Valsugana News n. 2/2018 Marzo

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E D I T O R I A L E

ERA DIGITALE e SMARTPHONE A

l debutto del primo smartphone targato Apple i sostenitori dell’hitech annunciavano: «chi comprerà l’iphone non ne potrà più fare a meno». In realtà è difficile stabilire con precisione l’avvento della rivoluzione digitale, momento in cui si è passati dall’avere una vita sociale al solo pensare di averla e condividerla virtualmente con gli altri; di certo dal successo dello smartphone è nata l’economia delle app, cavalcata da giganti come facabook e twitter, dall’applicazione di messaggistica istantanea WhatsApp. Il modo di comunicare si è stravolto. «Non è possibile che, quando entriamo in pizzeria, anziché i vostri volti mi vedo davanti i vostri cellulari. Non è possibile che, quando andiamo in un albergo, come prima cosa voi due chiedete la password del wi-fi». Sono le parole che aprono un libro di recente pubblicazione e introducono un tema di estrema attualità; l’argomento è megafono di banalità ed è sempre la stessa tautologica conclusione che ci piace trarre. Tecnologia è vantaggio e opportunità, ma il giovane e non solo, si lascia sopraffare da tale strumento, allontanandosi sempre più dai concetti di intimità e calore nelle relazioni face to face. La nuova generazione è meno predisposta al confronto, all’ascolto e all’esame orale, propensi invece a scriversi, ai social network e ai giochi online; la modalità attuale ha condotto a un cambiamento nello stile di vita quotidiano, nella comunicazione, nell’apprendimento e nella socializzazione. Tale mutamento ha inciso anche sullo stile famigliare d’oggi, dove prevalgono i silenzi sul dialogo e l’iperattività tecnologica sull’intimità dei contatti, quando invece la famiglia dovrebbe essere am-

 di Patrizia Rapposelli

biente in cui siamo persona in tutta la nostra totalità, dare la dimensione in cui ognuno riceve un volto e un valore. Il cellulare sempre tra le mani, si usa per far sapere agli altri ciò che si pensa, si mangia e si sogna, ma in realtà si sta parlando da soli perché in rete tanti chiacchierano e nessuno ascolta. Aldo Cazzullo sintetizza la visione di Era digitale: «Solitudine, altro che social. La rivoluzione digitale è il più grande rincoglionimento di massa nella storia dell’umanità». La famiglia un tempo si ritrovava a tavola: condividere un pasto parlando e condividendo gioie e problemi, a oggi attorno a quel momento si ascolta il silenzio dell’egoismo coperto dalla televisione e dagli smartphone. Banale al limite della provocazione, parlare semplice per una società che sembra ignorare. I dati del 2017 sono chiari, il nostro Paese si conferma tra quelli con la più alta penetrazione di telefonini rispetto la popolazione mondiale, tasso dell’85%, tenendo presente che di moderazione nell’uso non si voglia sentir parlare. L’uso dello smartphone è divenuto costante nella vita di tutti i giorni e con lui la Rete, luogo da abitare, un universo che si intreccia con il mondo reale al punto di creare una “generazione Z” con una vita digitale che occupa più tempo delle loro relazioni offline. L’era digitale è una trasformazione fatta di Reti che mutano il tessuto sociale ed economico, manca consapevolezza. Manca a oggi la trasmissione del valore della relazione, a partire dai genitori stessi. Quelli che facebook chiama friends non lo sono, essi sono contatti, quello che internet chiama conoscenza è informazione. Ciò che manca è un modello educativo di riferimento nei ragazzi e negli adulti.

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ABBIGLIAMENTO E INTIMO DA 0 A 99 ANNI

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IL SOMMARIO

ANNO 4 - MARZO 2018

PIANETA

Editoriale...................................................... 3 Sommario..................................................... 5 Punto e a capo ............................................. 7 Dalla politica risposte concrete....................... 9 La bolletta di luce e gas ............................... 11 Aldo Pancheri: viaggio nell’arte..................... 12 Il politico: Roberto Paccher .......................... 14 Curiosità nel secoli: l’Accabadora .................. 16 Campa cavallo ............................................ 18 La mostra “Guerra o Pace” ........................... 19 Il Gruppo Trentino di Volontariato................. 20 Come eravamo............................................ 22 Il libro “Le donne vestite di legno”................ 23 L’Endometriosi ............................................ 24 Passione giardinaggio .................................. 55 Il Tiro a Segno Strigno................................. 58 L’Associazione in ”Punta di piedi” .................. 60 Lo Sci Club Cima 12 .................................... 61 I giovani Cooperatori uniti............................ 62 Il collettivo Codice Rosso ............................. 63 Odontoiatria oggi ........................................ 64 I nostri migranti .......................................... 65 Le uova di Pasqua ....................................... 66 Celiachia, i sintomi ...................................... 67 Come colorare i capelli................................. 68 Il libro di Vittorio Fabris ............................... 69 Un reperto storico ....................................... 70 Il progetto Space Like Action........................ 71 Le cronache................................................ 72 Il libro di Sergio Paoli .................................. 73 Le cronache................................................ 74 Le cronache................................................ 75 Che tempo che fa........................................ 76 Giocherellando ............................................ 78

• Non c’è più l’8 marzo......................27 • Frida Khalo .....................................28 • W le donne e poveri maschi.............29 • Le donne che hanno fatto l’Italia ......31 • Sonja Henie....................................32 • Le donne hanno un’anima? ..............35 • Donne e imprenditrici ......................37 • Cos’è la felicità................................38 • Storia di una donna.........................43 • Gender pay gap ..............................44 • La scienza si fa donna .....................46 • Re-velation .....................................48 • Un’Italia sempre più vecchia ............49 • Il Life Coach ...................................50 • Wonder Woman, le amazzoni...........52

DIRETTORE RESPONSABILE Armando Munaò - 333 2815103 direttore@valsugananews.com CONDIRETTORE Franco Zadra - franco.zadra@gmail.com VICEDIRETTORE Chiara Paoli - Elisa Corni COORDINAMENTO EDITORIALE Enrico Coser - Silvia Tarter COLLABORATORI Waimer Perinelli - Roberto Paccher - Erica Zanghellini Francesco Cantarella - Francesca Gottardi Maurizio Cristini - Alice Rovati - Mario Pacher Laura Fratini - Sabrina Mottes - Patrizia Rapposelli Zeno Perinelli - Adelina Valcanover Giampaolo Rizzonelli - Laura Fedel Silvia Tarter - Andrea Casna CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA Dott.ssa Cinzia Sollazzo - Dott. Alfonso Piazza Dott. Giovanni Donghia - Dott. Marco Rigo EDITORE Grafiche Futura srl IMPAGINAZIONE, GRAFICA Grafiche Futura srl STAMPA Grafiche Futura srl Via della Cooperazione, 33 - Mattarello (TN) PER LA PUBBLICITÀ SU VALSUGANA NEWS info@valsugananews.com www.valsugananews.com info@valsugananews.com Registrazione del Tribunale di Trento: nr. 4 del 16/04/2015 - Tiratura n° 5.000 copie Distribuzione: tutti i Comuni della Alta e Bassa Valsugana, Tesino, Pinetano e Vigolana compresi COPYRIGHT - Tutti i diritti di stampa riservati Tutti i testi, articoli, interviste, fotografie, disegni e pubblicità, pubblicati nella pagine di VALSUGANA NEWS e sugli Speciali di VALSUGANA NEWS sono coperti da copyright GRAFICHE FUTURA srl e quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore, del Direttore Responsabile o dell’Editore è vietata la riproduzione o la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni, per altri giornali o altre pubblicazioni, possono farlo richiedendo l’autorizzazione scritta all’Editore, Direttore Responsabile o Direttore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che, utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio e quindi fatta pervenire, a GRAFICHE FUTURA srl, le loro pubblicità, le loro immagini i loro testi o articoli. Per quanto sopra GRAFICHE FUTURA srl, si riserva il diritto di adire le vie legali per di tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.



C apo

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Punto

 di Waimer Perinelli

ULTIMO TANGO SUL TITANIC VALSUGANA NEL TUNNEL G

ettiamo la maschera, non faccio l’indovino, e mentre scrivo mancano tre giorni alle elezioni, ma da quanto abbiamo finora visto, non credo che marzo e la primavera ci porteranno un nuovo governo. Ci saranno però i fuochi d’artificio attorno alle prime elezioni del 2018. Tuttavia dopo avere invitato a votare nel numero di febbraio di Valsugana news, mi piacerebbe constatare con voi che noi italiani, folli ma di buon senso, abbiamo votato in tanti e bene. Cioè con risultati diversi dai sondaggi che nel passato abbiamo sconvolto nelle urne e nella realtà dei fatti. Quale caso estremo, perfino commovente, vorrei ricordare quel direttore di TG4 che in base ai sondaggi ed ai primi exipol fissava bandierine vittoriose sulla carta geografica, salvo poi dover modificare il

tutto. Per la par condicio ricordo anche la gioiosa macchina da guerra con cui Occhetto, l’ultimo dei comunisti, perse le elezioni. Ma se ogni cosa è andata come annunciato, oggi sul ponte del Titanic continua il ballo in maschera. Al timone il presidente Mattarella cercherà di evitare l'iceberg mentre getteranno la maschera gli impresentabili e tutti quelli per i quali il ballo, con cambio di partner e costume, deve durare il tempo necessario ad acquisire i vitalizi. Una situazione in cui la nave, paese, si ferma ma l’iceberg, con il carico di imprevisti e fallimenti, continua la navigazione. Quanto accade mi ricorda il film Ultimo Tango a Parigi di Bertolucci e ho un presentimento: Roma non è Parigi, città ricca di risorse; per questo l’ultimo ballo rischia di fare molto male agli italiani.

Al di sopra della tentazione Essere tentati non è reato, cedere alla tentazione può esserlo. Ma tentare è reato? Accade a Napoli dove il figlio del governatore a sua volta assessore comunale, viene solleticato da un camorrista pentito con una bustarella in cambio di favori sull’immondizia. I giudici decideranno se c’è stato reato immondo nel dare disponibilità o se solamente la bustarella incassata è punibile. È una domanda di cui conosceremo la risposta solo dopo le elezioni. Nel frattempo si tratta solo di spazzatura elettorale.

“Mettere in sicurezza la statale della Valsugana e una politica di raccordo multifunzionale con il Veneto da delineare nel Pup”. Sono priorità dettate dalle parole di Lorenzo Dellai e riportate nella cronaca della Giunta provinciale del 9 novembre 2006. Dopo 12 anni non è accaduto nulla: immutabilità delle cose mutabili. Il 18 febbraio di quest’anno, in campagna elettorale, deputato Dellai ha ribadito gli stessi concetti. A 58 anni dai primi progetti di PiRuBi, a crescere sono stati gli incidenti ed i morti mentre si sono moltiplicati i progetti. Quello proposto da Dellai è probabilmente quello che giace nel cassetto dell’attuale Giunta provinciale di Trento. Si compone di due tunnel, uno che dalla Valdastico sbuca nella zona di Levico e l’altro che dalla piana di Caldonazzo buca la Vigolana e sfocia a sud di Trento. Nel tunnel tutto trentino entrerebbe pure la ferrovia che da Trento porta a Venezia mentre la storica tratta sopravvissuta da Levico alla città capoluogo diventerebbe metropolitana di superficie. Inoltre la statale 47 nel tratto Levico-Trento,sponda est del lago di Caldonazzo, verrebbe declassata a intercomunale e resa percorribile anche a piedi e in bicicletta. Fatti salvi gli studi tecnici sulle falde, sulla friabilità, sul traffico e i costi, sembra un progetto che non entra bensì esce dal tunnel lungo 58 anni. Fra parentesi i più ottimisti prevedono che per realizzarlo non ci vorranno meno di 10-15 anni. Salvo gli imprevisti e ricorsi che non mancano mai.

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re e r a p a ...

La chiusura dei piccoli negozi è un campanello d'allarme per l'Autonomia

DALLA POLITICA PROVINCIALE RISPOSTE CONCRETE L

mio

 di Claudio Cia

a recente denuncia riportata dai quotidiani locali sulla chiusura di un piccolo negozio di alimentari nel Comune del Trentino è un campanello d'allarme per la nostra autonomia. E’ un altro tassello dell’inesorabile agonia dei piccoli centri di montagna: una storia che parla di spopolamento, di lavoro che non c’è, di lontananza della politica. Se noi vogliamo mantenere vivo tutto il territorio della provincia, compresa la Valsugana, allora dobbiamo evitare l’esodo dalla montagna: in tutto il corpo deve circolare sangue, altrimenti inizia ad andare in cancrena. Siamo un territorio di montagna, anche se spesso pare che a Trento ci si dimentichi di questo. Il 70% del nostro territorio è sopra i 1000 metri e solo l’8% è pianura, e perciò dobbiamo fare una politica che tenga conto di questa condizione. L'operaio, l’artigiano, il contadino, non rimane nel proprio paese se non può viverci, se non ha un lavoro, un reddito, un certo standard di vita. Se noi non creiamo le condizioni perché queste persone possano stare nel loro territorio,

Palazzo della prima o poi si sposteranno tutti in città, che certamente non potrà dare risposte a tutti. Un paese che non è popolato, un paese dove la propria gente scappa, è un paese morto. Se la gente va via, lì non puoi mantenere un negozio aperto. E quando va via l’ultimo negozio va via anche un pezzo di cultura, perché un negozio non è solo distribuzione di generi alimentari, ma è anche un punto di incontro sociale, dove si ritrovano gli abitanti, gli anziani, i turisti. In tutti i paesi c’è bisogno di un bar, di un ristorante, di una Cassa Rurale (non un bancomat, che con quello non si può parlare), di un ufficio postale, di un asilo, di una casa della cultura per tutte le associazioni. Il Trentino ha 538 mila abitanti, siamo una realtà piccola, però abbiamo quasi 6 milioni di turisti, con 9,5 milioni di pernottamenti nella stagione estiva e 6,7 nella stagione invernale. Ci definiamo, a ragione, una realtà turistica. Se la gente del posto se ne va, anche i turisti non hanno più motivo per venire. Non vengono a vedere solo un lago, un prato o qualche albero, senza strutture primarie e secondarie: loro vogliono girare, vogliono vedere la festa del paese, una malga, assaggiare i prodotti tipici del posto, vogliono vedere le tradizioni e la cultura locale, camminare tra le nostre montagne. E tutto questo può essere garantito solo da chi

Provincia Autonoma di Trento - sala Depero

quel territorio lo abita quotidianamente e lo mantiene con amore. Noi abbiamo il grande vantaggio dell’Autonomia, che ci permette di fare leggi che tengono conto della nostra realtà. In questo caso pare proprio che la politica non abbia saputo riconoscere il problema, concentrando attenzioni sul fondovalle, quando invece dovrebbe essere la città a fungere da volano per il resto del territorio. L'auspicio è che la politica provinciale possa ritarare le proprie priorità, garantendo attenzione a chi tiene vivi i nostri paesi e presidia le zone più difficili, per tornare a fare una politica per il territorio, una politica veramente autonomista. La politica provinciale non può ridursi ad una fantasia filosofica, ma deve essere uno strumento concreto per dare risposte ai problemi della propria gente. Certo che per risolvere i problemi, bisogna prima saperli riconoscere.

Claudio Cia è Coordinatore Provinciale di AGIRE PER IL TRENTINO

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BOLLETTA

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DI LUCE E GAS:

pagheremoper i morosi N

el mese di febbraio si è diffusa la notizia che i consumatori dovranno farsi carico delle bollette di luce e gas non pagate dagli utenti “morosi”. Si è generato un certo scompiglio, hanno iniziato a circolare informazioni di ogni tipo, anche scorrette e fuorvianti. E’ necessario dunque fare un po’ di chiarezza. La polemica trae origine dalla delibera ARERA (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) numero 50/2018 dello scorso 1° febbraio. Si tratta di una decisione strutturata in modo tale da adempiere ad una serie di sentenze della giustizia amministrativa che hanno annullato le precedenti disposizioni dell'Autorità in tema. Il testo riguarda le relazioni tra fornitori (le società venditrici, quelle con cui stipuliamo un contratto) e distributori (i responsabili del trasporto dell'energia nelle abitazioni), e tra distributori e la CSEA e il GSE per i pagamenti degli oneri di sistema. Quando un cliente non paga la bolletta elettrica non genera solo un buco nelle finanze del suo fornitore, ma provoca un danno anche al distributore che ha già anticipato di tasca

sua gli oneri di sistema alla CSEA e al GSE, oneri che spettano, però, al cliente. La delibera mette in piedi un meccanismo per restituire ai distributori una quota degli oneri che hanno già versato, ma che non potranno mai più incassare dai fornitori diventati insolventi perché in sofferenza economica (magari dovuta a vari motivi, tra cui la morosità dei loro clienti finali). La delibera individua quali sono questi crediti irrecuperabili (sempre e solo relativi agli oneri di sistema) ed elimina dal computo tutti quelli che in un modo o nell'altro sono stati recuperati. In particolare gli oneri di sistema sono una voce di costo che copre tutte le spese che servono per mantenere in equilibrio il servizio elettrico o del gas e comprende, tra gli altri, anche l'importo pagato da ogni singolo consumatore per finanziare la produzione di energia da fonti rinnovabili. Come ha precisato la stessa Autorità, la delibera prevede che solo una parte limitata di questi oneri di sistema già versati dai distributori, ma non più recuperabili in altro modo, siano ammessi al meccanismo di recupero.

 di Alice Rovati Ancora non è possibile sapere a quanto ammonteranno questi oneri irrecuperabili ma l’Autorità ha precisato che nel breve-medio periodo (almeno un anno) non ci sarà nessun aumento in bolletta, e che se in futuro dovesse esserci, sarà irrisorio. La delibera emanata dall'Autorità mira quindi a sanare solo i crediti inesigibili dei distributori, non quelli direttamente generati dalla morosità dei clienti finali. Non è ancora chiaro come i fornitori di energia potranno recuperare gli oneri di sistema dei clienti finali che, per difficoltà economiche, sono diventati morosi e si sono visti chiudere la fornitura di elettricità. Altroconsumo si è occupata della tematica chiedendo all’Autorità maggior chiarezza sul provvedimento e che sia fornita al più presto una stima, anche di massima, di quanto potrebbe riversarsi sulle bollette dei consumatori in futuro. Nel caso in cui ci fossero comportamenti penalizzanti per i consumatori o addebiti non dovuti, l’associazione si attiverà per recuperare il dovuto. Sul sito www.altroconsumo.it verranno pubblicati gli aggiornamenti sul tema. *La dott.ssa Alice Rovati è laureata in Giurisprudenza, percorso europeo e transnazionale, con master in Europrogettazione. Giurista esperta in diritto dei consumatori, docente di diritto. È Rappresentante di Altroconsumo per la Provincia di Trento.

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Viaggio nell’arte con

ALDO PANCHERI

 di Waimer Perinelli

“Il bambino Aldo Pancheri è un pittore, nte” un cuore puro, una speranza viva e opera

Sogni di tenebra azzurra

Pancheri in studio

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ono trascorsi 63 anni da quando Alfonso Gatto, poeta celeberrimo, ritrasse con queste parole il quattordicenne Aldo. Oggi egli di anni ne ha 77 ed ha la rara fortuna di avere conservato i doni della semplicità, che non è ingenuità, e della speranza virtù di chi non si accontenta mai. Certo la vita non gli ha fatto mancare le difficoltà e le delusioni, ma questo signore, capace di citare a memoria grandi poeti, instancabile nel frequentare mostre, gallerie e circoli culturali, ha la forza di perfezionare se stesso ed incoraggiare i giovani. L'ho incontrato nel suo studio a Trento. Alto, occhi penetranti e ironici, veste in modo sobrio, con l'unica civetteria di un cappello scuro, con cui protegge la calvizie, ed una sciarpa. Potrebbe essere il ritratto di Fellini, quando era magro. Del regista ha la fatalistica contemplazione della realtà salvo accendersi davanti ad un'idea, una proposta d' incontro o un allestimento. A Trento è conosciuto come figlio d'arte.

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Il padre Renato impetuoso descrittore di paesaggi dove l'erba verde, giallo, bruna, mossa dal vento, s'inchina al sole; lo zio Gino, il mito di famiglia, ucciso dalle bombe alleate alla Portela nel settembre del 1943, ma vivo ancora fra noi con i suoi molti ritratti e le colorate nature con fiori. Aldo “erede di un'arte, scrive Gatto, che sta di casa tra le pareti domestiche” è contemporaneamente beneficiario e vittima della tradizione perché, se da un lato gli fu concesso dalla fama dei due parenti di ricevere giovanissimo l’importante e simpatica critica del Poeta, dall'altro è costretto a confrontarsi con loro. Non per proprio volere, ma perché tutti finiscono per imporglielo, dimenticando che in casa si possono imparare le tecniche ma il loro uso per rappresentare la visione del mondo, la raffigurazione dei sentimenti e della realtà travisata, l'universalità della poesia, è un dono che viene dalle Fate e la tecnica, diceva Marc Chagall, è solo il sesto dito dell'artista. Le opere della

giovinezza, in maggioranza oli su tela, hanno l'incanto espressionista. Quelle della maturità, incisioni ed acrilico, collage, rompono l'incanto per aprire


squarci reali. Oggi con pastelli e pasta acrilica affronta direttamente la realtà; raffigura la violenza di ogni genere, servendosi delle linee morbide, sinuose delle donne contrapposte alla brutalità dei gesti. Dal 2014 ogni sua opera è segnata dai timbri personalmente ideati; un marchio aggiunto alla unicità creativa, un'impronta concettuale. “Il timbro nell’opera d’arte, dice, è come quello della voce”. Di questo nuovo movimento fanno parte Sergio Dangelo, Rudolf Haas, Shuhei Matsuyama, presenti con lui dal 21 marzo al 16 aprile, alla mostra “Guerre o Pace” allestita in Palazzo Trentini. Quel ragazzino che con pochi quadri legati da una corda fu ricevuto da Alfonso Gatto, è cresciuto. Ha sperimentato diverse tecniche e fra queste l’incisione, grazie ad un torchio comperato tramite l’amico Aldo Schmid. Ha lavorato e lavora molto a Milano dove è stato anche Art director alla galleria A e Z, ha partecipato ad iniziative culturali dell’Unesco, ha decorato sale pubbliche ed è stato chiamato ad allestire un centinaio di mostre personali. Sue opere sono presenti ai Civici Musei Castello Sforzesco di Milano, al Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, alla Società di Belle Arti ed esposizione permanente di Milano, Museo Denon in Francia, all’Istituto Takagi in Giappone, alla galleria d’Arte Moderna delle Marche…..oltre che presso fondazioni e privati. Aveva ragione il poeta quando gli disse: “Sei sulla strada giusta, hai cuore e mano per dedicare la tua vita a gessi, pastelli, colori........” Aldo ha imparato a vivere nella complessa società dell'arte. Una vita difficile fatta di operosità, favore del pubblico, segnata dai critici e galleristi. Mi ha scritto una comune amica e artista “Aldo è un uomo simpatico e generoso”. Aggiungo buono. Quel bambino è ancora fra noi.

Uscita dalla porta magica - 2016

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il politico

ROBERTO PACCHER  di Armando Munaò Roberto Paccher, personaggio molto conosciuto in Valsugana sia per la sua attività di assicuratore che per l’impegno politico è stato recentemente nominato vice segretario provinciale della Lega Nord Trentino. Paccher in passato è stato per molti anni assessore comunale a Novaledo e al Comprensorio della Bassa Valsugana e Tesino dove si è sempre contraddistinto per la sua schiettezza e determinazione. Si è battuto con tenacia per cose in cui credeva, come difesa del reparto maternità dell’Ospedale di Borgo Valsugana oppure a favore della realizzazione della Valdastico, quando si fece anche promotore anche di una raccolta firme per indire una consultazione popolare, o per la chiusura dell’impianto di biocompostaggio di Levico Terme, che rendeva invivibile l’aria agli abitanti di quella zona. Nel 2008 si è presentato alle elezioni provinciali nella lista della Lega Nord ed è risultato primo dei non eletti, sfiorando l’elezione per una manciata di voti. Nel Carroccio, oltre ad essere vicesegretario, incarico che condivide con Diego Binelli, è pure segretario amministrativo e responsabile della circoscrizione Nord-est, che raggruppa Alta e Bassa Valsugana, il Primiero, il Tesino, Val di Fiemme e Fassa, l’altipiano di Pinè e la Val di Cembra.

