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Italia: siamo i primi nel mondo Secondo la classifica stilata da Bloomberg Global Health, che ha monitorato 163 paesi, noi italiani siamo il popolo più longevo, più in salute e più sano del mondo. Gli esperti che hanno stilato la classifica dicono che un bambino nato nel nostro paese ha un'aspettativa di vita di almeno ottant’anni, a differenza di quelli della Sierra Leone in cui la l'aspettativa di vita è di circa 52 anni. Per la cronaca, in questa classifica gli USA figurano al 34esimo posto. Per realizzarla, Bloomberg si è basato sulla speranza di vita, sulle cause di morte, sul rischio di sviluppare o contrarre malattie, sulla prevalenza dell’obesità, ma anche sull’accesso all’acqua potabile o il consumo di tabacco.
L’EDITORIA LE
di Armando Munaò
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na volta tanto l’Italia è medaglia d’oro in una classifica stilata a livello mondiale. Raggiunge infatti un punteggio di 93/100, seguita da Islanda, Svizzera, Singapore e Australia anche se, come sottolinea Bloomberg, la crescita del nostro paese è stagnante, la disoccupazione giovanile raggiunge e supera il 40% e il debito pubblico è tra i più alti del mondo. Secondo i dati, le percentuali e i parametri forniti e utilizzati questo “ambizioso” risultato è principalmente dovuto alla combinazione del nostro sistema sanitario unito alla tanto vituperata dieta mediterranea. Nel nostro paese, infatti, oltre a esserci moltissimi medici, cui noi abbiamo facile accesso, per la prevenzione e la cura di numerose patologie, la possibilità di alimentarci con una dieta sana, ricca di olio d’oliva, pesce, pasta e verdure fresche contribuisce a concretizzare nel tempo buoni risultati che allungano le aspettative della vita. Affermazioni queste sottolineate sia da Tom Kenyon, medico lui stesso e amministratore delegato dell'organizzazione Project Hope, e da Adam Drewnowski, direttore del Center for Public Health Nutrition dell'Università di Washington. Ed è appunto Adam Drewnowski a sottolineare l’importanza della dieta mediterranea che, se seguita correttamente aiuta a stare e vivere meglio prevenendo le malattie cardiovascolari, neurodegenerative e obesità. Occorre consumare quotidianamente frutta e
verdura di stagione, legumi e cereali, pesce, uova e olio di oliva, senza eccedere con carne e formaggi; questi sono gli elementi cardine della dieta nostrana, che favoriscono il consumo di acidi grassi monoinsaturi rispetto a quelli saturi e, allo stesso tempo, il consumo di nutrienti con proprietà anti-infiammatorie che aiutano a diminuire colesterolo “cattivo”, stress ossidativo e trigliceridi. Una classifica che, di fatto, conferma quanto a suo tempo dichiarava la Federalimentare nel sostenere con convinzione la validità della dieta mediterranea che, non a caso, è entrata a far parte dal 2010 della lista dei patrimoni dell’umanità.
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IL SOMMARIO Editoriale.......................................................... 3 La clown terapia .......................................... 7 I clown dottori.................................................. 9
SPECIALE ALIMENTAZIONE
I dottori clown in Trentino ............................... 12 Intervista all’On/le Riccardo Fraccaro................ 14 Italiani con la valigia in mano........................... 16 Alcol: sicuro che non ti riguardi? ...................... 18 Alcol e Alcolisti Anonimi ................................... 20 Il personaggio: Annarosa Pasa ......................... 23 Intervista impossibile: Ipazia d’Alessandria........ 26 Dialogo aperto con Claudio Cia ........................ 28 Io autista dell’Atesina ...................................... 30 Conosciamo le aziende: INCOFIL TECH..... 40 Lo Sci Club Cima XII........................................ 52 Esplorare e sperimentare con il sorriso ............. 54 B.I.M. del Brenta............................................. 56 Catina, contessa del Tirolo............................... 57 Il Complesso Arcangelo Corelli ......................... 58 Il porfido ........................................................ 62
Gli italiani a Tavola............... 32 Intolleranze alimentari ......... 34
Dormire bene ................................................. 63
Acqua: una ricchezza
Lettera al Direttore: ripristiniamo le guardie mediche.. 64
da non sprecare................... 36
Altroconsumo: Occhio alle fregature ................. 65
McDonald: la storia .............. 38 Il pesce di lago .................... 42
In ricordo di Egidio Casagrande........................ 60
Le cronache.................................................... 68 Psicologia & salute .......................................... 70 Il laser per gli occhi......................................... 72 Benessere & salute ......................................... 73 Castel Telvana ................................................ 74 Le cronache.................................................... 76 Le cronache.................................................... 77 Terramare: fine del viaggio .............................. 78 Che tempo fa.................................................. 79
Il vegetarismo ..................... 44 Il gelato .............................. 46 Le mille e una pizza ............. 47 Il benessere dell’armonia...... 48 Il miele ............................... 49 Gli insetti: il cibo del futuro... 50
ANNO 3 - MAGGIO 2017 DIRETTORE RESPONSABILE Armando Munao’ - 333 2815103 direttore@valsugananews.com VICEDIRETTORE Franco Zadra COORDINAMENTO EDITORIALE Enrico Coser - Silvia Tarter COLLABORATORI Roberto Paccher - Luisa Bortolotti - Elisa Corni Erica Zanghellini - Francesco Cantarella Francesca Gottardi - Veronica Gianello Maurizio Cristini - Alice Rovati - Daniele Spena Alessandro Dalledonne - Mario Pacher - Franco Zadra Laura Fratini - Francesca Schraffl - Sabrina Mottes Chiara Paoli - Tiziana Margoni - Patrizia Rapposelli Zeno Perinelli - Adelina Valcanover Giampaolo Rizzonelli CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA Dott.ssa Cinzia Sollazzo - Dott. Alfonso Piazza Dott. Giovanni Donghia - Dott. Marco Rigo EDITORE Edizione Printed srl Viale Vicenza, 1 - Borgo Valsugana IMPAGINAZIONE, GRAFICA Grafiche Futura STAMPA Grafiche Futura PER LA PUBBLICITÀ SU VALSUGANA NEWS info@valsugananews.com www.valsugananews.com info@valsugananews.com Registrazione del Tribunale di Trento: nr. 4 del 16/04/2015 - Tiratura n° 7.000 copie Distribuzione: tutti i Comuni della Alta e Bassa Valsugana, Tesino, Pinetano e Vigolana compresi COPYRIGHT - Tutti i diritti di stampa riservati Tutti i testi, articoli, interviste, fotografie, disegni e pubblicità, pubblicati nella pagine di VALSUGANA NEWS e sugli Speciali di VALSUGANA NEWS sono coperti da copyright EDIZIONI PRINTED e quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore, del Direttore Responsabile o dell’Editore è vietata la riproduzione o la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni, per altri giornali o altre pubblicazioni, possono farlo richiedendo l’autorizzazione scritta all’Editore, Direttore Responsabile o Direttore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che, utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio e quindi fatta pervenire, a EDIZIONI PRINTED, le loro pubblicità, le loro immagini i loro testi o articoli. Per quanto sopra EDIZIONI PRINTED si riserva il diritto di adire le vie legali per di tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.
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Una risata può avere lo stesso effetto di un antidolorifico: entrambi agiscono sul sistema nervoso anestetizzandolo e convincendo il paziente che il dolore non ci sia Patch Adams
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Una risata ci salverà:
la CLOWNTERAPIA
Che ridere faccia bene alla salute è un dato di fatto. Studi clinici dimostrano il potere benefico della risata e un’accelerazione nei processi di guarigione di diverse malattie. L’atteggiamento ottimistico e il ricorso all’ironia aiuta dunque ad affrontare meglio la malattia contribuendo a infondere fiducia nella ricerca. La Clownterapia, nota anche come terapia del sorriso, è una terapia d’appoggio praticata da figure mascherate da clown che attraverso tecniche derivate dal circo e dal teatro di strada si rivolgono ai pazienti – soprattutto bambini – per alleviarne lo stato di ansia e sofferenza.
L'ORIGINE DELLA CLOWNTERAPIA Una prima forma di clownterapia risale alla fine del ‘600 praticata da Angelo Paoli (1642-1720), sacerdote carmelitano fiorentino beatificato nel 2010. Si travestiva da buffone e si truccava per far sorridere i malati. Trasferitosi a Roma dedicò la sua vita alla cura dei poveri e degli ammalati. Una dedizione tale da rifiutare la porpora cardinalizia offertagli da Papa Clemente XI prima e Innocenzo XII poi. Utilizzò le sue amicizie altolocate per realizzare il suo progetto di costruire un ospizio per i poveri ammalati fino a quando non si fossero completamente ristabiliti. È però con il medico Hunter Adams (noto come Patch Adams) che inizia la clownterapia moderna. Nato nel 1945 a Washington è diventato famoso soprattutto grazie al film che gli è stato dedicato Patch Adams (1998), interpretato da un brillante Robin Williams che ne romanza la vita riportando fatti realmente accaduti. Il padre di Adams muore quando
di Laura Fedel lui ha 16 anni. Si trasferisce con la madre e il fratello in Virginia a casa di uno zio. Alunno ribelle e anticonformista scrive articoli contro la segregazione, la religione e la guerra. Segue un periodo di depressione dovuto ad un’ulcera mal curata, l’abbandono della fidanzata e il suicidio dello zio. Pensa di togliersi la vita ma preferisce farsi ricoverare in un ospedale psichiatrico. Lasciato l’istituto si iscrive alla facoltà di medicina. L’ambiente accademico tuttavia non vede di buon grado il suo modo di trattare i pazienti, tanto da minacciarlo di espulsione. Si presenta infatti ai malati terminali in modo comico e originale. Si laurea nel 1971, anno in cui fonda il Gesundheit! Institute (in tedesco significa salute), un ospedale e centro di salute gratuito concepito e organizzato come una casa accessibile a tutti e dove le cure mediche sono integrate da attività ludiche. Adams lotta perché la malattia e il paziente diventino il punto centrale dell'attenzione dei medici. Presso la sua struttura quindi il buon umore, la gioia e la creatività sono parti integranti della cura, i pazienti e i dottori si relazionano con fiducia reciproca e ciascun paziente riceve molto tempo e attenzione da parte dei medici.
Hunter Adams (noto come Patch Adams) Ogni anno organizza gruppi di volontari da tutto il mondo per recarsi negli ospedali di diversi Paesi, che travestiti da clown fanno riscoprire l'umorismo agli orfani e agli ammalati. Il 29 gennaio 1997 Adams ha ricevuto un premio per la Pace e il 20 aprile 2007 gli viene conferita la laurea honoris causa in pedagogia dall’Università di Bologna. IL CLOWN-DOTTORE: FORMAZIONE E ATTIVITÀ Il ruolo del clown-dottore può essere svolto sia da clown professionisti che da volontari appartenenti anche al personale medico. Egli trasforma la camera dei pazienti in uno spazio teatrale distogliendo dunque l’attenzione dalla malattia. Instaura poi con il malato un rapporto di fiducia e
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confidenza tali da fargli dimenticare il suo problema. Una funzione, quella del clown-dottore, che si rivolge anche alla famiglia del malato, la quale gioisce dei miglioramenti e condivide i progressi fatti. IL PANORAMA ITALIANO ED ESTERO Risalgono agli anni Novanta i primi clown dottori in Italia e inizialmente la loro attività era rivolta ai bambini. Successivamente, grazie soprattutto ai riconoscimenti scientifici, la clownterapia si è estesa a tutti i pazienti a prescindere dall’età e diffusa in diverse cliniche di tutta Europa e anche in altre parti del mondo come Sudafrica e Nuova Zelanda. In Israele addirittura esiste un corso di laurea triennale per medical clown e questa figura viene stipendiata dallo Stato. In Oregon, presso l’Health Sciences University gli infermieri indossano un camice che apporta l’adesivo recante la scritta “Attenzione il buonumore può essere pericoloso per la tua malattia”; al Saint John Hospital di Los Angeles televisori a circuito chiuso trasmettono 24h materiale comico. In Sudafrica presso la Fondazione Marcus Mc Causland a disposizione dei degenti oncologici ci sono reparti di terapia del riso con nastri, video, libri ed esperti di comicità. Un modo nuovo per mettere al centro i pazienti come persone rendendoli consapevoli che ci sono dei metodi non farmacologici per affrontare la malattia.
GLI EFFETTI BENEFICI DELLA RISATA. CHE COSA DICE LA SCIENZA La ricerca ha dimostrato che il riso incrementa la secrezione di sostanze chimiche naturali – catecolamine ed endorfine - che fanno sentire in forma. Cala invece la produzione del cortisolo, secrezione prodotta in risposta allo stress. Aumenta l’ossigenazione del sangue e diminuisce l’aria residua nei polmoni. Le pulsazioni del cuore accelerano e sale la pressione sanguinea. La temperatura della pelle si alza. Le arterie poi si rilassano, determinando la diminuzione di pulsazioni e pressione e il rilassamento muscolare. Effetti positivi dunque su molti problemi cardiovascolari e respiratori. La gelotologia (dal greco scienza del riso) è una disciplina che studia in modo sistematico la risata, le emozioni e il pensiero positivo rispetto alle loro potenzialità terapeutiche per disturbi e malattie psicofisiche. Concorre alla
Patch Adams in Sri Lank
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cura della persona intesa come centro di approccio globale, terapia farmacologica tradizionale e supporto emotivo. La gelotologia trova le sue radici nella PNEI, PsicoNeuroEndocrinoImmunologia, branca della medicina piuttosto recente che ha individuato la correlazione tra emozioni e sistema immunitario. Sistema nervoso, endocrino e immunitario sono quindi strettamente interconnessi e interagiscono reciprocamente per raggiungere un equilibrio (omeostasi) dell’organismo. Mente e corpo collaborano influenzando dunque il sistema nervoso centrale, quello ormonale e quello immunitario, stimolandolo a produrre linfociti, cellule specializzate con un ruolo importante nel sistema immunitario. La produzione di endorfina è alla base della gelotologia. Ridere infatti stimola le ghiandole surrenali a produrre beta-endorfine, sostanze chimiche dotate di una potente attività analgesica ed eccitante che esercita sull’organismo un effetto simile alle sostanze oppiacee. La loro peculiarità sta nella capacità di regolare l’umore. Esse vengono rilasciate in situazioni stressanti come forma di difesa, in modo da poter sopportare meglio il dolore, fisico o psicologico. Il buon umore infatti aumenta le difese immunitarie. La gelotologia è quindi una scienza-ponte tra la biologia, la psicologia, l’antropologia e la medicina. Studiata da una sola di queste prospettive senza considerare le altre lo studio della risata come terapia risulta incompleto.
La terapia del sorriso
I CLOWN DOTTORI
di Armando Munaò
Per meglio conoscere la clownterapia e la figura del dottor clown, abbiamo intervistato il dott. Alberto Dionigi, Presidente della Federazione Italiana Clown, il quale ci spiega tutto ciò che ruota intorno a questo grande universo. Il dr. Alberto Dionigi è psicoterapeuta, formatore e clown dottore. Svolge attività di ricerca scientifica in psicologia dell’umorismo e clownterapia ed è autore di numerosi articoli scientifici su questo argomento.
Come, quando e perchè, nasce in Italia, la Federazione Italiana Clown Dottori ? La Federazione, che oggi riunisce 15 associazioni accomunate da un codice etico e da un modus operandi medesimo, nasce nel 2005 sia per lo studio e la tutela del clown dottore, favorendo l’incontro fra clown dottori di ogni parte del mondo e sia per arrivare al riconoscimento formale della figura del clown dottore a livello nazionale. Oggi, nonostante sia al vaglio una proposta di legge che propone l’istituzione del servizio di comicoterapia in tutti gli ospedali, non esiste una regolamentazione legislativa, impedendo a chiunque di “improvvisarsi clown dottore”. A cosa vi ispirate Il modello a cui noi clown dottori facciamo riferimento è quello realizzato da Micheal Christensen che nel 1986, insieme a Paul Binder, ha formato la prima “clown care unit” attiva presso il Babies Hospital di New York. Il loro scopo era quello di donare il sorriso e portare la fantasia negli ospedali pe-
diatrici. Alla base del pensiero di Micheal vi è il fatto che non si entra in corsia in maniera improvvisata, bensì bisogna essere dei bravi clown in primis, a cui vanno aggiunte le competenze psicologiche per poter interagire al meglio in una situazione particolare come quella del contesto sanitario. Per questo motivo la formazione, sia iniziale che continua, è di fondamentale importanza. Un’altra peculiarità di tale modello è
che noi lavoriamo in coppia: noi clown dottori entriamo in reparto sfruttando le arti del Clown per trasformare le emozioni di coloro che vivono un disagio sanitario, e indossando un personalissimo abbigliamento: sopra al costume clown vestiamo un camice variamente colorato (per sdrammatizzare la figura del medico), un trucco leggero (per non far spaventare i bambini) e l’immancabile naso rosso. A seconda della situazione possiamo svolgere comicoterapia passiva (far ridere) o attiva (essere stimolatore di umorismo da parte dei pazienti). Ogni intervento è personalizzato e adattato al target di riferimento e i dottori e i volontari che scelgono questo tipo di terapia operano in stretto contatto con l'équipe ospedaliera. Come si diventa clown dottori? Il clown dottore è un operatore specificamente formato e non necessita di lauree in medicina o specifici requisiti. Il corso – comune in tutta Italia - prevede un minimo di 250 ore con un focus particolare al contesto sanitario garantendo sempre un per-
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corso di qualità sottolineando, nel contempo, che l’attività del clown dottore – che peraltro molte volte, oltre che da professionisti è di puro volontario – non è un qualcosa che possono fare tutti. Le persone che vogliono diventare clown dottori devono possedere alcuni requisiti di base quali aver compiuto il diciottesimo anno di età, avere un diploma di scuola secondaria e possedere capacità di ascolto, ottimismo, una personalità equilibrata ed un’attitudine al lavoro di gruppo ed essere sia in possesso di competenze artistiche mutuate dall’arte del clown, nonchè capacità relazionali con un’adeguata conoscenza sia psicologica sia interculturale. Da sottolineare che la nostra attività è spesso finanziata da Fondazioni o raccolta fondi esterne a finanziare queste attività. Riassumendo, si deve avere equilibrio psicofisico, alta motivazione a lavorare in contesti di disagio, pensiero positivo e pensiero creativo, una sviluppata intelligenza emotiva nonché responsabilità nel rispetto di norme, regolamenti e privacy. E in merito ai finti clown, qual è la posizione della Federazione Nazionale clown dottori? Quello dei “finti clown”, cioè di truffatori che chiedono soldi per fantomatiche attività di clown terapia, è un triste fenomeno che come federazione stiamo cercando di eliminare. Si tratta di individui vestiti da clown, con o senza parrucca, con o senza camice, che stazionano davanti a supermercati, negozi, fiere, chiedendo offerte in cambio di palloncini.
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Il dilagare di questi sedicenti operatori per l’infanzia rischia di sminuire e danneggiare l’onesto e professionale lavoro dei veri “clown dottori” che operano esclusivamente dopo aver affrontato rigorosi percorsi formativi e sempre più approfonditi. I veri “clown dottori” affiancano e coadiuvano il personale sanitario, approcciandosi al malato con competenza, svolgendo le attività con continuità e strutturando progetti. Per scongiurare il pericolo di truffe la Federazione Nazionale, che coordina le attività di molte associazioni di clown terapia che operano su tutto il territorio italiano, ha realizzato un vademecum di informazioni utili, consultabile sul sito www.fnc-italia.org, per aiutare i cittadini a identificare eventuali Associazioni sospette. L’appello a tutta la popolazione è quello di prestare attenzione e aiutarci a smascherare questi “imbroglioni”.
Fate corsi di formazione? Certo. La formazione è fondamentale per svolgere l’attività di clown dottore perché serve ad acquisire le competenze artistiche (gag, puppets, micromagia, improvvisazione, ecc.) e quelle psicologiche in modo da poter interagire al meglio con i pazienti. La formazione prevede competenze teatrali e di clownerie a cui si aggiungono competenze specifiche di tipo sociopsico-pedagogico, di igiene e procedure ospedaliere. La parte formativa inerente la clownerie oltre che a insegnare la “tecnica del clown”, è volta alla ricerca del proprio clown interiore e della “modalità clown” di vedere la realtà, ma anche l’utilizzo di un trucco, costume e strumenti adeguati ai contesti in cui si opera. La parte teorica/psicologica pone particolare attenzione alla relazione umana generata dall’azione del Clown Dottore dando estrema importanza all’ascolto empatico, alla soggettività della persona coinvolta e al contesto in cui la relazione avviene. La formazione comprende anche moduli didattici inerenti la condotta da tenere nelle varie strutture sociosanitarie. Un altro aspetto fondamentale è quello del tirocinio pratico che si effettua nelle strutture sanitarie (accompagnati da un clown dottore esperto) in modo da mettere in pratica quanto imparato in aula e migliorare sempre più il proprio operato. Ci si improvvisa clown? Diciamo che alcune persone possono nascere con una maggiore predisposizione “clownesca” di altre, ma il
percorso per essere bravi clown è praticamente infinito. Se parli con i più grandi clown a livello mondiale, ti diranno che anche loro hanno ancora molto da imparare! Quanto è difficile avere a che fare con il dolore? A volte può essere terribilmente difficile. Il clown dottore svolge la sua attività anche in reparti in cui c’è poco da ridere (ad esempio oncoematologia pediatrica o reparto grandi ustionati) e le situazioni cui si trova di fronte sono spesso difficili da affrontare. Per questo motivo è importante il lavoro di coppia: vivendo in due la stessa situazione ci si sente meno soli ed è possibile condividere l’esperienza con una persona fidata. Inoltre, per prevenire l’insorgenza di problematiche psicologiche, quali la manifestazione di un forte stress, è importante che a fine turno ci si prenda un momento per condividere quanto appena vissuto sia in forma verbale (con il collega) che in forma scritto (scrivendo un diario delle emozioni). Una volta al
mese, poi, c’è l’incontro con lo/a psicoterapeuta che aiuta a rielaborare quanto vissuto in ospedale. Quanto può influire la clownterapia nel processo di guarigione? Molto. Sempre più le ricerche mostrano l’efficacia dell’intervento clown in diversi contesti. Ad esempio la presenza dei clown dottori è utile per diminuire l’ansia dei pazienti ospeda-
lizzati e dei loro familiari; per diminuire la percezione del dolore durante procedure mediche; per diminuire il tempo di ospedalizzazione ed il ricorso a farmaci analgesici e per migliorare lo stato emotivo e la qualità della permanenza in ospedale. Si ringrazia la Federazione Italiana Clown Dottori per la gentile concessione delle foto.
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DOTTOR CLOWN DEL TRENTINO I
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e in un Reparto Pediatrico o una Casa di Riposo incontrate uno strano dottore con il camice bianco tutto “sporco” di colori, strani pantaloni e scarpe, un naso rosso e un inconfondibile sorriso, siete certi di aver incontrato un CLOWN DI CORSIA. Dal 2007 i Clown di Corsia della Croce Rossa Italiana sono una realtà nei reparti pediatrici dell’Ospedale Santa Chiara e in alcune Case di Riposo del Trentino. Presenti in quasi tutti i 22 Gruppi di Volontari sparsi nella nostra Provincia, con il loro strano abbigliamento, il modo un po’ buffo di camminare e muoversi, l’atteggiamento e la loro energia riescono a creare dei rapporti molto speciali con i pazienti o gli ospiti, con i loro parenti e tutto il personale in turno. I 120 Clown di corsia della Croce Rossa Italiana in Trentino sono settimanalmente impegnati in varie attività, in costante aumento e diversificazione. Iniziando anni fa come Clown di Corsia nei reparti Pediatrici, sono diventate figure famigliari in varie Case di Riposo, intervengono in alcune
scuole elementari in attività dedicate ai bambini e sono spesso di supporto ad attività varie organizzate da Croce Rossa Italiana, come servizi presso gli ambulatori di reumatologia pediatrica e in caso di maxi emergenze per portare un sorriso. Quasi tutti i martedì sera si racconta una storia ai bimbi ricoverati in chirurgia al Reparto pediatrico del S. Chiara. E tanti alti impegni con i ragazzi portatori down e con altre associazioni onlus sul territorio. Un Clown di corsia non è solo un “simpatico birbone”...è un attento ascoltatore del cuore delle persone. Non di rado in una casa di riposo si può vedere, in un angolino, uno strano “dottore” stare “vicino vicino” ad una nonna, che gli sta raccontando un pezzetto della propria vita. E il
Clown di corsia, zitto con gli occhi negli occhi, è il contenitore in cui questa anziana ospite può posare i propri ricordi essendo sicura che nulla sarà perso. E quando il suo naso rosso sbuca da una porta di una camera, anticipato dalle inseparabili bolle di sapone, non c’è sorriso di bambino che non scaldi il cuore dei suoi genitori in attesa.
