Valsugana News n. 9/2017 Novembre

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DAL MONDO

Scandalo a Hollywood

IL CASOWEINSTEIN WEINSTEIN STATI UNITI Il 5 ottobre scorso il noto produttore cinematografico Harvey Weinstein è stato accusato di molestie sessuali compiute ai danni di attrici e dipendenti. Lo scandalo, reso noto da un servizio del New York Times, sta scuotendo Hollywood. La vicenda ha contribuito a portare alla luce un problema noto ma troppo spesso taciuto, quello degli abusi subiti dalle donne in ambito lavorativo.

IL CASO Harvey Weinstein non è l’ultimo arrivato nella scena Hollywoodiana. Vincitore di 5 premi Oscar, ha prodotto film come il paziente inglese, Pulp Fiction, e Il discorso del re. Ma un lato oscuro si cela dietro all’apparente ineccepibile immagine di Weinstein. Il produttore sembra infatti avere una lunga storia di molestie sessuali alle spalle costringendo numerose donne a massaggiarlo e guardarlo nudo in atteggiamenti intimi. Tra queste figurano attrici del calibro di Gwyneth Paltrow ed Angelina Jolie. Si tratta di molestie taciute per lunghi anni facendo leva sul senso di vergogna

e sulla paura delle vittime di veder sfumare nel nulla la propria carriera. In Italia il caso ha suscitato clamore a seguito delle rivelazioni di Asia Argento che ha dichiarato di essere stata molestata sessualmente da Weinstein. La Argento non è l’unica, altre attrici italiane come Giovanna Rei hanno subito le avances di Wenstein. Il fatto sorprendente è che, a detta di molti, la condotta di Weinstein non è mai stata un segreto. Cosa ha permesso quindi al produttore di molestare un numero così consistente di donne per anni? Pare che a Hollywood in tanti fossero intimiditi dallo strapotere del magnate cinematografico. La stessa Argento ha giustificato un silenzio lungo vent’anni per la paura del magnate, perché “Lui ha fatto male a tante persone in passato”. La dinamica assume così i contorni di un ricatto. La carriera ed il quieto vivere in cambio del silenzio. Weinstein nega ogni accusa, ma le numerose testimonianze lasciano poco spazio al dubbio.

LE REAZIONI Lo scandalo ha immediatamente causato una serie di reazioni a effetto domino. In molti a Hollywood hanno tagliato i ponti con il produttore. Un numero crescente di attrici, tra cui Meryl Streep, Kate Winslet e Jennifer Lawrence ha pubblicamente espresso solidarietà alle vittime delle molestie e condannato i comportamenti di Weinstein. L’8 ottobre scorso Weinstein è stato inoltre allontanato dal consiglio d’amministrazione dell’azienda fondata con il fratello, di cui ne era eroe. Il 10 ottobre, la moglie Georgina Chapman ha chiesto il divorzio dal produttore.

 di Francesca Gottardi

Il giorno seguente Weinstein è stato espulso dall’Accademia degli Oscar. I vertici dell’Oscar Academy hanno motivato la decisione dichiarando la fine dell’epoca della “deliberata ignoranza e della vergognosa complicità in comportamenti sessuali predatori e molestie sul luogo di lavoro”. Il caso Weinstein ha generato forti risposte anche sul web. Sei milioni sono le donne che si sono unite sui social sotto l’egida dell’hashtag #MeToo – #Ancheio per denunciare un abuso subito. In molte hanno pubblicamente raccontato le loro storie. Nessuno si sarebbe mai aspettato che il fenomeno fosse di tali proporzioni. Sono in molti a chiedersi perché dopo decadi di silenzio lo scandalo sia emerso proprio ora. Chissà che questo sia davvero il segno di un significativo cambiamento culturale, dove le molestie nei confronti delle donne non trovano più tolleranza.

Francesca Gottardi è nostra corrispondente dagli USA


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IL SOMMARIO Speciale Dal mondo ....................................................... 3 Sommario ........................................................ 5 Punto e a capo ................................................. 7 La prostituzione ................................................ 9 Essere genitori e figli....................................... 12 Intervista impossibile ...................................... 14 La Divina Commedia ....................................... 16 Il personaggio ................................................ 18 Lettera al Direttore.......................................... 21 La nuova legge sulla cittadinanza ..................... 22 Il Grande Fratello e l’informazione .................... 25 Lettera al direttore .......................................... 26 La Fondazione Romani Sette Schmid ................ 28 La residenza Rododendro ................................ 29 La Valsugana e i censimenti asburgici ............... 30 Il Columbus Day in America ............................. 31 La malaria ...................................................... 56 Una bella storia d’integrazione ......................... 58 Alessia Tisot ................................................... 59 I Reversi…che strani........................................ 60 I vigili in manovra ........................................... 61 La fitoterapia .................................................. 62 Fortunato Depero............................................ 64 I Rosminiani ................................................... 65 Bambini che crescono con gli animali................ 66 Riccio o crespo ............................................... 67 La pranoterapia .............................................. 68 Le cronache.................................................... 70 Piccoli storici crescono..................................... 71 Luigi Prati Marzari ........................................... 72 Lettera al direttore .......................................... 73 Alimentazione consapevole .............................. 74 Danza, fitness e show ..................................... 75 Mutui: occhio ai tranelli ................................... 76 Un grazie al maestro Baldi ............................... 78 Benessere & salute ......................................... 79 Le fortezze dell’Imperatore: Doss Fornas .......... 80 Le cronache.................................................... 82 Le cronache.................................................... 83 Le cronache.................................................... 84 Le cronache.................................................... 85 Giocherellando................................................ 86

MEDICINA E SALUTE Coordinamento redazionale dello Speciale a cura della dott.ssa Laura Fedel

• La famiglia: una storia infinita......33 • Genitori e figli nel 2017.................. 36 • Bambini e capricci.... 38 • Supportare giocando ................. 40 • Genitore 1 e genitore 2............. 43 • La difficoltà di adottare .............. 44 • Pro e contro la tecnologia............ 47 • Mamme alla pari per l’allattamento..... 48 • La famiglia è una sola ............... 50 • Il nepotismo nel DNA familiare ..... 53 • Papà in gioco........... 54 • Nati per leggere....... 55

ANNO 3 - NOVEMBRE 2017 DIRETTORE RESPONSABILE Armando Munaò - 333 2815103 direttore@valsugananews.com VICEDIRETTORE Franco Zadra COORDINAMENTO EDITORIALE Enrico Coser - Silvia Tarter COLLABORATORI Roberto Paccher - Luisa Bortolotti - Elisa Corni Erica Zanghellini - Francesco Cantarella Francesca Gottardi - Veronica Gianello Maurizio Cristini - Alice Rovati - Daniele Spena Waimer Perinelli - Mario Pacher Laura Fratini - Francesca Schraffl - Sabrina Mottes Chiara Paoli - Tiziana Margoni - Patrizia Rapposelli Zeno Perinelli - Adelina Valcanover Giampaolo Rizzonelli - Laura Fedel CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA Dott.ssa Cinzia Sollazzo - Dott. Alfonso Piazza Dott. Giovanni Donghia - Dott. Marco Rigo EDITORE Grafiche Futura srl Via della Cooperazione, 33 - Mattarello (TN) IMPAGINAZIONE, GRAFICA Grafiche Futura STAMPA Grafiche Futura PER LA PUBBLICITÀ SU VALSUGANA NEWS info@valsugananews.com www.valsugananews.com info@valsugananews.com Registrazione del Tribunale di Trento: nr. 4 del 16/04/2015 - Tiratura n° 7.000 copie Distribuzione: tutti i Comuni della Alta e Bassa Valsugana, Tesino, Pinetano e Vigolana compresi COPYRIGHT - Tutti i diritti di stampa riservati Tutti i testi, articoli, interviste, fotografie, disegni e pubblicità, pubblicati nella pagine di VALSUGANA NEWS e sugli Speciali di VALSUGANA NEWS sono coperti da copyright GRAFICHE FUTURA srl e quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore, del Direttore Responsabile o dell’Editore è vietata la riproduzione o la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni, per altri giornali o altre pubblicazioni, possono farlo richiedendo l’autorizzazione scritta all’Editore, Direttore Responsabile o Direttore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che, utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio e quindi fatta pervenire, a GRAFICHE FUTURA srl, le loro pubblicità, le loro immagini i loro testi o articoli. Per quanto sopra GRAFICHE FUTURA srl, si riserva il diritto di adire le vie legali per di tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.



