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Un lungo inverno in montagna

Racconti d'arte di Daniela Zangrando*

UN LUNGO INVERNO IN MONTAGNA

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Vi porto con me a guardare un video. Il titolo è LE GRAND VIVEUR e l’autrice è una documentarista, Perla Sardella. Sedetevi comodi. Saranno circa venti minuti di totale immersione. Andremo in montagna, in luoghi così simili a quelli che conoscete che vi sembrerà di esserci sempre stati. Inizio a conoscervi, e lo so che volete subito qualche informazione per capire chi sia LE GRAND VIVEUR. State già cercando di tradurre il titolo in italiano, per farvi un’idea. Chi è le grand viveur? È uno che fa vita mondana? Che si abbandona ai piaceri, ai divertimenti? Uno che si gode la vita, e che magari spende un sacco di tempo tra una cotta amorosa e l’altra? Ridacchiate. Ssssstttttt, silenzio. Il film sta iniziando. Perla Sardella vi spiega subito di chi si tratta. Ha nome e cognome le grand viveur. Si chiama Mario Lorenzini. È un walser, un operaio, un cacciatore, un escursionista, e un cineamatore. Un tipo strano, pare. A raccontarci di lui, dopo questa scarna presentazione, saranno in due. Mario stesso e Perla. Il loro incontro è avvenuto in un modo del tutto particolare. Lei è entrata in contatto con il suo archivio video. Circa tre ore di girato. A fine anni Sessanta Mario Lorenzini si è comprato una videocamera e ha iniziato a filmare in Super 8. E Perla Sardella ha guardato attraverso i suoi occhi, tutto quanto. Si è assunta la responsabilità di prendere tra le mani quei materiali, di farli propri, di darsi delle regole, imporsi un metodo, e poi tagliare, montare, capire, rileggere, e mostrare. Ha lavorato con un duo musicale e dato una forma sonora al girato, una sorta di brusio denso, di tappeto sonoro intervallato da sonorità inaspettate, minime eppure importanti. Ha deciso di non inserire la sua di voce, che però si fa sentire chiara, chiarissima anzi, nei sottotitoli che accompagnano tutto il video. In questo film, aggiungerebbe lei prendendo a prestito le parole di un libro di Lalla Romano, “le immagini sono il testo e lo scritto un’illustrazione”. Non credo di dovervi dire di più. Mi siedo e lo vediamo insieme. Ci troviamo in Piemonte, in un posto dove sembrano finire tutte le strade. Oltre, solo rocce, e cielo. In realtà è un’impressione: dopo quei paesi, dopo Rima San Giuseppe, Rimasco e Priami, finisce solo l’Italia, e si apre la Svizzera. Mario non ha una famiglia, o almeno non ne ha una nel senso convenzionale del termine. E allora osserva, attraverso l’occhio della cinepresa, la sua comunità. L’uccisione del maiale, una cerimonia di premiazione, le donne e gli uomini di un paesino di montagna, la loro vita. Ne fa talmente parte da non destare alcun sospetto mentre cammina in mezzo alle persone, e le riprende. È assolutamente invisibile. Il paesaggio di Mario vi è familiare, ne sono certa. Quei muri di neve fanno parte di qualche ricordo, sono custoditi in un album di fotografie che tiene vostra madre nel cassetto del comò in camera, o si fan vedere appesi ai muri della taverna. E sapete bene che gli inverni in montagna sono lunghissimi, e che la luce è poca, e, quando c’è preziosissima. Annuite. Conoscete l’isolamento che si può provare nei paesi vicini alle cime, un isolamento profondo, ma che in qualche modo accomuna gli esseri umani. Vostri sono quei prati in salita, quelle case, le loro pietre, i rivestimenti di legno. I larici che volgono alla primavera, e all’estate. La fienagione e la preparazione dei formaggi. Le capre. L’acqua impetuosa dei torrenti. La bava d’aria che vi massaggia il viso mentre mangiate fuori dalla baita di un amico. I camosci e la caccia. E allora perché dovreste ascoltarmi e vedere assieme a me questo video,

se in qualche modo lo conoscete già? Ecco, è qui che entra in campo l’arte. L’atteggiamento di Perla non è nostalgico. Non ci fa vedere cumuli di neve, scampagnate, donne che ridono in mezzo alla via, feste paesane, bambini intenti a divorare un piatto di pasta dopo una camminata per farci concludere che si stava meglio nell’Alta Valsesia (o nel Cadore, nell’Agordino?) degli Anni Sessanta. Non le interessa ritrarre le montagne, dipingerle e basta, facendo in modo che se ne stiano lì, proiettate sulla parete di un museo, a ricordo di un tempo passato. C’è qualcosa di importante in questo video. Ha a che fare col tempo. Ci mette di fronte all’impronta di un tempo passato per interrogarci, come uomini che abitano l’oggi. Ci chiede delle nostre profonde solitudini, dei dispositivi che utilizziamo per avvicinarci all’altro. O per prendere le distanze. Ci domanda degli uomini, e delle donne. Dell’invisibilità. E, perché no, anche del potere evocativo e misterioso delle montagne. Senza sentimentalismo e senza retorica. Presentandoci questo Mario Lorenzini che altro non è se non un uomo, un essere umano forse solo, ma con un gusto vivissimo della vita e del piacere. È Perla a dircelo, e io mi fido.

*Daniela Zangrando è Direttrice del Museo d'Arte Contemporanea Burel di Belluno

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