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Riccardo Fraccaro,
rivoluzionario gentile
di Franco Zadra
Incontriamo Riccardo Fraccaro, nato a Montebelluna il 13 gennaio 1981. Deputato alla Camera, del Movimento 5 Stelle, e segretario dell'ufficio di presidenza della Camera dal 21 marzo 2013. Ha trascorso la sua gioventù a Riese Pio X in provincia di Treviso. Dopo il diploma, frequenta all'Università di Trento la facoltà di giurisprudenza e si laurea nel 2011 in diritto internazionale dell'ambiente. Nel 2010 fonda il Meetup di Trento. È autore della norma che denuncia il fenomeno degli affitti d'oro degli organi costituzionali. Onorevole Fraccaro, il M5S si riconosce ormai una forza di governo? Dopo il fallimento della riforma costituzionale e con i sondaggi che confermano la crescita del M5S, gli attacchi dei partiti si sono moltiplicati. I fatti, però, contano più dei proclami con cui gli affaristi della politica hanno campato per decenni alle spalle degli italiani e con cui adesso tentano di screditarci: il M5S ha dimostrato di essere una vera forza di governo, con l’unico scopo di riportare onestà e giustizia nelle istituzioni e amministrare nell’interesse della collettività. Dai comuni, alle regioni, alle province autonome, fino in Parlamento, la nostra non è solo una proposta, ma una realtà di buongoverno
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che ha dimostrato di funzionare. È un cambiamento che avviene ogni giorno, dal basso, proprio per questo è solido e duraturo, perché gli artefici sono i cittadini stessi, con la loro partecipazione attiva e le loro idee, che noi portavoce siamo fieri di portare avanti. Un esempio di partecipazione, cambiamento? La battaglia contro i vitalizi fa parte di questo cambiamento dal basso: in Trentino - Alto Adige l’abbiamo raccolta dai comitati dei cittadini, indignati per le pensioni d’oro che un gruppetto di consiglieri regionali aveva vergognosamente deciso di assegnarsi, e l’abbiamo portata nei palazzi e in tribunale. Il principio che i politici siano persone come le altre e che quindi debbano avere una pensione come tutti lo abbiamo portato anche in Parlamento con una delibera che prevedeva di applicare ai parlamentari la legge Fornero. La nostra proposta però è stata bloccata dai partiti e quindi il prossimo 15 settembre scat-
terà l’ennesimo privilegio e con una sola legislatura potranno incassare una pensione coi fiocchi già a 60 anni, mentre agli italiani non bastano a volte neanche 40 anni di contributi. C’è anche la questione trasparenza… Dal basso è partita anche la battaglia in Trentino - Alto Adige per la trasparenza: in questi mesi abbiamo sollevato più volte il fatto che nelle amministrazioni degli enti locali ci sia un problema di trasparenza. Anche l’Autorità nazionale anticorruzione ha chiarito che le province di Trento e Bolzano non possono derogare alle norme statali sull’anticorruzione, ma la situazione rimane critica, perché il clima generale non pare favorire la cultura della trasparenza e della legalità. Esemplare il caso dell’amministrazione di Levico Terme, che ha risposto all’impegno civico di un suo cittadino con una querela, e questo è preoccupante: il controllo diffuso è una pratica sollecitata dalla legge nazionale per prevenire i fenomeni di corruzione nelle amministrazioni pubbliche e i cittadini non vanno visti come una minaccia, ma come una risorsa da valorizzare. La lotta alla corruzione è importante per uscire dalla crisi, ma come? Uscire dalla crisi è possibile, ma per
farlo dobbiamo liberarci dei meccanismi che l’hanno prodotta. Nel nostro programma una parte fondamentale è dedicata alle piccole e medie imprese. Intervenendo in questo ambito la ripresa è garantita. Noi lo abbiamo già fatto con il sistema di micro credito che finanziamo con una parte dei nostri stipendi da parlamentari. Grazie a questo fondo, 20 milioni di euro in tre anni, sono nate 4500 nuove imprese. Parallelamente, bisogna assicurare ai cittadini un tenore di vita dignitoso. “Nessuno deve restare indietro” è il motto con cui portiamo avanti la battaglia per il reddito di cittadinanza, una proposta rivoluzionaria che potrebbe partire proprio dal Trentino. Non sono utopie, ma progetti concreti che possono essere finanziati con una seria lotta alla corruzione, che secondo le stime della Corte dei conti costa allo Stato 60 miliardi di euro l'anno. Le casse statali possono essere risanate anche sostituendo le grandi opere, vere e proprie voragini economiche, con infrastrutture funzionali a misura di cittadino e con il minimo consumo di suolo e di risorse. Puntiamo sulla green economy: una svolta nazionale in direzione delle energie rinnovabili e della sostenibilità. E poi bisogna ridurre i costi della politica, gli stipendi di tutti i parlamentari e anche degli amministratori regionali. E sostenere chi fa più fatica… Anno dopo anno il centrosinistra locale taglia le risorse destinate al sostegno di chi è senza lavoro, ma i soldi per pagare i vitalizi d’oro ci sono, come quelli per foraggiare sanità e scuola private. Crescono l’ingiustizia sociale e la di-
soccupazione: la crisi economica si rivela sempre più come una crisi strutturale. Piccoli paracadute come quello del reddito di garanzia non sono più sufficienti, serve un intervento risolutivo. La nostra proposta di legge per il reddito di cittadinanza locale sarebbe rivoluzionaria, perché estende l’aiuto economico a tutti coloro che ne hanno diritto e potrebbero beneficiarne ben 16mila e 400 famiglie trentine con redditi bassi. Inoltre, garantisce che le risorse economiche restino sul territorio, alimentando l’economia locale in un circolo virtuoso che torna a beneficio di tutta la comunità. Che cosa pensa della nostra Autonomia? Un punto centrale del M5S è la difesa dell’Autonomia dalle derive centraliste non solo del governo nazionale, ma anche di quei partiti locali che a parole si dicono difensori della nostra specialità, ma poi nei fatti appoggiano passivamente le peggiori politiche statali. Il modo migliore per difendere il modello del Trentino-Alto Adige è quello di promuoverlo ed esportarlo: il M5S lo sta facendo perché ha capito che da questa battaglia dipende il futuro stesso della nostra democrazia. Un esempio è la recente modifica del codice appalti nazionale, dove grazie a una mia
proposta è stata inserita la norma per valorizzare le aziende che utilizzano beni e prodotti da filiera corta e a chilometro zero. Si tratta di un principio che in Trentino esiste già, io l’ho esteso a livello nazionale. La nostra provincia autonoma può davvero essere un laboratorio di buone pratiche. Esportare questi principi in tutta Italia è il primo modo per far apprezzare e difendere la nostra Autonomia. Una parola su Roma e i comuni a 5 stelle. Come sta andando? Il valore della nostra proposta si misura concretamente nei comuni che amministriamo: abbiamo ereditato amministrazioni coi conti in rosso, e grazie a politiche di bilancio responsabili abbiamo sistemato le casse pubbliche e avviato politiche sostenibili, specialmente in materia di energia e di urbanistica. Abbiamo introdotto la democrazia diretta, il bilancio partecipativo e il referendum senza quorum. Roma è l’esempio più grande di quella che ormai è diventata la nostra specialità: rimettere in piedi i comuni divorati dai partiti. Tagliando gli sprechi abbiamo fatto risparmiare al comune 40 milioni di euro, e per il 2021 vogliamo arrivare al 70% di raccolta differenziata. Governare significa pensare al domani: noi non ipotechiamo il futuro di chi ci sarà dopo di noi, ma lasciamo città più verdi e con meno debiti. Ci informiamo e studiamo soluzioni per un Paese più giusto e pulito, perché democrazia significa anche costruire un futuro verde e rinnovabile.
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Italiani con la valigia in mano I
l Bel Paese: tutti lo vogliono visitare, ma pochi ci vogliono rimanere. Se infatti il numero di turisti che atterrano nei nostri aeroporti e scoprono la penisola italica di lungo in largo è in costante aumento (164 milioni i turisti stranieri atterrati in Italia nel 2016, +4,8% rispetto al 2015), dall’altra bisogna riconoscere che la “fuga dei cervelli” è una malattia che non riusciamo a debellare. Iniziata con la crisi del 2008, questa “diaspora” aveva assunto i toni della ricerca di situazioni più stabili, concrete e solide dal punto di vista lavorativo, ma sta via via assumendo nuove
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forme e caratteristiche. Se infatti nei primi anni questo fenomeno riguardava quasi esclusivamente i giovani (dai 19 ai 29 anni in particolare), laureati o laureandi in cerca di possibilità e opportunità migliori, oggi a lasciare l’Italia non sono solo loro. Una recente ricerca della CNA (Confederazione Nazionale dell’artigianato e della piccola imprenditoria) ha infatti portato alla luce il cosiddetto fenomeno della “nuova migrazione dai capelli grigi”. Ai giovani e giovanissimi emigrati, nel 2016 si è aggiunta una sempre più corposa fetta di professionisti, laureati e lavoratori con
di Elisa Corni esperienza che hanno spostato la loro residenza e il loro luogo di lavoro all’estero. Hanno fra i quaranta e i cinquanta anni i nuovi italiani con la valigia in mano: gente con alle spalle anni di lavori ed expertise che lasciano le italiche regioni per trovare fortuna - e stipendi migliori - in Europa ma anche più lontano. Il Regno Unito, la Germania e la Svizzera le mete predilette, ma anche gli Emirati Arabi, il Brasile e gli Stati Uniti. Dei 115 mila italiani che si sono trasferiti oltre confine, 14.300 sono over 40. È come se la città di Vicenza si fosse svuotata e tutti i suoi abitanti fossero andati via. Ma non è tanto questo il dato rilevante, quanto il confronto con gli anni precedenti. Questo flusso migratorio ha infatti visto nel 2014 un incremento dell’84,6% rispetto al 2008, una cifra davvero importante. Altra percentuale che colpisce è quella relativa a quanto di questi non più giovanissimi lavoratori sia in possesso di una laurea: il 31%. Se si considera che su tutto il territorio nazionale i laureati sono il 14,8% della popolazione in età da lavoro, fa impressione notare come chi lascia l’Italia sia effettivamente un cervello in fuga. Sorge spontaneo domandarsi come mai persone non più giovanissime, magari con una famiglia e un investi-
mento alle spalle tanto nella vita quanto nel lavoro, prendano armi e bagagli e abbandonino il proprio paese. Anna ha quarant’anni e nella vita si è occupata di diverse attività nell’ambito dei servizi e della ristorazione. Prima di lasciare la sua casa in Trentino era proprietaria di un ristorante. Oggi vive e lavora a Edimburgo. «Un giorno ho deciso che era arrivato il momento di lanciarmi in quest’avventura - racconta - ero stufa di inseguire una stabilità e una sicurezza che ancora oggi mi sembrano un miraggio per il nostro paese». Quando è partita Anna non sapeva una parola d’inglese, ma aveva dalla sua un’esperienza invidiabile in cucina. «Non è stato difficile trovare lavoro – dice ancora -, e se anche all’inizio mi sono dovuta accontentare, in pochi mesi ho trovato un lavoro stabile, sicuro, ben retribuito». Quale è la differenza maggiore rispetto al panorama lavorativo italiano? «Che ci sono effettivamente delle possibilità concrete – dice Anna - e che molte di esse,
con un po’ di duro lavoro, ti portano a condizioni lavorative e retributive sempre migliori». Licenziarsi a Edimburgo, infatti, non è un rischio da non correre. «Tra un lavoro e l’altro ero disoccupata, ma solo il tempo di tornare dalla mia famiglia. Sapevo che, una volta atterrata nuovamente in Scozia, avrei trovato un nuovo lavoro in un batter d’occhio». E così, da “tagliatrice” di verdure in un piccolo ristorante vegano, nel giro di pochi mesi ora Anna lavora per un prestigioso ristorante italiano come senior sous chef. «Sono prospettive che in Italia ti sogni. Un po’ perché c’è molta più concorrenza, ma anche perché qui in Scozia le normative sul lavoro sono più elastiche e più vicine sia alle necessità del lavoratore che a quelle del datore di lavoro - spiega
con sicurezza -. Ora per migliorare devo solo perfezionare il mio inglese», ammette ridendo. Che ne dicano i dati sulla ripresa, forse varrebbe la pena interrogarsi concretamente e con attenzione sul perché una sempre maggiore fetta di italiani abbandonino il nostro paese. Noi intanto auguriamo ad Anna buona fortuna e vi lasciamo con un’infografica che riassume i dati della “migrazione dei capelli grigi”.
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ALCOL
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sicuro che non ti riguardi
di Franco Zadra
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’argomento alcol, alcolismo, e sostanze cosiddette psicoattive, è all’ordine del giorno. Non c’è infatti alcun ambito del nostro vivere quotidiano che non implichi un nostro rapporto con le sostanze che possono in qualche modo influenzare in nostro stato psicofisico. Basti pensare che ogni giorno dobbiamo, volenti oppure no, fare i conti con quel processo digestivo che necessariamente deve attivarsi per permettere la nostra sussistenza come esseri viventi. È una ovvietà: per vivere dobbiamo nutrirci, e nutrendoci consumiamo sostanze. Nello specifico, come si legge nel più autorevole trattato di psicologia delle edizioni Zanichelli, di Peter Gray, l’alcol (che qui scegliamo di scrivere con una sola “o”) rientra in quelle sostanze la cui azione contrasta l’ansia e/o fa diminuire il livello di vigilanza e di attività. Tecnicamente queste sostanze si chiamano tranquillanti e depressori del sistema nervoso centrale. Nella stessa categoria dell’alcol vi sono le benzodiazepine e i barbiturici. Si registra nel mondo un frequente abuso di alcol, una sostanza che deprime l’attività neurale in tutte le aree del cervello attraverso un’ampia gam-
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ma di azioni non ancora ben chiarite. A basse dosi, anche se il concetto di dose è relativo alla particolare predisposizione dell’individuo, può ridurre l’ansia, mentre a dosi più elevate può avere effetti sedativi progressivamente più forti, provocando nell’ordine sonnolenza, incoscienza, coma, e infine la morte. Alcol e barbiturici agiscono come ansiolitici in maniera simile alle benzodiazepine, cioè, agiscono sull’attività del nostro cervello inibendola a livello neurale. In parole povere, più consumiamo alcol e più limitiamo la nostra attività cerebrale, e meno disponiamo di quella padronanza di noi stessi che conosciamo come “lucidità” mentale. Cose risapute! Concetti elementari! Eppure… Non c’è casa, o famiglia, dove si sia stabilita una certa convivenza sociale stabile, che non abbia in dispensa una bella bottiglia di grappa, o di nocino, o semplicemente non possa offrire un buon bicchiere di vino all’ospite di turno, o magari da sorseggiare in solitudine davanti alla televisione la sera prima di andare a dormire. Insomma, il consumo di alcol, e anche questa è un’ovvietà, è in gran parte un fatto culturale; un depressore del sistema
nervoso che abbiamo appreso a consumare perché siamo nati e cresciuti in questa civiltà. Non per niente, le campagne antialcoliche sono state spesso nella storia, come lo sono tutt’ora in alcuni ambiti specifici del panorama religioso, emblemi di quella lotta contro il male delle principali religioni mondiali, cristianesimo incluso. Se per esempio l’Islam è molto rigido nei confronti del consumo di alcol, si intuisce che invece il cristianesimo ha una sua propensione a giocare con il concetto di moderazione, dal momento che il suo momento liturgico più alto, la celebrazione eucaristica, prevede il consumo di un calice di vino. Non solo, secondo san
Paolo l’uso moderato del vino giova alla salute, ma sono innumerevoli le citazioni che possiamo trovare nell’ebraismo che associano il vino alle sue presunte o scontate qualità “divinatorie”. Persino in ambito protestante ritroviamo citazioni di Martin Lutero del tipo “chi non ama il vino, le donne e il canto rimane uno stolto per tutta la vita”. Ma se conosciamo qualcuno che è entrato in un programma di disintossicazione dall’alcol, che sia un “alcolista anonimo” o rientri in qualche progetto della sanità pubblica, possiamo renderci conto di quanta enfasi sia posta dentro questi processi di riabilitazione, invece, sulla necessità di chiudere per sempre con l’alcol, di tagliare in maniera decisa con questa cultura anche solo moderatamente permissiva. È la cosa più difficile, ma la più necessaria per il successo nel recupero di molti casi di alcolismo. Una cosa tanto difficile e paurosa da far scappare chiunque, soprattutto e per primo chi dispone con facilità dell’alibi del “non mi riguarda”. Invece riguarda tutti, e tutti dovrebbero almeno fare la prova, confrontarsi per una volta con la propria dipendenza dal consumo di alcol, con sincerità, cercando di valutarsi senza finzione o leggerezza. Conosciamo bene quella storiella di quel pover’uomo che dopo tre mesi di astinenza dall’alcol era così felice di essere riuscito nel suo intento, di aver applicato bene i suoi buoni propositi, da sentire l’esigenza di berci su, per congratularsi con se stesso del risultato raggiunto. Con l’alcol non si scherza però, e riguarda ciascuno di noi!
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Un aiuto per chi si lascia aiutare
ALCOL e ALCOLISTI ANONIMI
di Armando Munaò Il Congresso mondiale della Sanità ha definito l'alcolismo come una malattia progressiva, inguaribile, mortale, indicandolo come una vera patologia che, se non curata, è sempre causa di gravi conseguenze, anche letali. Oggi l'alcolismo è riconosciuto come uno dei più gravi problemi della salute pubblica. Basti pensare che negli Stati Uniti è al terzo posto per mortalità dopo le malattie cardiache e il cancro
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’alcol è uno dei principali fattori di rischio e di malattia e tra le prime cause di mortalità prematura e di disabilità evitabili. Ogni anno l’alcol causa nel mondo 3,3 milioni di morti. Il consumo di bevande alcoliche è complessivamente responsabile di mortalità prematura, disabilità e insorgenza di oltre 230 patologie che costano alla società almeno 17 milioni di anni di vita persi. In questo contesto molte sono le associazioni (anche di volontariato) che operano per dare una giusta informazione, mirata alla prevenzione dell’alcolismo, e aiutare coloro i quali sono vittime del bere o che potenzialmente lo possono diventare. Tra queste vi è l'Associazione Alcolisti Anonimi che ha come finalità il recupero dei propri membri concentrando il suo agire sulla reale e concreta possibilità di aiutare quelle persone che sono già alcoliste e che desiderano o hanno la volontà di smettere di bere per vivere, quindi, una vita normale e felice senza alcol. “A.A. Alcolisti Anonimi” è un’Associazione di auto-aiuto fondata negli USA nel 1935. È costituita e gestita da soli alcolisti in recupero, e opera
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secondo un metodo denominato “dei 12 Passi”. Nel mondo è diffusa in 170 paesi con oltre 100.000 Gruppi. In Italia è attiva dal 1972 e attualmente consta di circa 470 Gruppi presenti maggiormente al nord. Si tratta di una risorsa fondamentale nel trattamento della dipendenza alcolica in tutto il mondo occidentale, e il suo è il metodo a tutt’oggi più utilizzato per il recupero di soggetti con problemi alcol-correlati. La sua efficacia e il suo “modus operandi” si sono consolidati in più di ottant’anni di attività e sempre di più riceve attestati di riconoscenza e gratitudine. A.A. è uno dei due grandi sistemi di trattamento non governativi in grado, oggi, di collaborare e integrare i servizi pubblici. Nelle varie sedi degli Alcolisti Anonimi vengono organizzate riunioni con frequenza libera, dove in assoluta libertà vengono raccontate le proprie storie,
ci si scambiano esperienze, si condividono i problemi personali e si mette in pratica il programma di recupero. Per entrare e fare parte dell'associazione basta avere una qualunque forma di desiderio di smettere di bere. Non ci sono altre restrizioni di alcun tipo, né sociali, né etniche, di genere, o di religione. Come dice il nome stesso, l'associazione garantisce l'anonimato e perciò, nel caso lo si voglia, si può evitare di rivelare la propria identità. Non ci sono quote o tasse per essere membri di Alcolisti Anonimi. L'Associazione si finanzia autonomamente, non accetta sovvenzioni,
La principale causa di MORTE nel mondo
lasciti, né altri contributi. Inoltre non è affiliata a nessun tipo di ideale politico o organizzazione e non prende posizione in nessuna controversia o causa civile, ma soprattutto non sostiene posizioni proibizioniste o antiproibizioniste riguardo all'alcol. Gli stessi membri prestano volontariamente servizio nell'associazione per dare il proprio contributo al funzionamento e al mantenimento della stessa. Per quanto riguarda la nostra regione, l'Associazione Alcolisti Anonimi è nata a Bolzano nel 1980, e a Trento due anni dopo, nel 1982, mentre a Borgo Valsugana l'associazione opera dal 1984. Fin da allora è sempre stata vicina a coloro i quali hanno deciso di eliminare dalla loro esistenza l'alcol, con annessi e connessi. L'attuale sede è presso l'Oratorio in Via XXIV Maggio e le riunioni di gruppo si tengono tutti i martedì dalle 20,30 alle 22,00. Significativo è anche il fatto che accanto alla sede degli Alcolisti Anonimi di Borgo (nella porta accanto) si ritrovano e si riuniscono (lo stesso giorno con lo stesso orario) gli Al Alanon, ovvero gli amici e i parenti di alcolisti, per sostenere i familiari che hanno il problema in casa. In Trentino - Alto Adige, oltre a Borgo Valsugana, sono presenti i seguenti gruppi A.A. Martignano, Rovereto, Lizzana, Tiarno, Arco, Panchià, Bolzano e Merano. Per un qualsiasi contatto o informazione si può chiamare il 334 3951736
Secondo il contatore disponibile in rete al link www.worldometers.info/alcohol/ sull'abuso di alcolici, basato sulle ultime statistiche delle morti a livello mondiale causate dall'alcol pubblicate dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, l’abuso di alcolici è il fattore di rischio principale per la morte e la disabilità prematuri nel mondo, con 1,8 milioni di morti (3,2% del totale), un terzo dei quali classificato come lesioni involontarie, e 58,3 milioni (4% del totale) anni di vita con disabilità, di cui il 40% riguardano disabilità neuropsichiatriche. Stando a quanto scrive l’Oms (World Health Organization), in uno specifico rapporto sul consumo di alcolici nel mondo, i Paesi dell’est, Russia, Ucraina, Polonia, Ungheria, Serbia, Romania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Bielorussia, Lituania, assieme al Portogallo, sono ai primi posti della classifica, con un consumo stimato di oltre 12,5 litri di alcol all’anno a testa. Secondo quella classifica, in questi paesi ogni persona di età superiore ai 15 anni consuma in media 26,2 bicchieri di alcolici all’anno. Le differenze riscontrate tra un Paese e l’altro, possono essere attribuite insieme a fattori sociali, economici, e culturali. Nella posizione immediatamente successiva in questa graduatoria, nella frazione che considera un consumo annuo fra i 10 e i 12,4 litri di alcol, troviamo Canada, Inghilterra, Spagna, Grecia, Germania, Svizzera, Danimarca, Finlandia, Slovenia, Croazia, Bulgaria, Kazakistan, Nigeria, Gabon, Repubblica Sudafricana, Namibia, Corea del Sud. Per quanto riguarda invece gli Stati Uniti e la maggior parte dei Paesi sudamericani, la percentuale scende fra i 7,5 e i 9,9 litri. L’Italia è indicata tra quei Paesi entro una fascia di “sobrietà” relativa con un consumo alcolico pro capite che varia fra i 5 e 7, 4 litri, così come Islanda, Cina, Mongolia, Giappone, Filippine, Vietnam, Cambogia, Laos, Thailandia, Messico, Cuba, Nicaragua, Costarica, Colombia, Ecuador, Bolivia, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Zimbabwe, Bosnia, Albania e Macedonia. Prevedibile, anche se non del tutto scontato, il dato riguardante i Paesi di fede islamica, che considera un consumo inferiore ai 5 litri pro capite, come nel Nord Africa e nel Medio Oriente, fino alla religiosissima Indonesia, il Paese con il maggior numero di musulmani al mondo, con un consumo di alcolici vicino allo zero. Nel suo insieme il rapporto Oms, mostra però una situazione allarmante, soprattutto se viene considerato che l’abuso di alcol può portare non solo alla dipendenza, ma anche all’aumento del rischio di sviluppo di più di 200 malattie, tra cui la cirrosi epatica e alcuni tipi di cancro.
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ANNAROSA PASA
la “personal trainer” della bellezza Nel grande universo dell'industria, del commercio e dell'artigianato, da sempre sono esistiti, e ancora esistono, personaggi che nel corso degli anni si sono distinti per il loro fare e il loro modo particolare di svolgere la professione che hanno deciso d'intraprendere e che li ha resi rappresentativi. Esperti che oltre a dare nobiltà alle professioni esercitate evidenziano doti, competenze e preparazione a volte “unici”.
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ui il preciso riferimento è per Annarosa Pasa, che, a nostro modesto avviso, è una delle più preparate e competenti “Hair Stylist” che operano nel nostro territorio. Ed è la sua scheda, il suo curriculum che testimoniano e certificano questa affermazione. Annarosa sin da piccola dimostrava già di possedere una particolare predisposizione e attrazione verso la moda dei capelli, tant’è che, come lei stessa ci confida, giocava con le bambole divertendosi però a tagliare loro i capelli e a pettinarle. Diventata più grande, decide di interrompere gli studi al liceo linguistico per seguire la sua vocazione. Nel 1990 si diploma presso la Scuola per stilisti CamGandini e poi, nel continuare una sorta di tradizione familiare, si impegna nel salone della madre portando però avanti contemporaneamente le sue attività di approfondimento. Dopo anni di esperienze e di continue verifiche professionali, inaugura, nel 1998, il suo primo salone che, con il passare del tempo, diventa l’attuale marchio “Mod'Art”.
