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Sua Eminenza don Renato Marangoni

Don Renato e la sua Chiesa in cammino di Franco Zadra

Una “fontana vivace” di speranza

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La diocesi Belluno-Feltre ha appena 35 anni, ma viene da una storia diocesana lunga quindici secoli durante i quali altri territori provenienti da altre comunità diocesane sono confluiti a costituire l’attuale assetto che dal VI al XIII secolo vedeva due distinte diocesi, di Belluno e di Feltre; dal 1200 al 1462, pur rimanendo due strutture giuridiche distinte le due diocesi sono sotto la guida di un unico vescovo, con un intervallo, dal 1462 al 1818, quando tornano ad avere ognuna un proprio pastore, per poi ritornare sotto un’unica guida dal 1818 al 1986, anno nel quale vengono fuse insieme e nasce la diocesi di Belluno-Feltre. 158 sono le parrocchie, raggruppate in sei “convergenze foraniali” e solo venticinque di queste hanno il loro parroco, mentre le altre sono raggruppate in gruppi da due e fino a otto, con un parroco in comune.

Non è impresa facile dare conto di una vita, tanto più se così particolare - vorremmo dire “speciale” - come quella della Chiesa di Belluno-Feltre – ma la lunga telefonata che il Vescovo, don Renato Marangoni, ci ha concesso all’inizio di questa Quaresima, ci ha lasciato la bella impressione che l’accosta nei nostri ricordi scolastici all’immagine che fu attribuita da Dante Alighieri alla Madonna, «se’ di speranza fontana vivace». Una “fontana vivace” di speranza è la diocesi tra le Dolomiti guidata da don Renato, alla quale tutti sono nella possibilità di abbeverarsi, anche in questo tempo così complicato e difficile che chiamiamo pandemia, caratterizzato da un senso diffuso di incertezza e disorientamento, e che in molti siamo tentati di giudicare sull’orlo di una crisi disperante. È certo nostro lavoro andare a caccia di notizie, incontrare persone, dissotterrare fatti, imbastire storie, per mettere in contatto il lettore con il mondo là fuori ed essere un veicolo della realtà. Ma l’incontro con don Renato è stato molto di più di questo. Nella sua omelia nell’Eucaristia con i giornalisti il 24 gennaio scorso, giorno di San Francesco di Sales, al Centro diocesano “Giovanni XXIII”, don Renato, riprendendo il messaggio di papa Francesco per la 55ma Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, richiamava l’esperienza dei due discepoli di Giovanni Battista che guardano a Gesù, lo seguono e lo incontrano, accogliendo l’invito a “venire e vedere” (Gv 1,39), per mostrare il metodo, la “regola generale”, di ogni autentica comunicazione umana. Don Renato stesso lo sentiamo un esperto del «comunicare incontrando le persone dove e come sono», dedicandoci molto più tempo di quanto avevamo richiesto e

avremmo mai sperato di avere, in ragione dei suoi numerosi impegni. «C’è un modo di essere giornalisti – diceva ancora don Renato in quella sua omelia – che si forma alla scuola del primo eccezionale “giornalista evangelico” che fu Marco, il quale porta a fare esperienza di ciò che è avvenuto e conduce alle soglie di una verità di vita che non è chiusa, definita, ti porta dinnanzi ai fatti e ti lascia lì ad incontrare le persone dove e come sono». Nell’incontro con don Renato tutto questo è diventato semplice esperienza, corrispondendo del tutto allo stile giornalistico al quale come testata aspiriamo e che trova corrispondenza e prezioso orientamento nel messaggio di Papa Francesco, citato da don Renato, che elenca i caposaldi della comunicazione ispirata ai vangeli. «Voci attente– scrive il Papa – lamentano da tempo il rischio di un appiattimento in “giornali fotocopia” o in notiziari tv e radio e siti web sostanzialmente uguali, dove il genere dell’inchiesta e del reportage perdono spazio e qualità a vantaggio di una informazione preconfezionata, “di palazzo”, autoreferenziale, che sempre meno riesce a intercettare la verità delle cose e la vita concreta delle persone, e non sa più cogliere né i fenomeni sociali più gravi né le energie positive che si sprigionano dalla base della società. Il “vieni e vedi” è il metodo più semplice per conoscere una realtà. È la verifica più onesta di ogni annuncio, perché per conoscere bisogna incontrare, permettere che colui che ho di fronte mi parli, lasciare che la sua testimonianza mi raggiunga». E conclude «tutti siamo chiamati a essere testimoni della verità: ad andare, vedere,

