correggono solo la visione da vicino, con la necessità quindi di essere tolti tutte le volte che si guarda lontano, oppure con lenti “dinamiche” che permettono a seconda del tipo una visione nitida dalla distanza di lettura fino a 2-3m. L’utilizzo della lente progressiva permette invece di vedere nitidamente a tutte le
distanze, non sempre danno un comfort visivo ottimale durante una lettura prolungata così come un’attività prolungata a pc obbliga ad una postura scorretta affaticando i muscoli di collo e schiena. Bisognerà quindi considerare la o le soluzioni migliori in funzione delle specifiche esigenze della persona, in relazione al lavoro , agli hobby, al suo stile di vita.
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VALSUGANA: ambiente e natura
L’invasione del visone
di Elisa Corni
In questo secondo appuntamento con Valsugana Ambiente e Natura iniziamo a occuparci di uno dei problemi del nostro ecosistema: le specie invasive. Esiste un animale non autoctono che sta occupando alcuni degli spazi naturali della Valsugana: il visone Americano. Secondo l’Agenzia Ambientale Europea una delle 100 specie invasive più pericolose.
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utto attorno a noi ci sono boschi, campi e prati, laghi, fiumi o paludi. Questo è l’ambiente naturale della Valsugana che è tanto ricco quanto delicato. Per tutelare la biodiversità da trent’anni la Provincia di Trento ha istituito i biotopi, oggi Riserve Naturali Provinciali, nei quali la convivenza tra uomo e natura è curata e gestita. Una persona che dei biotopi ha fatto la sua passione è Gerri Stefani, laureto in Scienze Naturali e che ha alle spalle collaborazioni con gli enti che di ambiente si occupano qui in Trentino: il Muse e l’APPA. Ma che, soprattutto, negli scorsi anni molto ha fatto per far conoscere le peculiarità ambientali di una delle più importanti Riserve Naturali Provinciali, il Fontanazzo e per la tutela dell’area “Ampliamento Sorgente Resenzuola”. “Quando si è cominciata a trattare la questione dei Biotopi e di come gestirli, abbiamo fondato un’associazione con la quale ci siamo impegnati soprattutto nel coinvolgere la popolazione locale”, racconta il naturalista. Sì, perché molto spesso lo scoglio per l’istituzione di un’area protetta è l’opinione pubblica. Infatti dei 68 Biotopi individuati nel Piano Urbanistico Provinciale (PUP), ancora 22 mancano all’appello. “Purtroppo -spiega Stefaniattorno a queste istituzioni girano delle leggende: molti credono ad esempio che in un’area protetta non si possa più
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fare nulla. Ma quanto successo al Fontanazzo dovrebbe far capire che non è così”. Infatti, all’interno della Riserva Naturale provinciale Fontanazzo non si trovano campi solo coltivati dagli agricoltori locali, ma lungo la sponda in sinistra orografica è possibile anche pescare. “Vista la grande superficie e la tipologia di quest’area protetta è stato possibile dialogare con le persone e collaborare con i vari gruppi di interesse -spiega Gerri- e così gli agricoltori locali hanno potuto gestire i prati da sfalcio e piantare colture a perdere per la fauna selvatica nelle particelle provinciali della Riserva Naturale Provinciale Fontanazzo. Inoltre la provincia in collaborazione
con l’Associazione Pescatori locale ha creato nuovi ambienti per la riproduzione della trota marmorata e liberato avannotti di questa specie. Insomma, uomo e natura possono convivere, e lo dimostra la presenza di dieci aree designate a ospitare aree protette in Valsugana. Due di queste, però sono ancora in attesa d’istituzione; nel Comune di Caldonazzo, il canneto dove nasce il Brenta, e poi a Tezze Valsugana, dove è previsto l’ampliamento dell’area protetta della Sorgente del Resenzuola. “Al momento questo biotopo è inaccessibile, perché troppo piccolo e delicato, ma se si riuscisse ad ampliarlo non solo difenderemmo la biodiversità ma creeremmo una nuova importante
area umida protetta”; ciò rappresenta un’azione importante per la tutela della biodiversità complessiva della Valsugana e del Trentino, poiché questa tipologia di ecosistemi sono fortemente minacciati secondo quanto emerso a livello Europeo ed Internazionale., prosegue Gerri Stefani, secondo il quale due sono i tipi di pubblici non specializzati cui questi luoghi si rivolgono. Da un lato ci sono le persone da fuori, i turisti, che possono trovare nella Riserva Naturale una nuova meta per la scoperta del territorio. Dall’altro ci sono le nuove generazioni. “Abbiamo avuto interes-
santi esperienze con i ragazzi, che, se coinvolti in prima persona, si dimostrano essere un ottimo veicolo per trasmettere amore e conoscenza del territorio” racconta soddisfatto il naturalista, che proprio quest’estate con alcuni ragazzi ha realizzato presso il Biotopo del Fontanazzo un’area di riproduzione degli anfibi. Ma perché son importanti queste aree non o scarsamente antropizzate? Ad esempio queste sono aree di fondovalle che spesso possono aiutare a sfogare i fiumi in piena, evitando quindi dissesti idrogeologici sul territorio. Ma soprattutto per arricchire la biodiversità, che può rifiorire dove caccia e pesca sono controllate o proibite. “La complessità ambientale -spiega Gerri- riguarda tutti noi, perché maggiore è il suo livello più stabile, ricco e forte è un ambiente. In questo modo può resistere ai cambiamenti ed evitare di deteriorarsi.