Con Michelle Hunziker
Un marchio che nella sua struttura è costituito dalla parola “Moda”, ovvero un'ispirazione diretta alla moda coniugata nel concetto di “insieme a te e per te”, e dalla parola “Art”, ovvero una visione personale di Annarosa che riconosce le sue clienti come un’opera d’arte alla quale creare l’appropriata cornice. Nel tempo, considerate le provate e indiscusse capacità, collabora con il Gandini Team, leader di settore, del quale diventa uno dei punti di riferimento. Proprio con questa “qualificata” etichetta Annarosa segue i concorsi di Miss Italia e successivamente di Miss Mondo per oltre dodici anni, che la gratificano e la rendono destinataria dei consensi unanimi che le varie ragazze, anche le vincitrici, esprimono nei suoi confronti. Questi concorsi però, come sottolinea Annarosa, sono punti di partenza e non di arrivo. Per dovere d’informazione c’è da sottolineare che la “nostra” ha anche maturato una qualificata esperienza nell’insegnamento rivolto ad alunni e anche a docenti presenti nel grande universo delle acconciature. Gli attestati di stima continuano, tant'è che nel corso della sua notevole carriera ha partecipato a ben sei “Alternative Hair Show” (Bologna, Londra,
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M U B L l’A
Con Francesca Chillemi
Con Diego Dallapalma
Con Claudia Andreatti, Miss Italia 2006 Con Marco Liorni
Con Elisabetta Canalis
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Con Mara Venier Seul e Chicago), eventi questi che si realizzano tutti gli anni alla presenza di 5/6mila persone e i cui ricavati sono tutti devoluti alla lotta contro le leucemie nei bambini. È stata parrucchiera ufficiale nel BackStage di Sanremo e del Premio Regia TV e ha avuto l'onore di essere inviata dal Governo cinese come formatrice. Nella sua carta d'identità professionale figurano le presenze su pedane nazionali e internazionali non solo in tutta Europa (Parigi, Copenaghen, Helsinki, Kiew, Londra), ma anche in Thailandia, Argentina, Taiwan, Colombia e Dubai. È interessante sottolineare che Annarosa, oltre ad aver partecipato più volte al “Mondial Beaute” di Parigi, che è la più importante e qualificata manifestazione a livello mondiale, dove con il Gandini Team ha saputo egregiamente portare ed interpretare il Made in Italy, è stata selezionata tra i migliori 12 Hair Stylist del mondo che si sono esibiti sulle pedane del “Beauty Salon” di Londra. Ma Annarosa, pur partecipando ancora oggi a molte manifestazioni, riesce a essere presente nel “suo” salone per dedicarsi assiduamente alla Sua affezionata clientela, che è la destinataria effettiva di tutto il suo impegno. Nel maggio del 2009, visti i suoi risultati professionali inaugura la nuova sede “Mod'Art” a Borgo Valsugana in Via 20 settembre rendendola più idonea e più funzionale, per soddisfare al meglio le esigenze delle “sue”clienti. Nel corso degli anni, grazie al continuo
studio e a una costante applicazione, Annarosa ha dimostrato di possedere quelle doti di Hair Stylist che appartengono a quel grande universo che unisce e accomuna le stelle (in questo nostro caso i coiffeur) che brillano di luce propria. Doti di creatività, inventiva e originalità che Annarosa Pasa indiscutibilmente possiede nel suo bagaglio professionale. Oggi, come lei stessa ama sottolineare, la sua attività si è potenziata anche per la presenza di un gruppo di valide collaboratrici che non solo dimostrano un proprio personale talento ma, soprattutto, competenza, professionalità e preparazione che in questo lavoro sono elementi fondamentali. Una sinergia d’intenti e di azioni che garantiscono alla clientela l'evoluzione dinamica e coerente dello stile Gandini che coniuga la femminilità con l'eleganza, l'alta artigianalità italiana con la ricerca, la passione con il metodo. E lo fanno interpretando i principi portanti dell’essere coiffeur perché, come precisa Annarosa, “in questo momento, nel settore dell’Hair & Beauty sono necessari, oggi più di ieri, conoscenza, competenza e spe-
Con Emma Marrone cificità. Il tutto a vantaggio della responsabilità che, noi parrucchieri, abbiamo e dobbiamo assumerci nei confronti di chi mette nelle nostre mani la propria immagine e la propria bellezza, per esprimere al meglio l’essenza della femminilità e l’unicità di ognuna”.
Con Cristiana Capotondi
Con Claudio Baglioni e Gianni Morandi
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t ei s i r vs i b i l e t in pos im
IPAZIA D’ALESSANDRIA
di Adelina Valcanover
su e mor ta assassinata da fanatici cristiani, pare lo seco IV del fine la o vers itto d’Eg ia andr Ipazia è nata ad Aless matica, filosofa neoplatonica e astronoma, mate de Gran . 415 del a aver prim nella lo istigazione del vescovo Ciril e un’insegnante e politica molto capace. anch . Fu altro e ro met aero un io, scop idro inventò un astrolabio piatto, un Kalimera! Sono Ipazia d’Alessandria. Avrei piacere di farmi intervistare da te. So che tu ti dedichi a queste cose e quindi eccomi qua. Ipazia! Con enorme piacere. Tu, matematica, cosmologa e filosofa; considerata caposcuola dopo Platone e Plotino. Sì, come molti studiosi dell’antichità. Io sono vissuta a cavallo del IV e V secolo e ho avuto la grande fortuna che mio padre, Teone d’Alessadria fosse di mentalità aperta. Un grande matematico, mio primo maestro che ebbe a titolare un libro così: Commento di Teone d’Alessandria al III libro del sistema matematico di Tolomeo, edizione controllata dalla filosofa Ipazia, mia figlia. Naturalmente sono stata avviata agli studi filosofici. E gli altri studi cui ti dedicasti? Come ti dicevo appartenevo all’aristo-
crazia intellettuale alessandrina della scuola filosofica di Plotino e ho ereditato la successione del suo insegnamento (diadoché), una cattedra pubblica in cui parlavo a chiunque fosse disposto ad ascoltare le mie lezioni. Spiegavo il pensiero filosofico di Aristotele, Platone e altri, ma anche matematica e astronomia. Ho scritto libri di testo, tra cui le Coniche di Apollonio di Perga e l’Algebra di Diofanto, per esempio. Il fatto di essere una donna non mi impediva di partecipare a riunioni con presenze esclusivamente maschili. Possedevo un vero carisma per insegnare. Il mio discepolo prediletto, Sinesio, ebbe a dire che il mio era: “il metodo più fertile ed efficace per coltivare la mente”. Ero molto seguita e rispettata e al centro della vita intellettuale e politica della mia città.
Rachel Weisz interpreta Ipazia nel film Agora di Alejandro Amenabar
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Ipazia D’Alessandria Fosti anche inventrice! Sì, ho inventato un astrolabio piatto, un aerometro, un idroscopio e altre cose. Sì, credo di essere stata utile anche inventando. Oltre all’insegnamento pubblico ne tenevi anche uno privato. Hai ragione, quello privato lo tenevo in un quartiere residenziale di Alessandria d’Egitto, dove dimoravo. Del resto le accademie platoniche avevano risvolti esoterici, quindi segreti e solo per iniziati. Mal me ne incolse purtroppo. Attirasti l’ira assassina del vescovo Cirillo. Fu un delitto politico. La religione non c’entrava. Tutti apprezzavano il mio insegnamento e non avvertivano assolutamente una mancanza di rispetto nei confronti del Cristianesimo o dell’Ebraismo. Infatti, l’Uno di Plotino, si poteva benissimo identificare con il Dio unico di
cristiani ed ebrei. Del resto all’epoca, molti si erano convertiti al cristianesimo più per convenienza che per convinzione. Venivano ad ascoltarmi anche da Costantinopoli; avevo molto seguito anche tra i notabili. Ma toglievi potere e credibilità al vescovo Cirillo e lui non poteva accettare, che una donna e per giunta pagana, gli facesse ombra. Proprio così. Mentre mi recavo da sola col mio carro alla scuola, fui assalita da un gruppo di parabalani, che erano monaci barellieri, provenienti dal deserto di Nitria, ma in realtà miliziani al servizio di Cirillo. Mi trascinarono nella chiesa chiamata il Cesareo (da Cesare imperatore) e lì, bestialmente mi denudarono e mi massacrarono con dei cocci appuntiti. Non contenti, prima che morissi mi cavarono anche gli occhi. Dopo di che vollero infierire ulteriormente sul mio cadavere, facendolo a pezzi e buttandolo nel fuoco. Mi ricorda quello che avvenne secoli dopo con la caccia alle streghe. Io so solo che ero una persona che cercava di pacificare le lotte religiose. Difendevo, influenzando anche il prefetto augustale Oreste, i diversi gruppi, dai tentativi di prevaricazione dei fondamentalisti. Pensa che, poco tempo prima di venire assassinata, avevo difeso l’antica comunità ebraica di Alessandria dal terribile pogrom scatenato da Cirillo, che aveva due linee politiche: la lotta economica contro gli ebrei e la mira di invadere e condizionare il potere dello Stato, oltre ogni limite concesso alla Chiesa. Ma il motivo che scatenò la messa in atto della tua uccisione, quale fu? Credo riguardasse la mia fermezza nell’impedire a tutti i costi l’ingerenza ecclesiastica nella gestione dello Stato. E così venni uccisa. Finii dimenticata per qualche secolo, ma poi qualcuno volle ricordare… E la Chiesa riconobbe i suoi errori? Tu che dici? Lo hanno fatto santo e dottore della Chiesa. I suoi crimini dimenticati e a San Cirillo d’Alessandria sono dedicate chiese. Ma vorrei dire anche ai lettori di Valsugana News che non sono vissuta invano. Mai ascoltare i fanatici, e pensare con la propria testa.
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Claudio Cia e la sua “sobria” salita in politica di Franco Zadra
In tutta la Regione oltre che la Provincia, Claudio Cia è l’unico consigliere provinciale a non aver mai chiesto rimborsi per le spese correnti della sua attività politica. Una mosca bianca che, almeno per questo motivo, unitamente a molti altri tutti da scoprire e che, per ragioni di spazio, non riusciremo a evidenziare in una sola volta, vale la pena intervistare.
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ei 70 consiglieri provinciali in Regione sono l’unico a non aver richiesto rimborsi. Mi meraviglia che questo faccia notizia e vorrei che fosse il contrario, che cioè facesse notizia il fatto che si chiedono rimborsi. Ero infermiere in sala operatoria e prendevo quasi 1700 euro al mese; come consigliere comunale prendevo circa 6/700 euro, quindi arrivavo intorno ai 2400 euro al mese. Sono riuscito a mettere su famiglia, ho comprato casa pagando il mutuo, riuscivo a muovermi, andare al lavoro da Vigolo Vattaro a Trento, andare in giro senza costringermi a una vita eremitica… non vedo come ora da consigliere provinciale, con 5400 euro al mese, dove comunque mi muovo di più, anche se il nostro territorio non è certo quello della Lombardia, debba richiedere rimborsi. Non voglio con questo dire che i miei colleghi consiglieri stanno
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sbagliando. La legge consente loro di farsi rimborsare quelle spese più che lecite. È solo il mio modo di essere in politica, uno stile di sobrietà che sento importante per dare credibilità alla politica e riavvicinare la gente a quello che è il loro primo interesse: il bene comune. Che cosa ti ha spinto a entrare in politica? Sono entrato in politica quasi per scherzo. Serviva il cinquantesimo nome della lista che doveva candidare al consiglio comunale di Trento perché il Comune di Trento fino al 2015 aveva 50 consiglieri. Adesso sono diventati 40. Serviva l’ultimo nome per una lista civica, e io che ero di Vigolo Vattaro ho messo a disposizione il mio nome. Mi sono ritrovato eletto, l’ultimo della lista civica Morandini con 140 voti, nel Consiglio comunale di Trento che non sapevo nemmeno dove si trovasse, non avendo mai partecipato
Claudio Cia o assistito ai consigli comunali. Mi interessavo di politica solo a livello nazionale. In particolare mi appassionava la politica estera, medio orientale. Non conoscevo nulla della realtà locale di Trento, ne come fosse strutturata l’aula del Consiglio, o che cosa volesse dire “mozione”, o “ordine del giorno”. Pino Morandini era un candidato sindaco del quale stimavo le campagne etiche circa i temi della vita, della famiglia, della dignità della persona, ecc. Poi, di fatto, ho portato
avanti le mie battaglie, quelle che più sentivo dentro, certo in sintonia con altri, trovando nella pratica amministrativa un contesto che mi spingeva ad assumermi la responsabilità per le decisioni politiche che venivano prese in quell’ambito. In che cosa ti distingui nel tuo fare politica? La cosa che credo mi abbia caratterizzato e che credo sia anche tuttora motivo del fastidio che suscito, è che di fronte al problema, all’ingiustizia, o alla criticità, che incontro e cerco di risolvere, non guardo in faccia nessuno, non mi domando a chi dovrò andare a pestare i piedi, fosse pure qualcuno che potrebbe tornarmi utile elettoralmente, se non addirittura potrebbe reagire contro di me. Questo aspetto, penso, sia quello più difficile da gestire per i miei avversari. Quando la politica si fa “sistema” per mantenere privilegi, è facile declinare il “fare” politica con un “gestire” gli altri, se più comunemente perché ti è amico, altrimenti attraverso minacce o promesse, non importa. A me non interessa. Sento il rischio che le ingiustizie non affrontate si incancreniscano e poi, chi paga è tutta la comunità. Nelle grandi come nelle piccole ingiustizie, sempre. Nella vicenda dei vitalizi, Morandini è stato “massacrato” mediaticamente… Non ha certo bisogno della mia difesa, ma credo che quella frase nella quale
diceva che “risponde solo a Dio” sia stata infelice. Poi di fatto però è stato uno di quelli che hanno rinunciato. Dopo i primi mesi di osservazione in Consiglio comunale, durante i quali ho cercato di capire come funzionava, e in Marco Sembenotti, capogruppo della civica Morandini, ho trovato un valido mentore per cogliere gli aspetti pratici di funzionamento della macchina amministrativa, ho poi trovato una mia autonomia di azione, supportata molto da Marco al quale riconosco un’ottima leadership e gli sono grato per avermi aiutato nel mio percorso a diventare leader prima di tutto di me stesso, tenendomi lontano dalle invidie che in politica troppo spesso tarpano le ali a molti. Ho
imparato a non preoccuparmi per nulla dell’immagine che la politica poteva attribuirmi, quanto piuttosto dei contenuti che venivano trattati per dare risposte ai bisogni della gente. Non è bene muoversi in politica in forza di invidia e gelosia, ma si deve fare prima di tutto per rispondere con onestà alla popolazione che, di certo, non trova alcun interesse nello squallido spettacolo di litigiosità che la politica qualche volta offre loro. Si pensi che ci sono politici che dedicano le prime ore del mattino a spulciare i giornali e si rodono il fegato per il resto della giornata quando leggono articoli che danno visibilità ad altri, a prescindere dalle battaglie che stanno portando avanti. L’invidia è ignoranza.
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Lintervista di Adelina Valcanover Trentino di Costasavina, classe 1929, Pietro Andreatta, è stato a Palmanova del Friuli sergente istruttore di cavalleria blindata del VI Squadrone del Reggimento Genova Cavalleria (IV). Tornato alla vita civile viene assunto dalla ditta Paterno nel 1954 e l’anno successivo inizia il lavoro di autista dei pullman dell’Atesina fino al pensionamento nel 1986. Com’è che è diventato autista di pullman? Vorrei fare una passo indietro. A 17 anni sono andato a lavorare alla costruzione della diga di Gerlos nello Zillertal in Austria. Stavo molto bene, ma dovetti rientrare per la visita di leva. Avrei dovuto aspettare un anno per partire militare, ma non potevo espatriare e mi trovavo senza lavoro. Uscendo sconfortato ho visto un manifesto di reclutamento volontario dell’esercito. Torno indietro e chiedo l’arruolamento, che mi viene negato, perché il termine scadeva il giorno prima! Il sergente alla fine mi dice di sì e mette la data del giorno avanti. Sono finito nei carristi. Quindi lei ha imparato a guidare con i carri armati? Ospo! Sì! Ero così bravo che sono diventato sergente istruttore. Ne ho guidati di tutti i tipi, da quelli leggeri e in dotazione al nostro esercito a quelli più moderni, gli M24, americani di 18,5 tonnellate. Vorrei raccontare un episodio che mi capitò a Piacenza. Ero una persona che non aveva paura di niente (o quasi). I genieri avevano preparato un ponte di barche di gomma sul Po e bisognava collaudarlo. La scelta è caduta su di me e io sono andato, naturalmente con il
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IO, AUTISTA DELL’ATESINA
carro armato più pesante. A un certo punto mi trovavo in difficoltà, ero praticamente sotto acqua e era grazie ai prismi se potevo vedere fuori. Non so come arrivai dall’altra parte. Certo è che mi sono rifiutato di tornare indietro. È stato davvero rischioso, sarebbe bastato che la corrente del fiume mi spostasse, o un leggero errore di calcolo nella guida e sarei finito male. Comunque ce l’ho fatta! Il servizio che ho fatto a Palmanova del Friuli ha avuto come conseguenza di trovare Maria, la donna della mia vita. Siamo sposati da ben 63 anni! Quando ha iniziato a guidare corriere di linea? Mi sono congedato e sono tornato in Trentino. Poi sono stato assunto dalla ditta Paterno nel 1954 e mandato subito in prova nella ditta Gozzaldi, sulla cosiddetta “rampa dei baroni”, incubo degli autisti, nella linea Trento-LevicoVetriolo. Strade bianche e piene di curve. Il bello è che le mance supera-
vano lo stipendio. I ricchi milanesi che venivano in vacanza si trovavano spesso in difficoltà con l’automobile e si inchiodavano in mezzo alla carreggiata. Io fermavo la corriera, scendevo, spostavo la macchina, ripartivo e loro erano molto grati. Succedeva spesso. Poi fu assunto all’Atesina. Com’era il servizio allora? Era il 1955 e all’epoca facevo la linea Levico-Pergine-Val di Cembra-Cavalese e spesso dovevo proseguire fino al passo Lavazè. La strada era quel che era e d’inverno diventava ancora più impegnativa e difficoltosa. Eppure si andava. Partivo da casa alle 5 e rientravo alle 21.30. Quando si tornava al deposito bisognava anche pulire la corriera. I bagagli andavano caricati sul tetto. C’era una scaletta sul retro del pullman. Ho caricato di tutto anche le cose più strane! Ma una volta mi sono proprio rifiutato. Era la linea della Valle dei Mo-
cheni e una donna mi ha chiesto di caricare una “bena de grassa”! [cestone di letame n.d.r.]. Ha capito cosa? Mi dica lei se potevo accettare! In inverno, quali erano i problemi maggiori? La neve e il ghiaccio; anche con le catene era difficile guidare. Una volta ho perso il controllo del mezzo e sono uscito da un tornante in Valle dei Mocheni. Avevo 40 scolari a bordo. La prima curva a gomito sono riuscito a tenere la corriera, ma subito dopo ce n’era un’altra peggiore. Lì, il mezzo ha slittato e sono finito fuori strada. Ho urlato ai ragazzini di tenersi stretti e mi hanno dato retta. Mi sono ribaltato e ho cercato di finire addosso a un capanno
per attrezzi il quale ha impedito al pesante veicolo di finire nel torrente sottostante. Mi sono attivato subito per far uscire attraverso i finestrini, rompendoli, tutti i ragazzi. Infatti se si fosse anche spostato di poco, poteva essere una catastrofe. Se la sono cavata solo con uno spavento. Comunque il giorno dopo mi hanno fatto andare al lavoro… E la domenica era libero? Ho lavorato anche sei mesi di seguito senza un giorno di riposo- La domenica portavo i turisti ai passi dolomitici o facevo la linea Trento-Bassano. Per un breve periodo ho portato in trasferta la squadra del Calcio Trento. Cosa Le manca di questo lavoro ora che è a riposo? Io non mi sono certo fermato, anzi ho continuato a coltivare le mie passioni, tra cui la campagna e la caccia. Concludendo, vuole aggiungere qualcosa? Ringrazio i lettori di Valsugana News, tra i quali ci saranno tanti “giovani adulti” che a suo tempo portavo a scuola.
di Lucia Orecchio
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di Elisa Corni Se un italiano degli anni Sessanta e un nostro contemporaneo s’incontrassero a tavola, ci sarebbero più differenze che somiglianze. Dall’epoca del boom economico la tavola tricolore è assai cambiata, colpa della crisi, ma anche grazie a una diversa educazione e sensibilità alimentare. Tra chilometro zero, vegetariani, chi mangia e compra bio, cosa mettono nel piatto i nostri concittadini? Ecco alcune indicazioni per destreggiarsi nel complesso mondo dell’alimentazione nel 2017.
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Gli italiani a tavola...
…tra sobrietà, stili di vita e povertà NUOVE ABITUDINI ALIMENTARI: VEGETARIANI E VEGANI In comune queste due filosofie alimentari hanno che non prevedono il consumo di carne. Ma se i vegetariani compensano la mancanza di proteine animali con formaggi, uova e latticini, i vegani non si limitano a eliminare la carne dal loro menu. Infatti, tutti i prodotti di origine animale (uova, burro, latte, ecc.) sono banditi; al loro posto fagioli, seitan, soia, e derivati come il tofu, formaggio di soia - sono la fonte di proteine necessarie. Oggi, secondo alcune stime e statistiche, i “veg” sono circa l’8% della popolazione. Sei su dieci non hanno tolto i derivati animali dalla loro dieta, mentre i restanti quattro sono stati più radicali. I motivi alla base di questa decisione sono svariati, ma il 50% degli intervistati da Eurispes ha dichiarato di farlo per motivi di salute, il 30% per motivi etici connessi allo sfruttamento degli animali negli allevamenti, e il restante 20% per motivi ambientali più generali. Se ad alcuni di voi questa decisione può sembrare drastica, sappiate
che ci sono filosofie alimentari ancora più rigide, come quella crudista (nessun alimento viene cotto con il fuoco) o quella fruttariana (si consuma quasi esclusivamente frutta, escludendo quindi i vegetali e gli ortaggi). MENO CARNE, MA ANCHE MENO VERDURA Secondo l’annuale rapporto Censis sulle abitudini alimentari di noi Italiani, il 2015 ha segnato l’alimentazione di molti di noi, e non sempre in positivo. Se infatti, come vedremo tra poco, in una buona fetta della popolazione la consapevolezza dell’importanza della qualità del cibo per la nostra salute è ormai radicata, in molti casi il gap socio-economico comporta una povertà alimentare in molte, troppe, famiglie. I consumi sono infatti calati, e gli italiani tendono ad acquistare meno cibo, e probabilmente a sprecarne meno. I consumi alimentari sono scesi infatti del 12% rispetto al 2007, e nello specifico il consumo di carne è sceso mediamente di oltre 16
punti percentuali. Ma se le famiglie con maggior capacità economica che hanno ridotto il consumo di carne nel 2015 sono state il 32%, quelle in difficoltà sono state praticamente la metà (45,8%). E questo non vale solo per la carne: anche il consumo di frutta e verdura è calato rispettivamente nel 16 e nel 15% delle famiglie meno ricche, mentre chi ha meno problemi ha ridotto questi consumi solo nel 2,2 e nel 4,4% dei casi. Non è quindi solo una questione di scelte consapevoli (alcune ricerche recenti hanno evidenziato come il consumo eccessivo di carni rosse o trattate sia connesso all’insorgere di patologie anche gravi), ma anche di possibilità. Queste famiglie infatti sostituiscono cibi freschi e salutari con alimenti raffinati ed elaborati, il cui consumo è connesso a obesità e disturbi di vario genere. QUALITÀ E MADE IN ITALY È della fine di gennaio di quest’anno la pubblicazione di un rapporto Eurispes
sulle nostre abitudini alimentari. E finalmente possiamo leggere alcune buone notizie. Infatti, da quanto emerge dai questionari raccolti nel 2016, sembrerebbe proprio che gli italiani abbiano capito l’importanza di mangiare cibo di qualità. O comunque la cui origine sia verificata e certificata. Il Made in Italy, i prodotti che vengono dalla nostra bella e ricca penisola, sono preferiti da oltre il 70% degli intervistati; il cosiddetto “chilometro zero” è preferito in quasi 6 casi su dieci, mentre il biologico non ha ancora fatto breccia nel cuore - e nello stomaco - degli italiani. Prodotti Doc e Igp, con denominazioni e origini controllate, finiscono spesso e volentieri nei nostri carrelli. In generale, il cibo oltre che buono deve sempre più spesso essere sano e carboidrati, grassi, e alimenti raffinati hanno visto un crollo dei loro consumi.
ALIMENTAZIONE E SALUTE Eppure, nonostante l’attenzione registrata dalle statistiche, gli italiani non sempre fanno attenzione al binomio tavola-salute. I diabetici negli ultimi 15 anni sono in aumento (un milione in più solo nel nostro paese), e quasi metà della popolazione è sovrappeso. Dati e curiosità sull’alimentazione e sulle abitudini alimentari nell’infografica.
