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L’Italia delle culle vuote
Società oggi di Paolo Rossetti
FAMIGLIA ITALIA, l’Italia delle culle vuote
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Culle vuote e natalità ancora in calo. Proprio in Italia, dove a parole “la famiglia” è valore principe. Nelle statistiche sta in cima, tra quelli che contano di più nella vita di un individuo, ma nella pratica in Italia è centrale il tema della natalità, a corredo di numeri significativi che dicono di un costante calo di nascite che preoccupa sotto molti punti di vista. Secondo l’ultima indagine Istat, nel 2020 sono nati 404.104 bambini, quasi 16 mila in meno rispetto al 2019 che si aggiungono ai novemila negativi del 2018 e a quelli del 2017. L’Istat, quindi, segnala per il quinto anno consecutivo un calo della popolazione infantile. I decessi, sempre secondo il bilancio Istat pubblicato il 5 marzo 2021 e riferito al 2020, sono invece cresciuti con quasi 750mila persone che sono state cancellate dall’anagrafe e che nella loro quantificazione ci dicono che sono 113mila in più rispetto al 2019. Un dato veramente drammatico se consideriamo che la soglia dei 700mila morti è stata superata solo nel 1920 e durante il secondo conflitto mondiale. E i numeri, purtroppo, evidenziano anche che la nostra popolazione tende progressivamente a invecchiare e che, a parità di fecondità totale espressa cresce nelle età superiori ai 30/40 anni e diminuisce in quelle inferiore. Insomma si fanno figli quando si è adulti e quindi questo aumento in età avanzata condiziona, peraltro, l’età media al parto che nel 2018/19 è compresa tra i 32 e 36 anni e che porta a ridurre il tempo biologico a disposizione e, di fatto, ad averne mediamente uno. Il crollo delle nascite, però, non riguarda solo l’Italia, ma anche l’Europa o meglio i dati parlano chiaro. Nei Paesi più industrializzati la natalità è caduta dalla fine degli anni Settanta ed è continuata e nel quadro d’insieme la variabile demografica resta una “bomba a orologeria”, in particolare per la sostenibilità del welfare. In primo luogo, meno nascite ci sono in un Paese, più diminuisce la popolazione. In secondo luogo, aumenta l’età media di forza-lavoro e questo minaccia anche il sistema produttivo. Infine, si va ad appesantire i lavoratori attivi oltre che i giovani su cui aumenta il carico per sostenere quella fetta di società che invecchia e vive più a lungo. La bassa natalità sommata al costante allungamento di vita fa saltare l’equilibrio delle generazioni e così la sostenibilità del nostro welfare, pensioni e sanità incluse. Diversi sono i fattori che incidono sulla crisi delle nascite. Da una parte gli ostacoli concreti, una lotta tra precarietà del lavoro, reddito basso, scarsi congedi parentali e assenza di flessibilità negli orari di lavoro; dall’altra le scelte personali. Desiderio di fare carriera prima di essere genitore, mancanza di partner “giusto”, stili di vita mutati rispetto un tempo, relazioni affettive instabili; in aggiunta a questo ha il suo peso l’avanzata dei single. Lavoro e reddito, comunque, restano cruciali. L’Eurostat ha calcolato che il tasso di fertilità nell’Ue è sceso ai livelli più bassi durante la crisi economica. Anche se qui si potrebbe replicare dicendo che i cittadini extra-Ue fanno più figli nonostante le condizioni meno agiate, ma in questo caso prevale il fattore culturale. Oltre a tutto importante evidenziare il tratto caratteristico d’individualismo, razionalità ed economicismo del Paese industrializzato che crea realtà tendenti a posticipare costantemente la scelta di diventare genitori. Molti rimangono i nodi problematici legati al tema culle vuote, continua la ricerca di soluzioni e le novità previste per il 2021 sono ancora minime, soprattutto per effetto della pandemia Covid che ha penalizzato le famiglie e le coppie in tutti i sensi.