Paccher la sua nomina rappresenta un punto di arrivo o di partenza? Anzitutto voglio ringraziare Maurizio Fugatti per la fiducia accordatami per un ruolo impegnativo che cercherò di onorare nel migliore dei modi. La mia nomina, unitamente a quella dell’amico Binelli, nasce dalla necessità di supportare il segretario Fugatti nello svolgimento delle sue funzioni in considerazione anche del fatto che il nostro partito è molto cresciuto negli ultimi tempi, con un aumento dei tesserati e dei consiglieri comunali in tutta la provincia. Da qui la necessità di coadiuvare il segretario considerato anche che il nostro partito svolge una capillare attività territoriale in tutte le valli della Provincia. Per la Valsugana può essere un’opportunità avere ai vertici della Lega Nord un rappresentante della valle. La Lega Nord è sempre stata vicina alla gente, e non solo della Valsugana, indipendentemente dagli incarichi ed i ruoli dei singoli. Voglio ricordare, solo per fare un esempio, le battaglie fatte dal nostro partito a difesa degli ospedali

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periferici, delle scuole nei paesi di montagna, di una viabilità più sicura, ecc. In Valsugana abbiamo un’ottima classe dirigente, segretari di sezione, consiglieri comunali e militanti molto attivi che danno il massimo per lo sviluppo della valle. Di che cosa ha bisogno secondo Lei la Valsugana oggi? Purtroppo delle stesse cose di cui aveva necessità 15 anni fa perché non è stato fatto nulla nonostante le promesse. Le tematiche attuali oggi sono le stesse di allora. La viabilità ha le stesse criticità con la superstrada che non è ancora stata messa in sicurezza. La variante del Tesino ad un punto morto, l’Ospedale di Borgo Valsugana sempre oggetto di tagli e ridimensionamenti, la Valdastico è ancora ferma e tra qualche anno saremmo in piena emergenza traffico considerato che manca poco al completamento della pedemontana veneta che porterà ad un significativo aumento del traffico sulle nostre strade. Oltre a ciò va sottoli-

neata la grave crisi occupazionale che ha colpito duramente il nostro territorio. Di chi è la colpa? Le motivazioni sono molteplici, ma una grande responsabilità è anche degli amministratori ed i rappresentanti politici locali che hanno accettato supinamente le decisioni imposte da Trento. Ricordo perfettamente che quando, come gruppo della Lega Nord in comunità di valle, portavamo avanti le nostre battaglie, i consiglieri di maggioranza erano tutti allineati a ciò che voleva la giunta pro-


vinciale, ed anche i sindaci sembravano più attenti a non scontrarsi con l’assessore di turno anziché fare gioco di squadra a favore della valle. Nell’ultima legislatura abbiamo avuto in consiglio provinciale una rappresentanza che, salvo eccezioni, ha brillato per il silenzio e la propria assenza sulle tematiche che contano.

A chi si riferisce? Non penso ci fosse bisogno di fare dei nomi, ma le cose sono sotto gli occhi di tutti. In Tesino aspettano un collegamento più sicuro e meno tortuoso da più di 20 anni. Il progetto di ristrutturazione dell’ospedale doveva essere realizzato ancora nel 2006 quando fu

firmato quel protocollo d’intesa capestro che chiudeva il reparto maternità in cambio di numerosi nuovi servizi periferici che non sono poi stati fatti. La superstrada della Valsugana è un cimitero a cielo aperto. Quante vite umane dovranno perdere la vita ancora prima che la Provincia la metta in sicurezza? La realtà è che i nostri rappresentanti non hanno saputo per nulla incidere sulle scelte della giunta provinciale, anche perché il centrosinistra autonomista ha deluso le aspettative dei propri elettori ed ha miseramente fallito. Pensa che con un leghista alla guida della provincia le cose andrebbero meglio? Ne sono sicuro. Basta guardare il vicino Veneto governato da Zaia o la Lombardia con Maroni per capire come governano gli uomini della Lega. Dove hanno governato godono di un elevatissimo grado di popolarità perché le cose vengono fatte davvero e non solo a chiacchere.

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Le cunerii osità

Mitologia della Sardegna arcaica

secoli L’ACCABADORA DELLA

DOLCE MORTE

 di Laura Fedel

Di tutti i miti che circolano in Sardegna il più radicato riguarda l’accabadora, figura femminile considerata compassionevole dalla comunità e dotata di poteri magici, deputata a porre fine alle sofferenze dei malati. Quella che ai giorni nostri chiameremmo eutanasia e che fa tanto discutere.

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na donna chiamata a dare la morte ai sofferenti, nel silenzio più assoluto e con il minor dolore possibile, attraverso preghiere rituali e senza la presenza dei parenti del malato. Accabadora, termine derivante dal sardo che significa “colei che finisce” e dallo spagnolo acabar che si traduce con “terminare”, compare per la prima volta nel 1835 in una voce del “Dizionario geografico storico statistico e commerciale degli Stati di Sua Maestà il Re di Sardegna” scritto da Vittorio Angius, giornalista e deputato che si era assunto l’incarico di redigere tutte le voci riguardo alla Sardegna. L’accabadora si assumeva quindi l’incarico di “accompagnare” alla morte persone di qualsiasi età nel caso di malattie dolorose alleviandone in questo modo l’agonia. Era considerato un atto compassionevole non solo nei confronti del malato ma anche verso la sua famiglia, soprattutto per i ceti sociali meno abbienti, incapaci di garantire assistenza al malato. In alcune zone della Gallura (Sardegna nord-orientale) l’isolamento dei paesi e le difficoltà di

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spostamento erano tali che al medico potevano servire molti giorni a cavallo prima di raggiungere la casa del paziente. Donna accabadora arrivava a casa del moribondo nelle ore notturne. Allontanava i parenti che l’avevano convocata e si sedeva accanto al capezzale. Provvedeva a rimuovere dalla camera tutte le immagini sacre e gli oggetti cari al morente, procedura che si riteneva facilitasse il distacco dello spirito dal

corpo. Gli accarezzava prima la testa recitando delle preghiere per poi iniziare la sua pratica che non doveva mai essere retribuita. Pagare per dare la morte a un sofferente era contrario ai dettami della superstizione. Terminata la sua prestazione per ringraziarla del servizio reso, alla donna venivano offerti prodotti della terra. Il morituro vedendo questa figura vestita di nero e con il viso coperto sapeva che il suo dolore era prossimo a finire.


Il suo strumento tipico era un bastone d’olivo, su mazzolu, lungo 40 centimetri e largo 20 e appositamente costruito con un’impugnatura tale da consentire una presa sicura. Si usava per colpire sulla fronte o dietro la nuca il malato con un colpo secco. Su mazzolu è stato trovato nel 1981 a Luras, nel cuore della Gallura, nascosto in un muretto vicino a quella che un tempo era la casa dell’accabadora ed è ora conservato al Museo Etnografico Galluras. In alcune zone poteva accadere che per sopprimere il malato, oltre a soffocarlo con l’ausilio di un cuscino, l’accabadora stringesse il collo della persona fra le cosce in modo tale che la testa fosse poggiata proprio dove un neonato vede per la prima volta la luce. Un rituale di morte che si avvicina dunque moltissimo alla nascita. L’accabadora infatti secondo alcune usanze non era solo una portatrice di morte ma svolgeva anche la funzione di levatrice e distingueva il suo compito indossando un abito di colore diverso. Bianco o chiaro se doveva aiutare una donna a partorire, nero se portatrice di morte. La sua esistenza

era considerata un fatto naturale come i cicli di nascita e morte. Gli ultimi casi noti di accabadura si riportano al 1929 a Luras (Olbia-Tempio) e nel 1952 a Orgosolo (Nuoro). Molti altri sono affidati alla memoria collettiva della comunità, sono in tanti a ricordare nonni e bisnonni che hanno avuto a che fare con la donna in nero. Museo Etnografico Galluras, Luras L’antropologo cagliaritano IL MARTELLO DELLA FEMINA AGABBADORA Francesco Alziator (1909 – 1977), esperto di cultura e tradizioni sarde, si stupisce del silenzio della Da quel 1835 il mito dell’accabadora Chiesa, già di per sé contraria a figure ha iniziato a viaggiare suscitando la meno violente come le prefiche, le curiosità di studiosi, scrittori e registi. donne pagate per piangere ai funerali. Accabadora infatti è il titolo del romanzo I parroci del posto erano di certo a co- ambientato negli anni ’50 e vincitore noscenza di questa pratica, tuttavia di svariati premi letterari scritto per Einon consideravano l’accabadora come naudi da Michela Murgia. Accabadora un’assassina. Pare che non le sia mai è anche il titolo del film diretto da stata imposta nessuna condanna. Il suo Enrico Pau e uscito nel 2017 che racgesto era visto dalla comunità come conta la storia di Annetta nella Cagliari un aiuto compassionevole al destino a sventrata dalla seconda guerra. Un compiersi risparmiando logoranti sof- ruolo che le è stato imposto da una società arcaica dalle tradizioni millenarie. ferenze.

Come Eravamo

Remigio Trentin (il secondo da sinistra), padr e di Mariano Trentin (titolare della ditta Bauman di Scurelle) con un grup po di lavoratori valsuganotti, trentini e svizzeri


re e r a p a ...

mio

Da Barco per Borgo…

campa cavallo

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li Abitanti di Barco di Levico, da oltre 5 anni, sono sottoposti a una sorta di labirinto per raggiungere la superstrada della Valsugana e immettersi in direzione Padova. In occasione dei lavori per la realizzazione dello svincolo della zona produttiva di Levico Terme, eseguiti appunto circa 5 anni fa, l’unico accesso diretto verso la SS47, è stato chiuso da due pannelli di cemento che ne impediscono il passaggio. Si pensava fosse una cosa transitoria, giusto il tempo necessario per terminare i lavori, per poi togliere lo sbarramento e far tornare tutto come prima. Invece, come spesso capita nel nostro Paese, non c’è niente di più definitivo delle cose provvisorie, i pannelli sono rimasti lì anche dopo l’ultimazione dei lavori, e lo sono ancora oggi senza che nessuno abbia pensato di toglierli. A causa di questa chiusura gli abitanti di Barco (quasi mille persone) da anni sono sottoposti a notevoli disagi, e quanti si devono recare verso Borgo Valsugana possono scegliere solo tra due opzioni, pagando per entrambe in perdita di tempo e a proprio rischio e pericolo. La prima è quella di recarsi a Levico

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Terme (che è esattamente dalla parte opposta) attraversare un paio di semafori, allungare il proprio tragitto di alcuni chilometri, in almeno 10 minuti di tempo, per poi immettersi sulla superstrada e tornare indietro. La seconda è quella di utilizzare l’uscita a Est, quella dell’ex stazione dei treni, con la concreta possibilità di trovare il passaggio a livello chiuso per l’arrivo del treno. Anche in questo caso perdendo del tempo prezioso, poiché i tempi di attesa sono spesso vergognosi, in quanto le sbarre si abbassano quando il treno è ancora alla stazione di Levico. Superata la ferrovia bisogna imboccare una strada stretta e molto pericolosa per immettersi sulla superstrada in uno degli incroci più pericolosi dell’intera arteria dove, solo negli ultimi anni, ci sono stati numerosi incidenti anche gravi. Ciò che indispettisce soprattutto, e avrebbero ragione gli abitanti di Barco a dare battaglia su questo argomento, sta nel fatto che la strada chiusa sia storicamente la meno pericolosa, dotata oltretutto di maggiore visibilità; infatti, finchè era transitabile non si sono mai verificati gravi incidenti stradali. Il manto stradale è ancora in ottimo stato e basterebbe togliere i due pannelli per far ritornare la viabilità com’era. Si tratterebbe di un lavoro di non più di mezz’ora, pausa caffè compresa. Ma per un incomprensibile e ingiustificato motivo, nonostante le lamentele degli abitanti della frazione, non è stato fatto e non sembra esserci la volontà di farlo. Che il problema esista è

 di Roberto Paccher confermato anche dal fatto che da anni si parla di realizzare uno svincolo nuovo, che dovrebbe risolvere il problema del collegamento con Barco una volta per tutte e che questa volta sembra in dirittura d’arrivo, con la realizzazione del nuovo svincolo a breve, forse già quest’anno. Ma allora, perché, in attesa di quello nuovo non si è mantenuto in essere quello vecchio? Speriamo che questo progetto non faccia la fine di molte altre opere che riguardano la nostra valle, come la variante del Tesino, di cui si parla da più di 20 anni, o la messa in sicurezza della superstrada della Valsugana a Ospedaletto che doveva essere fatta già 15 anni fa, oppure il tunnel sotto Tenna che si dava per certo almeno 10 anni fa, per non parlare della Valdastico che viene promessa da oltre 40 anni, quando ancora si chiamava PI.RU.BI (ai tempi di Piccoli, Rumor, e Bisaglia tanto per far capire di che anni si parla). Tutte opere promesse, presentate a più riprese come “ormai a un passo”, ma che non sono mai state realizzate. A proposito di Valdastico, la Provincia sta ancora discutendo dove farla uscire, se in Valsugana, a Mattarello, o a Rovereto. Ogni progetto diverso prevede di spostarla di decine di chilometri. Fa sorridere pensare che chi con facilità, sulla carta, sposta un’autostrada di decine di chilometri, come se niente fosse, non è capace di spostare due pannelli di tre metri sulla strada di Barco.


 di Waimer Perinelli

FINE DI UNA GUERRA ORRORE E SPERANZA

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o scorso mese d’agosto Aldo Pancheri poco dopo l’inaugurazione della mostra I Cromatici dodici nella sala Prati della Casa della cultura di Caldonazzo mi ha proposto, quale presidente del Centro d’Arte La Fonte, di collaborare all’allestimento di una mostra sulla guerra. “ La faremo, ha sussurrato, il prossimo anno in occasione della fine della prima guerra mondiale”. Aldo, oltre che valido pittore, come illustriamo in altra pagina della rivista, è fondatore del Movimento Arte Timbrica che unisce ottimi artisti non solo trentini. La proposta allettante è stata accettata e il 21 marzo, alle 18, a Palazzo Trentini, sede del Consiglio Provinciale, viene inaugurata “Guerre o Pace” mostra

Peccato Frammento

in cui 15 artisti presentano le opere nelle quali interpretano con le proprie doti le sofferenze, il sacrificio, la paura, viltà, eroismo, fratellanza, tradimento, odio: sentimenti coesistenti e contraddittori nel crogiolo della vita. Le loro creazioni sono parte della nostra Memoria che, come ha scritto Liliana Segre neo senatrice sopravvissuta ai campi di sterminio, è ancora oggi “un vaccino prezioso contro l'indifferenza....”. Alla memoria appartengono le opere di Otto Dix e Pablo Picasso, i racconti di Musil e Hemingway, le poesie di Garcia Lorca, Giuseppe Ungaretti e Pablo Neruda... particelle di un vasto mondo dove si denuncia la perdita della ragione e l'uso distorto dell'intelligenza. In “Guerre o Pace”, gli artisti di Roma, Milano, Vienna e Tokyo, e trentini, propongono con tecniche diverse, le interpretazioni: le visioni del nostro pianeta lacerato, piagato, insanguinato. La scultrice romana Alba Gonzales ci colpisce con la scheletrica orripilante raffigurazione della guerra e la sognante Irenea, la costruttrice di pace. Bruno Lucchi affida le sue plastiche creazioni alle poesie di Giuseppe Ungaretti che dalla guerra trasse alcuni lavori che gli valsero il Nobel. Simone Turra sceglie la terracotta e il marmo per raffigurare il peccato, la desasparecida e la riconciliazione. Elena Fia Fozzer sottolinea il contrasto fra invasione ed armonia con la filosofia geometrica

Quindici artisti in una mostra a Palazzo Trentini raccontano la malvagità della guerra e la serenità della pace. S’inaugura il 21 marzo alle 18.

del cerchi nel quadrato, lacerati entrambi dalle punte triangolari. Sergio Dangelo 85 anni e Lome, Lorenzo Menguzzato, 50 anni sintetizzano l’esperienza di due generazioni collaborando alla creazione di opere coloratissime di grande impatto visivo. Paolo Tomio sviluppa tre opere sulla strage degli innocenti usando colori freddi dove il dramma diventa agghiacciante. Adalberto Borioli affida il suo pensiero sul tramonto della ragione, causa di ogni guerra, ai colori del cielo affidando all’azzurro il sogno di pace. Aldo Pancheri affronta il tema con la consueta, colorata poesia unita alla tecnica dell’arte timbrica descrivendo l’inferno della guerra e il silenzio della pace. Pietro Verdini si lascia attrarre da alcuni sprazzi di varie tinte frammiste ai classici blu e nero, per descrivere la mostruosa ragione degli uomini, la perdita della coscienza. Il giapponese Shuhei Matsuyama confonde nei diversi toni del bianco il contrasto fra guerre e pace, la tela diventa un sudario trafitto dall’orizzonte oltre il quale s’ intravvede la speranza. Rudolph Hass si affida al collage per offrire coloratissimi ambienti quotidiani. Barbara Cappello trascende il suo essere donna non concedendo nulla alla tenerezza e ci fa riflettere sullo strazio del corpo attraversato dai proiettili delle ideologie. Silvio Cattani si lascia contaminare dalla poesia di Garcia Lorca odiato in quanto poeta e ancor di più come omosessuale. Infine Nicoletta Veronesi le cui opere geometriche, coloratissime circondano i simboli della prigionia nella guerra e della libertà in pace. La mostra aperta fino al 16 aprile, negli orari di ufficio 9-18, consente la conoscenza di artisti fra i più validi dell’arte contemporanea.

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GRUPPO TRENTINO DI VOLONTARIATO  di Chiara Paoli

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l Gruppo Trentino di Volontariato, è un'organizzazione non governativa che nasce nel 1999 per si occuparsi di cooperazione e solidarietà internazionale, con un occhio di riguardo per il sostegno a distanza e l’educazione alla cittadinanza globale. L’intento è quello di “costruire un ponte tra Oriente ed Occidente", mettendo in relazione la comunità trentina con quelle del Sud Est Asiatico. GTV si propone di sostenere soprat-

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tutto i diritti dei soggetti vulnerabili come bambini, donne e coloro che fanno parte di una minoranza. Sostenere e favorire l'auto sviluppo delle popolazioni asiatiche, è la missione dell’organizzazione che si pone quale antidoto allo sfruttamento. I progetti di cooperazione internazionale che il Gruppo Trentino di Volontariato porta avanti, vanno incontro a diverse esigenze: la tutela dell’ambiente, il sostegno dei bisogni alimentari e l’educazione. Questo ultimo punto è condizione imprescindibile per riscattarsi dalla povertà e dalla miseria, perciò da anni le energie si sono concentrate sui programmi di Sostegno A Distanza (SAD). I progetti si concentrano principalmente in Vietnam, e sono atti a garantire

la frequenza scolastica ai bambini delle aree più povere della provincia di Bac Giang. I bambini che vengono aiutati delle famiglie italiane attraverso il sostegno a distanza, versano in gravi difficoltà economiche e le loro famiglie non sono in grado di sostenerli in modo opportuno. La quota che viene versata serve a garantire ai bambini i servizi minimi necessari per garantirne lo sviluppo e l’inserimento nel contesto sociale. In particolare sono utili per assicurare ai bambini i pasti quotidiani e offrire loro un controllo medico periodico. Parte del denaro viene inoltre investito per provvedere al pagamento delle tasse scolastiche ed alla fornitura del materiale di studio e per attività culturali e ricreative. Ognuno di noi può intraprendere la via del sostegno a distanza che GTV propone, per aiutare un bambino in difficoltà a crescere e divenire autonomo. Per avvicinare sempre più i bambini vietnamiti alle loro famiglie adottive nasce il progetto “Video Messaggi viaggiano sul ponte tra Vietnam ed Ita-


lia”. Le famiglie trentine che attualmente partecipano al programma di adozione a distanza sono 103, esse ricevono ogni anno una lettera da parte dei bambini adottivi. Le letterine sono brevi e raccontano in breve la loro vita dall’altra parte del mondo, i sostenitori non sempre rispondono ed in alcuni casi, la relazione instaurata risulta debole e poco significativa. Per questo è nato il progetto di video messaggi, che vuole rinvigorire le relazioni tra le famiglie italiane ed i bambini vietnamiti che già si conoscono. I video messaggi saranno girati e montati da giovani trentini che vivranno un’esperienza di volontariato in Vietnam, avranno modo di conoscere i loro pari e realizzare con loro attività di animazione per girare i video messaggi. Nel mondo della tecnologia, i giovani impareranno a condividerla con chi è meno fortunato, avranno modo di spiegarla e di utilizzarla a fin di bene. Con questa esperienza si intende rafforzare la visione di cittadino globale nei giovani di entrambi i paesi, che par-

teciperanno attivamente al progetto. Tutto ciò è possibile grazie alla collaborazione di diverse realtà: CSDS (Centre for Sustainable Development Studies, Vietnam), Comune di Besenello, InCo (Interculturabilità e Comunicazione, Trento) e NPN-CSV (Non-Profit-Network Centro Servizi Volontariato). Si prevede inoltre la pubblicazione di un libro, che racchiuderà il materiale fotografico raccolto durante il viaggio in Vietnam e verrà arricchito con le testimonianze dei giovani di Besenello. Per sostenere in maniera creativa il Sostegno a distanza, da una storia vera, nasce anche il fumetto dal titolo L’Airone, realizzato da Anna Formilan. Quello che ci racconta è la vicenda di Minh l'Intelligente, che realizzando i suoi desideri, dette nuovo lustro al vil-

laggio di Ga in Vietnam. Perché la realizzazione di un sogno è qualcosa di più grande, che trascende tutte le culture, il colore della pelle e le distanze.

A marzo GTV propone inoltre un corso di fotografia sociale, dal titolo “Fotografa il mondo in Trentino” che si svolge dal 10 marzo al 21 aprile presso il Centro per la Cooperazione Internazionale. A seguito verrà attivato il concorso fotografico “Trova il mondo in Trentino”, in palio attrezzatura fotografica, ma anche un viaggio in Serbia, Mozambico o Vietnam, per vivere un’esperienza diretta di fotografia sociale.

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Come Eravamo

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Gruppo Amici di Borgo

ERRATA CORRIGE

Villa Pola - Via Piazza Vecchia (Roncegno) 1907

Nel numero di febbraio a pag 74 nella rubrica “ Come Eravamo” abbiamo pubblicato la foto d'epoca nomi relativa all'inaugurazione del Capitello di Don Cesare. Una nostra lettrice ci precisa che i errati. erano persone abbinati ad alcune Sig,ra La n° 9 non era la Sig.ra Maria Cincinnati Maccani ma Vanda Bossi Caron; la n° 10 non era la ma Maria Romani ma la Sig. Elda Armellini in Bossi; la n° 12 non era la Sig.ra Maria Romana Degasperi i. la Sig.ra Silvia Refatti (nipote di Don Cesare). Ci scusiamo per l'inesattezza delle indicazion


Una fiaba sulle montagne del Tesino

DONNE VESTITE DI LEGNO  di Silvia Tarter

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a montagna non è solo un luogo fisico: è anche un luogo dell’anima, e chi è nato nel ventre adombrato dalle sue pareti rocciose lo sa bene. Ovunque vada, qualunque sia la sua strada, chi vi nasce, o semplicemente respira ciò che caratterizza quel “vivere in montagna” lo conserva e custodisce sempre dentro di sè, anche solo come luogo interiore e salvifico. L’ultimo libro di Giliola Galvagni, scrittrice di Pergine nota al pubblico trentino per i suoi numerosi lavori e il suo impegno nel volontariato, sembra infatti essere sgorgato in maniera naturale e quasi necessaria, tanto che chiunque condivida un’appartenenza alla cultura alpina non può fare a meno di sentirlo un po’ suo. Donne vestite di legno (Ed. Grafiche Futura, 201 pp., nov. 2017) è nato infatti, spiega l’autrice, perché “Avevo voglia di scrivere una fiaba di montagna”,“ho srotolato una storia che era lì”. Il libro è stato presentato il 9 febbraio presso la casa della SAT di Trento, dove insieme alla scrittrice c’erano la vicepresidente della SAT Maria Carla Failo, Claudio Colpo della giunta SAT, il vicepresidente di CIPRA Italia Luigi Casanova e il trentino, docente

presso l’Accademia di Brera di Milano, Italo Bressan, che hanno elogiato questa piccola ma intensa opera davanti a un pubblico attento, che l’ha accolta con affetto. Donne vestite di legno è infatti una storia che tocca le corde del cuore e con la sua lingua volutamente semplice e la trama lineare arriva a tutti, grandi e piccoli. La storia è ambientata da un lato tra la montagne del Tesino che Giliola, amante delle escursioni conosce bene, - Pieve Tesino e Malga Sorgazza, dall’altro, al polo opposto, in mezzo al caos di una vivace Milano degli anni ’60. Lungo questa linea che unisce due luoghi tanto diversi si muove Vincenzo, ultimo di 8 figli, nato in una gelida notte del ‘48 a poca distanza dalla nascita di un vitello. Un ragazzo speciale, diverso dai compaesani, con un talento naturale, una straordinaria capacità di scolpire nel legno delle figure, soprattutto di donne. Belle, brutte, sofferenti, giovani o vecchie, tutte donne. Seguendo la sua vocazione artistica finirà quindi a studiare all’Accademia delle Belle Arti di Brera, dove inizierà una nuova vita, molto diversa dall’esistenza tranquilla e ripetitiva del Tesino. Una

scelta coraggiosa e ambiziosa, non da tutti ben accolta. Ma l’avventura cittadina di Vincenzo non lo terrà per sempre lontano dalla sua terra, da quell’ambiente montano fatto di paesaggi incantevoli, odori di pietanze che rimangono incisi nella memoria, come il profumo della polenta fumante con il latte freddo, di giornate scandite da ritmi regolari, permeate di valori e saperi consolidati. Un mondo di cui è restituita anche la genuinità della lingua nella ricerca accurata di alcuni termini dialettali (il burcio per fare il burro, la cassela del nonno di Vincenzo, riempita di stampe da vendere all’estero) che spesso condensano, come difficilmente saprebbero fare gli equivalenti tradotti, oltre al significato anche l’immagine di quelle azioni ripetute fino a divenire rituali. Per ricostruire così precisamente quel contesto Gigliola ha infatti intervistato a lungo un anziano signore del Tesino, di nome Vincenzo, che si è mostrato lieto di rievocare parole e usi di una volta, quegli usi e parole che sono patrimonio storico da conservare preziosamente, e da tramandare, anche attraverso una piccola e preziosa fiaba come questa.