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Un fenomeno in continuo aumento
INTOLLERANZE
alimentari L
e intolleranze alimentari sono decisamente il male dei giorni nostri, si stima infatti che queste affliggano circa il 40% della popolazione. A differenza delle allergie, le intolleranze non smuovono il sistema immunitario e il loro effetto spesso non è immediato, per questo sono difficilmente riconoscibili. Le intolleranze possono essere assimilate a un lento e inesorabile avvelenamento del nostro organismo. I sintomi delle intolleranze possono essere i più vari: vanno dal semplice gonfiore alla pancia, stipsi, coliche, oppure diarrea; ma si può trattare anche di stanchezza, di mal di testa, e brusco aumento o calo del peso corporeo. Tra le intolleranze più diffuse, in primis la celiachia, un’intolleranza permanente al glutine che causa all’intestino un’infiammazione cronica che distrugge i villi intestinali. A causa dell’atrofia dei villi, il nostro intestino fatica ad assorbire vitamine, minerali, proteine, carboidrati, e grassi, provocando carenze nutrizionali che soprattutto nei bambini ritardano la crescita. La celiachia non è allergia al grano, quest’ultima, a differenza della prima, causa sintomi che affliggono soprattutto la pelle, con eruzioni cutanee o dermatiti alle vie respiratorie, causando asma e alterazione intestinale, e procurando dissenteria. Le persone allergiche al frumento in Italia sono soltanto una su 1000, mentre moltissime sono quelle che soffrono di sensibilità al glutine. In questo caso vi è un ampio spettro di disturbi, quali la spossatezza, la difficoltà di concentrazione, gonfiore e dolore ad-
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dominale, formicolio o dolori alle articolazioni e ai muscoli, mal di testa, diarrea e vomito. Sintomi: dolore, diarrea, dolori articolari, mal di testa, vomito. Se chi è allergico al glutine e chi è celiaco deve eliminare dalla propria dieta tutti i cereali, prediligendo cibi gluten free, chi invece soffre di sensibilità può osservare una dieta povera di cibi contenenti glutine, ovviamente sempre seguendo le indicazioni del medico curante. L’altra intolleranza più diffusa è quella al lattosio, zucchero complesso che si trova nel latte e nei suoi derivati. È a causa della mancanza della lattasi, enzima predisposto alla scissione della molecola del lattosio, che molte persone soffrono di intolleranza al latte. Questa in particolare causa soprattutto un ma-
di Chiara Paoli lessere legato all’apparato intestinale, gonfiore, dolori e dissenteria. Per scoprire un’eventuale intolleranza è possibile sottoporsi ad appositi esami del sangue. Per quanto riguarda il lattosio, viene solitamente consigliato di sottoporsi a un esame specifico detto “breath test”, esame del soffio che prevede l’assunzione di un beverone contenente zucchero composto, per poi verificare a distanza di tempo attraverso il soffio, se è in atto la fermentazione. Ci sono poi individui che soffrono di intolleranza alle proteine del latte, in questo caso per il loro organismo anche le uova risultano dannose; questa tipologia di malessere è spesso riscontrata nei lattanti e nei bambini, ma sembra che possa risolversi nell’arco dei primi anni di vita.
Se una semplice dieta a esclusione può farci capire qual è l’alimento che ci causa malessere, basterà togliere un alimento a rotazione per un periodo di almeno 20 giorni, avendo cura di eliminarlo in toto. Per quanto riguarda i latticini bisognerà tenere presente che il lattosio viene spesso utilizzato anche per confezionare insaccati e affettati, quindi andranno eliminati dalla dieta anche wurstel e salumi. Ma non è tutto, privarsi dei latticini vuol dire verificare le etichette di tutti i prodotti da forno, per controllare che siano privi di lattosio, inoltre anche le compresse medicinali sono per lo più ag-
glomerate con il lattosio e quindi bisognerà limitarne l’assunzione e preferire piuttosto l’assunzione di bustine solubili in acqua. Se proliferano i cibi gluten free per i celiaci, che si possono oggi trovare anche al supermercato, aumenta anche la scelta di prodotti per chi soffre di intolleranza al lattosio, che può trovare per esempio panna di soia o yogurt senza lattosio. Per questi ultimi è inoltre possibile sopperire alla mancanza dell’enzima lattasi, assumendo apposite pastiglie di integratori acquistabili in farmacia, così sarà possibile mangiare tutto ciò che si desidera, senza subire effetti collaterali. Le intolleranze non si riducono a queste, abbiamo dato spazio alle più comuni, ma ve ne sono moltissime: ci sono persone che faticano a digerire aglio e cipolla, o altre che mal tollerano il dado, e potremmo andare avanti con una lunga lista. Come mai le intolleranze alimentari siano
divenute il male più diffuso nel nostro millennio è un mistero, c’è chi incolpa lo stress a cui il nostro fisico è sottoposto, mentre altri danno la colpa ai pesticidi o all’eccessiva lavorazione degli alimenti di cui ci nutriamo. Alcuni sostengono che le intolleranze siano un male che può risolversi, in alcuni casi, a esclusione della celiachia; dopo aver tolto per un periodo l’alimento che provoca malessere ed esserci quindi disintossicati, è possibile reintrodurlo pian piano nella dieta. In ogni caso, chi sospetta o è afflitto da intolleranze può fare riferimento al proprio medico o a specialisti nel settore, quali nutrizionisti e gastroenterologi.
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ACQUA UNA RICCHEZZA di Silvia Tarter
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DA NON SPRECARE
el nostro Trentino siamo abituati a vedere fluire l’acqua, circondati da placidi laghi, torrenti che scrosciano nei boschi e da cime, per la verità sempre più di rado anche da noi, imbiancate di neve e dense di ghiacciai. Ma l’acqua potabile e pulita che noi diamo per scontata tutti i giorni, non è affatto scontata per quasi un miliardo di persone, 923 milioni nel 2017 secondo il World Water Council, ovvero un sesto degli abitanti attuali della Terra. Le zone del mondo dove è più difficile avere accesso all’acqua potabile, anche per la carenza di adeguate infrastrutture e adeguata gestione, si trovano nell’emisfero Sud: nell’Africa Subsahraiana, dove sono 319 milioni le persone
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che non hanno acqua sicura, in Asia, dove sono invece ben 554 milioni, di cui 80 milioni solo in India, e in America del Sud, dove si contano 50 milioni di persone prive di accesso ad acqua pulita. Ogni anno quindi, sono oltre 3 milioni e mezzo le persone che muoiono per la mancanza di acqua potabile e a causa di malattie provocate dall’acqua contaminata, più dei numeri delle persone che muoiono in un incidente d’auto e malate di AIDS messi insieme. Questa situazione drammatica si ripercuote sulle future generazioni, annientando in parecchi casi le loro speranze per il futuro. Secondo i dati Unicef pubblicati in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua infatti, ogni giorno almeno 800 bambini sotto i 5 anni muoiono per malattie (come la diarrea o il colera) contratte dopo aver bevuto acqua inquinata, ed entro il 2040 1 bambino su 4, pari a 600 milioni di bambini, avrà gravi difficoltà ad accedere ad un’acqua pulita. I paesi al mondo che soffrono di “stress idrico”, ovvero dove la domanda di acqua è superiore alla riserva, sono attualmente 36. Questi luoghi si trovano già, e si troveranno sempre di più in futuro, ad affrontare gravi dif-
Il 22 marzo si è celebrata come ogni anno la Giornata Mondiale dell’acqua, che ha messo in luce quanto questo bene così prezioso, fondamentale per la nostra sopravvivenza, quella dei nostri animali e delle nostre piante, sia sempre più raro. Una situazione che si sta aggravando, a causa delle conseguenze del cambiamento climatico e della crescita esponenziale della popolazione globale. ficoltà, come la siccità, che finisce per comportare carestie ed epidemie, e non da ultimo migrazioni e scontri, che possono trasformarsi in conflitti armati come già succede. La scarsità dell’acqua è infatti una minaccia crescente, a causa del surriscaldamento del nostro pianeta che porta ad un sensibile aumento delle temperature, la diminuzione delle precipitazioni, lo scioglimento delle calotte polari e delle riserve contenute nei ghiacciai, con conseguente innalzamento dei mari. Basti pensare, solo per riferirsi all’arco alpino, che dagli anni ’70 ad oggi si è persa una quantità d’acqua dei ghiacciai pari a 4 volte la capienza del Lago Maggiore. Tutte queste sono realtà di cui siamo consapevolemente informati da anni, ma che nonostante questo ci portano ancora ad avere un atteggiamento spesso troppo poco
rispettoso della risorsa acqua, che sprechiamo ogni giorno in gran quantità. Pensando in primis alla nostra Italia, secondo l’Istat ogni giorno ciascun abitante consuma in media 245 litri d’acqua, pari a 89,3 m3 d’acqua (il valore si riferisce ai comuni capoluogo di ogni provincia), per bere, lavarsi, cucinare, fare il bucato... (sono comunque 23 litri in meno a testa rispetto al 2012, segno per lo meno di una sensibilità al problema crescente). Ci sono però grandi differenze tra un luogo e l’altro: a Crotone ad esempio si consumano appena 50 m3 d’acqua a testa, contro i 140 di Milano. La maggior parte dell’acqua però non viene impiegata tanto per gli usi civici, ma, com’è immaginabile, è utilizzata per lo più nel settore agricolo, per irrigare i campi, che richiedono il 51% del totale dell’acqua. Dell’acqua restante il 20% è destinato a usi civili; il 21% ad usi industriali; il 5% per la zootecnia e il 3% per la produzione di energia idroelettrica (dati Istat riferiti al 2012 e pubblicati nel Focus Acque 2017). Oltre a questi utilizzi però, purtroppo, una buona parte di acqua viene tuttora sprecata per via delle perdite degli acquedotti, che sono presenti in tutta la rete idrica italiana, per via di tubi danneggiati, difettosi o rotture, che fanno sì che non tutta l’acqua immessa nella
rete arrivi poi all’utente finale. Ben il 38,2% dell’acqua nel 2015 ha finito infatti per non raggiungere gli utenti, disperdendosi semplicemente nell’ambiente, e corrisponde ad una perdita di oltre 2,8 milioni di m3 d’acqua al giorno. Se si riuscissero ad evitare tutte le perdite (50 m3 per chilometro circa), saremmo in grado di soddisfare le esigenze di approvigionamento di acqua potabile di oltre 10 milioni di persone per un anno. In alcuni casi queste perdite sono assurdamente elevate arrivando al 60% ad esempio a Latina, Frosinone, Campobasso o Vibo Valentia; a Trento invece in media la perdita reale si attesta intorno al 22% dell’acqua erogata totale.
In occasione della Giornata Mondiale dell’acqua a tal proposito il ministro per la Coesione Territoriale e del Mezzogiorno Claudio De Vicenti ha affermato che il governo ha previsto di destinare 4,5 miliardi di euro per far fronte alla perdite della rete idrica e alla depurazione delle acque. Anche noi singoli cittadini però, possiamo fare la nostra parte per combattere lo spreco di acqua potabile, abituandoci a ricorrere ad alcuni semplici accorgimenti. Ad esempio preferendo la doccia alla vasca per lavarci e in cucina utilizzando una bacinella per lavare la frutta e la verdura, anziché lasciare scorrere l’acqua (cosa che ci permette poi oltretutto di riutilizzare quella stessa acqua per innaffiare la nostre piante). È anche possibile far installare sui nostri rubinetti un frangigetto, che consente di regolare e ridurre il flusso di liquido erogato. Inoltre dovremmo prestare attenzione a caricare a pieno lavatrici e lavastoviglie e preferire, se possibile, elettrodomestici che abbiano un’elevata classe energetica per risparmiare così anche in bolletta. Ma cosa ancora più importante è riuscire a trasmettere un’educazione al corretto utilizzo dell’acqua alle nuove generazioni, che dovranno impegnarsi ancora di più a proteggere questa risorsa e difendere anche una sua gestione corretta.
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McDonald’s
la nascita dei fast food di Chiara Paoli
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il 1937 quando i fratelli Richard e Maurice McDonald aprono in California a Monrovia, sulla Route 66, “The Airdrome”, il primo chiosco che offre agli automobilisti la possibilità di gustarsi hamburger e hot-dog. Nel 1940 l’intero chiosco viene trasferito 64 km più a Est, a San Bernardino, e viene ribattezzato con il nome McDonald’s. Quando i fratelli McDonald nel 1952 decidono di aprire un secondo fast food californiano ad Arcadia, volevano un’architettura particolare, desideravano una struttura con due archi laterali che apparissero ben visibili dalla strada, per catturare l’attenzione dei
I fratelli McDonald
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passanti. Stanley Clark Meston è l'architetto che ha ideato la costruzione con due archi slanciati intervallati da un tetto inclinato, quella che maggiormente rispecchiava il volere di Richard e Maurice McDonald. Nel 1953 concedono in franchising per la prima volta il marchio, assistendo all’inaugurazione di un nuovo ristorante a Phoenix, in Arizona. Il successo dei fratelli McDonald si basa su tre semplici principi: rapidità, economicità e semplicità. Nascono così i fast food che offrono un servizio espresso celere, propongono prodotti a basso costo, grazie a un menù che offre panini con pochi ingredienti. Ma tutto cambia quando Ray Kroc, venditore di frullatori di origine cecoslovacca, rimane impressionato dall’ordine effettuato dai due fratelli e percorre la Route 66 e ben 2000 km per andare a vedere con i propri occhi il primo fast food d’America.
Il rappresentante rimane fortemente colpito dalla gestione del punto vendita Mc Donald, che si presenta come una catena di montaggio, che rende il servizio rapido ed efficiente, consentendo la vendita di migliaia di prodotti in una sola giornata lavorativa. Kroc vuole realizzarsi e si propone ai fratelli McDonald quale agente licenziatario, per ampliare le filiali in franchising; nasce così il McDonald’s System che il 15 aprile del 1955 apre una nuova filiale a Des Plaines in Illinois. In soli 4 anni negli Stati Uniti si contano 100 Mc Donald’s e nel 1961 Ray Kroc acquisisce le quote dei fratelli McDonald, per la cifra di 2,7 milioni di dollari, dando vita alla “McDonald’s Corporation”, azienda che tutt’oggi gestisce il marchio. Saranno proprio questi due archi luminosi della sede di Arcadia che ispireranno il direttore creativo, Jim Schindler, per l’ideazione del nuovo logo McDonald's, la M gialla più nota al mondo. Il primo McDonald’s che offre posti a sedere viene aperto nel 1962, a Denver in Colorado, mentre l’anno successivo prende vita la nuova mascotte, Ronald Mc Donald, il simpatico e popolarissimo pagliaccio nei toni del rosso e
Un’immagine del film -The Foundergiallo. È il 1967 quando Mc Donald’s esce dagli Usa per approdare in Canada, a Richmond, e a quattro anni di distanza si spinge oltre oceano, aprendo il primo fast food giapponese ed europeo in Olanda, a Zaandam. La prima M gialla italiana viene inaugurata a Bolzano il 4 novembre del 1985, mentre l’anno successivo viene aperta una filiale nella capitale, nella splendida cornice di Piazza di Spagna. A conclusione della Guerra Fredda, nel 1990 Mc Donald’s giunge a Mosca, in quella che è ancora, anche se per un breve periodo di tempo, l’Unione Sovietica. Oggi la Mc Donald’s Corporation vanta 33 mila filiali, dislocate in 119 nazioni; se nel 2000 viene aperto il primo Mc Donald’s della provincia di Trento a Pergine Valsugana, all’interno del neonato Shop Center Valsugana, dopo la chiusura di questo primo punto vendita, ora vi sono due fast food nella città di Trento e uno a Marco di Rovereto. Mc Donald’s diviene simbolo dell’America e della globalizzazione, mentre il celebre Big Mac è eletto cibo nazionale Usa e il suo prezzo viene utilizzato come comparatore economico tra i diversi stati del mondo. Questa è la storia di come i fratelli Mc Donald hanno dato avvio, in un periodo di ricostruzione che segue la crisi del 1929, a un impero che poi è loro sfuggito di mano. La storia di Ray Kroc è narrata nel 1986 da John F. Love nel libro “McDonald’s: Behind The Arches”, tradotto in italiano con il titolo “Dietro gli archi di McDonald” che ci svela la
storia del visionario re il nome del loro locale in Big M, si Ray Kroc: «Quella vedono costruire nei pressi una nuova notte nella mia filiale Mc Donald’s che li costringe a stanza di motel non chiudere. riuscivo a togliermi Lo scorso anno è uscito nelle sale andalla testa quello che il film “The Founder”, diretto da che avevo visto du- John Lee Hancock, che racconta atrante il giorno. Vi- traverso l’attore protagonista Michael sioni di ristoranti Keaton, come è nato e cresciuto enorMcDonald's a ogni memente il sogno di Ray Kroc. angolo di strada hanno sfilato attraverso il mio cervello». È sempre attraverso questo volume che troviamo un ultimo tassello di questo puzzle: «Quello che ha reso McDonald’s una macchina da soldi non ha nulla a che fare con Ray Kroc, con i fratelli McDonald o con la popolarità di hamburger e patatine fritte o frullati. È Sonnenborn il vero artefice». Pur vendendo in un anno 18 franchise dell’azienda, Kroc non riesce ad avere utili con le condizioni pattuite. Harry Sonnenborn, genio della finanza lo convince che per avere guadagni Richard Mc Donald sostanziosi deve gestire le proprietà. La Mc Donald Corporation, di cui Sonnenborn diviene presidente, acquista i terreni su cui sarebbero sorti i franchise, ora anche che sono quindi tenuti a pagare alla compagnia un affitto mensile; è così che cresce l’impero Mc Do1) POLIZZE On-Line RCA a prezzi davvero nald’s, che nel 1965 viene quoconvenienti e con ASSISTENZA in Agenzia; tato in borsa. Kroc 2) POLIZZE sulle abitazioni con la garanzia terremoto; riesce inoltre a far 3) Polizze RCA con estensione all’urto con animali chiudere il primo selvatici e veicoli non assicurati. Mc Donald’s di San Bernardino che i fratelli Richard e Maurice non avevano voluto cedere quanCorso Centrale, 72 - 38056 Levico Terme (TN) do avevano venTel. e Fax 0461/702226 duto il marchio; paccherassicurazioni@gmail.com costretti a cambia-
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PESCE DI LAGO
UN CIBO SALUTARE E GUSTOSO
l pesce d’acqua dolce è un alimento ideale per una dieta sana ed equilibrata, senza rinunciare al gusto. Contrariamente a quanto talvolta si pensa, infatti, non ha nulla da invidiare al pesce di mare, benché ovviamente sia meno salato e si presenti con un sapore molto delicato, è un prodotto versatile con cui preparare deliziosi manicaretti. Trote, pesce persico, lucci, lavarelli, ma anche salmoni (che trascorrono metà della loro vita nell’acqua dolce), anguille, salmerini, carpioni sono infatti generalmente poveri di grassi saturi, (ad eccezione dell’anguilla, che vive in acqua sia dolce che salata ed è molto grassa) adatti quindi anche a chi deve stare attento ai chili di troppo. Sono invece ricchi di Omega 3, i grassi polinsaturi fonda-
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mentali per la salute del nostro cervello, poiché rafforzano la vitalità delle nostre cellule nervose - e quindi la nostra memoria e la capacità di concentrazione, contrastando malattie come la demenza senile e l’alzheimer- inoltre contribuiscono ad abbassare il colesterolo, riducono il rischio di malattie cardiache, artriti e osteoporosi e aiutano nella prevenzione del cancro. Ma questi pesci sono anche ricchi di sostanze come fluoro, fosforo, selenio e di proteine ad alto valore biologico, quelle che il nostro organismo non è in grado di produrre da sè. Il pesce di lago andrebbe dunque consu-
mato ogni settimana; è infatti più digeribile rispetto alla carne e anche allo stesso pesce di mare, in media la sua digestione richiede un paio d’ore, e la sua consistenza morbida e delicata lo rende adatto ad essere masticato e consumato anche da anziani e bambini. Ci sono poi pesci d’acqua dolce per tutte le tasche: le trote ad esempio, selvagge o di allevamento, sono piuttosto economiche così come le carpe, mentre pesce persico, il più pregiato, anguille e salmoni hanno un costo maggiore. Questi pesci sono ottimi sia come antipasto, ad esempio i salmerini con la polenta, che come piatto portante, come primo o secondo piatto, magari insieme a un contorno di patate o un’insalatina. Sono ottimi grigliati, al vapore o al cartoccio, conditi con olio, limone e prezzemolo e innafiati, naturalmente, da un buon vino bianco fresco. (S.T.)
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LE VARIETA’ DI
PESCE DI LAGO pesso i pesci di acqua dolce sono meno noti di quelli di mare, ma ci sono diverse tipologie con caratteristiche, proprietà e sapori piuttosto differenti che meritano di essere conosciuti. In Italia ne possiamo trovare all’incirca una cinquantina di specie, diffuse in laghi, stagni, fiumi e corsi d’acqua.Tra queste ad esempio c’è l’agone, o sardella, che è piuttosto comune nel lago di Garda. Di colore verdeazzurro metallico sul dorso, dove presenta macchie scure, e argentato ai lati e sul ventre, la sua carne è piuttosto apprezzata perché molto saporita. Un altro pesce dolce è l’arborella, un piccolo animale (non supera i 20 cm) che si muove in branco ed è piuttosto abbondante in laghi e corsi d’acqua. Di dimensioni maggiori e decisamente più ricercata per il suo sapore è la carpa, di cui esistono diverse varietà (comune, specchio, carpa koi). In genere
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è lunga tra dai 30 ai 60-65 cm ma talvolta può superare anche i 130 cm e i 30 kg di peso! Ottimo è poi anche il gusto del lavarello, pesce lungo circa 50 cm dal colore argenteo e il corpo allungato. Tra i pesci più ricercati inoltre c’è il luccio, noto pesce dal corpo affusolato coperto di squame scure e macchie chiare, che può arrivare a superare il metro e 30 di lunghezza. Le carne di luccio è bianca e soda e molto gustosa. Infine non possiamo non parlare dell’immancabile trota, forse il pesce d’acqua dolce più amato e conosciuto, soprattutto nella sua versione “salmonata” coltivata negli allevamenti, che presenta delle carni rosate e saporite, dovute all’alimentazione a base di carotenidi. Troviamo principalmente quattro varietà di trota: la trota lacustre, molto diffusa nei grandi laghi come il Garda, dove è talmente diffusa da essere definita “regina del lago”, Levico
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e Caldonazzo, che ha un colore grigio argenteo e presenta dei puntini neri. Nei torrenti prevale invece la trota Fario, la cui livrea è tempestata di macchioline rosse e nere ed ha davvero un buon sapore. Sia nei fiumi che nei laghi troviamo poi la trota Iridea, simile alla lacustre ma con dei puntini neri e infine la trota marmorata, la più grande, che ha un colore molto particolare con delle macchioline discontinue sul corpo. (S.T.)