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Punto

IL BAR COME CIRCOLO D’ARTE A

l MAC, Museo Arte Contemporanea di Santiago del Cile, tre giovani italiani, due sorelle ed un ragazzo, hanno aperto un bar ristorante con il quale hanno un ottimo guadagno. Cucinano ricette della nonna, piatti del centro sud Italia. La ricetta funziona ed a trarne vantaggio è il Museo che si anima di visitatori interessati alla cucina. Al Mart di Trento e Rovereto fa brutta mostra di sé un bar chiuso e buio, un

 di Waimer Perinelli Il MART di Rovereto

corpo morto affacciato sulla piazza di Botta, affollata di immigrati più o meno regolari. Cinque gestioni si sono succedute in pochi anni, l'ultima ha chiuso nel 2016 quando lavoravano otto donne e due cuochi. A Rovereto sono almeno dieci i bar ristoranti classificati come eccellenti e sono tutti gestiti da imprenditori capaci di investire soldi e fantasia. Di fantasia ne servirebbe molta al Mart dove le

portate potrebbero avere il nome dei maestri dell'arte e delle loro opere. Il Bar- Caffetteria potrebbe ispirarsi ai celebri Bistrot francesi e romani spesso veri circoli culturali. Per assurdo al Mart si potrebbe andare per la colazione, il pranzo o la cena e poi, una volta sul posto, perchè non fare un salto al museo. E magari partecipare a qualche incontro sull'arte e sugli artisti.

LA LEPRE E LA TARTARUGA D

a Milano a Roma in 2 ore e 50. I treni Italo e Freccia Rossa sono diventati mezzi per pendolari. Non con la valigia di cartone bensì con I Pad, ma pur sempre emigranti di giornata. C'è chi abita a Milano e lavora a Bologna 200 chilometri percorsi in un'ora. Chi abita a Bologna e lavora a Firenze 79 chilometri in 37 minuti. Una vera rivoluzione secondo il sociologo Manuel Castells il quale ritiene superate le videoconferenze e aggiunge” i contatti internet hanno bisogno di un posto d'incontro offline, dove trovarsi fisicamente”. Treni che viaggiano a trecento chilometri orari, con cadenze metropolitane di 30 minuti, rendono possibile quella che egli chiama comunità.

I tradizionalisti possono consolarsi. In un'ora e 33 minuti sulla linea della Valsugana si percorrono 67 chilometri, ma non avendo fretta ci si può impiegare oltre due ore. Tempi che scoraggiano chi ha fretta: in 30 minuti si copre la stessa distanza con l’automobile. L'alta velocità delle linee Milano-Bologna-Firenze-Roma, non è tuttavia solo una scelta per tornare ogni sera in famiglia è anche il mezzo per togliere autoveicoli dalla strada e aerei dal cielo. Negli ultimi 20 anni il traffico aereo è sceso dal 60 al 22 per cento del totale quello automobilistico al 4 per cento. Quello ferroviario è salito dal 40 al 73 per cento. In Valsugana da 70 anni il sogno è di ridurre il traffico automobi-

listico pendolare verso Trento. L'unica strategia adottata finora è quella di intasare la tangenziale e impedire l'ingresso a Trento senza che le percorrenze ferroviarie siano scese significativamente. La gara non è più fra la lepre e la tartaruga bensì fra due testuggini e neppure Esopo saprebbe dirci come finirà.

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La prostituzione in Italia  di Armando Munaò Secondo un’indagine Istat e secondo i dati della Comunità Papa Giovanni XXIII, la prostituzione in Italia è cresciuta del 24% e non accenna a diminuire. Le nigeriane, rumene e le albanesi marocchine sono in maggioranza.

L

a legge Merlin del ’58, che ha abolito le “case chiuse”, ovvero i famosi “bordelli”, a detta di molti osservatori e a così lunga distanza dalla sua approvazione, non è stata idonea a gestire il fenomeno della prostituzione in Italia, anche perché il mercato del sesso è entrato in un limbo tra il lecito (per lo più il tollerato) e l’illegalità. Un fenomeno che, di fatto, rimane una realtà presente e costante, di fronte alla quale è difficile chiudere gli occhi. Prima dell’entrata in vigore della legge del ‘58 la prostituzione all’aperto era poco diffusa o quasi inesistente, mentre oggi in Italia, secondo quanto sottolineato dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, si calcola che le lucciole in strada sono oltre 70mila che aggiunte a quelle che lavorano in appartamento, hotel e altri luoghi danno un totale di circa 120mila. Un numero destinato a crescere in maniera esponenziale, complice l’aumento dell’immigrazione clandestina. Secondo la Caritas, una donna prostituita rende al suo “pappone” o a chi la sfrutta, dai 5 ai 7mila euro al mese. Nel 2010 la Commissione affari sociali della Camera aveva calcolato che la prostituzione in Italia garantiva un introito di almeno 5 miliardi di euro l’anno. Cifra, questa, che a distanza di cinque anni è certamente raddoppiata,

anche perchè chi decide di esercitare il mestiere più antico del mondo può farlo sapendo che non incorrerà nei divieti o nella condanna della giustizia. A tal proposito è utile ricordare che in Italia per le nostre leggi, la prostituzione non è un reato. Lo è solo lo “sfruttamento”, il favoreggiamento, l’induzione, e quella minorile (sotto i 18 anni). Con il termine prostituzione s’indica l'attività di chi offre prestazioni sessuali dietro pagamento di un corrispettivo in denaro. L'attività, fornita da persone di qualsiasi orientamento sessuale, può avere carattere autonomo, professionale, abituale, o saltuario. La prostituzione di solito è classificata in ampi gruppi, ognuno con le proprie specificità e modalità di esercizio, a seconda del genere o orientamento sessuale di chi offre il servizio. Si ha dunque la prostituzione femminile, la più diffusa e conosciuta, quella maschile detta anche prostituzione gay oppure omosessuale, la transessuale e dei travestiti. A questi grandi macro gruppi vanno aggiunti altri micro gruppi che identificano: la prostituzione minorile, quella virtuale-voyeuristica e offerta via internet con le telecamere, e infine quello degli assistenti sessuali che prevede un servizio rivolto ai disabili in

cambio di un compenso pecuniario. Le modalità di esercizio della prostituzione, che subisce sovente un forte ostracismo sociale e in molti Paesi è illegale, sono ampie e variegate. È molto comune la prostituzione di strada con l'esercitante che offre i suoi servizi sulla strada, o camminando o attendendo il “cliente”. Lo stesso nel caso della prostituzione maschile dove il “prestatore d'opera” è abbigliato in maniera molto appariscente, se non addirittura vestito da donna. La prestazione sessuale è sovente consumata in auto o in stanze in affitto in hotel e di solito ha durata molto, ma molto limitata. Le prostitute

