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E D I T O R I A L E
LETTERA APERTA Cari lettori, stimati inserzionisti, caro editore Enrico Coser, colleghi della redazione, collaboratori, amici…. «Buon Natale!». Un augurio che ci scambiamo spesso e volentieri in questo periodo e che prescinde da ogni nostra credenza o appartenenza religiosa. Con semplicità, è il migliore augurio che ci sentiamo di farci in questo mese di dicembre. Per questo, opportunità avrebbe voluto che nel presente numero trovasse spazio uno “Speciale Natale” che rispondesse alle ovvie aspettative di tutti. Invece, no! Colpa del direttore, Armando Munaò, il quale ha proposto questo “Speciale Volontariato”, incurante degli addobbi natalizi che ormai imperversano ovunque e dell’importante ricorrenza liturgica. Scherzi a parte, a lui soprattutto va questo augurio di Buon Natale per quanto si prodiga, mese dopo mese, nel produrre Valsugana News, la cui qualità editoriale e portata culturale è sempre più apprezzata da un vasto pubblico che in poche ore dalla sua uscita la esaurisce nei pur abbondanti e numerosi punti di distribuzione in tutta la Valsugana. Permettetemi di dire che mai tema fu più azzeccato per le feste natalizie. Per spiegarmi meglio vorrei invitarvi a ritornare a questo editoriale dopo che avrete letto i numerosi articoli dedicati alle associazioni di volontariato in Valsugana proposti in questo numero che vi terrà compagnia anche per tutto gennaio, dal momento che la prossima uscita sarà febbraio 2018 con molte novità che non mancheranno di meravigliarvi. Mi rifaccio però a un’immagine del Natale che non è più molto condivisa e alla quale non siamo più abituati. L’immagine dell’adorazione dei pastori davanti al bambinello che lo scultore
di Franco Zadra
vicentino, Vincenzo Grandi, ha scolpito per il vescovo Bernardo Clesio, sulla balaustra della cantoria in marmo bianco della chiesa di Santa Maria Maggiore, già sede del Concilio di Trento, i primi anni del 1530. Purtroppo, a causa di una recente applicazione di misure di pubblica sicurezza, la chiesa è aperta solo durante le funzioni religiose, ma poter vedere quel gioiello artistico, famoso in tutta Europa, «val pure una messa», direbbe Napoleone… Dunque, in quella immagine vediamo rappresentati i pastori in adorazione davanti al bambinello che accarezza il muso dell’asino mentre questi, assieme al bue, lo riscalda. Tra le tantissime simbologie teologiche rappresentate dal Grandi, vorrei indicarvi solo quella più inerente con il nostro discorso. Il bambino tiene sul ventre un panno che è discostato e mostra vistosamente le pubenda. Nessun voayerismo, per carità!, ma il chiaro annuncio del Natale contenuto nel prologo di san Giovanni: «Il Logos si è fatto carne!». Dio è vero uomo e lo dimostra chiaramente l’esposizione dei genitali. Un concetto espresso con un’immagine che traduce il termine “incarnazione”. E così arrivo al volontariato. Il Natale è la festa per eccellenza del volontariato poiché non c’è volontariato senza incarnazione, qualcosa di più profondo e concreto del semplice “mettersi nei panni degli altri”, gratuitamente. Godetevi dunque questa rivista, sarà poi più bello augurarsi «Buon Natale!».
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IL SOMMARIO Speciale Editoriale...................................................... 3 Sommario..................................................... 5 Punto e a capo ............................................. 7 Intervista a Gios Bernardi .............................. 9 La riforma del Welfare anziani ...................... 13
solidarietà e volontariato • La sindrome del Buon Samaritano ... 22
Il giorno della Memoria................................ 14
• L’Unicef ......................................... 25
Il Teatro Stabile di Bolzano .......................... 16
• La rete del Volontari NO PROFIT ..... 26
Dal PATT alla D.C. 2.0.................................. 19
• Com’è bella Levico Terme ............... 29
Intervista impossibile................................... 20
• La Cooperazione Trentina ............... 30
L'opinione ................................................... 64 Medicina e Salute: La crisi di coppia ............. 66 La Farmacia Comunale cambia sede ............. 68 Altroconsumo: come disdire il contratto telefonico................................... 69 Studia Capra ............................................... 70 Medicina e Salute: l’importanza di saper attendere....................................... 72 Il personaggio: Tullia Fontana ...................... 76 Gli animali di Liliana Pierotto ........................ 78 Il Deep Web ............................................... 80
• Auser: vicino agli anziani ................ 33 • Il NU.VOl.A.................................... 35 • Nellie Bly....................................... 36 • La Cooperativa SOS Feriendorf........ 39 • Aiutiamoli a vivere.......................... 40 • Missione Catechisti......................... 43 • Il volontariato dei giovani ............... 45 • ABIO............................................. 46 • I volontari di strada........................ 50 • Il Volontariato in Italia e Trentino .... 52 • Volontariato contro la criminalità ..... 55 • Il Volontariato dei non più giovani ... 57
Gemellaggio tra Telve e Corropoli ................. 82
• Il Volontariato negli Stati Uniti......... 59
Don Almiro Faccenda................................... 83
• La Filolevico e il volontariato ........... 60
L’Associazione Slowcinema ........................... 85
• Edith Cavel .................................... 62
Anni ’50 e le ragazze dei giornali mensili ....... 86 Per andare “OLTRE” .................................... 88 Le cronache................................................ 90 Le cronache................................................ 91 Il ritrovo dei Collezionisti.............................. 92 Le cronache................................................ 93 Le cronache................................................ 94
ANNO 3 - DICEMBRE 2017 DIRETTORE RESPONSABILE Armando Munaò - 333 2815103 direttore@valsugananews.com VICEDIRETTORE Franco Zadra COORDINAMENTO EDITORIALE Enrico Coser - Silvia Tarter COLLABORATORI Roberto Paccher - Luisa Bortolotti - Elisa Corni Erica Zanghellini - Francesco Cantarella Francesca Gottardi - Veronica Gianello Maurizio Cristini - Alice Rovati - Daniele Spena Waimer Perinelli - Mario Pacher Laura - Francesca Schraffl - Sabrina Mottes Chiara Paoli - Tiziana Margoni - Patrizia Rapposelli Zeno Perinelli - Adelina Valcanover Giampaolo Rizzonelli - Laura Fedel CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA Dott.ssa Cinzia Sollazzo - Dott. Alfonso Piazza Dott. Giovanni Donghia - Dott. Marco Rigo EDITORE Grafiche Futura srl Via della Cooperazione, 33 - Mattarello (TN) IMPAGINAZIONE, GRAFICA Grafiche Futura STAMPA Grafiche Futura PER LA PUBBLICITÀ SU VALSUGANA NEWS info@valsugananews.com www.valsugananews.com info@valsugananews.com Registrazione del Tribunale di Trento: nr. 4 del 16/04/2015 - Tiratura n° 7.000 copie Distribuzione: tutti i Comuni della Alta e Bassa Valsugana, Tesino, Pinetano e Vigolana compresi COPYRIGHT - Tutti i diritti di stampa riservati Tutti i testi, articoli, interviste, fotografie, disegni e pubblicità, pubblicati nella pagine di VALSUGANA NEWS e sugli Speciali di VALSUGANA NEWS sono coperti da copyright GRAFICHE FUTURA srl e quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore, del Direttore Responsabile o dell’Editore è vietata la riproduzione o la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni, per altri giornali o altre pubblicazioni, possono farlo richiedendo l’autorizzazione scritta all’Editore, Direttore Responsabile o Direttore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che, utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio e quindi fatta pervenire, a GRAFICHE FUTURA srl, le loro pubblicità, le loro immagini i loro testi o articoli. Per quanto sopra GRAFICHE FUTURA srl, si riserva il diritto di adire le vie legali per di tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.
L'editore di Valsugana News augura al Direttore, a tutti i giornalisti, collaboratori, addetti alla grafica, agli stampatori e a tutto il personale di Grafiche Futura srl un Sereno BUON NATALE e un FELICISSIMO ANNO NUOVO!
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di Waimer Perinelli
LE BUONE INTENZIONI empre più web nella nostra vita e maggiore ruolo sociale. Laura Bononcini, capo delle public policy di Facebook Italia, ha annunciato la creazione di una task force per controllare la massiccia infiltrazione delle false notizie. Primo grande intervento in tempo di elezioni politiche. Gli esempi della Brexit e delle elezioni americane vinte da Trump, hanno indotto a questa scelta con cui si vorrebbe difendere il buon nome dei candidati e dei partiti ma speriamo soprattutto della piattaforma online. Il controllo sarà leggero, dicono dalla società fondata da Zuckermberg che attraverso Instagram, Wats App e Messeger
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controlla il 77 per cento del traffico mondiale dei Social Media. La piattaforma non vuole diventare arbitro delle elezioni e per questo si limiterà a controllare i messaggi solo su segnalazione. Come si diceva in campagna, quella con l'erba naturalmente, si chiuderà la stalla a buoi scappati. Buone notizie dai Social media anche per quanto riguarda le denunce di molestie sessuali, violenza e stalking sulle donne. Le denunce potranno essere fatte in tempo reale sul web senza cioè recarsi in commissariato. Allo scopo saranno organizzate squadre speciali di agenti e pubblicato un for-
Mark Zuckerberg mulario online a disposizione tutto il giorno per tutte le settimane. La filosofa francese Genevìeve Fraisse, 69 anni, femminista si sta da tempo impegnando affinché nelle presunte violenze sessuali si elimini il concetto di silenzio assenso e che il fatto non sia reato solo quando c'è un esplicito si. Il problema sarà se, nel dubbio, il consenso dovrà essere verbale o scritto e se riguarderà tutti i sessi.
Gioco di mano, gioco di villano o visto violentare un uomo. E' accaduto anni anni fa quando la bassa veronese, fra l'Adige e il Po, era la Virginia d'Italia e il tabacco oltre che fumarlo si coltivava. Ettari di piante
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dalle grandi foglie raccolte al caldo d'agosto dalle donne, costrette per questo a chinarsi. Il fascio di foglie raccolte veniva consegnato agli uomini che lo portavano al carro e poi all’essiccatoio. Ce n'era uno che passando fra le fila di tabacco indugiava con la mano sui fondo schiena. Un’ odiosa abitudine alla quale un gruppo di ragazze provenienti dalle campagne lungo il Brenta e per questo dette le Padovane, spesso usate come crumire durante gli scioperi, decise di mettere fine. Parliamo di donne appartenenti ad una cultura agricola matriarcale, dove all’uomo, salvo i casi di violenza fisica, veniva concesso di essere il pater famiglie a condizione che lasciasse la compagna
a decidere. Donne abituate durante il lavoro a commentare ridendo e con ironia, l’andamento del rapporto coniugale anche di quello intimo con il toscanel. Un giorno, durante la pausa pranzo, l’uomo venne attirato da una di loro verso le fila di piante più lontane e quando furono soli, immersi nel tabacco, fu circondato da un’altra decina di donne che in pochi attimi lo spogliarono. Non so di preciso cosa sia accaduto, la mia presenza era casuale e la posizione mi impediva di vedere i particolari, ma certo la lezione fu un successo. L’uomo scomparve mentre si sprecavano i commenti di come la mano fosse in realtà il meglio di cui era dotato.
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Nato nel 1923 si è laureato in medicina nel 1948. Qualche anno da chirurgo e poi radiologo. Alla Fondazione Pezcoller dal primo anno il 1986 e poi Presidente dal 2001. Oggi è Presidente emerito, è stato insignito dell’Aquila di S. Venceslao, Cavaliere della Repubblica nel 2010 e nel 2015 Commendatore della Repubblica
GIOS BERNARDI
una vita per la vita
di Waimer Perinelli
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na vecchia regola del giornalismo dice che un’ intervista è spazio sottratto all’informazione. Ma per descrivere la personalità di Giuseppe Gios Bernardi una sua battuta è indispensabile anche per chi, come me fortunato, lo conosce da almeno trent'anni e lui di anni ne compirà novantacinque il prossimo primo gennaio. Ci incontriamo in una cremeria di Trento. Gios arriva puntualissimo, con una cartella in pelle nera sottobraccio e saluta con sorriso cordiale mentre gli occhi si stringono e scrutano, indagano con simpatia e discrezione. Io non approfitto mai di un amico medico e, al contrario di come fanno altri, non porgo il polso anziché la mano, ma con Gios bisogna
stare attenti perchè è medico da 70 anni e, dopo alcuni in chirurgia, ha trascorso gli altri fino alla pensione in radiologia e si sa che i Raggi X ti leggono dentro. Un caffè, il primo e l'ultimo della sua giornata, e poi i ricordi. Il Teatro Stabile di Bolzano dove il figlio Marco è stato direttore fino a due anni fa ed oggi ancora è regista di talento. Il suo ultimo spettacolo “Questa sera si recita a soggetto” è di scena in regione prima della tournee nazionale, con interprete fra gli altri, l'attrice Patrizia Milani che nella vita è sua moglie e madre di Luca, 26 anni, uno dei due nipoti di Gios, l'altro, Michele, è figlio di Paola, editor a Berlino e Bolzano. Luca è oggi noto come scrittore. La scorsa estate ha presentato il romanzo “Medusa” un racconto complesso, in parte autobiografico, ricco di problematiche giovanili, di extraterrestri e di fantasie sessuali. “L'hai letto tutto?”mi chiede Gios. L'ho letto due volte non perché fossi rimasto folgorato, La famiglia di Gios Bernardi. Da sinistra Luca, Marco,
Patrizia Milani, Gios, Franca,Paola con Michele, Anna e Beppo Toffolon.
confesso, ma perché la prima volta non riuscivo a comprenderlo. Poi ho capito e questo giovane, che vanta uno zio Gaetano autore nella prima metà del 900 di 90 fra romanzi e novelle, capace di narrare con sincera, intelligente analisi, parte di se stesso e del mondo circostante, ha un brillante futuro. Tra l'altro è traduttore dall'inglese per la casa editrice Longanesi e sottolinea Gios con orgoglio di nonno, “ tradurrà un romanzo italiano in inglese”. E' rarissimo che ciò accada perché le traduzioni sono affidate normalmente a chi è di madre lingua. Ma l'inglese lo conosce molto bene anche il nostro amico Gios che fra le molte esperienze ed attuali occupazioni è l'editor del periodico ufficiale in lingua inglese della Fondazione Pezcoller. Ma andiamo con ordine. Della Fondazione è stato animatore fin dal 1986 quando come presidente dell'Ordine provinciale dei medici e collega stimato del professor Pezcoller fu chiamato a far parte del Consiglio direttivo. Con lui c'erano membri “laici” nominati dalla Cassa di Risparmio e un solo altro medico, Paolo Schlechter con il quale si attivò nel perseguire l'obiettivo di fa-
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vorire la lotta al cancro e istituire un significativo e ricco premio internazionale. “ Abbiamo scelto subito in controtendenza l' oncologia di base molecolare e genetica, nel momento in cui il mondo medico locale ed internazionale era più propenso al settore clinico. Oggi c'è grande attenzione all'immunologia. Questo è il futuro prossimo”. Il giornale vicino al nostro tavolo racconta di un paziente statunitense afflitto dal morbo di Hunter al quale hanno tagliato il Dna. Un intervento straordinario commenta un immunologo italiano. Tutto accade però negli Stati Uniti e anche il premio Pezcoller ha guardato sempre con favore a quella parte dell'Oceano Atlantico. Grazie anche alla collaborazione con l’American Association for Cancer Research, la Fondazione ha raggiunto livelli mondiali elevati e assegnato una ventina di premi. Tre dei premiati hanno poi ricevuto il premio Nobel. Non molte le presenze italiane. “E' vero dice, il professor Bernardi, non abbiamo mai premiato un ricercatore italiano che lavorasse in Italia. Abbiamo però premiato italiani impegnati in altre parti del mondo.” Facile pensare che nessuno è profeta in patria, ma purtroppo la spiegazione
Prestigioso riconoscimento internazionale per Gios Bernardi da parte della American Association for Cancer Research AACR la Distinguished Public Service Award
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Gios Bernardi con il figlio Carlo più razionale è che la ricerca oncologica in Italia non è al centro dell'interesse politico e non riceve adeguati incoraggiamenti e finanziamenti. Eppure il cancro è ancora il male maggiore. Proprio a Gios, credo quando compiva i suoi primi 80 anni, chiesi spiegazione dell'interesse per il cancro e lui rispose “ Più invecchi e maggiori probabilità hai di incontrarlo”. Lo disse senza timori, con simpatica ironia. Egli l’aveva sfiorato tutta la vita. “ Uno dei motivi per cui ho esercitato radiologia è la volontà di perfezionare metodi e tecnica. Come chirurgo avevo amputato arti di illustri colleghi per anni esposti alle radiazioni di macchinari primitivi. Ricordo che negli anni 50 avevamo a disposizione un apparato preda bellica degli austriaci nella Grande guerra. E noi stessi eravamo protetti da materiali insufficienti. Ricordo, ma non lo scrivere, che inserivamo il radio direttamente con le mani nelle zone da controllare, anche le più intime”. Scienziato curioso e uomo corretto negli anni 70 è stato eletto nel Consiglio comunale di Trento e nominato assessore alla cultura. Fu lui a riportare dopo 40 anni la stagione teatrale al Sociale di proprietà privata e utilizzato solo per operette e cinema. Nel teatro per eccellenza della città, inaugurato nel 1819, ritornarono grandi attori, commedie e drammi mentre per motivi economici, an-
cora oggi mancano proposte operistiche quelle per intenderci che hanno segnato la storia del teatro dall’inaugurazione fino agli anni 30 del Novecento. Con grande sensibilità e tatto ha fondato l’Università della terza età oggi diffusa in più comuni trentini. Ad aiutarlo un impeccabile professor Pietro Nervi, primo direttore. La proposta era di alto livello umano e scientifico e pur non distribuendo diplomi di laurea richiedeva costanza e studio. Gios Bernardi dunque protettore della cultura e delle arti e lui stesso fotografo impegnato. Ricordiamo una mostra di due anni fa, “Carlo e Gios Bernardi, dialogo fra padre e figlio attraverso l’arte”. Suo padre Carlo era insegnante e valente pittore, “ Bloccato, dice Gios con una punta di tristezza, dal senso di colpa dovuto all’eccessiva frequentazione della Chiesa”. Non a caso il fratello Eugenio è in profumo di beatificazione. Altri fratelli, in tutto erano nove, sono diventati avvocati o psichiatri e uno,Marcello, è morto nella battaglia di Caporetto vestendo la divisa degli alpini. La famiglia era infatti irredentista. “Per anni abbiamo cercato le sue spoglie. Lo Stato non sapeva nulla, inutile parlare con gli alti gradi dell’esercito, poi lo zio Eugenio (Enio)Russolo, aveva saputo casualmente il luogo dove c’era la lapide e sulla vicenda ha scritto un libro”. S’intitola “Una famiglia Trentina” e la parte grafica è stata curata da Anna Bernardi e Bepo Toffolon. Persona riservata Gios ci racconta questo
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in confidenza e con l’orgoglio della famiglia. Di quella felice formata con Franca settanta anni fa parla poco e lo fa senza rimpianti o pentimenti anche se ammette, con tutti gli impegni assunti, non aveva dedicato molto tempo a rimboccare le coperte ai propri figli. Tuttavia e ne sono testimone, non ha mai fatto mancare beni ed affetto. La vita di Gios non è stata da mediano, nella squadra ha giocato da regista e
di punta. Festeggia ogni attimo vissuto. “Noi del capricorno dice, perdiamo qualche battaglia ma la guerra la vinciamo sempre” Questa l’unica concessione all’astrologia, scienza in cui Franca è stata stimata protagonista. Usciamo dalla cremeria e lo seguo con lo sguardo mentre si allontana verso via Oriola, con passo svelto, con la borsa di pelle sotto-
braccio. Ha un appuntamento nella sede della Fondazione Pezcoller, deve correggere le bozze del nuovo numero della rivista scientifica.
Si ringrazia Ladigetto per la gentile concessione delle foto.
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Buoni propositi, ma non calati nella realtà della nostra società
di Claudio Cia*
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a legge, presentata come “riforma" del welfare anziani che istituisce lo “spazio argento”, in realtà non è altro che un timido tentativo di creare un’unica regia dei servizi in capo alle Comunità di Valle, per affrontare le problematiche e i bisogni dei tanti anziani che rimangono nel loro domicilio, anziché essere ricoverati in Rsa. Per tale iniziativa sono stati stanziati 5 milioni di Euro, gli stessi racimolati negli ultimi cinque anni con i ticket raccolti nei pronto soccorso degli ospedali trentini. Anche se in sé nelle intenzioni la norma non è negativa, personalmente la considero poco promettente, non realistica, perché non pondera il contesto sociale a cui è destinata. La mia impressione è che rimarrà lettera morta laddove l’anziano, e sono davvero tanti, non può contare su un famigliare e su relazioni forti e stabili. Cosa di non poco conto se si considera che nel 1971 in Trentino le famiglie unipersonali, ovvero famiglie con un solo componente, erano 19.993, nel 2011 erano salite a 75.975 (+55.982) e oggi, nel solo capoluogo, rappresentano il 40% del totale delle famiglie
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residenti. Altro dato preoccupante è che nella nostra provincia gli over 65 nel 2015 erano poco più di 111mila, mentre oggi sono otre 115mila e nel 2050 si prevede possano arrivare a 193mila. L’aumentata aspettativa di vita è sicuramente un dato positivo, ma non possiamo negare che spesso questa è accompagnata da solitudine, poli-patologie, perdita dell’autonomia, depressione, demenza degenerativa (nel solo 2017 sono stati quantificati tra 6mila e 8mila casi) situazioni, queste, che inevitabilmente determinano dipendenza dagli altri e un aumento del costo della vita. Costi non facili da affrontare, tanto più per gli oltre 30mila anziani trentini che vivono con una pensione di appena 500 euro al mese. Dunque, non è un azzardo dire che questa norma non è adeguata alle reali condizioni di vita della stragrande maggioranza degli anziani in stato di bisogno assistenziale. Inoltre non possiamo tacere e sottovalutare il fenomeno degli espatri. A oggi la popolazione trentina iscritta all’Aire (Anagrafe degli Italiani all'Estero) risulta essere di 54.237. Si pensi che nel solo 2017, i trentini che hanno lasciano il nostro territorio in cerca di lavoro o per studio sono stati
1.689, e di questi il 49,6% sono donne che si sa sono quelle più propense a prendersi cura dei genitori anziani. Ci sono territori, come la Valsugana, la cui popolazione iscritta all’Anagrafe degli Italiani all'Estero è pari a un terzo della popolazione residente: per esempio a Roncegno Terme la popolazione iscritta all’Aire è di 1.204 unità a fronte di una popolazione residente di 2.885; a Ronchi Valsugana è di 180 unità a fronte di una popolazione residente di 439; a Ospedaletto è di 319 unità a fronte di una popolazione residente di 815; a Castelnuovo è di 337 unità a fronte di una popolazione residente di 1.055;… e cosi via. Al di là delle buone intenzioni, non illudiamoci: la legge sulla “riforma" del Welfare servirà prevalentemente a giustificare e regolamentare l’ennesimo ufficio presso le Comunità di Valle per affrontare i tanti bisogni degli anziani che speriamo non si riducano a essere gestiti come asettiche e spinose pratiche da evadere.
