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E se vincessereo le donne?

Donne e uomini nell’arte di Alice Vettorata

…e se vincessero le donne?

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La violenza, in questo caso quella di genere, è una dinamica subdola che non sempre si manifesta in modo esplicito. La cronaca si fa portavoce di fenomeni legati agli episodi con l’epilogo più evidente, quello che sfocia tragicamente nel femminicidio, ma altri segnali meno visibili sono da considerarsi delle torture inflitte alla vittima. Oltre alla violenza fisica infatti subentra quella psicologica che lascia a sua volta delle ferite profonde che plasmano la donna che le vive, limitando la sua libertà sociale, emotiva e lavorativa. Questo è il caso di donne che hanno visto svanire la possibilità di affermarsi poiché eclissate da una figura maschile incontrata durante il loro percorso. Anche nel settore lavorativo artistico ciò avviene molto spesso. Pensando alla storia dell’arte, a quante opere con protagoniste delle donne riusciamo ad immaginare? La figura femminile è stata ed è tuttora uno dei soggetti più apprezzati nelle arti e la nostra mente trova diverse sculture e dipinti che rispondono al quesito. La domanda più complessa sorge ora. Quante artiste donne conosciamo e sono nell’olimpo degli artisti? Un esempio noto è Frida Kahlo che con i suoi autoritratti è la donna più nota che è riuscita ad emergere nel settore. La sua personalità oggi è divenuta ulteriormente un’icona anche grazie all’anticonformismo che la contraddistinse, caratteristica che ha contribuito a renderla un simbolo del movimento femminista e per le pari opportunità. Proprio per quest’ultimo motivo è necessario conoscere il mondo di donne nascosto dietro le fantasie dei tessuti messicani indossati dalla Kahlo, personalità artistiche che, a differenza di Frida, non hanno avuto la fortuna di avere un compagno lavorativo e di vita come Diego Rivera, che le ha supportate e spronate a conseguire le loro carriere. Guardando nello stesso periodo storico della pittrice messicana, ma spostandoci idealmente verso il nord America incontriamo Josephine Verstille Nivison, nata nel 1883 a Manhattan da una famiglia dedita all’arte, da padre pianista e madre insegnate di musica. La piccola Jo non fu meno sensibile verso questi aspetti. Intraprese gli studi alla School of Art per diventare pittrice, carriera che iniziò con discreto successo dopo aver lavorato come docente per alcuni anni. Impiego non scontato per una donna appartenente alla classe sociale borghese, destinata spesso a creare una famiglia in tempi brevi. Mentre la Nivison si affermava lavorativamente esponendo le proprie opere, si presentò nella sua vita chi ci ha permesso di conoscerla soltanto per le sue fattezze riportate su tela, ma non per il suo talento. Parliamo di Edward Hopper, pittore americano noto per aver ritratto scene desolate cariche di luci che si stagliano su individui solitari e architetture di un’epoca ormai trascorsa. Celebre è la sua opera Nighthawks: un bar ritratto di notte in un’atmosfera tesa che strizza l’occhio ai film gangster degli anni Trenta. Il merito del titolo? Proprio della Nivison, la quale divenne sua moglie e lo supportò a perseverare per diventare un celebre pittore, intento nel quale riuscì. Il prezzo da pagare per ottenere il successo del marito Edward, fu però perdere la libertà di una donna con ambizioni e talento. Inizialmente Josephine, prima che Edward ebbe successo e divenisse un’icona della pittura americana riconosciuta mondialmente, venne invitata a esporre al Brooklyn Museum, occasione nella quale la pittrice convinse i curatori della mostra a inserire anche Hopper, emergente e promettente compagno. Ci

riuscì, facendo decollare la carriera dell’artista. I ringraziamenti non furono sicuramente evidenti. Condividere con la propria metà un’attività dovrebbe essere considerato un punto di unione, caratteristica alla quale ambire. Josephine invece, sopraffatta dall’ombra di quel pittore dapprima sconosciuto e ora richiesto in tutto il mondo, se gli chiedeva: “Non è bello avere una moglie che dipinge?” si sentiva replicare “fa schifo”. Dai diari della pittrice si può evincere che non le era nemmeno concesso lavorare nella stessa stanza di Hopper, ora definito il genio della pittura americana. Sosteneva che l’avrebbe distratto dalla sua evoluzione creativa. Josephine era invece d’altra opinione. Era certa infatti che il motivo di questo astio nei suoi confronti fosse riconducibile a gelosia e timore nei confronti della competizione che sarebbe nata tra la coppia che viveva sotto lo stesso tetto. Da fruitori delle opere di Hopper possiamo concordare con la Nivison; osservando Jo Painting, tela del 1936, è possibile vedere il profilo della donna, ma non l’attività che sta compiendo. Lui nasconde l’abilità della moglie anche quando la ritrae. Ci suggerisce che lei sta dipingendo dal titolo, ma non vuole ammetterlo. Ancora una volta, la annienta. Inizia con questo numero la collaborazione con Alice Vettorata che tratterà temi e argomenti che nello specifico possono essere al mondo della Storia dell’Arte, al cinema, alla letteratura, ai Beni Culturali, musica e spettacolo.

Per la Festa della Donna regalati benessere!

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