La senatrice Merlin

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di strada sono chiamate anche "lavoratrici di strada". Generalmente l'offerta di prostituzione di strada si concentra in ben determinate vie ad alta percorrenza o in quartieri periferici. In alcuni Stati vi sono zone dedicate all'esercizio della prostituzione, i cosiddetti quartieri a luci rosse. In altri è esercitata in case di appuntamento o moderni bordelli. In Italia, dove sono illegali bordelli e case di appuntamento, sono stati denunciati numerosi sex club o club privè che ne facevano le veci. Un'altra modalità di esercizio della prostituzione è quella di accompagnatori e accompagnatrici o escort, che si offrono con le più disparate modalità, proponendosi con annunci su internet o sulla stampa cartacea, o celati dietro agenzie di accompagnatori, anche se non tutte le agenzie di accompagnatori offrono servizi sessuali al cliente. Al contatto telefonico segue la prestazione che avviene sovente presso la residenza del richiedente del servizio o in hotel. Anche dove la prostituzione è legale, il servizio di escort è comune. Tra le modalità di fruizione della prostituzione è annoverato, infine, il turismo sessuale che di solito coinvolge minorenni sotto i 15 anni. Rispetto all'offerta sessuale, gli esercitanti la prostituzione possono essere specializzati o offrire prestazioni generiche, anche molto diversificate dal semplice voyeurismo allo spogliarello che non prevede rapporto, dal massaggio

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alla masturbazione per arrivare alla prestazione sessuale completa o a variazioni del tema come sedute di sadomaso, registrazione di film pornografici, ecc. Le tariffe variano sia a seconda della prestazione richiesta che dei tempi. Si parte da 25/30 euro fino a un massimo di 100 per le prostitute che operano in strada. Si arriva a 250/300 per quelle che “ricevono” in appartamento. Cinquecento/1000 euro per le “professioniste” (le escort). Infine esiste una categoria (la più elevata, detta anche “di alto bordo” o da VIP) che non ha una quantificazione di base, ma può raggiungere e superare 5mila euro. Si pensa che nella normalità una prostituta “di strada” riesca a guadagnare non meno di 5/7 mila euro al mese. In base a queste cifre si ha l’esatto ammontare di quanto guadagna una prostituta al giorno: per quella di strada si aggira sui 300/400 euro al giorno (nei week end o festivi l’introito aumenta). Di questo incasso, quasi la totalità viene consegnato al protettore o al racket. Per quelle che operano in appartamento si arriva anche a 800/1000 euro. Per le escort e accompagnatrici anche 2/3mila euro. Per le squillo di lusso non esiste invece una quantificazione certa, ma si pensa che per ogni incontro riescano anche a farsi pagare 3/4mila euro. Questo alto cachet dipende non solo dalla disponibilità della ragazza e dal tempo che dedica al cliente, ma anche e soprattutto dal fatto che quasi sempre sono ex modelle, ex pornostar, hanno stile, charme ed eleganza molto sopra la media e non di rado sono in possesso di una grande cultura se non addirittura laureate. In Italia, secondo alcune indagini e statistiche, sono oltre 120mila

le donne che vendono il loro corpo e che quindi si prostituiscono. Di queste oltre il 67 % è costretto a prostituirsi e rese schiave dal racket o da coloro i quali, illudendole con la sicurezza del lavoro, le fanno venire in Italia e poi le indirizzano sulla strada. Il 32 % circa lo fa per scelta personale o per estrema necessità di vita e la rimanenza per incontri occasionali in cambio del “regalino”. In questa ultima percentuale si inseriscono quelli della prostituzione minorile ovvero delle “baby squillo”, fenomeno in continua crescita che vede sempre più spesso ragazze (anche benestanti) usare il proprio corpo, in discoteca come a scuola, per l’acquisizione di beni materiali di consumo, vestiti, soldi, ma anche, dal punto di vista psicologico e sociologico, come strumento di controllo, competizione, e acquisizione di potere verso il prossimo. Dagli studi effettuati e secondo la Comunità Giovanni Paolo XXIII si rileva che per quanto riguarda la nazionalità, il “triste” primato spetta alle nigeriane con oltre il 36%; seguono le rumene (22%), albanesi (11%), bulgare (9%), moldave (7%), ucraine (6%) e infine quelle provenienti da Cina e altri paesi (4,5%). Le statistiche ci dicono anche che l'età varia ed è così suddivisa: il 38% dai 13 ai 17 anni; il 54% dai 18 ai 30; circa il 12% sopra i 30 anni. I numeri ci dicono anche che circa il 65% lo fa in strada mentre il rimanente 35% lo fa in appartamento, albergo, night, o privè. L'indagine si sofferma


anche sulla prostituzione maschile evidenziando che non meno di 45mila sono i transessuali e travestiti che in Italia occasionalmente o costantemente vivono prostituendosi. Tra questi, il 60% sono di origine sudamericana, il 30% italiani, e il 10% asiatici o di altri paesi e una minima parte interessa quelli che, con un particolare intervento, sono diventati donne a tutti gli effetti. Ma non meno importanti sono i dati che si riferiscono agli oltre 9 milioni di

clienti che garantiscono alla prostituzione non meno di 9 miliardi di euro. Quelli sposati che usano andare con prostitute sono oltre il 77% mentre il rimanente 23% è celibe. Di questo 100%, il 57% appartiene al ceto medio, il 21% a quello alto. Il rimanente 23% medio basso e basso. Sempre per quanto riguarda i clienti della prostituzione, la loro frequenza di un rapporto settimanale interessa il 15%; ogni 15gg il 75% e il 10% una volta al mese. Ma il dato che di più preoccupa è il fatto che di questi uomini (la loro età è di 40-55 anni per il 44%, di 2124 per il 14%, di 25-40 il 21%, del 17% dai 56 in su,

L’ingresso di una casa chiusa e il 5% è minorenne) più del 75% chiede di avere un rapporto non protetto, in barba alle norme contro i contagi sessuali. Un altro dato interessante è la richiesta di prestazione: il 73% cerca solo ed esclusivamente il rapporto sessuale nelle diverse forme e aspetti; il 21% conversare, mentre, e questo è davvero preoccupante, il 6-7% vuole maltrattare, dominare o picchiare la prostituta.

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Essere genitori e figli in una modernita’ ostile

 Patrizia Rapposelli

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siste un termine con cui gli anglosassoni indicano l’insieme delle competenze necessarie a prendersi cura del proprio figlio, dall’infanzia alla sua maturazione: “Parenting”. Potremmo semplicemente definirlo il “mestiere del genitore”; infatti, se il lavoro è applicazione di energia al fine di giungere a un obiettivo, in egual modo il ruolo di genitore lo si può far rientrare in questa sfera. Anzi, potremmo dire un incarico tra i più difficili da interpretare, perché non si apprende sui libri e non esistono regole universali su come comportarsi, ognuno lo fa in modo soggettivo. Ciò che determina le competenze genitoriali sono la storia individuale e famigliare ricevuta, che a sua volta caratterizza atteggiamenti, credenze e abitudini disparate; il risultato è un approccio educativo diverso uno dall’altro, sia per quantità che qualità di tempo trascorso con i figli, modo di interagire e di dialogare, capacità di rispondere ai bisogni fisici e psicologici del pargolo. Si potrebbe inoltre aggiungere, mestiere non reso facile dalla società contemporanea, la quale viene descritta con l’immagine di “modernità liquida”. Si fa riferimento ai legami sociali che tendono a dissiparsi e disgregarsi facilmente sino a produrre un individuo, solo, egoista, ed egocentrico, che vive in un tempo anch’esso liquido. La modernità ha insegnato “a parlare”, ma quanta effettiva comunicazione e