*Claudio Cia è Consigliere regionale e Coordinatore Provinciale di AGIRE
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I cancelli di Auschwitz
L’Olocausto e la Shoah
IL GIORNO DELLA MEMORIA
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l termine Olocausto, significa “tutto brucia” e indica non solo il genocidio perpetrato dalla Germania nazista e dai suoi alleati nei confronti degli ebrei d’Europa, ma anche lo sterminio perpetrato verso tutte le categorie ritenute "indesiderabili"; di queste furono circa 15 milioni i morti in pochi anni. Il termine deriva in realtà da un rituale religioso che prevedeva che tutto ciò che veniva sacrificato sull’altare fosse poi bruciato, perché nulla rimanesse a disposizione dell’uomo. Shoah è invece un termine che in lingua ebraica significa catastrofe, distruzione, spesso utilizzato in alternativa a Olocausto, ricorre nelle sacre scritture e proprio per questo motivo si ritiene abbia una maggiore connotazione religiosa. Il Giorno della Memoria, così è stato chiamato dall’Assemblea delle Nazioni Unite per ricordare e commemorare, ogni anno, le vittime dell’Olocausto e lo sterminio del popolo ebraico. La delibera dell’Onu data 1° novembre 2005, e fu in occasione del 60° anniversario della liberazione dei campi di concentramento e di sterminio a opera dei nazisti. Tristissime strutture create apposta per attuare “la soluzione finale della questione ebraica”, ovvero il totale
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annientamento degli ebrei. I documenti storici ci dicono che tra il 1939 e il 1945 circa 6 milioni di ebrei furono sistematicamente uccisi dal Terzo Reich di Hitler con lo scopo di creare una razza pura in un mondo più puro e pulito e dare vita alla razza ritenuta superiore, quella “ariana”. Una decisione che i capi del nazismo concordarono nel 1942, nella conferenza di Wannsee, dove 15 tra i maggiori funzionari del Partito Nazista e del Governo tedesco si riunirono per concretizzare l’eliminazione sistematica degli ebrei, ma di fatto l’eccidio era già iniziato. Da quel momento tutti gli ebrei furono dapprima ghettizzati, ovvero concentrati e racchiusi in quartieri delle varie città, poi deportati in massa, non solo nei vari campi di concentramento e di sterminio di Auschwitz, Dachau, Bergen Belsen, e Mauthausen, ma anche in altre decine e decine di
di Armando Munaò
campi disseminati in Europa, dove giornalmente arrivavano convogli carichi di persone. Dapprima erano selezionati per individuare chi fosse in grado di lavorare, mentre gli altri venivano inviati direttamente alla camere a gas e in ultimo ai forni crematori. Per il “Giorno della Memoria” fu scelto il 27 gennaio perché fu proprio in quel giorno del 1945 che le truppe dell’esercito russo della 60esima armata del Maresciallo Ivan Konev arrivano nei pressi della città polacca di Oświęcim (in tedesco Auschwitz, divenuto il simbolo universale delle tragedia ebraica durante la seconda guerra mondiale) e
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liberarono i superstiti, rivelando al mondo intero non solo l’orrore del genocidio voluto da Hitler, ma anche tutti gli strumenti di tortura e di annientamento usati in quel lager nazista. Purtroppo non riuscirono a salvare tutti i prigionieri sani, si ritiene che siano stati oltre 60mila, che i nazisti e le SS, ritirandosi, si portano con loro, nella triste “marcia della morte”. I soldati russi trovarono oltre settemila prigionieri ancora in vita che erano stati abbandonati dai nazisti perché considerati malati. Secondo testimonianze di sopravvissuti ad Auschwitz, i nazisti, per cancellare le tracce
I forni crematori di Auschwitz
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dei loro efferati crimini fecero saltare, tra il 20 e il 25 gennaio, i forni crematori 2, 3, e 5, dove erano stati bruciati i corpi di centinaia di migliaia di ebrei. Anche l’Italia, con gli articoli 1 e 2 della legge 211 del 20 luglio 2000 ha istituito le finalità e le celebrazioni del "Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti. Testualmente è scritto: «La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a
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rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. In occasione del "Giorno della Memoria" di cui all'articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell'Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere»
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Il Teatro Stabile di Bolzano in regione e in tournee nazionale con Pirandello in occasione dei 150 anni dalla nascita del grande autore siciliano.
di Laura Mansini*
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embra strano eppure il teatro nel teatro, quella forma astrusa di drammaturgia che tanto affascinò gli spettatori degli anni Venti del secolo scorso, è ancora in grado di stupire, tanto più se lo spettacolo gode di una realizzazione quanto mai attuale, ma con dei riflessi, un respiro che ci conducono inesorabilmente nella grande drammaturgia classica. In questo caso ci stiamo riferendo allo spettacolo “Questa sera si recita a soggetto” di Luigi Pirandello portato in scena a Trento, nel Teatro Sociale dal 16 al 19 novembre dal Teatro Stabile di Bolzano per la
regia di Marco Bernardi; in dicembre lo spettacolo è in regione. Marco Bernardi, da 38 anni regista di grande spessore artistico e culturale, per 35 anni è stato direttore artistico del Teatro Stabile di Bolzano, avvicinandolo alla più grande cultura internazionale. Ci piace ricordare la fatica che si fece per salvare quello che era considerato un gioiello della cultura italiana in un momento difficile per Bolzano. Bernardi con intelligenza seppe mediare le
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Questa sera si recita a soggetto - foto T. Le Pera
Questa sera si recita a soggetto - Muore Mommina- foto T. Le Pera due culture facendone punto di ricchezza e non di scontro, come accadeva in passato. Con “Questa sera si recita a soggetto” lo Stabile ha voluto ricordare i 150 anni dalla nascita di Luigi Pirandello, il grande autore siciliano. La commedia fa parte di una trilogia scritta da Pirandello alla fine degli anni 20, mentre si trovava in volontario esilio in Germania. Gli altri due lavori sono “Sei personaggi in cerca d’autore” e “Ciascuno a suo modo”.
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Le tre commedie evidenziano i conflitti ideali e reali dell’allestimento teatrale. Personaggi che cercano autori, altri che non vogliono testi scritti, altri ancora che rifiutano il regista o direttore. Lo spettacolo visto al Sociale li sintetizza tutti e Marco Bernardi che ha curato la regia e si avvale di attori di classe come Patrizia Milani e Carlo Simoni, ne trae lo spunto per un’autocritica, leggera e divertente. Dico riflessione leggera perché senza tormenti, retro pensieri, grandi sconvolgimenti dell’animo e proiezioni tendenti all’infinito che spesso è il nulla. Invece lineare, profonda e significativa per chi ama e vive il teatro il quale, come dice il primo attore all’ inizio della commedia è soprattutto spettacolo. Bernardi che per scelta è regista capace di ascoltare gli attori, di accompagnarli nelle intuizioni spontanee, di guidarli nella creazione dei personaggi, sembra a suo agio nel viaggio pirandelliano. Del primo atto è un affascinante shock, quello che non ti aspettavi, la scena di cabaret esaltata dalla bella scenografia di Gisbert Jaekel. La commedia scritta fra il 1928 e 29, mentre l’autore era in esilio volontario in Germania, in seguito alla chiusura della sua compagnia, mette in
Questa sera si recita a soggetto - foto T. Le Pera luce anche la sintonia della cultura classica di questo straordinario poeta nato in Sicilia , a Girgenti (Agrigento) il 28 giugno 1867, e morto a Roma il 10 dicembre 1936, con quella tedesca. A lui venne assegnato il premio Nobel per la letteratura nel 1934. Per la produzione, le tematiche affrontate è considerato tra i maggiori drammaturghi italiani del ventesimo secolo. A Trento lo spettatore è stato subito coinvolto nella sconcertante trama dello spettacolo, si sentono attori che protestano dietro il sipario, spettatori infuriati, un povero direttore dalle idee un po' confuse, che cerca invano di portare avanti lo spettacolo. Tutti elementi che sottolineano la problematica dell’autore in quel momento. che staccatosi dal teatro verista e naturalista con il quale aveva iniziato la sua avventura teatrale, analizzando nella seconda fase il mondo borghese sgretolandone le certezze, introducendo la versione relativista della realtà, la vita al di là della maschera, qui entra sempre più nella macchina teatrale abolendo la IV parete, quella invisibile che generalmente divide gli spettatori dallo spettacolo, quella sottile parete di velo bianco che Jaekel ha messo nella sua scenografia
Questa sera si recita a soggetto - al cabaret - foto T. Le Pera
per mostrare lo spettacolo di cabaret in scena in una squallida bettola di un paese siciliano. Uno spettacolo decisamente interessante, coinvolgente con gli spettatori che hanno partecipato con entusiasmo ai cambi di scena, al gioco che la bella compagnia del Teatro Stabile ha fatto con loro. Patrizia Milani nel doppio ruolo dell’attrice caratterista e del personaggio della signora Ignazia La Croce, detta la generale (la madre per intendersi) è stata particolarmente brava ad entrare ed uscire dal personaggio costituendo con Carlo Simoni divertente vecchio attore drammatico e l’ingegnere La Croce detto Sampognetta, (il padre) una coppia quanto mai efficace e a tratti estremamente divertente. Che dire uno spettacolo convincente a tratti trascinato dal ritmo del charleston che ha visto però la massima drammaticità nell’interpretazione di Irene Villa (la prima attice e Mommina la figlia), ci piace ricordare anche Corrado d’Elia e Giampiero Rappa. Laura Mansini, 28 anni da critico teatrale per l'Adige, il mensile nazionale Sipario e collaborazione anche per l'Alto Adige. Per circa 20 anni docente di Storia del teatro e dello spettacolo all'Università delle Terz a età. Ha smesso di scrivere (purtroppo per noi lettori) per applicarsi e compiere al meglio il suo dovere “istituzionale” com e sindaco di Caldonazzo. Noi ci auguriamo di rileggerla presto sulle pagine di Valsugana News.
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DAL Patt ALLA D.C. 2.0. di Walter Kaswalder
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on è facile esprimere un giudizio sull’intervista del segretario del Patt, nella quale sembra mettere in liquidazione il Partito Autonomista, trasformandolo in D.C. 2.0., in quello, cioè, che era nei fatti da qualche tempo: un partito che rinuncia alle battaglie autonomiste, alla propria storia, la abiura e punta su una vittoria elettorale secondo il modello “Panini”, tipo quello che, nei corridoi della scuola elementare, permetteva di scambiare le figurine dei giocatori di calcio. Un’attività che aveva lo scopo non certo di governare il mondo del calcio, ma di completare l’album. Il problema che però ha l’album del Patt è quello di tanti doppioni nel ruolo di stranieri, e di caselle vuote in quello di autonomista. Anche la mia vicenda personale interna al Patt rappresenta dal punto di vista politico l’esito naturale di un’operazione concepita per “depurare” il Partito autonomista dai suoi contenuti radicali, quelli che hanno contribuito nel tempo a crescita e profitto politico. Le espulsioni di Presidenti, gli addi agli onorevoli, i commissariamenti di sezioni, le acquisizioni di concorrenti elettorali privi di ratifiche congressuali e analisi in organi statuari preposti, denunciano l’urgente intento di arrivare al più presto a un cambio di ragione sociale. Le regole applicate a macchia di leopardo hanno prodotto l’esodo dei militanti, rimpiazzati da graduati privi di matrice. Una “normalizzazione” che ha svenduto il patrimonio ideale riducendo il
Partito ad agenzia di servizi. E ancora siamo a chiederci da dove venga tanta disaffezione per la politica? Perché, cadute le ideologie, muoiano anche gli ideali? La politica è oggi un equilibrio chimico, guidata da un’artificio clientelare, dal pensiero marginalizzato, dove il confronto si trasforma spesso in scontro, e il focus è sul senatore di turno o il suo collegio, mai sul cittadino. La dimensione complessa della storia della nostra Terra è ridotta a un botteghino d’interessi, eclissando le figure più prestigiose dell’Autonomismo nostrano. Che ne è oggi di Alighiero Collorio di Rovereto, Albino Laner di Kamauz, Saverio Paoli di Pergine, Mario Oberosler di Martignano, Carlo Devigili di Trento, Vincenzo Fracchetti di Mori, Bruno Zanghellini della Valsugana, Giovan Battista Defant di Pinè, o Nardelli di Mezzolombardo, Pinamonti di Tuenno e tantissimi altri? Avevano sbagliato tutto, senza capire niente? Quegli Autonomisti erano per scelta all’opposizione; condussero battaglie senza compromessi, ingaggiando
battaglie che oggi consentono al senatore di turno di lucrare un lauto patrimonio politico. La visione da botteghino della politica attualmente in essere, introduce un metodo fazioso e minimalista che deforma il senso stesso del fare comunità e del vivere collettivo, traducendosi in una narrazione che offende la dignità di una Comunità trentina che non merita di essere ridotta a bagatellaggio per assegnare a Tizio un collegio o a Caio un posto da presidente. L’Autonomia della nostra Terra si è nutrita di sacrifici, di ideali, di vite anonime spese in favore di una causa. Di notti investite in discussioni, in incontri, dibattiti, prese di posizione. Un’Autonomia svuotata di tutto questo, buona per qualche battuta di spirito in alcuni salotti romani, non potrà certo aiutare il Trentino. Non è un caso che oggi, più di Kessler, Pruner, Mengoni, Magnago, vengano citati Piccoli e Postal, della D.C. dorotea, che consideravano Roma e non Trento il capoluogo politico della nostra Autonomia. È con la consapevolezza che l’Autonomia di oggi ha potuto contare sul pensiero e l’opera di tante donne e uomini di qualità, ancora attuali nel loro spirito, che pretendo maggiore rispetto verso tutta la Comunità trentina.
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LUIGI OSS EMER
di Adelina Valcanover
na di par tecipato alla Grande Guerra, fece la campag Ha . 52) 3.19 29.0 – 5 189 .11. (11 se, gine per Luigi Oss Emer, Si sposò. Divenne commerciante di maiali, za. ten par a dall i ann e sett o dop 1, 192 nel Russia e tornò a casa ditoriali e di onestà. noto fin nel Veneto per le sue capacità impren
Bondì siora giornalista, me piaseria propri contar de la Prima Guera. ‘Sto chì l’è l’ultim Nadal del Zentenari. Son el Luigi Oss Emer de Perzen. Molto volentieri. Anche se è stato scritto tantissimo in merito, credo sia comunque interessante sentire una testimonianza diretta. Come sai, noi trentini siamo stati chiamati già nel 1914 con l’ordine di mobilizzazione dell’Imperatore Francesco Giuseppe e arruolati nell’Imperial Esercito Austro-Ungarico. Avevo solo 19 anni, un ragazzo insomma. Dopo un breve addestramento in Austria, sono stato inviato sul fronte russo, quello che si trovava sui Monti Carpazi. Non ti sto a dire quanto fu terribile. Si combatteva disperatamente per contenere e non farsi sbaragliare dall’esercito russo che sembrava una marea che travolgesse tutto e tutti! Cosa successe allora? Era impossibile riuscire a tenere il fronte. Fui fatto prigioniero insieme a tantissimi altri commilitoni e venni portato in Siberia. Ah, la Siberia! Sì, è un Paese famoso per quanti sono vissuti e morti di freddo e di stenti in quella landa. Come prigionieri eravamo costretti a vivere in baracche di legno con un gelo polare, la fame, la sporcizia. Sì, perché per lavarsi eravamo costretti a sciogliere la neve sul fuoco. Malgrado tutto si cantava. A questo proposito c’era una canzone inventata da un prigioniero, che veniva in seguito cantata anche dai reduci. Te la recito, perché illustra molto bene la situazione. “Siam prigionieri,
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siam prigionieri di guerra,/ siam sull’ingrata terra del suolo siberian./Chiusi in baracca sul duro letto di legno/dove di pulci è un regno/ e di pidocchi ancor./E gratta, gratta e gratta/ non si può dormir,/ la pelle è traforata./ oh che crudel destin!/ Il cibo è scarso, da noi vien divorato/ dieci per ogni piatto/ all’uso siberian./ Un dentro, un fora/ e gli altri stan a guardar/ per non urtarsi il braccio/ e la sbobba rovesciar./Ma quando la pace poi verrà/ noi tornerem contenti dove la mamma sta.” Non è da antologia, ma rende bene l’idea. Per la pace passarono anni, contrariamente a quanto pensavano gli Stati Maggiori dei vari eserciti... Mi ricordo che nel febbraio del 1917 lo Zar Nicola II fu deposto e scompare dopo 300 anni la dinastia dei Romanov e al loro posto si susseguirono al comando diversi governi: i Bianchi, i Rossi, i Sovietici… Poi, nel 1918 la Russia firmò un trattato con la Germania. Ma solo perché entrambe le nazioni erano allo stremo. Tu pensa, che le lotte intestine russe durarono ancora per tre lunghi anni. E quali conseguenze ci furono per voi prigionieri? Per noi trentini, tutto questo caos, ebbe un risultato positivo. Ti rammento che era ancora il 1917, la guerra non era finita ma, pare, grazie a certe ambasciate, siamo stati messi in libertà, ma con il patto di venire in Italia, per combattere contro l’Austria. Chi aderiva doveva raggiungere a Pechino! Ma come? Dovevate andare fino in Cina?
I due miei compaesani, che stavano nella mia stessa baracca, erano d’accordo con me e per vie diverse abbiamo raggiunto Pechino. Ma mica è stato semplice arrivarci. Prima mi sono trovato in una fattoria isolata sul fiume Ianisei e la città più vicina era Krasnojarsk. Lì, mi sono fermato parecchi mesi. Ti confesso che sono rimasto lì, perché l’ambiente era famigliare e le donne siberiane erano niente male, sai! Poi ero trattato bene. La fattoria era condotta da sole donne, perché gli uomini si trovavano tutti in guerra e chissà dove erano finiti. L’ambiente contadino mi era molto congeniale, si allevava bestiame e quando era stagione, ci si dedicava anche all’agricoltura. Avevano pure una muta di cani da slitta per il trasporto invernale. Sono diventato l’uomo di fiducia. Andavo al mercato a comprare e vendere bestiame e a volte ero accompagnato da una delle ragazze, per fare i loro acquisti in città. Al mercato si trovava gente di tutte le razze, dai Circassi, che venivano dal Caucaso, i Cosacchi dalle
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steppe del Don, tartari e mongoli con gli occhi a mandorla, Chirghisci… e tutta una babele di lingue. Ho scritto anche una poesia. Poi un bel giorno ho deciso di partire. Mi mancava tanto la mia casa! Come presero la notizia alla fattoria? Lacrime e preghiere che io restassi. Non ti dico la fatica, ma pensavo disperatamente alla mamma e a Pergine, per non cedere. Generosamente la capofamiglia mi diede viveri in una sacca e del denaro per ripagarmi del lavoro svolto e per l’allegria che avevo portato nella loro casa. All’alba, Tatiana, che era la più esperta con i cavalli, ne attaccò due alla troika e mi portò a Krasnojarsk. Dopo diversi giorni di attesa sono salito sul treno della transiberiana, che come di sicuro sai, partiva da Mosca e dopo 9280 km arrivava a Vladivostòk, al confine cinese. Dopo tanti giorni sul treno che
non ti sto a descrivere sono arrivato a Pechino e ho trovato tutti miei compaesani perginesi. E ripartiste subito? No, perché in città si era formato un comando militare dove venivano accolti, assistiti e poi arruolarli nei cosiddetti Battaglioni Neri, formati esclusivamente da trentini, che come da accordi presi sarebbero stati inviati in Italia a combattere contro l’esercito Austro-Ungarico. Poi, come è noto nel novembre 1918, l’Italia uscì vincitrice dal conflitto e non si parlò più di rimpatrio. Immagina come mi sentivo in quella capitale, dopo i silenzi siberiani. Comunque, quando ero libero dai servizi tenevo un diario, scrivevo poesie, cose così. Ero anche uno che si arrabattava bene in cucina.
Ma quando finalmente rientrasti in patria? A casa? Mi sono imbarcato col secondo scaglione e sono sbarcato a Napoli nel 1921. Ero partito sette anni prima. Partito ragazzo e tornato uomo. Ai lettori di Valsugana News desidero dire che sono esperienze che segnano e la pace è davvero una delle cose più preziose da mantenere e difendere. Buone Feste. Il materiale manoscritto.da cui è stata tratta l’intervista tratta dei racconti dei ricordi di guerra di Luigi Oss Emer al nipote.
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El bon Samarita (1838) - de Pelegrí Clavé i Roquer
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di Franco Zadra
La sindrome del buon samaritano «
Ama il prossimo tuo come te stesso» è un principio biblico che si rifà alla più antica Regola Aurea, principio etico fondamentale delle religioni di tutto il mondo. Un principio sano in quanto indicherebbe anche di “amare se stessi”. Il volontariato nelle sue espressioni più genuine sembra rispecchiare da sempre quel principio e rispondere nei fatti alla domanda esplicita contenuta nella parabola del buon samaritano del vangelo di Luca (Lc10,2937): «Ma chi è il mio prossimo?». In tutta risposta Gesù racconta di un uomo aggredito dai briganti e lasciato sulla strada mezzo morto. Passa un sacerdote, ma si gira dall'altra parte, e anche un levita fa lo stesso. «Invece un samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno». Anche per
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il dottore della legge che pone la domanda a Gesù, il samaritano è l’unico che si è fatto prossimo dello sventurato, perché «ha avuto compassione di lui». Grazie a questa parabola, almeno in Occidente, la figura del samaritano è divenuta tipica di un comportamento virtuoso che oggi chiamiamo semplicemente “volontariato”. La psicologia indica tre motivazioni fondamentali per spiegare in modo diverso questo comportamento. In particolare la sociobiologia afferma che dare aiuto sia una reazione istintiva che promuove il benessere di coloro che sono geneticamente simili a noi; la teoria dello scambio sociale pensa invece che le ricompense dell’aiuto spesso superano i costi, tanto da dimostrare che alla base del volontariato vi sia un interesse personale; infine, l’ipotesi empatia-altruismo crede che il dare disinteressato, in certe condizioni, sia stimolato da forti sentimenti di empatia e compassione per la vittima. Quale che sia l’approccio più congeniale al nostro modo di pensare, un interessante studio di Darley e Batson del 1973 (che riprendo da un mio libro di
Jusepe De Ribera, il Buon Samaritano 1650 - 1700 ca scuola di quando frequentavo la facoltà di sociologia a Trento, “Psicologia sociale”, Elliot Aronson, Timothy D. Wilson, Robin M. Akert, ed. Il Mulino, Bologna, 1999) può aiutarci a comprendere anche i comportamenti degli altri due personaggi della parabola, il sacerdote e il levita, poiché a volte capita di non riconoscere affatto una situazione di emergenza che richiede il nostro aiuto. I due ricercatori hanno condotto uno studio che rispecchiava proprio la parabola del buon samaritano. Per la loro
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ricerca hanno coinvolto persone che si pensava fossero estremamente altruiste, dei seminaristi che si preparavano a dedicare la propria vita al servizio della comunità. Venne loro detto di andare in un altro edificio dove i ricercatori dovevano registrare una breve discussione. A qualcuno venne detto che era in ritardo e doveva recarsi in fretta all’appuntamento. Ad altri venne riferito invece che non c’era fretta. Lungo il percorso verso l’altro edificio si trovarono a superare un uomo, complice dei ricercatori, caduto a terra, che tossiva e si lamentava con gli studenti che passavano. Il 63% di quelli che non avevano fretta, si fermarono a soccorrere l’uomo, ma solo il 10% di quelli che dovevano affrettarsi prestarono il loro aiuto, in molti non si accorsero nemmeno dell’uomo. Quando si ha fretta, capita di prestare meno attenzione ed è meno probabile che si aiutino gli altri in difficoltà, ma sorprende che un fattore così banale come la fretta possa addirittura avere la meglio sul tipo di persona che si è. Darley e Batson analizzarono i seminaristi utilizzando una serie di misure
di personalità che ne stimavano la religiosità e trovarono che i soggetti che ottenevano un punteggio alto in queste misurazioni avevano minori probabilità di prestare aiuto rispetto ai soggetti con un punteggio basso. I ricercatori cambiarono anche l’argomento del discorso che gli studenti dovevano pronunciare, ad alcuni venne chiesto di parlare del tipo di impegno che avrebbero voluto avere, ad altri venne chiesto di discutere la parabola del buon samaritano, pensando che i se-
G._Conti - La parabola del Buon Samaritano Messina - Chiesa della Medaglia Miracolosa Casa di Ospitalità Collereale minaristi che avevano riflettuto sulla parabola sarebbero stati più disponibili a fermarsi e a soccorrere l’uomo caduto, vista la somiglianza con il racconto. Ma l’argomento di discussione incise ben poco sull’aiuto prestato all’uomo: se gli studenti erano di fretta, era poco probabile che aiutassero, anche se erano degli individui molto religiosi e avevano discusso della parabola del buon samaritano.
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L’UNICEF United Nations International Children's Emergency Fund
NASCITA E OBIETTIVI PER NUOVO MILLENNIO Il nostro scopo è chiaro. La nostra missione è possibile. E il punto di arrivo è di fronte ai nostri occhi: porre fine alla povertà estrema entro il 2030, garantire una vita in pace e dignità per tutti.
di Sabrina Mottes
(Ban Ki-moon, Segretario Generale dell'ONU)
NICEF è stato istituito dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite l’11 dicembre 1946 con lo scopo di aiutare i bimbi dei paesi europei colpiti dal Secondo conflitto mondiale. L’Italia fu una delle prime Nazioni a beneficiarne. Nel 1953 è diventato un organo permanente dell’ONU, con statuto semi-autonomo e mandato per tutelare e promuovere i diritti di bambine e adolescenti (0-18 anni) in tutto il mondo e per contribuire al miglioramento delle loro condizioni di vita. E’ governato da un Consiglio di Amministrazione composto da 36 Paesi membri, 2 o 3 rappresentanti degli Stati beneficiari dei programmi per l’infanzia e un Direttore esecutivo. Questi, che dal 2010 è Anthony Lake, è nominato dal Segretario Generale dell’ONU e rappresenta l’organizzazione. I quartier generali hanno sede a New York e Ginevra, il centro logistico globale a Copenhagen e l’Innocenti Research Center (IRC) a Firenze. Nel 1965 UNICEF è stato insignito del Premio Nobel per la Pace per la sua attività in difesa dei diritti umani nei conflitti armati. Oggi è attivo con programmi di assistenza diretta in 156 paesi e ter-
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ritori emergenti e in via di sviluppo e in 36 paesi industrializzati dove, tramite i Comitati Nazionali e grazie ai numerosissimi volontari, raccoglie fondi e sensibilizza l’opinione pubblica. Il Comitato Italiano UNICEF, nato nel 1974, è tra i più attivi, dispone di una fitta rete di volontari e il suo contributo al bilancio globale del Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia è così alto da collocarlo nei primi 10 Comitati Nazionali. E’ al tempo stesso Organizzazione non governativa (ONG) e rappresentante di un programma iter-governativo delle Nazioni Unite che gli garantisce anche lo status di Onlus. Nell’anno 2000, la volontà di sconfiggere la povertà estrema, le malattie, l’inquinamento ambientale e raggiungere il miglioramento della qualità della vita di tutti gli esseri umani hanno motivato i Capi di Stato e Governo membri dell’ONU a riunirsi, dal 6 all’8 settembre, a New York nel Vertice del Millennio (la più grande riunione di capi di governo della storia). E’ nata qui la Dichiarazione del Millennio (United Nations Millennium Declaration), nella quale essi si sono assunti la responsabilità del raggiungimento, entro il 2015, di Otto Obiettivi di Sviluppo del Millennio
(OSM): lotta a povertà e fame, istruzione, pari opportunità, riduzione della mortalità infantile, salute materna, lotta all’AIDS e altre malattie, sostenibilità ambientale, partnership globale per lo sviluppo. Ma dopo l’11 settembre 2001, molte delle risorse promesse sono state deviate dagli Stati verso la lotta al terrorismo, affievolendo così le speranze del miliardo di esseri umani che vivono sotto la soglia della povertà e di cui i bambini sono la maggioranza. Così, dal settembre 2015, l’Assemblea Generale dell’ONU ha sostituito gli Obiettivi del Millennio con 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (2016-2030) che spaziano dalla salvaguardia del pianeta fino a tutti i diritti umani fondamentali e rappresentano un'opportunità storica per la gente, il pianeta e la prosperità. UNICEF ha colto questa occasione unica per progredire nella promozione dei diritti e del benessere di ogni bambino e adolescente, soprattutto dei più svantaggiati, e si è impegnata per assicurare, lavorando insieme a Governi, imprese, altre agenzie delle Nazioni Unite e con il sostegno di chi vorrà aderire, un pianeta vivibile per i bambini, gli adolescenti e i giovani, futuro del nostro pianeta.