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L’Isola di
Lampedusa
di Tiziana Margoni
L'isola dei Conigli
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i Lampedusa generalmente sappiamo che è l’isola più a sud dell’Italia e che è di grande bel-
lezza! E’ un lembo di terra di 20 kmq circa ed è la maggiore isola delle Pelagie; sta a 205 km dalla Sicilia e a 113 km dalla
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Tunisia, più vicina all’Africa dunque, a cui geologicamente apparteneva due milioni di anni fa quando si è sollevata dal mare. L’unico centro abitato di Lampedusa è posto in un’insenatura profonda a sudest e ha una popolazione di oltre 6000 abitanti; amministrativamente fa comune con Linosa, e dipende dalla provincia di Agrigento. L’isola, di forma allungata e stretta, ha terreno calcareo e la massima altitudine nell’Albero del Sole a 113 m. Ha coste alte e frastagliate con lembi stretti di spiaggia: per 320 km è tutta una Riserva Naturale. Ha clima mediterraneo, per cui fra suolo e scarsità d’acqua, la tipica vegetazione è quella di ulivi, viti, fichi… Sono però il turismo e la pesca abbondante nel mare che la circonda a dare possibilità di lavoro agli isolani, anche con l’industria che inscatola ed esporta il pescato. Il turismo nasce dall’impatto forte con la natura aspra e meravigliosa di ogni angolo dell’isola: circon-
data da un mare blu ineguagliabile che si perde alla vista; sole e brezza marina leggera; accogliente il porto dove il traghetto di collegamento con porto Empedocle in Sicilia salpa e arriva quattro volte al giorno; pescherecci e piccole imbarcazioni riempiono l’abbraccio del molo davanti alle case chiare dai tetti piani, allineate e a ridosso, che a tratti paiono l’una sull’altra, viste dal mare. L’isola è così piccola che in 20’ in scooter è già vista per intero lungo la costa -maggio, giugno e settembre sono i mesi migliori- inoltre le spiagge visitabili sono su un unico versante dell’isola, perché l’altro è inaccessibile per le altissime pareti di falesia esposte al vento. L’altro punto economico forte, la pesca, viene invece fatta in nottata anche con le lampare- e lavorato la mattina. Mani esperte puliscono e lavorano in modo tradizionale sgombro, pesce spada, tonno, ventresca …per i mercati lontani, e per la cucina isolana e dei ristoranti che a sera si animano di gente e luci, davanti allo sciabordio del
Porta d' Europa
mare tiepido, musicale risacca nel ristoro della sera. Lampedusa è nota per la nidificazione delle tartarughe nella spiaggia dei Conigli, considerata la terza nella classifica delle spiagge più belle del mondo, e la prima in Europa. Altre spiaggette -minute ma ben attrezzate- di fascino indubbio sono: Cala Croce, Cala Madonna e Cala Pulcino …In direzione opposta, verso l’aeroporto e oltre: Cala Pisana, Cala Uccello e Cala Maluk. Caratteristica tipica di Lampedusa da vedere sono i dammusi, antiche case
contadine poste all’interno dell’isola nei pressi dei campi, dei vigneti e uliveti da lavorare. Costruite con i materiali locali sono funzionali alla raccolta dell’acqua piovana in cisterne; hanno muri spessi per garantire la difesa dal caldo estivo e dal freddo invernale; porte e finestre sono piccole per ripararsi dalla luce accecante. Adiacente al dammuso c’è il giardino, coltivato in una sorta di costruzione circolare in pietra lavica, così da proteggere gli alberi e i frutti dal vento battente, e i terrazzamenti costruiti a mano con muretti di sasso.