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ascolto ci sono? In questo punto inseriamo la problematicità del rapporto genitore-figlio; infatti ricerche recenti evidenziano una fragilità famigliare che sfocia nel problema comunicazione. In un fondo melanconico osserviamo una crisi totale del dialogo: a casa si parla poco e la vecchia generazione si è adattata al modo di comunicare della e-generation, sintetico e tecnologico. Le App e la messaggistica istantanea trasformano un genitore in un investigatore informatico per comprendere abitudini e amicizie del figlio, ma un “i message” è velocità e immediatezza, nella fretta non esiste ne tempo ne ascolto. Questa modalità educativa diviene cruciale nell’adolescenza, quando il carattere non è definito e il temperamento tende a degli spunti eccessivi, sia sul versante dell’ideazione, sia degli agiti. L’adolescenza segna il passaggio dalla famiglia alla società, dal dentro noto, al fuori, inteso come nuovo da scoprire. In questo contesto l’appartenenza al gruppo dei pari è fondamentale, correre dei rischi nella ricerca di sicurezze, contestare e accusare gli adulti per un bisogno di indipendenza. Nella società d’oggi è emersa la difficoltà dei genitori ad affrontare tale periodo che viene percepito con paura,

e ci si dimentica di allenarsi a conoscere e condividere le tappe della crescita di un figlio. Sembra una banalità, suona come uno slogan, ma il dialogo con un ragazzo non è semplice da realizzare, lo si costruisce in un insieme di partecipazione, confidenza e condivisione, senza né fare l’amico, né invadere la sua vita. Non significa lasciare libertà senza responsabilità, ma essere interessati a conoscere il mondo di un figlio evitando atteggiamenti legati al giudizio o al ricatto affettivo. La società odierna non aiuta in questo compito, il genitore stesso è risucchiato in quella rete di liquidità e nella frenesia del tempo in termini fisici ed emotivi. Potremmo concludere inserendo il ruolo del genitore in un mondo che gli è ostile e lo status da figlio nella comodità dell’ostinazione; in fondo la società d’oggi è ostile, ma non mancano gli spunti per divenire consapevoli.


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t ei s i r vs i b i l e t in pos im

GIOVANNI CAPRONI

 di Adelina Valcanover

do, nacque a Massone presso Arco in Trentino Talie di nte i co pron Ca tista Bat i vann Gio g. l’in Pioniere dell’aviazione, dell’Aereonautica, sia militare che civile, tori i fau de o un Fu 7. 195 obre ott 27 il ma il 3 luglio 1886 e morì a Ro di Trento presso l’aeroporto omonimo. tica onau Aere dell’ useo M il icato ded è lui A italiana.

Buongiorno signora Adelina, a lei piace volare? In aereo intendo. Assolutamente sì, adoro volare, ma perché lo vuole sapere? Allora non mi negherà certo una delle sue interviste impossibili. Sono l’ing. Caproni. Volentieri! Lei è uno dei trentini più conosciuti nel mondo. Mi par di rammentare che dai sempre dei tu ai tuoi intervistati. Fallo anche con me, prego. Certo! Io partirei subito chiedendoti di dire qualcosa che ti presenti. Sono nato vicino ad Arco, che all’epoca si chiamava Oltresarca; i miei erano benestanti e quindi mi fecero studiare e mi laureai in ingegneria civile a Monaco di Baviera nel 1907 e poi sono andato a Liegi, in Belgio a specializzarmi in elettrotecnica. Lì ho cominciato a interessarmi di aereonautica, dopo avere assistito a una manifestazione dei fratelli Wrigt (1903). La cosa è maturata lenta-

mente, a Parigi, e dopo aver conosciuto altri pionieri della cosiddetta ‘terza dimensione’. Quando cominciasti a costruire il primo aereo? Quando sono rientrato ad Arco, finiti gli studi.. Il primo aereo che costruii, era un biplano; lo chiamai Ca.1. Mi sono reso conto però che non avrebbe mai potuto volare lì, tra le montagne, e allora me ne sono andato a Massa Lombardo alla Cascina Malpensa. Non fare quella faccia, proprio dove adesso c’è l’aeroporto internazionale! Era di proprietà del demanio, incolta e abbandonata, ma adatta allo scopo. Con me è venuto anche il mio amico meccanico Ugo Tabacchi. Ha fatto lui da pilota, ma come se la cavò? Il decollo fu perfetto, il volo brevissimo e l’atterraggio… sfasciato il Ca.1! Il velivolo era giusto e funzionante, molto meno il pilota collaudatore, che non aveva nessuna esperienza di volo. Ma vedemmo la cosa dal lato positivo, in fondo il volo era andato benissimo e per l’atterraggio, il problema si poteva risolvere. Hai continuato a Caproni con il modello Ca 32 costruire aerei?

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Gianni Caproni Certamente. Avevo fondato l’azienda aeronautica Caproni e, con i miei velivoli, grazie anche a due piloti italiani, Cobioni e Donati, abbiamo segnato i primi record mondiali di velocità e distanza, nel 1912 a 106 chilometri orari; e di altezza 1934 a 14.433 m.. Ma andiamo con ordine. Dopo il volo dovetti trasferirmi a Vizzola Ticino, perché da Massa ero stato sfrattato. Ho anche fondato la Scuola di aviazione Caproni. Ho poi perfezionato altri aerei cui mettevo il nome Ca seguito da un numero. Sempre modelli biplani? No, dal Ca 8 al Ca 16 erano monoplani, ed ebbero un certo successo, al punto che ne costruii delle serie. Il 18, per esempio, era destinato alle osservazioni dall’alto, ma qui cominciarono i veri pro-


blemi. Non superai un concorso militare italiano, (era il 1913) e io contavo sulle commesse, che non ci furono ed ebbi serie difficoltà economiche. Vendetti allo Stato la mia azienda e divenni direttore tecnico. E allora come proseguisti nello sviluppo dei nuovi velivoli? Te l’ho detto: sono un ottimista irriducibile. Nonostante le difficoltà cominciai a costruire trimotori da bombardamento che dal prototipo (si era già al numero 31) ho continuato, migliorando le prestazioni.

Museo dell' a eronautica Gianni Caproni Alla vigilia della Grande guerra, i capi della Difesa, capirono l’importanza di quello che eri riuscito a fare? Macché! Gente ottusa, anche allora. Il governo austro-ungarico, che vedeva al di là del proprio naso, mi invitò ad andare a lavorare per loro. Strapagato e con disponibilità di spazi e mezzi. Ho rifiutato. Io mi sentivo italiano. Poi i miei trimotori furono utilizzati oltre che dall’Italia anche da Francia, Inghilterra e USA, ovviamente prodotti all’estero su licenza. Cosa vuoi che ti dica! Con la fine del conflitto si ebbe un impulso in questo senso? No, hanno smobilitato tutto. Non avevano la percezione del futuro. Comunque io che credevo nelle capacità di questa macchina ho continuato utilizzandola come trasporto civile. Primo al mondo! Checché se ne dica un nuovo impulso nell’aeronautica si ebbe con l’avvento di Mussolini, che istituì la Regia Aeronautica con tre specialità (ri-