e condividere». La realtà della Chiesa di Belluno-Feltre, che voi lettori - certamente più di chi scrive - vivete ogni giorno da protagonisti, o da semplici osservatori, potrà forse sollecitarvi ad accorgervi con meraviglia di quello che qualcuno ha definito come «il miracolo che travolge il mondo», cioè, «che della gente estranea si tratti come fratelli e sorelle». A proposito di fratelli, le parole scelte dal Vescovo Renato per il proprio motto episcopale, così come si ritrova anche nel sito della Diocesi (www.chiesabellunofeltre. it), si rifanno al quarto Vangelo laddove l’evangelista Giovanni narra dell’incontro del Risorto con Maria di Màgdala e, in particolare, dell’esortazione di Gesù affinché la donna si rechi subito dai discepoli per annunciare che egli – “primogenito di una moltitudine di fratelli” (cfr. Rm 8,29) – ha compiuto la missione affidatagli dal Padre. Per questo egli dice a Maria: “Salgo al Padre mio e Padre vostro” (Gv 20,17b). Con la Pasqua di Gesù si attua la salvezza: che tutti siano “innalzati” a Dio. L’attenzione è sul Risorto: egli si fa incontro a Maria che sta cercando il corpo di Gesù, la chiama per nome e si fa da lei riconoscere. Questa stessa esperienza di incontro con lui è all’origine dell’invio che Maria di Màgdala accoglie nel portare la buona notizia al gruppo dei discepoli ancora bloccati ed esitanti a motivo del loro non comprendere. I discepoli accolgono infatti

da lei l’annuncio che Gesù è risuscitato ed è salito al Padre. Nelle parole dette dal Maestro a Maria Maddalena e nella sua esperienza di incontro con lui vi è l’oggi della Chiesa, il suo essere inviata a portare il vangelo della Risurrezione. Gesù risorto chiama “suoi fratelli” i discepoli: è il nuovo legame pasquale a cui siamo invitati perennemente, aperto a tutti; è l’impegno quotidiano di ogni comunità di discepoli di Gesù. Nella Prima Lettera di Giovanni è attestato: “La nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo” (1Gv 1,3). L’annuncio del fatto decisivo del Cristianesimo - Cristo è risorto - è stato affidato a una donna che proprio per questo viene ricordata come “Apostola degli Apostoli”, «un dato – dice don Renato – che abbiamo forse un po’ tradito con l’insistenza retorica sui dodici Apostoli». Questi, per altro, non hanno creduto subito alla testimonianza delle donne e Gesù l’ha vista in faccia la loro incredulità (cfr. Mc 16,14). «L’espressione “va dai miei fratelli” - dice ancora don Renato - è per me una chiave interpretativa per leggere tutto il resto, il senso dell’essere Chiesa oggi, un andare non per conquistare ma per condividere, per portare i pesi gli uni con gli altri. Purtroppo lungo la storia cristiana, nel tentativo di spiegarci tutto del vangelo, è stata fatta un po’ di confusione riguardo alla figura di Maria di Magdala che abbiamo identificato con la sorella di Marta e di Lazzaro e anche con l’adultera della quale nel vangelo si racconta che unse Gesù. Maria di Magdala è tuttavia una figura che permette alla Chiesa di “dislocarsi”, “scendere dal monte” e cogliere di più le dinamiche umane, esistenziali, della vita. Di lei mi ha sempre colpito quell’incontro con il Risorto, quel suo piangere davanti alla tomba vuota, quel suo cercare Gesù nel quale ha trovato una persona che l’ha capita nel profondo, anche liberata da tante situazioni che sono tipiche della nostra condizione umana. Maria di Magdala aveva un grande amore per Gesù e lo dimostra in quel primo incontro dopo la Resurrezione nel quale Gesù la chiama per nome. Il Cristianesimo ha senso se è fatto di questo calore, di questa profondità di conoscenza dell’altro. Gesù non è un’idea, non è una filosofia, né una morale o una regola di vita, ma è una persona che si incontra. Questo ci dice anche che più entriamo nel rapporto vivo e vero con le persone e più scopriamo la novità del Vangelo che non tramonta». Una Chiesa in cammino dunque, quella di Belluno-Feltre, che sta ripensando su come lasciarsi ispirare dal vangelo e rapportarsi con le complicazioni e le situazioni nuove di oggi, anche in rapporto alle nuove generazioni dove c’è una certa fatica. Il Vescovo non la nasconde, ma dove dei giovani sono coinvolti in questo ripensamento, essi divengono motivo di fiducia e di speranza, nonostante la situazione diffusa nel territorio sia di deriva su tanti aspetti. «Quattro seminaristi – conclude don Renato – si stanno preparando al ministero nel Seminario interdiocesano di Trento». Numeri piccoli, ma comunque realtà presente che dà forza a una grande speranza.

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