Dottor Italo Bressan, Giliola Galvagni, Luigi Casanova

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MEDICINA&SALUTE

Endometriosi, patologia al femminile  di Erica Zanghellini

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’endometriosi è una di quelle patologie che colpisce le donne di cui ancora si parla troppo poco. Purtroppo possono trascorrere lunghi periodi, in alcuni casi anche anni, prima di arrivare alla diagnosi. Le donne si ritrovano a dover fare i conti con pregiudizi e discriminazioni che in alcuni casi contribuiscono al ritardo nell’accertare questa patologia. Non di rado, si riscontrano nelle loro storie anche minimizzazioni dei sintomi da parte degli specialisti. Si stima che ne soffra circa il 10% delle donne in età riproduttiva. L’insorgenza della malattia è ancora poco chiara, anche se si pensa che la causa sia multi fattoriale. Si ipotizza infatti, che possa dipendere da una serie

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complessa di eventi tra cui una predisposizione genetica, anomalie del sistema immunitario, fattori anatomici e infine fattori ambientali. Ma che cos’è l’endometriosi? Questa patologia si caratterizza per la presenza dell’ endometrio, cioè la mucosa che riveste la superfice dell’utero al di fuori della sua sede naturale, ovvero la cavità uterina. Questa mucosa infatti, invade altre parti del corpo, normalmente la pelvi, causando importanti conseguenze. E’ una patologia infiammatoria cronica che può addurre anche alla completa compromissione degli organi coinvolti. Sebbene in alcuni casi risulta essere asintomatica, spesso arreca dolori anche intensi e affaticamento generale. Dolori pelvici cronici, forti crampi duranti le mestruazioni e/o durante l’ovulazione, dismenorrea, dolore durante i rapporti sessuali, disturbi dell’intestino e della vescica e problemi di fertilità (Bulletti C., et al., 2010) sono invece nello specifico, i problemi che frequentemente si riscontrano. Ma non è finita qui, al di là della componente organica, ci sono risvolti importanti anche a livello

personale e psicologico che meritano di essere spiegati e approfonditi visto che compromettono la qualità di vita delle persone afflitte dall’endometriosi. Cominciamo col provare a metterci nei panni di una donna che soffre di questa patologia, se ci pensiamo è la propria identità, in tutte le sue sfaccettature, ad essere minata. I livelli sono tanti, c’è la componente individuale, quella sociale, quella relazionale e anche quella intima che si trovano coinvolte. Perfino le attività quotidiane possono diventare una sfida per loro. Nelle donne che presentano dolore costante, stare lunghi periodi in piedi oppure per esempio spostarsi con i mezzi pubblici diventa quasi impossibile. Capite perciò che anche il mio senso di autoefficacia e autostima potranno essere gravemente compromesse. Il possibile senso di inutilità accompagnato da sintomi di abbassamento di umore e segni ansiosi a questo punto facilmente emergeranno. Per non parlare dello stress costante scaturito dal sapere di essere malata e di non poter controllare la malattia. Alcuni studi (Low W.Y. et al, 1993) rilevano che spesso le donne afflitte da endometriosi si presentano più ansiose e più introverse di coloro che presentano altre patologie ginecologiche. Questo ci fa capire quanto impattante sia la sua presenza. Ed infine particolarmente complessa e fortemente dibattuta è la relazione tra l’endometriosi e problemi di sterilità. Non tutte le donne che soffrono di questa pa-


dipani sui diversi aspetti. Se all’inizio risulterà importante per elaborazione della diagnosi, a lungo termine sarà determinante per affrontare l’accettazione della malattia, del dolore e delle modifiche che l’endometriosi causa inevitabilmente nella vita di tutti i giorni.

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tuisce un momento di forte crisi personale ma, anche di coppia. Alla luce di quanto detto è comprensibile come le alterazioni di funzionamento d’organi e la sofferenza che questa patologia porta con sé , modifichino così radicalmente la vita, nel ambito sociale e relazionale, ma anche come impatti negativamente sul proprio sé. È quindi importante un sostegno psicologico che si

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tologia saranno infertili, ma se andiamo a verificare tra le donne che presentano infertilità una buona parte è afflitta da questo disturbo. L’infertilità nella maggior parte dei casi causerà sentimenti di inadeguatezza e incompletezza per la perdita del proprio ruolo biologico. Procreare spesso infatti, risulta essere una tappa fondamentale del ciclo di vita, e il venir meno di questa possibilità, spesso costi-

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SpecialeDONNA Non c’è più

l'8 marzo

di una volta  di Franco Zadra

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a Festa della donna ha origine dai movimenti politici femminili di rivendicazione dei diritti delle donne di inizio Novecento, ma delle sue puntuali motivazioni storiche è andata perduta la memoria. Era opinione diffusa e convinta, alimentata dalla connotazione fortemente politica dalla Giornata internazionale della donna dopo la seconda Guerra Mondiale, che l'8 marzo fosse stato scelto in memoria di una tragedia, in realtà mai accaduta, del 1908, che avrebbe avuto come protagoniste le operaie di un'industria tessile, la Cottons di New York, rimaste uccise da un incendio. In realtà, fu un altro incendio, quello della fabbrica Triangle, avvenuto a New York il 25 marzo 1911, che causò la morte di 146 persone (123 donne e 23 uomini), a riverberare una forte eco sociale e politico, e a seguito del quale vennero varate nuove leggi sulla

sicurezza sul lavoro e crebbero di molto le adesioni alla International Ladies' Garment Workers' Union, oggi uno dei più importanti sindacati degli Stati Uniti. Ma non può essere neppure quest’ultimo all’origine della Festa della donna poiché questa celebrazione si tiene negli Stati Uniti a partire dal 1909, mentre in alcuni paesi europei dal 1911, anche se in Italia solo dal 1922. I fatti che hanno portato all'istituzione di questa festa sono probabilmente legati alla rivendicazione dei diritti delle donne, tra i quali soprattutto il diritto di voto. Durante il VII Congresso della II Internazionale socialista svoltosi a Stoccarda dal 18 al 24 agosto 1907, si portò sul tavolo la “questione femminile” e il voto alle donne, con l’impegno dei partiti socialisti di introdurre finalmente il suffragio universale. Appena tre giorni dopo, alla Conferenza internazionale delle donne socialiste, fu istituito l'Ufficio di informazione delle donne socialiste e Clara Zetkin ne divenne dirigente. Fu poi Corinne Brown, il 3 maggio 1908, a presiedere la conferenza del Partito socialista a Chicago, ribattezzata poi "Woman’s Day", durante la quale si parlò di sfruttamento delle operaie, di discriminazioni sessuali e diritto di voto. Alla fine del 1908 il Partito socialista americano decise di dedicare l'ultima domenica di febbraio all'organizzazione di una manifestazione per il voto alle donne. La prima "giornata della donna" negli

Stati uniti si svolse quindi il 23 febbraio 1909. Nella seconda Conferenza internazionale delle donne socialiste, a Copenaghen il 26 e 27 agosto 1910, si decise di seguire l'iniziativa americana istituendo una giornata internazionale dedicata alla rivendicazione dei diritti delle donne. In realtà per alcuni anni negli Stati Uniti e in vari Paesi europei la giornata delle donne si è svolta in giorni diversi. A San Pietroburgo, l'8 marzo 1917, le donne manifestarono per chiedere la fine della guerra. In seguito, per ricordare questo evento, durante la Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste che si svolse a Mosca nel 1921 fu stabilito che l'8 marzo fosse la Giornata internazionale dell'operaia. In Italia la prima giornata della donna si è svolta nel 1922, ma il 12 marzo e non l'8. Nel settembre 1944 a Roma è stato istituito l’Udi, Unione Donne Italiane, e si è deciso di celebrare il successivo 8 marzo la giornata della donna nelle zone liberate dell'Italia. Dal 1946 è stata introdotta la mimosa come simbolo di questa giornata. L'8 marzo 1972 in Piazza Campo de Fiori a Roma, luogo del rogo di Giordano Bruno nel 1600, la festa della donna rivendicava tra altre cose, anche la legalizzazione dell'aborto. Oggi l’otto marzo, sotto un rametto di mimosa, è per lo più un’occasione per le donne di uscire con le amiche e concedersi qualche evasione dalla rutine, cosa che accade anche per il giorno della Befana.

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FRIDA KHALO ritratto di una donna a tutto tondo

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stata una delle donne più discusse, amate, ammirate e criticate del XX secolo: Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderón, questo il suo nome all’anagrafe, ha sconvolto i canoni dell’arte del suo tempo. Ma anche quelli del ruolo della donna. In Europa non la si conosce così approfonditamente, ma la Kahlo fu -ed è ancora- un modello per le donne del Sud America. Nata nei pressi di Città del Messico fu molto influenzata dalla personalità eclettica e creativa del padre, Guillermo, fotografo di origini tedesche, ungheresi ed ebraiche. Questi e altri eventi della vita di Frida la portarono a diventare una delle più importanti pittrici del mondo. Mosse i suoi primi passi nel “Messico moderno”, quello post rivoluzione del 1910 che video Pancho Villa e Emiliano Zapata, sostenuti dalla popolazione contadina e povera, destituire il dittatore Porfirio Diaz, difensore degli interessi dei latifondisti che affamavano il paese. Essere nata pochi anni prima, nel 1907, probabilmente forgiò la personalità di questa donna che, assieme a Isabel Allende, rappresenta ancora oggi uno degli idoli delle donne sud-americane. Personalità forte e talento artistico emersero prestissimo in Frida, assieme al suo spirito indipendente e alla sua vitalità e passionalità. Sono tutte caratteristiche che emergono prepotentemente nei suoi dipinti surrealisti, inconfondibili e indimenticabili. A forgiare il suo spirito l’incontro, già ai tempi dell’università, con gruppi di sinistra che inneggiavano alle rivoluzioni e al socialismo. Già all’epoca mostrò un’innata abilità con carta e colori, facendo ritratti ai compagni del gruppo capitanato dal giornalista Josè Vasconcelos,

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primo amore della Kahlo. Ma a segnare la sua espressione artistica fu un terribile incidente capitatole su una autobus, a causa del quale dovette subire decine e decine di operazioni, ma che, soprattutto, la costrinse a letto per un intero anno. Fu mentre era bloccata su quel letto che Frida prese in mano i pennelli e disegnò ciò che vedeva e conosceva: sé stessa. Ebbe così inizio la famosa e fortunata serie di autoritratti a noi tutti noti: sfondi dai colori accesi, quasi onirici; la pittrice di tre quarti che fissa l’osservatore… dipinti che colpiscono, e colpirono anche l’illustre pittore dell’epoca Diego Rivera che prese la Kahlo sotto la sua ala. Frida se ne innamorò e nel 1929 lo sposò - per la prima volta; un secondo matrimonio avvenne nel 1940. Nel frattempo Frida era diventata attivista del partito comunista messicano e aveva strutturato e definito la sua arte, fatta di pitture naif e di richiami alla tradizione messicana precolombiana e delle società matriarcali della Meso-America. Anticonvenzionale a 360°, Frida Kahlo ebbe una vita travagliata e ricca di avvenimenti, anche amorosi. Se il marito non le fu fedele (tradendola addirittura con la sorella), lei non fu

 di Elisa Corni

da meno e intrattenne diverse relazioni con uomini e donne, anche di un certo rilievo. Fu ad esempio suo amante il rivoluzionario russo Lev Trockij, come la ballerina e coreografa Rosa Rolando. Morì a soli 47 anni per embolia polmonare. Seppur ricca, la vita di Frida Kahlo non fu certo facile. Molte delle tragedie che la travolsero sono le protagoniste dei suoi lavori, come lo fu il rapporto ossessivo con il suo corpo, dilaniato e martoriato dopo l’incidente dell’autobus. Ma il suo valore, come donna e come pittrice è inestimabile. Lo testimoniano le mostre, come quella in queste settimane a Milano, che ci avvicinano a questa immortale icona di forza e femminilità.

Frida Kahlo con Diego Rivera - 1932


 di Franco Zadra

Per una nuova cultura del rispetto

W LE DONNE E… POVERI MASCHI! M

aschilismo e femminismo sono due “ismi” differenti, spesso usati come contrapposti sono un vero ostacolo alla comprensione e all’approfondimento culturale. Non si dovrebbe, infatti, contrapporre “maschilismo” a “femminismo” poiché il primo indica un atteggiamento socio-culturale basato sull'idea di una supremazia maschile e sulla continuità del sistema patriarcale, il secondo, usato già nella letteratura medica francese anche per riferirsi a un indebolimento del corpo maschile, diventa corrente nel contesto delle mobilitazione per il diritto di voto in Francia. Hubertine Auclert lo utilizzò, nel senso che gli attribuiamo oggi, nella sua rivista La Citoyenne, pubblicata dal 13 febbraio 1881. Con tale nome il movimento femminista è venuto alla ribalta internazionale negli anni sessanta del Novecento, con l'intento di modificare radicalmente la divisione sessuale dei ruoli femminili e maschili, e quindi di rimettere in discussione, in tutti gli

aspetti del vivere associato, una gerarchizzazione umana che riteneva gli individui di maggiore o minore valore sulla base dei rapporti di potere basati sul genere e sulle relative proiezioni sociali e politiche. A “femminismo” dovremmo opporre piuttosto il termine “mascolismo”, definito dal Gran dizionario terminologico dell'Ufficio del Québec della lingua francese, come designante il «movimento che si preoccupa della condizione maschile». Il movimento mascolista crede nell'uguaglianza dei sessi e combatte le varie forme di discriminazione contro gli uomini, ritenendo che i diritti del genere maschile (quindi sia degli uomini eterosessuali che omosessuali) siano stati eccessivamente sacrificati o criminalizzati dalla cultura occidentale, nonché dalla giurisprudenza dominante (per esempio nel diritto di famiglia o in altri ambiti), in nome di un femminismo che avrebbe a loro detta tradito la finalità egalitaria e invece perseguito suprematismo del genere femminile e un sentimento e un conseguente atteggiamento di av-

versione e ostilità nei confronti del genere maschile contro cui questi gruppi invece si battono, riferendosi anche al “ginocentrismo” come termine per identificare la maggior tutela della società nei confronti delle donne e la sacrificabilità maschile. Fatta un po’ di rotta in questo guazzabuglio di termini, risulta evidente che se esiste una “questione femminile” ve n’è un’altra, paritetica, “maschile”, e appare come un’ovvietà il dire che là dove vi è uno sbilanciamento, una rivalsa forzosa, da una parte o dall’altra, le conseguenze nefaste dello squilibrio le pagherà la parte più debole. E non è detto che sia sempre quella femminile. Tanto più che, come si evince dal “classico” del 1999 di Susan Faludi, vincitrice di un premio Pulitzer e allora direttore aggiunto di Newsweek, dal titolo “Bastonàti!” che descrive la crisi del maschio contemporaneo, conati di maschilismo esplodono là dove gli uomini (maschi) non riescono più a gestire l’ansia derivante dal vedere infrante tutte le allettanti promesse che la società ha fatto loro, riducendoli a lavoratori “in esubero”, tifosi traditi dai loro idoli, ex combattenti senza più guerre, dirigenti senza direzione, divi del cinema e attori porno con alle spalle disastri famigliari. Tutti accomunati dalla sensazione di aver perduto qualcosa: competenze, ideali, passioni, ruoli. Uno stato d’animo che a sua volta è solo il sintomo di un più vasto e profondo fallimento culturale. Dal quale però partire per superare il vecchio paradigma della lotta tra i sessi, liberarsi dal perso di una virilità ridotta a ornamento, porre le basi per una nuova cultura del rispetto, e aprirsi finalmente a una vera emancipazione che coinvolga tutti, uomini e donne.

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Le DONNE cheHANNO FATTO l’ITALIA  di Elisa Corni

rano ventuno, con idee, provenienze e appartenenze politiche differenti; nel giugno del 1946 varcarono la soglia del Parlamento e si sedettero agli scranni circondate da 535 uomini: politici del calibro di Alcide De Gasperi e Francesco Saverio Nitti e Giuseppe Saragat. Erano in netta minoranza in quella stanza ma sono le madri della nostra costituzione, la carta d’identità della nostra Repubblica. Provenivano da tutta la penisola, erano per la maggior parte (14) sposate con figli; possedevano titoli di studio (14 erano laureate) e molte di loro avevano partecipato attivamente alla Resistenza; rappresentavano molti dei partiti politici dell’epoca (9 per il Partito Comunista come per la democrazia Cristiana, 2 del Partito Socialista e una del Partito dell’Uomo Qualunque). Erano Adele Bei, Bianca Bianchi, Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Maria De Unterrichter Jervolino, Filomena Delli Castelli, Maria Federici, Nadia Gallico Spano, Angela Gotelli, Angela Guidi Cingolani, Leonilde Iotti, Teresa Mattei, An-

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gleina Erlin, Angiola Minella, Rita Montagna Togliatti, Maria Nicotra Fiorini, Teresa Noce Longo, Ottavia Penna Buscemi, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi, Vittoria Titomanlio. Questi i loro nomi, molti dei quali sono finiti nel dimenticatoio, al punto che di alcune di loro non esiste nemmeno una pagina Wikipedia, la nostra cartina di tornasole per ciò che è importante sapere e ciò che non lo è. Eppure queste 21 signore furono le prime donne a mettere piede in Parlamento, furono anche le prime elette durante la prima votazione cui ebbero accesso anche le donne nel nostro paese, quella del 2 giugno nella quale gli Italiani hanno preferito la Repubblica alla Monarchia. Furono scelte per rappresentare le istanze del mondo femminile italiano, per dare voce ai milioni di madri, figlie, sorelle che fino a quel momento non potevano nemmeno scegliere chi le potesse rappresentare. Dal 25 giugno di quell’anno fino al 31 gennaio del-

l’anno successivo quelle 21 rappresentanti del mondo femminile italiano presero parte ad accese discussioni, proposero articoli, redassero i testi che ancora oggi sono alla base del nostro vivere civile. E fecero la loro parte. Molti degli articoli sulla parità di genere, sull’uguaglianza della donna all’uomo, sul diritto all’istruzione e al lavoro furono opera loro. Teresa Mattei, la più giovane deputata, dipinta dai cronisti come una giovane con “molti bei riccioli bruni e due begli occhi vivi” risponde tono su tono ai giornalisti dell’epoca: “Io darò tutte le mie forze perché siano tolte tutte le barriere che limitano la attività culturale femminile. Mancano scuole speciali, all’Università molte facoltà sono precluse”. Dalle sue parole non traspaiono bellezza ed eleganza, ma concretezza e decisione. Come da quelle della deputata Maria Maddalena Rossi: “Una delle facoltà notevolmente frequentate dalle donne oggi è quella di chimica. […] Migliaia di dottoresse in chimica popolano oggi le nostre industrie. È interessante tuttavia notare come esse siano costantemente escluse dai compiti di direzione”. A leggere gli scritti di queste donne, vecchi di settant’anni, viene tristezza perché parlano ancora dell’oggi, della situazione delle donne pagate meno, con minor possibilità di carriera, per le quali si preferisce il bell’aspetto alla professionalità. E appare ancora moderno quanto scrisse Filomena Delli Castelli a proposito del suo ruolo nella Costituente: “E non saremmo state più considerate solo casalinghe o lavoratrici senza voce ma fautrici a pieno titolo della politica italiana”.

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È stata una delle più grandi campionesse di tutti i tempi

Sonja Henie la regina del ghiaccio Quella di Sonja Henie è una stupenda favola. Di questa vivace ragazzina nata nel 1912 a Oslo che sin dalla più tenera età scopre e dimostra una particolare predisposizione per i pattini. Da essi è attratta più di ogni altra cosa e ben presto il gioco di una bambina si trasforma in vera passione e vero amore. Una passione che l’accompagnerà per tutta la vita.

 di Armando Munaò

È

stata la più giovane pattinatrice di sempre nella storia del pattinaggio e dei giochi olimpici. Partecipò, infatti, all’età di 12 anni a quelli invernali del 1924 a Chamonix e pur giungendo ottava su otto partecipanti, gli esperti e il Rapporto Ufficiale di quell’edizione, considerato il suo eccellente programma libero, pronosticarono per lei un grande avvenire. E così fu. Nel 1927 la 15enne Sonja vinse il suo primo titolo mondiale seguito da altri dieci consecutivi dal 1927 al 1936 che la incoronarono regina incontrastata dell’artistico femminile. E a questi titoli si aggiunsero sei campionati europei (dal 1931 al 1936) e tre titoli olimpici, nel 1928, nel 1932 e nel 1936. Nessun'altra pattinatrice è riuscita finora ad eguagliare tali risultati. Secondo le statistiche è a oggi una delle sei atlete al mondo ad aver vinto tre medaglie d’oro consecutive ai giochi invernali. Gli altri, per la cronaca, furono lo svedese Gillis Grafström (1920-28) nel pattinaggio di figura, il tedesco dell'est Ulrich Wehling (1972-80) nella combinata nordica, Bonnie Blair ( USA 1988-94) nel pattinaggio di velocità, il tedesco Georg Hackl (199298) nello slittino e il norvegese Bjørn

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Dæhlie (1992-98). E altri due primati spettano a questa grandissima atleta: fu la prima ad indossare il gonnellino corto, diventato poi il costume tipico del pattinaggio artistico femminile, e la prima ad aver introdotto nel pattinaggio la coreografia della danza che fino a quel momento era soltanto accennata o eseguita con piccoli passi. Le cronache di ieri e di oggi ci dicono che Sonja è stata la regina indiscussa del pattinaggio su ghiaccio anche perché, quando gareggiava o si esibiva, dimostrava una semplicità “disarmante” esprimendo numeri di altissima scuola con una tecnica sopraffina ed unica. Nei suo volteggi evidenziava una padronanza, uno stile e un’innata eleganza che in quegli anni, e in tutto il mondo, non aveva eguali. Durante gli esercizi dimostra come le cose difficili pote-

vano diventano banali. E il pubblico, estasiato del suo “danzare”, e conscio di assistere a qualcosa di unico e di irripetibile, alla fine la salutava con lunghi e fragorosi applausi che non di rado erano accompagnati da standing ovation. Nel 1936 Sonja Henie, meravigliando il mondo intero, abbandonò lo sport agonistico e quindi lo status da dilettante per passare al professionismo. Si trasferì negli Stati Uniti, dove era già conosciuta per aver partecipato

