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Le Foibe, per non dimenticare
Il giorno del ricordo di Armando Munaò
Le FOIBE: per non DIMENTICARE
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Il Giorno del ricordo è una solennità civile nazionale italiana, istituita nel 2004, che si celebra il 10 febbraio di ogni anno, per ricordare i massacri delle foibe e l’esodo giuliano dalmata e per «conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale». La data prescelta è il giorno in cui, nel 1947, furono firmati i trattati di pace di Parigi, che assegnavano alla Jugoslavia l’Istria, il Quarnaro, la città di Zara con la sua provincia e la maggior parte della Venezia Giulia, in precedenza facenti parte dell’Italia.
Imassacri delle foibe e l’esodo dalmata-giuliano* sono state, purtroppo, una tristissima pagina di storia che per molti anni l’Italia non solo ha voluto dimenticare, ma non si comprende il perché una simile tragedia abbia vissuto nell’oblio per oltre sessant’anni. Per fortuna, con il passare del tempo la coltre di silenzio che l’ha circondata, piano piano si è diradata grazie anche al Parlamento Italiano che nel 2004 approvò la legge Menia (dal nome del deputato triestino Roberto Menia, che l’aveva proposta) che di fatto istituiva il Giorno del Ricordo “in memoria degli italiani torturati, assassinati e gettati nelle foibe (le fenditure carsiche usate come discariche) dalle milizie della Jugoslavia di Tito alla fine della seconda guerra mondiale”. Grazie a quella scelta, tutti noi, da quel giorno, abbiamo potuto conoscere quante sofferenze dovettero subire gli italiani della Venezia Giulia, dell’Istria di Fiume e della Dalmazia. Da ricordare che già gli allora Presidenti della Repubblica, Francesco Cossiga e Oscar Luigi Scalfaro, il primo il 3 novembre 1991 e il secondo 11 febbraio 1993, si recarono alla foiba di Basovizza per rendere reverente omaggio alle vittime del massacro che i comunisti di Tito perpetrarono, riconoscendo il grave errore che la storia aveva commesso nell’oscurare questa tragedia umana. E sulla tragedia delle foibe sono state significative le parole che Sergio Mattarella,
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Presidente della Repubblica Italiana, ha pronunciato lo scorso anno e quest’anno in occasione del “Giorno del Ricordo”. “Le foibe, sono state una sciagura nazionale, una vera pulizia etnica che ha causato, alla fine della seconda guerra mondiale, terribili sofferenze agli italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia. Queste nostre terre, con i loro abitanti conobbero la triste e dura sorte di passare, senza interruzioni, dalla dittatura del nazifascismo a quella del comunismo. Gli eccidi efferati di massa – culminati, ma non esauriti, nella cupa tragedia delle Foibe, l’esodo forzato degli italiani dell’Istria, della Venezia Giulia e della Dalmazia, fanno parte a pieno titolo della storia del nostro Paese e dell’Europa”. A oggi una vera quantificazione delle vittime non è certa, ma secondo gli storici e le testimonianze dei sopravvissuti, i morti sono stati almeno 20mila e più di 250 mila gli esuli italiani costretti a lasciare le loro case. Il “Giorno del Ricordo”, ha sottolineato il Capo dello Stato nel suo emozionante discorso, ha contribuito e contribuisce a farci rivivere una pagina tragica della nostra storia recente, per molti anni ignorata, rimossa o addirittura negata e alla quale i contemporanei non attribuirono – per superficialità o per calcolo – il dovuto rilievo a questa immane tragedia che coinvolse gli italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia sotto l’occupazione dei comunisti jugoslavi.” “Questa penosa circostanza, ha continuato il Presidente Mattarella, pesò ancor più sulle spalle dei profughi che conobbero nella loro Madrepatria, accanto a grandi solidarietà, anche comportamenti non isolati d’incomprensione, indifferenza