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di Silvia Tarter
La vasta realtà del volontariato sul territorio trentino ha un punto di riferimento nell’associazione Non Profit Network, un ente con personalità giuridica che dal 2002 gestisce il Centro Servizi per il Volontariato Trentino, con sede in via Lunelli, a cui sono associate oltre 130 associazioni. CSV Trentino, nato dopo la legge 266/91, offre servizi di supporto, promozione e qualificazione del volontariato, con la consapevolezza che “la solidarietà produce benessere, permette ai cittadini di diventare protagonisti della vita collettiva e aumenta il capitale economico e la coesione sociale”. Abbiamo incontrato la responsabile del coordinamento Francesca Fiori. Il Trentino è una realtà eterogenea, ci sono molte piccole organizzazioni sociali territoriali. Da sempre, CSV Trentino si è occupato di seguire non solo le associazioni di volontariato in senso stretto, ad esempio quelle legate a servizi sanitari, ma anche le meno “ufficiali”. Ora, con l’avvio della riforma del Terzo settore, che finalmente riunisce queste attività sotto ad un unico cappello giuridico, si amplifica il nostro raggio d’azione, perché possiamo dialogare non solo con le realtà del volontariato, ma anche con tutte quelle del Terzo settore. Un passo in avanti decisamente positivo quindi... Sì, questa riforma dà finalmente un riconoscimento al ruolo di CSV, facendolo
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LA RETE PER I VOLONTARI NON PROFIT NETWORK CSV TRENTINO
diventare un punto di riferimento; ci permette di “mettere insieme i vari pezzi” e far si che si crei una reale e fattiva sinergia tra le diverse realtà. Se pensiamo che in Trentino abbiamo oltre 4000 unità organizzative, e al ruolo, fondamentale, che queste svolgono in termini di coesione sociale, poter lavorare in modo congiunto è sicuramente un bel vantaggio. Il Trentino ha fama di essere una terra molto sensibile al volontariato, dal vostro osservatorio è ancora così? Anche da parte dei giovani? Certamente, la richiesta di costituzione di nuove associazioni è continua. Da parte dei giovani poi c’è interesse e voglia di impegnarsi socialmente, prestando il proprio servizio ad esempio nella cura dei beni comuni, o come tirocinanti all’interno di organizzazioni, dove si rivelano davvero preziosi. Perché i giovani scelgono di fare volontariato e a che età si può iniziare? I ragazzi che si
avvicinano a questo mondo lo fanno soprattutto per un’esigenza relazionale, ma anche per migliorare le proprie competenze e potersi impegnare in ambiti che li attirano e dei quali condividono gli ideali. Si può diventare volontari anche da minorenni, dai 16 anni in su, naturalmente con il permesso dei genitori. Abbiamo in attivo una serie di attività in collaborazione con le scuole, all’interno delle classi, per fare formazione sul volontariato e cercare di attirare sempre di più i ragazzi. Quali sono gli ambiti su cui state lavorando maggiormente in questo momento? Stiamo collaborando con gli enti territoriali soprattutto in merito ai beni comuni, all’alternanza scuola-lavoro, al welfare di comunità, a progetti di integrazione... Ad esempio, dal 2015 abbiamo sostenuto progetti come il Forno Sociale di Canova, il progetto Mìgola, anche le briciole sono pane, dove grazie ad un forno posizionato nel parco, dove preparare e cuocere il pane, si creano occasioni di dialogo, conoscenza reciproca, scambio interculturale tra persone di diversa etnia e sensibilizzazione alle tematiche dell’autoproduzione. In Tesino, invece, abbiamo collaborato per la costruzione delle Mappe di Comunità, uno strumento di conoscenza, analisi e progettazione dei ter-
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ritori, dove si svolgono diverse attività, dalle performance teatrali alle narrazioni sull’economia circolare. Un altro progetto sostenuto è poi l’Officina de L’Ùcia, la sartoria sociale del centro Astalli, un percorso rivolto ai richiedenti asilo e rifugiati per migliorare la conoscenza della lingua italiana, lo spirito di cooperazione, il dialogo e il valore del riciclo attraverso un laboratorio di sartoria. A Rovereto infine è nato anche grazia alla nostra collaborazione Comun’Orto, uno spazio aperto a tutti dove lavorare la terra insieme, imparando a progettare un orto e a collaborare, confrontandosi anche tra diverse culture. Che rapporto avete con le istituzioni pubbliche? Non si rischia che al volontariato tocchi troppo spesso il ruolo di “supplente”? In realtà abbiamo un rapporto molto complementare con gli enti pubblici, un dialogo costruttivo e un lavoro di rete, ora facilitato dalla nuova riforma. Quali sono le difficoltà che riscontrate nella vostra attività? Come sempre, quando si decide di la-
vorare in rete è difficile mettersi tutti d’accordo, ma l’impatto finale è certamente una grande soddisfazione. Inoltre, ovviamente, a volte ci sono difficoltà “geografiche” dovute all’isolamento di certi territori, e poi, come sempre accade all’interno delle associazioni, c’è il problema del ricambio generazionale, la fatica a trovare nuovi volontari. Per questo cerchiamo di stimolare i giovani ad avvicinarsi e partecipare alle iniziative di volontariato. Molti sono attirati anche dalla possibilità di fare volontariato all’estero, in collaborazione con InCo (Interculturalità e Comunicazione). Cerchiamo inoltre di attivare la partecipazione anche attraverso progetti che possano dare loro competenze utili su un determinato settore. A inizio novembre ad esempio abbiamo organizzato un workshop di impact journalism insieme ad Internazionale nell’ambito del Festival Tutti nello stesso Piatto. E’ anche un modo
per recuperare quella componente di denuncia, incisiva, che il volontariato dovrebbe avere. A tal fine, anche tramite le nostre campagne di comunicazione cerchiamo di smontare i luoghi comuni sul volontariato, per far capire realmente il suo valore a livello sociale ed economico per il benessere della nostra comunità. Per chi fosse interessato a conoscere le opportunità di volontariato in Trentino rimandiamo al sito www.volontariatotrentino.it oppure alla pagina Facebook Non Profit Network CSV Trentino.
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Tanti Auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo
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Com’è bella Levico! La visita della Fap Acli
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di Luciano De Carli
a Federazione Anziani e Pensionati delle Acli di Trento con 44 “camminatori” over 50, è stata in vista alla città di Levico Terme nell’ambito del progetto “due passi in salute con le Acli” per promuovere salute, benessere, e cultura, facendo riscoprire anche ad alcuni pensionati locali, alcune delle bellezze della città. Nel loro percorso, rigorosamente a piedi, hanno visitato il parco delle Terme, Villa Speranza Goio, l’Urna Romana, i Giardini del Buon Ricordo, il Grand Hotel Imperial, dove hanno pranzato, poi Villa Paradiso con la mostra sulla storia delle acque termali, la Torricella degli Avancini, la parrocchiale del SS Redentore, dove hanno avuto anche qualche cenno sui resti di Castel Selva. Ad accompagnarli, il dirigente Fap, Walter Mosna, Floriano Mattivi, membro del direttivo Fap di Trento, con Aurelio Micheloni e il sottoscritto, guide locali dell'associazione scrittori del Trentino Alto Adige. Appena arrivati alla stazione abbiamo parlato della storia ultracentenaria de "la Strada Ferata" della Valsugana, ammirato il "Kafee-Buffet", e la prospettiva del viale della stazione che Teodoro Pollacek ha voluto ai primi del XIX secolo per il
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progetto termale e urbanistico della Società Berlinese. Aurelio Micheloni ha forbito la vista con letture di poesie molto suggestive come, I dorme lì al capitèlo de Prà. Nicola Curzel del Servizio Pat Conservazione della Natura e Valorizzazione Ambientale, al parco asburgico ha parlato delle diverse piante secolari, autoctone o estere, alcune “misteriose”, che l'architetto giardiniere Georg Zhiel ha fatto trasportare e sistemare entro i 12 ettari del parco termale, spiegando le virtù o la pericolosità d'ogni pianta. A Villa Paradiso il gruppo ha visitato la mostra interattiva, con la consultazione di numerose schede sulla storia termale e sulla geologia di Monte Fronte e Panarotta. Villa Sissi, con le sue sale riassestate, ammobiliate,
idarietà
secondo i canoni architettonici di fine Ottocento e del Liberty, ha stimolato l’appetito degli ospiti che hanno potuto godere di un menù tipico, servito all'interno delle sale del palazzo. Da Trento ci ha poi raggiunto Francesca Tabarelli De Fatis dell’agenzia provinciale della famiglia per dire cosa, anche la Fap, può operare per far conoscere e implementare il loro servizio. Vista la Torricella de Avancini, e la ex loggia massonica, il gruppo ha visitato le sale della Canonica Arcipretale, entrando anche nella stanza che ospitò mons. Giovanni Battista Montini quand'era assistente ordinario della Fuci, prima del suo cardinalato e di diventare, nei decenni successivi, vescovo di Milano e poi papa Paolo VI. Terminata la visita alla parrocchiale del SS. Redentore, con i suoi altari laterali, due dei quali ancora della primitiva chiesa barocca dedicata ai santi feltrini Corona e Vittore, e la vetrata dietro l’altar maggiore, con l’episodio della Samaritana al pozzo, il gruppo ACLI è ritornato a Trento in treno, con l’impegno di ritrovarsi per una castagnata sabato 7 dicembre assieme all'Astaa.
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Chiamala, se vuoi,
Cooperazione
Trentina di Franco Zadra
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atale è il momento giusto per riflettere sul volontariato e per accorgersi di che valore rappresenti per la nostra società, un valore fatto di concretezze minute, anche nel senso che non passa minuto delle nostre giornate in cui ricevere luce e calore dai valori e dai principi che questo movimento universale di persone e di idee mette in circolazione. In particolare, questo articolo, vuole dare alcuni spunti per una conoscenza minima della cooperazione trentina, invitando a ripercorrerne la storia, i valori e le regole ispirate dal suo fondatore, don Lorenzo Guetti, che nel 1898 scrisse il “Testamento di don Mentore”. Un mondo sempre in fermento, impossibile da cristallizzare in un articolo, tanto meno in queste poche righe, che forse solo la rete può in qualche modo aiutare i non addetti ai lavori a comprendere. Per questo
dichiariamo subito le nostre fonti, per dare qualche indizio utile al lettore appassionato che voglia ulteriormente approfondire tutto quanto c’è da conoscere della cooperazione trentina. Intanto sul sito di cooperazionetrentina.it si possono trovare notizie e appuntamenti interessanti; c’è poi un mensile cartaceo, "Cooperazione Trentina", che ogni mese fornisce una panoramica a 360 gradi del mondo cooperativo; la pagina facebook di cooperazione trentina è sempre aggiornatissima su notizie, curiosità e iniziative; CooperTrentina è anche su Twitter; da non dimenticare la web tv all’indirizzo cooperazione.tv; infine, un canale di YouTube è dedicato alla cooperazione trentina dove è possibile guardare e commentare i video realizzati dalla Federazione. Ma per capire la storia del movimento cooperativo occorre coglierne le ragioni “etiche” che stanno alla sua origine e ne garantiscono la sussistenza. In generale per “etica” si intende una regola di vita che non si rifà tanto a una qualità interiore del singolo, ma piuttosto all’appartenenza a un gruppo, quando ciò significa l’adesione a valori e principi condivisi all’interno dello stesso,
A tutti i nostri clienti porgiamo i migliori auguri di BUON NATALE e FELICE 2018 30
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don Lorenzo Guetti - Cooperazione Trentina
capaci di orientare un’azione collettiva per raggiungere un fine comune. Il movimento cooperativo, fin dal suo nascere, si è riconosciuto come un’associazione di persone con l’identica volontà di perseguire obiettivi economici, sociali, e culturali sul registro di chiari criteri etici. Il 21 dicembre 1844, 28 tessitori inglesi fondarono la prima impresa cooperativa conosciuta, a Rochdale, ispirandosi a 7 principi di base: l’adesione volontaria dei soci, il controllo democratico da parte dei soci (quello che Grillo chiama “uno vale uno”, una testa un voto), la distribuzione degli utili ai soci in proporzione alle transazioni con la cooperativa effettuate da ciascuno di loro, l’interesse limitato alle quote sociali, la neutralità politica e religiosa, la vendita in contanti, e lo sviluppo dell’educazione cooperativa. A tutt’oggi questa viene considerata la versione originaria dei principi cooperativi. Una sintesi di atteggiamenti e indicazioni universalmente applicabili da ogni cooperativa affiliata al movimento si trovano nella Dichiarazione d’indentità cooperativa del 1995, adottata dall'Associazione Cooperativa Internazionale, già intervenuta in questo senso nel 1937 e nel 1966, con lo scopo di guidare le organizzazioni cooperative verso il XXI secolo e oltre, per spiegare come i principi cooperativi debbano essere interpretati nel mondo contemporaneo. Vi è però anche una Carta dei
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Valori della Cooperazione trentina, frutto dell’opera centenaria di sviluppo compiuta dai promotori di una nuova dimensione umanistica della società, figlia della storia civile e religiosa del Trentino, nella quale si trovano declinati i seguenti valori che vale la pena di elencare: democrazia, reciprocità, eguaglianza, mutualità e solidarietà, profitto cooperativo e intergenerazionalità, equità, rispetto e fiducia, merito, attenzione verso gli altri e umiltà, intercooperazione, onestà, trasparenza, pace, responsabilità sociale, sviluppo sostenibile, libertà, sussidiarietà, e aiuto reciproco. Alla luce di questi valori si potrà leggere la storia della cooperazione trentina come un modo diverso di interpretare l’economia e la società, partendo dalla prima esperienza di Santa Croce in Bleggio nel 1890, alla ricostruzione dopo la prima guerra mondiale, all’azione repressiva del fascismo, alla rinascita nel dopo-guerra, comparata con una storia italiana che vede nascere la prima cooperativa a Torino nel 1854, lo sviluppo nell’età giolittiana, la crisi delle guerre, e la “nuova frontiera cooperativa” degli anni 70/80, ma qui ci dobbiamo limitare a poche piste di ricerca per una storia formidabile e sorprendente, perché del tutto umana.
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vicino agli anziani
di Elisa Corni
cronimo di Autogestione Servizi, l’associazione Auser è una realtà nazionale con una sede distaccata territoriale in quel di Levico Terme. La casa madre è stata fondata nel 1989 su iniziativa di CGIL (Confederazione Generale Italiana del Lavoro, sindacato italiano) e SPI- CGIL, la branca rivolta a pensionati e anziani. Nello specifico, è rivolta agli anziani e suo scopo è la promozione della crescita del loro ruolo attivo nella società. L’attività dell’associazione di volontariato e di coesione sociale Auser è rivolta direttamente ai meno giovani: anziani e pensionati possono trovare dietro la porta di Piazza Medici 5 a Levico Terme personale pronto ad ascoltarli, sostenerli aiutarli. Ma anche coinvolgerli nell’attività sociale della cittadina lacustre e dei comuni limitrofi. L’impegno dell’associazione, in Trentino come su tutto il territorio nazionale, è quello di combattere uno dei grandi nemici della terza età: la solitudine e l’esclusione sociale. Attraverso una serie di attività e azioni coordinate e coinvolgenti, gli anziani, le persone in difficoltà, disagiate e non autosufficienti possono trovare il loro posto nella società. Auser, con i suoi 170 associati, punta alla costruzione di una rete sociale e di assistenza solida sulla quale, chi è in difficoltà, può contare. I servizi, tutti gratuiti e svolti dalla dozzina di volontari dell’associazione, vanno dall’ac-
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compagnamento alla persona a visite mediche, in banca, alla posta o altro, all’assistenza nel fare la spesa. I volontari, infatti, si possono occupare di portare la spesa a chi ha difficoltà a uscire di casa. Allo stesso modo, anziani soli possono passare qualche ora in compagnia, chiacchierando o giocando a carte. I più timidi possono anche usufruire del servizio “compagnia telefonica”, «il più utilizzato - racconta Fabio Recchia, referente della realtà -. Li aiutiamo anche a svolgere le pratiche burocratiche, spesso complesse e impegnative. Ma non è tutto, il referente l’associazione si preoccupa anche di organizzare, in collaborazione con altre associazioni e realtà del territorio, delle attività sociali, culturali e di intrattenimento rivolte proprio ai meno giovani. Ogni anno facciamo almeno un paio di manifestazioni, la festa in primavera e la castagnata in autunno». Inoltre l’associazione di volontariato Auser di Levico è attiva come punto per l’importante servizio “Filo d’Argento”. Questo è un servizio telefonico sociale per le persone anziane. Una sorta di telefono azzurro per i nonni. Negli operatori all’altro lato della cornetta le persone che usufruiscono del servizio possono trovare un amico pronto ad aiutarli nelle difficoltà quotidiane, per affrontare meglio la vita di tutti i giorni. Contro la solitudine, ma anche contro l’emarginazione e le piccole difficoltà che ai più possono sembrare picco-
lezze, una semplice telefonata può cambiare la giornata. «Riceviamo chiamate quasi ogni giorno - conclude Recchia -, ma spesso non ce la facciamo. Il mio augurio per il 2018 è di trovare nuovi volontari!». Per prendere contatto con l’associazione Auser di Levico ci si può recare in Piazza Ganerale Medici 5 dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 11. Si può anche chiamare il numero 0461702200. Per il servizio “Filo d’argento”, attivo 24 ore su 24, il numero da comporre è invece 800 99 59 88.
Direttivo/CdA PRESIDENTE Fabio Recchia VICEPRESIDENTE Rosellina Dalmaso SEGRETARIA Eleonora Lorenzini CONSIGLIERI Martella Chesia Carotta Stefano Carotta Paola Turri Roberto Tomasi Nadia
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IL Nu.Vol.A.
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Nella foto: da sinistra verso destra: CAMPREGHER SANDRO, GIOVANNINI FLAVIO (Capo-nuvola), MARTINELLI SABRINA, BROSEGHINI BRUNO (Vice Capo-nuvola) e SCHMID WALTER (Responsabile della cucina). Acronimo per Nucleo Volontari Alpini, il Nu.Vol.A. è una realtà che sta sotto al grande cappello della Protezione Civile A.N.A. Trento, costituitasi nel gennaio del 1986. Scopo della Protezione Civile, e dei nuclei volontari territoriali trentini (i Nu.Vol.A., appunto) è quello dell’assistenza, dell’aiuto e dell’intervento in caso di calamità naturali. Ma agiscono anche, e soprattutto, nell’ambito della prevenzione. In Trentino ci sono 11 nuclei costituiti, uno dei quali è, appunto, in Valsugana.
di Elisa Corni
uno egli undici nuclei di azione e intervento locale, che, in tutta la nostra provincia, possono contare su 588 iscritti, di cui 122 donne. Il Nu.Vol.A. della Valsugana conta ben settantasei iscritti provenienti da tutta
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la valle: a partire da Baselga, con 12 membri, fino a Villa Agnedo, passando per comuni come Caldonazzo che conta ben 10 iscritti. Il nucleo è stato costituito nel 1988, e ha visto per quasi vent’anni la presidenza del caldonazzese Giorgio Patrenolli. “Due terzi dei nostri a an ug ls Va . .A ol .V Nu o iscritti -spiega Flavio GioDirettiv 8: vannini, Capo-Nu.Vol.A.per il triennio 2016-201 sono pensionati che CAPO-NUVOLA hanno molto tempo liGiovannini Flavio bero. Ma c’è anche una ventina di volontari gioLA VICE CAPO-NUVO vani, e possiamo anche Broseghini Bruno contare su alcune rappresentanti donne”. ELLA CUCINA RESPONSABILE D er Il gruppo fu fondato Schnmid Walt negli anni Ottanta da Maurizio Pinamonti, Tarro pregher Sand Martinelli Sabrina - Cam adri Mauro cisio Parolin e Claudio Carotta Stefano - Tess Battisti e Giorgio PaterViliotti Cesarino nolli, ex presidente che ancora ricorda nelle inTESORIERE terviste l’entusiasmo e la Marchesoni Severino voglia di fare che caratterizzano la loro realtà. “In SEGRETARIO o principio questi gruppi irk Tezzele M volontari si sono dovuti arrangiare” spiega Gio-
vannini; hanno infatti acquistato divise e cinturoni a loro spese. Poi l’intervento delle istituzioni ha fornito agli 11 centri Nu.Vol.A. del Trentino mezzi, strumenti e attrezzature. Ma soprattutto coordinamento. I Nu.Vol.A. sono oggi inseriti all’interno dell’azione generale della Protezione Civile, assieme agli altri 5 sottogruppi pronti a intervenire in caso di emergenze. Come in quella ll’Aquila. “Io all’epoca non ero ancora membro dell’associazione -mi spiega il presidente- ma mi hanno raccontato che il gruppo valsuganotto, a turni di 5 giorni di lavoro, è rimasto nelle zone terremotate per circa nove mesi, preparando circa 1600 pasti al mattino, altrettanti a mezzogiorno e poi per cena”. I Nu.Vol.A. infatti si occupano delle cucine da campo e della preparazione dei pasti per volontari e sfollati. Il 25 novembre sono stati impegnati nella Colletta alimentare. Per conoscere i Nu.Vol.A. potete telefonare al presidente Giovannini (3451032628) oppure presentarvi il primo mercoledì del mese alla loro sede, presso l’Ex Magazzino Alpefrutta di San Cristoforo.