cognizione, caccia e bombardamento), con tanto di flotte aeree! Comunque da lì ho veramente, passami la facezia, decollato! Con più di venti consociate ho creato il Gruppo Caproni. Per curiosità ti dirò che con Ducrot, (1936) ho fondato l’Aeronautica Sicula. Insomma già agli inizi degli anni Trenta le Officine Caproni erano un complesso industriale italiano molto importante. Oramai eri conosciuto in tutto il mondo, quindi sorsero areoporti sia per l’aviazione militare che per quella civile . Si, e non dimenticare la sofisticata strumentazione di bordo che anche grazie a Marconi. Già nel ’22 si parlò di quello che poi divenne il RADAR, ma anche qui, quelli intuitivi furono gli stranieri. Va beh, che ci vuoi fare! Quando fu che l’Esercito e la Marina si unirono all’Aereonautica? Fu Ettore Balbo, che con grande intuito, disse e presentò il progetto di riorganizzazione generale. Io penso che contava di diventare Capo di Stato Maggiore. Mussolini lo depennò e il resto è storia. Nel secondo conflitto mondiale il re mi nominò conte di Taliedo. Era il 1940. Io ero contrario all’entrata in guerra, poi dopo l’8 settembre, mi sono trovato nella repubblica di Salò e lì ho manovrato perché i macchinari non venissero

Gianni Caproni con Vittorio Emanuele III in visita alla Caproni - 1939 spediti in Germania insieme alle maestranze. Nel disordine del primo dopoguerra sono stato accusato di collaborazionismo e mi resi latitante fino al ’46, quando venni riabilitato. E l’azienda durante la tua assenza, come se la cavò? Accumulò tantissimi debiti, che cercai di ripianare chiedendo fondi anche a governi stranieri. Ma al solito i nuovi governi italiani preferirono rifornirsi all’estero e tanti saluti. Un’ultima cosa, parla del museo dell’Aereonautica. Fin dai primi anni io ho sempre conservato gli aerei più importanti all’interno delle Officine Caproni e poi nel 1927 ho esposto la prima collezione mondiale aereonautica del mondo. Riaperto come saprai a Trento nel 1992 e poi inserito nella rete dei musei scientifici del MUSE. Ecco, io ti voglio salutare così: mai arrendersi ai mediocri, mai arrendersi alle avversità, ma pensare in grande sempre e comunque. Così si vola!

Trento - Museo Gianni Caproni

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La

la vita Divina come scelta

Commedia: G

regorio Vivaldelli, 50 anni, è un giovane dottore in teologia biblica, professore ordinario allo Studio Teologico Accademico di Trento e docente alla Scuola Diocesana di Formazione Teologica. Appassionato dalla Divina Commedia, sta girando il Trentino proponendo delle serate pubbliche che interpretano di volta in volta una parte dell’opera del grande Dante Alighieri, croce e delizia di generazioni di studenti, ancora oggi alle prese con quei versi. Una delle ultime serate intitolava: “In me s’accese amore”. La gioia della salita nel Purgatorio di Dante; un’altra: “Chi ama chiama”. Luci e volti nel Paradiso di Dante; un’altra ancora: “Sei ciò che ami”. Sincerità e inganni nell’Inferno di Dante. «A me piace chiamare queste serate – dice Vivaldelli – “condivisioni”: un tentativo di condividere l’idea di Dante che la vita sia una scelta continua, con le sue gioie e le sue fatiche. La Divina Commedia è sicuramente un patrimonio dell’umanità, ma è soprattutto patrimonio “di” umanità, poiché Dante rie-

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 di Franco Zadra

sce a far emergere tutta l’umanità presente in ciascuno di noi, nei suoi aspetti belli come in quelli meno belli, cercando di educare i suoi lettori ad affrontare le proprie debolezze per aiutarli a scegliere il bene, in vista di un Bene maggiore». La Divina Commedia contiene risonanze legate alle Sacre Scritture? «Assolutamente! – dice Vivaldelli - La mia passione per Dante deriva dal fatto che, oltre ad attingere al giacimento culturale della mitologia classica e latina, ha attinto abbondantemente al patrimonio della letteratura biblica. La Bibbia ha ispirato la costruzione della Divina Commedia e Dante ha incastonato il suo poema con delle gemme tratte dalla Sacra Scrittura, rendendolo in tal modo ancora più luminoso e splendente. Pensiamo, per esempio, al fatto che le prime parole che mette in bocca a sé stesso come personaggio, quando nella selva oscura incontra Virgilio, sono tratte dall’inizio del salmo 51, “Miserère mei,...”, “Pietà di me...”; oppure, le anime che arrivano sulla spiaggia del Purgatorio, cantano il salmo 113: “In exitu Israel de Egipto”, “Quando Israele uscì dall'Egitto...”. Ma tutta la sua opera è piena di riferimenti biblici. Il bello di Dante è che fa

risuonare la Sacra Scrittura in tutta la sua capacità di coinvolgere ogni uomo, in ogni situazione nella quale si trovi, nel tentativo di renderci un po’ più umani. Il motivo per il quale la Divina Commedia attira ancora oggi moltissime persone, credo stia proprio nel fatto che ciascuno coglie il desiderio di Dante di cercare di tirarlo fuori dalle sue miserie e renderlo felice. Il discorso di Dante è un discorso onesto perché avverte che ritrovare la pace del cuore non è mai a buon mercato, ma è un cammino, un viaggio che spesso deve partire dalle asperità delle proprie fragilità così ben descritte nella Cantica dell’Inferno». «La Divina Commedia è la mia passione – aggiunge Vivaldelli – e la Bibbia è la mia vita. Ho scoperto che unire passione e vita apre alla bellezza, genera libertà e dona pace. Suscita nostalgia per la libertà. Dante definisce sé stesso come colui che “libertà va cercando”. Questo ci permette anche di decriptare il concetto di “sal-


vezza” che rischia di non essere più compreso. Quando uno è sufficientemente sazio di beni può chiedersi, sentendosi a posto: “ma da cosa devo essere salvato?”. Il cammino di Dante descritto nella Divina Commedia vuole suscitare il desiderio di eternità che è presente in ogni persona. Il colpo di genio di Dante è questo parlare dell’aldilà perché riflettiamo sul nostro aldiquà, riuscendo così a parlarci del nostro “adesso”. Questo suscita un grande desiderio di eternità, una specie di gancio in cielo al quale aggrapparci per salvarci dalle nostre mancanze di libertà, dalle nostre schiavitù, dalle nostre dipendenze. Termini come “libertà”, “responsabilità”, sono termini chiave nella Sacra Scrittura come nella Divina Commedia, ed “eternità” è l’unità di misura temporale in entrambe, del desiderio di “un oltre” che abita ciascuno di noi, tutti assetati di un significato più vero, un

senso che tenga insieme il nostro esistere, tutti alla ricerca di un tutto portante che dia senso alla nostra esistenza. La disperazione consiste proprio nell’essere dispersi in situazioni umane prive di significato che Dante sintetizza nell’immagine geniale della “selva oscura” che rappresenta appunto un disorientamento. L’eternità è, più che un luogo o una dimensione, un orientamento esistenziale, un’indicazione per dirigerci verso ciò che è di per sé inafferrabile, che non possiamo capire, nel senso di “carpire”, ma che ci è dato come un dono. È dunque l’offerta di una sorta di bussola esistenziale, dove Dante, nella visione finale della Trinità, mostra che il polo magnetico è il volto di Gesù di Nazaret, nel quale ogni persona vede riflesso il proprio volto, la propria storia e il proprio cammino».