e persino di odiosa ostilità”. Un discorso, quello del nostro Presidente, che ha aperto un nuovo e necessario libro del ricordo le cui pagine devono svegliare la mente di coloro i quali per oltre 60 anni , forse anche volutamente, non hanno voluto leggere. “Si deve soprattutto alla lotta strenua degli esuli e dei loro discendenti, ha sottolineato Mattarella, se, sia pure con lentezza e fatica, il triste capitolo delle Foibe e dell’esodo è uscito dal cono d’ombra ed è entrato a far parte della storia nazionale, accettata e condivisa, conquistando, doverosamente, la dignità della memoria. Il Giorno del Ricordo in memoria delle vittime delle Foibe, e del tanto tanto sangue innocente versato, ha detto, è un orrore che colpisce le nostre coscienze. Prezioso è stato il contributo delle associazioni degli esuli per riportare alla luce vicende storiche oscurate o dimenticate, e contribuire così a quella ricostruzione della memoria che resta condizione per affermare pienamente i valori di libertà, democrazia, pace”. “Purtroppo, ha continuato il Capo dello Stato, esistono ancora piccole sacche di deprecabile negazionismo militante. Ma oggi il vero avversario da battere, più forte e più insidioso, è quello dell’indifferenza, del disinteresse, della noncuranza, che si nutrono spesso della mancata conoscenza della storia e dei suoi eventi. Questi ci insegnano che l’odio la vendetta, la discriminazione, a
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qualunque titolo esercitati, germinano solo altro odio e violenza”. Alle vittime di quella persecuzione, ai profughi, ai loro discendenti, ha concluso il Presidente Mattarella, rivolgo un pensiero commosso e partecipe. La loro angoscia e le loro sofferenze non dovranno essere mai dimenticate. Esse restano un monito perenne contro le ideologie e i regimi totalitari che, in nome della superiorità dello Stato, del partito o di un presunto e malinteso ideale, opprimono i cittadini, schiacciano le minoranze e negano i diritti fondamentali della persona. E ci rafforzano nei nostri propositi di difendere e rafforzare gli istituti della democrazia e di promuovere la pace e la collaborazione internazionale, che si fondano sul dialogo tra gli Stati e l’amicizia tra i popoli”.
Per il Presidente del Senato, Elisabetta Casellati, la celebrazione del Giorno del Ricordo rappresenta “un’opportunità per riflettere insieme su alcune delle pagine più dolorose della nostra storia. Pagine che ci raccontano una verità terribile, eppure per troppo tempo nascosta, taciuta, colpevolmente ignorata. Una verità che un inaccettabile negazionismo, figlio del pregiudizio, aveva relegato all’oblio. La tragedia che si è consumata sulle terre del confine orientale a cavallo tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e i primi anni dell’Italia repubblicana -ha aggiunto la seconda carica dello Stato- non si può cancellare e non può essere fatta passare attraverso i filtri e le censure delle ideologie. La storia non è un racconto di parte: è testimonianza di ciò che è stato. E come tale va ricostruita, documentata, studiata e tramandata: specie quando ci riguarda direttamente come italiani. Perché italiani erano i giuliani, gli istriani e i dalmati fatti cadere –uno ad uno, legati insieme con il fil di ferro– e lasciati morire nelle gole del Carso”. “Migliaia -ha detto ancora il presidente del Senato- sono gli italiani sepolti nelle foibe; centinaia di migliaia i profughi istriani, fiumani e dalmati sparsi in giro per il mondo per sfuggire ad una inaccettabile ed inumana pulizia etnica. Un popolo sradicato dalla sua terra, abbandonato dalle diplomazie e dalle istituzioni, emarginato persino in Italia, dove gli esuli che non riuscirono ad integrarsi o a trovare ospitalità da qualche parente, vennero confinati in 109 campi di raccolta, allestiti fuori dalle città, spesso in condizioni di assoluta precarietà”.