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Quando il giornalismo diventa missione
Nellie Bly di Chiara Paoli
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lizabeth Jane Cochran, nasce a Cochran's Mills in Pennsylvania il 5 maggio del 1864, è la tredicesima di 15 figli, del facoltoso giudice e uomo d'affari Michael Cochran. A soli 6 anni, rimane orfana di padre, la madre costretta ad abbandonare la casa, si ritrova priva di denaro e con cinque figli a carico. Si risposa, trasferendosi a Pittsburgh, ma il compagno è un alcolizzato, e Mary Jane chiede il divorzio; i figli sono chiamati a testimoniare contro il violento patrigno. A causa dei problemi economici in cui versa la famiglia a soli 16 anni Elizabeth è costretta ad abbandonare gli studi e trovare un lavoro. La sua vita cambia nel 1885, quando legge l’articolo dal titolo "A cosa servono le ragazze", apparso sul «Pittsburgh Dispatch». Le donne vengono relegate ai soli lavori domestici e alla cura dei bambini, mentre coloro che lavorano vengono definite una mostruosità. Elizabeth decide di controbattere all’articolo marcatamente maschilista, firmandosi "Orfanella sola". Lo scritto
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«Non ho mai scritto una parola che non provenisse dal mio cuore. E mai lo farò». Nellie Bly
colpisce il direttore George Madden, per la sua veemenza e perspicacia, convinto che lo scritto sia opera di un uomo, pubblica sul giornale un annuncio di lavoro. A presentarsi è la giovane Elizabeth Cochran che necessita di un lavoro e firma così la sua carta d’imbarco per una nuova avventura, quella giornalistica. Madden trova per lei lo pseudonimo, volto a coprirne l’identità, perché il mestiere di giornalista è sconveniente per una donna; tratto dalla celebre canzone di Stephen Foster “Nelly Bly”, il nome d’arte é vittima di un errore di trascrizione. Nellie è considerata una delle iniziatrici del giornalismo sotto copertura; nei suoi articoli la giovane denuncia lo sfruttamento minorile, contesta le condizioni di lavoro, la mancanza di sicurezza e di un adeguato salario. Lei è in prima linea con le sue interviste, quando lo stato della Pennsylvania vuole rivedere le leggi in materia di matrimonio e divorzio a discapito della libertà femminile. La Bly ottiene fama e successo, ma le
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sue inchieste sono scomode e il giornale rischia di perdere i finanziamenti; viene quindi confinata alle pagine di moda e giardinaggio, ma questa veste le sta stretta. Riesce a ottenere l’incarico come corrispondente in Messico, dove tra 1886 e 1887, si dedica alla scrittura di articoli che gridano la miseria e la corruzione di questo paese. In soli 6 mesi viene cacciata, il dittatore Porfirio Diaz non tollera il suo articolo, dedicato all’imprigionamento di un collega cronista, che ha osato criticare il governo messicano. Nellie ritorna al «Dispatch», ma il suo destino è già scritto e la sua prossima meta è New York, dove riesce a conquistare Joseph Pulitzer che gli offre un posto al “New York World”. È qui che la sua missione giornalistica prende il sopravvento, sulla sua stessa salute fisica e mentale, rendendola celebre. Per la sua prima inchiesta sotto copertura, Nellie si atteggia a persona con disturbi mentali, riuscendo a farsi internare nell’ospedale psichiatrico femminile di Blackwell’s Island. Frutto di questa esperienza traumatica è l’opera “Dieci giorni in Manicomio”, in cui riporta violenze e prepotenze, cui sono sottoposte le malate. L’inchiesta
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solleva un polverone che induce alla riorganizzazione degli istituti di cura mentale. Nellie si fa arrestare, per poter riportare con cognizione di causa, le condizioni in cui versano le carcerate, e si occupa delle questioni scottanti come lo sciopero delle Pullman Railroads (Chicago 1894), descritto attraverso gli occhi dei lavoranti. I suoi articoli sono pregni di passione e le fanno ottenere dal New York Journal, il titolo di “migliore reporter
d’America”. La sua più celebre impresa fu quella di battere sul tempo Phileas Fogg, protagonista del romanzo di Jules Verne, “Giro del mondo in 80 giorni”. È il 14 novembre del 1889, quando Nellie Bly parte; i lettori possono seguire le sue gesta attraverso gli articoli e il gioco dell’oca, pubblicati sul New York World. Il 25 gennaio 1890, migliaia di persone la accolgono al suo ritorno e celebrano il suo primato; il giro del mondo è stato compiuto in 72 giorni, 6 ore e 11 minuti. Elizabeth, forse stanca di questa vita fin troppo avventurosa, a 30 anni abbandona il giornalismo e sposa Robert Seaman, industriale milionario. Alla morte del coniuge, nel 1904, prende in mano le sue aziende, ma in pochi anni è costretta a dichiarare bancarotta, e fugge in Svizzera. È nel 1914, allo scoppio della guerra che Nellie Bly si rimette all’opera, divenendo per il “New York Evening Journal”, inviata di guerra sul fronte austriaco.
Fa ritorno a New York, portando avanti la sua attività giornalistica e sfruttando la sua influenza, per aiutare vedove e orfani di guerra. Muore di polmonite a 57 anni, il 27 gennaio del 1922.
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Cooperativa SOS-Feriendorf
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di Elisa Corni
Fondata nel 1949 da Hermann Gmeiner, allora studente di medicina, a Imst, in Tirolo (Austria) SOS Kinderdorf è una Onlus internazionale privata (apolitica e aconfessionale) che sostiene lo sviluppo, i diritti e i bisogni dei bambini orfani o privi di cure genitoriali. In Valsugana, a Caldonazzo, gestisce una colonia estiva che, dal 1953, accoglie ogni anno centinaia e centinaia di ragazzini. OS Kinderdorf è nata alla fine della Seconda Guerra Mondiale per offrire un tetto e affetto ai molti orfani di guerra. Da allora, instancabilmente, ha valicato i confini austriaci e opera in diversi paesi per la tutela e l’assistenza dei minori. È infatti un’associazione presente in ben 153 paesi, ma che ha trovato in Valsugana, più precisamente sulle sponde del Lago di Caldonazzo, un luogo dove ragazzi provenienti da tutto il mondo possono trascorrere le loro estati. Due le strutture ospitanti: il grande ex albergo in fondo a Via Roma, e gli undici ettari di terreno in riva al lago. In questo modo, SOS-Feriendorf può accogliere più di mille minori orfani o al-
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Direttivo/CdA
esidente. È stato HELMUT KUTIN: Pr nte di SOS-Kindal 1985 al 2012 Preside l’organizzazione derdorf International, ello mondiale a che dal 1949 opera a liv ficoltà attraverso favore dell’infanzia in dif ture SOS quali: la realizzazione di strut centri sociali di Villaggi SOS, scuole, centri di formaaiuto alla popolazione, zione professionale. OZIL: VicepreDR.WILFRIED VYSL ttore generale di sidente. È anche Dire weit con sede a SOS-Kinderdörfer Welt ndo che finanzia Monaco di Baviera, il Fo ldonazzo. anche la struttura di Ca K: consigliere. È DR. KAY VORWER rale dell’associaanche Direttore gene sca. zione Villaggi SOS tede EN EBERLE: DOTT.SSA CARM della struttura consigliere e direttore
Hermann Gmeiner - 1982 - Caldonazzo lontanati dalle loro famiglie. L’obiettivo della Onlus è quello di offrire a questi ragazzi le migliori opportunità, a partire da una solida rete famigliare, fatta di cure, affetto e sostegno. Adozioni a distanza e sostegni a distanza sono due delle modalità con le quali si può partecipare a questo importante progetto. Alla base dell’operato di questa realtà ci sta il pensiero illuminato del suo fondatore. Tornato dal Fronte Russo, dopo aver assistito alle atrocità della guerra, il giovanissimo studente si accorse che la devastazione non era ancora terminata: i bambini orfani e in difficoltà erano tantissimi, troppi. Così cominciò il suo lungo cammino di volontariato e assistenza; un cammino guidato da queste parole: «Il giorno in cui potremo dire con piena convinzione che tutti i bambini del mondo sono i nostri bambini, inizierà davvero la pace sulla terra».
Nel 2013 la struttura di Caldonazzo ha festeggiato sessant’anni di attività, e il sindaco di Caldonazzo, Giorgio Schmidt, ha ben riassunto il valore sociale e comunitario della realtà del Kinderdorf: «Il Villaggio SOS di Caldonazzo, così bello e ben curato, è un luogo che rimane nel cuore di ogni ragazzo che qui arriva da ogni parte d’Europa per trascorrere qualche giornata di relax all’insegna della fratellanza e che qui trova una ambiente protetto e spettacolare. […] È un grande momento di confronto e di crescita. Ma anche per noi abitanti di Caldonazzo, il Villaggio SOS è diventato dalla sua fondazione nel 1953, una realtà importante del tessuto sociale del nostro paese e ognuno ha un ricordo particolare in questa occasione». Per informazioni su SOS-Feriendorf: Via Monterovere 1 - Caldonazzo 0461 724075 e www.sos-feriendorf.it
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aiutiamoli
a vivere
«Aiutiamoli a Vivere», un richiamo al metterci a disposizione del prossimo, questo il nome dell'Associazione Trentina che opera senza fini di lucro nel campo degli aiuti umanitari e della solidarietà
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uesta realtà nasce nel 1994, aderendo alla sede nazionale di Terni, con cui collabora in sinergia per la realizzazione e la promozione dei progetti, in primis quello che prevede l’accoglienza e l’organizzazione delle vacanze per i bambini di Chernobyl. L'Associazione conta ben 40 Comitati sul territorio provinciale che si avvalgono dell’aiuto e del sostegno delle famiglie che vivono sul territorio e che scelgono di ospitare un bambino. Nella zona della Valsugana sono attivi ben tre comitati, uno a Civezzano, un altro a Baselga di Pinè, e uno a Borgo. Il “Progetto accoglienza” ha lo scopo di regalare, a un gruppo di bambini di età compresa tra i 7 e i 15 anni, una vacanza “disintossicante” in Trentino. Per questi giovani, allontanarsi dai luoghi contaminati e mangiare cibi non contaminati, costituisce un grandissimo beneficio, in un mese il Cesio radioattivo presente nel loro organismo si ri-
duce dal 30% al 50%. Il progetto “Un passo nel futuro”, promuove anche l’accoglienza a studenti che frequentano corsi di formazione realizzati dalla realtà trentina, in collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento, il Ministero dell’Istruzione Regione di Vitebsk e il Ministero del Lavoro Regione di Vitebsk. Il programma mira a sostenere la possibilità di accesso all’Università, per gli studenti meritevoli e bisognosi che potranno godere di borse di studio, ma vuole anche affiancare e assistere alcuni ragazzi, nella formazione professionale e nel loro ingresso nel mondo del lavoro. “Adotta uno studente universitario”, è una proposta volta a sostenere economicamente gli studenti che non possono permettersi gli studi; perché possano frequentare l'Università, per avere maggiori opportunità nel mondo del lavoro.
L'Associazione Trentina Aiutiamoli a Vivere (1) si costituì con la finalità di accogliere presso le famiglie italiane i bambini bielorussi
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di Chiara Paoli
Viene promossa e sostenuta anche la formazione professionale, rivolta ai ragazzi tra i 13 e i 16 anni, che possono imparare un mestiere nei settori dell’artigianato, dell’agricoltura, o dell’informatica. “Progetto Africa” rientra nel progetto di Promozione dello Sviluppo Umano e intende migliorare le condizioni medico sanitarie e in particolare le condizioni relative alle trasfusioni di sangue, necessarie per i malati di Aids e per gli anemici. Il programma prevede anche l’impegno nell’ambito delle adozioni a distanza; sono molti i bambini che hanno bisogno del nostro aiuto per garantire loro l’istruzione e l’educazione necessaria a formare le nuove generazioni. “Vacanze Lavoro”, prevede che ogni anno, volontari provenienti da tutte le regioni d’Italia, trascorrano 2 settimane, offrendo il loro tempo e il loro impegno per ristrutturare e apportare migliorie negli istituti. Il progetto promuove lo scambio e il lavoro a fianco di personale bielorusso, in un’ottica di condivisione e collaborazione per la creazione di un futuro migliore. Un apposito gruppo lavoro, controlla gli istituti dove sono stati eseguiti i lavori di ristrutturazione, per verificare il “corretto” utilizzo delle nuove strutture, al fine di preservarle. Il sostegno economico della Fondazione va in aiuto per l’acquisto dei beni di largo consumo, attraverso un sostegno economico diretto, o tramite raccolte organizzate dai Comitati, che poi inviano il tutto con il Tir della Speranza, che giunge a destinazione nel mese di aprile.
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I volontari in realtà di questo tipo sono fondamentali, e un gruppo di persone disponibili a recarsi in Bielorussia, almeno due volte all’anno, viene mandato negli istituti per insegnare al personale presente come utilizzare i materiali, perché venga portata avanti una buona igiene personale e dell’ambiente. La fondazione “Aiutiamoli a vivere” da molti anni si occupa di progetti sanitari, prendendo a cuore i bambini ammalati di varie patologie come la mucoviscidosi, detta anche fibrosi cistica, la leucemia, la sindrome di Down, la sindrome maxillo-facciale, deficit della vista o dell’udito e disabilità di vario genere. Questo è possibile grazie al sostegno alla formazione specialistica, alla donazione di attrezzature mediche e dei medicinali necessari per le cure. C’è però un Tir della speranza speciale, quello informativo e formativo che dà modo nel mese di ottobre di conoscere la realtà Bielorussa e vedere con i propri occhi il frutto dei progetti della fondazione “Aiutiamoli a vivere”. Chiunque può sostenere l’associazione con donazioni od offrendo il proprio tempo e la propria casa per un bambino che ha subito le terribili conseguenze del disastro nucleare di Chernobyl. Info su: www.associazioneaiutiamoliavivere.it ufficio@associazioneaiutiamoliavivere.it
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CATECHISTI
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il volontariato a favore della comunità cristiana di Chiara Paoli
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ssere catechisti in quest’epoca in cui prevale l’individualismo e dove la comunità pare sgretolarsi, non è semplice. È sempre più difficile trovare persone che abbiano il tempo e le doti necessarie per operare con i ragazzi e per indicare loro la via che Gesù di Nazareth ha imboccato per la Cristianità. Gli stessi parroci faticano a trovare un sostegno per seguire i ragazzi nel percorso verso i sacramenti della Riconciliazione, Prima Comunione e quindi Cresima. Quella del catechista è una missione, per conto di Dio, ma più semplicemente per conto della comunità cristiana che delega a queste figure un compito importante, quello di insegnare ai giovani la Parola di Dio. Spesso questo impegno non viene riconosciuto e valorizzato dai bambini e ragazzi, che spesso rendono il compito dei catechisti estremamente difficoltoso e impegnativo, per cui molti rinun-
ciano all’incarico, non sentendosi all’altezza della situazione. Neppure le famiglie e la comunità, sono particolarmente attente a sostenere e apprezzare l’operato di questi volontari che operano all’interno della chiesa per aiutare le nuove generazioni a crescere nella loro fede. Questo articolo vuole essere un omaggio e un ringraziamento a tutti i catechisti e le catechiste che dedicano il loro tempo alla comunità cristiana, senza chiedere nulla in cambio. Diversi sono i momenti di formazione dedicati ai catechisti, a livello diocesano ma anche locale; questi incontri servono anche a sostenersi l’un l’altro, per sentirsi parte di una grande comunità che porta avanti un impegno comune: quello della formazione delle nuove generazioni in seno alla Chiesa Cattolica. Il catechista per costruire comunità deve impegnarsi in primis a costruire rapporti e riscoprire il volto umano della cristianità. Un catechista è una persona di grande e profonda umanità, che sa intessere rapporti con il prossimo, dimostra interesse per ciò che i ragazzi chiedono o esprimono, divenendo per loro una figura di riferimento. In un’epoca in cui anche la fede sembra divenire funzionalista, per cui ci si sente estranei alla Chiesa se al suo interno non si ha un compito da svolgere, si genera, soprattutto nei giovani, un senso di estraneità. Chiesa e dottrina appaiono così come due elementi disgiunti che non hanno nulla in comune, e troppo spesso la cresima è vissuta dai giovani come un momento di liberazione. Ma ogni catechista vorrebbe che la Cresima fosse solo una
pietra miliare nel percorso di vita cristiana di ogni giovane. La missione di chi opera in ambito catechetico è quella di divenire partecipe della vita degli altri, condividendo pensieri, storie ed emozioni, per costruire una sorta di famiglia allargata. Questa è quella che la dottoressa Paola Bignardi, in occasione dell’annuale convegno diocesano dei catechisti, dal titolo “Una comunità che genera vita, per riscoprirsi comunità, per educare alla comunità”, ha definito una comunità generativa. Solo così si genera benessere all’interno della comunità, in un mondo consumistico che ci sta divorando, c’è bisogno di ritrovare e riscoprire la dimensione relazionale che va perdendosi nel mare dei social, delle mail e delle chat. Lo stesso Gesù ha operato in questo modo, divenendo “pescatore di uomini”, scegliendo i suoi apostoli, condividendo con loro pensieri, esperienze, emozioni e insegnamenti. Solo attraverso l’esperienza condivisa e la relazione è possibile costruire e scoprire la bellezza, il valore e la necessità del costruire comunità.
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UNIVERSO GIOVANILE e L’IMPEGNO nel VOLONTARIATO
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Non puntiamo il dito solo ai giovani di Patrizia Rapposelli l rapporto giovani e mondo del volontariato si figura come tema più recente e dibattuto. Tale interesse è suscitato dal fatto che l’attività umanitaria potrebbe essere un mezzo per garantire una condizione di società futura più giusta e solidale, mentre dall’altra i giovani rappresenterebbero un’anticipazione dei tratti della società del domani. Detto questo i dati ci mostrano come due giovani su tre (64,8%) non ha mai fatto un’attività di volontariato e solo il 6,6% lo fa in modo continuativo, isolato un 7% come impegno saltuario. Si parla di “calo dell’impegno”; un dato sorprendente vista l’impressione generale che vede l’universo giovanile appoggiare tale servizio. Scarsa sensibilità, mancanza di tempo materiale per dedicarsi all’altro, indifferenza, tutte motivazioni possibili, banali, ma reali; ritengo però non sia giusto puntare il dito solo verso il giovane adulto. Egli è un soggetto in formazione, inserito in un’odierna società fortemente differenziata a livello strutturale e culturale, dove l’incertezza la fa da padrona sotto più punti di vista: perdite di confini, promozione di valori ambigui, riti di
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passaggio assenti, mancanza di percorsi chiari per divenire adulti. Un testo letto riconduce l’analisi a questa situazione, ponendosi l’interrogativo sull’effettiva responsabilità cittadina generale; se prima un uomo non è in grado di partecipare pienamente alla vita sociale assolvendo il suo dovere di ruolo (cittadino, alunno, figlio, padre, madre, etc.) come può militare in un’associazione solidaristica? Dall’altra aggiungo se in prima linea non sono le agenzie socializzanti a stimolare che ciò avvenga, sembra difficile che un ragazzo in via di formazione possa apprendere il valore etico ed educativo del fare per gli altri. Agenzia primaria è la famiglia, secondaria la scuola, le associazioni, la Chiesa e molte altre; non mancano le politiche sociali a impronta solidaristica in un sistema di Welfare municipale e nemmeno la sperimentazione e promozione di nuovi servizi a pratica solidale, ma non dimentichiamoci che l’uomo sociale deve fare i conti con la società di appartenenza in una relazione parte-tutto con essa. Significa che è difficile riuscire a contrastare un carattere tipico della società moderna, il quale nel tempo e nella storia non ha fatto che costruirsi e consolidarsi; tale tratto lo riconduciamo alla figura “Homo Economicus”, che tutto calcola e riduce all’utile
personale. Si dice che “le qualità dell’essere scompaiono nei ricchi come nei meno ricchi, nei giovani come negli anziani; rimane l’individualismo e l’egoismo che li accomuna.” Una visione cruda che vede i rapporti su ogni piano sovradeterminati dalla ricerca del fine a sé stesso, movente condiviso il cui simbolo è il soldo. In egual modo si deve tener conto della situazione di crisi che verte il Paese, un’instabilità socio-politica ad ampio raggio, sia sul versante finanziario che valoriale, in cui il mutamento e il rinnovamento creano loro stessi un cittadino traballante. Nell’attualità oltremodo non mancano le forze per sensibilizzare e riequilibrare il carattere economico con una modalità più empatica ed i giovani sono una risorsa per un futuro più solidale; la vita associativa e l’impegno umanitario faticano a farsi strada nell’universo giovanile, ma ciò richiede tempo e pazienza, come una transizione dall’adolescenza all’età adulta. Lo scrittore Marchesi simpaticamente scrisse:” E se i giovani fossero fessi? Può capitare una generazione di fessi.” Nessuno è “fesso”, a volte è solo comodo sembrarlo.
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ai piccoli l’ospedale non fa più paura
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di Chiara Paoli
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’Associazione per il Bambino in Ospedale, meglio nota come Abio, è un'organizzazione non lucrativa di utilità sociale che dal 2001 ha una sua realtà anche nella provincia di Trento. L’esperienza ospedaliera per un bambino può essere traumatica, d'altronde lo è anche per gli adulti; proprio per rendere questi momenti di degenza meno infelici e tristi e nata Abio. Attualmente è composta da 60 soci volontari che operano nelle seguenti strutture: • dal 2001 presso il reparto di Medicina Pediatrica dell’ospedale S. Chiara di Trento, e dal febbraio 2007 anche presso il reparto di Chirurgia Pediatrica; • da novembre 2007, i volontari sono presenti anche presso il reparto di Pediatria dell’ospedale di Rovereto. La locale associazione è parte della grande famiglia Abio (www.abio.org), che opera dal 1978, e conta più di 5.000 volontari che operano in 200 re-
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parti, radunati sul territorio nazionale in 66 sedi (di cui 4 in tirocinio), coordinate dalla Fondazione Abio Italia che ha sede a Milano. L’associazione offre ai piccoli sostegno e svago nel periodo di ricovero e fornisce sostegno ai genitori che sono chiamati ad assistere i propri figli. Ma cosa fanno concretamente i volontari Abio? Per entrare a far parte della squadra che opera in corsia, è necessario essere maggiorenni, godere di buona salute, avere un carattere solare e una certa inclinazione per i bambini. A tutto ciò si aggiunge la frequentazione di un apposito corso di formazione; l’impegno richiesto, possibilmente costante, è di almeno 3 ore a settimana. Il compito di questi “angeli” di corsia è quello di intrattenere i pazienti durante le visite e le sedute terapeutiche, rendere il reparto più colorato e gradevole, appendendo decorazioni e addobbi a tema. In assenza dei genitori il volontario diviene una presenza di supporto per il bambino, divenendo un amico per la famiglia stessa, alla quale fornisce informazioni utili, sostegno e ascolto. Molti sono i doni che Abio mette a disposizione dei bambini ricoverati, a partire dal kit di accoglienza; si tratta di un piccolo e colorato zaino di stoffa che contiene alcuni simpatici giochi. Tra i regali, una bambola bianca da vestire e colorare e una macchinina di legno, costruita dalla Cooperativa Sociale “Punto d’Incontro” di Trento, anch’essa da
decorare e personalizzare. Ma i volontari hanno molte frecce nel proprio arco e per raccontare fiabe, godono dell’ausilio del baule magico, ricco di oggetti e travestimenti per raccontare tante storie, non manca ovviamente il momento dedicato alle favole della buonanotte. Ma i volontari Abio non operano solo nel reparto pediatrico degli ospedali di Trento e Rovereto, hanno infatti recentemente allargato il loro operato, comprendendo anche il nuovo Centro di Protonterapia, l’unico in Italia dove si curano i tumori solidi anche in età pediatrica.
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Qui l’associazione ha allestito una sala giochi e ha sovvenzionato la realizzazione di pannelli decorativi, volti a rendere l’ambiente meno asettico e più gradevole per i bambini; l’operazione è stata realizzato grazie all’aiuto e all’operato degli studenti della classe 4a A dell’Istituto d’Arte Alessandro Vittoria di Trento. Dal 2013 Abio è entrata a far parte del
progetto No Profit della Dolomiti Energia Basket Trentino, lo sport vuole così sostenere la solidarietà. È il 2008 quando la Fondazione Abio Italia, con l’aiuto della Società Italiana di Pediatria, si dedica alla stesura della Carta dei Diritti dei Bambini e degli Adolescenti in Ospedale. Da questo documento sono stati poi ricavati dei valori tangibili e misurabili, utili a valutare il livello di qualità offerto dai reparti di pediatria, da cui ne consegue la certificazione di ospedale "All'altezza dei bambini". Divenire volontario Abio significa entrare nel cuore dei bambini, nel momento in cui essi sono più fragili e più bisognosi, vuol dire divenire amico, ma anche punto di riferimento all’interno di un luogo estraneo come è l’ospedale. Sostenere Abio è possibile attraverso il 5x mille, con una donazione libera o in occasione delle campagne, come quella realizzata in occasione della
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giornata nazionale Abio, celebrata lo scorso 30 settembre con la vendita delle pere. A dicembre, per celebrare i 15 anni di Abio Trento, sarà possibile acquistare anche il calendario 2018, arricchito con le foto dei disegni dei bambini assistiti. Chi invece vuole donare il suo tempo per assistere i bambini in ospedale, ed entrare a far parte di questa grande squadra di angeli custodi che operano in corsia, può chiedere informazioni via mail a info@abiotrento.org o consultare il sito dell’associazione: www.abiotrento.org.
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Lo studio di Psicologia e Psicoterapia riceve solo su appuntamento a: Borgo Valsugana Scala al Convento, 2 Vicino al Caffè Roma
STUDIO DI PSICOLOGIA E PSICOTERAPIA Borgo Valsugana
Dal 2017 lo Studio di Psicologia e Psicoterapia si è ampliato e conta quattro professionisti, psicologi e psicoterapeuti con diversi ambiti di competenza, che hanno il piacere di lavorare insieme per fornire un servizio qualificato che risponda ai bisogni diversificati delle persone. In alcuni casi quello di cui una persona può aver bisogno è un supporto per esprimersi al meglio, potenziare le proprie abilità cognitive, sviluppare abilità socio-emotive, acquisire competenze e maggiore consapevolezza di sé. Il fine è di stare bene con se stessi e con gli altri e vivere i propri
contesti di vita significativi, siano essi la famiglia, il gruppo dei pari, la scuola, il lavoro. Alcune volte il disagio psichico può essere rappresentato da sentimenti d’ansia e panico, dalla sensazione di essere bloccato in una situazione, da alterazioni dell’umore, rabbia, sensi di colpa, pensieri disfunzionali che possono essere più o meno invasivi e disturbanti. La sofferenza può anche coinvolgere aspetti somatici (del corpo) ed interferire con le attività della vita quotidiana, comportando ad esempio difficoltà nel sonno, facile irritabilità, agitazione e stanchezza fisica, o semplicemente
il non riuscire più a svolgere compiti che erano ordinari o a stare nel momento presente. Questi stati d'animo meritano attenzione e possono beneficiare di un intervento psicologico e psicoterapico. La “Mission” dello Studio è fornire uno spazio e un tempo in cui fermarsi, prendersi cura del proprio benessere psicologico, e, con l'aiuto del professionista, comprendere meglio la situazione in cui ci si trova, conoscere i propri limiti e le proprie risorse per essere così protagonisti del proprio cambiamento.