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Vegeta
rismo V
i sono differenti tipologie di vegetarianesimo, fra cui crudismo, fruttarismo, latto-vegetarianismo, e il più noto veganesimo. Vegetariani e vegani, sono saliti agli onori della cronaca in questo ultimo periodo, a causa di genitori che hanno imposto ai propri figli ancora in tenera età, la loro dieta che però non risulta bilanciata per neonati e bambini che necessitano di una alimentazione variegata per la crescita. Chi sceglie un’alimentazione vegetariana lo fa anche, ma non sempre, per una questione ideologica, perché ritiene profondamente ingiusto uccidere gli animali per cibarsene. Questo senso di colpa nei confronti degli animali di cui l’uomo si nutre non è cosa recente, ha invece radici molto antiche. Dagli studi dello storico delle religioni Walter Burkert appare infatti che i rituali legati ai resti animali, siano da intendersi quale tentativo di risarcimento. I teschi e le ossa sepolte in epoca paleolitica o l’usanza in alcuni casi di rivestire sculture di argilla animale con le pelli dell’animale prescelto, sono un rito che richiama la rinascita, la necessità di generare nuova vita. La mitologia narra di un tempo lontano, quando per vivere non era necessario uccidere per nutrirsi. Il più antico testo di questo genere risale agli inizi del II millennio a.C., è sumero e s’intitola “Enki e Ninḫursaĝa”. I miti aurei si riverberano anche nel
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poema di Esiodo “Opere e giorni”, opera del VIII secolo a.C., mentre il poeta greco Arato di Soli nel III secolo a.C. nell’opera “Fenomeni”, narra della "stirpe di bronzo" che per prima si cibò del bue. Questo tema ritorna nelle Georgiche virgiliane, e nella Bibbia, in particolare nel Libro di Isaia che riporta: «"Il lupo e l'agnello pascoleranno insieme, il leone mangerà la paglia come un bue, ma il serpente mangerà la polvere, non faranno né male né danno in tutto il mio santo monte". Dice il Signore». Ancora nel testo sacro, dal Libro di Ester troviamo: «Dio disse: "Ecco, Io vi do tutte le erbe che fanno seme, che sono sulla faccia di tutta la terra, tutti gli alberi che danno frutto d'albero producente seme; vi serviranno come cibo. Agli animali tutti della terra, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli striscianti sulla terra, che hanno un afflato di vita, tutte le erbe verdi serviranno di cibo. E così fu». Sebbene il vegetarianesimo strida con le pratiche religiose del sacrificio animale, le prime popolazioni a praticarlo sono quelle dell’antica Grecia e dell’India. Nel VI secolo a.C. sono i Pitagorici
di Chiara Paoli che impongono di evitare la carne e nel caso degli Orfici è una conseguenza del divieto di uccisione, a memoria dello sbranamento operato dai Titani su Dioniso. Per quanto riguarda invece la religione hindū, prende piede dalla concezione di ahiṃsā, che significa letteralmente "astenersi dal recare danno", concetto che si ritrova anche nel Jainismo e nel buddhismo. In India si può mangiare soltanto carne sacrificale o in alternativa, ci si può cibare di essa in caso di necessità per motivi di salute o su esortazione Brāhmaṇa (testo religioso indiano). E se oggi non tutti gli induisti sono vegetariani, in particolare la corrente Visnuita considera la mucca un animale sacro, arrivando a definirla “madre dell'intera umanità”
e vieta quindi di mangiarne la carne. È proprio per questo che gli antichi ritualizzano l’uccisione degli animali, come nel caso dei greci che necessitano dell’assenso da parte della vittima sacrificale e nel momento dello sgozzamento prevede l’urlo funerario delle donne. È così che avviene anche nel caso del Sacrificio delle Bufonie “quando il sacerdote di Zeus Polieús, uccideva con un colpo d'ascia quel toro che, dopo una sacra processione di tori fino all'Acropoli, e dopo una loro circumambulazione intorno all'altare, per primo si accostava alle offerte lì deposte e consistenti in pani. Dopo l'uccisione sacrificale il sacerdote fuggiva. A quel punto, gli altri presenti alla cerimonia macellavano l'animale e celebravano un banchetto sacrificale accusandosi reciprocamente dell'uccisione del toro, fino ad accusare l'ascia e il coltello sacrificale che, infine, ritenuto colpevole, veniva gettato in mare. La pelle del toro così sacrificato veniva impagliata e quindi
riportata simbolicamente in vita come per riparare all'uccisione sacrificale”. (in wikibooks.org – la religione greca). Anche gli antichi romani mostravano rispetto per gli animali, troviamo riferimento alle cure necessarie per l’allevamento già nei testi di Varrone, Columella, e Vegezio. Tra i romani fino al III secolo a.C. era proibito macellare i buoi, che erano giudicati al pari dei coloni, in caso di mancata osservazione di questo divieto si rischiava l’esilio e persino la pena di morte. Gli animali fanno parte anche di quel mondo che sono i giochi circensi, che implicano l’uccisione immotivata degli animali, scatenando in alcuni casi notevoli proteste da parte del popolo che vi assiste. Cicerone, nel De re publica sostiene: «E che cosa dovremmo concedere agli animali? Non uomini dappoco, infatti, ma eminenti e dotti come Pitagora ed Empedocle, affermano che vi è una condizione di diritto unica per tutti gli esseri animati e proclamano che pene terribili sono minacciate a coloro che fanno violenza a un animale. È dunque un delitto
maltrattare una bestia…». Quinto Sestio (I secolo a.C.) fondatore della Scuola dei Sestii, è dichiaratamente vegetariano e propone ai suoi discepoli di astenersi dal mangiare carne per quattro fondamentali motivi che Seneca, suo seguace, riporta in un’epistola (108): «Ci sono, per l'uomo, alimenti a sufficienza anche se si rinunzia ai cibi carnei; macellando gli animali ci si abitua alla crudeltà; la mensa ricca di cibi carnei è un incentivo al lusso; la varietà degli alimenti (vale a dire, cibi carnei e cibi vegetariani) è dannosa alla salute». E se per Socrate tutto ciò che ha vita è dotato di un’anima e questa può passare da un corpo a un altro, ne consegue che la città ideale, come scrive il suo discepolo Platone, non può che praticare il vegetarianesimo. Oggi giorno sono sempre di più le persone che scelgono una dieta vegetariana o che decidono di limitare fortemente il consumo di carne, forse che un giorno si possa riuscire a ritornare a quel mondo paradisiaco e senza violenze ormai dimenticato?
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In collaborazione con ICE CENTER BOTTEGA DEL GELATO - BORGO VALSUGANA
GELATO che passione! A
manti della buona cucina, noi italiani non potevamo che aggiudicarci anche il primato di maggiori amanti di gelato del mondo. Secondo le statistiche della Fipe, Federazione italiana dei Pubblici esercizi infatti, ogni anno, ognuno di noi mangia quasi 3 kg di questo prelibatissimo dolce, di produzione artigianale. A questo numero vanno aggiunti poi i chili di gelato di produzione industriale che compriamo sottoforma di stecchi, cornetti, vaschette ecc... di cui si stimano 3 miliardi e mezzo di confezioni acquistate nel 2015. Il gelato infatti è il prodotto il cui consumo è aumentato in maniera esponenziale più di ogni altro prodotto alimentare, arrivando, sempre secondo la Fipe, ad un giro d’affari di 4,7 miliardi di euro (2014). Un business
quindi che non conosce crisi e che anzi rappresenta un potenziale investimento di successo. Stando ai dati infatti, il numero di gelaterie in Italia, nelle quali vanno inclusi anche i bar e le pasticcerie dove si vende gelato artigianale, ammonta a circa 41.000, di cui 12.000 sono gelaterie artigianali pure, che danno lavoro nel nostro paese a circa 50 mila addetti. Il perché è presto spiegato; concedersi un gelato è un piacere alla portata di tutti, una pausa di dolcezza da gustare in coppetta o nell’amato cono di biscotto, dal prezzo relativamente contenuto (intorno ai 2 euro in media) che piace sia ai bambini che agli adulti, donando un po’ di refrigerio nei momenti di caldo, come dessert, o addirittura, sempre più spesso, come pasto sostitutivo di un pranzo, abbinato
magari a pezzettoni di frutta mista, nelle giornate più afose. Il gelato infatti è ricco di zuccheri, soprattutto i gusti a base di creme, naturalmente di grassi, minori nei sorbetti alla frutta, e vi si trovano anche proteine, calcio e fosforo, magnesio (per lo più nei gelati di frutta secca), ferro e potassio oltre alle vitamine, soprattutto la A, nei gelati al sapore di latte, e la E nel gelato al cioccolato. E quali sono i gusti più amati? Nonostante le sperimentazioni continue offrano gusti sempre nuovi e alcuni molto curiosi, come il gelato al gorgonzola, al peperoncino, alla pizza, alla polenta... e addirittura, da bravi figli della tecnologia, i gelati al gusto Facebook e Whatsapp (ma che sapore avranno?), i più amati rimangono sempre i grandi classici: il cioccolato e la nocciola.
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In collaborazione con PIZZERIA LA RUSTICA
LE MILLE E UNA PIZZA
e non solo...
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argherita, bufala, capricciosa, quattro stagioni, verdure, prosciutto e funghi, calzone... alzi la mano chi non prova l’acquolina in bocca solo a sentir nominare alcuni degli innumerevoli gusti della pizza e delle sue infinite combinazioni di ingredienti, che sono sempre più varie e creative per dar vita a nuove squisite ricette. E pensare che all’inizio gli ingredienti utilizzati erano pochi e semplici: pomodoro, formaggio, basilico, origano, aglio e talvolta prosciutto e “arselle”, ovvero i molluschi. Prodotti però che hanno finito per creare dei classici in-
tramontabili, come la pizza marinara, condita semplicemente con salsa di pomodoro, aglio, origano e olio, e la più famosa pizza margherita, ideata alla fine del Ottocento, come racconta la tradizione, dal cuoco Raffaele Esposito della pizzeria Brandi di Napoli, in onore della regina Margherita di Savoia. Negli ultimi anni però sono cambiati gusti ed esigenze, si sono scoperti nuovi prodotti e nuovi sapori, alcuni sono stati riscoperti, e anche il tradizionale impasto della pizza ha finito col cambiare volto. Adesso si possono trovare infatti sempre più spesso pizze impastate con farina di kamut, prodotto che si ottiene da una varietà di grano chiamata “Khorasan”, che ha una consistenza morbida ed un sapore quasi dolce; oppure le pizze preparate con la farina gialla, quella della polenta, che a diffe-
renza degli impasti a base di farina di frumento è priva di glutine, ideale quindi per chi soffre di celiachia. E poi naturalmente ci sono le pizze pensate per gli intolleranti al lattosio, che fanno uso quindi di mozzarelle prive di questa proteina del latte. E ancora, troviamo le pizze bianche senza pomodoro, adatte per le persone allergiche a questo ortaggio... insomma, negli ultimi anni con l’aumentare di intolleranze alimentari e allergie e il diffondersi di nuove diete le pizze si sono reinventate offrendo nuove ricette, in grado di soddisfare chiunque, senza rinunciare all’inimitabile piacere di gustare una pizza. Ma le stesse pizzerie sono cambiate; ora infatti nei locali si possono trovare sempre più spesso specialità varie oltre alla pizza, come raffinati risotti e secondi piatti.
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Il benessere
deriva
dall’armonia
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a parola benessere, oggi tanto blasonata, deriva dall’unione dell’avverbio “ben”, ovvero “bene” e del verbo “essere”, e indica naturalmente lo stare bene, il vivere bene. Quando si parla di benessere infatti non ci si riferisce solo allo stato di salute, fisico, del nostro corpo, ma anche a quello mentale e psichico, al raggiungimento di una condizione di armonia con se stessi e quanto ci circonda, l’ambiente dove viviamo, ma anche il luogo dove lavoriamo. Sentirsi in equilibrio con se stessi e il proprio corpo è davvero fondamentale per affrontare al meglio ogni momento della vita, inclusi imprevisti e difficoltà. Per questo è importante riuscire a ritagliarsi del tempo nei momenti di stress per ritrovare un po’ di benessere, senza rimandarlo come fosse un aspetto secondario, anzi, un momento dedicato a noi stessi consente di ricaricare le energie e ci aiuta ad affrontare ancor meglio le incombenze. E a volte basta davvero poco per stare bene, una passeggiata nella natura, estraniandoci per un po’ e ritrovando il nostro rapporto ancestrale con l’ambiente naturale, che ha davvero valenze terapeutiche. Oppure un pomeriggio in un centro benessere, dove coccolarci, purificandoci dalle tossine accumulate dal nostro corpo, e liberare la mente abbandonandosi ad un bel massaggio. È bene inoltre praticare spesso attività fisica, senza diventare atleti, semplicemente per mantenerci in forma e migliorare il nostro umore, grazie al rilascio di endorfine, sostanze chimiche prodotte dal nostro cervello che incidono positivamente sullo stato d’animo; inoltre lo sport comporta benefici per la concentrazione e la memoria. Infine non va dimenticata la dieta, una regolare ed equilibrata alimentazione, ricca di vitamine e sali minerali, ma anche fonti proteiche ed energetiche nelle giuste proporzioni. Fare troppe rinunce è infatti controproducente per il nostro benessere, meglio quindi un rapporto sano e armonioso col cibo, che contribuisce a predisporci anche a un approccio armonioso, in generale, con la vita.
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IL MIELE
PREZIOSO ALLEATO PER LA SALUTE E LA BELLEZZA
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olcissimo e appetitoso, ricco di preziose sostanze e proprietà, assolutamente green, il miele è uno degli alimenti che subisce meno lavorazioni complesse che potrebbero comprometterne i benefici. Esso viene prodotto, come tutti sanno, dalle api che raccolgono con la loro piccola proboscide il nettare dei fiori e lo trasformano grazie ad un enzima presente nella sacca mellifera nel loro stomaco. Lo depositano poi in cellette di cera nelle quali viene prima ventilato per asciugare l’acqua in eccesso e poi sigillato. Grazie all’abilità degli apicoltori, l’estrazione si limita a separare la cera dal miele e questo garantisce la conservazione di tutte le caratteristiche di questo fantastico prodotto, che vanno molto al di là del semplice sapore dolce. Viene da sempre usato sia per la cura e la bellezza del corpo sotto forma di maschera per ammorbidire e nutrire pelle e capelli, che in cucina come dolcificante. Bisogna fare attenzione però, perché le alte temperature e la cottura ne alterano le proprietà nutrizionali. Meglio consumare il miele nella sua forma cruda, optando magari per un prodotto biologico che non deve contenere antibiotici e antiparassitari. Cento grammi di miele forniscono circa 320 calorie mentre lo zucchero ne ha più o meno 400. Il miele ha dunque un valore nutritivo inferiore a quello dello zucchero, oltre ad un indice glicemico più basso. Inoltre, essendo di gusto molto dolce, a livello dietetico consente di risparmiare sulla quantità utilizzata portando infine un risparmio calorico. Fornisce energia immediatamente utilizzabile, poiché è composto prevalentemente da zuccheri semplici quali il
fruttosio, che entra in circolo più lentamente, e il glucosio, che invece viene utilizzato immediatamente. Per questo è particolarmente consigliato, nell’alimentazione degli sportivi e dei bambini. Risulta molto importante anche nella dieta degli anziani poiché è particolarmente digeribile ed assimilabile, visto che le api lo hanno già in gran parte predigerito. Oltre all’acqua, contiene diverse altre sostanze tra cui sali minerali quali calcio, fondamentale per le ossa, sodio, potassio, ferro e zinco. Oltre a ciò diversi enzimi e le vitamine del gruppo B, la C, la E e la K, dalle proprietà antiemorragiche. E ancora è un buon decongestionante, soprattutto per la gola e per calmare la tosse, è disintossicante ed aiuta la digestione e a cicatrizzare le piccole ferite. Ovviamente il miele non è un farmaco ma, visto che le api raccolgono i fiori nel giro di un chilometro dall’arnia, a seconda delle piante presenti sul territorio, i mieli prodotti non solo hanno un gusto
di Sabrina Mottes molto diverso tra loro ma contengono anche le caratteristiche peculiari e spesso blandamente terapeutiche della pianta di origine. Tra tutti, il miele di acacia è uno dei più liquidi, ha sapore fine e delicato ed è antinfiammatorio. Quello di limone e di agrumi è gradevole e aromatico ed ha effetto sedativo. Il castagno ha gusto forte e quasi amaro ed aiuta la circolazione sanguigna. L’eucalipto ha sapore di zucchero caramellato ed è utile per la tosse. Il tiglio è molto persistente e ricorda vagamente il mentolo. Calma i dolori mestruali ed è leggermente diuretico. Il miele ha dunque mille proprietà, molte sfumature di gusto, consistenza, colore. E’ impossibile da riprodurre in laboratorio, è sano e ricco di nutrienti. Anche per questo è necessario preservare l’ambiente naturale nel quale le preziose api possano continuare a produrre questa meravigliosa sostanza.
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INSETTI COHOUSING IL CIBO DEL FUTURO di Silvia Tarter Secondo la FAO, nel 2050 la Terra raggiungerà i 10 miliardi di abitanti. Un’immensità di bocche da sfamare in un pianeta le cui risorse sono ormai allo stremo. Una valida soluzione potrebbe essere quindi mangiare gli insetti. Un rapporto della FAO stima che già adesso ne vengono consumate 1900 specie da 2 miliardi di persone in tutto il mondo. A noi occidentali il solo pensiero suscita un po’ di ribrezzo, in realtà gli insetti costituiscono un’ottima fonte di proteine, più di una bella bistecca, per non parlare poi di ferro, di cui sono più ricchi degli spinaci, zinco, calcio, rame, magnesio e manganese. Anche nella nostra piccola realtà trentina c’è qualcuno che ci crede: abbiamo incontrato Vittorio Friz, un ex manager che a Garniga Terme nel 2015 ha dato avvio al primo allevamento di grilli italiano.
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Acheta Domesticus
o pensato ai grilli perché mi ci ero 20.000 grilli di due specie, il grillo nero imbattuto lavorando con i forni- (Bimaculatus) e l’Acheta, in un’unica tori”, spiega Vittorio. Dopo una stanza. Richiedono poco cibo (mangime laurea in scienze della produzione ani- per polli), poca acqua, non inquinano, male a Bologna ha lavorato infatti come vivono poco (5 settimane) e si riprodumanager Despar a Bolzano e poi per la cono molto e in fretta. L’unica esigenza Wörndle, azienda bolzanina che forni- è un calore costante, sui 30°. Vittorio li sce professionisti della ristorazione. Ma alleva con cura nei terrari facendoli moa 48 anni (ora ne ha 52) viene colpito rire, con gentilezza, per congelamento, da aneurisma e dopo due mesi di coma dopodiché li macina. Oltre ad essere ricsi trova quasi completamente paraliz- chissimi di proteine e sali, sono privi di zato. Deve allora reimparare a muoversi, glutine e lattosio, ideali quindi anche ma rimasto senza lavoro è costretto a per le intolleranze. Per fare un kg di fareiventarsi professionalmente. Da qui rina servono circa 2000 grilli, 3000 se l’idea di business, ovvero fondare In- della specie più piccola (Acheta), farina secta, un’impresa innovativa, col sup- che si conserva bene e non accumula porto della provincia di Bolzano e della metalli pesanti. Libera Università di Bolzano, per allevare Certo, come dicevamo, bisogna vincere grilli da destinare alla produzione di fa- un po’ la naturale repulsione ad assagrina alimentare, che si presta per innu- giarli: “Ai Giapponesi disgusta il il gormerevoli utilizzi, l’impasto del pane, gonzola, un formaggio puzzolente con della pizza, persino per fare il formag- la muffa. È questione di cultura.” Afgio! Il sapore infatti è piuttosto neutro, ferma Friz. Vuoi perché fa tendenza, quasi integrale e ricorda vagamente i molti chef si stanno comunque interescrostacei. In Italia però commercializzare sando a queste nuove vie della gastroquesto prodotto per il consumo umano nomia; Carlo Cracco ad esempio ha è tuttora illegale, benché per legge una proposto le locuste brasate al vino minima parte di insetti sia tollerata in rosso. La farina di grillo è poi ottimale moltissimi alimenti e Bimaculatus conservanti di cui ingeriamo chili ogni anno. “Nel Nord Europa sono più avanti, spiega Vittorio, in Belgio, Svizzera e Olanda ci sono già 10 specie di grilli legali.” Ma come funziona un allevamento di grilli? Questi animali occupano poco spazio; nel suo allevamento, ora a Bolzano, Vittorio alleva
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tutto hanno una buona resistenza” continua Vittorio. Ora, insieme ad un socio, che ha invece un allevamento di mosche, e a un gruppo di studiosi, Vittorio sta lavorando ad un progetto europeo supportato dalla Provincia di Bolzano, in collaborazione con la Lub, in uno spazio messo a disposizione dove allevare questi insetti per produrre mangimi animali e studiare le proprietà della carne alimentata in questo modo. È riuscito anche a coinvolgere l’Ecocenter, recuperando, in ottica di economia circolare, l’organico del rifiuto cittadino per allevarci i grilli, da cui sta pensando Pane con farina di grilli anche di realizzare un concime, risolvendo così anche un costoso problema di smaltimento; inoltre pensa di riuscire a recuperare la chitina, sostanza che compone l’eso-
per produrre mangimi per animali, visto che il pesce, con cui si producono molte delle farine per alimentare gli animali, scarseggia ed è inquinato e la carne talvolta poco sana. La farina di grilli è invece un prodotto sano e al 100% biologico. “I grilli hanno una naturale capacità a capire cosa può essere loro nocivo, evitando di nutrirsene. Oltret-
Allevamenti di insetti
scheletro degli insetti, venduta a caro prezzo in farmacia. Insomma le potenzialità che ruotano attorno a questo prodotto, ci dice entusiasta, sono davvero tante. Certo ora forse è ancora presto, ma lui è fiducioso che il mercato in questo settore non potrà che crescere anche in Italia. Insomma, forse tra qualche anno, neanche troppo in là, potremmo ordinare al ristorante una bella carbonara di grilli...
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Bilancio per lo
di Armando Munaò
Sci Club Cima XII di Olle
Si è chiusa una stagione “faticosa”, ma ricca di soddisfazioni
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a un “grazie” per tutti, il Presidente dello Sci Club, Riccardo Giacometti. «Grazie – dice - ai componenti del direttivo, ai nostri sponsor, ai maestri e allenatori per la loro pazienza e professionalità, a tutti quelli, soci e non, che hanno dato “una mano” nella complessa organizzazione delle varie attività, agli accompagnatori dei corsi e allenamenti, e ai genitori per non aver mai fatto mancare il necessario sostegno». L’inverno appena trascorso, scarso di neve ma freddo, ha creato non pochi problemi alle attività dello Sci Club Cima XII, piazzatosi comunque sempre entro le prime 10 società nelle classifiche a punti. Lo sci da discesa ha sofferto meno di altri in quanto la neve artificiale è stata un valido rimpiazzo a quella naturale, e sulle piste del Brocon si sono potuti tenere, grazie a maestri e accompagnatori, il Corso di Natale, per
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principianti e non, e il Corso di Perfezionamento, al sabato, per un totale di 13 uscite in pullman, con la partecipazione di 25/30 bambini; poi, gli “allenamenti” dei Preagonisti, circa 40 uscite, con 6 piccoli atleti; e il Corso Super-Baby, 20 uscite con 10 bambini. Il Gruppo Agonisti, 15 ragazzi dalla categoria Baby a quella Allievi, hanno iniziato molto presto gli allenamenti sulle piste della val Senales, poi in Folgaria e sul passo Brocon, e hanno partecipato a molte competizioni Fisi, con sempre ottime prestazioni nelle diverse categorie. Per alcuni, anche risultati da podio, come per Francesco Ropelato (cat. Baby 1), Carlotta Brandolise, Filippo Tessaro, e Romano Fietta (cat. Cuccioli
1). Carlotta Brandolise classificandosi seconda alle selezioni provinciali “Pinocchio sugli sci 2017”, si è qualificata alla finale nazionale come, ancora Carlotta, Romano, e Francesco, partecipando al Gran Premio Giovanissimi. Hanno chiuso la stagione, sabato 25 marzo, la Gara Sociale e il Trofeo Parampampoli al passo Brocon.
Quest’ultimo ha visto più di 120 concorrenti ai quali è stato consegnato il gadget offerto dalla famiglia Purin del Crucolo, gradito sponsor sempre disponibile. Il Team Azzurro Racing ha conquistato l’ambìto Chicheron; per tutti gli altri medaglie, coppe, e per i maggiorenni, bottiglie di Parampampoli! La Gara Sociale, circa 60 partecipanti, si è conclusa all’Hotel Spera, con la premiazione ai più piccoli, con coppe, uova pasquali, e medaglie. Il titolo di
Campione Sociale è andato a Giorgia Tognolli, miglior tempo assoluto feminile, e a Riccardo Costa, miglior tempo assoluto maschile. Una cena in un clima di sana allegria, sportività e amicizia, ha concluso la festa. Purtroppo, i Fondisti, coordinati da Sara, e seguiti da Marco Rosso, non hanno potuto organizzare il tradizionale Corso per Principianti, ma hanno comunque potuto dedicare tempo ed energie al piccolo gruppo degli Agonisti con numerosi allenamenti al Lago di Tesero e, appena possibile, in Val Campelle partecipando poi a diverse gare: 4 gare FISI (2 a Brentonico, 1 a Fiavè, e 1 in Val Campelle; Gara sociale in Val Campelle; Trofeo Skiry (ex Topolino) a Tesero; Mini Marcialalonga sempre a Tesero; e Laurino al P.so Lavazè; ottenendo
sempre risultati di rilievo. Gli Scialpinisti, già in attesa della terza edizione della Superziolina con nuovi percorsi e tante novità, sulle piste del Brocon e Lavarone, con la scarsa neve che c’era hanno fatto i salti mortali per potersi allenare e arrivare alle gare ben preparati. Hanno partecipato a gare zonali e anche fuori regione con dei risultati altalenanti, per poi migliorare durante il proseguo della stagione. «Quest’anno – dicono gli Scialpinisti – notevole è stato Alessandro Landolfi che, partecipando al Trofeo Crazy skialp tour è riuscito a ottenere una brillante posizione nella classifica finale risultando tra i primi 20 assoluti. Di anno in anno il nostro atleta è sempre migliorato arrivando ormai a comparire sempre nelle zone alte delle classifiche. Un bravo per l’impegno e i risultati ottenuti, non dimenticando che durante l’estate Alessandro ha partecipato con successo anche a delle massacranti gare di corsa in montagna, come la “Dolomiti ultra trail” e la “Dolomiti di Brenta ultra trail”».
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di Patrizia Rapposelli
sorriso
Esplorare e sperimentare
con il
“Il bambino è fatto per imparare con curiosità e sperimentazione. La nostra è un’avventura che invita ad inattese scoperte da fare insieme; un’attività con un forte legame con la storia e la tradizione, che fa dell’arte e la creatività la via del piccolo e del ragazzo per esprimere se stessi.”