La premiazione alle Olimpiadi del 1936


Sonja Henie e Karl Schafer

alle Olimpiadi di Lake Placid nel 1932, e intraprese la carriera artistica, sia come attrice cinematografica e sia come interprete di spettacoli sul ghiaccio. Il suo debutto hollywoodiano avvenne nello stesso anno con il film musicale “ Turbine bianco” e fu uno dei più grandi successi al botteghino della stagione 1936-1937, piazzando Sonja Henie al settimo posto tra le star dell'anno (Shirley Temple, la piccola diva della Fox, era al secondo posto). Nel 1938, visti i risultati, la 20th Century Fox la mise sotto contratto e con questa casa cinematografica Sonja Henie, lavorò fino alla fine degli anni quaranta, realizzando una decina di commedie sentimentali e musicali che la fecero presto diventare una delle celebrità più amate. Negli anni cinquanta, concluso il contratto con la Fox, Sonja Henie, sfruttando la popolarità ottenuta sia come atleta e sia con il cinema, continuò a pattinare dedicandosi esclusivamente agli spettacoli sul ghiaccio. E le sue esibizioni, parafrasando un vecchio dire, registravano sempre il tutto esaurito. Si sposa con l’armatore norvegese Niels Onstad e con lui condivide, oltre all’affetto e una vita insieme, l’interesse per il collezionismo d’arte, soprattutto con opere della pittura

contemporanea europea. Nel 1959 i coniugi espongono la loro ricca collezione, dapprima negli USA poi, in Europa ed infine in Norvegia, il paese amato e mai dimenticato di Sonja. Si ritirò definitivamente dalle scene nel 1960 per dedicarsi a tempo pieno ai “suoi” quadri e alla ricerca di nuovi artisti. Dopo numerose mostre e acquisti di numerosi dipinti, per volere di entrambi e anche perché il marito vantava già una notevole collezione personale, in parte ereditata dalla famiglia, Sonja, nel 1968, inaugura, nei pressi di Oslo, un centro d’arte e un museo espositivo vero e proprio che ospita tutti i loro dipinti: l’H en ie-On s tad Kunstsenter. Il tempo scorre e tutto sembra avere a lieto fine, ma pochi mesi dopo, la regina del pat-

tinaggio si ammala di leucemia in una forma patologia grave e senza speranza di guarigione alcuna. Il 12 ottobre del 1969 Sonja Henie muore mentre è in volo da Parigi a Oslo. Ricordata con una stella nella Hollywood Walk of Fame,ora è sepolta, come il marito, nell’amata Norvegia nel parco Henie-Onstad Kunstsenter

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Da quando

 di Franco Zadra

LE DONNE

hanno un’anima? L

a vicenda storica, ormai bimillenaria, della Chiesa cattolica, è particolarmente complessa e articolata, tanto che i cattolici, anche i più consapevoli, la conoscono in maniera insufficiente. Un autore tra i molti che di continuo contribuiscono allo studio di quella storia, Jean-Pierre Moisset, nella sua “Storia del Cattolicesimo”, edizioni Lindau, del 2008, cerca di rispondere con uno stile quasi giornalistico, a molte domande di fondo che vorrebbero recuperare quelle lacune che lasciano i cattolici di oggi in balia di revisionismi e fole storiche ormai assimilate in un bagaglio “culturale” difficile da riformare, per comprensibile mancanza di tempo, che insinuano dubbi e insicurezze altrimenti dipanati e del tutto risolti in ambiti specialistici. Un esempio tra questi è la credenza diffusa e molto radicata nell’opinione pubblica che la Chiesa avesse negato l’esistenza dell’anima delle donne, riabilitate solo di recente a persone corredate di ciò che si stenta a negare persino agli animali. Fu un polemista calvinista, Pierre Bayle, che spacciò come dato storico inconfutabile il fatto che dei vescovi avevano negato alla donna l’anima, inventandosi un inesistente decreto del II concilio di Macôn, del 585 d.C.. «I circa cinquanta vescovi presenti – scrive Moisset a proposito di quel concilio – non hanno minimamente discusso l’argomento, ma Gregorio di Tours, nella sua Historia Francorum, scritta poco prima della sua morte, nel 594 (quindi dopo neppure 10 anni da

quell’evento e con una tempestività da cronista considerando il fatto che non esistevano telecamere o registratori, Ndr.), riporta le dichiarazioni di un vescovo: “dicebat mulierem hominem non posse vocari”, ovvero “diceva che non si può applicare alla donna il termine homo”. Il problema sollevato è di ordine linguistico: era il caso di applicare alla donna il termine generico homo, che designa l’essere umano, o bisognava chiamarla femina o mulier? Dal momento che l’evoluzione del latino parlato tendeva ad assimilare homo (essere umano) a vir (essere umano di sesso maschile), l’oratore chiedeva che si prendesse atto del nuovo uso, riservando homo all’essere umano di sesso maschile (un problema attualissimo se si pensa che è diventata quasi una offesa in inglese usare “Chairman” per indicare la carica di “presidente”, ed è divenuto obbligatorio usare invece “Chairperson”. Persona in latino vuol dire “maschera di un attore”, senza indicazioni di genere, Ndr.). Gli altri vescovi non erano di quell’avviso e hanno risposto che bisognava cercare di esprimersi, oralmente e soprattutto per iscritto, in buon latino; di conseguenza, era giusto continuare a chiamare homo la donna. Per circa un millennio nessuno ha più fatto riferimento a questo piccolo aneddoto. Esso fa nuovamente capolino durante il Rinascimento, ma è soltanto alla fine del XVII secolo che un calvinista, Pierre Bayle, formula nel suo Dictionnaire historique et critique l’idea secondo la quale alcuni vescovi si sarebbero do-

mandati se la donna avesse un’anima. Naturalmente, Bayle usava l’argomento per attaccare la Chiesa cattolica. Il tema è stato avidamente ripreso nel XVIII e XIX secolo. Questo mito, del tutto privo di senso da un punto di vista cattolico, è ancora assai diffuso ai giorni nostri, nonostante le smentite degli storici». Una fake news del ‘700 confutata, dunque, che però non ci deve distogliere dall’approfondire la questione del perché la donna si sia quasi sempre (ma ci sono molte eccezioni proprio in ambito ecclessiale e addirittura nel Medioevo con la diffusione in Europa di priorati misti retti da Badesse con la stessa dignità e potere dei vescovi) trovata in una condizione subalterna rispetto all'uomo.

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DONNE E IMPRENDITRICI tra lavoro e famiglia P

er impresa al femminile, si intende un’azienda in cui la partecipazione delle donne sia superiore al 50%. In Italia, le imprese di questo tipo sono in continuo aumento. Oggi sono 1.330.000, pari quasi al 22% del totale. I dati del 2017 in Trentino, rilevano che su 51.505 imprese, quelle femminili sono 9.185 e rappresentano il 17,8% del tessuto imprenditoriale globale. La maggior parte di esse (66,7%) sono ditte individuali. In provincia, le aziende guidate da donne con meno di 35 anni sono il 25% delle imprese giovani, con prevalenza nel commercio, ristorazione e servizi. Sono dati importanti, quelli citati da Claudia Gasperetti, Presidente del movimento Donne Impresa dell’Associazione Artigiani di Trento ed Enrica Vinante, membro del Direttivo. Passione e orgoglio per il lavoro femminile ma anche grande attenzione ai problemi di conciliazione tra attività imprenditoriale, famiglia e cura dei figli. Negli ultimi decenni, la politica a sostegno della presenza delle donne nel mondo del lavoro sta cercando di colmare il gap di genere, contribuendo altresì alla crescita dell’occupazione. Nell’ottica di fare rete per promuovere e sostenere l’imprenditoria femminile, è nato il movimento Donne Impresa, che si propone come punto di riferimento per le artigiane trentine presenti e future, dando spazio e voce alle oltre 4.000 associate della provincia. Moltissime le iniziative, tra le quali spicca il grande impegno che ha portato, nel 2012, all’istituzione presso la Camera di commercio di Trento del CIF, Comitato per la promozione della Imprenditoria Femminile, che si è aggiunto a quelli già presenti fin dal 1999 nel resto

 di Sabrina Mottes

d’Italia. Il CIF è comEnrica, Claudia e Sonia beltrami che gestisce la pagina Facebook di donne im presa posto da rappresentanti di tutte le categorie datoriali del territorio trentino e, oltre che collaborare con la Camera di Commercio e con la Commissione Pari Opportunità promuove, attraverso l’Accademia d’Impresa, azioni e formazione mirata per le aspiranti e neoimprenditrici. Ha istituito, in collaborazione con l’Università degli studi di di doverla chiudere per motivi legati a Trento, due premi per tesi di laurea sul- gravidanza, maternità o alla cura dei l’imprenditoria femminile. Inoltre, ha figli conviventi di età inferiore a 12 stipulato un accordo con Casse Rurali anni. Si preclude così la continuità cone Confidi per agevolare l’accesso al tributiva, con conseguente perdita o credito alle donne imprenditrici in mo- riduzione della pensione, per sé e per mentanea difficoltà per assenza dovuta eventuali dipendenti. Presentando doa maternità, puerperio o malattia grave, manda di sostituzione pro tempore che propria o dei familiari più stretti. Grazie può anche, se nei parametri richiesti, al Comitato, è ora possibile consultare essere integrata da un contributo de anche uno sportello INPS dedicato alle minimis per coprire il costo della sostituzione, si apre dunque la possibilità imprenditrici e aspiranti tali. Iniziativa di grande importanza, inizial- per le donne imprenditrici di assumere mente promossa in via sperimentale al proprio posto una persona appositadal movimento Donne Impresa e da mente iscritta nel Nuovo Registro ProConfesercenti e in seguito, grazie anche vinciale Co-manager, o che abbia coal CIF, estesa a tutte le categorie, è il munque titoli e qualifica necessari per progetto In Tandem. Tramite un accordo l’esercizio dell’attività in forma autotra Agenzia del Lavoro provinciale e noma. Questo garantisce di mantenere associazioni datoriali, esso garantisce a attiva l’azienda, creando al contempo imprenditrici, lavoratrici autonome e li- nuova occupazione. bere professioniste che ne abbiano ne- Molte sono dunque le iniziative del CIF cessità, la possibilità di venire sostituite e del movimento Donne Impresa, azioni da un co-manager per un periodo di tese in primis all’occupazione delle dontempo più o meno lungo. A volte, si ne e alla loro dignità, lavorativa e non. presenta infatti la necessità nel corso Ma con un occhio di riguardo anche ai della carriera di una donna-imprenditrice, valori di solidarietà verso l’umanità nella di allontanarsi dalla propria azienda o sua interezza.

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Cos’è la

à t i c i l fe e cosa vuol dire essere felici

 di Armando Munaò

Da sempre l'uomo si è sempre posto numerose domande esistenziali e, purtroppo per lui, la maggior parte sono state senza risposta. Una di questa domande, e alle quali non è semplice rispondere è: Che cos'è la felicità?". Per saperne di più e per avere un giusto parere ci siamo rivolti alla nostra collaboratrice, la dott.ssa Laura Fratini, psicologa - psicoterapeuta.

Dott.ssa Fratini, cosa vuol dire stare bene? Stare bene è ciò che tutti noi vogliamo: significa innanzitutto trovare la propria dimensione, il proprio equilibrio e la propria serenità. Ma spesso è proprio la ricerca di questa felicità a rappresentare una corsa contro ogni cosa che ci rende infelici, creando quello che è un contro-senso. La felicità è un emozione universale ma non per tutti ha lo stesso significato. Le sensazioni

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che crea, però, sono le stesse: un senso di libertà, di ampiezza, di calore e una gran voglia di fare. Quindi la felicità non è per tutti uguale? L’emozione è universale, tutti gli esseri umani sono capaci di provare quest’emozione nel corpo e nella mente: le sensazioni corporee della felicità si manifestano per tutti alla stessa maniera, indipendentemente dalla nazionalità, dalla cultura, dal ceto sociale e dal colore della pelle. Quando proviamo una sensazione piacevole siamo felici e può anche accadere di essere felici in previsione del verificarsi di un determinato evento, oppure subito dopo. Anche l’eccitazione può dare origine alla felicità. In che modo quest’emozione si

manifesta, perché ci troviamo a provare la felicità non è uguale per tutti. O per lo meno la sensibilità individuale cambia e si diversifica in modo soggettivo condizionata da fattori di attaccamento, storia di vita ed esperienze di vita. E’ possibile provare felicità quando riceviamo delle lodi, quando scopriamo di piacere a qualcuno, quando succede qualcosa che migliora la nostra immagine. La gratificazione provoca felicità. Tuttavia la felicità non varia solo qualitativamente ma anche quantitativamente, ossia di intensità. Possiamo essere lievemente soddisfatti o provare la gioia più assoluta. La felicità è spesso accompagnata dal riso, anche questo può essere di intensità differente. Dal lieve sorriso a bocca chiusa si passa a quello a bocca aperta e ridente. La felicità può manifestarsi in maniera silenziosa oppure rumorosa. Dal lieve risolino si arriva alla risata, o addirittura ad una risata incontrollabile con lacrime. Di fatto dunque si può parlare universalmente di “felicità”, ma ciascuno di noi ha un modo diverso di raggiungerla e manifestarla.


Cosa ci rende tanto infelici? Come dicevo prima, essere felici è l’obiettivo di tutti ma la felicità ‘’a tutti i costi ’’ diventa una grande fatica e una battaglia che ci uccide: diverse ricerche dimostrano come le persone che hanno la propria felicità come obiettivo primario tendono, mediamente, a essere meno felici di altre. Cercare di avvicinarsi è un po’ come proporsi di riuscire a toccare l’orizzonte. Questo non vuole essere un inno al ‘’ non dobbiamo essere felici’’ ma un in-

vito a prenderci cura di tutte le nostre emozioni da quelle positive tanto agognate a quelle che purtroppo ci fanno stare peggio, ma che comunque ci comunicano qualcosa di importante. Quindi lei pensa che sia importante vivere le emozioni, anche quelle negative? Assolutamente sì. È difficile, complicato e richiede tanta energia da parte nostra imparare a stare con le emozioni più dolorose, ma è anche questo che poi ci rende ‘’felici’’. Se dobbiamo fare un esame importante, per esempio, probabilmente saremo in ansia e questo non ci piace, ma questa emozione ci comunica che siamo preoccupati per un evento al quale teniamo e ci aiuta a fare tutto quello che potremo affinchè vada bene e riesca. Quando l’esame sarà superato, la nostra ansia scomparirà e noi ci sentiremo più sollevati, quindi più felici. La felicità, la gioia, esiste se esistono anche l’ansia, la tristezza, la rabbia etc.

Ma possiamo essere felici se vogliamo? Certamente, tutti possiamo esserlo. Non è un cammino facile e immediato e sicuramente è come una altalena: lo saremo, poi non lo saremo più, poi lo saremo di nuovo. Purtroppo è così che funziona. La ricerca della felicità, senza la tolleranza e l’accettazione delle emozioni più dolorose, porta solo ad infelicità. Conviene, quindi, camminare verso la felicità sapendo che qualche volta cadremo, inciamperemo, avremo paura, ma che ciò non è terribile e non sarà per sempre. Come si concretizza la felicità all’interno della famiglia? Il sistema ‘’famiglia’’ è un sistema complesso, spesso governato da regole più o meno esplicite. Per i membri della famiglia non sempre è facile e immediato ‘’stare’’ in questa organizzazione e così si formano delle fratture, dei conflitti che mettono in discussione i singoli membri tra loro. Le fasi della vita di ogni singolo componente va ad incidere sul sistema familiare che ogni volta dev’essere capace di ri-equilibrarsi. La felicità, intesa come benessere familiare, credo possa inserirsi come capacità, prontezza e plasticità del sistema che ogni volta riesce a trovare una nuova stabilità.

Che ruolo possono avere, allora, le emozioni all’interno del sistema familiare? Credo che questa sia una domanda complessa, sulla quale si potrebbe scrivere un libro. Iniziamo ad approcciarci alle emozioni appena nasciamo. Il giorno stesso nel quale avviene il parto il nascituro piange perché, oltre ad espellere liquido amniotico e respirare per la prima volta con i suoi polmoni, è a disagio perché lascia l’unico vero ambiente protettivo e confortante della sua vita. I soggetti imparano come gestire le emozioni proprio da chi si prende cura di loro, e proprio all’interno della famiglia. Tuttavia è proprio in questo ambito che le emozioni possono diventare un’arma a doppio taglio. Anche in questo caso, nelle varie fasi della vita, la gestione e la percezione delle emozioni può essere diversa: l’adolescente spesso vive la parte emotiva in modo ‘’borderline”, diventa un elemento destabilizzante, e la famiglia si trova a gestire conflitti importanti. E qui torniamo al discorso sull’equilibrio del quale parlavo prima: si raccoglie ciò che si semina, ovvero si affrontano anche le situazioni emotive più complesse con gli strumenti che abbiamo saputo costruire nel tempo, Le emozioni sono dunque le protagoniste della nostra quotidianità, anche all’interno del nucleo familiare, che deve essere quel luogo protetto dove si possono vivere serenamente, attraverso il dialogo e il confronto e talvolta, quando costruttivo, anche lo scontro.

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Storia di una donna  di Franco Zadra

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e – come pensava Lucien Febvre – è possibile scrivere una storia degli uomini, ma mai dell’Uomo, così ha senso parlare delle donne, piuttosto che la Donna. La Storia scritta dagli uomini, però, parla poco delle donne e anche oggi accanto a questa, «persiste – come scrivono Georges Duby e Michelle Perrot nel presentare la “Storia delle donne”, edita da Laterza - una storia delle donne edificante o piena di stupidaggini, provocante o lacrimevole, che fa mostra di sé nelle riviste femminili e lusinga i gusti del grande pubblico». Vera e propria perla risulta quindi uno scritto molto antico che rappresenta, rara eccezione, l’espressione autentica di una donna che racconta di se. Si tratta del testo raccolto in “Passione di Perpetua e Felicita”, opera contemporanea anonima scritta in latino, nel quale una cristiana, chiusa in carcere aspettando la morte, tiene di suo pugno una sorta di diario dei suoi ultimi giorni, descrivendo la prigione affollata, il tormento della calura; annota nomi di visitatori, racconta sogni e visioni degli ultimi giorni. L’autrice è la colta gentildonna Tibia Perpetua, 22 anni, sposata e madre di un bambino. Carcerati con lei sono anche la giovane Felicita, figlia di suoi servi, e in gravidanza avanzata; e tre uomini di nome Saturnino, Revocato, e Secondulo. Tutti condannati a morte perché cristiani nel loro periodo di formazione. Di seguito uno stralcio di questa storia. Mio padre cercava con le sue parole di distogliermi dalla mia decisione: si ostinava, per affetto, ad allontanarmi dalla mia fede. «Padre – gli dissi -, vedi questi oggetti? Per esempio, questo vaso che è per terra, questa brocca o altro?». «Li vedo» egli disse. «Allora – gli dissi – a quest’oggetto, si può dare un nome diverso dal suo?». «Niente affatto» egli disse. «Ebbene, per me è la stessa cosa. Non posso darmi un

nome diverso dal mio: io sono cristiana». Allora mio padre, esasperato da questa parola, si gettò su di me, come per strapparmi gli occhi. Ma si accontentò di maltrattarmi e se ne andò vinto con gli argomenti ispirati dal Diavolo. Per parecchi giorni non vidi mio padre, ne resi grazie al Signore, e questa assenza fu una consolazione per me. Proprio durante questo intervallo di parecchi giorni fummo battezzati. Quanto a me, la sola cosa che chiedevo all’acqua santa, sotto l’ispirazione dello Spirito, era la forza di resistere nella mia carne. Alcuni giorni più tardi fummo trasferiti nella prigione [di Cartagine]. Io ne fui spaventata perché non mi ero mai trovata in simili tenebre. Giorno penoso! Faceva un caldo soffocante per la folla dei prigionieri. E poi c’erano i soldati che venivano a estorcerci il denaro. Infine io era angosciata dall’inquietudine che mi causava mio figlio. Allora Terenzio e Pomponio, questi diaconi benedetti che si prendevano cura di noi, ottennero con il denaro che ci lasciassero andare durante alcune ore in un luogo migliore della prigione per ristorarci. In quel momento, tutti i prigionieri uscivano dalla segreta e facevano quel che volevano. Io allattavo il mio bambino che moriva di fame; inquieta per lui, ne parlavo con mia madre. Poi confortavo mio fratello, raccomandandogli mio figlio. Mi consumavo dal dispiacere ve-

dendo i miei dispiacersi per causa mia. Queste inquietudini mi fecero soffrire per molti giorni. Ma ottenni che mio figlio restasse con me nella prigione. Subito egli riprese le forze. Io fui liberata dalla pena e dall’inquietudine che mi aveva causato il bambino. La prigione divenne improvvisamente per me come un palazzo: e mi ci trovavo meglio che in qualsiasi altro posto». Il nome di Perpetua, compare nel calendario dei martiri del 354 a Roma, il 7 marzo, «Perpetua e Felicita in Africa».

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Gender Pay Gap

quando il genere fa la differenza

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iamo nel 2018 e, tra quote rosa e politiche di integrazione al lavoro, si ha la sensazione che la situazione delle donne, per lo meno in occidente, sia migliorata. L’uguaglianza di genere, una delle richieste del movimento femminista degli anni Sessanta e Settanta è stata davvero raggiunta? La risposta è purtroppo un secco “no”. Uno dei fattori di profonda disuguaglianza è il redito. Con “gender pay gap” si indica appunto la differenza retributiva di genere: le donne, ovunque nel mondo, guadagnano meno dei loro colleghi. Diversi studi e ricerche sono la prova tangibile di questa triste e ingiusta differenza. Gli statisti distinguo tra due differenze di salario. La prima, adjusted o corretta, indica la differenza fisiologica, quella determinata dalle ore effettive di lavoro, dal tipo di professione e dai periodi di pausa. Su questa influiscono fortemente fattori come la maternità e il part-time, che coinvolgono soprattutto il gentil sesso e che determinano un oggettivo calo dell’impegno lavorativo. Per questa differenza c’è poco da fare dato che nella società odierna è quasi sempre la madre a mettere il lavoro in secondo

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piano. Politiche di coinvolgimento dei padri stanno però mostrando come un mondo diverso si può costruire dove entrambi i genitori sono occupati nella gestione della casa e della prole. Esiste però una seconda differenza salariale, not adjusted, non corretta quindi da fattori esterni al mero lavoro, ed è qui che le cifre si fanno impressionanti. Secondo il Forum Economico Mondiale negli Stati Uniti, ad esempio, per ogni dollaro guadagnato da un uomo, una donna riceve 78 centesimi: il 22% in meno. E quella delle cittadine d’oltre oceano è una condizione tutto sommato buona. L’OECD, l’agenzia intergovernativa di cooperazione e sviluppo che raccoglie attorno ai propri principi 35 paesi del mondo, ha analizzato a fondo i dati relativi al 2008. Dieci anni fa il divario salariale tra donne e uomini raggiungeva picchi di oltre il 30% (Corea del Sud, 37%) per raggiungere il 5% del Lussemburgo. Sul podio, stranamente in senso positivo, anche l’Italia di un decennio fa, con un divario salariale di soli sei punti percentuali. Solo sei anni dopo, nel 2014, le stime

 di Elisa Corni

dell’Unione Europea collocano al primo posto la meritevole Slvenia, con una differenza salariale media di meno di tre punti percentuali (2,9%) seguita da Malta (4,5%) e Italia (in aumento rispetto al 2008, con 6,5% di retribuzione in meno per il gentil sesso). In fondo alla classifica, invece, Repubblica Ceca (22,1%) Austria (22,9%) e Estonia (con ben il 28,3% di guadagno in più per gli uomini). La media nella nostra unione è di oltre il 17% in meno di guadagni per le donne rispetto ai loro colleghi uomini a parità di ore lavorative, tipologia professionale e formazione. Una delle conseguenze di questa differenza, oltre alla diversa disponibilità immediata di denaro e all’ingiustizia profonda che si cela dietro a questa differenza, è legata alle pensioni. Con i sistemi pensionistici in vigore nella maggior parte dei paesi presi in esame dalla statistica europea di riferimento, a guadagni minori corrispondono pensioni inferiori. Se a queste si aggiungono i periodi di pausa lavorativa dovuti a gravidanze e maternità, molte donne europee rischieranno, raggiunta la pensione, di vivere in condizioni di semi-povertà.


Il 17,5% di guadagni in meno si trasforma nel rischio concreto per quasi una donna europea su quattro (il 22%), di dover affrontare seri problemi economici una volta superati i 65 anni di età, contro il 16% degli uomini. In un recente studio a firma Danese (uno dei paesi in cui si sta cercando di contrastare il più possibile il gender pay gap) gli studiosi hanno individuato un importante fattore di differenza di genere: è con la maternità che si crea l’abisso salariale. Già da tempo i ricercatori avevano notato che le giovani donne guadagnino esattamente quanto i loro colleghi maschi. Questa parità subisce un drastico crollo nel momento in cui le donne hanno figli. Lo studio ha evidenziato che se per gli uomini avere un figlio non intacca minimamente i guadagni collegati al lavoro, per le loro colleghe purtroppo non è così. Con la nascita di un figlio, il salario medio femminile crolla del 20%, e non riesce più a raggiungere il guadagno delle loro

colleghe senza figli. Ma il 2018 si apre con una buona notizia. Dal primo gennaio, in Islanda, è in vigore una legge che obbliga i datori di lavoro (pubblici e provati) a retribuire

allo stesso modo tutti i dipendenti, senza differenze di genere. I dati relativi al gender pay gap sono rappresentati nell’infografica in queste pagine.