Dott.ssa KETTY DORIGUZZI, psicologa e psicoterapeuta specializzata in Terapia Familiare. Consulenze e percorsi terapeutici rivolti ad adolescenti, giovani adulti, coppie con e senza figli, famiglie. Lavora in ottica sistemico-relazionale; la persona è al centro del mondo di relazioni cui appartiene. Collabora con il Tribunale di Sorveglianza di Trento come Esperto in tematiche psicologiche. Tel. 347 8578057 - email: doriguzzi.ketty@gmail.com
Dott.ssa SILVIA MARCHI, psicologa Master Erickson in Disturbi Specifici dell’Apprendimento e Difficoltà Scolastiche. Prevenzione, consulenza, diagnosi, riabilitazione e sostegno psicologico nell’ambito dell’età evolutiva (infanzia e adolescenza); valutazione e trattamento di Disturbi Specifici dell’Apprendimento; conduzione di gruppi di potenziamento di abilità scolastiche, socio-emotive, autostima; collabora con il servizio infanzia e istruzione della Provincia Autonoma di Trento in attività formative. Tel. 349 6454644 - email: silviamarchi.psy@gmail.com
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Dott.ssa ALESSANDRA OSLER, psicologa Master Experience in tecniche di rilassamento. Operatrice di Training Autogeno. Prevenzione, consulenza, riabilitazione e sostegno in ambito psicologico. Conduzione di gruppi con l’insegnamento di tecniche di rilassamento in sé o in supporto a disturbi d’ansia e psicosomatici. Conduzione di gruppi nella psico-profilassi al parto e rilassamento in gravidanza. Docente nell’ambito di interventi di Family Audit per la conciliazione famiglia e lavoro per SAD s.c.s.. Tel. 349 7704653 - email: osleralessandra@gmail.com
Dott. DAVIDE PACHER, psicologo e psicoterapeuta Master in Psicologia gerontologica, Specialista del Ciclo di Vita ad indirizzo Adulto e Anziano. Consulente presso alcune A.P.S.P. trentine, collabora con il S.A.P. – Counseling e Psicoterapia e il Lab.I – Servizio e Laboratorio di Ricerca e Formazione in Psicologia dell’Invecchiamento dell’Università degli Studi di Padova. Da diversi anni si occupa di interventi di promozione del benessere e della qualità di vita rivolti alla popolazione adulta e anziana presso gli Enti e sul territorio. Tel. 328 1256406 - email: davidepacher@gmail.com
RACCONTI DI PSICOLOGIA Forse non tutti sanno che la Psicologia nasce per rispondere a domande come: che cos’è la coscienza? da dove nascono i pensieri? che relazione c’è tra mente e corpo? Ecco qualche passaggio chiave della sua storia! A metà dell’Ottocento in Germania, viene creato un laboratorio dove si studiano i tempi di reazione delle persone. Quanto tempo si impiega a schiacciare un pulsante dopo aver visto una certa immagine? Che cosa facilita la correttezza e la velocità della risposta e cosa le ostacola? Queste erano alcune domande che si erano posti i primi ricercatori in questo campo, supponendo l'esistenza di processi mentali sottostanti. È per merito degli studi di Wilhelm Wundt (1832-1920) che la psicologia si affranca dalla filosofia e diventa scienza che studia l’esperienza soggettiva interna alla persona: sensazioni, percezioni, intelligenza, memoria, sentimenti, atti volontari, diventano quindi quantificabili e misurabili.
Questo particolare momento storico da il via a numerosi studi e innovazioni che si succederanno di pari passo con lo sviluppo tecnologico degli strumenti di indagine; alcuni si focalizzano sul comportamento osservabile, altri sul funzionamento interno alla persona, altri ancora sul suo mondo relazionale. In questo clima di curiosità e fiducia si sviluppa la psicologia della Gestalt (dal tedesco = forma), interessata al modo in cui gli oggetti compaiono all'occhio umano e allo studio delle illusioni ottiche. Ricercatori come il triestino Gaetano Kanisza, scoprono che ciò che viene percepito non è dato solo dalle caratteristiche dell’oggetto osservato perché la mente organizza ciò che vede allo scopo di “dargli una forma” e renderlo utile e codificabile (vedi figura). Il tutto è diverso dalla somma delle singole parti. A Sigmund Freud (1856-1937), nei primi anni del Novecento, va il merito di aver introdotto un nuovo approccio alla cura di diversi disturbi emotivi che prima era di esclusiva competenza medica: la psicoterapia diventa disciplina al pari della medicina. Freud elabora la teoria psicoanalitica, secondo la quale ciò che è “inconscio”, in termini di desideri, emozioni e pulsioni, seppur inconsapevolmente, può orientare il pensiero e il comportamento delle persone, infatti i contenuti inconsci disturbanti e dolorosi (come traumi infantili o abusi) possono essere causa di sintomi “nevrotici”. Da questo momento in poi
la cura di gran parte dei disturbi mentali passa dall'agire esclusivamente sul corpo, all'agire anche sulla mente dei pazienti attraverso l'uso della parola e in una relazione con un terapeuta, che può aiutare a rendere consapevole la sofferenza, per ottenere un migliore equilibrio psichico. Ai giorni nostri la Psicologia è una disciplina vasta e conta diversi approcci e orientamenti sia per aiutare ad affrontare il disagio, sia per promuovere il benessere delle persone. Oggi la legge italiana riconosce come sanitaria la professione dello Psicologo e dello Psicoterapeuta (art.1 , legge n.56, 1989) e sancisce che l'attività professionale comprende “l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alla comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito”. Psicologia della Gestalt: “Il triangolo di Kanisza”: quanti triangoli ci sono in questa immagine? (l’occhio umano ne vede più di uno … ma in realtà non c’è nessun triangolo!). Il cubo di Necker”: provate a fissare il cubo per un po’ … vedrete che la prospettiva cambia continuamente.
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uando la strada finisce col diventare la propria casa, la solitudine colpisce e ferisce ancor più di fame e freddo. Per questo, una semplice parola, un gesto d’attenzione e un po’ di umanità possono davvero fare la differenza. L’Associazione Volontari di Strada opera proprio a questo scopo: fornire un aiuto alle persone che vivono in strada e precisamente in piazza Dante a Trento, divenuta ormai da qualche tempo residenza “fissa” di senzatetto, disperati e spacciatori. L’Associazione nasce nel ’99 a Villa S. Ignazio, dove ha sede legale, da un gruppo di studenti volontari. Allora le persone in strada erano molte meno, vuoi perché la crisi non c’era ancora stata, vuoi perché i flussi migratori non erano tanto intensi. Il gruppo si è ingrandito ed arriva oggi a riunire, come ci spiega l’attuale presidente Francesco Pilati, una ventina di volontari, soprattutto giovani studenti fuori sede che due volte a settimana, il lunedì e il giovedì, si trovano nella sede del Punto d’incontro in via Travai, per preparare panini e bevande
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VOLONTARI di STRADA
calde, che poi andranno a distribuire agli abitanti di Piazza Dante, dalle 19.30 alle 21.30 circa. Un modo decisamente diverso di passare la serata per i volontari, a tu per tu con persone per le quali panino e the caldo diventano il pretesto per scambiare due parole e rompere, per un attimo, l’isolamento in cui si trovano. “Il nostro obiettivo è creare un momento di incontro e di convivialità, di normalità; non puntiamo a grandi salvataggi” spiega Francesco. “L’associazione è ormai consolidata, gli abitanti della piazza ci conoscono, sono bene o male sempre le stesse 20-30 persone che frequentiamo. È una popolazione piuttosto variegata: stranieri, ma anche italiani, persone con problemi legati all’abuso di sostanze stupefacenti e problemi psicologici, padri separati, gente che magari ha perso il lavoro dopo aver lavorato molti anni e ha visto infrangere il proprio progetto di vita... Sono per lo più uomini ma ci sono anche donne”. Ma di che cosa si parla in queste serate?
Di cosa hanno bisogno queste persone? Chiediamo. “Semplicemente di relazione. Parlano di tutto, di come hanno passato la giornata... Alcuni raccontano storie av-
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venturose, probabilmente non sempre vere.” Oltre a distribuire panini e bevande, i volontari spesso si occupano di accompagnare i senzatetto presso i centri servizi di cui hanno bisogno, strutture sanitarie, dormitori, mense o uffici. E che rapporto ha questa associazione con le istituzioni? “Negli anni, ci spiega un altro volontario, Claudio Bertolli, c’è stata la volontà di fare pressione sulle istituzioni affinché venisse istituito un servizio apposito, formando delle persone per svolgere questi compiti. Pensa che nel 2000 era stato fatto un censimento dal comune che contava 40 senzatetto; in realtà le persone senza dimora erano 400! Nel 2005 comunque è stata creata l’Unità di Strada, un’unità professionale gestita dalla Caritas, che però non ha fatto venir meno il ruolo dell’Associazione, le due realtà si sono infatti integrate, dividendo le proprie competenze” Non è mai successo però, e questo ci colpisce davvero, che le istituzioni abbiano tentato un dialogo con i membri dell’Associazione, che più di ogni altro conoscono Piazza Dante e i suoi abitanti, per trovare una soluzione efficace alle problematiche
quotidiane. “Negli anni infatti, aggiunge Francesco, abbiamo notato un aumento della tensione e di situazioni spiacevoli, che abbiamo vissuto anche noi volontari nel rapportarci ai senzatetto, fortuna senza gravi conseguenze. Certo è che questa non è un’esperienza di volontariato per tutti, bisogna provarla.” Di fronte alle problematiche legate al degenerare di degrado e criminalità, l’impressione è che vi sia però una strategia politica, volta a lasciare le cose come stanno e intervenire, sporadicamente, con retate massive anche piuttosto eclatanti, piuttosto che con interventi minori e più frequenti. Alcuni provvedimenti poi sembra vengano presi solamente quando la città si prepara a festa. Ad ogni modo, l’associazione va avanti per la propria strada, continuando il suo operato con varie iniziative “Un anno abbiamo acquistato un’ottantina di
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sacchi a pelo, racconta Francesco, fino a due anni fa organizzavamo anche una nottata dove per i cittadini era possibile dormire in piazza insieme ai senzatetto, ma abbiamo deciso di sostituirla con eventi di animazione, come la musica e il calcio nel parco.” Ora che le temperature si fanno più rigide invece si raccolgono le coperte. Per chi volesse dare una mano, è possibile contattare l’associazione alla mail volontariinstrada@gmail.com, al numero 335 6868978 o sulla pagina Facebook.
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IL VOLONTARIATO
in Italia e in Trentino
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olontariato, assistenza, no profit, associazionismo: tante parole per raggruppare sotto uno stendardo comune tutti coloro i quali offrono tempo, abilità, competenze a chi ne ha bisogno. Un’abitudine, questa, che secondo gli ultimi dati raccolti vede protagonista un italiano su otto. Sì, perché i volontari nel Bel Paese sono oltre sei milioni, il 12,6% della popolazione totale. Un grande numero per un grande movimento di persone, uomini e donne, giovani e meno giovani, che fanno dono di una parte di sé agli altri. Un pa-
norama descritto bene nel volume “Volontari e attività volontaria in Italia. Antecedenti, impatti, esplorazioni” di Riccardo Guidi, Ksenija Fonovi, e Tania Cappadozzi (Bologna, Il Mulino, 2016) che per la prima volta prende in mano la grande mole di informazioni che si hanno sul mondo del no-profit per raccontarlo, descriverlo, definirlo. La prima grande distinzione che questo studio, ma che più in generale si prende in considerazione quando si osserva con la lente d’ingrandimento questa realtà, è la suddivisione in “volontariato organizzato” e “indivi-
di Elisa Corni
duale”. Della prima categoria fanno parte gli oltre 4 milioni di italiani che collaborano con associazioni, ONG e altre realtà assistenziali. Gli autori del libro suddividono questo gruppo in sette sottocategorie: “i fedelissimi dell’assistenza” che operano per esempio nel mondo dei servizi sociali (il 29,6% dei volontari organizzati); le “educatrici di ispirazione religiosa” che spesso si occupano della catechesi (25%); i “pionieri” solitamente laici impegnati per l’ambiente e la collettività (13,6%); gli “investitori in cultura” che mettono in campo la loro professiona-
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lità (10,3%); i volontari laici dello sport (8,9%); i donatori di sangue (8%) e, infine, gli “stacanovisti della rappresentanza”, ovvero dirigenti e organizzatori di associazioni per i quali il volontariato è spesso un impegno a tempo pieno (4,6%). Oltre ai volontari organizzati, ci sono circa 3 milioni di italiani che si dedicano agli altri gratuitamente in maniera diretta e non attraverso le organizzazioni. Il loro attivismo spazia dall’aiuto in casa per le persone anziane o con difficoltà all’attivismo ambientale. Dedicano molte ore del loro tempo agli altri e non chiedono nulla in cambio.
Da questa e altre pubblicazioni - in particolare dal Censimento del No Profit realizzato dall’ISTAT nel 2011 - si può abbozzare un ritratto semplificato del volontario: è leggermente più probabile che sia uomo (13,3% degli uomini fa volontariato contro l’11,9% delle donne); è tendenzialmente del Nord (nelle regioni del Nord-Est ben il 16% della popolazione fa volontariato, contro il 5,6% del Sud); la maggior parte appartiene alla fascia d’età 55-64 (ben il 15,9%, mentre giovani e anziani sono entrambe categorie sotto alla media nazionale). La condizione economica è sì importante, ma non è neces-
sariamente il fattore discriminante per un’adesione ad associazioni od organizzazioni occupate nel volontariato. Sembra infatti che sia più importante il livello culturale. Infatti, se sono le famiglie agiate a partecipare maggiormente al volontariato (23,4% contro il 9,7% delle famiglie con risorse assolutamente insufficienti), i numeri sono ancora più netti se si va a vedere il livello di studio. Ben il 22% dei volontari è in possesso di una laurea, contro il 6,% di chi ha un diploma elementare. I dati relativi al volontariato in Italia e in Trentino li trovate nelle due infografiche di seguito.
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Volontariato: per combattere la criminalità di Elisa Corni
l volontariato fa bene anche a chi lo pratica. Numerosi studi e ricerche internazionali realizzati da università e centri prestigiosi hanno confermato gli effetti positivi del fare del bene agli altri. Sono state realizzate analisi statistiche, mediche e psicologiche su chi fa e non fa volontariato, ed è emerso, appunto, che le persone che lo praticano sono più sane di chi invece ha uno stile di vita meno altruista. È il caso, per esempio, di uno studio realizzato dall’Università di Ghent e pubblicato la scorsa primavera su una delle più importanti riviste scientifiche del mondo. Secondo questa ricerca, che ha visto coinvolte oltre 40mila cittadini di ventinove paesi europei esaminati attraverso un modello di auto-valutazione e di osservazione medica, i volontari sono molto più sani degli altri. In particolare hanno la salute media di una persona cinque anni più giovane. Il volontarismo è un elisir di lunga vita, ma, come emerso dallo stesso studio, anche una chiave per il successo: infatti i ricercatori, osser-
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vando meglio i dati, hanno notato che chi si dedica agli altri ha tendenzialmente più opportunità di lavoro e salari più alti. Ma non è finita qui. In un altro articolo su questo numero si racconta come il volontariato faccia bene ai meno giovani. Secondo i ricercatori dell’Università dell’Iowa, anche gli adolescenti possono trarre enormi benefici da azioni di questo tipo. In particolare, i livelli di criminalità nei ragazzi che durante l’adolescenza hanno fatto volontariato sono notevolmente più bassi rispetto ai coetanei che non vi si
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sono dedicati. Lo studio ha coinvolto quattordicimila studenti statunitensi che hanno risposto a un questionario nel 1994-1995 e poi di nuovo nel 2001-2002 e nel 2008-2009. Le domande riguardavano sia la dedizione agli altri attraverso forme più o meno regolate di associazionismo, ma anche, per l’appunto, arresti, crimini, detenzioni e comportamenti illegali. È emerso che il tasso di comportamenti illegali è più basso dell’11% nei soggetti che hanno praticato assistenza ad altri, rispetto a chi non lo ha fatto. Se questo dato già colpisce, che dire del 31% di arresti in meno cui sono stati oggetto gli intervistati che da adolescenti hanno fatto volontariato nella prima fase di controllo, ovvero tra i 18 e i 28 anni. Questa cifra sale al 56% nella fascia d’età di controllo successiva, quella tra i 24 e i 34 anni di età. Un altro dato importante è relativo al coinvolgimento di adulti. Nei soggetti che si sono dedicati al volontariato da adolescenti senza l’intervento e la spinta di genitori e insegnanti, la percentuale di crimini e attività illegali commesse scende di ulteriori 10 punti. Perché il volontariato ha un impatto così forte nei giovani? Secondo il ricercatore Shabbar Ranapurwala, autore dello studio, «L'adolescenza è un periodo formativo durante il quale si sviluppano il nostro senso morale, la nostra etica e la nostra emotività. Esperienze formative come il volontariato e l’associazionismo possono offrire un senso di responsabilità sociale, di autostima e di felicità che aiutano nello sviluppo di queste importanti componenti del carattere individuale e sociale di ognuno». Con una buona probabilità quindi, il volontariato aiuta gli adolescenti che lo praticano a diventare adulti responsabili e socialmente attenti.
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Volontariato: di Elisa Corni
che fa bene ai (non più così) giovani
are del bene agli altri non ci aiuta solo a sentirci persone migliori. Sembrerebbe infatti che aiuti la nostra salute, mentale e fisica; soprattutto se fatto a una certa età. A rivelarlo due differenti studi che negli ultimi anni hanno esaminato gli effetti del volontariato sugli “over”. Il primo studio ha visto impegnati i ricercatori delle università di Southampton e Birmingham, ed è stato pubblicato su un’importante rivista scientifica inglese. Secondo quest’indagine, gli effetti benefici del volontariato, del darsi agli altri senza chiedere nulla in cambio, sarebbero però particolarmente accentuati nelle persone con più di quarant’anni di età. Lo studio si è basato sull’analisi di oltre sessanta mila risposte a questionari, elaborati e poi esaminati dall’istituto di statistica di Southampton e dal centro di ricerca di Birmingham. I questionari sono stati distribuiti e raccolti per un lungo periodo, dal 1991 al 2008, e hanno coinvolto decine di migliaia di persone in tutto il Regno Unito e toccavano diversi aspetti della vita privata e del tempo libero dei partecipanti. In particolare, si chiedeva loro se erano impegnati in attività continuativa nell’ambito della solidarietà e del volontariato. Vi erano poi alcuni quesiti di autovalutazione sulla salute e sul livello di benessere emotivo raggiunto dai soggetti dello studio (conosciuto nell’ambiente scientifico come indice GHQ-2). I datti raccolti hanno evidenziato come una piccola parte (solo il 21%) degli intervistati svolgesse attività al servizio degli altri. Ma questa minoranza può contare su una salute migliore e su un livello più alto di felicità. Insomma, chi aveva fatto più esperienze di volontariato aveva un indice GHQ migliore (in questo caso più basso) rispetto a chi per esempio non aveva mai operato nella direzione della solidarietà. Ma non è tutto. Da questo studio tutto inglese
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è emerso che gli effetti benefici del volontariato non sono sempre presenti: si acuiscono soprattutto nella fascia d’età quaranta-ottant’anni. E se era già emerso in studi precedenti che il volontariato fa bene, che ci fosse questa differenza di efficacia a seconda dell’età è stata una vera e propria sorpresa per i ricercatori, che hanno cercato di capirne la motivazione. «Una delle spiegazioni che secondo noi ha più fondamento - ha spiegato il dottor Tabassum, a capo dello studio - è che le persone meno giovani spesso hanno meno occasioni di stare assieme agli altri; il volontariato gliene offre, e
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per questo si trasforma in una magica medicina». Il secondo studio è stato invece realizzato raccogliendo i dati provenienti da settanta studi eseguiti in diversi centri per anziani del Nord America. Qui si sono osservate le condizioni di salute ed emotive degli ospiti degli istituti, diurni o a lungo termine, attraverso una serie di esami pisco-sociali, fisici e cognitivi. Quelli che si tenevano regolarmente occupati con attività di volontariato hanno mostrato di stare meglio. «I sintomi collegati alla depressione sono sensibilmente ridotti - ha scritto la Dottoressa Nicole Anderson, psicologo a capo del team di ricercatori - negli anziani che fanno volontariato, e soprattutto emerge un senso di apprezzamento psico-sociale inaspettato». Inoltre, precisano gli studiosi, è emerso che non è necessario dedicarsi anima e corpo: bastano 2-3 ore di volontariato alla settimana per sentirsi meglio.
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CONCEZIONE DEL VOLONTARIATO NEGLI STATI UNITI LA
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di Francesca Gottardi
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are del volontariato può valere più di una donazione di denaro. La pensano così molti americani. Facendo volontariato infatti una persona dona quello che di più prezioso ha: il suo tempo. E si sa, non solo il tempo è denaro, ma una volta speso non torna più. La parola “volontariato” risuona in ogni angolo degli USA, ed è solitamente caratteristica di determinati periodo dell’anno e della vita di quasi ogni americano. Secondo l’agenzia federale USA “Corporation for National and Community Service”, un americano su quattro fa del volontariato. Si stima che complessivamente si raggiunga un totale di quasi 8 miliardi di ore all’anno, per un valore di quasi 200 miliardi di dollari. È difficile fornire delle stime ufficiali, perché molte delle attività di volontariato vengono svolte a livello informale. Negli Stati Uniti si inizia presto a dedicarsi al prossimo. Chissà se in risposta allo stereotipo di un certo individualismo nella cultura americana. In molte scuole private fare volontariato è parte del curriculum di ogni studente. L’aspettativa è che ogni ragazzo porti a
termine 10/15 ore di volontariato nel corso dell’anno scolastico. Andrew Williams, insegnante in una scuola privata, vede la cosa in maniera positiva. “Fare del volontariato è l’occasione per avere un assaggio di quella che è la realtà di chi è meno fortunato” dice. Molti ragazzi scelgono di distribuire un pasto caldo presso le “soup kitchens”, le mense dei poveri della città. Terminati gli studi superiori o universitari, ad oggi sono 230,000 i ragazzi che hanno deciso di partire con il programma governativo dei “Peace Corps”, i Corpi di Pace americani. Si tratta di un periodo di volontariato lungo due anni in un Paese altro dagli USA. Per molti di questi ragazzi è la prima opportunità per uscire dai confini americani e conoscere il mondo. Inoltre, in ambiente universitario spesso vi sono organizzazioni di studenti che portano avanti una missione filantropica in periodi cruciali dell’anno, come quello del ringraziamento. Le modalità cambiano, ma in genere ci si appoggia ad un’organizzazione strutturata, come può essere quella di una congregazione religiosa. Nei giorni antecedenti al Ringraziamento 2017, Kennedy Womack ha prestato il suo servizio nella raccolta e distribuzione del necessario per preparare un pasto caldo durante questa importante festività americana. A motivarla, la consapevolezza di poter nel suo piccolo aiutare delle famiglie in difficoltà.
“Sono stata molto contenta di dare una mano alla Crossroads Church, opera bene all'interno della comunità” dice Kennedy. Aggiunge: “lo sforzo congiunto di tanti volontari è stato meraviglioso, ci ha dato l'opportunità di fornire pasti a tante famiglie bisognose del posto. È stata un'esperienza straordinaria!” Per Kennedy questa non era la prima esperienza di volontariato: “ho fatto del volontariato con altre chiese in passato, per aiutare famiglie bisognose durante le festività; è sempre un'esperienza meravigliosa! Indipendentemente dalla forma in cui si concretizza, negli Stati Uniti l’esperienza di volontariato è molto sentita ed apprezzata a livello comunitario. Wendy Spencer, amministratore delegato della corporazione per il servizio comunitario nazionale lo ribadisce affermando che: “I volontari arricchiscono le nostre comunità e mantengono forte la nostra nazione”.