Spontaneo dunque il richiamo sia al dammuso di Pantelleria, sia al trullo pugliese sia ai sassi di Matera, che se pure diversi esteticamente, sono parimenti aldammuso utilizzati anche come ristoranti o strutture recettive per turisti e ingentiliti da buganvillee, palme, giardini curati...non lontani dai fichi d’india che s’arrossano al sole e maturano… Ma di questi tempi sappiamo anche che la bellezza e l’eccellenza di Lampedusa nascono dalla gente, dai lampedusani stessi! Lo spirito che continua a caratterizzare l’isola sta infatti nella capacità di accogliere con umanità ed empatia la gente che proviene dal mare in amicizia o in difficoltà, sin dai tempi antichi, quelli dei miti …ieri, come oggi, anche se non sono più marinai, pescatori o colonizzatori, ma prevalentemente gente provata da una drammatica attraversata: immigrati che, dal mare più a sud del nostro sud, sperano solo di vedere l’isola “all’orizzonte” perché essa rappresenta l’approdo a una vita nuova e possibile.
AGO CALCERANICA AL L
Il libro della Maestra Agostini Menegoni Presso la sede dei Pensionati di Calceranica al Lago, è stato presentato il nuovo libro della maestra Agnese Agostini Menegoni, “Maso Strada e dintorni-frammenti di storia, avvenimenti, persone”. Una pubblicazione di oltre 250 pagine corredata di tante foto che testimoniano i momenti più importanti di quel piccolo Maso alla periferia di Caldonazzo, dove lei è nata, dove ha vissuto la sua prima gioventù e dove è ritornata dopo essere rimasta vedova. Maso Strada, attraversato da una strada che divide i due piccoli rioni, uno sul territorio del comune di Caldonazzo e l’altro su quello di Centa San Nicolò, un tempo era assai popolato, ma ora, a seguito di tanti eventi e trasformazioni, è ridotto a una dozzina di anime. E fra quelle case la maestra Agnese ha fatto memoria dei momenti più salienti trascorsi in gioventù accanto a quelle persone che, come lei, hanno vissuto per anni nel piccolo Maso Strada. Le vicende che hanno caratterizzato quel piccolo territorio, in quest’opera sono riportate con quella precisione che sempre l’ha contraddistinta. Un libro anche questo che va ad arricchire ulteriormente il patrimonio culturale di Caldonazzo, paese
verso il quale lei si è sempre sentita legata con affetto e che va letto, come lei dice “alla maniera di La presidente Fontana premia la maestra Agnese un diario scritto e, ai lati, le vicesindaco dei due paesi da una persona che non vuole vengano dimenticate quelle emozioni che hanno caratterizzato la vita sua e degli altri abitatori di quel piccolo rione”. Dopo la proiezione di alcune diapositive, la stessa maestra ha illustrato questa sua nuova opera. Presenti all’appuntamento il vicesindaco di Caldonazzo Elisabetta Wolf e la vicesindaco di Calceranica Cinzia Tartarotti che hanno elogiato lo spirito giovanile di questa insegnante che, nonostante i suoi 91 anni già compiuti a maggio, ha ancora tanta lucidità ed intraprendenza. La presidente dei pensionati di Calceranica Gilia Fontana le ha donato un mazzo di fiori, mentre la Corale Giovanile diretta da Gianni Martinelli ha intonato alcune canzoni in suo onore. (M.P.)