“Per troppo tempo le ferite lasciate da quei terribili eventi sono state confinate nella memoria degli esuli e dei loro discen-
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denti, le cui sofferenze sono state acuite dall’indifferenza o addirittura dall’ostilità di ampie parti del nostro Paese”, ha sottolineato il presidente della Camera, Roberto Fico, in un passaggio del suo discorso. Nel ricordare le migliaia di italiani uccisi dalle milizie comuniste jugoslave, l’esodo di massa e le persecuzioni a cui furono sottoposti gli italiani in Istria, Dalmazia e Venezia Giulia, la terza carica dello Stato, ha sottolineato “che su queste pagine di storia e per tanti anni sono prevalse narrazioni di parte, fortemente distorte da pregiudiziali di natura ideologica e nazionalista, che hanno ostacolato – ed in parte continuano ad ostacolare – una ricostruzione accurata ed oggettiva di quanto realmente avvenuto al confine orientale. Oggi abbiamo tutti gli elementi per respingere senza esitazioni le tesi negazioniste o giustificatorie di quella persecuzione, purtroppo ancora presenti. Questa giornata “deve ricordarci che la pace, la convivenza tra i popoli, il rispetto dei diritti umani non sono acquisiti per sempre, ma richiedono un impegno quotidiano affinché i conflitti, gli estremismi ideologici e nazionalistici, i totalitarismi, l’odio etnico e di classe non portino nuovamente ad atrocità, persecuzioni e crimini contro l’umanità”.
*L’esodo giuliano dalmata, conosciuto anche come esodo istriano, è stato un evento storico che ha determinato una forzata emigrazione della maggioranza, non solo dei cittadini di nazionalità e di lingua italiana dalla Venezia Giulia, dal Quarnaro e dalla Dalmazia, ma anche di un consistente numero di cittadini italiani di nazionalità mista, slovena e croata. Emigrazione che si verificò a partire dalla fine della seconda guerra mondiale (1945) e nel decennio successivo e che interessò, secondo gli storici un numero compreso tra le 250.000 e le 350.000 persone. In questo triste periodo, secondo documenti storici e testimonianze di sopravvissuti, migliaia di italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia furono obbligati a lasciare la loro terra. Purtroppo altri, e non pochi, furono deportati nei campi sloveni e croati oppure uccisi dai partigiani di Tito e gettati nelle foibe. Secondo alcune fonti le vittime di quei pochi mesi furono tra le quattromila e le seimila, per altre diecimila. Nel dicembre 1945 il nostro Capo del Governo Alcide De Gasperi presentò agli Alleati un elenco di nomi di oltre 2.500 deportati dalle truppe jugoslave nella Venezia Giulia e quantificò in almeno 7.500 il numero degli scomparsi. In realtà, il numero degli infoibati e dei massacrati nei lager di Tito fu ben superiore a quello temuto da De Gasperi perchè Le uccisioni di italiani, nel periodo tra il 1943 e il 1947, furono almeno 20mila.
COME SI MORIVA NELLE FOIBE
I primi a finire in foiba nel 1945 furono carabinieri, poliziotti e guardie di finanza, nonché i pochi militari fascisti della RSI e i collaborazionisti che non erano riusciti a scappare per tempo (in mancanza di questi, si prendevano le mogli, i figli o i genitori). Le uccisioni avvenivano in maniera spaventosamente crudele. I condannati venivano legati l’un l’altro con un lungo fil di ferro stretto ai polsi, e schierati sugli argini delle foibe. Quindi si apriva il fuoco trapassando, a raffiche di mitra, non tutto il gruppo, ma soltanto i primi tre o quattro della catena, i quali, precipitando nell’abisso, morti o gravemente feriti, trascinavano con sé gli altri sventurati, condannati così a sopravvivere per giorni sui fondali delle voragini, sui cadaveri dei loro compagni, tra sofferenze inimmaginabili.