Francesca Gottardi è nostra corrispondente dagli USA
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artistico uando si parla di Volontariato, difficilmente si pensa alle attività “artistiche” di associazioni che si spendono sul fronte culturale, piuttosto che su quello più fattivo del soccorso. Ma a ben guardare, il tempo dedicato agli altri, in alcuni di questi ambiti è lo stesso, e forse anche maggiore, di quello che mediamente si incontra nel volontariato comunemente inteso. Claudio Pasquini, presidente della FiloLevico, è per noi un tipico “volontario artistico”. Sta preparando uno spettacolo, «su uno storia di fantasia per bambini
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di Franco Zadra
– dice Pasquini – che si intitola “Piccola ribelle”, con la regia di Tamara Devigo». «Se per volontariato vogliamo intendere – spiega Pasquini -, anche la promozione della vita sociale, noi facciamo tanto volontariato artistico. Siamo impegnati con i ragazzi, ne abbiamo 27 quest’anno, siamo in giro per i teatri del Trentino con “Basta parlar mal dele done”, una commedia che ho scritto io e che abbiamo già rappresentato per 40 volte; poi, siamo l’anima e i direttori artistici del presepe vivente, che replicheremo il 24 e il 26 dicembre e che lo scorso anno ha visto la partecipazione di centinaia di cittadini delle Associazioni locali coordinati dalla FiloLevico; poi, una volta al mese abbiamo la rassegna teatrale». «La più grande soddisfazione che ho facendo teatro – continua Pasquini -, mi deriva proprio dal vedere la passione di questi ragazzi che crescono con noi in questo impegno teatrale. Al con-
trario di quello che si può pensare degli attori, la nostra attività porta nella direzione inversa del credersi dei “personaggi” migliori degli altri, piuttosto tendiamo a trovare il buono in ciascuno e a valorizzare tutti. Per esempio, ne “La principessa Giasena” che abbiamo rappresentato il 1 dicembre scorso, un monologo scritto da me, e che quindi potrebbe aver attirato le luci del palco e l’attenzione su me stesso, ho cercato invece di evidenziare lo sforzo di tutti, ringraziando per le luci, le musiche, i costumi, e tutti quei ruoli che in genere sono poco considerati, ma sono determinati per la riuscita dello spettacolo. Un’attività che ha un risvolto sociale importante, non solo nel fatto che chi viene si fa due risate, cosa non da poco di questi tempi, ma nella formazione delle nuove leve del teatro, o nello stimolare chi viene incuriosito da essa nel cimentarsi, incontrando un ventaglio completo di possibilità relazionali. Soprattutto un relazionarci tra di noi che è anche un contributo a migliorare le relazioni in genere, nella società».
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Edith Cavell:
l’assistenza nella Prima Guerra Mondiale di Elisa Corni
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e si pensa alla guerra non vengono in mente gesta e azioni generose nei confronti degli altri. La realtà, però, tende a stupirci. Esiste la figura di una donna che, più di chiunque altro, rappresenta il sacrificio per gli altri, in quei duri e bui anni per l’Europa. Si tratta di Edith Louisa Cavell, un’infermiera inglese che salvò numerose vite, senza badare a divise e bandiere. Eroina della Grande Guerra, Edith Cavell è oggi un simbolo. Edith nacque nel 1865 a Swardeston (Inghilterra, vicino a Norwich) in una modesta famiglia: il padre era vicario della chiesa anglicana, la madre casalinga e figlia della governante della casa di quello che sarebbe poi divenuto suo marito. Nonostante ciò, la giovane primogenita di casa non rinunciò mai allo studio. Se l’inizio la vide studiare a casa, con il passare degli anni le cose cambiarono, e spesso per potersi permettere gli studi la giovane dovette alternare la scuola con il suo lavoro come governante in alcune case private della cittadina dove viveva. Fin da giovanissima mostrò quelle che erano le sue caratteristiche, la gentilezza e la determinazione. Se da un lato amava piante e animali, che disegnava e dipingeva nel tempo libero, dall’altra era una ragazza con le idee chiare. Pare che, a un certo punto della
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sua giovinezza, si mise in contatto con il vescovo di Norwich affinché aiutasse il padre nel realizzare una stanza per la scuola domenicale di Swardeston. Il vescovo accettò di partecipare economicamente, purché anche gli abitanti della cittadina si impegnassero a raccogliere dei fondi. Vendendo quadri da lei dipinti, Edith raccolse assieme alla madre ben 300 sterline, che all’epoca erano una piccola fortuna. Donna profondamente religiosa, Edith insegnò anche alla scuola domenicale nata grazie al suo impegno. La passione per la medicina non fu innata in lei, ma anzi si presentò dopo che la giovane donna aveva visitato un ospedale in Baviera. Ma la medicina dovette aspettare qualche anno, perché Edith, approfittando della buona conoscenza della lingua Francese, trascorse gli anni tra il 1890 e il 1895 in Belgio, presso una famiglia di Bruxelles, dove lavorò come governante. Una malattia debilitante colse il padre, e Edith fu costretta a tornare a casa per accudirlo. Quest’esperienza le ricordò l’entusiasmo provato in Baviera qualche anno prima; a quel punto la giovane donna si convinse a intraprendere la carriera di infermiera, e dopo alcuni mesi al Fountains Fever Hospital di Tooting, nell'aprile 1896 entrò in addestramento al London Hospital. Edith Cavell spiccò fin da subito: era il 1897 quando, assieme ad altre cinque infermiere, fu inviata a curare un’epidemia di febbre tifoide. Grazie alla dedizione e all’impegno delle professioniste, dei 1700 malati ne morirono appena 132. Quel intervento quasi miracoloso le valse la medaglia d’onore. L’intraprendenza e la passione la condussero di nuovo a Bruxell, per lavorare al fianco del
Dottor Antoine Depage, intenzionato a innovare il settore infermieristico belga. I due, nell’ottobre del 1907, fondarono L'École Belge d'Infirmières Diplômées, una scuola laica per infermiere, che dopo le iniziali difficoltà e diffidenze ebbe grande successo. Lo scoppio del Primo conflitto mondiale la trovò in Inghilterra in visita alla madre. Ritenendo di essere più utile al fronte decise di rientrare in Belgio, proprio pochi giorni prima dell’invasione tedesca. Decisa a restare a Bruxelles malgrado l’occupazione della città da parte delle truppe germaniche, convertì la clinica in ospedale della Croce Rossa, curando sia soldati alleati che tedeschi, fatto che le permise di rimanere al fronte malgrado fosse di nazionalità britannica. Tuttavia, per un anno circa, oltre che prendersi cura dei malati, la Cavell diede vita a una rete di contatti che permetteva ai militari alleati dispersi dietro le linee nemiche di fuggire nei Paesi Bassi per poi fare ritorno in patria. Tra giugno e agosto 1915 i tedeschi scoprirono la rete clandestina, ed Edith fu arrestata con l’accusa di spionaggio, un reato punibile con la fucilazione. Malgrado la mobilitazione delle autorità dei paesi neutrali, Edith Cavell fu condannata a morte e fucilata il 12 ottobre del 1915 nel poligono di tiro di Schaerbeek. L’esecuzione dell’infermiera scandalizzò enormemente l'opinione pubblica mondiale. Divenuta martire della causa alleata, la sua immagine fu ampiamente usata dalla propaganda per presentare una guerra dove alla violenza e alla barbarie si opponevano gli ideali di democrazia e civiltà, ma rimane un fulgido esempio anche a cento anni di distanza.
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L’OPINIONE
di Franco Senesi*
Sempre contro le banche ... I
o non ce la faccio più ad assistere passivo al linciaggio che in ogni circostanza pubblica si perpetra nei confronti delle banche, di tutte le banche in maniera indiscriminata e qualunquistica. Sabato 18 novembre scorso ero all'assemblea dell'Associazione degli artigiani trentini e tutti i relatori, politici e di categoria giù a lamentare la scarsa disponibilità delle banche a prestare finanziamenti. Dire questo in Trentino non è assolutamente corretto né giusto. E voglio spiegarne il perché. Era la fine del 2008 e la nostra amministrazione provinciale approvò delle misure anticrisi che prevedevano per le imprese la trasformazione dell'indebitamento a breve in medio lungo. Un'iniziativa di cui moltissime approfittarono per beneficiare dell'agevolazione pubblica sugli interessi. Chi sostenne il peso dell'iniziativa? Per oltre il 90% se ne fece carico il sistema delle Casse Rurali, gli altri competitor se ne guardarono bene, e oggi molti di quei finanziamenti che andarono a drogare il mercato, sono nel cosiddetto "deteriorato". Un deteriorato che pesa nei bilanci delle Casse Rurali in misura particolare, e questo
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per aver sempre finanziato con slancio, forse troppo caso mai, le iniziative del proprio territorio. Qualcuno ci accusa di aver dato troppo all'edilizia e all'immobiliare, ma a chi sono andati quei soldi se non a chi in quel settore, a diverso titolo, operava? Vogliamo renderci conto che l'economia provinciale è stata per notevole parte dipendente dal settore edile? E lo sappiamo che sino a quando non riprenderà il settore non potremo parlare di ripresa economica a tutto tondo nella nostra provincia? Potremmo parlare ovviamente anche di altri settori che a vario titolo hanno risentito della crisi e che hanno messo in difficoltà il nostro microcosmo Bancario, quello che sempre è stato di supporto allo sviluppo economico del nostro territorio, ma l'elenco sarebbe purtroppo lungo. Sentire da anni proprio gli amici artigiani, che in gran numero siedono nei Consigli di Amministrazione delle Casse Rurali, lamentare scarsa attenzione verso la categoria è quantomeno strano e incomprensibile. E poi a Pergine, dove un ingente finanziamento a sostegno di una iniziativa della categoria è da anni immobilizzato. Il presidente nazionale di Confartigianato stigmatizza l'affermazione del presidente ABI sul "cavallo che non beve". Invece è la pura La sede della Cassa Rurale Alta Valsugana verità, per quel che ci risulta
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Franco Senesi quantomeno in Trentino. Quanto saremmo felici di poter finanziare nuovi investimenti, progetti di sviluppo, nuove imprese, iniziative economicamente sostenibili, ma quante poche occasioni abbiamo di occuparcene. Abbiamo notevoli disponibilità di risorse, ma gli impieghi non crescono. E non è perché si declinano le richieste, anzi! Abbiamo un tasso di diniego inferiore al 5%, che definire fisiologico è pleonastico, e ciò anche se l'esame delle pratiche deve essere particolarmente attento, oltre al merito, alla dovizia di normative che da Bankit e ora anche dalla BCE disciplinano l’attività bancaria e creditizia in particolare. No, non è giusto lamentare scarsa disponibilità delle Casse Rurali e questa accusa si può spiegare solamente con il vezzo umano di cercare sempre di attribuire la responsabilità delle cose che non vanno come vorremmo ad altri, piuttosto che ricercare in noi stessi le cause delle nostre difficoltà. E se non ci si riferisce alle Casse Rurali, lo si dica!
* Franco Senesi è Presidente della Cassa Rurale Alta Valsugana.
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MEDICINA&SALUTE
La CRISI di COPPIA
di Laura Fratini
a crisi di coppia non è mai determinata da un solo evento e normalmente è il frutto di una combinazione di fattori, che ha come tratto distintivo il protrarsi nel tempo. Ci può essere un evento scatenante più o meno destabilizzante, come per esempio la scoperta di un tradimento, ma generalmente la coppia affronta la crisi, che evidentemente era già in essere, quando il ”disvelarsi” di un elemento porta a galla criticità della vita della coppia in generale. La crisi non è sempre un evento totalmente negativo, ma può rappresentare un momento di transizione che può essere anche opportunità di crescita: indica un’evoluzione, un cambiamento che poi spesso siamo noi a connotare negativamente.
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La variabile tempo è di fondamentale importanza: nella vita di coppia piccole crisi, circoscritte nel tempo, sono da considerarsi fisiologiche. Condividere davvero le scelte, le decisioni importanti, la fatica della quotidianità, è difficile: il confronto delle idee porta a una sana conflittualità che cerca un equilibrio sempre più rispondente alla coesistenza di due individui, con idee e propri pregiudizi, con atteggiamenti, modi di fare diversi. E' innegabile che l'accordo, la mediazione, alle volte richiede passaggi faticosi o dolorose rinunce. Contrariamente a quella che può essere una percezione comune, in molti casi è proprio la mancanza di piccole crisi, di momenti di forte conflittualità che rappresentano spesso un confronto necessa-
rio, ad essere alla base della crisi di coppia. Possiamo elencare alcuni fattori che possono contribuire ad incrinare un rapporto tra due coniugi: 1. mancanza di calore nei confronti del partner, dove i soggetti hanno poco contatto fisico e tendono ad essere distanzianti; 2. criticare continuamente il partner; 3. mancanza di dialogo, quando i membri della coppia tendono a non parlare dei loro dubbi, delle problematiche che si possono creare all'interno del rapporto di coppia. In questo modo le incomprensioni diventano forti, aumentando la distanza tra i due; 4. l'invischiamento con le proprie famiglie d'origine: questo può contribuiere a creare dissapori e schieramenti poco opportuni che scardinano duramente il rapporto di coppia dove di coppia non si parla più ma piuttosto diventano due soggetti separati dall'ombra costante delle famiglie d'origine: 5. problemi di gestioni emotive da parte di un partner, quali la rabbia o la gelosia verso l'altro. A questo punto diventa efficace l'intervento di un professionista che si fa carico della relazione e insieme alla coppia prova a capire e risolvere il problema, attraverso un percorso che coinvolga entrambi gli attori. Gli obiettivi di una psicoterapia di coppia sono quelli di incrementare nei membri della coppia le capacità di comunicare in modo efficace e di fornire un addestramento nella risoluzione dei
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sempre più bollente e la rana, inizialmente beata nel tepore, se ne accorge quando è troppo tardi, non può più saltare fuori! Abbiamo la possibilità di mantenere il giusto tepore, spegnendo le fiamme quando sono troppo alte, accendendole quando si stanno spegnendo. In fondo la rana bollita piace a pochi!
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gole rigide e ripetitive che la coppia mette in atto, a riportare l’equilibrio precario in cui si trova la coppia ad uno più funzionale ad essa, facendo leva sulle risorse e sulle potenzialità dei partner. Le crisi, anche in un rapporto all'apparenza solido, possono sempre verificarsi, ma sono da cogliere come opportunità di crescita per la coppia e non come qualcosa di insuperabile. Spesso le coppie che non litigano mai hanno l’illusione che il loro matrimonio vada a gonfie vele, ma forse non è proprio così. Fate attenzione perchè il rischio è quello di fare come la rana immersa nella pentola con il fuoco acceso: all'inizio l'acqua è fredda e il rospo ci sta bene. Via via però diventa
RIMEDI NATURALI
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problemi. Nelle coppie occorre spesso favorire l'acquisizione di una maggiore consapevolezza del modo in cui gli schemi mentali, gli atteggiamenti e le modalità soggettive di pensiero influiscono sulle proprie emozioni e sul comportamento dei coniugi, aiutando a realizzare cambiamenti nelle convinzioni, nelle attribuzioni e nelle aspettative qualora esse si rivelino controproducenti, irrazionali e distruttive per incrementare un interscambio di condotte positive. Un altro elemento importante, spesso sottovalutato, è quello del livello di autostima dei componenti della coppia, che si può far crescere, così come si può aiutare a ad acquisire e mantenere una maggiore conoscenza delle emozioni del partner, oltre che le proprie: apprendere a identificare, capire ed esprimere meglio le proprie emozioni, e gestirle in modi più appropriati, è una strategia efficace per evitare che la coppia si sfaldi. Mediante la relazione terapeutica, il terapeuta introduce gli elementi utili ad eliminare il disagio, a modificare le re-
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LA FARMACIA COMUNALE DI CASTELNUOVO CAMBIA SEDE NOSTRA INTERVISTA AL SUO DIRETTORE, GABRIELE ROBERTI Dottor Roberti, quasi otto anni fa l’ apertura della Farmacia Comunale di Castelnuovo. Sono già passati otto anni! Il tempo vola! Ricordo, come fosse ieri, la cerimonia di inaugurazione alla presenza del Sindaco e delle altre autorità comunali. La realizzazione di un progetto fortemente voluto dall’ amministrazione di Castelnuovo e il varo di un modello di gestione innovativo per una farmacia comunale. Basato sull’ integrazione tra istituzioni pubbliche e capitale privato per la fornitura di un servizio di pubblica utilità, in grado di rispondere alle aspettative di una popolazione esigente, attenta e sempre più competente. Quale bilancio trarre da questa esperienza? Sicuramente positivo! Penso di poterlo affermare senza timore di essere smentito. In questi anni la Farmacia Comunale di Castelnuovo è cresciuta incontrando il gradimento e il sostegno
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di una clientela vasta e affezionata. Ed è proprio ai nostri clienti che rivolgo il ringraziamento più sincero rinnovando l’ impegno per innalzare sempre di più i nostri livelli di servizio. Ci parli, allora, dei progetti per il futuro. La Farmacia Comunale di Castelnuovo ha basi solide. Su queste basi vorrei realizzare la mia visione della farmacia ideale: un luogo in cui i nostri clienti possano trovare la migliore risposta alle loro esigenze di salute e benessere. Una farmacia che sappia offrire non solo un assortimento completo ma anche spazi adeguati nei quali poter sostare con tranquillità e riservatezza alla ricerca della consulenza più qualificata. Una farmacia in cui ciascuno possa individuare con facilità il “suo“ settore di interesse e il “suo“ farmacista! Una farmacia che consenta un facile accesso a tutta una serie di servizi oggi sempre più richiesti: dalla nutrizionistica alla fisioterapia, dalla cosmetolo-
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gia alla naturopatia, dalla consulenza estetica alla omeopatia, dalle intolleranze alimentari agli esami genetici. Senza dimenticare le attività dedicate alle indagini di prima istanza come profilo lipidico, glicemia, emoglobina glicata, mineralometria ossea computerizzata, elettrocardiogramma, monitoraggio nelle 24 ore della pressione arteriosa (Holter), spirometria. Per realizzare tutto questo abbiamo dovuto pensare ad una nuova sede, più grande ed organizzata. E, a pochi metri dalla nostra attuale posizione, abbiamo finalmente individuato dei nuovi locali, idonei alle nostre esigenze. E nei quali vorremmo trasferirci alla fine del prossimo mese di febbraio. Allora, può presentarci la nuova sede! Su questo mi consenta un rigoroso “top secret“ rimandando il tutto ad un prossimo incontro.
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Come disdire il
CONTRATTO TELEFONICO
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uò capitare di trovare un’offerta migliore di quella sottoscritta con il proprio operatore telefonico, verso la quale vorremmo migrare, magari mantenendo lo stesso numero telefonico. Purtroppo però, per chi vuole chiudere un contratto e farsi riaccreditare i soldi che sono avanzati sulla Sim, la strada non sembra facile. Dall’inchiesta svolta da Altroconsumo davanti alla richiesta di voler recedere dal contratto, gli operatori telefonici cadono dal pero, propongono soluzioni alternative, danno informazioni discordanti, consegnano fiumi di moduli da compilare, consigliano raccomandate da spedire... insomma una trafila in grado di infliggere un colpo mortale anche al cliente più saldo nei suoi intenti. Non basta: i pochi utenti che riescono a svolgere diligentemente tutti i compiti richiesti, alla fine si devono accontentare di un riaccredito che non solo arriva dopo mesi, quando arriva, ma è decurtato da non meglio spe-
cificate "spese amministrative", che possono toccare i 10 euro (compreso il denaro speso per spedire la raccomandata). Alla faccia della legge che vieta qualunque tipo di penale nel caso in cui il cliente decida di disdire un contratto telefonico. Delle dieci compagnie telefoniche coinvolte nella nostra inchiesta i risultati sono stati poco confortanti: sufficienze risicate e quattro bocciature. Una compagnia non prevede proprio la possibilità di recuperare, neanche con fatica, il credito residuo! La richiesta di farsi disabilitare un numero di cellulare e di chiedere indietro il credito residuo presente al momento della disattivazione sembra essere vissuta dagli operatori telefonici come una procedura complicata, richiesta da un utente stravagante e pignolo. Eppure disattivare la Sim, ovvero giuridicamente recedere dal contratto e recuperare il credito residuo sul proprio conto corrente è un diritto del consumatore. Come prima cosa è dunque consigliabile pretendere dalla compagnia telefonica i moduli o le modalità per recedere. Molti operatori non hanno un modulo prestampato: la disdetta va fatta con una lettera intestata alla compagnia, via raccomandata. Con altre si può fare tutto al telefono: peccato solo che la disattivazione avvenga ben 30 giorni dopo la richiesta e che se sono previsti costi periodici li si continua a pagare! Altre permettono di fare tutto al telefono, chiedono solo di inviare un fax per la richiesta del credito residuo. In 24 ore il numero viene disattivato. Decisamente più lunghi i
di Alice Rovati
tempi per il recupero del credito. Ebbene, compilati i moduli, spedite le raccomandate, e fatte le telefonate non resta che aspettare che disabilitino il numero e ci restituiscano il credito. Per ottenere le poche decine di euro che erano rimaste caricate sulle diverse Sim ci vogliono dai 30 ai 60 giorni! Tempi piuttosto lunghi, soprattutto quando si richiede un accredito sul conto corrente e non uno spostamento del credito residuo su un altro numero della medesima compagnia. Generalmente le tempistiche sono indicate nel contratto: si possono denunciare eventuali lungaggini soltanto se i giorni di attesa superano quelli previsti dal contratto. Il mio consiglio è quello di controllare sempre questo genere di clausole prima di firmare. Infine oltre al costo delle raccomandate per il recesso spesso le compagnie addebitano anche dei costi per la procedura (generalmente intorno ai 10 euro), sebbene la legge Bersani abbia di fatto reso illegittimi i costi di disattivazione dei contratti telefonici. L'Autorità garante delle telecomunicazioni (Agcom), interpellata da Altroconsumo in merito, ha comunicato di aver ricevuto già diverse segnalazioni. Hanno assicurato che stanno procedendo ad accertamenti. Sono in arrivo multe milionarie? Non è dato sapere. Quel che è certo è che Altroconsumo continuerà a denunciare le pratiche scorrette. *La dott.ssa Alice Rovati è laureata in Giurisprudenza, percorso europeo e transnazionale, con master in Europrogettazione. Giurista esperta in diritto dei consumatori, docente di diritto. È Rappresentante di Altroconsumo per la Provincia di Trento.
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I giovani, lo studio e l'Università
STUDIA CAPRA! “
Studiare” è una delle parole nel vocabolario italiano che più ci fa sospirare, a causa delle immagini che ci salgono alla mente quando la pronunciamo. Tutti, infatti, abbiamo ricordi legati allo studio, belli o brutti che siano, come per esempio un’interrogazione andata male, oppure un lavoro di gruppo divertente conclusosi con un bel voto… Sono tanti gli esempi che si potrebbero fare, ma la vera domanda è: quale rapporto hanno i giovani con lo studio? Si tratta indubbiamente di un rapporto di amore e odio che, a differenza delle relazioni umane, non ha una fine. Perché, pensandoci bene, non si smette mai di imparare. Ciò che cambia è invece il metodo di studio, che si modella in base alla difficoltà del grado di formazione. Per esempio, se alle scuole superiori bastano tre giorni per prepararsi a una verifica (se non addirittura uno), all’università tale metodo è da scordare. Gli universitari più navigati sapranno bene a cosa ci si riferisce. Un’altra differenza rispetto alle superiori è la distribuzione dell’orario: mentre alle superiori le lezioni sono concentrate
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nella mattinata, e dunque il pomeriggio rimane - quasi sempre - libero, ciò non accade all’università. Spesso, infatti, ci si trova a fare lezione fino alle otto di sera; ed è qui che nella maggior parte dei casi il cervello divorzia dal corpo. Immaginatevi una matricola al primo giorno di università: entusiasta, allegra e piena di vita, con tanti buoni propositi e aspettative, «in due anni mi laureo!», «sotto il 28 rifiuto!», «uscirò con 110 e lode!». Che ingenue sono le matricole. Poi comincia il bello: lezioni distribuite a casaccio su tutta la settimana, magari una la mattina e una la sera, oppure lungo tutto il giorno con soltanto un’ora di pausa pranzo. Ritorniamo alla nostra matricola dopo un mese di università a questi ritmi: il cambiamento si nota già dai lineamenti, stanchi e affaticati, l’entusiasmo che prima aveva si è attenuato, il pensiero non è più rivolto al 110 e lode ma alla pizza, calda e profumata che l’attende a casa... «cosa sta dicendo il prof?». Questo è il primo errore della matricola che, non avendo una verifica imminente o la minaccia di un’interrogazione come alle superiori, si rilassa e i suoi pensieri vanno altrove, «tanto gli esami sono a gennaio». Il tempo passa e la matricola ha fatto amicizia con altre matricole. Parlando delle lezioni si rende conto che gli altri hanno già iniziato a studiare, mentre lei sa solo il titolo del libro e il colore della copertina (forse). L’entusiasmo ha completamente lasciato la matricola ed è stato sostituito dall’ansia da prestazione, ma la matricola non demorde, ha ancora un mese e può farcela a recuperare. Apre il libro e vede a che punto è arrivato il professore, sperando
di Elena Ferrai ingenuamente di poter recuperare sfogliando qualche pagina qua e là. La realtà è ben diversa: la matricola si rende conto che oltre al colore della copertina deve sapere anche il contenuto del libro. Allora inizia a crearsi un piano di studio: «Se faccio un capitolo al giorno, riesco a finire il libro». Dicembre è arrivato, i mercatini sono iniziati, le nozioni sono tante da imparare e ricordare; l’ansia si trasforma in panico e disperazione. I giorni passano ed è già Natale, la matricola riprende a credere a Babbo Natale nella speranza di trovare sotto l’albero qualche Cfu (Crediti Formativi Universitari, sono come un attestato di superamento dell’esame, ponderati in base alla difficoltà dello stesso). Arriva l’Epifania che tutte le feste porta via. La sessione è ufficialmente iniziata e la matricola affronta il suo primo esame: le mani tremano, le gambe pure, la gola è secca e la fronte è sudata, anche se fuori ci sono i pinguini. La testa è china sui riassunti che ha in mano, per ripetere le ultime cose studiate, oppure per non incrociare lo sguardo delle altre matricole e veder riflesso nei loro occhi lo stesso terrore che la mattina ha visto nei suoi. Finalmente dopo qualche settimana escono i risultati dell’esame. Il cuore le batte all’impazzata. Sfortunatamente la storia non ha avuto un lieto fine: la matricola non ha superato l’esame. Qui si rende conto che non è più alle superiori. La povera matricola rimpiange i momenti in cui il cervello ha seguito lo stomaco invece che la lezione. Tuttavia ella ha ancora qualche speranza e le ripone tutte nella sessione di recupero a febbraio, che affronterà con il grido di battaglia: STUDIA CAPRA!