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IL PERSONAGGIO

Marilena Guerra è una delle poche donne in Italia chiamate a dirigere e coordinare l'informazione giornalistica di un’emittente televisiva. E di questa anormalità numerica, di questa differenza pro sesso maschile, lo testimoniano i dati presentati dalla ricercatrice Monia Azzalini, per conto dell’Osservatorio di Pavia, relativi al 2015, che evidenziano non solo che un direttore su quattro è donna, ma che le giornaliste, anche quelle con la “G” maiuscola, faticano e non poco a raggiungere i posti di “comando” e le stanze dei “bottoni”. I numeri dimostrano, infatti, che solo il 36% dei caporedattori è donna e la percentuale scende sotto il 23% (dati INPGI) quando ci si avvicina alla qualifica di direttore o vice. Fateci caso, ma nei giornali cartacei la vetrina principale è la prima pagina, e normalmente gli editorialisti sono quasi tutti maschi, così come le cosiddette grandi firme. Lo stesso dicasi per le Tv e gli opinionisti in video. In questi anni i dati saranno sicuramente cambiati, e ci auguriamo a vantaggio delle donne, ma in ogni caso sono sempre pochi e insufficienti per riequilibrare un panorama informativo che pende verso il sesso “forte”. Tornando alla “nostra” Marilena e a ciò che in questi anni ha saputo fare, partendo dalla tradizionale gavetta, una considerazione è d'obbligo: a nostro modesto avviso si è meritato il posto che oggi occupa e che la etichetta, a ragione, come il volto storico dell'emittenza locale trentina. Per meglio conoscerla e presentarla ai nostri lettori Vi proponiamo l’intervista del nostro Waimer Perinelli che di giornalismo televisivo è stato ed è un vero maestro. (a.m.)

Marilena Guerra,53 anni, diploma classico al Prati, laurea in scienze della Comunicazione, è dal 2006 direttore di Trentino Tv.Vive in una bella casa affacciata sul lago di Caldonazzo, dove si circonda di ricordi, come le foto di nonni e genitori, e immagini modernissime con quadri di autori trentini, oggetti di vetro soffiato e decorato e mini sculture di Mastro7. L'ho conosciuta quando l'emittente si chiamava ancora TCA e lei era l'apprendista direttrice. Giornalista ma non per caso. “Un’opportunità per una professione affascinante capitata nel 1992 quando a TCA cercavano una lettrice per il telegiornale. L'emittente era piccola e non permetteva distinzione di ruoli e così si faceva di tutto e di più. Da speaker a giornalista, ma non senza fatica”

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volto storico dell'emittenza locale

La donna, la giornalista, la politica  di Waimer Perinelli

Lunga la gavetta? “Si, diventai pubblicista nel 1996 e professionista sei anni dopo. Con in mezzo la soddisfazione di intervistare Carlo Azelio Ciampi Presidente della Repubblica. Inavvicinabile per una piccola emittente ma quando lo incontrai alla Campana della Pace indossai i panni della cronista d'assalto ed ebbi la bella soddisfazione”. Quello un attimo di gioia che fa bella la professione. Ma non mancano momenti tristi. “Si lo sono tutti quelli di cronaca. In particolare recentemente abbiamo dato la notizia di quell'uomo che, travolto dai debiti, ha ucciso i due fi-

glioli prima di togliersi la vita”. Tua figlia ha 23 anni ed una laurea in lingue, se volesse fare la giornalista cosa le diresti. “La sconsiglierei. E' un bellissimo lavoro ma altrettanto impegnativo. Oggi poi è affollato di senza occupazione o precari”. La crisi ha colpito anche Trentino Tv. “Ha colpito duro. Sono mancati gli investimenti privati, la pubblicità è diminuita a causa della crisi delle aziende e anche l'Ente pubblico ha ridotto le spese per l'informazione. E' stata una crisi devastante. Abbiamo ridotto l'organico, anche giornalistico, e mi è spiaciuto perdere due bravi

collaboratori.” Direttrice di Trentino Tv dal 2006 organizzi e conduci due edizioni di telegiornale in diretta, quattro repliche, le rubriche di sport, bicicletta, economia e sulle minoranze linguistiche. Dopo la crisi siete rimasti solo in quattro. “Dobbiamo veramente impegnarci a fondo. Per fortuna ci aiutano i collaboratori di valle che inviano immagini e notizie” E poi c'è la concorrenza del web. “E' vero ma la recente indagine sulla scelta informativa delle persone dice che l'88 per cento preferisce ancora


la televisione. Siamo pronti anche per il confronto sul web: tutte le nostre notizie vanno nel web, anche in streaming, i servizi spacchettati su facebook.” Sposata in seconde nozze con Bruno Dorigatti, Presidente del Consiglio Provinciale, vivi accanto alla politica. Una vita spericolata? “No la politica è indispensabile alla società, ma attualmente mi sembra abbia perso il contatto con le persone, anche nel virtuoso Trentino”. Questo vuol dire che non scenderai in politica. “Si, smentisco ogni voce di un mio interesse per la politica praticata. Ho un grande interesse per la promozione delle donne affinché ci sia più compatibilità fra lavoro e famiglia. Sono convinta ci vogliano più donne in politica. Io la pratico sia come giornalista che come cittadina dedicandomi al volontariato. Sono presidente del Soroptimist Club di Trento e nel direttivo Associazione Famiglia Materna di Rovereto.” Si parla molto in questi giorni di donne molestate. Tu lo sei mai stata? “Si mi hanno molestata! Ma non lo ricordo più”.

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Lettera al Direttore Da parte del consigliere provinciale Claudia Cia, Coordinatore di AGIRE PER IL TRENTINO, riceviamo e volentieri pubblichiamo.

 di Claudio Cia

AGIRE PER IL TRENTINO LANCIA:

l’operazione ascolto e trasparenza nel Trentino A

gire per il Trentino è nato con l’obiettivo, coraggioso e ambizioso, di portare un concreto e positivo cambiamento nella gestione del nostro territorio, del nostro Trentino; in particolare ha voluto sin dalla sua nascita, centrare la sua attività per farsi promotore della trasparenza e della lotta alla cattiva gestione della pubblica amministrazione. Il Trentino è una provincia autonoma e questo significa non solo avere diritto a maggiori risorse, ma dovere nel gestirle al meglio. Agire è consapevole che, anche se tanto si parla di crisi, in realtà essa tocca ben poco la fascia dei benestanti e abbienti che invece, forse, ne parrebbero addirittura aver beneficiato; al contrario sempre più sono i cittadini

“comuni” in difficoltà. Insomma i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri! Il Trentino non è esente, forte di grandi risorse, da sprechi, privilegi e mala gestione delle risorse pubbliche che quasi sempre vanno proprio a vantaggio dei più abbienti o di qualcuno; un caso su tutti la politica immobiliare, tema che pochi ad oggi hanno voluto affrontare. Agire sferra la lotta agli sprechi! Agire attiva azioni per risparmiare e recuperare milioni di euro, con i quali propone d’ istituire un fondo a favore dei tanti e sempre maggiori giovani e cittadini in difficoltà, esclusi da un sistema locale che a dispetto di tanta vantata assistenza, sensibilità e vicinanza al cittadino, in realtà nei fatti non lo è per nulla. Agire vuole rendere partecipe il cittadino alla gestione delle risorse, alla lotta agli sprechi, vuole far loro capire che sono soldi e risorse di tutti! Solo così il cittadino riprenderà fiducia nella politica e nelle istituzioni, ora che ne è disgustato e demotivato, o addirittura rassegnato e di questo purtroppo l’astensione al voto ne è il segnale più emblematico. Per questo Agire, lancia

