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Storie di casa nostra: l’ultimo anno di guerra

Storie di casa nostra di Andrea Casna

L’ultimo anno di guerra fra fame e miseria

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1917-1918, l’ultimo anno di guerra, fu il più difficile. Fu l’anno della fame, delle carestie e anche degli scioperi.

La popolazione cominciava ad essere stanca di quella guerra che aveva mobilitato 60milioni di uomini. Il prezzo, in termini di vite umane, fu enorme: 10milioni di morti.

Per fare un esempio, l’Italia mobilitò 5milioni di uomini, 650mila non fecero ritorno a casa e altri 400mila tornarono mutilati.

Milioni furono anche i civili costretti a sostenere lo sforzo bellico lavorando come operai militarizzati al servizio dell’esercito oppure nelle fabbriche per la produzione di armamenti. La Fiat passò da 4mila addetti, nel 1914, a 40mila nel 1918. Stesso discorso per l’Ansaldo: da 6mila nel 1914, 11mila nel 1918. L’intero sistema produttivo, di ogni singolo paese in guerra, fu convertito a fini bellici. A partire dal 1917 l’Europa conobbe una crisi alimentare senza precedenti. Nell’agosto del 1917 le donne di Torino scioperarono contro la mancanza di pane. Stesso discorso nelle grandi capitali europee: Parigi, Londra Berlino e Vienna. In Russia gli scioperi si tramutarono presto in una rivoluzione. Il 1917 fu l’anno che segnò la svolta. L’Italia, dopo la disfatta di Caporetto fu costretta e rivedere i piani militari sostituendo Luigi Cadorna con Armando Diaz, aumentando la produzione industriale per fare del Regio Esercito una vera macchina in grado di contrastare l’esercito austro-ungarico sulla linea del Piave. L’Austria, priva di materie prime e con il blocco navale che le impediva di poter accedere ai generi di prima necessità, si trovava in una situazione alimentare drammatica. Dopo Caporetto le terre occupate (Friuli e Veneto) conobbero un vero e proprio saccheggio: le risorse locali furono destinata in gran parte a rifornire l’esercito occupante. Si stima che partirono più di 5mila vagoni colmi di materie prime, cibo e macchinari: tutto per sostenere lo sforzo bellico dell’esercito austroungarico. Nel Feltrino a raccontare uno spaccato di storia è il diario di Almerico de Marchi, un esercente di Seren, testimone di quel periodo difficile. Nel suo diario ci racconta di un esercito imperiale privo di cibo con i soldati che spesso indossano vestiti civili perché privi della divisa. Al febbraio 1918 Almerico scrive: «Granate in Valle; un tedesco ha preso un bossolo sulla testa. Le batterie sotto S. Siro e Peurna tirano contro aeroplani italiani. Tanti giorni manca il rancio ai soldati. Questi sono stanchi e capiscono che hanno da fare un brutto passo. (…). i bosniaci continuano a rubare. Sono ridotti con pochi chili di patate, 15 fagioli e tre galline. (…). Un vitello abortito fu disotterrato dopo tre giorni e in parte mangiato dai soldati. Porto -scrive sempre Almerico- le tre galline in cantina e le riporto in cucina la sera per precauzione. Quante notti sono sceso in cantina per

vedere se mi portano via tutto». Il diario di Almerico è ricco di dettagli. A marzo scrive: «questi austriaci rompono le ossa dei muli morti trovate nelle latrine e ne succhiano la midolla, mangiano sorgo rifiutato dai muli, raccolgono fagioli crudi trovati nella via..». Col passare dei mesi la situazione è sempre più difficile: «finora (in sei mesi) i tedeschi ci hanno tolto, si può dire, tutto e dato niente (…). Essi, pare impossibile, hanno tanta tolleranza; mangiano male e poco e si dicono sicuri della vittoria». Nel suo diario Almerico non si risparmia nell’annotare fame e miseria: «Mangio minestra con erbe che mi fa dolore tutta la notte. Vado ad Aren a lavorare per mangiare. Mi fanno caricare ghiaia a S. Lucia. Colazione niente, a mezzodì rancio militare, alle 5 un po’ di caffè cattivo. Mi duole la schiena, essendo io abituato in bottega». Al 25 giugno 1918 Almerico scrive una cosa molto interessante: «i prigionieri dicono che i tedeschi fotografano i bimbi delle scuole con una pagnotta ciascuno, per far vedere al mondo che li trattano bene, poi tolgono le pagnotte, lasciando ai bambini un solo pezzetto di pane». Il diario di Almerico, pubblicato in «1917/1918. Il Feltrino invaso. Testimonianze» (Edizioni DBS, 1993) si conclude con: «31 ottobre – Finalmente... gli italiani arrivano. Corriamo tutti e incontriamo in piazza un caporal maggiore con in mano una sciabola, nell’altra una bomba. Chi piange, chi lo bacia. Uno di quei momenti che la penna non può scrivere».

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