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L’importanza di saper attendere e desiderare di Erica Zanghellini
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iviamo in una società in cui sembra che qualsiasi cosa si può ottenere nell’immediato. Basta guardare i mass media, tutto è a un passo da noi e tutto si può ottenere apparentemente senza fatica. Ma ci siamo mai chiesti se questo è un messaggio corretto da tra-
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mandare ai giovani? E’ questo che vogliamo insegnare ai nostri figli? Tutto e subito? L’attesa al mondo d’oggi è vissuta come una delle esperienze di vita che crea molto disagio, siamo quasi sfortunati se tocca a noi. Siamo abituati ad avere gratificazioni istantanee ed immediate dei nostri desideri, e questo vale anche per noi adulti. In realtà le cose belle richiedono pazienza, imparare ad andare in bicicletta, imparare a leggere, un concorso, un amore complicato…insomma qualsiasi traguardo che ci mettiamo in testa. Quindi il saper aspettare è una capacità fon-
damentale e molto importante. Non nasciamo pazienti, va insegnata questa abilità. Sembra una banalità ma, imparare a desiderare e rimanere in stand bye già da bambino è la base per poi diventare un adulto che sa fermarsi e impegnarsi (con costanza) per ottenere gli obiettivi che vuole ottenere nella vita. Insegnare a fermarsi vuol dire anche avere rispetto per i propri tempi e per i tempi degli altri, che magari non coincidono con i nostri. Significa saper tollerare la frustrazione perché il nostro desiderio ancora non è stato raggiunto. Vuol dire di conseguenza saper fare fronte a una rinuncia e sopportare le emozioni che questa scatena dentro di noi. Tutto questo ci fa capire quanto la capacità di saper aspettare è una virtù “dei forti” e pertanto quanto è importante promuoverla. Ricordiamoci che si nasce “senza pazienza”, pensiamo al neonato, nel mo-
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riescono ad attendere, riescono a riflettere prima di rispondere all’insegnante e hanno maggior abilità nel risolvere i problemi, sono più abili a tollerare la frustrazione e anche a livello sociale sono più efficienti in quanto il saper fermarsi e pensare li aiuta a risolvere i conflitti tra pari. Insegnare l’autocontrollo significa renderli capaci di scegliere in mento in cui percepisce di aver fame co- qualsiasi situazione, anziché diventare mincia a piangere nervosamente finché preda dei propri impulsi. la mamma non soddisfa il suo bisogno. Il rimandare una gratificazione imSolo col tempo e l’impegno dei genitori mediata in vista di un beneficio si può tramandare il valore di sapersi fer- futuro più duraturo, non è una mare e in un futuro i bambini ormai cosa semplice da gestire, non lo è adulti potranno apprezzarlo. Un motivo per noi che siamo adulti figuriamoci in più per perseguire questo obiettivo e il per i bambini, ma se ci si riesce diventare cosciente che spesso è una ca- vuol dire conquistare quella felicità ratteristica vincente anche nell’ambito costruita imparando a padronegscolastico. L’autocontrollo, inteso come giare i nostri pensieri e comportala capacità di fermarsi e avere il dominio menti. Il cedere al piacere e diverso dei propri pensieri, istinti e azioni, può dall’essere felici, questa è la diffeessere importante quanto l’intelligenza renza. Avere la macchina che ho viper il successo scolastico. I bambini che sto sullo scaffale del negozio non mi renderà felice per sempre e se per provare quell’ emozione ASSISTENZA - VENDITA devo continuamenNUOVO E USATO te ad avere quello RICAMBI ORIGINALI che voglio capite REVISIONI (Consorziato) che avrò un problema. TRATTAMENTO IDROREPELLENTI PER VETRI Saper stimolare l’auIdeale per il parabrezza: tocontrollo nei bamrespinge pioggia, sporco, sottili strati di ghiaccio e neve. bini non è una cosa semplice ma, nemVISIBILITÀ VISIBILITÀ EE SICUREZZA SICUREZZA meno impossibile. DURATA DURATA FINO FINO A A 88 MESI MESI E’ istintuale per un L'ACQUA L'ACQUA SCIVOLA SCIVOLA VIA VIA RISPARMIO genitore: provate a RISPARMIO DELLE DELLE SPAZZOLE SPAZZOLE FACILE FACILE DA DA USARE USARE contare quante volte usate la parola TRATTAMENTO COMPLETO “aspetta” col vostro figlio in un giorno DA NOI CONTROLLO GRATUITO DELLA BATTERIA qualsiasi. Vi stupireste, in quante situazione l’usate: a tavola, al parco, al supermercato, prima di entrare a scuola, o comunque in generale qualsiasi Borgo Valsugana (Tn) - Via Giovanelli, 11 - Tel. e Fax 0461 753325 sia lo scenario di vita
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del bambino non manca sicuramente occasione per usare quella parola. A livello pratico possiamo tradurre il nostro obiettivo partendo dalla base cioè insegnandogli a rispettare le regole senza eccezioni. La bibita gassata si beve solo la domenica, si va a letto alle 21,30 solo il sabato sera perché il giorno dopo non hai scuola. Questi sono solo piccoli esempi che però se usati sistematicamente favoriscono l’assimilazione della capacità di rimandare la gratificazione e quindi saper aspettare. L’adulto può ulteriormente facilitare l’acquisizione di questa abilità, fungendo
da modello. Facciamogli presente o ancor meglio rendiamo partecipe nostro figlio a situazioni dove siamo noi che dobbiamo attendere e facciamogli vedere come gestiamo quella circostanza. Altra cosa cerchiamo di non cedere immediatamente a tutte le richieste del bambino, ma facciamogli provare l’attesa; “la mamma finisce di mettere apposto la cucina e poi mangiamo tutti assieme il dolce”. Possiamo anche fare delle piccole attività assieme al minore che stimolano l’autocontrollo, anche banalmente fare l’impasto della pizza a casa. Il bambino dovrà aspettare la lievitazione prima di farcirla per poi assaporarla, oppure altra piccola attività che può supportare questo obiettivo è l’utilizzo dei giochi da tavolo. Il minore dovrà aspettare il proprio turno per fare le proprie mosse. Sono tutte piccole strategie che però aiutano e che se calibrate bene in base all’età promuovono l’insorgere di questa abilità che sicuramente lo aiuterà nella vita.
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il personaggio
Tullia Fontana Tullia (Lula) Fontana, nasce a Strigno e risiede a Carzano dove lavoro con studio in località Montegiglio. Di Lula ci sorprende la sua autentica “positività”, la sua spiccata “personalità”, e soprattutto la sua “maniera artistica”, che non è manierismo, con cui fa dell’arte, fondata su stabili basi culturali, perché al nascere delle sue espressioni esiste una sottile ricerca culturale che, unita alla perizia gestuale e alla giusta “interpretazione coloristica”, fanno di Tullia Fontana una vera artista che ci arricchisce di sentite e particolari emozioni.
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a frequentato l’Istituto d’Arte di Trento, il Magistero e l’Accademia di Belle Arti di Venezia. Diplomata con il massimo dei voti ha partecipato a varie mostre a livello nazionale e ha al suo attivo diverse personali in Trentino e in Veneto. Ha insegnato Educazione Artistica presso la scuola Media di Grigno, Borgo, e Roncegno. Nel tempo libero si dedica ad attività integrative nelle scuole e tiene corsi di arte varia. È presidente dell’Associazione Donne di Carzano. Con queste ha realizzato un presepe all’aperto di figure lignee decorate che viene esposto nel paese di Carzano durante il periodo natalizio. Ultimamente, oltre alla pittura di immagini sacre, a volte rivisitandole e interpretandole in modo personale, Lulà ha voluto, in parte cambiare e trasformare il suo modo di essere artista e creativa. E lo fa creando prima e presentando poi, opere particolari quali paesaggi, fiori e scorci del nostro quoti-
diani in complete e cromatiche visioni “paesane” che bene impressionano la mente e gli occhi dell’attento osservatore. Quest’anno ha esposto una propria raccolta di icone pressa la Cattedrale di San Vigilio a Trento con la presentazione di don Marcello Farina. Hanno scritto di lei Rinaldo Sandri, Luciano Coretti, Renzo Francescotti, e Nicoletta Tamanini. Da più di 10 anni fa parte dell’associazione Ucai di Trento (Unione Cattolici Artisti Italiani). Alle icone, tutte impostate sulla linea ellittica, serpeggiante, dai cromatismi morbidi, brillanti, sensuali donne-orchidea, donne madri, donne-dee che filtrano suggestioni dalla pittura bi-
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Girasoli zantina, indiana, giapponese, misteriose e sottilmente inquietanti, emananti un eros che si irradia nella natura, dalla natura proviene, si fonde in immagini di donne natura, Lula ha dedicato gli ultimi vent’anni della sua attività artistica. Luciano Coretti presentando la prima mostra di icone di Lula nel 1996 a Borgo Valsugana, scriveva: «L’icona è l’Assoluto visibile e l’uomo è l’icona di Dio. Questo è il significato, cristallizzato da un’esperienza umana e spirituale oltre che artistica, vecchia di un millennio. E questa è l’esperienza umana e spirituale di Tullia Fontana. Per lei non si tratta di una semplice tecnica: per lei è un modo di vedere, di cogliere, di sentire
Madonna con la rosa
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la realtà e di filtrarla poi attraverso la sua sensibilità, le sue emozioni, il suo estro vivo e attento». Un’esperienza umana e spirituale – diceva don Farina – che aggiunge e arricchisce un cammino artistico, iniziato molto tempo prima, che, di per sé, aveva le sue radici nella grande tradizione novecentesca, da Paul Klee a Max Ernst, con le loro suggestioni e immagini sognanti e oniriche. C’è, infatti, un passaggio ulteriore che diventa ormai consueto pur avendo già avuto la possibilità di esprimersi, casualmente, in antecedenza, come nella bella icona dedicata a san Giorgio del 1970.
Sono le esperienze giovanili, il tempo degli studi veneziani e la bellezza dei mosaici “bizantini” di san Marco a “forzare” una dimensione spirituale che col tempo si traduce nelle forme caratteristiche delle icone. Fatto sta che esse chiedono, per loro natura, una originale predisposizione a lasciarsi coinvolgere da qualcosa che è già dato, conosciuto, perfino creduto; costruire un’icona non significa lasciarsi condurre da una creatività anarchica, cioè libera e soggettiva.Tullia Fontana, dal 1996 presenta le sue mostre in Trentino e in Veneto. Dal 2002 vi è una svolta verso quelle che Renzo Francescotti ha definito le “Madonne contaminate”, uno “stare in equilibrio”, un’ambiguità/ambivalenza tra sacro e profano, tra senso del divino e l’umano, tra religiosità e sensualità. Ma sono ancora “icone” queste straordinarie Madonne moderne e postmoderne? Soprattutto negli ultimi 15 anni – concludeva don Farina – tali Madonne portano con sé l’evoluzione personale di Tullia Fontana che dedica la sua attenzione soprattutto alle figure femminili e a “fiori e paesaggi”. Ne esce un “ibrido” carico di suggestioni e di fascino che attira e coinvolge.
Sera in via Fratelli
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Gli animali di Liliana Pierotto L
’arte è sempre stata una grande passione per Liliana Pierotto, nonostante il poco tempo a disposizione. Quando si dedica alla pittura ad acrilico, dipinge soggetti semplici, quali ritratti e animali con una tecnica grafica che risalta i particolari, e gli sfondi assumono una dimensione irreale, molto suggestiva. I suoi temi preferiti sono gli animali di montagna, soprattutto galli cedroni, cervi, aquile reali, civette, oppure piccoli uccellini quali coturnice, codibugnolo, cincia mora, cianciarella, dominanti nella rappresentazione e riprodotti con grande minuzia di particolari; a volte i colori si accendono per mettere in risalto alcuni elementi, con l’effetto di farli apparire come “animali pop”. I disegni e le opere di Liliana hanno una originalità decisamente “unica” che appartiene a quegli artisti che riescono a dare vita alla natura e a tutto ciò che di essa fa parte. Cromie dal segno particolare e preciso, che unisce il tratto inconfondibile con toni ora decisi ora tenui, ma che formano un insieme piacevole a vedersi. Un’impronta artistica inconfondibile che
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dà ragione di un percorso artistico molto particolare. Liliana nasce a Thiene il 26 giugno 1973 dove i genitori, papà Otello (nato a Lastebasse) e la madre Fenny Gecele (originaria di Pieve Tesino) arrivarono in cerca di lavoro. Una visita a una mostra di grafica cattura l’immaginazione di Liliana adolescente che sceglierà di frequentare l’istituto d’arte di Cittadella, dove supera con il massimo dei voti l’esame di Stato e la proposta di lavoro come grafica interna presso un’azienda di Bassano del Grappa, ma la prospettiva di fare esperienze nuove di vita e di studio la spingono la spinge a iscriversi in ingegneria civile a Trento. Finiti gli studi inizia una nuova esperienza lavorativa all’Università e presso una scuola pubblica di Vicenza. Insegna, prima a Breganze e poi a Borgo Valsugana, dove conosce l’architetto
Carlo Buffa che sposerà nel 2009. Nel 2010 nasce il primo figlio, Riccardo Francesco, e nel 2014 Vittoria Anna. Tornando alla creatività della “nostra” e osservando attentamente le sue originalissime opere ci si accorge che nulla è lasciato al caso e nulla è improvvisato. Il disegno, che sarà realizzato sulla carta nasce dapprima nella mente di Liliana, che ne traccia i contorni e le forme, ne individua i colori e poi, alla fine, viene impresso seguendo il pensiero originale. E la nostra “artista” lo fa senza tentennamenti o ripensamenti perché la mano diventa il mezzo per dare vista a un’opera, suggestiva e indiscutibilmente “unica”.
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IL Deep Web e il pericolo del Web invisibile
’è uno specchio di quella che è la situazione reale del pianeta Terra, al giorno d’oggi, e questo specchio è quella riproduzione digitale che può essere considerata la rete Internet. In Internet infatti si possono trovare quasi tutte le situazioni della vita umana di chi naviga, tutti i tipi di negozio on line, tutte le fonti di informazioni e tutti i cosiddetti punti d’incontro. Ma sappiamo tutti come la natura dell’uomo sia fatta anche da una componente, comunemente conosciuta come “zona borderline”, (spesso latente in una persona definita comunemente in salute). Se si “entra” in tale zona ecco che la propria natura poco etica tende a essere lasciata libera e, non di rado, ci si lascia andare ad azioni poco legali, quali comunemente si conoscono essere, come lo scambio di droghe, il traffico illecito di danaro, informazioni e quant’altro. Questa componente non trova posto nella vita reale, e nemmeno alla rete Web comunemente accessibile. Nella vita reale non sono facilmente accessibili tali situazioni, spesso come conseguenza della scarsa accessibilità fisica del posto scelto per svolgerle.
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Infatti, è meglio essere più nascosti possibili. È un posto praticamente infinito Internet, i più informati lo sanno, c’è qualcosa di nuovo da scoprire ogni giorno, e in maniera esattamente speculare alla vita reale esiste anche in rete, questa zona borderline, che ospita ciò che dovrebbe rimanere invisibile, per sfuggire alla censura, sfuggire alla legge, sfuggire a qualcosa. Questa zona è chiamata Deep Web, tradotto con “web invisibile”, “web sommerso”. Il web sommerso è quindi tutto l’insieme delle risorse del World Wide Web che non sono di fatto segnalate dai normali motori di ricerca, grazie a una serie di stratagemmi, modalità di programmazione che non è sede approfondire, perché richiedono specifiche e dettagliate conoscenze, oltre a una dose di accettazione del rischio e responsabilità non indifferente, per quanto sopra accennato finora. Una organizzazione degli Stati Uniti d’America, la Bright Planet, già nel 2000 effettuò una ricerca sulle dimensioni della rete, chiarendo come il Web sia costituito da oltre 550 miliardi di documenti e 18 milioni di
di Diana Gasparini
GB, quando Google ne indicizza appena solo 2 miliardi, stando ai numeri meno dell’uno per cento. Il Dark Web è un sottoinsieme del Deep Web, solitamente irraggiungibile attraverso una normale connessione internet senza far uso di software particolari perché giacente su reti sovrapposte a Internet chiamate genericamente "Darknet". Le Darknet più comuni sono Tor, I2P, e Freenet. L'accesso a queste reti avviene tramite software particolari che fanno da ponte tra Internet e la Darknet. Uno dei più famosi è Tor che, oltre a fornire accesso all'omonima rete, garantisce l'anonimato all'utente, permettendogli di navigare anonimamente anche sul normale World Wide Web da uno dei nodi della rete Tor.
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Le Darknet sono usate, in alcuni casi, per attività illegali: famoso è il caso di Silk Road, un sito di commercio elettronico sulla rete Tor che effettuava attività criminali. Il Deep Web non è indicizzato dai normali motori di ricerca, e di questa categoria, non indicizzata, possono far parte anche siti non ancora indicizzati, pagine web a contenuto dinamico, web software, o siti privati aziendali per esempio. Il fatto che se ne stia scrivendo comunque è prova che il deep web non è un “paradiso” che garantisce anonimato assoluto, inoltre senza una profonda e complessa conoscenza informatica è decisamente molto rischioso addentrarvisi, perché si può essere, con altissima probabilità, vittime di hacker che riconoscono l’eventuale nostro ingresso, e lo usano come “punto “ di commercio o scambio informazioni a nostro danno. Questo va detto per bilanciare la naturale eventuale curiosità che possa nascere in certi tipi di lettori a questo punto: i server appartenenti al deep web vengono tirati su e gestiti come ovunque, da uomini, ragion per cui l’errore umano è sempre dietro la porta: un link di troppo potrebbero portare allo scoperto il server deep. Anche nelle migliori città per bene, si trovano e si troveranno sempre luoghi in cui smerciare credenziali di carte di credito, account di diversi servizi on line, dati e informazioni riservate, oggetti rubati, ma anche comunità di discussione, “bastian contrari”, dissidenti e sostenitori di cause sociali che magari nei loro paesi sarebbero censurati o peggio, e che ricorrono a questa possibilità per proteggere la propria identità e vita. Sta a noi, come sempre, soppesare le informazioni con i rischi connessi, e agire di conseguenza.
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GEMELLAGGIO tra i “telvedesorati” ed i “corropolesi” l gemellaggio con la cittadina abruzzese di Corropoli dura da 30 anni. Da quando le scuole elementari dei due paesi diedero alla luce una ricerca per ricostruire la storia dei cittadini “telvedesorati” sfollati, dal 1915 al 1919, in Italia. Un legame, quello che a Telve di Sopra è profondamente sentito ancora oggi, festeggiato recentemente con un fine settimana all’insegna dell’amicizia e del ricordo. In paese, infatti, la delegazione abruzzese è stata accolta con il suono a festa delle campane. Dopo la visita al museo etnografico raccolta Tarcisio Trentin, per immedesimarsi su quella che era la vita di un tempo in paese, nel vicino piazzale della canonica fanti e alpini hanno preparato le caldarroste, gustosa delizia dei castagneti del paese. Furono tante le famiglie di Corropoli che, per quattro anni, accolsero un grosso nucleo di valsuganotti guidati dall’allora parroco don Ermenegildo Dalmaso e dal sindaco Francesco Strosio. Anni in cui, nella piccola cittadina abruzzesi, nacquero
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Telve di Sopra gemellaggio con Corropoli
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13 bambini e, a causa della “spagnola” morirono anche 30 persone. I due parroci, don Dalmaso e don Carlo Vallese, collaboravano tra loro con la maestra Maria Strosio che, anche in quei anni, continuò ad insegnare agli alunni profughi. Un lavoro, quello avviato dalle scuole, che più di tre decenni fa coinvolse l’intera comunità di Telve di Sopra. Vennero recuperate foto, testimonianze, ricordi ed episodi, tanto materiale che, quasi inevitabilmente, portò il 2 agosto del 1987 alla realizzazione di un gemellaggio. Dopo 30 anni quel legame è diventato ancor più forte. Lo si è notato in occasione della Messa celebrata nella chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista dal parroco don Renzo Scaramelle e don Ivo (ex parroco di Corropoli). Nell'omelia don Renzo ha ricordato come il vangelo del giorno si adatta alla vicenda che ha coinvolto le due comunità. Si parla del più grande dei comandamenti "amerai il prossimo tuo come te stesso'. A seguire, nella sala consiglio, denominata proprio "Corropoli" i discorsi ufficiali. Con i due sindaci, Ivano Colme e Umberto D'Annuntiis ed i parroci anche tantissima gente. I primi cittadini hanno rimarcato come il vincolo che ha portato al gemellaggio va tramandato alle nuove generazioni e deve essere d'esempio. Telve di So-
pra sarà sempre riconoscente al paese dell'Abruzzo ma anche l'Abruzzo ringrazia i “telvedesorati”. Dopo Quattro anni di esilio, nel maggio del 1919 i profughi tornarono a casa, il paese era distrutto. Delle 137 case solo tre erano rimaste in piedi. A Telve di Sopra il parroco tornò con due candelabri in bronzo, ancora oggi custoditi in chiesa, e Corropoli donò ai profughi una bandiera italiana conservata nel municipio del paese. Dopo i momenti ufficiali il coro parrocchiale ha intonato l'inno di Telve di Sopra, scritto dal maestro Nello Pecoraro, ed una canzone popolare abruzzese , Al coro si sono aggiunti i corropolesi, con in testa il sindaco Umberto D'Annuntiis. Ivano Colme ha donato una targa con impressa la foto dei profughi al rientro a casa, il sindaco di Corropoli una piastrella con l'immagine di due mani che si stringono tra gli stemmi dei 2 comuni. Il pranzo a Torcegno al ristorante Negritella ha concluso la festa con l’arrivederci al prossimo incontro tra “telvedesorati” ed i “corropolesi”. (A.D.)
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Don Almiro Faccenda
UNA STORIA STRAORDINARIA
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icorre il prossimo 1^ gennaio 2018, il 50^ della morte di don Almiro Faccenda, protagonista di uno straordinario evento accaduto 102 anni fa nel piccolo paese di Torcegno, in Valsugana. Una storia la sua, che la gente del suo paese natale ama ancora ricordare. Questi i fatti. Nel novembre 1915, in pieno conflitto mondiale, Torcegno venne a trovarsi tra il fuoco delle opposte linee nemiche e la gente, presa dalla disperazione, si radunava a pregare per trovare un po’ di conforto e una speranza di sopravvivenza. Ogni mattina, alle cinque in punto, il cappellano don Guido Franzelli celebrava la Santa Messa che era sempre molto partecipata. Ma un brutto giorno, nel pomeriggio del 18 novembre 1915, due gendarmi austriaci giunsero a Torcegno con un ordine d’internamento per don Guido Franzelli. Entro poche ore anche lui doveva partire per la Boemia. Nel tabernacolo della chiesa del piccolo paese erano custodite le Ostie consacrate per la comunione ai fedeli che, all’epoca, potevano essere distribuite solo dalle mani di un sacerdote. A nessun altro era data facoltà di adempiere a questo sacro rito. Per non lasciare i tanti fedeli privi del sacramento
di fronte all’improvviso ordine di partire, don Guido pensò di affidare questo incarico ad un bambino del luogo, Almiro Faccenda, che da pochi mesi aveva fatto la sua prima Comunione. Il cappellano chiamò il sagrestano e gli diede disposizioni precise, poi si consegnò nelle mani dei gendarmi. Il sagrestano raggiunse in fretta il ragazzino ripetendogli le istruzioni avute dal sacerdote. “Domani mattina alle 5, dovrai distribuire la S. Comunione ai fedeli e tutte le particole dovranno essere consumate per evitare che potessero essere profanate”. Poi, ancora in quella sera, passò di casa in casa ad avvertire la gente. Alle cinque in punto Almiro, preso da tanta commozione, era in chiesa assieme al sagrestano che lo aiutò ad indossare la veste bianca di chierichetto. Tutto era pronto per adempiere al grande compito davanti a gran folla di gente che pregava e piangeva disperatamente. Questo straordinario fatto, fu quasi una predestinazione per Almiro Faccenda che divenne sacerdote dopo aver frequentato l’Istituto degli Oblati di San Giuseppe. A Torcegno celebrò la sua prima Messa il 9 ottobre del 1932 e la sua storia, all’epoca, venne riportato
di Mario Pacher
da numerose testate a tiratura nazionale. Il sacerdote di Torcegno morì a Roma il primo gennaio dell’anno 1968, all’età di 60 anni, e lì fu sepolto presso la Cappella della Congregazione degli Oblati di San Giuseppe. E così domenica 19 novembre, in notturna, l’evento è stato commemorato presso la chiesa di Torcegno davanti a tanti fedeli provenienti anche dai vari paesi della Valsugana. Tre sacerdoti, don Livio Dallabrida, il parroco don Renzo Scaramella e don Franco Torresani, già parroco di Torcegno dal 1994 al 2009 ed invitato a guidare la rievocazione storica, hanno concelebrato una Messa che è stata solennizzata dal coro parrocchiale. E’ iniziata intorno alle 4 del mattino per far coincidere la distribuzione dell’Eucarestia alle 5, come in quel lontano giorno del 1915. La cerimonia commemorativa è stata curata dal locale Comitato, capitanato da Giulio Nervo e Renzo Furlan.