un progetto innovativo mai realizzato in Trentino, di vicinanza ed ascolto della gente trentina! Una rete di sportelli dove i cittadini potranno rivolgersi per segnalare le loro difficoltà, i loro problemi e bisogni, in particolare se essi riguardano la pubblica amministrazione. Nello stesso tempo, un portale on line dove rivolgersi e dove denunciare tutti i casi di cattiva gestione, spreco, illegalità e mancata trasparenza nella gestione delle risorse pubbliche, nonché consigliare forme di risparmio e lotta agli sprechi. Il cittadino diventa parte attiva e si rende partecipe per questa azione di miglioramento, sentendosi in prima persona utile a questo processo, vivendo il suo ruolo di cittadino attivo e non passivo nella amministrazione della res pubblica! Tutti i casi saranno pubblicati sul portale che in breve tempo diventerà così un vero e proprio “Must” in provincia e non solo ed una vera e propria mappa costruita da una rete di cittadini onesti e “vivi”. Agire ha già iniziato ad esplorare e raccogliere materiali per pubblicamente denunciare alcuni casi macroscopici di sperpero e comunque decisamente anomali che saranno illustrati nella conferenza stampa di presentazione; essi indubbiamente sono destinati a lasciare il segno.

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LA NUOVA LEGGE SULLA CITTADINANZA AGLI STRANIERI  di Armando Munaò

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us soli, Ius sanguinis e Ius culturae, sono i tre principi per diventare cittadini italiani secondo la nuova legge in discussione sia alla Camera che al Senato. Se questa legge sarà approvata definitivamente, gli oltre 650mila nati nel nostro paese e che non hanno mai lasciato l’Italia, e i circa 179mila studenti nati all’estero che hanno completato almeno cinque anni di scuola in Italia, potranno beneficiare della nuova norma sulla cittadinanza. In sintesi, e nel rispetto di questi nuovi principi viene stabilito che: è cittadino chi ha genitori italiani; chi è nato in Italia da immigrati che risiedono da molti anni nel paese; e chi ha frequentato la scuola italiana. La prima proposta sulla cittadinanza italiana per gli stranieri risale al 1992 e prevedeva come unica modalità per acquisire lo status di cittadino italiano solo e solamente lo “ius sanguinis” e con questa modalità: • un bambino diventava italiano se uno dei suoi genitori era italiano; • i figli nati in Italia da cittadini stranieri potevano chiedere la cittadinanza italiana a condizione che i genitori avessero dimostrato di essere residenti da almeno cinque anni e vissuto

continuamente nel nostro paese; • se il bambino nato in Italia avesse avuto solo genitori stranieri, poteva avanzare la richiesta di cittadinanza al momento del compimento del 18esimo anno di età dimostrando di avere avuto la residenza nel nostro paese legalmente e ininterrottamente. Un’altra proposta ebbe la firma, nel 2006, del ministro dell’Interno Giuliano Amato, fu ostacolata energicamente dai partiti d’opposizione a dispetto di un’indagine che vedeva il parere favorevole da parte della stragrande maggioranza degli italiani. Nel 2008, 2009, e 2010 la coalizione di centro destra (Forza Italia e Lega Nord) vincitrice delle elezioni, decise di considerare le politiche migratorie sul piano dell’ordine pubblico e di fatto si ebbe una battuta d’arresto sulla legge della cittadinanza. In questi giorni è tornata d’attualità la tanto discussa legge sulla concessione della cittadinanza italiana, approvata alla Camera alla fine del 2015, che

nello specifico riguarda soprattutto i bambini nati in Italia da genitori stranieri o arrivati in Italia da piccoli. La legge dovrà essere esaminata e votata al Senato dov’è dinamicamente sostenuta dal Partito Democratico con l’opposizione di Forza Italia, e Lega Nord. Per la cronaca, e al momento, il Movimento 5Stelle ha deciso di astenersi come fatto in precedenza alla Camera. Con la nuova legge, se sarà approvata, oltre allo “ius sanguinis” si introdurranno due nuovi principi: Il primo, lo Ius soli “temperato”, ovvero “diritto legato al territorio”, (un bambino nato in Italia diventa automaticamente

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italiano se almeno uno dei due genitori si trova legalmente nel Paese da almeno 5 anni). In applicazione delle norme che mirano a scongiurare l'apolidia, in Italia lo ius soli si applica anche in circostanze eccezionali e in tre casi: 1) per nascita sul territorio italiano da genitori ignoti; 2) per nascita sul territorio italiano da genitori apolidi; 3) per nascita sul territorio italiano da genitori stranieri impossibilitati a trasmettere al soggetto la propria cittadinanza secondo la legge dello Stato di provenienza. Lo Ius soli si applica anche quando il genitore in possesso di permesso di soggiorno non proviene dall’Unione Europea, ma dimostra di: • avere un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale; • disporre di un alloggio che risponda ai requisiti di idoneità previsti dalla legge; • superare un test di conoscenza della lingua italiana. Il secondo principio è lo Ius culturae, “diritto legato all’istruzione” e stabilisce

che potranno chiedere la cittadinanza italiana i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni che abbiano frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni e superato almeno un ciclo scolastico (cioè le scuole elementari o medie). I ragazzi nati all’estero, ma che arrivano in Italia fra i 12 e i 18 anni potranno ottenere la cittadinanza dopo aver abitato in Italia per almeno sei anni e avere superato un ciclo scolastico. Al momento si può diventare cittadini italiani anche secondo i seguenti principi: 1) per adozione da almeno uno dei genitori con cittadinanza italiana; 2) dopo 10 anni di residenza (status civitatis) se il richiedente dimostra di avere redditi sufficienti al sostentamento, di non avere condanne penali, e in assenza di impedimenti per la sicurezza della Repubblica;

3) per matrimonio (iure matrimonii) ovvero sposando appunto un cittadino italiano. 4) Infine, un caso che non introduce però un diritto ma una “concessione” della cittadinanza, cioè la “naturalizzazione”, un provvedimento discrezionale (la cittadinanza viene concessa con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del ministro dell’Interno) che va richiesto al prefetto o all’autorità consolare.

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IL GRANDE FRATELLO E L’INFORMAZIONE

IN VALSUGANA PROMOSSO UNO STUDIO  di Waimer Perinelli

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to camminando lungo la strada Claudia Augusta Altinate e squilla il telefonino. Messaggio. Prima di chiudere uno sguardo al display e vedo che una applicazione mi segna cinquemila passi effettuati. Qualcuno li ha contati. Sono sicuro di non avere chiesto alcuna informazione sui miei passi, ma al di là della comunicazione non richiesta, è evidente che qualcuno controlla quello che sto facendo. Ora ne sono sicuro, la fa anche a mia insaputa e senza autorizzazione. George Orwel aveva ragione: il Grande Fratello è con noi, il mio telefonino è inserito in cellule comunicanti fra di loro e con un Centro dati dove siamo noi stessi cellule. Ho eliminato l' applicazione ma, ne sono sicuro. Quest'idea mi inquieta, e voi ? Ma forse questa è solo una paranoia. Dubito e bisogna dubitare, pensare per essere, accertare la verità. Quale verità? Forse quella di Facebook, l'altro attualissimo mezzo di comunicazione, spesso fonte di macroscopiche bugie.