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La scienza si fa donna M

arie Curie, Rita Levi Montalcini, Margherita Hack. Sono solo alcuni e forse i più noti nomi di donne scienziate. Se invece pensiamo ai nomi di scienziati uomini, la lista si fa lunga, quasi infinità. Che la scienza non sia donna? I dati statistici ci dicono che purtroppo è così. Le donne col camice e la provetta sono meno dei loro colleghi maschi, in tutto il mondo. Ma il loro numero è in costante crescita, e il ruolo del gentil sesso nell’ambito della ricerca scientifica si sta facendo sempre più importante. Basta prendere in mano la lista che ogni anno la prestigiosa rivista scientifica Nature stila per presentare le 10 persone più importanti della scienza nell’anno appena concluso. Nel 2017 di queste 4 sono donne. Seppure in minoranza, le donne scienziate non sono da meno dei loro colleghi in giacca e cravatta. Le quote rosa della classifica di Nature vedono menzionata la dodicenne Emily Whitehead, prima testimone vivente delle potenzialità dell’immunoterapia nella lotta contro il cancro. Affetta da una grave forma di leucemia, la bambina è stata trattata -e sembrerebbe completamente guarita- con terapie innovative. Sempre in ambito medico è l’operato della seconda menzione rosa di Nature, che va alla genetista e oncologa australiana Jennifer Byrne. Grazie a un software da lei realizzato, che individua errore in paper e ricerche prima della loro pubblicazione sulle riviste internazionali, la comunicazione scientifica ha fatto balzi in avanti. Non è una scienziata, ma un’avvocato che da anni dedica le sue energie nel combattere le molestie sessuali e il gender gap (la differenza di trattamento tra uomini e donne) in ambito accademico la terza donna menzionata nella classifica. Si tratta di Ann Olivarius,

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premiata dalla rivista scientifica perché si batte per i diritti civili anche in ambito scientifico. Tutta italiana è invece la quarta scienziata. Si tratta della giovane ed entusiasta Maria Branchesi. Magari il suo nome non ve lo ricordate, ma è sua la firma sull’evento scientifico più importante del 2017: la prima osservazione sperimentale delle onde gravitazionali. Astrofisica made in Bologna, dal 2006 si è concentrata sulla radioastronomia e sullo studio dei buchi neri. Dopo un breve periodo di lavoro presso il California Institute of Technology (lì ha conosciuto anche colui che è diventato suo marito, il fisico tedesco Jan Harms) è tornata in Italia grazie a una borsa di studio del Miur (Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca). Sul Gran Sasso, assieme a un team di fisici e scienziati, la Branchesi si è occupata di onde gravitazionali, entrando poi a far parte del progetto LIGO/Virgo, quel favoloso gruppo di esperti internazionali che ha permesso di individuare le misteriose onde gravitazionali. Questi sembrano essere die casi isolati, eppure la scienza “non può permettersi di ignorare metà del suo genio creativo” ha affermato Irina Bokova, direttrice generale dell’UNESCO, in occasione della Giornata Internazionale per le Donne e le Ragazze nella Scienza l’11 febbraio 2017. I numeri, per ora sono purtroppo poco incoraggianti. Secondo uno studio condotto dall’ONU in ben

Marie Curie

Rita Levi Montalcini

Margherita Hack 14 paesi le probabilità che una ragazza consegua un titolo di studio in materie scientifiche è decisamente inferiore a quella dei loro compagni maschi. Fortunatamente politiche e iniziative internazionali puntano a promuovere il ruolo delle donne nella scienza, al punto che l’uguaglianza di genere anche in ambito scientifico è tra i 17 punti imprescindibili per l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile dell’ONU. (E. C.)


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RE-VELATION il velo nel nuovo millennio I

l Museo Diocesano Tridentino, da molto tempo affianca alle mostre dedicate all’arte medievale e moderna, esposizioni legate al contemporaneo finalizzate a far riflettere su alcuni temi di attualità. Si inserisce in questo filone la mostra Re-velation, composta da 20 fotografie realizzate dall’artista Carla Iacono, incentrate sul tema del velo come elemento trasversale a più culture. Maria Giuseppina Muzzarelli, capofila di una ricerca sulla storia del velo in occidente, afferma che il velo "è una mina da disinnescare". Assumere consapevolezza rispetto al fatto che il velo non sia prerogativa dell'Islam e che chi lo indossa può farlo semplicemente per legarsi alla propria tradizione o al paese che ha lasciato, e non per rifiutare i valori sella nostra società, può aiutare. Dietro la paura si nasconde una necessità impellente, quella della convivenza, il processo migratorio è qualcosa che non si può fermare, se gli Stati Uniti d’America appaiono già pienamente come una società multirazziale, questo è il destino che ci attende e con il

La mostra RE-VELATION è visitabile fino al 30 aprile con ingresso gratuito presso il Museo Diocesano Tridentino. Orari di apertura: lunedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato: 9.30-12.30 / 14.00-17.30; domenica: 10.00-13.00 / 14.00-18.00, chiuso il giorno di Pasqua. PROSSIMI APPUNTAMENTI: • Venerdì 16 marzo 2018 - ore 17.30 IL VELO NEL MONDO ISLAMICO Con Sumaya Abdel Qader e Sara Hejazi • Venerdì 13 aprile 2018 - ore 20.30 IN PRIMO PIANO. IL VELO NEL CINEMA Con Nibras Breigheche e Katia Malatesta

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quale dobbiamo imparare a convivere. Per farlo c’è bisogno di uno sguardo pulito, scevro da ogni pregiudizio, quello che dobbiamo chiederci è se il velo di queste donne sia una scelta o un imposizione. Nel primo caso è giusto rispettare una libera scelta, spesso fatta per mantenere un legame con la terra d’origine e con le proprie tradizioni. Se vissuto come un obbligo il velo diviene già un peso per loro, senza bisogno dei nostri sguardi giudicanti. D’altra parte la nostra memoria è troppo spesso corta o limitata a quello che vogliamo vedere, il velo infatti fa parte anche della nostra cultura e se ve lo siete dimenticato questa è l’occasione per rispolverare la mente. Nell’antica Roma il velo era elemento fondamentale del matrimonio, per la donna non si utilizzava il verbo sposarsi, ma il termine “nubere” che significava letteralmente prendere il velo. In quel caso il velo portava il nome di flammeum, dato il suo colore rosso fuoco; durante la cerimonia veniva innalzato e teso anche sul capo dello consorte. Sopra il velo veniva posata una ghirlanda di maggiorana e verbena intrecciate, tale accessorio diviene più variopinto e arricchito di mirto e fiori, in età imperiale. Questo copricapo da emblema iniziatico, in epoca cristiana diviene simbolo di pudore e innocenza, il rito nuziale religioso veniva infatti consacrato attraverso la benedizione presbiterale, ma anche per mezzo del velo, in questo caso di colore bianco. Nel Nuovo Testamento è infatti San Paolo che nelle Lettere ai Corinzi scrive: “ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo, manca di riguardo al proprio capo, poiché è lo stesso che

 di Chiara Paoli

se fosse rasata. Se dunque una donna non vuol mettersi il velo, si tagli anche i capelli! Ma se è vergogna per una donna tagliarsi i capelli o radersi, allora si copra.” In epoca paleocristiana le donne erano tenute a velarsi il capo, la stessa Madonna e le sante rappresentate nei secoli, anche attraverso i capolavori artistici che ammiriamo nei musei e nelle chiese, hanno il capo velato. Le suore ancor oggi, quando scelgono di sposare il Cristo scelgono il velo, eppure noi non giudichiamo il loro velarsi. Ma non bisogna andare poi tanto in là nel tempo, se pensiamo che il Codice di Diritto Canonico del 1917, prescriveva alle donne di tenere il capo coperto in Chiesa, soprattutto durante la Santa Comunione. L’ultimo codice di Diritto Canonico, datato 1983 non menziona più l’obbligo del velo in chiesa, anche se ancora qualcuno sceglie di indossarlo nel momento dell’eucarestia o in occasione della celebrazione di funerali, scegliendo in quest’ultimo caso la veletta nera.


Un’Italia sempre più vecchia  di Elisa Corni

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taliani popolo di mammoni. Sarà anche così, eppure leggendo gli ultimi dati statistici pubblicati dall’STAT ai primi di febbraio viene spontaneo chiedersi: “di quali mamme?” Sì, perché il primo numero che salta all’occhio è proprio quello relativo alle nascite, e di conseguenza alle maternità. La popolazione italiana, nel 2017, ha registrato un calo che, seppur minimo (solo -1,6 per mille), è indicatore di una tendenza ormai chiara nel Bel Paese: si fanno meno figli (anche gli immigrati) e si abbandonano le italiche coste per paesi dove trovare lavoro meglio pagato è più semplice (anche questo vale non solo per gli italiani). Meno figli, certo, ma quanti in meno? Beh, sappiate che l’anno appena finito ha segnato un -2% di nuovi nati nel nostro paese. Dal 2008 a oggi, il numero di nascite è in costante calo: dieci anni e si è passati da 577 mila nascite ad appena 464 mila, passando per le 473 mila del 2016. Dati tutt’altro incoraggianti per il futuro della penisola, soprattutto se osservati più nel dettaglio. Solo quattro le regioni mostrano un incremento delle nascite rispetto ai 12 mesi dell’anno precedente:

Molise (+3,8%), Basilicata (+3,6%), Sicilia e Piemonte (rispettivamente con +0,6 e 0,3% di nuovi nati). Per tutte le altre, anche il fecondo Trentino AltoAdige valori sotto zero. Preoccupano sicuramente il -7% del Lazio e il -5,3 delle Marche. Il numero medio di figli (1,34 a donna) è invariato rispetto al 2016, con valori più alti al Nord (1,39 figli per donna e ben 1,75 in Provincia di Bolzano) e più basi al Sud (1,30). Ma allora perché la natalità è crollata? Due i fattori incisivi in questo senso: in Italia sono sempre meno le donne in età feconda (stabilita da ISTAT nella fascia 15-50 anni) e l’età riproduttiva si è spostata molto verso l’alto. A proposito di questo secondo dato, il nostro istituto nazionale di statistica ci fa notare che la media d’età delle donne in età feconda è passata dai 33,8 del 2008 ai 35,2 del 2017. Inoltre, il tasso specifico di fecondità si è proprio spostato rispetto a dieci anni fa. Se, infatti, nel 2007, le fasce d’età più feconde erano quelle dai 20 ai 34 anni, oggi assistiamo a una vera e propria inversione di tendenza, con sempre più donne over 35 che fanno figli. È una scelta vera e propria quella delle donne

italiane -come le loro compagne di tutto l’occidente, d’altro canto. Il tasso di fecondità delle meno giovani si è alzato. Come anche l’età media del primo parto: nel 1980 era poco dopo i 27 anni, oggi sfiora i 32. Ma anche il tema della popolazione in generale ha delle ricadute sul numero di bambini e di mamme (e papà) in Italia. Nel 2017 il nostro paese ha registrato il peggior risultato storico in quanto a saldo naturale - ovvero la differenza tra nati e morti. Questi ultimi sono stati 183 mila in più rispetto alle nascite e il 5% in più rispetto all’anno precedente. A queste si deve aggiungere anche lo spaventoso numero di connazionali emigrati all’estero: 153 mila, quasi quanto il saldo naturale. Molte di queste sono donne in età fertile, che lasciano l’Italia e, se fanno figli, non li fanno “a casa”. Fino a qualche anno fa, a salvarci la faccia ci pensavano gli stranieri che avevano infatti la tendenza ad avere un numero maggiore di figli. Nel 2017, per il secondo anno consecutivo, il numero dei figli di stranieri è sceso sotto quota 70 mila nuovi nati. Era dal 2007 che non accadeva.

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IL LIFE COACH  di Armando Munaò

Dott.ssa ci presenta un Life Coach. E' una persona che non segue o indirizza il cliente verso precisi o particolari obiettivi, ma lo forma e lo plasma affinchè questi possa avere i giusti e appropriati approcci verso le sfide quotidiane, siano esse private, familiari o di lavoro. E nello stesso tempo corregge quei particolari atteggiamenti sociali che non sempre sono costruttivi e appropriati. Quando si parla con un professionista, che sia un life coach o un terapista, Stefanie Ziev, una delle più esperte americane in questo campo, sottolinea l’importanza di confessare le proprie difficoltà, di aprirsi sulle cose contro le quali si combatte e dire apertamente dove ci piacerebbe arrivare, da quel punto di partenza. Questo consente al paziente di lavorare verso uno scopo, acquisire maggiore sicurezza, pace mentale e trovare un senso alla propria vita.

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Il Life Coach è un professionista molto diffuso in Europa, America e Australia. La sua specifica funzione è di aiutare e accompagnare la persona verso un proprio successo personale, a migliorarsi e, nel contempo, facilitare, con il dialogo, il superamento di momenti difficili. Per conoscere meglio questa figura abbiamo intervistato una di queste professioniste, la dott.ssa Diana Gasparini.

Ci sono particolari settori del quotidiano entri i quali il Life Coach opera? Certamente e sono tutti quei piccoli universi che fanno parte del nostro vivere: la vita di coppia, l’educazione dei figli, la gestione famigliare ed economica, i problemi e i rapporti con il vicinato, le relazioni di e sul lavoro. Insomma in qualsiasi ambito che può determinare o far nascere problematiche permettendo al cliente di affrontare la situazione con un’ attiva e dinamica percezione mentale. Dott.ssa, abbiamo sentito anche parlare di Counselor. Può meglio spiegarci la differenza che esiste tra questa figura e il Life Coach? Il primo, come dice la parola stessa, “consiglia” e agisce offrendo un vero supporto emotivo nei momenti particolari e critici, il secondo ovvero il Life Coach è quello di definire e stabilire gli obiettivi e le mete da raggiungere. Per la cronaca esiste anche una terza figura che è il “Mental Coach” ovvero colui il quale offre un vero aiuto a sportivi, manager e a liberi professionisti. E la differenza tra Life coach e psicologo? Queste due professioni sono molto diverse tra di loro poichè si occupano di due rami completamente differenti. Il Life Coach si rivolge a persone senza particolari disturbi e che vogliono solo migliorarsi nell’affrontare le sfide quotidiane e i problemi della vita. In un tempo

La Dott.ssa Diana Gasparini non molto lungo. Lo psicologo invece ha il precipuo compito di trovare una terapia efficace per disturbi riconosciuti a livello clinico e il percorso di un paziente che si serve del supporto psicologico può durare anche un paio d’anni, con sedute abbastanza regolari. Come agisce e opera un Life Coach? E' bene sottolineare che questo particolare operatore di solito non da mai consigli se prima non ha fatto le “giuste domande” per meglio conoscere gli obiettivi che si vogliono raggiungere. E solo dopo aver fatto chiarezza su queste mete, spiega al cliente il modo più preciso, opportuno e funzionale per raggiungerle. Un buon Life Coach, quindi, deve essere capace di mettere al centro le potenzialità di un individuo, ponendo domande critiche e stimolanti, di aumentare le prestazioni e di conseguenza la gratificazione personale attraverso il soddisfacimento delle proprie “esigenze”. Il Life Coach si può considerare, a tutti gli effetti, una vera guida, un consulente di vita che non interferisce mai sulle logiche esposte, bensì cerca la giusta soluzione offrendo molte e nuove prospettive per pensare e agire diversamente. Il tutto per poter prendere consapevolezza e quindi concretizzare i cambiamenti desiderati.


Il cliente, come può capire di avere bisogno dell'aiuto di un Life Coach? Gli esempi che si possono fare sono tanti: quando ci si deve meglio orientare nel mondo del lavoro; quando è necessario affrontare un cambiamento importante o un qualcosa che possa migliore la quotidianità lavorativa; nel campo della scuola, dell'università e non di rado anche dopo una separazione o un divorzio; quando ci cerca un vero cambiamento o un progresso, oppure per superare particolari momenti burrascosi. La dott.ssa Diana Gasparini è Psicologa, Consulente Esistenziale e Life Coach.

I NUMERI UNO AL MONDO Al primo posto dei top coach del rank mondiale troviamo Marshall Goldsmith, noto per l’insegnamento di tecniche nel campo del Business Coaching. È autore di 32 libri sull’argomento e ha vinto il premio Harold Longman Award per il suo libro What Got You Here Wont Get You There, ovvero Ciò che ti ha portato qui non ti farà andare avanti, come miglior libro per il business dell’anno. Per il suo impegno nell’attività di Mental Coach Goldsmith ha ricevuto un riconoscimento nazionale dal Wall Street Journal. Tutt’ora attivo e tra i pensatori più influenti è sicuramente il numero uno tra i Top Mental – Life Coach di tutto il mondo. Al secondo posto della classifica dei Top Mental Coach si posiziona David Allen, fondatore della David Allen Company, società di consulenza e coaching e autore di numerosi best-seller e articoli pubblicati su diverse riviste di successo specializzate nella produttività personale, Allen da oltre 30 anni ricopre i primati nel settore. È stato anche nominato tra i “Top 100 leader di pensiero” da Leadership Magazine e “uno dei pensatori più influenti del mondo” da Fast Company per la sua competenza nella gestione del tempo e dello stress e le metodologie innovative utilizzate nella sua attività di Mental Coaching. Il suo metodo viene oggi insegnato a professionisti privati e gruppi aziendali ed è stato riconosciuto efficace nell’aumento delle prestazioni e dei profitti. Al terzo posto l’italiano Roberto Re, con oltre 20 anni di esperienza nel settore e circa 250.000 partecipanti ai suoi corsi, è tra i leader indiscussi del settore in tutto il mondo. Autore di “Leader di te stesso”, “Smettila di Incasinarti” ed “Energy”con Roy Martina, ha venduto oltre 300.000 copie. Grazie alle tecniche di Mental Coaching e la sua instancabile passione ha aiutato persone famose e non a raggiungere risultati di eccellenza, come la campionessa di tiro al volo Jessica Rossi, medaglia d’oro alle Olimpiadi di Londra del 2012.

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WONDER WOMAN ed il regno delle

Amazzoni Il miglior rimedio per rivalorizzare le qualità delle donne è creare un personaggio femminile con tutta la forza di Superman e in più il fascino di una donna brava e bella. (William Moultom Marston)  di Chiara Paoli

È

nel dicembre del 1941, che lo psicologo William Moultom Marston, con l’aiuto del disegnatore Harry G. Peters, danno vita al personaggio di Wonder Woman, su richiesta della casa editrice National, oggi nota come DC Comics. Nei fumetti mancavano le protagoniste femminili, Marston, sostenitore del femminismo (oltreché inventore della macchina della verità), plasmò il personaggio di Diana Prince, per dare alle donne, un modello di riferimento, capace di portare avanti con fermezza i loro ideali: La storia di Wonder Woman ha vissuto per molti anni nei fumetti, per poi passare alle serie Tv, trasmessa per anni anche in Italia con la mitica Lynda Carter. Più recentemente Diana è tornata sul

grande schermo grazie all’attrice e modella israeliana Gal Gadot, con il film datato 2017 e diretto da Patty Jenkins. La trama del film ripercorre quella dei fumetti; Ippolita, è la regina delle Amazzoni e vive con il suo popolo di sole donne guerriere sull'Isola Paradiso, ma desidera fortemente una figlia. L’amazzone rivolge quindi la sua preghiera alla dea Afrodite, che dona la vita ad una statua, facendo nascere dalla pietra, Diana. La madre non vuole che la figlia venga addestrata alla guerra come tutte le altre amazzoni, ma lei lo desidera fortemente e si esercita di nascosto con Antiope, sorella di Ippolita e capitana dell'esercito.

Napoli - Amazzone morente a cavallo

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Gal Gadot - nel film del 2017 Sulle coste dell’isola giunge un giorno Steve Trevor, pilota degli Stati Uniti d'America, inseguito dai tedeschi, contro cui combattono le valorose Amazzoni; purtroppo nella battaglia Ippolita perde la vita. Le amazzoni vorrebbero uccidere anche il soldato inglese, ma Diana lo salva, vuole interrogarlo; in Europa si sta combattendo la seconda guerra mondiale, ed i terribili racconti di Steve inducono la giovane a credere che Ares sia tornato e che tocchi a lei sconfiggerlo definitivamente. Decide quindi di seguirlo e raggiunge Londra ed il mondo degli umani assieme al soldato; con lui si appresta a combattere contro i nazisti e contro Ares, con l’aiuto dell’apposita spada Ammazzadei. Ma il mito delle Amazzoni è molto più antico dei fumetti novecenteschi, e trova riscontro in numerosi scrittori greci come Erodoto, che nel 450 a. C. a nord del Mar Nero ode il racconto di spietate donne guerriere che denomina Amazzoni; gli Sciti le chiamano Oiorpata cioè “quelle che uccidono gli uomini”. “un tempo esistevano le amazzoni, figlie di Ares, e abitavano presso il fiume Termodonte. sole fra i popoli vicini, esse


Amazzone - Museo del Louvre

indossavano armature di ferro. furono le prime ad apprendere l’arte di cavalcare: sorprendevano a cavallo il nemico disorientato, raggiungendolo se fuggiva, sfuggendolo se le inseguiva. donne quanto al sesso, erano considerate uomini per il coraggio”, così Lisia nel V secolo avanti Cristo, descrive le donne guerriere. Molte sono le versioni per giustificare il loro nome, la maggior parte ritengono che il significato sia "senza seno", si racconta infatti che le Amazzoni si tagliassero una mammella per riuscire a tendere meglio l'arco. Altre fonti riportano al contrario come significato "grande seno", e questo è quello che appare dalle raffigurazioni artistiche giunte sino a noi, che mostrano bellissime donne dotate di entrambi i seni. Le Amazzoni vivono nella regione della Scozia, o forse nel Caucaso, non tutte le fonti concordano; non tolleravano la presenza di uomini, se non schiavizzati e storpiati per renderli innocui e quindi utilizzati per svolgere i lavori più umili. Gli uomini sono però necessari alla ri-

produzione, e quindi ogni primavera le donne per due mesi soggiornano nei territori dei Gargareni, le amazzoni nell’oscurità e senza farsi riconoscere dall’amante si accoppiano per garantire nuova vita. Fanno quindi ritorno a casa e qui vengono alla luce le creature; le femmine rimangono a vivere nel regno delle Amazzoni e vengono allevate secondo le usanze delle madri alle arti della guerra e della caccia, mentre i maschi vengono inviati nel territorio Gargareno, dove vengono adottati dagli uomini, senza sapere in realtà chi sia il padre. Queste mitiche figure, trovano posto in scritti come l’Iliade e l’Odissea, il nome di Antiope, regina delle Amazzoni si lega inoltre al mito di Eracle e di Teseo, dall’amore per quest’ultimo nascerà Ippolito, protagonista del drammatico scritto di Euripide. Questo a dimostrazione dell’immortalità dei miti greci, che ancor oggi, a distanza di 2500 anni, rivivono sotto forma di rielaborazioni scritte o trasposizioni cinematografiche, che non smettono mai di affascinare il grande pubblico.