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La passione per la Settima Arte: il cinema
L’ASSOCIAZIONE
SLOWCINEMA
n’associazione con un unico comune denominatore: la passione per la Settima Arte. Il cinema. Una nuova realtà, quella nata in Valsugana, che già da alcuni mesi è attiva sul territorio. Per ora operando sottotraccia, ma con tante idee per il futuro. La nuova associazione si chiama “SlowCinema”. Ma tutto parte circa un anno e mezzo fa quando, presso il cinema teatro del polo scolastico di Borgo, un gruppo di persone inizia a conoscersi, scambiare idee e scoprire di avere la stessa passione: quella del cinema. Un passo dopo l’altro, tra una chiacchierata e un film visto e commentato insieme nasce l’idea di fare qualcosa di più. «Il collante che ci ha sempre uniti – dicono quelli di SlowCinema - è il cinema nella sua essenza primaria, non in forma di puro intrattenimento momentaneo, ma quale strumento per osservare e analizzare la società odierna, anche in un piccolo centro di provincia come il nostro. Per noi un nome, ma anche una filosofia per gustare più lentamente, ma soprattutto più intensamente,
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la vita». Luogo simbolo di riunione, scontro e incontro è il Cineteatro Borgo. Dopo un percorso insieme, ecco la decisione di dare vita all’associazione. Scelto il nome e il logo, bisogna formare anche un direttivo. Presidente viene eletto Yuri Micheli, un ragazzo di Scurelle, affiancato da Mattia Rossi di Ronchi in qualità di vice presidente. La segreteria è affidata a Barbara Gianesini di Borgo, tesoriere Federico Cappello di Borgo. Fanno parte della nuova associazione anche Enrico Giampiccolo di Borgo, Marco Fabiani di Ospedaletto, Loris Chiomento di Novaledo, Massimo Mengarda di Samone, e Leonardo Brendolise di Castelnuovo. SlowCinema è nata grazie al rapporto diretto con diversi enti quali il Coordinamento Teatrale Trentino, l'assessorato alla Cultura del comune di Borgo Valsugana e la biblioteca. «Il nostro scopo cardine – dicono ancora - è diffondere la consapevolezza necessaria per assaporare e meglio comprendere la cultura del cinema, specialmente nella nostra zona, tramutando quest'arte un po' dimenti-
di Alessandro Dalledonne
cata e non del tutto considerata, in uno strumento che chiunque può utilizzare per creare una diversa e migliore vita per sé stesso e per gli altri. Allora perché non cercare di restituire al pubblico una più lenta e coinvolgente esperienza al cinema?». E per il futuro? «SlowCinema non vuole solo diventare un punto di riferimento per la fruizione e consumo veloce di un’arte, ma anche uno spazio da vivere e da condividere con gli altri. Per questo abbiamo in mente di organizzare rassegne cinematografiche – conclude Yuri Micheli – progettare un corso di cinema e Videomaking coinvolgendo nelle nostre attività scuole e istituzioni presenti sul territorio. SlowCinema riconosce il valore della lentezza come aspetto imprescindibile nella costruzione di comunità sane, capaci di dialogare, valorizzare il pensiero divergente e trovare soluzioni ai problemi in modo costruttivo in nome del benessere comune. Vogliamo mettere in comunicazione la realtà sociale del territorio con quella mostrata nelle opere filmiche».
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ANNI‘50 Leragazze
dei giornali mensili o dei romanzi a puntate di Luciano De Carli
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ggi esistono in provincia di Trento più di 100 biblioteche, super-fornite di volumi e mezzi audiovisivi, ma nell'immediato dopoguerra c'erano solo biblioteche parrocchiali/oratoriane o altre "laiche" della Sat, come a Levico, o dei Centri Scolastici di Lettura pomeridiana o serale , dove ci si riuniva per alcuni appuntamenti settimanali. Presso le parrocchie o oratori si trovavano agiografie di santi, libri per ragazzi, di persone pie, di missionari; presso quelle "laiche" la Storia di san Michele sull'isola di Capri, i libri della Medusa degli stranieri (inglesi, americani, francesi, baltici, spagnoli… fino allora proebiti dalla censura) e della Medusa degli italiani, fra cui il sempre riletto "Balbina va in America", del trentino Nino Betta. C'era però anche modo di acculturazione "minore" che è servito ad appassionare alla lettura: i romanzi mensili della Domenica del Corriere, i lunghi romanzi settimanali a puntate, come "Scacciata la sera delle nozze"della Patuzzi, i romanzi mensili di Confidenze, settimanale con specifiche indi-
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cazioni femminili della Mondadori. Più fedeli lettrici valsuganotte potevano deliziarsi con i racconti su Gioa, Alba, Lei delle scrittrici levicensi, come “Isi de Angeli", mamma di cinque figlie quindi esperta di famiglia e vicende di cuore, di Maria Raffaelli Passamani, anche scrittrice e regista "laica" per il teatro. Quest'ultimi sono racconti che andrebbero rilegati in un volume, proposti per la ri-lettura, proprio come testimonianza e identità locale in anni di ripresa nazionale. Un romanzo mensile di Confidenze, dovuto alla felice penna della scrittrice Alda Gasperini, ci ricorda nel 1987 le impressioni che la scrittrice ebbe su Levico durante una vacanza di quarant'anni prima. Sotto il titolo "Noi, quelle di allora", la romana collaboratrice di Confidenze, in una lettera allo scrivente datata 13 settembre 1993, fa sapere che - "Ho trascorso con alcune amiche un mese indimenticabile nel 1947... tanto indimenticabile che, anche dopo quarant'anni, ho trovato il desiderio di raccontarlo. Tutto era molto vivo nella mia memoria e in quella delle mie amiche di allora, forse perché a quel tempo avevamo soltanto vent'anni, uscivamo dalla guerra e ogni momento di quella libertà, appena conquistata, veniva da noi vissuto con stupore, felicità ed entusiasmo... tutto quello che descrivo è nostalgia... è innegabile che il passato abbia un grande fascino, fa parte di noi, del nostro vissuto, di ciò che siamo e diventiamo. I ricordi belli spesso aiutano a superare certi momenti di malinconia, di difficoltà o di paura. Mi scusi per questa lunga lettera, ma mi sembra di rivolgermi a un amico". Si pensava allora di ripub-
blicare quel testo con foto d'epoca, qualche precisazione, qualche confronto fotografico, ma le cose non andarono per il verso giusto. Nel racconto il motivo del loro e suo ritorno a Levico è dovuto a una sposalizio di un conoscente nella vicina Trento. - "E adesso non saremmo qui, sedute a un tavolino del caffè Impero... Non ho neanche controllato se ha mantenuto lo stesso nome, ma tanto per noi tre era, è, e sarà sempre il caffè Impero. E così il Grand Hotel Terme e il cinema Città e la casa vicina alla chiesa di proprietà di Cordelia e Olga, sul Corso, le due signorine che l'avevano ospitate a pagamento”. Ci sono "La chiesa del Redentore con il suo caratteristico campanile, la pineta di San Biagio, i suoi boschi, i suoi frutteti, il lago. È un posto sempre incantevole... Ripercorreremo gli antichi itinerari: attraverso il lago, in barca; saliremo fino alla Panarotta, andremo alle Terme...”. E ancora: - "La serata era bellissima, il lago aveva una lucentezza magica e la barca scivolava lieve sull'acqua quasi senza rumore. Il barcaiolo Duilio cantava con trasporto "Buonanotte angelo mio..." canzone d'epoca”. Si parla anche della Panarotta: - "C'era un rudimentale rifugio... e ora è diventata una stazione sciistica”. Il racconto è appunto ambientato a Levico, la Levico degli anni dell'immediato dopoguerra, quando le tre ragazze, classe '27, erano venute da signorine e quando erano ritornate negli anni '80: cambiamenti, già accasate, sogni, rimpianti e giudizi si inseguono nelle 32 pagine del racconto che la Gasperini ha voluto ambientare proprio a Levico di cui s'era innamorata.
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Un progetto sociale per stimolare i giovani
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n progetto per andare “Oltre”, fare comunità, per stimolare nei ragazzi, quelli che frequentano l’Istituto Alberghiero di Levico e Rovereto, il senso di solidarietà, cooperazione e di utilità. In che modo? Mettendo in campo iniziative di accoglienza e ospitalità in tutto il Trentino. Una iniziativa che, tra Alta e Bassa Valsugana, coinvolge ben 160 studenti. «Le scuole sono casseforti di valori – ha ricordato il dirigente dell’Istituto, Federico Samaden, presentando l’iniziativa all’oratorio di Roncegno – cellule attive presenti sul territorio, a partire da questo istituto che ha deciso di sviluppare l’aspetto empatico della personalità dei ragazzi permettendo loro di conoscere diverse realtà locali». Nell’aula distaccata della scuola la firma di un accordo con le Apsp della Valsugana, di Mori e Rovereto, Irifor, la Cooperativa Sociale Vales, la Caritas Diocesana, e l’Aquila Basket. L’accordo ha una durata triennale ma presso alcune strutture per anziani il progetto è già decollato. L’iniziativa si chiama “Ci siamo anche
noi” e vede gli studenti occuparsi, dalle 9 alle 14.30, del servizio di mezzogiorno allestendo la “mise en placee” per servire i commensali. Soddisfatti il direttore dell’ufficio amministrativo della Diocesi, Antonio Pacher, «per un progetto – dice Pacher - che promuove l’accoglienza alle persone e che è solo il primo passo di un collaborazione futura». Una volta al mese, presso il ristorante didattico di Roncegno, gli alunni, in collaborazione con la Fondazione Comunità Solidale della Caritas Diocesana, organizzeranno un pranzo per una trentina di persone che non possono permettersi la frequenza di un ristorante. Un progetto che coinvolge anche Irifor il cui presidente, Ferdinando Ceccato, ha ricordato come già dal 2003 la cooperativa è in contatto con la scuola alberghiera. Alla presentazione era presente il presidente dell’Aquila Basket, Luigi Longhi, società che da tempo ha deciso di aprirsi al territorio «per favorire i percorsi di crescita – dice Longhi - e di sviluppo dei giovani alla cittadinanza attiva». In occasione delle partite casalinghe di cam-
di Alessandro Dalledonne pionato e di EuroCup, presso la sala Hospitality del Palatrento, gli alunni serviranno cibi e bevande forniti da alcuni sponsor della squadra. Con la Cooperativa Vales, invece, è stata messa in campo l’iniziativa “Fratelli maggiori”: rivolta agli ex alunni, con una “Borsa Lavoro” che si spera di attivare a breve con l’Agenzia del Lavoro, verrà data loro la possibilità di un potenziamento formativo affiancando gli operatori della cooperativa nella consegna dei pasti a domicilio alle persone anziane e non autosufficienti. Alla presentazione era presente l’arcivescovo Lauro Tisi. All’interno del progetto è prevista anche l’iniziativa “Natale insieme”. Di cosa si tratta? «Il giorno della vigilia è prevista la preparazione e il servizio ai tavoli del tradizionale cenone al ristorante didattico Sensi. Per l’occasione – ha concluso Samaden – saranno invitate persone che si trovano in condizioni di solitudine e gli studenti, guidati dai docenti, si occuperanno dell’addobbo della sala da pranzo, della distribuzione dei doni e dell’intrattenimento».
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nuovo parrocco
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’intera comunità di Caldonazzo ha accolto recentemente il nuovo parroco don Emilio Menegol, che sarà cura d’anime anche dei vicini paesi di Calceranica al Lago, Tenna e Centa San Nicolò. E’ arrivato in paese sulla camionetta dei Vigili del Fuoco preceduta dal Corpo Bandistico di Caldonazzo ed ha raggiunto in processione la chiesa parrocchiale dove era atteso da tanta popolazione e dai sacerdoti del Decanato. Parole di benvenuto sono state pronunciate dal primo cittadino Giorgio Schmidt e da rappresentanti del consiglio pastorale. Dopo la concelebrazione solennizzata dai canti dei cori parrocchiali uniti per l'occasione, è stato offerto a tutti un signorile rinfresco. Don Emilio Menegol, 69 anni originario di Santa Brigida di Roncegno, era stato vicario parrocchiale a Tuenno e a Roma. Poi parroco a Canal San Bovo, Prade e Zortea, quindi a Trento nella parrocchia di San Giuseppe. Ed ancora a Strigno, Samone, Villa Agnedo e Bieno. Quindi negli ultimi 7 anni a Trento in Cristo Re e alla Vela. (M.P.)
Un augurio speciale di buon compleanno a Gabriella e Mariuccia, due sorelle e lettrici speciali di Valsugana News, che il 3 dicembre hanno festeggiano il loro compleanno!
VIGOLO VATTARO
Amici di Papa Francesco a Casa Santa Maria
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Casa Santa Maria di Vigolo Vattaro, una decina di ospiti ha concluso il confezionamento di un libro tutto particolare che è partito poi per il Vaticano, per essere consegnato a Papa Francesco, attraverso l’intermediazione di Don Ivan Maffeis. L’opera intitolata “Amici di Papa Francesco”, è stata realizzata a più mani con la volontaria sarta Oliva Tamanini che nei mesi trascorsi ha ideato insieme agli anziani un vero e proprio libro fatto di stoffe e tessuti riciclati. Un lavoro originale, come afferma l’animatrice dell’Istituto Luisa Tamanini, in unica copia che si compone di 15 pagine in cui si possono scorgere i profili ricamati di Casa Santa Maria, della Chiesa Parrocchiale di Vigolo Vattaro, della Casa di Santa Paolina, del Santuario del Feles di Bosentino e della Vigolana. All’interno di ogni pagina, in alcune taschine appositamente cucite, sono stati inseriti i pensieri scritti dagli anziani e rivolti al Pontefice. Parole di gioia, preghiere e semplici pensieri carichi di umanità rivolti al Papa e scritti di pugno da ogni ospite che ha partecipato al curioso “laboratorio tessile”. Il lavoro, durato alcuni mesi, ha visto la partecipazione anche di altri volontari: Dario Ravagni per la parte grafica, Umberto Failo, Antonio Maule e Claudio per le riprese video che sono state fatte per la realizzazione di un video documentario di tutto il lavoro. Grande soddisfazione per Oliva Tamanini e per i responsabili della Casa che ancora una volta hanno potuto offrire ai loro ospiti un’esperienza unica, divertente ed originale che ha permesso ad ogni partecipante di riscoprire l’arte della manualità di un tempo e un po’ dimenticata. (M.P.)
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Tanti, ma tanti auguri a nonno remo a h e r b m e v o n 8 ' l e h c i festeggiato 97 ann con la sua amata Elena!!!
LA SAGRA DI BARCO
BARCO DI LEV ICO
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a sagra di Barco con patrono san Taddeo, è iniziata anche quest’anno con l’apertura del vaso della fortuna e una rappresentazione da parte della filodrammatica di Calceranica al Lago. Una festa che annualmente viene organizzata dalla Parrocchia nella ricorrenza del Patrono, in collaborazione con le principali associazioni di volontariato locale. Dopo la solenne Messa domenicale celebrata dall’arciprete di Levico don Ernesto Ferretti, è stata deposta, a cura degli Alpini, una corona al vicino monumento ai Caduti ed è seguito un concerto della Banda Città di Levico. Parole di mesto ricordo verso quei giovani che hanno dovuto sacrificare la loro vita per la Patria, sono venute dal capogruppo Alpini di Barco Lorenzo Fontana, seguito dal primo cittadino Michele Sartori e dal consigliere provinciale Gianpiero Passamani. Nel pomeriggio l’associazione “Noi Oratorio Barco” e “GSC Oltrebrenta” hanno organizzato la prima edizione del “Barco’S Got Talent” e la festa si è conclusa con un concerto di canti da parte del Coro San Osvaldo di Roncegno. (M.P.)
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I 50enni in festa
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nati della classe 1967 di Levico e frazioni, hanno festeggiato recentemente , tutti assieme, il raggiungimento del loro mezzo secolo di vita. Il folto gruppo, dopo aver assistito ad una Messa nella arcipretale per ricordare anche i coscritti che ormai hanno concluso la loro vita terrena, ha poi raggiunto il ristorante Al Brenta dove era stato preparato per loro un abbondante momento conviviale. Tutti hanno indossato una maglia ricordo fatta confezionare dagli organizzatori e, alle appartenenti al gentil sesso, è stata donata anche una rosa rossa. La cornice musicale è stata affidata ad Ivano che, con il suo impianto musicale, ha eseguito tante belle canzoni. Abbiamo chiesto agli organizzatori quale fosse il loro desiderio. Questa la risposta: “Vedere la nostra foto pubblicata sulla rivista Valsugana News”. Eccoli accontentati. (M.P.)
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ntrare all'Hotel Paoli a Lochere, Caldonazzo, una qualsiasi seconda domenica del mese è un’esperienza curiosa e interessante. Mi accolgono un gruppo di persone, per lo più uomini, seduti dietro a tavoli e postazioni stracolmi di oggetti dall’aria vissuta: alcuni di metallo, altri di stoffa, altri ancora di legno. Sono collezionisti e appassionati di oggetti militari e di francobolli e cartoline che si incontrano per mostrare le loro raccolte, nella speranza di trovare un oggetto mancante da scambiare. Paolo Costa, il coordinatore di questo gruppo, mi dà il buongiorno con una calda stretta di mano. «Dobbiamo essere grati ai proprietari dell’Hotel Paoli -ci tiene a precisare - perché ci offrono uno spazio dove trovarci, dialogare e scambiare oggetti». Il nucleo centrale è composto da appassionati di Militaria, oggetti collegati al mondo militare. «Sono circa una ventina di espositori di questo genere», mi racconta Costa.
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La maggior parte di loro ha una passione per la Grande Guerra, e infatti nella sala al piano interrato dell’Hotel scorgo molti elmetti, cappellini, pezzi di armi, mostrine, medaglie e oggettistica risalente a quell’epoca. Ma cosa porta a questa passione? «Toccare materiali carichi di storia e di vissuto, è diverso dal vederli dietro una vetrina, stampati su un libro o alla televisione - spiega il signor Costa - così tutto acquista un senso diverso, diventa più reale». D’accordo con questa visione è sicuramente Franco, un «appassionato più che un collezionista», come si definisce lui. Appassionato e recuperante che sogna ancora di trovare un posto «dove non è ancora entrato nessuno». La sua passione per gli oggetti della prima guerra mondiale lo ha portato a collaborare alla realizzazione di alcuni libri, e, addirittura, a un documentario per il Trentino Film Festival.
Franco e Paolo mi presentano il signor Langhini. Come il coordinatore del gruppo, anche lui viene da Asiago, e ha alle spalle quasi sessant’anni di raccolta di materiali. «Ho cominciato con un vecchio metal detector nel 1958. A quell’epoca uscivi di casa e sui prati trovavi tanto ferro da guadagnare il doppio del tuo stipendio rivendendolo», racconta con la nostalgia nella voce. Non solo recuperante, ma anche collezionista. Da ragazzo ha infatti ereditato la collezione di stufe militari del padre. «Quando sono entrato nella stalla, ce n’erano una quindicina, e mi sono detto che c’era ancora spazio per continuare la raccolta». Oggi la collezione del signor Langhini conta oltre cento pezzi. Ma non ci sono solo appassionati di oggetti militari. In un angolo alcuni collezionisti di francobolli e cartoline. «Ho cominciato a raccogliere cartoline del mio paese - racconta Rolando - e poi quando hanno cominciato a scarseggiare mi sono dato alle cartoline austroungariche». Vicino a lui Diego mi spiega che per lui collezionare le cartoline e le fotografie d’una volta serve per «ricordarci chi siamo, per non dimenticare la nostra storia». A un tavolo l’unica donna della mattinata. La signora mi spiega che «di solito ci sono altre signore, ma oggi ci sono solo io. Accompagno mio marito, è lui il collezionista. Viene qua, alla fin fine, per stare assieme agli altri». Se siete curiosi o appassionati di oggettistica militare, di cartoline, di francobolli o altro, i collezionisti vi aspettano ogni seconda domenica del mese all’Hotel Paoli di Caldonazzo.
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festa dei santi
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resso il cimitero militare di Levico Terme, uno dei pochi della Regione che ancora conserva materialmente i resti di quei 1.148 soldati soprattutto austriaci e ungheresi, che furono raccolti sui monti circostanti alla fine della prima Guerra Mondiale, si è svolta, in prossimità delle festività dei Santi e dei Morti, una significativa cerimonia in ricordo di quei Caduti. Alla presenza di numerosi
rappresentanti delle varie associazioni combattentistiche e d'arma, è stata deposta al Monumento una corona d'alloro fatta pervenire dal Consolato Austriaco di Vienna della Croce Nera. Dopo la benedizione da parte di don Danilo, il sindaco Michele Sartori, ha ricordato il loro sacrificio così come anche il generale Carlo Frigo della sezione ANA di Trento. Ha concluso gli interventi il capogruppo Alpini di Levico Terme Walter Pohl, che ha pure ricordato “quanto era suggestiva in passato questa cerimonia religiosa quando partecipavano anche tutti gli scolari. Ora, ha detto, per volontà delle loro insegnanti, questo rito ha perduto parte del suo fascino anche se le scolaresche organizzano per conto loro una visita alle tombe”. (M.P.)
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NOVALEDO
fotoricordo
gruppo alpini
u di una parete accanto all’ingresso dell’APSP San Valentino di Levico Terme, fa bella mostra la foto che vi proponiamo e che è stata raccolta fra le persone ospitate in quell’Istituto. Una immagine portata da una persona, al femminile, per poter ancora ricordare gli anni della sua gioventù, quando era una scolaretta. Come si rileva dalla scritta in calce, sarebbe stata scattata nel lontano 1910 quando gli scolari avevano come insegnante la maestra Fiorina Perina. L’insegnante, come da sempre si usa nella scuola, anche all’epoca chiamava uno per uno gli scolaretti che rispondevano “presente”. Un appello che, se fatto oggi, dopo quasi 110 anni, nessuno più potrebbe rispondere “presente!”. (M.P.)
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er iniziativa del locale Gruppo Alpini, Novaledo ha ricordato anche quest’anno la sera del 4 novembre, i Caduti di tutte le guerre. Dopo la S. Messa celebrata dal parroco don Paolo Ferrari, è stata deposta una corona d’alloro al Monumento di piazza Municipio, congiuntamente alle corone delle Penne Nere di Roncegno e di Marter, mentre il trombettiere Matteo Curzel di Caldonazzo intonava il silenzio d’ordinanza. Il capogruppo Domenico Frare, nel suo discorso pronunciato davanti alla popolazione e alla decina di rappresentanti di associazioni d’arma di tutta la Valle, intervenuti con i loro gagliardetti, ha usato parole di mesto ricordo verso quei giovani sodati che hanno dovuto sacrificare la loro vita per la Patria. Poi anche il sindaco Diego Margon ha ricordato quei nostri compaesani che non fecero più ritorno alle loro case, e così anche il vicesindaco di Roncegno Corrado Giovannini. (M.P.)
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MARTER DI RONCEGNO
don Paolo stato festeggiato a Marter di Roncegno, il parroco don Paolo Ferrari per i suoi 40 anni di vita sacerdotale. Presenti alla solenne celebrazione molti fedeli delle cinque parrocchie di cui è guida spirituale: Roncegno, Ronchi, Novaledo, Santa Brigida e Marter. Don Paolo è stato pubblicamente ringraziato per il suo impegno e per la costante disponibilità da un rappresentante del Consiglio Parrocchiale e dal sindaco di Roncegno Mirko Montibeller nonché dai bambini che lo hanno salutato intonando alcuni canti. Don Paolo Ferrari è nato a Trento l’8 maggio 1953 e fu consacrato in Duomo il 26 giugno 1977. In passato fu vicario parrocchiale a Tesero, e a Mori. Poi parroco a Villa Rendena e guida spirituale per periodi più o meno lunghi anche a Spiazzo, Pelugo, Strembo, Caderzone, Bocenago e dal 2012 al 2015 a Pietramurata, Sarche e Pergolese. Poi nel 2015 fu chiamato alla guida dell’Unità Pastorale Santi Pietro e Paolo, che si compone delle 5 parrocchie già sopra citate. (M.P.)
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Auguri alla sorellina/zietta che il 16 dicembre festeggia i suoi 26 anni! Chiara
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