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o d n a l l e r he
Gioc
Cristini io iz r u a M a cura di
GIOCHI ENIGMISTICI REBUS E’ un antico gioco enigmistico la cui origine si perde nella notte dei tempi (inizi XVI sec.). I rebus sono giochi enigmistici costituiti da una vignetta riportante un disegno, ove parti dello stesso (utili alla soluzione del gioco) sono evidenziate con lettere o simboli (di solito stelle). Nei rebus i solutori sono facilitati dalla presenza della lettura numerica della frase risolutiva: ad esempio la scritta (6 3 7 9) posta sopra la vignetta, indica che la soluzione sarà formata da 4 parole, la prima di 6 lettere e le altre di 3, 7 e 9 lettere. Il rebus va “letto” come un testo: si parte cioè dal lato sinistro della vignetta e attribuendo o il nome o il senso dei vari disegni evidenziati dalle lettere presenti (o dai simboli) si continua questa “lettura” sino ad arrivare al margine destro della vignetta. Le lettere presenti divengono parte del testo risolutivo del rebus: sta all’abilità del solutore capire se esse debbano essere anteposte o posposte alle parole ricavate dai soggetti sulle quali sono evidenziate. Anche per questi giochi vige la regola che vieta nella soluzione la presenza di parole con etimo simile a quelle nella lettura iniziale (ad esempio se la vignetta mostrasse un “mare” con la lettera A, si potrà creare il termine “A mare = amare” ma non “mare A = marea” perché quest'ultimo ha la stessa origine (etimo) della parola “mare”. A volte nelle vignette possono essere presenti lettere “con esponente”, tipo “DL” : queste lettere vanno lette alla stregua di una potenza numerica, cioè “D a L”, ottenendo in questo caso la parola “DAL”. La presenza di simboli (stelle) al posto delle lettere, indica che le parti disegnate sulle quali sono posti vanno interpretate come tali, senza necessità di lettere a completare la frase risolutiva. A volte le lettere presenti vanno a inserirsi nella soluzione nel modo nel quale vengono pronunciate, cioè una “S” potrebbe essere interpretata come “esse”: in tali casi, tutte le lettere presenti nella vignetta seguiranno questa regola, non essendone consentito un “uso misto”, ovvero, ad esempio, una “P” ed una “H” si potranno interpretare o come “P” e “H”, oppure come “pi” e “acca”, ma non come “pi” e “H” o “P” e “acca”. Tra le sue più diffuse varianti, sono: • il rebus stereoscopico, proposto per la prima volta nel 1958 su La Settimana Enigmistica. E' costituito da due o più vignette contenenti lettere: si giunge alla soluzione valutando cosa avvenne (o avverrà) confrontando quanto è stato disegnato nelle stesse, usando verbi al passato oppure al futuro. • Il rebus a rovescio, apparve nel 1881. Quanto illustrato va letto normalmente da sinistra a destra ma poi la soluzione sarà data leggendo da destra a sinistra il testo precedentemente ricavato, utilizzando la numerazione che indica la lunghezza delle varie parole.
A gioco risolto, leggendo di seguito le lettere nelle caselle a sfondo colorato, si otterrà il nome di una località a sud di Trento sede di una storica villa. ORIZZONTALI: 4. Il tipico formaggio olandese con la crosta rossa - 9. Frazione di Pergine sul Lago di Caldonazzo - 15. Si dice di donna ostile e rabbiosa - 16. Treno ad Alta Velocità - 17. Il tempio rotondo di Roma dedicato a tutti gli dei - 20. In quel luogo, laggiù - 21. A te - 22. Il numero della linea bus che a Trento collega Gardolo con Bettini “Madonna Bianca” - 24. Targa di Imperia - 25. La yarda inglese nelle abbreviazioni - 26. Nel centro del trullo - 27. Eruzione cutanea giovanile - 29. Pallidissime in viso - 31. Il Karim a capo della comunità degli Ismailiti Sciiti - 33. Lo zar... Terribile - 35. Con l'accento afferma - 36. L'amica di Cris in “Braccialetti Rossi” - 37. La Dei, istituzione della Chiesa cattolica - 40. La città giardino (targa) - 41. Onta, offesa - 45. Lo sono le sostanze come l'LSD - 47. Non consentito, vietato - 48. Ghiaccio... a Vienna - 49. Pubblico locale - 50. Sono pari nei totali - 51. Il comune più vicino al Lago Erdemolo. VERTICALI: 1. Prefisso che vale sei - 2. Lo sportello di un armadio - 3. L'orsetto mascotte dei Giochi Olimpici di Mosca del 1980 - 4. L'alieno... più simpatico - 5. La prima nota - 6. Il comico romano che recitò con Totò in Guardie e ladri (iniz.) - 7. I tentativi di insurrezione nei regimi assolutisti - 8. Spostare, agitare - 10. Causò la morte di Cleopatra - 11. Località sopra Roncegno percorsa dal Sentiero Miniere - 12. La zona del ginocchio - 13. Fulmine, lampo 14. Frazione di Trento alle pendici del Monte Bondone - 18. La metà di otto - 19. Numero in breve - 21. Termine americano tipicamente usato per definire una persona potente e autoritaria come D. Trump - 23. Gara ippica per cavalle di tre anni - 28. Colui il quale - 30. La pista nera sulla Panarotta - 32. Si dice che abbia la falce in pugno! - 34. Ha dato i natali a San Benedetto - 38. I tacchini... a Levico Terme - 39. Sono i primi nello... sgobbare! - 42. C'è chi non lo capisce! - 43. La Villa... Presidio Ospedaliero in Trento - 44. L'occhio in francese - 45. Pappagallo di vari colori - 46. La Casa che fabbricava la Prinz - 47. Simbolo del piombo.
SOLUZIONE DEL NUMERO DI OTTOBRE Crucuverba n° 1: STROPACUI
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Il numero di novembre di Valsugana News è stato chiuso il 3 novembre 2016.
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