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Passione

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arzo aria di primavera, i primi fiori sono già sbocciati: primule, violette, forsizie, gelsomini di san Giuseppe, calicanti, di cui si apprezzano i profumi. E’ tempo di rimuovere la pacciamatura invernale e rimboccarsi le maniche per tutti gli appassionati del giardinaggio e per chi si occupa di orticoltura. Orto e giardino si risvegliano e richiedono nuovamente le nostre cure, è ora di fertilizzare il giardino, ricordando che alcune piante come azalee e rododendri hanno bisogna dell’apposito terriccio per acidofile. Il fertilizzante è utile a migliorare la composizione del terreno per favorire lo sviluppo delle radici che porteranno notevoli miglioramenti alle piante che risulteranno più compatte, con foglie più sane e fioriture più ricche e prolungate nel tempo. Elementi fondamentali per lo sviluppo ottimale della pianta sono azoto, fosforo e potassio. Il primo stimola la crescita,

mentre il secondo favorisce fioritura, fruttificazione e la formazione di radici e tuberi sani. Il potassio infine serve a stimolare lo sviluppo di nuove foglie, agevolando l’assorbimento dell’acqua e dei contenuti nutritivi. Il fertilizzante maggiormente utilizzato è lo stallatico, quello che in gergo chiamiamo letame e che in primavera emana nell’aria profumi poco gradevoli, ma assolutamente funzionali alla rigenerazione del terreno, per assicurarsi un ottimo raccolto. Altri concimi sono formati da compost, torba, terra da giardino e da vaso, di diversa composizione organica, vengono adoperati per arricchire il terreno. Il vantaggio dei fertilizzanti di tipo organico è che gli elementi nutritivi vengono assorbiti gradatamente dal terreno e successivamente dalle piante. Esistono in commercio anche fertilizzanti artificiali o inorganici, che vantano una composizione equilibrata e tarata su

esigenze specifiche di particolari tipi di piante. Essi non influiscono sul terreno, né sulla sua struttura e vengono rilasciate molto più rapidamente alle piante. Nel loro utilizzo è fondamentale seguire il dosaggio prescritto sulle confezioni, per non rischiare di danneggiare le piante. Rimane il fatto che il terreno necessita anche sempre e comunque periodicamente di fertilizzanti organici per non impoverirsi. Dopo aver distribuito il concime, è sempre consigliato di irrigare ampiamente, in modo da distribuire gli elementi nutritivi il più uniformemente possibile nel terreno, così che le radici possano gradualmente assimilarli. La primavera è il momento propizio per fare acquisti, interrare nuovi arbusti ed eventualmente riprogettare gli spazi verdi. Anche i manti erbosi necessitano di essere concimati, e se necessario il periodo primaverile con le sue piogge è d’aiuto, per diffondere al meglio gli erbicidi contro le piante infestanti come le graminacee. Questo è anche il momento ideale per arieggiare il terreno, effettuando quella che viene definita la scarificazione del prato, volta a rimuovere il muschio e le erbacce invernali. Per farlo esistono diverse tipologie di aeratori, quelli a mano, che sono tipo dei carrelli a spinta, alcuni con chiodi rotanti, altri piuttosto somiglianti a dei semplici rastrelli; comodissimi poi a tal fine sono i pratici sottoscarpe con chiodi. Le zone più aride e prive di verde vanno quindi riseminate, ma prima di farlo è necessario aggiungere nuovo terriccio, meglio se specifico per manti erbosi. E’ il tempo ideale inoltre per mettere a dimora le piante a radice nuda, come gli alberi da frutto; e di potare rose, siepi, edera, clematidi, lavanda ed erica. (C.P.)

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IL TIRO A SEGNO NAZIONALE DI STRIGNO

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ra le società sportive - ludico-ricreative che operano in Valsugana, un posto di assoluto rilievo deve essere riservato al Tiro a segno nazionale di Strigno. Una struttura che nella nostra zona non ha eguali e non tanto per la planimetria utile o le aree “tiro” (sono oltre 2.600 mq più altri 600 riservati a sale riunioni, uffici e aule didattiche), quanto e principalmente per il numero dei tesserati e simpatizzanti che vanta. Nel 2018, infatti, sono stati oltre 200 le persone che hanno ottenuto la tessera sociale e questo numero è in continua crescita. A Strigno esisteva già un poligono di tireo, ma solo nel 1984 si ricostituì l’attuale tiro a segno che ha avuto come prima sede un grande scantinato situato sotto la scuola di Strigno. Ed è in questa sede che nascono i primi “Guglielmo Tell”

con la pistola e carabina. Tiratori inizialmente veri dilettanti, ma poi, nel tempo e con il tempo, si sapranno trasformare in veri atleti uniti da gioia e passione e da un dinamico agonismo che sarà foriero di ottimi risultati. Il tempo trascorre e nel 2002 nasce e prende vita l'attuale sede in Via Pretorio sempre a Strigno. Ed è questa la struttura che calamiterà nuovi e crescenti interessi di sportivi, appassionati e residenti. Un crescendo che gratificherà i vari direttivi con tutti i presidenti che si sono succeduto nell'albo del Tiro a segno di Strigno. Il primo è stato Roberto Zambiasi, seguito da Fulvio Tomaselli. Di poi Alessandro Chiesa e infine Ferruccio Inama che è l'attuale presidente eletto il 31 gennaio

A L'ARTE DEL TIRO RAPIDO SPORTIVO

STRIGNO

Il tiro Rapido Sportivo, noto come TRS, è una disciplina recente voluta dalla Federazione che ha deciso di accogliere ufficialmente questa specialità (nata negli anni ’90) e praticata da una ridottissima cerchia di tiratori. “Questa disciplina, sottolinea Ferruccio Inama, è diventata il nostro fiore all’occhiello e ogni anno sempre più tiratori si avvicinano a questo nuovo ed entusiasmante panorama sportivo. Il Tiro Rapido rompe gli schemi del classico tiro accademico e si concretizza nell’esecuzione statica di una serie di colpi da tirare con la massima precisione, restando il più possibile concentrati nel ripetere, in maniera assidua e pronta, gli stessi gesti negli stessi tempi, tiro dopo tiro. Il TRS invece si pone come vera disciplina dinamica perché i tiri si effettuano in movimento, in maniera veloce che richiedono un maggiore acume e un estro strategico. Una competizione sia con se stessi e sia con altri tiratori nelle varie gare.” Ovviamente per partecipare a questa disciplina è necessario essere tesserati e frequentare un Corso di Abilitazione al TRS. Corso che si tiene all’interno della struttura con istruttori qualificati i quali forniranno informazioni tecniche, regolamentari e sulla sicurezza.

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2018. Per la cronaca Inama è stato il vicepresidente sin da 1994. E in questa carrellata di nomi ci sembra doveroso e pubblico riconoscimento e ricordo a Carlo Bianco (che non è più tra noi) che sin dagli anni 90 è stato Delegato UITS Sezionale. Tornando al “nostro” tiro a segno un altro dato crediamo sia veramente interessanti perchè quantifica gli oltre duemila tiratori tesserati che nel corso degli anni si sono “esibiti” nelle linee di tiro.

Al centro il Presidente Inama nel discorso d'insediamento Ea proposito di tiratori è utile anche sottolineare la varietà dei frequentatori, atleti e appassionati che con la loro presenza hanno qualificato e danno lustro alla struttura di Strigno. Agenti della Polizia locale, guardie forestali e giurate, guardacaccia e un’ infinità di praticanti di entrambi i sessi e di tutte le età. La storia di questa “encomiabile” struttura presenta altri aspetti degni di nota. Il voluto riferimento è per l'attività organizzativa che il direttivo, gli amici e i responsabili hanno saputo concretizzare. Gare non solo a livello provinciale e regionale, ma anche nazionale con la partecipazione di atleti di assoluto rispetto che hanno qualificato le varie competizioni, trofei e confronti agonistici sopra media e di assoluto valore. “Il tiro a segno, come tutte le attività sportive, ci precisa il presidente Inama, non ha solo il compito di un confronto agonistico o il raggiungimento di un valido risultato, ma nella sua essenza si prefigge di realizzare quella socializzazione e vita in comune che sono elementi portanti della nostra quotidianità. Ecco perché poniamo una particolare attenzione ai numerosi giovani che attualmente frequentano la nostra struttura”.

orari e appuntamenti

Il Tiro a Segno di Strigno è aperto al pubblico tutto l'anno con i seguenti orari: • Martedi dalle 20.30 alle 22.30 (aria compressa e tiro a fuoco su tunnel); • Venerdi dalle 20.30 alle 22.30 (aria compressa e tiro a fuoco su tunnel); • Sabato dalle 14.00 alle 17.00 (allenamenti tiro rapido sportivo); • Domenica dalle 09.00 alle 11.30 (tiro a fuoco su stand aperto). Oltre all'apertura al pubblico durante l'arco dell'anno, presso il poligono di tiro sono in previsioni altre attività che sono state diluite nell'arco del 2018 e che appresso elenchiamo: • MARZO Inizio corsi per ragazzi per tiro ad aria compressa. Il 23-24 si disputerà il Memorial Recchia-Magnago (Gara degli alpini con tiro ad aria compressa). • APRILE Giornata “Rosa” dedicata a tutte le donne che intendono avvicinarsi a questo sport; • MAGGIO Gara cat. Ragazzi per fine corso; • SETTEMBRE Open Day dove ognuno può provare l'attività del poligono; • OTTOBRE Trofeo San Maurizio – gara di tiro ad aria compressa tra i vari gruppi alpini della valsugana; • NOVEMBRE Gara sociale di tiro rapido sportivo. Per altre informazioni, rivolgersi alla segreteria del Tiro a Segno.

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DANCE WORLD CUP 2018

In “PUNTA DI PIEDI” ai mondiali

Nuova straordinaria, ambiziosa esperienza per la SCUOLA DI DANZA ASD IN PUNTA DI PIEDI di Levico Terme con la partecipazione 2018 al Titolo Mondiale del DANCE WORLD CUP che avrà il suo epilogo a fine giugno in Spagna, nell’entroterra di Barcellona.

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N PUNTA DI PIEDI è l’unica Scuola di danza del Trentino che il 4 febbraio è partita per Roma in forma organizzata e massiccia – 9 allieve partecipanti e i rispettivi genitori – per le categorie Junior e Children. A proprie spese hanno affrontato la selezione nazionale insieme con altre 80 Scuole di ogni regione italiana, con centinaia di partecipanti. Le ballerine Camilla Nardelli e Samantha Gabban, le insegnanti, avevano avvertito le allieve che il risultato non era importante: l’obiettivo era un’ imperdibile esperienza per accrescere la passione per la danza classica, aldilà dei risultati. Ma non è stato così. Un lungo e certosino lavoro di tecnica, mesi d’impegno, assiduo e costante studio, hanno premiato, oltre ogni aspettativa, le insegnanti e le allieve. Il carnet portato a Levico Terme nelle semifinali nazionali di Roma parla chiaro: 15 coreografie in gara e 11 passano le selezioni con 3 ori, 4 argenti e 4 bronzi. Addirittura un podio tutto esclusivo di IN PUNTA DI PIEDI, con 3 medaglie per la categoria Children Solo Ballet. Ottimo punteggio (in assoluto il più alto

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della sezione Children) per il quartetto di danza classica che passa alla finale mondiale con 89/100. Ora, un volo per Barcellona, attende Caterina Gigliotti, Stella Pegoretti, Eni Minxolli, Jada Piccinini, Denise Cetto, Alice Fiorentini, Nicole Zaccaron e Martina Zini che sul palcoscenico del Mondiale si batteranno per il titolo Mondiale della DANCE WORLD CUP 2018 con migliaia di piccole stelle provenienti da ogni parte del mondo. L’anno scorso furono due le partecipanti dell’ASD IN PUNTA DI PIEDI alla finale mondiale in Germania: Chiara e Martina. Quest’anno, però, ben 8 allieve rappresenteranno l’Italia, e Levico Terme in particolare, nella kermesse mondiale spagnola. E’ giusto sottolineare questo valore aggiunto dell’ASD IN PUNTA DI PIEDI: la consuetudine della coreutica nella quasi totalità delle Scuole di danza prevede obiettivi standard di tecnica classica così da incoraggiare i bambini a muoversi in modo espressivo, stimolare la capacità di ascolto e di ritmo, motivandoli a proseguire nella danza in età più avanzata. IN PUNTA DI PIEDI e in particolare Sa-

mantha Gabban insieme alla Direzione dell’Associazione va oltre: proietta lo standard in una dimensione competitiva nazionale e mondiale, favorendo l’interazione con le risorse provenienti da ogni angolo del mondo. In chiusura, ci chiede il Presidente, di ringraziare chi collabora per il raggiungimento di questi risultati e il Consigliere Provinciale Gianpiero Passamani che ha preso a cuore il progetto internazione dell’ASD e che sostiene questo ambizioso progetto d’immagine del Trentino nel Mondo.


SCI CLUB CIMA XII - OLLE

Stagione ricca di soddisfazioni e … impegni La stagione invernale non è ancora terminata, ma lo SCI CLUB CIMA XII può essere soddisfatto per le sue molteplici attività svolte.

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ome di consueto anche nel 2017 non è mancata, già nel mese di novembre, la ginnastica preesciistica per adulti, che permette, a quanti vogliono partecipare, di prepararsi fisicamente a sciare in sicurezza anche se non si fa agonismo. Il gruppo Preagonisti (13 atleti) ha iniziato gli allenamenti nel mese di dicembre con un fitto programma durante le vacanze di Natale per continuare poi durante i fine settimana. E sempre durante le vacanze natalizie è stato effettuato il Corso per principianti e non, con i maestri della Scuola Sci Lagorai. E lo stesso hanno fatto le ragazze e i ragazzi del Gruppo Agonistico con allenamenti frequenti durante la settimana e addirittura quotidiani durante le vacanze natalizie. Lo sforzo, l’impegno e la costanza di tutti: ragazzi, allenatori, genitori e collaboratori a vario titolo, hanno dato buoni frutti e i giovani atleti, partecipando a importanti gare F.I.S.I.,

hanno ottenuto sempre piazzamenti di assoluto rilievo. E alla grande sono partite anche le gare; a fare da “apri pista” sono stati i membri del direttivo che con un “weekend di passione” hanno dato il via alle competizioni F.I.S.I. e poi, sabato 6 gennaio, con la preparazione della gara Combi slalom per le categorie baby-cuccioli che si è svolta sulla pista Piloni in Loc. Marande-p.so Brocon denominata TROFEO PARAMPAMPOLI che ha visto gli atleti dello Sci Club Cima12 ottenere ottimi risultati, piazzandosi tra i migliori dei circa 250 concorrenti. Dopo questa competizione si è ricominciato con l’ organizzazione della gara di domenica 7 gennaio ovvero con il TROFEO VALSUGANA RENT BIKE, che ha visto la partecipazione di circa 250

sciatori e con il raggiungimento di ottimi piazzamenti da parte degli atleti del Cima12. Per la cronaca sia questa gara che la precedente hanno visto la vittoria del TEZENIS SKI TEAM. Oltre a un ringraziamento alla famiglia Purin del Rifugio Crucolo e alla famiglia Voltolini del Bicigrill di Tezze, rispettivamente sponsor del Trofeo Parampampoli e del Trofeo Valsugana Rent Bike c’è da sottolineare che la vittoria più importante per il Direttivo e i suoi collaboratori sono stati i complimenti per la perfetta e sicura organizzazione inviati dai giudici presenti a quanti hanno dedicato due lunghi giorni a questi eventi. E un grazie a chi, con indefesso impegno, ha facilitato il compito del direttivo e di tutti gli organizzatori. Per tutti i “campioni”, ragazzi, grandi e piccoli, dopo la chiusura del corso iniziato il 20 gennaio, la stagione non è ancora finita, perché si dovranno impegnare ancora nelle loro attività, in attesa della festa finale con lo svolgimento della Gara sociale. Concludiamo ricordando che lo S.C.C.XII annovera tra i suoi atleti anche un GRUPPO DI FONDISTI e uno di SCI ALPINISTI, ma di loro vi racconteremo sul prossimo numero di Valsugana News.

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I Giovani Cooperatori Uniti  di Irene Chin

Don Marcello Farina

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ecentemente gli studenti della cooperativa formativa scolastica “Giovani Cooperatori Uniti”, hanno incontrato il filosofo Don Marcello Farina, ex insegnante all’università di Trento e grande esperto della figura di Don Lorenzo Guetti, padre fondatore della cooperazione trentina. Durante la giornata di lunedì 29 gennaio, i ragazzi hanno ascoltato il racconto di Don Marcello, che ha spiegato come Don Lorenzo Guetti, con la sua energia e forza di volontà, abbia fatto nascere e poi diffondere la cooperazione in Trentino nella seconda metà del 1800. L’incontro è stato un’occasione per riflettere sui principi fondamentali che stanno alla base della cooperazione, come il detto “l’unione fa la forza”, che ha ricordato ai soci l’importanza della collaborazione e del sostegno reciproco, per poter affrontare costruttivamente le criticità e realizzare un’esperienza ricca in termini di competenze ma anche di input preziosi per il nostro territorio. Sembra che il nuovo anno abbia por-

Durante quest’anno scolastico, gli studenti della cooperativa formativa scolastica “Giovani Cooperatori Uniti”, hanno rinnovato le cariche sociali. Le elezioni hanno visto eletti: Giovanni Brasiello come presidente, Giovanni Ciriaco come vicepresidente, Alessia Zampiero, Evelin Pedron, Rebecca Panni, Roberta Nicoletti, Pietro Lorenzon, Giulia Giacomuzzi come consiglieri e Stefano Rizzà e Daniela Puecher come sindaci.

mino che inizia nel nord tato una ventata di entudella Germania e che passa siasmo all’interno dell’imin Valsugana. Promuovendo presa cooperativa GCU, questo percorso, si darà miche collaborerà con BSI gliore visibilità al territorio e Fiere, partecipando nelsarà un’occasione che perl’organizzazione delmetterà agli studenti di inl’evento Expo Valsugana formare maggiormente le 2018. Inoltre i soci hanno persone sul turismo respondeciso di dividersi in quatsabile e rispettoso della natro gruppi relativi ad ambiti Giovanni Brasiello tura, che sta crescendo di diversi. Il primo gruppo s’impegnerà nel rilancio anno in anno, portando in Trentino seme nella promozione del progetto di svi- pre più turisti “camminatori”. luppo agricolo-turistico e sociale legato Il terzo gruppo si occuperà di informare alla Fondazione De Bellat, che vuole va- le imprese locali sulla responsabilità solorizzare il territorio e il turismo respon- ciale d’impresa, dimostrando che lo sabile, investendo nello sviluppo scopo delle aziende non deve essere agricolo, sensibilizzando la comunità lo- unicamente quello del profitto, ma di cale rispetto alle opportunità offerte dal contribuire a migliorare la società e renturismo responsabile e dall’attività agri- dere più pulito l’ambiente. cola sostenibile. Nella giornata dell’8 È in corso di realizzazione anche il sito febbraio i ragazzi hanno visitato la bella dell’impresa cooperativa GCU; per ora, villa padronale situata in località Spa- gli interessati potranno seguire le loro golle, dove hanno visto la tenuta e i attività sulla pagina Facebook “Giovani Cooperatori Uniti”, dove è possibile campi coltivati. Atri ragazzi si occuperanno della promo- condividere opinioni e idee con gli stuzione della Via Romea Germanica, cam- denti.

LE CRONACHE

UN PREMIO “SPECIALE”

CALDONAZZO

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l termine del momento conviviale di domenica 4 febbraio scorso organizzato dal locale Gruppo Pensionati e Anziani di Caldonazzo, al quale hanno partecipato oltre 80 soci dei 180 iscritti provenienti anche dai paesi vicini, è stato premiato il socio più anziano del Gruppo, la signora Carmela Paoli che abita in viale Belvedere a Levico Terme, e che il prossimo luglio festeggerà i suoi 99 anni di vita. È stata premiata per mano dell’assessore comunale Marina Eccher con un artistico prezioso piattino in porcellana dipinto a mano dalla signora Irma Marchesoni. Al suo fianco, come vediamo in questa foto, anche la presidente del Gruppo Rita Girardi. (M.P.)

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Al centro la signora Carmela mentre viene premiata dall’assessore Eccher


Siamo un collettivo, aperto in ogni momento a nuovi membri. Ci proponiamo di condividere liberamente pratiche artistiche tra donne di diversa esperienza, con l'intento "politico" di tornare a meravigliarci per quello che il nostro corpo sa fare. Sentiamo di essere attraversate da mutamenti ciclici, accogliamo, portiamo nel mondo, nutriamo la vita. Abbiamo bisogno di ridare significato e valore a questa attitudine specifica, che è biologica, psichica ed energetica, che si esprime su tanti diversi piani, dal mettere al mondo un figlio e crescerlo con amore e libertà, al creare progetti dotati di cuore ed anima, coscienti che nel momento stesso in cui vengono alla luce non sono più una nostra proprietà, ma individualità con il potenziale di camminare, a loro tempo, da sole. Ci riconosciamo nell'immagine del cielo notturno, dove ogni stella brilla come individuo e nel contempo offre la sua luce alla straordinaria bellezza dell'insieme.

IL COLLETTIVO

Codice Rosso © MoniQue foto

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osì si presenta il collettivo artistico Codice Rosso, nella sezione informazioni sulla pagina Facebook dedicata. Il gruppo informale, nasce nel 2017 dalla volontà di Cristina Pietrantonio di unire il suo percorso artistico creativo, a quello più propriamente legato al femminile, riscoperto in veste di Doula. La Doula è una figura che accompagna e supporta le puerpere durante la gravidanza e nel post-parto, mettendo a disposizione la sua esperienza di madre. Dalla commistione di arte e femminilità nasce il progetto Tenda Rossa, l’unica in Trentino Alto Adige, che si affianca alle moltissime in tutta Italia (66). Qui le donne si raccontano, mettono al centro la femminilità e le sue prerogative, parlano di argomenti che ancora oggi appaiono un tabù, come il ciclo mestruale, il menarca, la menopausa. “Codice Rosso” è il titolo del progetto presentato dall’associazione “L'acqua che balla”, realizzato in collaborazione con “Tenda Rossa Trento”, il Centro Servizi Culturali S. Chiara e Pergine Spettacolo Aperto, risultato vincitore del bando “Pari opportunità” della Provincia autonoma di Trento. Tramite una call aperta a tutte le donne, si è formato così il primo nucleo del gruppo informale di artiste, che ha animato Palazzo Festi, presso il Teatro Sociale di Trento in occasione della festa della donna nel 2017.

© MoniQue foto

La scorsa estate il Collettivo ha proposto in occasione del Festival Pergine Spettacolo Aperto, due performance artistiche dal titolo rispettivamente “Intrecci” e “Moon Trip”. La performance "Intrecci" social tricot e chiacchiere "in rosso", prevedeva la realizzazione di un triangolo rosso, realizzato con i ferri per rivalutare la manualità della donna, e ripristinare quel che un tempo si chiamava filò, quindi un tempo per sedersi e parlare oltre che sferruzzare. “Moon Trip” invece ha invaso gli spazi delle scuole Rodari, creando stanze dedicate alle diverse stagioni, che rappresentano le diverse fasi della vita e del ciclo femminile. All’interno di ogni stanza differenti attività legate alla stagione rappresentata, un modo per riscoprirsi, conoscersi, riflettere e mettersi in gioco. Il 2018 porta un altro 8 marzo di festa, per il collettivo Codice Rosso che quest’anno è ospite della Fondazione Caritro, a Trento. Il percorso prosegue inoltre con una nuova performance dal titolo “Prova aperta alla fontana”, che si affiancherà ad “Intrecci” per una serie di incontri sul territorio trentino, tra Cadine, Levico e Dimaro. Tutto ciò viene realizzato in collaborazione con le associazioni L’acqua che balla, Lune sui laghi, Fatefaville e Albero casa. Per info sui prossimi appuntamenti tenete d’occhio la pagina Facebook: @codicerossotrento, mail: codicerossotn@gmail.com. (C.P.)