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lisa Buffa, collaboratrice del Centro Internazionale Loris Malaguzzi di Reggio Emilia, atelierista in Arte Sella, organizzatrice di laboratori per ragazzi in varie regioni, è coordinatrice della Colonia diurna “Ascolta la natura”; una colonia estiva organizzata dall’Associazione Ecomuseo del Lagorai per l’estate 2017 dal 26 giugno all’8 settembre, rivolta ai bambini dai 3 agli 11 anni. Il nome nasce dall’importanza di mettersi in ascolto con la natura, Elisa ci dice che spesso siamo superficialmente attratti da molte cose, ma raramente ci soffermiamo ad ascoltare la semplicità di ciò che ci circonda:” La natura è importante per il benessere e la crescita dei bambini, può essere esplorata e contemplata e noi collaboriamo con essa senza modificarla.” L’attività ruota attorno all’esplorazione, l’empatia, l’ascolto e la fiducia:” ogni singolo bambino è seguito con i suoi bisogni e le sue necessità; siamo delle guide che offrono la possibilità del “Fare” con
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competenze e capacità proprie. Cerchiamo di renderli indipendenti e di valorizzare la loro indipendenza, oltre la loro capacità di relazionarsi.” Ogni settimana un gruppo più o meno uguale di fanciulli si presenta agli educatori ed iscritti da settimana a settimana in base a degli orari prescelti, viene proposto loro un “Tema” dietro al quale prenderà vita l’attività settimanale. Piani che si sposteranno da Carzano, Telve, Telve di Sopra e Torcegno in una “ricchezza di possibilità”. Infatti vengono organizzate una serie di visite sul territorio con guide competenti, si predispongono interventi da parte di esperti dell’Associazione Albatros in ottica di una didattica
Nella primavera 2003 nasce sul nostro territorio l’Associazione Ecomuseo del Lagorai, referente Valentina Campestrini, con l’obiettivo di esplorare, valorizzare e promuovere il patrimonio culturale-ambientale delle Comunità di Carzano, Telve, Telve di Sopra e Torcegno: un futuro di crescita culturale nel rispetto dell’identità tipica locale. A tali amministrazioni comunali è affidata la gestione di iniziative ed attività per grandi e piccini; la Colonia diurna “Ascolta la Natura” è l’avventura che Elisa Buffa ci racconta.
naturalistica e soprattutto sono disposti laboratori artistici. Il mercoledì, giorno di gita, lunghe camminate nel verde delle nostre zone portano i bambini a conoscere luoghi caratteristici, perdendosi nell’esperienza di soffermarsi con gli esperti a conoscere animali, piante e alberi tipici. “Un momento laboratoriale dinamico e motorio. Impariamo a
riconoscere il Nord, a seguire un sentiero e a curiosare le orme lasciate dagli animali, il tutto in un clima giocoso e impegnato.” Evidente è l’interazione e la connessione che si viene a creare con il territorio e la natura. I laboratori artistici sono progettati invece da Elisa, la quale specializzata in arte terapeutica, dà loro uno sfondo terapeutico, filosofia che accomuna tutti i laboratori organizzati, nel senso di riuscire a far espri-
Valentina Campestrini
mere se stessi, migliorando l’autostima, la sicurezza, il contatto con la fisicità, oltre il piacere del toccare il materiale (la creta, gli acquerelli…). Rispetto, ascolto e attenzione negli spostamenti sono le tre leggi che regolano il clima di complicità e fiducia reciproca tra educatori, bambini e genitori; ogni guida educativa ha una sua professionalità che serve ad avvicinare il fanciullo ad ogni forma di arte. In questo clima di progetti, sapere e nuove idee non mancano gli attimi ludici, il gioco che lascia spazio alla creatività e alla spensieratezza; Elisa racconta:” ci divertiamo in gruppo con cose spicciole e semplici; una spugna immersa in un secchio d’acqua può diventare una palla per il gioco di palla avvelenata.” Ho chiesto allora cosa rende
Elisa Buffa diversa la colonia dalle altre ed Elisa mi dice “Ascolta la natura. Conoscere l’arte e la natura a 360 gradi e comprenderla. Dal latino Cum-prehendere, prendere insieme, ossia abbracciare con la mente le idee. Diamo ai bambini la possibilità di prendere il più possibile. L’arte in tutte le sue forme fa esprimere se stessi e si ha così la felicità per quello che tu veramente sei e quello che veramente vuoi. Vediamo il bambino andare via con il sorriso e basta per sapere di non aver fallito.”
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B.I.M. del Brenta
di Luca Puppo
sviluppo sostenibile a favore delle popolazioni di montagna
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i è soliti immaginare il Trentino come un luogo fatto di montagne innevate, boschi, pascoli e corsi d’acqua. In realtà la varietà dei paesaggi è molto più ampia e lascia spazio anche ad alcune contraddizioni. È questo il caso dei fondovalle trentini, di cui la Valsugana rappresenta un perfetto esempio, a volte caratterizzati da una forte concentrazione demografica, oppure da numerose aree produttive: ormai modernità, prosperità e tecnologia hanno modificato il rapporto tra uomini e montagna, non è più tempo di un’economia di sussistenza, quando le Alpi rappresentavano una risorsa importante per agricoltori, pastori, taglialegna, carbonai: la montagna si è infatti nel tempo trasformata per opera della modernizzazione e del turismo. I laghi incastonati tra le Alpi, ad esempio, immersi in scenari da favola, rappresentano uno spazio vitale per gli amanti dell’outdoor, ma rispondono anche al nostro fabbisogno energetico con la produzione di energia idroelettrica. L’importante è avvicinarsi in modo consapevole a questa indispensabile risorsa naturale che è l’acqua e il Trentino in fondo è un buon esempio di un corretto
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rapporto tra uomo e ambiente. A gestire questa preziosa risorsa naturale, economica e turistica sono appunto i bacini imbriferi come B.I.M. del Brenta. Lo scopo principale del Consorzio BIM del Brenta è la tutela dei diritti legati all’utilizzo del sovracanone, ossia un indennizzo per le comunità locali che sulle acque vantavano un diritto originario di godimento e che rischiavano di trovarsi confinate in una situazione d’isolamento a causa dello sfruttamento delle risorse naturali. Infatti un provvedimento legislativo d’iniziativa parlamentare stabiliva quali fossero i bacini imbriferi montani nel territorio nazionale, determinando il perimetro di ognuno, e prevedeva che i Comuni compresi in ciascun bacino imbrifero montano si costituissero in un consorzio obbligatorio qualora ne fosse stata fatta richiesta da non meno di 3/5 dei Comuni stessi. Nel Trentino sono stati costituiti con diversi decreti, ancora nel 1955, cinque Consorzi B.I.M.: oltre a quello del Brenta, quello dell’Adige, del Bacchiglione, del Chiese e del Sarca. A questi Consorzi nel cui territorio sono situate le opere di presa, i concessionari delle grandi derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico devono attualmente corrispondere un sovracanone impiegato esclusivamente a favore del progresso economico e sociale delle popolazioni locali. Infatti, in base alla L.P. 4/2013, art. 7, i bacini imbriferi montani possono partecipare agli accordi di programma per l’attuazione della Rete di Riserve – un istituto previsto dalla L.P. 11/07 - per gestire le riserve attraverso una delega ai Comuni e alle Comunità. Il consorzio di comuni BIM del Brenta, raggruppa 33 comuni
L’area del bacino imbrifero del Brenta, B.I.M. appunto, è ricca di risorse naturali, culturali e socia li, alla base di tanti aspetti dello sviluppo economico dei territor i bagnati dal fiumi, in primis la Valsugana, grazie alla corretta gestione delle sue risorse naturali come l’acqua. racchiusi in un territorio molto ampio,, dall'altopiano di Folgaria alla valle di Primiero, dai grossi comuni come Borgo Valsugana ai piccoli borghi dell'altopiano della Vigolana, dal magnifico altopiano di Luserna fino a Ziano di Fiemme. Senza dimenticare i vari progetti che il consorzio cura a supporto dello sviluppo sostenibile del territorio, per esempio il recente “Coltivare l’Impresa”, il percorso promosso per far emergere nuove idee imprenditoriali e accompagnare quelle già avviate verso una rinnovata impresa che stimoli uno sviluppo sostenibile. L’intento è fornire agli imprenditori – di oggi e domani – un bagaglio di competenze per far nascere nuove imprese, ma soprattutto per poter fronteggiare al meglio eventuali imprevisti. I luoghi del consorzio dei comuni del Bim del Brenta, come abbiamo visto tassello imprescindibile per la produzione di energia, sono al tempo stesso ideali per lo svago e il tempo libero: i bacini artificiali sono infatti anche luoghi di piacevoli passeggiate lungo le sponde, capisaldi dei nostri week-end escursionistici. Anche per questo i B.I.M sono e saranno sempre più coinvolti nello sviluppo turistico, principalmente rivolto ai visitatori amanti di un turismo cosiddetto “slow”, che sono alla ricerca di emozioni e di un maggiore contatto con la natura senza tralasciare gli aspetti imprescindibili della cultura locale. In poche parole un esempio significativo di quello che si intende per sviluppo sostenibile.
Catina, la “bella mugnaia”, contessa del Tirolo
di Luciano De Carli
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a sempre ricercatore di dati storici e di notizie sul nostro ambiente vallivo, l'incontro col maestro Antonio Zanetel, i suoi libri, le sue ricerche, m'avevano ancor più appassionato nell'impresa. Lo studioso primierotto m'aveva fatto “conoscere” la storia della bella Catina, figlia del mugnaio di Caorso, gruppo di 34 case nella valle del Centa, messo in grave pericolo dall’esondazione del torrente Centa. Il villaggio poi sparì durante una buriana del torrente nel 1757. Quando Germano Carpentari mi regalò un prezioso volumetto del prof. Giulio Marchesoni, edito nel secondo centenario della ricostruzione, mi interessai ancor più alla storia, fino a realizzare un recitativo in versi ed elaborare anche un’indicazione per gli eventuali scenari teatrali su questa storia. Quel volumetto contiene all'inizio la dotta prefazione del prof. Raffaello Prati, poeta autore fra l'altro della magnifica descrizione del Colle di Tenna per un volume fotografico documentario su Caldonazzo ad opera della SAT locale. Zanetel offre una compiuta descrizione dell'ambiente del tempo, nonchè dell'attiva solidarietà dei paesani nella sistemazione di quella popolazione nel centro del paese, le cosiddette “Case Nuove”, che sorgono delineando Via Roma. Il mugnaio, anziché riparare nel Caldonazzese, si recò in quel di Calceranica, lungo un altro corso d'acqua. Egli aveva una figlia, la Catina, bella ragazza che finì insidiata e messa incinta, con le solite promesse, dal signorotto locale, un erede Trapp. Venne quindi scacciata di casa dal padre, ma trovò accoglienza ed assistenza da parte di una zia di Caldonazzo. Lì nacque il suo bambino. Pochi giorni
Margarethe Maultasch - l' u ltima Contessa del Tirolo
dopo però, le acque rigettarono il cadavere del povero piccolo in riva al lago. La Catina venne subito accusata d'infanticidio. Si scatenò allora la caparbia ricerca di colpevolezza, fino alla condanna alla fustigazione della madre che poi fu condotta oltre i confini dell'impero austro-ungarico. Della bella Catina non si seppe più nulla. In punto di morte, il padre mugnaio confessò d'esser stato lui l'infanticida, ma ormai ogni traccia di Catina era perduta. La storia a volte riserva dei repentini capovolgimenti e così fu anche per Catina. Don Gaetano, parroco di Calceranica, era un cultore di ricerche storiche e di novità scientifiche, così decise un giorno di realizzare un viaggio, con l'intenzione di visitare antichi monumenti in alcune città d'Italia. Con un viaggio alquanto avventuroso arrivò a Roma nel settembre 1769, proprio il giorno dopo la morte del papa Clemente XIII. Erano passati ormai 12 anni. Roma era costernata per la morte del Santo Padre ,ma pure in fermento per la ricerca e la nomina di un successore. Don Gaetano era un “prete tirolese” forse non del tutto ben visto dalla corte papale e fu opportunamente consigliato di abbandonare Roma per altra città, per non essere, magari, coinvolto e travolto dagli intrighi “di palazzo” delle ambasciate e nunziature del tempo. Scelse quindi la città di Napoli e alloggiò all'albergo “Croce di Malta”. La città gli riservò alcune sorprese: venne infatti borseggiato e perse tutti i suoi averi durante la visita a Castel dell'Ovo e per le vie dei “bassi” della città partenopea, città ricca di vita, di palazzi signorili, ma pure di persone industriose per vivacchiare. Rimase così senza un
soldo e l'albergatore, anche per essere risarcito in qualche modo dal “prete tirolese”, lo indirizzò da “la Contessa del Tirolo” che risiedeva in Via Toledo. Venne introdotto a palazzo e, graditissima sorpresa, capì che La Contessa del Tirolo era nientemeno che la ”Catina del mugnaio di Caldonazzo”, andata sposa ad un nobiluomo della città. Superata l'iniziale sorpresa, l'incontro si protrasse in un racconto commovente della povera figliola che don Gaetano aveva sempre scagionato e sostenuto. La bella Catina ora viveva sola, ma in precedenza era stata cortigiana di Ferdinando IV, re di Napoli, poi sua amante. Esiste anche una seconda versione della vita avventurosa di Catina, dopo l'abbandono da parte del padre e la successiva tragedia del piccolo infante. Si raccontò infatti anche che venne accolta e protetta da un “santo uomo” e propriamente da Mons. Carlo Sebastiano Trapp, zio del dissoluto erede, che mise incinta Catina. Quindi il prelato collocò la giovane e bella ragazza presso una nobildonna sua conoscente e questa la introdusse alla corte napoletana, dove oltre ad essere accolta, venne insignita di titolo nobiliare. Col passar del tempo Catina manifestò il desiderio di ritirarsi a vita religiosa e don Gaetano fu incaricato di verificare la vocazione della sua giovane parrocchiana. Si dice che da allora venne esposta nella parrocchiale di san Sisto la pala con Santa Maria Maddalena, penitente. Poco altro si sa della storia di Catina, la bella mugnaia, contessa del Tirolo. La storia però ci offre parecchie luci sulle “ombre” del passato e degli usi e costumi della povera gente.
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AUGURI PER IL 50° COMPLEANNO
Il Complesso Corelli la musica barocca in scena La storia del Complesso “Arcangelo Corelli” si legge nell’introduzione della pubblicazione realizzata per il suo 40esimo anniversario, è la dimostrazione del fermento culturale e artistico che anima la comunità trentina. La sua preziosa attività nello studio e nella diffusione della musica barocca, grazie all’impegno di tutti i musicisti e dell’attuale direttore e primo violino Andrea Ferroni, che in questi anni si sono impegnati e ancora s’impegnano, regalano al pubblico un qualcosa di “unico” , destinato a essere conservato nel cassetto dei ricordi più belli.
L
’avventura musicale del Corelli, uno dei più qualificati e rappresentativi complessi della musica barocca in Italia, comincia una sera del 1966 quasi per caso, quando un gruppetto di suonatori si riunì per trascorrere qualche ora a musizieren, ovvero, come da tradizione mitteleuropea, fare musica in casa. I magnifici sei erano Massimiliano Apolloni (pianoforte), Luigi Bastiani (contrabbasso), Sesto Battisti (harmonium), Carlo Cima (clarinetto), Germano Michelon (violoncello) e Umberto Trintinaglia, cantante e flautista. “Erano le 21 quando ci trovammo e rimanemmo fino alle 24” ricorda con affetto Sesto Battisti. Già da qualche anno lui e Trintinaglia si trovavano insieme in cantoria per suonare l’organo, specialmente brani di epoca barocca. Quella sera però nacque qualcosa di nuovo perchè il gruppetto scoprì un tale piacere nel trovarsi a suonare che decise di darsi appuntamento una volta alla settimana. Dopo otto mesi era nato il “Complesso Corelli”, dal nome del noto compositore e violinista Arcangelo Corelli (1653-1713), guidato dal
I mitici fondatori: Massimiliano Apolloni, Luigi Bastiani, Sesto Battisti, Carlo Cima, Germano Michelon, Umberto Trintinaglia e il primo presidente Giuseppe Apolloni
di Armando Munaò
Il Complesso Corelli con il presentatore Alessandro Fiorese presidente Giuseppe Apolloni. Il primo concerto avvenne la sera del 5 luglio 1967 nella chiesetta di San Rocco a Borgo, presentato da Alessandro Fiorese che ancora oggi ha il privilegio di comunicare al pubblico le emozioni e i repertori del Corelli. Davanti ad una folla attenta, seduta sotto le volte affrescate della chiesa, quell’esibizione fu un vero successo. Era l’inizio di un futuro luminoso e splendente per quel complesso dilettantistico, che avrebbe fatto amare l’eleganza di Bach, Monteverdi e altri grandi autori barocchi a tutta la Valsugana e non solo. A questo debutto seguirono infatti numerosi altri concerti suscitando sempre applausi fragorosi: in Valsugana, in Trentino e in Veneto. Nel 1971, purtroppo, il gruppo dovette dire addio prematuramente a due dei suoi componenti:
L’organo realizzato dal Corelli
Berlino – Potsdam Luigi Bastiani e Giuseppe Apolloni, di cui presero il posto il violinista Mario Rizzo e il nuovo presidente Aldo Voltolini. Dopo tre mesi di duro lavoro e di notti in bianco, sempre nel 1971, il complesso ultimò anche la costruzione del loro nuovo organo, uno strumento elettrico portatile detto “organo positivo trasportatile” completamente autoprodotto e vanto di una artigianalità decisamente unica. Gli anni passarono e il gruppo, instancabile, non perse mai il suo affiatamento nonostante i cambiamenti che vi furono al suo interno; accolse man mano nuovi membri, come il musicista Pietro Deflorian, che si unì in alcune occasioni come flauto solista, Piergiorgio Ballista, al calvicembalo (al posto di Apolloni), Giorgio Galvan (clavicembalo e organo) e altri via via. Il Corelli ha avuto il merito di avvicinare alla musica barocca anche i giovani delle scuole e portò sollievo ai degenti dell’ospedale di Borgo. Suonò insieme a gruppi musicali locali, come la Corale Pio X di Levico, la Corale Giovanile di Borgo, la Polifonica di Calceranica, oltre a numerosi artisti di vera fama internazionale che con la loro presenza hanno reso “unica” e invidiabile la carta d’identità del Corelli. Nel 1986 l’ensemble subì però una battuta d’arresto: occorreva un profondo innovamento interno. Dopo una lunga pausa, il 21 luglio del 1994, tornò alla ribalta suonando, accolto con calore e unanimi consensi, nella chiesetta di S. Udalrico a Grigno, cui seguirono, nel corso degli anni,
I PRESIDENTI moltissime esibizioni entusiasmanti che lo hanno proiettato tra i complessi a caratura nazionale. Per il suo 30esimo anniversario di fondazione inoltre ha dato vita, nella Chiesa di San Rocco di Borgo, al primo Festival di Musica Barocca trentino. Da allora e nel corso degli anni il Corelli non si è mai più fermato, anzi ha continuato il suo percorso e la sua impareggiabile storia. I fondatori hanno lasciato spazio ai giovani rimanendo però loro accanto e dando luogo così ad una “famiglia allargata” che oggi è più vivace che mai e ha finito per oltrepassare con le sue note armoniose anche i confini nazionali. Il gruppo ha suonato infatti a Berlino, a Dortmund, in Austria, e nel 2012 anche sulla tomba di J.S. Bach a Lipsia. Quella di questa ensemble di provincia,
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Giuseppe Apolloni Aldo Voltolini Romano Galvan E dagli anni 90’ l’attuale presidente Umberto Trintinaglia
Per festeggiare il 50esimo anniversario, il Complesso Corelli terrà, il 2 giugno alle ore 17.30 a Borgo Valsugana, un concerto nella chiesetta di Sant’Anna. Seguirà un rinfresco. nata quasi per divertimento cinquant’anni fa, è diventata quindi una lunga storia di passione per la musica che non ha tuttora smesso di brillare e che, senza tema di smentita, è vero vanto per la nostra Regione.
Rovigo: Umberto e Chiara Trintinaglia
Sulla tomba di J. S. Bach a Lipsia
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Un artista del rame e vero “maestro” In di
ricordo
Egidio Casagrande
di Mario Pacher
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ella ricorrenza del 55^ anniversario della morte di un grande personaggio della Valsugana, alcuni suoi ex dipendenti hanno espresso il desiderio che questa nostra rivista “Valsugana news” dedicasse un adeguato spazio in suo ricordo. Un pensiero questo che noi abbiamo accolto con piacere e ben volentieri ci uniamo per ricordare questo grande artigiano venuto a mancare prematuramente nel 1962, all’età di soli 51 anni, dopo aver lasciato un segno incancellabile del suo operato. Stiamo parlando dell’artigiano, grande maestro del rame, cav. Egidio Casagrande che per decenni, in periodi anche di grande crisi economica nella nostra valle, con il suo ingegno ha dato lavoro, e quindi sostentamento di vita, a più di cento famiglie di tutta la Valsu-
Gli operai di Casagrande
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gana e non solo. Già in passato s’erano avute testimonianze di riconoscenza verso questo straordinario imprenditore. Nel 2008, in occasione della festa del lavoro, il ponte sul fiume Brenta ad ovest di Borgo, su proposta di alcune ex maestranze dell’azienda e con l’approvazione dell’amministrazione comunale, fu a lui intitolato. Venne posata una grande targa opera dell’artigiano artista Ferruccio Gasperetti con la scritta: “Questo ponte è per grata memoria intitolato al Cav. Egidio Casagrande - maestro artigiano del rame”. Qualche anno più tardi, sotto la stessa insegna, mani ignote posarono una pergamena con una nuova scritta: “Festa del lavoro. Un fiore, una rosa! Al maestro, all’artista che tanto ha dato al
La grande fontana di Borgo paese, al lavoro! Grazie cav. Casagrande. Firmato: Un amico”. Ma vogliamo parlare ora di quelle che sono state le sue opere maggiori: La grande Madonna che ora si trova ad Alpe Motta Campodolcino di Sondrio, a pochi chilometri da Madesimo e Passo dello Spluga in provincia di Sondrio, sul monte Serenissimo a quasi 2000 metri di altitudine. Fu costruita nei primissimi anni ’50 e tenuta a battesimo nel 1958 dal Cardinale Montini divenuto poi Papa Paolo VI^. Quella statua alta ben 16 metri, nel 1995 fu restaurata e nuovamente benedetta, e quel luogo proclamato “Santuario dell'Europa Unita” alla presenza del presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, del Cardinale
fatte allora delle proposte ad altri comuni anche del Veneto che sembravano più disposti ad una trattativa. Ma finora la grande fontana è ancora là, nell’ampio giardino di Ezio. L’intera popolazione di Borgo amerebbe rivederla nel suo paese d’origine a fare ancora bella mostra e rendere onore al suo creatore. Ma sembra di capire che il suo futuro, in quanto a destinazione, appare ancora molto incerto. Un grazie particolare a Foto Ottica Trintinaglia per la concessione delle fotografie
Maria Martini vescovo di Milano, del Prefetto di Milano, del Presidente delle ACLI Previti e di Ermanno Olmi a fianco di Ezio Casagrande, suo grande amico, figlio maggiore del cav. Egidio. Nel 2014 un gruppo di ex dipendenti della ditta hanno effettuato, unitamente al locale Gruppo Alpini, una trasferta ad Alpe Motta come omaggio al grande artista. (vedi foto). Un’altra grande opera realizzata a mano dall’azienda Casagrande, fu la fontana in rame, alta più di 12 metri, che per una cinquantina d’anni ha fatto bella mostra all’ingresso del paese e tutti la consideravano il “biglietto da visita di Borgo”. Le ballerine realizzate sulla parte alta accanto a quella più importante raffigurante l’Evita Peron, erano posate su basi in cemento con telaio inox. I passanti, italiani ed esteri, si fermavano spesso ad osservarla e anche per scattare una foto da portare come ricordo. Poi su quel suolo, qualche decennio fa, venne realizzata una rotatoria e così la grande fontana è stata smontata e trasferita nei pressi dell’abitazione di Ezio Casagrande, in via Primo Boale a
Borgo, a pochi metri dal famoso sasso chiamato il “Balon di Soravigo”. Ma là non è per nulla valorizzata perché pochi la vedono e la possono apprezzare. Ezio Casagrande per ben due volte la propose in vendita al comune di Borgo, ad un prezzo di poco superiore a quelle che sono state le spese di realizzazione e di manutenzione. Ma l’amministrazione comunale non ha mai dimostrato grande interesse all’acquisto. Sono state
La statua della Madonna ad Alpe Motta con i visitatori di Borgo
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PORFIDO I
l porfido è una roccia vulcanica effusiva formata da cristalli visibili ad occhio nudo, immersi in una pasta microcristallina, che può presentarsi con una varietà di colori che vanno dal grigio chiaro fino al rosso e al marrone. Noto per la sua robustezza e la sua resistenza, è infatti piuttosto duro e difficile da lavorare, era conosciuto ed utilizzato come materiale per lavorazioni edili sin dall’antichità. Gli Etruschi infatti lo usavano per costruire degli altiforni; gli Egizi, i cui deserti orientali erano ricchi di questo materiale, per farne statue e sarofagi e i romani, dopo che Ottaviano Augusto ebbe conquistato l’Egitto nel 31. d.C. lo impiegarono per costruire oggetti o edifici destinati all’imperatore, per via del suo colore rosso porpora, da cui il nome lapis porphyrites , che ben si adattava a rappresentare i fasti dell’impero. In seguito, con la cristianizzazione
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UNA PIETRA ROBUSTA E PRESTIGIOSA
dell’impero romano, il colore rosso di questa pietra venne accostato al colore del sangue di Gesù Cristo, e il suo uso, per via del prestigio che rappresentava, rimase riservato ai soli imperatori. Oggi il porfido viene impiegato soprattutto nelle opere esterne, come le pavimentazioni delle strade e delle piazze, sotto forma di lastre, sanpietrini o bolognini, oppure rivestimenti, scale, davanzali delle finestre, fontane artistiche e pilastri, poiché come si diceva è particolarmente robusto, resistente sia freddo che al forte caldo. La sua superficie è composta di più minerali, che presentano un differente livello di usura e lo rendono quindi particolarmente resistente. Ma il porfido si presta benissimo anche per utilizzi negli ambienti interni, quali ad esempio i piani cucina. Di questa pietra poi si riesce a riutilizzare tutto, viene infatti frantumato per ottenere
granulati, ghiaietti, stabilizzati o ciottoli. In Trentino la località più conosciuta per l’estrazione del porfido è la Valle di Cembra e la zona dell’altopiano di Piné, dove questa pietra si presenta per un caratteristico colore rosso, marrone, violaceo e bordeaux. In provincia di Varese invece, si estrae un porfido di colore rosso rosato. Un’altra zona italiana nota per l’estrazione di questo materiale è la Val Camonica, in provincia di Brescia.