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ODONTOIATRIA OGGI

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arlando di odontoiatria è indiscutibile che, in questi ultimi anni, non solo la tecnica e tecnologia abbinate a questo grande universo hanno fatto veramente passi da gigante, ma anche la preparazione, la competenza e la professionalità dei “nostri” dentisti sono migliorate e sono decisamente di alto livello qualitativo. E volutamente sottolineiamo “nostri” perché, sfatando un luogo comune, non è necessario recarsi all’estero per avere cure e soluzioni appropriate. I nostri operatori sono bravi, decisamente bravi e non solo perché continuamente aggiornati e preparati, ma sopratutto perché, spesso, apportano modifiche migliorative al proprio studio. Ed è ciò che è avvenuto a Levico Terme con le grandi “innovazioni” che hanno interessato lo studio Fausto Boller, uno dei più conosciuti di tutta la Valsugana. Dental Levico, è questa la nuova e qualificata insegna, diretta e coordinata dalla responsabile Susanna Zeni, si presenta, infatti, come una struttura in grado di offrire tutti quei servizi necessari a risolvere le moltissime problematiche che interessano i denti e la bocca e tutto ciò che a essi sono legati. Si va, infatti, dall’igiene e prevenzione all’odontoiatria conservativa, a quella estetica; dall’implantologia alle protesi; dall’ortodonzia per bambini alla parodontologia, all’estetica del sorriso o la dermatologia legata ai nei. Dental Levico, dotato di modernissimi apparecchi e strutture tecnologicamente avanzate, si avvale di un nuovo staff di medici altamente qualificati che seguono un costante aggiornamento professionale, partecipando a numerosi corsi di formazione e che garantiscono esperienza, nuove conoscenze e applicazioni che sono certezza di un servizio di altissima qualità. Il dott. Boller mantiene la direzione sanitaria. Lo studio è convenzionato con enti previdenziali che permettono ai dipendenti di industria, commercio e artigianato di usufruire di particolari vantaggi economici. Per informazioni: 339 8750773

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I nostri

migranti

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’Ecomuseo, in questo percorso, è stato affiancato dalla Fondazione Museo Storico del Trentino che, grazie a Lorenzo Pevarello, ha lavorato con i ragazzi delle scuole per realizzare un filmato dove i protagonisti hanno raccontato le loro esperienze. Sono state raccolte diverse fonti scritte, materiali e iconografiche che hanno dato vita anche ad una interessantissima mostra. Una storia di emigrazione, quella che, negli anni ’50 e ’60, videro molte persone cercare lavoro all’estero. Destinazioni Francia, Svizzera, Germania, Olanda e Belgio. In tutto sono state 54 le persone intervistate (22 uomini, il resto donne) di cui 7 residenti a Carzano, 14 a Telve, 18 a Telve di Sopra e 15 a Torcegno. Tantissime testimonianze, 200 fotografie d’epoca ed una mostra “Partirono, lavorarono e in patria tornarono” composta da sette pannelli messa a disposizione del territorio. Il 42% dei protagonisti di questa ricerca emigrò negli anni’50, il 30% un decennio prima, il 28% negli anni Sessanta. “Quello che abbiamo voluto fare è raccontare, attraverso la voce di chi ha vissuto in prima persona questa esperienza – ricorda il presidente Alberto Buffa – un momento molto triste delle nostre comunità che vide in molti lasciare le proprie case per andare a lavorare all’estero e riuscire innquesto modo a provvedere al sostentamento della famiglia rimasta in Valsugana”. Nel 1946 le prime partenze, dopo la Seconda Guerra Mondiale. Destinazione

la Svizzera per lavorare come stagionali, braccianti, domestiche e poi anche in fabbrica e nel settore turistico. Le paghe erano tre volte quelle italiane. Tanti altri hanno scelto le fabbriche ed i campi tedeschi, chi ha optato per lavorare come operaio, muratore ed artigiano nel sudovest della Francia o nei dintorni di Parigi. Poi, fino al 1952, il boom di emigrati nelle miniere di carbone del Belgio. Giovanna Franceschini di Carzano è partita nel settembre del 1947, Destinazione Horgen, in Svizzera. “Lì ho lavorato alla masera del tabacco, all’inizio è stata dura ed ero pagato poco. Ma in Valsugana non c’era niente, qui si era povera gente”. In Svizzera ha lavorato anche Lina Bonella di Telve di Sopra: dal 1948 al 1950. “Prima ero a Zurigo città, poi sono stata a Lutherbach e Canton Soletta. Qui c’era veramente miseria”. E’ stato realizzato e prodotto anche un dvd. “Un racconto di un’esperienza forte dove lo spirito di comunità – prosegue Alberto Buffa – le radici, le testimonianze appaiono come i valori sui quali fare leva per riuscire a rimanere lontano da casa, ma allo stesso tempo per riuscire anche a tornare”. Tante storie, tutte quasi uguali. Come quelle di Maria Furlan (Torcegno), Oliva Trentinaglia (Telve), Gemma Berti (Torcegno). E

Il progetto s’intitola “La comunità dell’Ecomuseo alla ricerca della sua memoria: i nostri migranti negli anni Cinquanta”. Lo ha realizzato l’Associazione Ecomuseo Lagorai grazie al contributo della Fondazione Caritro in collaborazione con i comuni di Carzano, Telve, Telve di Sopra e Torcegno, i locali circoli pensionati ed anziani, scuole ed associazioni. Una lunga ricerca ideata, pensata ed organizzata con parsimonia e dovizia di particolari per recuperare, attraverso la voce dei protagonisti, un momento della storia delle nostre comunità.

 di Alessandro Dalledonne di tanti altri ancora. Chi lavorava da contadino, come “fameio” (Emilio Lenzi di Torcegno), altri in fabbrica (molti alla Huber di Pfaffikon, nel canton Zurigo in Svizzera). C’è chi, come Quinto Campestrin di Teve, se ne andò a 22 anni, nel 1955, destinazione Schaffhausen, in Svizzera, per lavorare in una acciaieria che faceva carri armati e turbine per centrali. E’ rimasto lì 37 anni e 2 mesi. Le Landeron, Neuchatel, Kusnacht, Losanna, Oberuster, Zurigo, Liestal: sono solo alcune delle località dove hanno lavorato in tanti. Tante storie raccolte in in dvd, grazie al lavoro delle scuole primarie della zona e delle maestre Antonella Orsingher, Annamaria Fedele, Manuela Oberosler e Graziella Trentin con testi curati da Katia Lenzi e Valentina Campestrini.

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TRADIZIONE E STORIA DELLE

 di Sabrina Mottes

Uova di Pasqua L

a consuetudine di donare le uova a Pasqua ha origini remote, legate ai riti pagani, ed è stata successivamente acquisita anche dalla tradizione cristiana. Nell’antichità, il fragile equilibrio tra la vita e la morte era indissolubilmente legato alla fine dell’inverno e all’arrivo della primavera. E proprio a primavera gli uccelli depongono le uova, simbolo di fertilità e vita nuova. L’allora inspiegabile nascita di un essere vivente dalle uova, oggetti apparentemente inanimati, ne alimentarono la dimensione simbolica e magica. Per questi motivi, durante le feste di Primavera, Greci, Cinesi, Persiani ed Egiziani, usavano donare uova come augurio per una buona annata e per celebrare la fine del periodo freddo. Nella cultura cristiana, l’uovo divenne simbolo della Resurrezione di Cristo. L’uscita del pulcino dal guscio, che ha l’aspetto di un sasso, simboleggiava infatti la resurrezione di Cristo dal sepolcro. Per questo motivo, nelle tombe dei primi martiri a Roma e perfino in alcune tombe in Russia e in Svezia, sono state trovate uova in marmo e terracotta, speranza e augurio di nuova vita. Durante il Medioevo le uova, proibite durante il digiuno quaresimale, venivano colorate di rosso, simbolo del sangue di Cristo, portate in Chiesa, benedette e

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donate a familiari, amici e domestici. Questo diede inizio alla tradizione dell’uovo pasquale. Sempre nel Medioevo, prese l’avvio nei ceti più abbienti l’usanza di commissionare a valenti artigiani uova in materiali e con decorazioni preziose. Pare che Edoardo I, re d’Inghilterra dal 1272 al 1307, ne abbia ordinate addirittura 450! Le più famose furono create dal celebre orafo Peter Carl Fabergé. A lui, lo zar Alessandro, diede nel 1883 il compito di creare un dono speciale per la zarina Maria ed egli ideò un uovo di platino smaltato di bianco che conteneva un uovo d’oro che a sua volta conteneva un pulcino sempre in oro e una miniatura della corona imperiale. Il successo fu tale che lo zar ordinò ogni anno a Fabergé una diversa serie di uova decorate. Le prime uova dolci, pare risalgano alla corte di Luigi XIV. Non erano cave ma ricolme di squisito cioccolato e solo alla fine del 1800 le uova con sorpresa di Fabergé suggerirono l’idea del guscio di cioccolata nel quale nascondere la sorpresa. Ai giorni nostri, il consumismo ha fatto perdere gran parte

del significato originario al dono dell’uovo di Pasqua. In alcuni paesi, sopravvive però ancora la parte giocosa di questa tradizione. In Germania e Francia si organizzano annualmente cacce alle uova in parchi e giardini. E nei paesi del Nord Europa si decorano ancora oggi gli alberi spogli con uova dai colori allegri, in legno o cartapesta, come benvenuto alla nuova vita e alla bella stagione.


LA CELIACHIA E I SINTOMI DA NON SOTTOVALUTARE

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na recentissima indagine, riguardante la celiachia, una malattia a carico dell’intestino tenue a causa dell’intolleranza al glutine, ci dice che in Italia è l’intolleranza alimentare più frequente e che colpisce 1,3% della popolazione. E viene anche sottolineato che, purtroppo, questa patologia è in crescita, soprattutto tra i bambini. Un dato questo che si riferisce sia al miglioramento delle tecniche diagnostiche, ma anche al cambiamento dell’alimentazione nei quali è aumentata la maggiore assunzione di glutine. Una intolleranza genetica che può rimanere latente per molti anni e i cui sintomi possono essere confusi con altri problemi di salute. Ecco perché diventa indispensabile riconoscere quali sono i sintomi e i primi segnali dell’insorgere della celiachia, specialmente nei bambini. Secondo gli studiosi e gli esperti i sintomi da non sottovalutare e che necessitano di un approfondimento possono essere: gonfiore addominale, do-

lore addominale e crampi, inappetenza, sensazione di pienezza, diarrea cronica, stipsi, meteorismo e flatulenza (eccessiva produzione di gas) con distensione addominale, nausea e vomito, feci di colore chiaro sciolte e grasse, di odore particolarmente sgradevole e che galleggiano e a volte anche depressione, stress. Nei bambini si possono riscontare anche danni allo smalto dei denti permanenti, pubertà ritardata, cambiamenti di umore, irritabilità, impazienza, perdita di peso, ritardo nello sviluppo e altezza inferiore alla media. A oggi non sono note con certezza le cause che determinano la celiachia, ma secondo studi e attuali ricerche scientifiche vi sono fattori di rischio che la possono generare: familiarità, il diabete di tipo I, sindrome di Down, malattie autoimmuni e alcune patologie

infiammatorie croniche intestinali. Oggi tutti si possono rivolgere possibile al proprio medico di base sia per esporre e l’analisi della sintomatologia riscontrata e sia per richiedere la prescrizione degli esami per la diagnosi della celiachia. E’ bene sapere che con l’entrata in vigore dei nuovi LEA, nel marzo 2017, la celiachia è stata inserita nell’elenco delle malattie croniche e non più considerata una malattia rara.

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Il revival delle tinte naturali

COME COLORARE I CAPELLI EVITANDO RISCHI ALLA SALUTE In collaborazione con SALONE MICHELA - Levico Terme Fin dal V secolo a.C. la vanità delle donne ateniesi le portava a modificare di continuo il colore dei propri capelli con tinture vegetali. Successivamente nell’antica Roma si schiarivano le chiome grazie a miscele di sego e cenere o cenere di betulla mescolata a tuorli d’uovo e fiori di camomilla. Una pratica che è successivamente legata al mascherare l’età che avanza nascondendo i capelli bianchi.

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a poco il fenomeno della tintura si è diffuso in modo capillare, grazie alle scoperte della ricerca cosmetica. Arrivano quindi sugli scaffali dei negozi i prodotti “fai da te” che però non sempre danno il risultato sperato. A ciò si aggiunge la presunta tossicità delle tinture permanenti, le più frequenti e capaci di modificare il colore del capello nel tempo e che possono determinare l’insorgenza di reazioni allergiche o irritazioni per la presenza di ammoniaca. Vari studi hanno ipotizzato la correla-

zione fra l’uso di tinture chimiche di vecchia concezione e lo sviluppo di alcuni tumori per la presenza di sostanze cancerogene usate per tempi prolungati e ad alte concentrazioni. Sotto il riflettore soprattutto i prodotti precedenti al 1980. Aumenta il rischio anche per i professionisti del settore, sempre esposti ai fumi dell’ammoniaca che per questo motivo, oltre alle richieste di clienti che con maggior frequenza presentano allergie varie, si rivolgono sempre più spesso a prodotti naturali commercialmente competitivi rispetto a quelli tra-

dizionali. Adatte anche alle donne in gravidanza sono tinture composte unicamente da piante miscelate fra di loro. Melograno per le sfumature del rosso, camomilla per quelle del biondo, hanno il vantaggio di offrire non solo una ricrescita più sfumata e gestibile nei ritocchi ma anche di curare eventuali dermatiti ed eczemi del cuoio capelluto e coprire i capelli bianchi. In tutto simili alle tinture tradizionali, anche per il tempo di posa, l’unica accortezza che richiedono è quella di non essere allergici alle piante usate.

“Saggio colui che sceglie la natura, perchè la natura gli sarà riconoscente”

a e Sar a l e h Da sinistra: Ilenia, Mic

ORARI

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MARTEDÌ 8.15 - 12.00 / 14.00 - 18.30 MERCOLEDÌ 8.15 - 12.00 / 14.00 - 18.30 GIOVEDÌ 8.15 - 17.00 (continuato) VENERDÌ 8.15 - 12.00 / 14.00 - 18.30 SABATO 8.15 - 17.00 (continuato)


IL LIBRO DI VITTORIO FABRIS

Storia, arte e devozione  di Alessandro Dalledonne

i parla anche di questo nell’ultimo libro scritto da Vittorio Fabris. Uno sguardo ragionato sul paese, la sua evoluzione nei secoli e le numerose tracce di vita e di lavoro che hanno fatto di Strigno ciò che è oggi. In tutto 602 pagine, un lavoro corposo e, nello stesso tempo, una ricca e completa ricostruzione storica. E’ il volume “Il Borgo di Strigno”. Finora la storia della comunità era stata raccontata da Carlo Zanghellini, Guido Suster, Ferruccio Romagna, Antonio Zanetel, Remo Pioner, Narciso Ferrari, Sdone Tomaselli e, più recentemente, dal Circolo Croxarie e l’Ecomuseo della Valsugana. Come scrive lo storico Ezio Chini “Vittorio Fabris si dedica da parecchi anni allo studio della Valsugana Orientale e Tesino. Dopo la Guida, pubblicata in due volume nel 2010 e 2011, si è dedicato su alcuni paesi e località come Borgo, Grigno, Ivano, Fracena e Spera. Ora tocca a Strigno, abitato antico e importante, che narra in un volume ricchissimo di notizie e novità”. La co-

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pertina parla da sola con la veduta del paese dipinta dal Veneto Pietro Marchioretto verso il 1816: mostra il paese dominato dalla mole gotica della parrocchiale con le ripide falde del tetto. “Questo volume è il vissuto di una Comunità, non è una ricostruzione storica ma un insieme di tante storie. Il suo filo conduttore è rappresentato dalle persone e dal territorio”. Così l’assessore alla cultura di Castel Ivano Giacomo Pasquazzo che definisce questo lavoro “un turbine di angoli, di dettagli d’arte e di storie, un vero e proprio libro aperto”. Un lavoro durato diversi anni, iniziato ancora quando Claudio Tomaselli e Attilio Pedenzini erano, rispettivamente, l’ultimo sindaco ed assessore alla cultura di Strigno. In questo volume Fabris ci ha messo il cuore, ma anche un grande impegno nel raccontare, in ogni suo minimo particolare e con grande dovizia, tutto il paese, montagna compresa. Un volume ricco e corposo in cui trovano posto il profilo storico della Valsugana Orientale nel secondo millennio, le note storiche sul borgo e la presentazione, oltre 300 pagine, del centro storico di Strigno. Grande spazio viene dato alla Pieve della Beata Vergine Immacolata, così come alla chiesetta di Loreto. “Ma l’autore – prosegue Chini – descrive anche gli

edifici di qualche interesse presente a Strigno. Un paese che soffrì molto nella Grande Guerra, quando venne gravemente danneggiato dai bombardamenti e dagli incendi: anche di questo rimane nel libro memoria in immagini fotografiche impressionanti, del tutto simili a quelle di tanti altri centri della Valsugana e dei territori trentini prossimi al fronte”. Trovano spazio anche le frazioni ed i masi sparsi così come la montagna con l’ex chiesetta di San Pietro e Cima Ravetta. Non manca l’appendice documentaria e la ricca parte bibliografica ed archivistica. “Questo libro è ricco di spunti di riflessioni e di punti di vista originali. Recuperare la memoria di una Comunità – ha ricordato il sindaco Alberto Vesco – significa anche fissarne i contenuti. L’autore crea nel lettore una grande curiosità per tutti i particolari, sia per gli aspetti storici, sia per quelli artistici che per quelli legati alla vita sociale della Comunità. In poche parole Vittorio Fabris riesce a cogliere le sensazioni e a trasmettere spunti di riflessione più in generale interesse. E’ la storia di un paese che nel corso dei secoli ha conosciuto cambiamenti, senza dimenticare le tragedie”. Ancora Vesco. “E’ indubbia la centralità rivestita dal Borgo di Strigno all’interno della geografia territoriale. E l’autore, grazie ad una viva passione ed uno stile personale interessante, riesce a rendere il lettore partecipe di un interesse sincere e vivo per il Borgo di Strigno, per le sue peculiarità e per un territorio che ogni giorno rende consapevole il lettore dell’enorme potenziale ancora oggi custodito”.

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BARCO DI LEVICO

Un reperto storico G

razie ad una lettera ancora ben conservata datata un secolo fa, esattamente il 25 aprile 1918, scritta alla moglie Teresa da Giovanni Deipradi di Barco di Levico, militarizzato vicino a Vienna, è stato possibile a Romano Negriolli, uno dei 52 partecipanti alla trasferta in Moravia nei luoghi dove i nostri nonni trovarono accoglienza come profughi nei duri anni del primo conflitto mondiale, scoprire nella città di Vsetìn, la casa, la scuola e i campi dove avevano vissuto l’esilio la nonna, la mamma e i suoi zii. Con lui, interessati nella ricerca, c’erano anche gli amici Giuliano Erla e Francesca Mosele di Quaere di Levico che, assieme, hanno trovato con grande sorpresa al civico 147 della via Horni Jasentra, la casa nella quale Teresa, nonna di Romano, aveva vissuto per tutto il periodo dell’esilio con sua figlia Maria (mamma di Romano) e gli altri otto fratellini e sorelline. E questo viaggio ha fatto venire alla mente di Romano anche un altro emozionante fatto, la storia di un vecchio fornello a legna che permise ai suoi avi di sopravvivere e tornare a casa. Ecco quanto ci racconta. “Era un inverno molto freddo quello del 1918/19, che vedeva centinaia di Valsuganotti raggruppati lungo i binari della ferrovia nei vari paesi della Moravia, in attesa di salire sui treni destinati a trasportarli a casa, dopo quasi quattro anni di lontananza. Erano stati trasportati in Moravia, una regione della Cechia (già Cecoslovacchia) allo scoppio delle ostilità belliche tra Italia ed Impero austro-ungarico, su ordine del governo imperiale, perchè la vicinanza alla linea del fronte e dei reciproci colpi di artiglieria tra i due

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 di Mario Pacher

bambini e bambine e chiese a Teresa se avesse qualcosa per scaldarsi quando sarebbero stati nel vagone-merci gelido, in un viaggio che sarebbe durato diverse settimane. La risposta fu negativa. Allora l'ufficiale ordinò ai soldati di cercare e requisire una stufa e di sistemarla, completa di tubo, nel vagone del treno. E così fu fatto, con l'aggiunta anche di un po' di legna e di qualche fiammifero per accendere il fuoco e un tubo che portava fuori il fumo attraverso un buco in una delle pareti. Quel caldo tiepido fece sì che nessun figlio di Teresa si ammalasse di polmonite per il grande freddo a differenza di tanti altri passeggeri, bambini e vecchi, che si ammalarono e morirono. Anche se affamati, tutti dieci tornarono a casa sani e salvi e poterono riprendere la loro nuova vita a fianco anche del papà, pure lui tornato dalla guerra, sia pur malato a causa dei gas tossici respirati al fronte. La vita aveva comunque trionfato sulla desolazione e sulla morte, anche grazie alla generosità ed umanità di quell'ufficiale ed alla Divina Provvidenza, come diceva nonna Teresa. Ebbero modo di portare a casa anche quella provvidenziale stufa che finì in soffitta a Barco di Levico e lì rimase per lunghi decenni fino a quando il nipote Romano Negriolli, quasi un secolo dopo dalla fine del conflitto, la trovò e con tanta cura la ripulì dalle antiche ceneri e dei legnetti bruciacchiati che ancora Il provvidenziale fornello e, accanto, Romano Negriolli conteneva. Con ogni probabilità, tava. Che ne sarà della nostra casa a conclude Romano, senza quella stufa Barco, pensavano, ci sarà ancora o sarà su quel treno che ha permesso la sostata distrutta dai bombardamenti? Ad pravvivenza dei miei avi, né io né i miei un certo punto, un ufficiale austro-un- fratelli saremmo potuti venire al mondo. garico affiancato da due soldati, si av- Anche a questo pensavo durante quel vicinò a quella numerosa nidiata di viaggio dei ricordi nella città di Vsetìn”.

eserciti, metteva a rischio la loro incolumità. Tra le famiglie valsuganotte in trepidante attesa del treno del ritorno in patria, alla stazione della cittadina di Vsetìn, c'era anche quella di Teresa Deipradi di Barco con i suoi nove figli, tutti infreddoliti e con l'animo pieno di paura per il lungo viaggio che li aspet-


LE CRONACHE

IL PROGETTO SPACE LIKE ACTIONS

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i stanno lavorando, a piene mani, da diversi mesi, dopo aver vinto il bando “FuoriRotta2017”, tre giovani architetti di Borgo Valsugana Marco Ferrari, Cristina Gallizzioli e Maria Giulia Milani. “Il nostro è un progetto no-profit – ricordano i tre protagonisti – per favorire la conoscenza e la ricerca collettiva lavorando per la salvaguardia di un patrimonio immateriale ma, nello stesso tempo, profondamente identitario”. Recentemente sono stati impegnati in un viaggio nel Sud-est asiatico, la prima tappa di una iniziativa, decisamente innovativa e moderna, che Marco, Cristina e Maria Gulia hanno deciso di intraprendere insieme. Un viaggio che li porter a visitare molti luoghi, alla ricerca degli spazi caratteristici delle diverse culture, degli usi e delle abitudini del mondo. Space like Actions è stato premiato nell’ambito di un concorso internazionale che da alcuni anni ha deciso di sostenere progetti ed iniziative legate alla ricerca, all’esplorazione ed al mondo del giornalismo. I tre giovani stanno raccogliendo documentazione, immagazzinando informazioni e dati con l’obiettivo di promuovere la conoscenza di espressioni culturali e realtà spesso trascurate. Un progetto ambizioso, impegnativo dove l’architettura e l’antropologia sono gli elementi cardini del loro vivere quotidiano. Media partner del progetto sono il Festival Internazionale di Ferrara, il Trento Film Festival e Montura: è patrocinato dall’Università di Ferrara. Un progetto

Borgo - Gli studenti di space like actions no-profit in cui Marco Ferrari, Cristina Gallizzioli e Maria Giulia Milani credono molto. “Il nostro obiettivo – concludono i tre giovani architetti di Borgo – è quello di arrivare, quanto prima, a dare alle stampe e pubblicare un atlante dove troverà posto tutta la documentazione che stiamo raccogliendo. Un atlante di luoghi e situazioni che esistono nel mondo e che possa dare la possibilità, a tutti coloro che vorranno farlo, di accedere, visitare a toccare con mano spazi e modi tipici dell’abitare locale”. Usi e costumi che hanno visto e che vedranno con occhi attenti ed interessati. Quelli dei giovani che credono nella ricerca e nell’esplorazione di culture e luoghi ancora oggi poco conosciuti e, spesso, ad alto rischio di estinzione. (A.D.)

Come Eravamo

I vigili urbani di Levico nel 1979

LEVICO TERME Nelle precedenti ed izioni gli agenti della Polizia Locale dell’A lta Valsugana festeggiavano, tutti assieme, il loro patro no san Sebastiano. La loro giornata di festa iniziava sempre con una Messa nella parrocchiale di Selva di Levico seguita da un pranzo. Quest’ann o invece si sono radunati per una fes ta fra loro e per un momento conviviale , solo gli ex vigili ur bani del comune di Levic o Terme, quando dipendevano dall’amm inistrazione comunale. E per rivive re quelli anni, alcun i hanno portato delle immagini ricordo. Questa foto venne scattata nel 1979 e comprende anche alc uni agenti stagiona li che all’epoca venivan o assunti per i mesi estivi. (M.P.)

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LE CRONACHE Selva di Levico

LA SAGRA DI SAN BASTIAN

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anta gente è giunta anche quest’anno a Selva di Levico per partecipare alla sagra patronale di “San Bastian”, organizzata dal locale Gruppo Castel Selva in collaborazione con gli Alpini, la Parrocchia, il Gruppo Missionario e il Comune. Una ricorrenza che si ispira alla primavera e per questo molti amano simpaticamente chiamarla la sagra di “San Bastian co’ la viola ‘n man”. Fra le varie iniziative è il caso di ricordare il tradizionale campanò e il “ballo de San Bastian”. Ed ancora la distribuzione a tutti di grostoli e vino e delle popolari “fritole”. Ma il momento più atteso è stato quello della disputa della gara delle “slitte della legna”, quest’anno in XXIX^ edizione, brillantemente presentata dal capogruppo Alpini Michele Dalmaso e che si è svolta sul percorso medievale lungo quasi un chilometro che dal sovrastante Castello porta alla piazza principale della frazione. Su ciascuno di questi vecchi mezzi di trasporto costruito artigianalmente e trascinato da due giovani ragazzi, sedeva una damigella che durante il tragitto doveva affrontare alcune prove di abilità, mentre i maschi, all’arrivo, dovevano affrontare altre prove di capacità. In base ai punti totalizzati veniva poi formulata la graduatoria per l’assegnazione dei premi. In questa edizione hanno gareggiato sette equipaggi provenienti da Selva, Levico, Caldonazzo e Barco. Il primo premio è stato

Ischia di LE CRONACHE Pergine

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ra le tante manifestazioni carnevalesche, merita di essere ricordata anche quella di Ischia di Pergine organizzata dall’associazione “NOI per l’IS-CIA” dal titolo “Carneval dei nonni, ma…..al disnar che pensa i bòci”. Infatti i ragazzi del Gruppo Giovani hanno portato a mezzogiorno dell’ultima domenica di carnevale, a casa delle persone anziane o impossibilitate a partecipare alla festa, circa 35 piatti di gnocchi fatti a mano. Per tutti gli altri la festa si è svolta in piazza dove hanno sfilato le mascherine e dove sono stati distribuiti tanti piatti di gnocchi.

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vinto dal gruppo di “Selva1” formato da Matteo Osler, Cristian Lancerin con damigella Katia Aloisi. La gara individuale e VII^ “palio del castello” per quartieri e “Trofeo Rivetta”, è stato vinto dal quartiere “Selva”. Premiata anche la “miglior donna” che è risultata Tiziana Frisanco, 36 anni da Levico Terme. Per tutta la giornata di domenica ha funzionato anche un ricco vaso della fortuna. (M.P.)

Barco di LE CRONACHE Levico

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arnevale in piazza anche a Barco nell’ultima domenica di carnevale con la “sgnocolada barcarola”, organizzata dal locale GSC Oltrebrenta. Una manifestazione che ha richiamato almeno duemila persone da tutta la Valle, attratte da un buon piatto di gnocchi con sardelle e tanti grostoli caserecci. Presenti alla festa anche una sessantina di ospiti del Centro don Ziglio di Levico e del Gruppo GAIA. Come ci ha testimoniato il presidente del GSC, il consigliere provinciale Gianpiero Passamani, sono stati distribuiti oltre quattromila piatti di gnocchi abilmente preparati dai componenti il Gruppo e da altri volontari. Molte anche le mascherine che hanno sfilato per le vie principali della frazione e la manifestazione è stata rallegrata da tanta musica.


Il libro di Sergio Paoli er Sergio Paoli è il secondo libro. Ispettore Capo presso la Questura di Trento, classe 1964, dopo la prima edizione del 2009 torna a dare spazio “a molte storie vissute e narrate – come si legge nella prefazione di Alessandro Marangoni – da leggere tutto d’un fiato per comprendere quanto vale il lavoro di un poliziotto. Da anni abita a Levico, dopo essere entrato in polizia come agente nel 1983 ed aver prestato servizio a Bolzano, Milano, Torino e Roma. Dopo otto anni. Lo fa con un volume “Al termine del servizio redigere dettagliata relazione. Il ritorno” dove trovano spazio trenta racconti tratti o ispirati da fatti realmente accaduti nelle strade cittadine e nei sobborghi di Trento. I fatti che Paoli racconta sono tratti o ispirati da fatti realmente accaduti nelle strade cittadine e nei sobborghi di Trento. “La prima edizione mi aveva già dato qualche bella soddisfazione ci racconta – ma in cuor mio sentivo di dovere fare di più, di poter andare oltre”. Come ricorda l’ex prefetto di Milano e questore di Palermo, Gorizia e Padoba Alessandro Maragoni “chi fa il poliziotto appartiene a una sorta di Pronto Soccorso della società che interviene a prestate le prime cure. Sergio Paoli, e chi come lui, è la tachipirina somministrata come primo intervento per abbassare la febbre del quotidiano, lasciando alle prerogative di altri la cura radicale per vincere la malattia”. Come nel 2009 anche oggi Sergio Paoli ci fa salire a bordo di una pantera della Polizia di Stato, seduti dietro “come in una Volante da tre, di quelle di una

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volta”, e ci conduce nelle viscere di una Trento spesso notturna e sconosciuta ai più. Uno spaccato di vita trentina, raccontata con passione e ironia. “Non troverete racconti di sparatorie né scene improbabili da film – continua Paoli - al massimo parteciperete a qualche scazzottata e a qualche corsa a rotta di collo tra le vie della città. Alla fine si ride, si sorride e in qualche occasione ci si commuove”. Un libro in cui, quasi sicuramente, qualcuno si riconoscerà in quelli che sono fatti realmente accaduti o liberamente ispirati alla realtà. Scorrendo le pagine del libro sono tante le cose da leggere. Imperdibile è la sfida a colpi di acceleratore e frizione tra Alfio, collega di Sergio Paoli che nel libro prende il nome di Tommaso Costalta e un famoso personaggio creato dalla mente di Roberto Laino, anima degli Articolo 3ntino, asso del volante anni ottanta, forse unico racconto più immaginario che reale. Per il resto del racconto, Sergio Paoli racconta di ladruncoli maldestri, amanti traditi, originali squilibrati, anziane truffate, travestiti e altri curiosi personaggi con i quali, un tutore dell’ordine si trova a convivere ogni giorno. In breve, come si legge nella quarta di copertina, “parteciperete in prima persona allo spettacolo più bello del mondo: quello della realtà.” Il libro, che vale la pena di leggere, è in vendita su

Amazon: in versione cartacea a 7,99 euro, in formato ebook a 2,99 euro. Il levicense Sergio Paoli è stato insignito della medaglia di bronzo al valor civile dal Ministero degli Interni per un intervento di volante nel 1993. “Mi auguro – scrive ancora nella sua prefazione Alessandro Marangoni – che in tanti leggano le storie vissute e narrate in queto libro per chè possano comprendere quanto vale il lavoro di un poliziotto. Un lavoro che i diretti interessati si ostinano a chiamare servizio. Un motivo ci sarà!”. (A.D.)

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Levico Terme

I MICOLOGI IN ASSEMBLEA

ASSEMBLEA PENSIONATI

Levico Terme

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Casa Santa Maria di Vigolo Vattaro è stato presentato il “laboratorio espressivo multimediale” rivolto agli ospiti anziani della struttura. Il maestro d’arte Paul Sark sarà il conduttore dei dieci incontri attraverso i quali gli ospiti potranno fare esperienze con alcune discipline artistiche. Il percorso infatti, prevede l’utilizzo di codici tipici dell’arte terapia: il colore, la comunicazione teatrale e musicale. L’arte terapia, come ci ricorda l’animatrice Luisa Tamanini che segue con particolare attenzione ogni evento all’interno dell’Istituto, sarebbe nata nel secondo dopoguerra nel tentativo di ristabilire l’equilibrio pisco-emotivo dei reduci e divenne presto pratica comune come supporto alla psiche e non solo. Si ritiene infatti, come anche lo dimostrano molti studi, che l’arte terapia riduca i sintomi depressivi e la perdita della memoria e influisca molto positivamente sulla salute delle persone, anche su quelle sane. Nel laboratorio condotto a Casa Santa Maria, dice ancora l’animatrice, “l’utilizzo del colore verrà usato per il recupero dell’esperienza passata per risvegliare il ricordo dandogli così un nuovo significato. Il colore è un dato di realtà che agisce direttamente sulle nostre sensazioni e permette alla persona anziana di rivivere i ricordi spesso fermi e cristallizzati. L’altro elemento utilizzato sarà la comunicazione verbale, teatrale e musicale. In modo particolare la comunicazione risulta essere il principale antidoto alla depressione, ai disturbi d’ansia e a quelli del tono dell’umore. La possibilità di realizzare un progetto ed apprendere nuove capacità in tarda età, fa rinascere l’autostima e la consapevolezza di essere ancora un soggetto attivo”. Il laboratorio a Casa Santa Maria avrà una durata di dieci incontri al termine dei quali verrà presentato uno spettacolo “semiserio” a testimonianza del percorso fatto. L’iniziativa è aperta anche ai parenti degli ospiti, al personale della casa e ai tanti volontari attivi presso la struttura. (M.P.)

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i è tenuta a Levico Terme presso la Sala dei Cento dell’Oratorio Parrocchiale, l’annuale assemblea generale ordinaria del locale Gruppo Pensionati. Il presidente Marco Francescatti, dopo il saluto di benvenuto ai 120 presenti dei circa 300 iscritti, ha ricordato che l’anno 2017 ha segnato il 30^ di fondazione del Gruppo essendo stato costituito il 27 aprile 1987 e che tuttora “gode di ottima salute”. Poi ha elencato le varie iniziative realizzate nel corso del 2017. Ha ricordato in particolare la collaborazione con il “Consorzio Levico in Centro” nell’organizzazione della mostra “Arte Donna”, la partecipazione ad Ortinparco, la presenza al ”Festival del Latte e della Lana”, al “vecchio mestiere”, l’esposizione di lavori sul tema dei fiori con il coinvolgimento dei bambini dell’asilo nido e della scuola dell’infanzia, degli anziani della Casa di Riposo, il soggiorno marino, l’escursione con pranzo a Malga Sassi in Vezzena, il servizio di vigilanza scolastica, Natale insieme e tanto altro. Questa le principali della nuova serie di appuntamenti per il 2018:. Sabato 17 marzo gita culturale per i Soci iscritti all’UTED. Domenica 15 aprile torneo di Burraco presso la Sede Sociale. Giovedì 25 aprile Mostra “Arte Donna” e Festa della Solidarietà. Sabato 19 maggio pranzo di pesce presso il ristorante “il Calesse“ in provincia di Vicenza. Dal 4 al 16 giugno soggiorno marino a Miramare di Rimini. Sabato 4 agosto festa con pranzo in Vezzena presso la Malga Sassi. Sabato 15 settembre gita-pellegrinaggio in Alto Adige. Domenica 8 ottobre “Festa dei Nonni assieme ai nipotini “. Domenica 25 novembre pranzo sociale, domenica 16 dicembre 10^ edizione di “Natale Insieme“. Seguendo l’ordine del giorno sono stati nominati, in base al nuovo statuto, i tre revisori dei conti per l’anno in corso che sono risultati: Fernanda Moschen, Romano Avancini e Ciro Libardi. Presenti ai lavori anche alcune autorità: il sindaco Michele Sartori, la sua vice Laura Fraizingher, il consigliere provinciale Gianpiero Passamani, l’arciprete don Ernesto Ferretti. Nei loro interventi le autorità hanno lodato l’operato di questo importante ente locale per l’attività che svolge verso le persone non più giovani dell’intera comunità. (M.P.)


LE CRONACHE Vigolo Vattaro

ARTE TERAPIA PER RIMANERE GIOVANI

A

Casa Santa Maria di Vigolo Vattaro è stato presentato il “laboratorio espressivo multimediale” rivolto agli ospiti anziani della struttura. Il maestro d’arte Paul Sark sarà il conduttore dei dieci incontri attraverso i quali gli ospiti potranno fare esperienze con alcune discipline artistiche. Il percorso infatti, prevede l’utilizzo di codici tipici dell’arte terapia: il colore, la comunicazione teatrale e musicale. L’arte terapia, come ci ricorda l’animatrice Luisa Tamanini che segue con particolare attenzione ogni evento all’interno dell’Istituto, sarebbe nata nel secondo dopoguerra nel tentativo di ristabilire l’equilibrio pisco-emotivo dei reduci e divenne presto pratica comune come supporto alla psiche e non solo. Si ritiene infatti, come anche lo dimostrano molti studi, che l’arte terapia riduca i sintomi depressivi e la perdita della memoria e influisca molto positivamente sulla salute delle persone, anche su quelle sane. Nel laboratorio condotto a Casa Santa Maria, dice ancora l’animatrice, “l’utilizzo del colore verrà usato per il recupero dell’esperienza passata per risvegliare il ricordo dandogli così un nuovo significato. Il colore è un dato di realtà che agisce direttamente sulle nostre sensazioni e permette alla persona anziana di rivivere i ricordi spesso fermi e cristallizzati. L’altro elemento utilizzato sarà la comunicazione verbale, teatrale e musicale. In modo particolare la comunicazione risulta essere il principale antidoto alla depressione,

ai disturbi d’ansia e a quelli del tono dell’umore. La possibilità di realizzare un progetto ed apprendere nuove capacità in tarda età, fa rinascere l’autostima e la consapevolezza di essere ancora un soggetto attivo”. Il laboratorio a Casa Santa Maria avrà una durata di dieci incontri al termine dei quali verrà presentato uno spettacolo “semiserio” a testimonianza del percorso fatto. L’iniziativa è aperta anche ai parenti degli ospiti, al personale della casa e ai tanti volontari attivi presso la struttura. (M.P.)

Come Eravamo

LEVICO TERME Una foto dei ragazz i della scuola matern a di Levico Terme dell’ann o 1959, quando l’insegnamento era affidato alle suore. (M.P.)

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Che tempo che fa  a cura di Giampaolo Rizzonelli

ANALISI E CURISOSITA’ METEO DEL 2017 LEVICO TERME TEMPERATURE Il 2017 è stato il terzo anno più caldo di sempre per il Pianeta, di poco più fresco del 2016 e del 2015 che “avevano battuto” ogni record precedente a partire dal 1880 (fonte NOAA), e il quarto anno più caldo in Italia negli ultimi due secoli, con un’anomalia di +1,30°C sulla media 1971-2000 (Fonte Isac/CNR). Per Levico Terme il 2017 si pone al 10° posto tra gli anni più caldi, dal 1939 in questo caso (primo anno in cui abbiamo dati rilevati), più caldo della media di 0,7°C, la terza estate più calda (dopo quella del 2015 e del 2003) con 41 giorni con temperature massime uguali o superiori ai 30°C, ma i tre mesi estivi non sono stati tra i più caldi di sempre. Dal 1939, giugno si colloca al 4° posto, luglio al 14°, e agosto al 9°. Ma è stata l’estate nel suo complesso a essere calda, le temperature medie sono risultate superiori ai valori normali, in particolare le massime di +2,8°C. 102 sono stati nel 2017 i giorni di gelo (minima =<0°C), a fronte dei soli 83 del 2016. Il giorno di gelo più “tardivo” è

stato rilevato il 29 aprile, la prima gelata autunnale è stata registrata il 31 ottobre, con due giorni di ghiaccio (giorno in cui la temperatura non supera mai 0°C), rispettivamente il 07/01 dove la massima si è fermata a -0,9°C e il 10/12 dove la massima si è fermata a -1,5°C, mentre nel 2016 non ci sono stati giorni di ghiaccio. La minima dell’anno è stata rilevata il 7 gennaio con 13,3°C, mentre la massima pari a +36,2°C è stata rilevata il 2 agosto.

PRECIPITAZIONI Il 2017 è stato sotto media del 20,8%. Nel corso del 2017 sono caduti 832,4 mm in 75 giorni piovosi (in cui è caduto almeno 1 mm di pioggia o neve sciolta), la media storica, in questo caso dal 1921, è di 1051,0 mm e 92 giorni piovosi. Il mese più piovoso è stato febbraio con 153,2 mm. Il meno piovoso è stato gennaio con soli 4,6 mm, a tal proposito ricordiamo la siccità che ha contraddistinto l’inverno 2016/2017, quando non cadde una goccia d’acqua o un fiocco di neve dal 26 novembre novembre 2017 Busa Verle Vezzena - 11 2016 fino al 13 gennaio 2017 (47 giorni senza precipitazioni), un po’ meglio del 2015/2016 quando non ci furono precipitazioni dal 29 ottobre 2015 al 2 gennaio 2016 (64 giorni senza precipitazioni). L’anno più piovoso a Levico fu il 2010 con 1886

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mm, mentre il meno piovoso fu il 1921 con 543 mm.

NEVE Nel corso del 2017 sono caduti 46 cm in 9 giorni nevosi, ma è andata meglio del 2016 quando caddero solamente 22 cm di neve in 8 giorni nevosi. TEMPERATURA ACQUA DI SUPERFICIE DEL LAGO La temperatura dell’acqua del lago di Levico è oscillata tra gli 0°C del 22 gennaio (quando il lago era completamente ghiacciato e non accadeva dal febbraio 2013) ai +28,9°C del 2 agosto (valore record da quando rilevo la temperatura, ovvero dal 2007). Gli inizi di agosto sono stati caratterizzati da temperature decisamente elevate a Levico Terme, non sono mancate le notti tropicali: il 4 e 5 agosto, le minime erano superiori ai 20°C. E le temperature in quota, ad esempio alla stazione meteo del Compet a quota 1390 metri, hanno raggiunto i +29,5°C di massima il 5 agosto con una minima di +20,7°C il giorno prima. E l’arrivo di un fronte di aria fredda, a contatto di quella molto calda presente al suolo ormai da giorni è stato un mix esplosivo. Tanto per capire cosa è successo nel primo pomeriggio di domenica, durante il temporale che si è abbattuto in Valsugana, siamo passati dai +30,2°C registrati a mezzogiorno ai +20,4°C delle 13 fino ai +16,6°C di due ore dopo. Le raffiche di vento che hanno spazzato Levico hanno raggiunto i 74 chilometri all’ora. Si è trattato di un “downburst”, ovvero di una colonna d’aria in discesa molto


rapida che incontra la superficie del suolo più o meno perpendicolarmente e che si espande orizzontalmente in tutte le direzioni. La violenta espansione, paragonabile ad un improvviso scoppio (burst), spesso produce campi di vento ravvicinati fra di loro ad elevata velocità e di opposte direzioni. Nessuna tromba d’aria quindi. I -30,2°C RAGGIUNTI NEL SITO FREDDO DI BUSA VERLE IN VEZZENA Nella mattinata del 1° dicembre 2017 alle 3.47 il termometro ha raggiunto i 30,2°C nel sito freddo di Busa Verle, in Vezzena. Ma anche nei due giorni successivi le minime hanno raggiunto i 22,5°C e i -26,3°C. Il nome "Busa" può trarre in inganno, in quanto si tratta di un grande prato al cospetto del forte Verle, forte che oltre cento anni fa ha visto aspri combattimenti proprio nella zona dove è posi-

zionato il termometro installato dall'As- fungono da recipiente per l'aria fredda sociazione Meteotriveneto, forte reso che si accumula sul fondo del sito, che celebre dai racconti di Fritz Weber nel a tutti gli effetti diventa un vero e prolibro "Tappe della disfatta". prio "catino di aria fredda". La temperatura è passata da -22,4°C a Questi siti freddi (in inglese "frost hol-13,2°C tra le ore 23.02 e le 23.17 del low" ) hanno dei particolari "micro2 dicembre, e da -12,5°C a -19,7°C tra climi", in determinate condizioni di le ore 00.17 e le 00.32 del 1 dicembre. cielo sereno, suolo innevato (la neve Per quanto riguarda il sito di Busa Verle, amplifica il fenomeno), scarsa umidità secondo l’esperienza acquisita negli e assenza di vento, diventano delle fabanni di monitoraggio briche naturali di freddo. (dal 2008), le potenPanarotta senza neve - 22 gennaio 2017 zialità morfologiche sono tra le migliori, avendo un buon "sky view factor", che si potrebbe tradurre con il termine "porzione di cielo visibile", Va detto infine che le "colline/prati" posti intorno al sito

TABELLA DEI VALORI MEDI DELL’ANNO E LE MEDIE STORICHE DAL 1939 ANNO 2017

MEDIA DAL 1939

MEDIA DELLE MINIME

+5,3 °C

+5,6 °C

MEDIA DELLE MASSIME

+17,7 °C

+16,2 °C

MEDIA ANNUALE

+11,5 °C

+10,9 °C

VALORI MEDI DI TEMPERATURA PER MINIME E MASSIME

LEVICO TERME

ALTITUDINE

MINIME 2017

MINIME 2016

DIFF. 2017-2016

MASSIME 2017

MASSIME 2016

DIFF. 2017-2016

449 m.

10,2

12,6

-2,4

20,4

25,0

-4,6

TEMPERATURE ASSOLUTE (MINIMA PIÙ BASSA E MASSIMA PIÙ ELEVATA)

LEVICO TERME

ALTITUDINE

MINIME 2017

MINIME 2016

DIFF. 2017-2016

MASSIME 2017

MASSIME 2016

DIFF. 2017-2016

449 m.

5,2

8,2

-3,0

26,2

29,4

-3,2

Elaborazioni di Giampaolo Rizzonelli anche su dati forniti anche da Fondazione Edmund Mach e Provincia Autonoma di Trento.

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o d n a l l e r e h c o i G E?

Cristini io iz r u a M a cura di

R D A P L È I E N I CH

Ognuna delle invenzioni sotto elencate, ha una “paternità”: scopritela fra quelle proposte e riportate le due lettere che la individuano nelle colonne a destra, dove, se le risposte saranno esatte, potrete leggere il nome di un altro personaggio (prima lettera e prima colonna) passato alla storia per la sua scoperta (seconda lettera e seconda colonna). Come esempio, è riportata la I° risposta. RISPOSTE 1) OCCHIALI H A ...... ...... Faa di Bruno (F-D) ; Agnolo di Bondone (T-T); Salvino degli Armati (H-A)

2) PENTOLA A PRESSIONE Pascal (E-L) ; Papin (O-S) ; Peltier (I-C)

......

......

3) CHAMPAGNE Dom Pérignon (F-P) ; Clicquot Ponsardin (R-L); Ruinart (V-V)

......

......

......

......

......

......

......

......

7) NITROGLICERINA Von Liebig (R-S) ; Sobrero (N-N); Heisemberg (D-G)

......

......

8) PARAFULMINE Edison (L-E) ; Siemens (H-O) ; Franklin (N-A)

......

......

4) PENNA A SFERA Bíró (F-I) ; Norman (G-U) ; La Motte (K-E) 5) DINAMO Avogadro (A-C) ; Sullivan (O-W) ; Pacinotti (M-R)

A gioco risolto, leggendo di seguito le lettere nelle caselle a sfondo colorato, si otterrà il nome di un antico posto di controllo del transito lungo la via romana Claudia Augusta Altinate in Novaledo. ORIZZONTALI: 1. Provincia confinante con quella di Trento - 7. Spesso può essere ragionevole 11. Accedere, introdursi - 12. Un consenso strappato - 13. Se è accentato nega - 14. Un antico e rudimentale distillatore - 17. Caos, confusione - 22. Olio inglese - 23. Trascurato, non considerato - 24. Frazione di Borgo Valsugana - 25. Sono proposti in tante trasmissioni TV - 26. Il Forte texano dove morì Davy Crockett - 28. Nel centro dell'agrumeto - 29. Folta capigliatura che arriva a coprire il collo - 32. Esempio... in breve - 33. Si ripetono nella malafede - 34. Vasto altopiano asiatico 35. In dialetto trentino si chiama brocòn - 37. La città col Doss a destra dell'Adige (sigla) - 38. Non manca nell'insalata mista! - 40. Il nome d'arte di Rosalino Cellamare - 41. Vi morì Pietro Micca (sigla) - 42. Incapaci, buoni a nulla - 43. Uno dei più piccoli e semplici amminoacidi - 45. Era la sigla di una Germania - 47. La machine mangia soldi - 48. Località termale dell'Alto Trentino - 49. Parlare, conversare.

6) BIRRA Gambrinus (A-I) ; Guinness (Y-A) ; Stiffelius (E-P)

VERTICALI: 1. L'attuale costo in € per una settimana di raccolta funghi sul territorio del Comune di Levico Terme - 2. Persona dai modi rozzi e violenti - 3. Sono diverse nella rete - 4. Adesso... in breve - 5. Il sodio in chimica - 6. Tale si definisce un'impresa difficile e rischiosa - 8. Arso, bruciato - 9. Prefisso il cui significato è vita - 10. E' stato definito re dei vini e vino dei re - 14. Accessori eleganti e formali nel guardaroba delle signore - 15. Stile senza capo ne' coda - 16. Il Gassmann di Non c'è più religione - 18. Antica città turca detta La città delle 1001 chiese che fu capitale dell'Armenia - 19. Il bianco nella Caprese - 20. Città salentina (sigla) - 21. Nella Via Crucis sono quattordici - 24. Lo Sharif attore - 27. Ventilata - 30. Alluminio e Uranio - 31. La Zante del Foscolo - 32. Risponde no al padrino e sì agli sposi! - 36. Da' colore all'occhio - 39. C'è un'esca ad una sua estremità - 43. Divinità nordiche - 44. Sono dispari nell'atollo - 46. Diapositiva... in breve 48. La città con lo Stadio Adriatico (sigla).

SOLUZIONI NR. DI FEBBRAIO 2017 CRUCI... TRENTINO SANT’EGIDIO

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r kenau L’in gresso di Auschwitz - Bi

arg o Borgo Valsuga na - L

CHE FINE HANNO FATTO?? Soluz.: RASPUTIN

Dordi

Il numero di marzo di Valsugana News è stato chiuso in redazione il 5 marzo 2018


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