In collaborazione con Centro Notte – DOIMO - Borgo Valsugana
Dormire bene S
per vivere meglio
pesso si tende a trascurare l’importanza di dormire bene, tanto siamo presi dalla frenesia della vita moderna e le sue incombenze, che ci fanno quasi credere che dormire sia un’esigenza che si può rimandare. Chi dorme non piglia pesci, ci hanno insegnato, un buon lavoratore, insomma, non dovrebbe dormire troppo. Invece dormire, bene, è davvero necessario, fondamentale per il nostro benessere psicofisico. Studi medici dimostrano infatti che la carenza prolungata di sonno può portare a sviluppare con più facilità delle patologie, quali ad esempio l’obesità –il sonno stimola infatti la produzione di ormoni che regolano l’appetito-, il diabete, poiché il sonno regola il modo in cui il corpo immagazzina il glucosio, ma anche un aumento della pressione arteriosa, con rischio di infarti, ictus e problemi cardiovascolari, oltre ad
indebolire alla lunga il nostro sistema immunitario. Per non parlare poi di altre conseguenze di un’insonnia prolungata come la difficoltà di concentrazione, memorizzazione e apprendimento. E pensare che dormire è il rimedio più semplice e meno costoso per sentirsi bene. Come si sente ormai spesso dire, una persona dovrebbe per lo meno dormire 7 o 8 ore al giorno, anche se il numero di ore è in parte soggettivo. Per addormentarsi facilmente è bene evitare attività troppo movimentate poco prima, meglio concedersi un bagno rilassante oppure leggere un buon libro sorseggiando una tisana. Fondamentale è poi disconnettendosi dai dispositivi tecnologici che non fanno altro che stimolare continuamente la nostra mente; pensate ad esempio alla piccola scarica di eccitazione ogni volta che sentiamo arrivare un messaggino. La luce artificiale degli
schermi inoltre inibisce la melatonina, l’ormone che regola il ciclo sonno-veglia. La stanza dove riposiamo inoltre dev’essere buia e fresca, oltre che silenziosa, per un sonno più tranquillo. Da non sottovalutare infine anche la cosa più importante, ovvero il nostro letto. Secondo le teorie feng shui il letto andrebbe orientato a Nord, in modo che la testa sia a Nord, per garantirci un sonno migliore. È importante poi scegliere un materasso di qualità, che si adatti al nostro corpo sostenendolo in modo omogeno, e che consenta a colonna vertebrale ed arti di rimanere in posizione naturale. Ovviamente va scelto con cura anche il cuscino, per evitare dolori al collo e alla schiena; secondo gli esperti il cuscino non deve essere né troppo alto né troppo rigido.
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Lettera al Direttore
RIPRISTINIAMO LE GUARDIE MEDICHE Da parte del consigliere provinciale Walter Kaswalder ci giunge questa lettera che pubblichiamo volentieri e che nello specifico pone in evidenza il “grave” problema delle guardie mediche che si è creato per effetto della soppressione di 13 sedi e la riduzione di 50 medici.
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aro Direttore, come ben saprai, alcuni mesi fa, in merito al taglio e ridimensionamento delle Guardie mediche nella nostra Provincia, ho presentato alla Giunta della Provincia di Trento un ordine del giorno con il quale chiedevo espressamente di: • ripristinare il servizio, in particolar modo nei territori più decentrati e più distanti dagli Ospedali, allo scopo di garantire il servizio sull’intero territorio provinciale, sia nelle fortunate località di centro valle, come nei più sfortunati e decentrati luoghi della nostra Provincia. • mettere in campo un processo di affiancamento formativo delle Guardie mediche da parte delle strutture di Pronto soccorso degli Ospedali di valle per favorire la crescita professionale dei medici che svolgono questo importante servizio. Purtroppo la mia richiesta è rimasta lettera morta e non ha sortito nessun effetto in quanto è stata bocciata in blocco da tutto il centrosinistra autonomista (compresi i consiglieri provinciali del PATT). Rifacendomi ai dati che interessano Alta e Bassa Valsugana, Tesino, Vigolana e Pinetano compresi, i numeri ci dicono che al momento questo importante servizio, che riguarda la salute pubblica, viene espletato da due sole guardie mediche (una con sede a Borgo Valsugana e l'altra a Pergine, che operano per tutti i comuni dei due comprensori. In estate sarà anche attivata la sede di Levico Terme) A tal proposito mi rifaccio a quanto
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scritto ed evidenziato nel sito dell' Azienda sanitaria della nostra Provincia: “ La Guardia medica garantisce l'assistenza sanitaria per le urgenze notturne, festive e prefestive assicurando, negli orari non coperti dal medico di famiglia o dal pediatra di libera scelta, interventi domiciliari e territoriali. In particolari situazioni di necessità, ove le condizioni strutturali lo consentano, il medico può eseguire prestazioni ambulatoriali. Questo importante servizio è svolto dalle 20 alle 8 dal lunedì al venerdì e dalle 8 del sabato alle 8 del lunedì. In un contesto montano e caratterizzato da una notevole escursione numerica di presenze all’interno delle singole valli-dovuta a flussi turistici talvolta stagionali e in alcuni casi protraentisi per l’intero arco dell’anno- appare di tutta evidenza che questo servizio di rafforzo
delle prestazioni del medico di famiglia svolge contemporaneamente numerose funzioni. Infatti consente alle famiglie di avere un recapito immediato per un consulto telefonico urgente e assicura interventi domiciliari e territoriali (quindi ci tutela esattamente come un medico di famiglia nelle ore notturne e nei week end). Orbene, pur comprendendo le ragioni di carattere puramente economico che hanno suggerito alla Giunta provinciale di ridurre il numero dei presidi, le decisioni prese vanno certamente ad impoverire e in maniera a mio avviso grave e illogica, la risposta alle necessità del cittadino in termini di salute. Risposte che a mio modesto parere meritano una doverosa attenzione che deve culminare con il ripristino delle Guardie mediche.
OCCHIO ALLE CLAUSOLE
LUCE e GAS:
attenti alle fregature
di Alice Rovati
Diritto di ripensamento, proposta irrevocabile, recesso. Conoscere il significato concreto dei termini tecnici che si trovano sui contratti è fondamentale, nel momento in cui si vuole cambiare operatore, per non cadere in trappola di fronte a clausole ambigue, se non proprio penalizzanti per l’utente. contratti di luce e gas devono infatti rispettare le norme generali del Codice civile e quelle del Codice del consumo, oltre a uniformarsi alle delibere dell’organismo che vigila sul settore, cioè l’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico (la cosiddetta Aeegsi). In primo luogo: il paradosso della cosiddetta “proposta irrevocabile”. Formalmente, è il cliente che deve inviare una proposta contrattuale al fornitore di luce o gas: starà poi a quest’ultimo accettarla o meno. Nella realtà, e qui sta il paradosso, succede esattamente l’opposto: è infatti il fornitore che predispone unilateralmente il contratto, mentre il cliente ne approva le clausole firmandolo. In ogni caso, al di là della stranezza della situazione, per tutelare il cliente la legge prevede un tempo massimo entro il quale la proposta contrattuale non può essere mutata di una virgola: 45 giorni (oppure meno purché
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si scritto nero su bianco nella proposta stessa). Ciò significa che durante questo periodo la proposta non può essere cambiata né, tanto meno, ritirata. Nel caso di contratti di fornitura conclusi online oppure a casa del cliente, quest’ultimo deve essere informato che ha la possibilità di disdire tutto entro 14 giorni dalla firma, senza dover fornire alcuna motivazione né pagare alcuna spesa: è il cosiddetto “diritto di ripensamento”. Il nuovo fornitore deve inoltre comunicare al cliente le regole da rispettare in caso venga richiesta l’attivazione del contratto prima che sia passato il termine per il ripensamento (cioè i 14 giorni): - la firma del contratto non comporta automaticamente l’avvio della fornitura durante il “periodo di ripensamento”, ma può comunque comportare un suo anticipo rispetto alle normali tempistiche previste. In quest’ultimo caso, se poi il cliente ci ripensa deve pagare al forni-
tore i servizi di cui ha usufruito; - nel caso il cliente ritorni sui suoi passi, la fornitura di luce e gas sarà comunque erogata dal vecchio fornitore, sempre che il vecchio contratto non sia stato nel frattempo sciolto. In quest’ultimo caso, l’Aeegsi prevede che la fornitura sia comunque garantita al cliente per il tempo necessario per permettergli un nuovo cambio di fornitore; - se il cliente esercita il diritto di ripensamento perché non ha più bisogno di fornitura energetica, ha l’obbligo di richiedere la disattivazione dell’impianto al fornitore, che a sua volta trasmetterà la richiesta al distributore di energia. La cornice legislativa generale stabilisce che entrambe le parti, cioè sia il fornitore sia il cliente, possano recedere dal contratto in qualsiasi momento (a meno che nel contratto stesso non sia stabilito diversamente). La delibera 144/07 dell’authority per l’energia e il gas mette però alcuni paletti ben pre-
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cisi: - il cliente, rispettando comunque il periodo di preavviso stabilito nel contratto (che può essere al massimo un mese), può recedere in qualsiasi momento; - se il cliente vuole cambiare fornitore, il mese di preavviso scatta a partire dal primo giorno del mese successivo a quello in cui è stato esercitato il recesso. Con la sottoscrizione del nuovo contratto, il cliente in pratica dà l’incarico al suo nuovo fornitore di energia di comunicare al vecchio il passaggio delle consegne; - se il cliente vuole interrompere la fornitura senza alcun cambio di fornitore, il mese decorre dal giorno in cui il recesso è stato comunicato alla compagnia. La comunicazione del recesso va fatta per iscritto, con prova della ricezione (quindi tramite raccomandata a.r., fax o posta elettronica certificata); - se invece è il venditore a recedere, deve rispettare un preavviso di sei mesi, che scattano a partire dal primo giorno del mese successivo a quello in cui invia la comunicazione al cliente. Secondo il Codice del consumo il fornitore può cambiare unilateralmente il contratto, purché ci sia un giustificato motivo. Tra questi, per esempio, ci sono provvedimenti legislativi o delle Autorità garanti del settore, eventi eccezionali di natura geopolitica, finanziaria ed economica, improvvise oscillazioni delle quotazioni delle materie prime energetiche e così via. L’Autorità per l’energia ha fissato una serie di limiti e procedure
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specifiche a tutela del cliente, le cui violazioni danno diritto a indennizzi automatici in una bolletta successiva. Il fornitore deve sempre comunicare i cambi per iscritto al cliente e non in bolletta, dove potrebbero passare inosservati. Possono essere inseriti in bolletta solamente se le variazioni sono legate ad adeguamenti automatici dei prezzi o se comportano una riduzione delle tariffe per il cliente. In ogni caso, quest’ultimo deve essere informato, in modo chiaro e completo, almeno tre mesi prima rispetto all’applicazione della modifica contrattuale. Nella comunicazione il fornitore deve specificare espressamente che se il cliente non accetta la variazione, può recedere dal contratto senza costi o penali. Nel caso di mancato rispetto dei tempi e dei modi di comunicazione, il cliente ha diritto a un indennizzo di 30 euro. In caso di problemi Il fornitore ha l’obbligo di indicare al cliente l’indirizzo, fisico oppure online, dove inviare eventuali reclami per problemi o disservizi. In particolare, il fornitore deve: - riportare
in maniera evidente in ogni bolletta i recapiti per il reclamo scritto ed evidenziarli anche sul proprio sito; - rendere disponibile sul sito un modulo per i reclami, con la possibilità per il cliente di stamparli; - rispondere ai reclami in modo chiaro, usando un linguaggio non burocratico. A monte, cioè nel contratto, devono essere indicate le procedure di risoluzione delle eventuali controversie alternative al Tribunale, cui ricorrere quando il reclamo del cliente non va a buon fine. Nel settore della fornitura di luce e gas, gli strumenti per risolvere le liti senza dover ricorrere a un giudice vero proprio sono obbligatori prima di tentare la via giudiziaria. Questo perché, nella maggior parte dei casi, si tratta di controversie di scarso valore (magari pari all’importo di una singola bolletta), per cui non vale la pena rivolgersi al Tribunale, dati i costi e i tempi processuali. Lo strumento più utilizzato è quello della cosiddetta “conciliazione paritetica”, nella quale il cliente che reclama è rappresentato da un’associazione di consumatori. La procedura, gratuita, è possibile solo nei confronti dei fornitori che hanno aderito a un apposito protocollo. Altroconsumo ha sottoscritto protocolli con A2A, Acea Distribuzione, Acea Energia, Edison, Enel, Eni, E-On, Hera Comm, Sorgenia. Anche l’Aeegsi ha un proprio servizio di conciliazione, gratuito, che si svolge
interamente online (www.autorita.energia.it/it/ consumatori/conciliazione), con l’intervento di un conciliatore specializzato in materia che aiuta le parti a trovare un accordo. Infine, se l’offerta è per telefono: il Codice del consumo prevede che il contratto diventi effettivamente vincolante solo dopo la firma del cliente, bisogna evitare di rispondere telefonicamente “sì” alla proposta dell’operatore. In ogni caso, se non si è intenzionati a sottoscrivere nulla, meglio dirlo chiaro e tondo a chi sta dall’altro capo della cornetta. Nel caso in cui la proposta telefonica può interessare, chiedete comunque sempre di ricevere l’offerta per iscritto prima di aderire. In generale, bisogna diffidare delle proposte che sono accompagnate da frasi come “è un’offerta valida solo per oggi...” oppure “si può aderire solo telefonicamente...”. Per ultimo, chi stipula un contratto per telefono, ma poi cambia idea, può
esercitare il cosiddetto diritto di recesso entro 14 giorni, senza specificarne il motivo, inviando all’operatore una comunicazione scritta tramite raccomandata a.r. oppure utilizzando i moduli online messi a disposizione dagli operatori stessi sui loro siti.
*La dott.ssa Alice Rovati è laureata in Giurisprudenza, percorso europeo e transnazionale, con master in Europrogettazione. Giurista esperta in diritto dei consumatori, docente di diritto. È Rappresentante di Altroconsumo per la Provincia di Trento.
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Saggio di danza “GiocheRete”
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ercoledì 19 aprile si è tenuto nella sala sociale di Canale il saggio di danza a chiusura dei corsi organizzati dalla sezione GiocheRete dell’Acs Canale. Un grande ringraziamento alla maestra Anna Pertile che ha portato avanti quest’anno l’attività con le bambine della scuola primaria, affiancando un nuovo gruppo di piccoli ballerini della scuola materna che hanno potuto sperimentare il nuovo corso di Mooving Club. Le lezioni, iniziate a fine settembre, prevedevano una lezione settimanale di un’ora e mezza, un modo per i più piccoli di imparare a coordinare i movimenti e avere una piccola valvola di sfogo soprattutto nel periodo invernale. Le più grandicelle invece hanno proseguito l’attività che ormai da anni opera in un’ottica di conciliazione famigliare, esse vengono infatti ritirate direttamente dall’insegnante all’uscita da scuola, così da consentire l’attività anche alle bambine i cui genitori lavorano e non riescono ad accompagnarle nelle attività pomeridiane.
Festa dell’Anziano
Per festeggiare con noi la chiusura dei corsi, tanti genitori, fratellini, e nonni che hanno apprezzato lo spettacolo messo in scena curato dalla maestra Anna. Un fiume di applausi, un piccolo omaggio, portato dai più piccolini alla loro maestra e a seguire un buffet, realizzato grazie alla collaborazione di tutti i genitori. I nostri piccoli ballerini: Irene, Carolina, Maddalena, Aurora, Emma, Vittoria, Elisa, Miriam, Caterina, e l’unico maschietto Amedeo. Gruppo della scuola primaria: Agata, Agnese, Linda, Sara, Evelyn, Sofia, Eleonora, e Giorgia. (C.P.)
GARA DELLE UOVA
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opo la solenne Messa nella parrocchiale, la festa dell’anziano che ogni anno viene organizzata a Barco di Levico nel periodo quaresimale dal Gruppo Pensionati in collaborazione con la Parrocchia e che sempre registra una grande partecipazione di iscritti, è proseguita presso il vicino teatro. Qui la presidente Elda Gina Moser ha dato il benvenuto agli intervenuti, quindi il coro dei pensionati ha eseguito alcuni canti tratti dal suo ricco repertorio. Sono stati poi festeggiati i compleanni degli iscritti per i mesi di marzo ed aprile, e la festa è proseguita con la recita di poesie da parte di Annalisa Filoso e Ruggero Martinelli. (M.P.)
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i è disputata anche quest’anno in piazza Municipio a Novaledo, al termine della solenne Messa del giorno delle Palme, la gara di tiro alle uova con la monetina secondo l’antica tradizione, così come si usava un tempo in tanti paesi di tutto il Trentino. Un appuntamento divenuto ormai tradizionale che è stato ancora una volta organizzato dal locale Gruppo Alpini guidato dal capogruppo Domenico Frare, in collaborazione con il Coro Parrocchiale che ha messo a disposizione i premi grazie al contributo ottenuto dal Comune e ai prodotti donati dalla soc. Menz & Gasser. Più di trenta i concorrenti suddivisi nelle categorie ragazzi ed adulti. Fra i partecipanti anche il primo cittadino Diego Margon. (M.P.)
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PSICOLOGIA&SALUTE
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DOTTORESSA, dobbiamo dirlo al
BIMBO
Quante volte mi sono sentita chiedere questo dai genitori. Spesso gli adulti vorrebbero nascondere ai figli le notizie funeste come una separazione imminente, una malattia o qualsiasi altra cosa “dolorosa”. Come non capirli... tentare di proteggerli fa parte del ruolo genitoriale e ognuno di noi a suo modo, cerca di farlo costantemente. Il problema però è che un atteggiamento del genere può condurre alla creazione di un vero e proprio "segreto di famiglia" e quindi portare con sé delle conseguenze che spesso non si riesce a prevedere.
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ppure, chi si occupa di infanzia è ormai concorde nell'affermare che il tenere celato ai bambini le cattive notizie non sia realmente la soluzione. Magari è successo anche a noi, eventi del genere vissuti nell’infanzia sono stampati nella nostra mente, intrisi di emozioni negative. Lavorando anche con gli adulti infatti, non è raro dover affrontare i “segreti di famiglia” vissuti durante l’infanzia nel corso della terapia personale. Molti ricordano la sofferenza che hanno provato "Avrei voluto che me l'avessero detto” “... avrei voluto la possibilità di parlarne.” “..non potevo chiedere." Dobbiamo tener presente che anche se non espressamente detto, i bambini capiscono che sta succedendo qualcosa di catastrofico. Sono degli ottimi investigatori e anche se i genitori cercano di camuffare i loro comportamenti o i loro discorsi, i minori sono in continua ricerca di indizi per capire. Le avvisaglie spesso vengono captate dai due canali comunicativi che l’uomo usa, quello verbale e quello non verbale. La comunicazione non verbale comprende tutti gli aspetti che riguardano il linguaggio del corpo, come ad esempio la postura oppure il tono di voce o ancora le espressioni facciali. È difficile
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mascherare questi aspetti e quindi i bambini riescono a cogliere nelle espressioni e/o nei comportamenti dei genitori delle diversità, a differenza del canale puramente verbale che può essere con una buona probabilità manipolato. Queste "stranezze" vengono rilevate anche da bambini che apparentemente sembrano non farci caso. Non è insolito quindi, riscontrare da una parte un genitore convinto che il figlio non abbia idea di quello che sta succedendo, mentre dall’altra abbiamo un minore che ha notato tutte le incongruenze e comincia a fantasticare sulla motivazione di queste dissonanze. Dobbiamo ricordarci che i bambini anche se sembrano occupati a far altro, hanno delle "antenne" sempre attive e pertanto sono sempre ricettive ad elaborare qualsiasi cosa sia al di fuori del consueto. Anzi, il bambino entrato in uno stato di allerta diventerà particolarmente attento a rilevare qualsiasi sfumatura nelle situazioni, negli sguardi, nelle espressioni o nei comportamenti dei famigliari, o nelle persone che interagiscono coi propri cari e che lo rendono sospettoso. Il carico psicologico che deve sopportare il bambino si ingrandisce se, nella propria famiglia si riscontra (anche se non espressamente detto dai genitori) il divieto di parlare apertamente di circostanze an-
di Erica Zanghellini
goscianti. Il motivo magari risiede nella difficoltà dell’adulto di farsi carico di un’ emotività vivida e dolorosa ma, l’effetto prodotto è il dover affrontare da solo una situazione inevitabilmente più grande di lui e delle sue possibilità di farci fronte. Come accennato qualche riga più su, questo tipo di messaggio spesso traspare dalla comunicazione non verbale, infatti è sufficiente un’ incongruenza tra quello che viene detto al bambino e quello che invece si fa. Basta essere sfuggenti con gli occhi o mostrare qualche segno di preoccupazione o fastidio mentre, si affronta quell’ argomento e il messaggio implicito passa. Se non ci sentiamo in grado di parlare con lui di quella situazione e l’unica cosa che vogliamo è quindi chiudere al più presto quella conversazione trasmetteremo a nostro figlio la nostra insofferenza e lui per non farci del male imparerà a non farlo più. La conseguenza di questo tipo di regola implicita famigliare è una silenziosa osservazione e un continuo riflettere sugli eventi che però, lo possono condurre a grossi fraintendimenti. Il bambino infatti, preoccupato e a quel punto anche ansioso cerca di dare un senso logico alle cose che stanno succedendo intorno a lui. Il nostro cervello è programmato per fornire un senso logico a tutto quello
Ricordiamoci che anche se, in buona fede pensiamo di proteggere i nostri figli dalle cattive notizie non parlando di quest’ultime, imparare a superare momenti di vita critici li aiuterà anche da adulti quando li affronteranno in autonomia. Fare i genitori "spazzaneve" cioè genitori che “sgomberano” la vita dai problemi, non permettendo ai loro figli di affrontare le situazioni negative contribuirà a "creare" adulti che non saranno in grado di prendersi cura di se stessi.
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tarlo ad elaborare. I consigli che posso dare sono quelli di accettare e dar voce a qualsiasi emozione emerga e magari di sfruttare l’aiuto di qualche racconto per spiegare al bambino cosa sta accadendo. Cerchiamo di usare un linguaggio comprensibile e soprattutto tentiamo di passargli l’idea che anche se doloroso questo momento, si può superare stando uniti. Solo in questo modo viene abbattuto il muro della solitudine che sperimenta il minore e si rompe il circolo vizioso descritto sopra.
FITOTERAPIA
che sperimentiamo, tanto che può "riempire" con informazioni o deduzioni alterate i pezzi mancanti del puzzle che si sta cercando di comporre pur di avere un pensiero coerente. Il rischio di “errori” aumenta nel caso dei bambini, in quanto fino ai dieci anni, il loro pensiero non è abbastanza maturo da riuscire a mettere in sequenza situazioni e avvenimenti per dar loro una logica consequenzialità corretta e obiettiva. Questo processo è molto pericoloso, perché può portare ad immaginare scenari peggiori che quelli reali o ad attribuirsi delle responsabilità non proprie. Possono sentirsi frastornati e colmi di emozioni negative e pensare che tutto quello che sta succedendo è colpa loro, reagendo con comportamenti di profonda insicurezza, sentendosi indifesi ed incapaci di sistemare le cose per riportare il loro clima famigliare come era prima. L’unico modo per evitare questo scenario è parlare apertamente al bambino di quello che in quel momento la famiglia sta attraversando, anche se è estremamente difficile e sostenerlo nonché aiu-
ANALISI PER L’EMOGLOBINA GLICATA
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LASER PER GLI OCCHI A TRENTO: ecco le novità L
a chirurgia laser è la branca gono attraverso una rigorosa e accudell’Oculistica che ha avuto la rata selezione e preparazione del pamaggiore evoluzione e applica- ziente; per cui un tempo fondamentale della chirurgia è costituito dalla visita zione negli ultimi anni. A Trento dal 2014 è attivo, presso preoperatoria nel corso della quale, l’Ospedale San Camillo, il Centro oltre a verificare l’idoneità oculare, venLaser Oftalmico IVis che nasce del- gono illustrate possibilità, vantaggi e l’esperienza ultradecennale sviluppata svantaggi della tecnica operatoria utiin questo settore dal Dott. Giulio Mulè e dal Dott. Carlo Mazzola. Un laser ad eccimeri ad elevata frequenza, un Argon laser, uno YAG laser e una sorgente UVA per la terapia cross-link del cheratocono (anche con l’ultima tecnica di ionoforesi) consentono le più moderne soluzioni chirurgiche e parachirurgiche di numerose affezioni oculari. L’applicazione della tecnologia Dott. Giulio Mule’ con laser ad eccimeri di ultima generazione riesce, attraverso una micrometrica modifica della curvatura corneale, a risolvere numerosi difetti visivi legati all’uso degli occhiali. Il Centro IVis di Trento ha in questi giorni tagliato il traguardo di oltre 1000 interventi eseguiti per eliminare o ridurre l’utilizzo degli occhiali o lenti a contatto. Miopia, astigmatismo e vari gradi di ipermetropia hanno tro- Dott. Carlo Mazzola vato la soluzione ideale grazie alla tecnica cTen, che in circa 20-40 secondi rimodella in maniera personalizzata e totalmente automatizzata la curvatura corneale. La tecnica è totalmente notouch, ambulatoriale e consente una ripresa delle attività lavorative in circa 57 giorni. I risultati migliori si otten-
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lizzata grazie alla competenza che deriva da oltre 20 anni di esperienza nel settore. La tecnica viene eseguita in modo personalizzato grazie all’utilizzo di un particolare topografo corneale 3D di ultima generazione come il nuovo Precisio in dotazione presso il Centro IVis dell’Ospedale San Camillo di Trento. Grazie ad una valutazione di circa 40000 punti delle superfici corneali anteriori e posteriori il topografo è in grado di ricostruire l’anatomia corneale con una precisione inferiore a 3 millesimi di millimetro, permettendo la visualizzazione delle patologie corneali come il cheratocono; questa precisione affiancata dalla registrazione dei dettagli dell’iride permette un trattamento personalizzato sulle caratteristiche peculiari di ciascun paziente. La topografia corneale in 3D consente inoltre la diagnosi precoce del cheratocono (patologia degenerativa corneale spesso adolescenziale) e permette all’Oculista di intraprendere in tempo utile la terapia con il Cross-link corneale che ha la capacità di rallentare e bloccare l’evoluzione della patologia evitando spesso il ricorso al trapianto di cornea. Queste tecnologie consentono presso il centro IVis di abbinare al Cross-link un trattamento laser personalizzato in grado, in casi selezionati, di migliorare l’acuità visiva del paziente con cheratocono. (p.r.)
BENESSERE&SALUTE
Delle semplici regole per una buona igiene visiva per i bambini
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fondamentale già in età scolare fare una buona prevenzione. Questo prevede l’attenzione da parte dei genitori ad insegnare al bambino una corretta postura di studio, poiché un’efficace igiene visiva facilita l’apprendimento e il rendimento. Di seguito una serie di semplici accorgimenti per ridurre lo stress visivo cognitivo, che rappresenta spesso la causa di mal di testa, affaticamento visivo, bruciore agli occhi e lacrimazione, tutti segnali di un sistema visivo che ha bisogno di aiuto. Alzare lo sguardo: a intervalli regolari, durante un prolungato lavoro da vicino (es. lettura di un libro) è necessario distogliere lo sguardo e guardare lontano per alcuni minuti per rilassare il sistema visivo e mantenerne la flessibilità. Corretta distanza di lavoro: la giusta distanza per poter leggere o scrivere si ottiene appoggiando il mento sulla mano chiusa a pugno con il gomito appoggiato sul banco. Evitare le posizioni distese: quando si legge o si guarda la tv ci si deve sedere correttamente evitando
Rolando Zambelli è titolare dell’Ottica Valsugana con sede a Borgo Valsugana in Piazza Martiri della Resistenza. È Ottico, Optometrista e Contattologo.
di Rolando Zambelli
posizioni sdraiate o piegate in avanti o di lato. È difficile mantenere distanza e visione equilibrata stando sdraiati sul letto o sul divano. Impugnatura nella scrittura: una scorretta impugnatura della penna o della matita può portare il bambino ad assumere una postura non idonea, che potrebbe causare problemi muscolo-scheletrici o di visione binoculare. È quindi opportuno tenere la penna o la matita a 2 cm dalla punta, in modo tale da poter vedere la punta senza inclinare di lato la testa o il busto. Si consiglia di utilizzare matite triangolari o pencil grip per ottimizzare l’impugnatura. Piano di lavoro: per mantenere una corretta postura è utile e consigliabile utilizzare un piano di lavoro inclinato di circa 20°/30°. Illuminazione: non leggere o scrivere mai con un’ unica lampada accesa, ma utilizzare una luce che viene dall’alto e una lampada posizionata dal lato opposto della mano con cui si scrive.
Televisione: per quando riguarda la tv, si consiglia di guardarla ad una distanza pari a 7 volte la diagonale dello schermo (almeno 3 metri) in un ambiente illuminato. Poiché l’utilizzo della TV, dei videogames e di tutti i dispositivi elettronici in generale sviluppa pochissime capacità visive, pertanto si consiglia vivamente di incentivare il bambino a svolgere attività all’aperto. Con queste semplici regole è possibile ridurre molti problemi visuo-posturali che rappresentano un’importante fonte di stress visivo cognitivo nel bambino.
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Fra storia e leggenda
Castel Telvana
di Andrea Casna
Le origini di Castel Telvana, a Borgo Valsugana, risalgono a un tempo lontano perché probabile postazione strategica di controllo già esistente in età romana. Lo storico Paolo Diacono (intellettuale e storico longobardo nato nel 720 e morto nel 799), nella sua «Historia Langobardorum» parla di un avamposto longobardo, detto Castel Alsuca, (sui cui ruderi sarebbe poi stato costruito l'attuale maniero), espugnato dai Franchi nel lontano 590 d.C.
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dati storici fanno risalire il castello attorno al XII-XIII secolo. Verso il 1300 vi abitarono i signori di Castelnuovo-Caldonazzo: importante famiglia aristocratica che, grazie alla loro posizione sociale privilegiata e alle loro ricchezze, avevano fatto della Valsugana, per contro dei Principi Vescovi di Trento, una zona strategica e importante di confine fra il Principato di Trento e la Contea di Feltre. Nel corso dei secoli, grazie alla posizione strategica e di controllo sulla Valsugana e sulla Via Claudia Augusta Altinate, il castello diventò sede dei signori di Feltre. A seguito di una serie di numerosi avvenimenti storici e bellici, fra cui anche la guerra di Antonio della Scala contro i signori di Caldonazzo-Telvana nel 1385, il maniero finì nelle mani dei signori Welsperg che lo trasformarono, nella prima metà del XVI secolo, in una imponente e caratteristica fortezza militare. Nel 1662 la proprietà passò nelle nelle mani dei conti Giovanelli di Venezia e nel 1788 al Comune di Borgo Valsugana. Nel 1940 fu acquistato dai Battisti di Telve e nel 1965
a comprare l'antico castello fu l'avvocato Ugo Simonetti di Mestre. Fra le informazioni storiche più interessanti e curiose troviamo quella relativa alle vicende del castello, e dei signori Welsperg, nel corso della Guerra Rustica del 1525. Nella prima metà del XVI secolo il Sacro Romano Impero Tedesco era alle prese con la Riforma protestante di Martin Lutero. Ispirati dagli ideali di libertà e di lotta contro l'autorità della Chiesa di Roma, promossi dallo stesso Lutero, i contadini dell'area tedesca si ribellarono ai propri signori per capovolgere l'ordine costituito. Alla base della rivolta, che durò dal 1524 al 1526, vi erano le dure condizioni di vita degli strati bassi della società. La rivolta arrivò pure in Trentino, al tempo Principato Vescovile e governato da Bernardo Clesio. Scoppiarono tumulti nelle vallate attorno a Trento. La Valsugana non fu esclusa da questo fenomeno. I contadini di Strigno uccisero il Capitano di Ivano. I contadini di Levico si ribellarono al vescovo per chiede la riduzione degli obblighi feudali tentando, senza successo, di conquistare il Castello di Pergine. I capi rivolta della Valsugana furono arrestati e giustiziati nel mese di ottobre 1525. All'interno di questi eventi Castel Telvana
subì gli attacchi dei contadini ribelli. Nel testo «Notizie storiche, topografiche e religiose della Valsugana e di Primiero» del 1793, Giuseppe Andrea Montebello scrive che i contadini in rivolta «assalirono questo castello, s'attentarono di uccidere il Giurisdicente Sigismondo di Welsperg vicino alle porte del medesimo nell'atto, che ritornava dalla caccia; ma egli spronò tanto il suo cavallo, che arrivò a salvarsi entro le porte; onde fallito il colpo si avventarono a spogliare la casa del di lui Capitano». I rivoltosi puntarono a prendere Trento ma «la mossa mal regolata e peggio condotta ebbe fine infelice -scrive Agostino Perini in Statistiche del Trentino, volume II, (18552)». «Quelli di Valsugana ritornarono alle loro abitazioni, e il giorno 12 settembre vi giunsero i capitani del principe ad inquerire e catturare i capi della rivolta, che il giorno 12 ottobre venivano in Trento puniti colla morte e colle barbare pene di quel tempo». Interessante è la struttura architettonica dell'intero complesso. Il castello è suddiviso in grandi sezioni: il Castello su-
periore (Rocca), il mastio; il Castello inferiore dove si trova l'ingresso; la cinta muraria esterna che unisce i torrioni, i bastioni e il mastio; una doppia cinta muraria interna che partiva dall'ingresso e collegava il Castello inferiore e quello superiore. In quanto residenza privata il castello è visitabile solo dall'esterno. Anche per Castel Telvana non mancano leggende. Come scrive Mauro Neri nel suo volume «Le Mille leggende del Trentino», una leggenda narra che «i
fantasmi degli antichi proprietari ritornino al loro maniero nelle notti di luna piena per espiare una grave colpa commessa in vita: sono infatti condannati a rotolare fino all'alba dei pesanti massi, portandoli dal palazzo inferiore su su, fino alla torre, camminando in equilibrio sulle mura del castello. Luci misteriose, lamenti sussurrati e rumore di sassi che rotolano e che cadono animano quelle notti chiare, incutendo timore nei pochi che osano avvicinarsi al castello».
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ASSOCIAZIONE ORNITOLOGICA CAPANNISTI TRENTINI
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’associazione Ornitologica Capannisti Trentini ci ha inviato un resoconto della recente assemblea tenutasi presso il Centro Casteller di Mattarello, alla quale hanno partecipato oltre un centinaio di iscritti, molti dei quali provenienti dalla Valsugana. In apertura di lavori il presidente dell’Associazione Roberto Paccher, ha fatto una dettagliata relazione sull’attività svolta nel corso del 2016, anno nel quale i cacciatori a capanno hanno fatto registrare un aumento considerevole dei propri iscritti. Ha sottolineato in particolare la partecipazione alla fiera di Riva Del Garda, il convegno “Pillole di cultura” oltre alla presenza, con proprio stand, alle mostre dei trofei di Lardaro e Novaledo, nonchè all’organizzazione del “Pranzo del Capannista”. Paccher ha ricordato poi che sono stati posti alcuni quesiti scritti all’Associazione Cacciatori Trentini affinchè, unitamente al servizio faunistico, faccia chiarezza su alcune tematiche. Le risposte ottenute sono state consegnate ai singoli cacciatori, e rappresentano una sorta di vademecum del capannista. Infine ha voluto ringraziare le numerose riserve che hanno accolto la proposta dei capannisti di prevedere il rilascio di permessi d’ospite giornalieri, in modo da favorire l’esercizio di questa pratica e dare la possibilità ai cacciatori di condividere questa passione anche con i colleghi di altre riserve. Poi il segretario Graziano Foradori ha illustrato le singole
voci del bilancio consuntivo 2016 e quello di previsione 2017. Il vice presidente Cristian Beber ha relazionato in merito ai soggetti da richiamo detenuti dagli stessi capannisti, che durante la scorsa stagione venatoria hanno registrato un significativo incremento, dovuto anche al buon passo di uccelli migratori. Ha concluso i lavori il presidente dell’Associazione Cacciatori dr. Carlo Pezzato che ha espresso soddisfazione per l’operato del direttivo per l’impegno e la determinazione nel difendere e sostenere la caccia al capanno. Infine ha riferito sulle novità nelle prescrizioni tecniche della prossima stagione venatoria. (M.P.)
ALBUM DEI RICORDI
I PENSIONATI IN ASSEMBLEA
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i respira un’aria rinnovata all’interno del “Circolo Pensionati e Anziani GB Pecoretti” di Caldonazzo, dopo la recente nomina del nuovo direttivo votato nel corso di una affollata assemblea generale dei soci e successiva distribuzione delle varie cariche. L’elezione di una nuova direzione si era resa necessaria in conseguenza delle dimissioni del presidente Gabriele Ciola e di altri componenti, che avevano fatto venir meno il numero minimo previsto dallo statuto. Ecco il nuovo consiglio di amministrazione che resterà in carica per i prossimi quattro anni: Presidente Rita Girardi (la seconda da sinistra in alto); vice presidente Giuseppe Conci; Segretario Celeste Curzel; Cassiere Adriana Ciola; Consiglieri Elena Mittempergher, Raffaele Ferrari e Silvano Rigon. Revisori dei conti: Miriam Costa e Silvano Mattè. Revisore supplente Maurizio Curzel. (M.P.)
ra la primavera dell’anno 1958 quando un gruppo di amici di Roncegno pensarono di organizzare una gita a Merano. Poter aderire ad una gita fuori casa in quelli anni, costituiva per tutti un momento di particolare gioia e così, in pochi giorni, il pullman faceva registrare il tutto esaurito. E con loro c’era anche il bravo fotografo dell’epoca Domenico Frainer (detto “Il Minico”) che a Merano ha scattato questa bellissima foto ricordo che vogliamo riproporvi. Osservandola però si può notare quante persone, all’epoca giovani e piene di vita, a distanza di quasi 60 anni non sono più fra noi. Appare naturale quindi essere colpiti da un po’ di tristezza e tanta malinconia. (M.P.)
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gruppo cetto
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el corso di un allegro e partecipato momento conviviale dei Soci dell’Associazione Micologica Bresadola “Gruppo Bruno Cetto” di Levico Terme, il presidente Marco Pasquini, che guida questa attiva associazione dal giorno della sua fondazione avvenuta nel 1976, ha illustrato il programma di attività per l’anno in corso. Queste le principali iniziative. Per il mese di maggio, in data da stabilire, ritrovo presso la baita di Vezzena per lavori di pulizia e preparazione per la stagione. Il 18 giugno uscita naturalistica in Alto Adige in località da definire. 25 giugno uscita micologica in zona Torcegno con base al “Baito del Romeo”. L’8 e 9 luglio 30^ Mostra dei fiori di montagna a Levico Terme. 23 luglio uscita micologica sulla montagna di Vetriolo, con base al “Baito del Marco Frisanco”. 5 e 6 agosto a Levico Terme Mostra micologica “Funghi d’agosto”. 20 agosto uscita micologica in valle di Sella, 9 e 10 settembre 42^ Mostra micologica a Levico Terme. 17 settembre uscita /naturalistica in zona Gardeccia/Torri del Vajolet. 24 settembre mostra micologica a Telve Valsugana, 8 ottobre XVI^ Giornata micologica nazionale - Festa del Socio, con pranzo di chiusura della stagione. 12 dicembre 39^ “Strozegada de Santa Lùzia”. Va
ricordato anche che durante i mesi di luglio, agosto e settembre, la sede sociale sarà aperta dalle 20 alle 21 nei giorni di lunedì, giovedì e sabato non festivi, per il servizio di informazione e consulenza micologica al quale tutti potranno accedere liberamente. Inoltre durante tutto il periodo estivo, funzionerà l’esposizione di funghi freschi nelle vetrinette di viale Dante a Levico e presso il Ristorante “Il Cacciatore” ai Prati di Monte, sulla strada dei Baiti per Vetriolo. (M.P.)
AUSER IN ASSEMBLEA
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resso l’Hotel Bellaria di Levico Terme si è svolta l’assemblea generale ordinaria della locale associazione Auser. Presenti una sessantina di soci dei 170 iscritti nonché alcuni collaboratori, il presidente Fabio Recchia ha tenuto la relazione sull’attività svolta nel 2016 mettendo in risalto i dati più rilevanti che hanno caratterizzato l’intero anno di attività. Un lavoro intenso concernente soprattutto l’accompagnamento di tante persone in difficoltà presso ospedali, USL ed altre strutture sanitarie, che hanno comportato un percorso totale di ben 7.799 chilometri. In dettaglio: 65
sono stati gli accompagnamenti presso ospedali e case di cura di Trento, 45 presso l’ospedale S. Lorenzo di Borgo Valsugana, 25 presso Villa Rosa ed altri ancora. Ha elencato poi le varie manifestazioni organizzate come la festa delle associazioni e i mercatini di Natale. Ha ricordato poi che la sede in piazza Medici a Levico è aperta dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 11. Per la parte finanziaria ha comunicato che il bilancio 2016 si è chiuso con un attivo di oltre 600 euro. Hanno preso la parola il vicesindaco di Levico Laura Fraizingher e il consigliere provinciale Gianpiero Passamani, per esprimere lode sull’operato di questa importante realtà locale. Anche l’ex presidente regionale Auser Vittorio Alidori, a nome della neo eletta presidente Chiara Wegher, ha sottolineato l’importante ruolo dell’Auser che in futuro sarà chiamato ad un ulteriore sforzo sia per i momenti difficili che stiamo ancora attraversando che per l’aumento dell’età delle persone. Il presidente Recchia ha consegnato i diplomi di benemerenza alle persone iscritte ininterrottamente per 10 e 20 anni. Per i dieci anni sono stati premiati: Paola Carotta, Lucia Cetto, Rita Carotta, Nicoletta Pedrotti, Annamaria Fruet, Gaetana Moro, Gilberto Fontana e Rosa Vettorazzi. Per i 20 anni: Alessandra Martinelli. (M.P.)
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Terramare: dal Trentino a Venezia sulle tracce degli ambienti naturali
di Elisa Corni
CAPITOLO IV: La fine del viaggio
Eccoci arrivati all’ultimo capitolo di questo viaggio che da Mantova, attraverso il Trentino, ha portato nell’estate del 2016 scienziati, divulgatori scientifici, curiosi e appassionati a scoprire il territorio sulle due ruote. Il percorso Terramare, promosso dalla Rete Lter delle aree protette, ha visto un’ultima tappa dopo quella del Lago di Levico.
C
ome raccontano i ricercatori presenti alla manifestazione, il viaggio si è concluso con una lunga pedalata in discesa, lungo il Fiume Brenta, dalla riserva del Fontanazzo a Grigno, che ha portato i nostri eroici biciclettari lungo il tragitto di questo importante fiume, tanto dal punto di vista socio-storico, quanto da quello naturale. Tra scorci mozzafiato, strette della valle e percorsi su ponti in ferro che costeggiano da un lato il fiume e dall’altro la roccia viva delle montagne che lo sovrastano, scienziati e partecipanti hanno raggiunto finalmente la vallata. A Valstagna, infatti, la Valsugana si allarga di nuovo, lasciando correre la vista su paesaggi nuovi rispetto a quelli incontrati fino a ora. La pianura veneta li ha accolti con sole e caldo, e l’arrivo a Bassano del Grappa, nota località sul fiume che si fa sempre più ampio e languido, è stato celebrato con un aperitivo sul famoso “ponte degli alpini”. La traversata del Veneto, da Bassano a Venezia, si è rivelata più complessa e faticosa rispetto alle tappe precedenti. Qui le piste ciclabili sono frammentate, e non c’è stato tempo o modo per dedicarsi all’osservazione degli ambienti naturali. Infatti dove la vita è più semplice - in pianura - l’antropizzazione è più ra-
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dicata e ben poco rimane in senso naturalistico. Ma in questo territorio ricco di storia è propio questa a diventare protagonista delle pedalate, con i racconti dell’incanalazione del Muson, storico fiume che circondava l’area attorno a Castelfranco Veneto. Giunti infine a Venezia, i nostri eroi hanno abbandonato le biciclette e tutti assieme hanno incontrato qualcuno che come loro aveva attraversato un pezzettino d’Italia sulle tracce della natura e dell’ecologia. È un altro percorso di Terramare, incentrato sulla produzione e il trasporto di legname verso la Laguna di Venezia per la costruzione prima della città, e poi delle navi. I tronchi di possenti alberi venivano tagliati nel Bellunese e in provincia di Trento, e attraverso i fiumi portati all’Arsenale di Venezia per essere lavorati. E proprio all’Arsenale, oggi sede dell’Istituto di Scienze Marine del Cnr (Ismar), è avvenuto come raccontano i presenti l’ultimo incontro naturalistico-ecologico di questo bellissimo viaggio: lo studio delle acque della Laguna e dell’Adriatico. Sì, perché anche l’Alto Adriatico
è un sito Lter. Qui si studiano i complessi sistemi ecologici che dal plancton portano ai grandi pesci; si analizza la qualità dell’acqua; si fa ricerca sulla pesca e le sue conseguenze a livello ittico e faunistico. E i ricercatori dell’istituto Ismar parlano ai presenti del grosso problema provocato dalle plastiche e dalle microplastiche disperse nelle nostre acque. Terramare, nei suoi numerosi percorsi, ha permesso a tutti di mettersi in gioco. C’è chi è dovuto uscire dai laboratori e abbandonare il metodo scientifico; chi i computer e le scrivanie; chi l’abitudine di non guardarsi attorno per scoprire invece come il nostro territorio possa regalarci ogni giorno sorprese a non finire.
Che tempo che fa INVERNO 2016/2017
a cura di Giampaolo Rizzonelli
NEVICATE AL CENTRO SUD E SICCITà AL NORD? L
’inverno appena concluso (dal punto di vista meteorologico l’inverno inizia il 1° dicembre e termina il 28 febbraio) è stato caratterizzato da un’enorme differenza in termini di precipitazioni tra il Nord e il Centro Sud Italia. Il nord, fatta eccezione per alcune zone del Piemonte, è stato caratterizzato da una siccità durata praticamente due mesi. A Levico Terme dal 26 novembre 2016 al 13 gennaio 2017 non ci sono state precipitazioni e il giorno 13 gennaio (nevicata) sono caduti solamente 4 mm di acqua (1 mm per m2 equivale ad un litro), successivamente abbiamo dovuto attendere il 2 febbraio per avere precipitazioni “degne” di questo nome. Situazione totalmente diversa invece sul Centro Sud Italia dove a partire dal 6 gennaio 2017 a seguito di correnti artiche che hanno dapprima raggiunto i Balcani e in seguito sono penetrate nelle zone Adriatiche, abbiamo assistito a nevicate abbondanti. La mancanza di precipitazioni al Nord e le nevicate al Centro Sud, dipendono dalla particolare conformazione di provenienza del freddo, che essendo di matrice artica, trova una barriera sulle Alpi e quindi scende lungo la parte orientale Europea per raggiungere poi l’Adriatico dove si carica di umidità, anche a causa del calore dell’acqua, “scaricando” poi ingenti quantitativi di pioggia e neve su Marche, Abruzzo, Molise, Puglia ecc…
Generalmente per avere precipitazioni nevose sulle Alpi Italiane (fatta eccezione per la fascia di confine) sono necessarie altre conformazioni meteorologiche, di solito con masse d’aria provenienti dall’Oceano Atlantico o che si carichino di umidità sul Mediterraneo, quindi il flusso deve essere da Sud o Ovest verso le Alpi e non da Nord. A fine novembre 2016 c’era stata una situazione simile che aveva portato ad abbondanti precipitazioni sul Nord in particolare nella zona del Piemonte, dove tuttavia solo a quote superiori ai 2.000 metri si erano accumulati anche due metri di neve. Le nevicate più eccezionali al Centro Sud si sono verificate nel periodo compreso tra il 6 e l’8 gennaio, quando c’è stato un perfetto episodio di “Adriatic-effect snow”, è un episodio simile a quello che si verifica sui Grandi Laghi del Nord America (qui si chiama “snow lake effect”), in particolare nella città di Buffalo (non lontano dalle cascate del Niagara). Come detto poc’anzi, l’aria fredda proveniente dai Balcani si è caricata di umidità attraversando l’Adriatico e ha poi scaricato grandi quantità di neve, dalla Romagna fino alla Puglia e addirittura fino alla Sicilia. Le nevicate sono state straordinarie in Puglia dove hanno raggiunto molti centri costieri in particolare del Salento, mentre all’interno, grazie alla barriera formata dai rilievi delle Murge, gli accumuli hanno superato anche il metro.
Fig. 1
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Fig. 3 Nelle immagini: Fig. 1 - Copertura nevosa in Europa il 10 gennaio 2017, ben evidente la scarsa presenza di neve al Nord soprattutto al Nord Est, e la copertura nevosa invece su Centro Italia, Puglia, parte di Calabria e Sicilia.
Fig. 2 - Foto del satellite polare Modis, dalla quale si evincono alcuni particolari interessanti: a) Scarsissimo innevamento sul Trentino e in genere sul Nord Italia b) La presenza della neve sul versante nord delle Alpi (Svizzera e Austria) c) Le nuvole che sulla Romagna e le Marche portano le precipitazioni nevose di cui abbiamo parlato prima d) Curiosità: a sinistra del Trentino meridionale, si nota bene del fumo che scende per diverse decine di km fino sul Garda meridionale, si tratta del fumo provocato da un incendio che ha distrutto 300 ettari di bosco in Val Camonica (BS). Fig. 3 - Foto Mandarini sotto la neve e il ghiaccio sulla bassa Murgia tarantina, (07.01.2017, f. Enza De Florio). Ulteriori informazioni e statistiche sul sito: www.meteolevicoterme.it
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