Sto leggendo le tesi di ventinove giovani con età compresa fra i 18 e 35 anni partecipanti al progetto Comunità e Narrazione – Contest di Giornalismo partecipativo, nato in Valsugana da un'idea di Giovanna Venditti e promosso da Tempora Onlus. Accolto dal Comune di Caldonazzo si è esteso a Trento e Mezzolombardo registrando complessivamente 120 iscrizioni. Leggo e imparo perchè i giovani sono preparati, intelligenti e in qualche caso ingenui. Le tesi esplorano un tema patrimonio della loro generazione e fondamentale per quelle future. Un mondo dell'informazione inquinato dalla false notizie, dalla post verità. Un esempio: durante la scorsa campagna elettorale in Austria Tal Silberstein consigliere del Partito socialdemocratico si è dimesso perchè ritenuto autore, attraverso facebook, di una campagna diffamatoria contro il leader dei popolari Sebastian Kurz. “La Calunnia è un venticello, un’ auretta assai gentile..” canta uno dei protagonisti nel Barbiere di Siviglia di Beaumarchais, ripreso nell’ opera di Rossini. Assai gentile, collosa, e difficile da sconfiggere. La calunnia è sempre esistita ma quello che oggi la rende

pericolosissima è che per diffonderla è sufficiente un click. Ma per distruggerla non sono sufficienti tutti i click del mondo. Mentre Silberstein si dimetteva anche per altri motivi, le due pagine di Facebook, ideate per colpire Kurz, continuavano a girare sul web. La verità fatica a farsi strada. A proposito di verità, torniamo ad Orwel ed alla sua felice intuizione, l’istituzione del Ministero della verità, che nel romanzo “1984” s’incarica di produrre la verità utile al potere. In quello auspicato per il web si rischia di affidare ai ministri e alla burocrazia la censura di verità scomode al potere. Viviamo l’epoca in cui ogni minuto nel mondo milioni di messaggi vengono inviati via wathsapp o postati su Facebook. Siamo afflitti da sofferenza informativa, ma parliamoci chiaro, dopo Gutemberg il mondo ha imparato a leggere. Con il web non basta più, è arrivato il tempo di fare informazione critica sull’informazione. Istruire correttamente perché, come sempre, non è il mezzo ad essere sbagliato ma il modo in cui viene usato.

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Lettera al Direttore Da parte di Walter Kaswalder, consigliere provinciale degli Autonomisti Popolari ci giunge questa lettera che volentieri pubblichiamo

Walter Kaswalder è Consigliere provinciale e regionale

VERSO LE ELEZIONI

LA POLITICA PROVINCIALE

Caro direttore, nell’approssimarsi dello scrutinio elettorale che in fine porterà alla luce del sole gli esiti di quegli sconquassi che in quest’ultima legislatura hanno caratterizzato la politica provinciale trentina, trovo meritevoli di approfondimento alcune recenti considerazioni che il senatore Lorenzo Dellai ha condiviso sulla stampa locale. Appare evidente che mentre il Patt si appresta a guidare l’ultimo miglio di governo dando per scontata una riconferma del suo presidente, Ugo Rossi, forte di una corazzata di partito che a suo dire vanta oggi almeno il 25% dei voti, qualcuno sta costruendo la quarta gamba di un tavolo coalizionale; una gamba “civica” con la quale contendere la leadership di governo al Patt, assieme a quella di Upt e Pd. Così, mentre il Titanic autonomista del 2013 sta andando a raggiungere l’angolo d’inabissamento, al suo interno si continua a ballare e a lucidare imperterriti l’argenteria. Un’astuta e autoritaria regia di pochi ha portato a un’ineluttabile mutazione genetica, in atto da qualche anno nell’attuale Patt di governo, dove si è preferito allontanare gli autonomisti in favore d’improvvisati reclutamenti di chi autonomista non è mai stato. Questo modus operandi è quello che nel mondo sportivo si definirebbe col termine di doping politico. L’alternativa che noi intendiamo offrire agli autonomisti, tur-

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bati e preoccupati da questa deriva, è quella di continuare a essere autonomisti anche fuori da quel Titanic che non li rappresenta più. È questa un’opzione che guarda avanti e raccoglie la richiesta di chi a questa terra trentina vuole assicurare coerenza di pensiero e d’azione. Quanto accaduto nella vicina Austria, quanto avvenuto in Catalogna, le richieste referendarie di Lombardia e Veneto, le pesanti amnesie dei governi occidentali in materia di sicurezza, la pervasività della finanza delle lobby bancarie, il dispotico accentramento politico di troppi Stati nazionali dimentichi delle ragioni delle singole Comunità, hanno portato la gente a optare in favore di radicalismi e partiti che questi estremismi rappresentano. Con insopportabile alterigia e supponenza, molta stampa, internazionale e non, accanto a un cumulo critico per la politica di palazzo, tende a liquidare questi passaggi elettorali come inutili ed emotivi populismi. Voler privare esiti elettorali, in quanto non condivisi, del loro legittimo carico politico, significa rifiutarsi di analizzare ciò che non piace e procedere su una strada di autoreferenzialità cieca. Penso, invece, che vada recuperato con estrema urgenza il diritto alla centralità del voto popolare, con tutto il suo carico di tensione emotiva che il politico deve tentare di leggere e provare a tra-

Walter Kaswalder con Silvius Magnago durre in risposte condivise. Non certo soccombendo acriticamente a tutte le istanze, ma mediando, interpretando, e guidandone lo spirito, non ignorandolo. Indugiare invece nella ricerca di superati contenitori e vecchie alchimie, si traduce nel relegare in secondo piano i reali temi che travagliano la nostra società, smaccatamente per fini di potere. A questo e per questo noi ci opponiamo, proponendo adeguate risposte con un movimento Autonomista e Popolare e con una nascente coalizione territoriale. È un modo antico di fare politica? Può essere. Ma è quello che conosciamo e che ha sempre trovato la sua efficacia nello stare vicino alla gente.


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DALL’ORFANOTROFIO “MARIANNA SETTE” ALLA FONDAZIONE ROMANI SETTE SCHMID

UN STORIA E UN LUNGO CAMMINO DI SOLIDARIETÀ CRISTIANA E CIVILE Una struttura con una “Mission” che basa la sua essenza sul venire incontro alle esigenze e necessità della comunità sia di Borgo Valsugana sia dei paesi viciniori e in particolare a quelle dei meno abbienti e più fragili della popolazione. La Fondazione Romani è una realtà come poche e come poche riesce ad assolvere compiti particolari che riguardano sia i bambini, sia ragazzi e sia anziani. Un complesso qualificato gestito in maniera egregia, e grazie a un dinamico volontariato costantemente presente al suo interno.

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'origine delle Istituzione, che ha sede a Borgo Valsugana, Piazza Romani, risale al 1838, data della morte della Signora Marianna Sette di Borgo Valsugana, la quale destinò il suo patrimonio a un erigendo orfanotrofio femminile di Borgo” che fu inaugurato il 6 settembre 1839 e legalmente riconosciuto, in data 30 aprile 1839. A partire dal 1854 e fino al 2000 la gestione dell'Orfanotrofio fu garantita dalla presenza e del servizio delle Suore di Carità delle SS: Capitanio e Gerosa. Nel 1910, l'arciprete Don Luigi Schmid ampliava l'orfanotrofio istituendo, con offerte proprie e di benefattori, un reparto maschile. Nel 1940 l’Orfanotrofio, per decreto governativo, veniva trasformato in Istituzione Pubblica. I fratelli Pietro e Carlo Romani donavano all'Orfanotrofio la sua attuale sede costruita sulle rovine della casa di famiglia distrutta durante la seconda guerra mondiale, che veniva inaugurata il 19 agosto 1955. In segno di riconoscenza, il Consiglio di Amministrazione dell’Ente, proponeva di modificare l’intitolazione statutaria dell’Orfanotrofio affiancando il cognome Romani a quelli dei precedenti benefattori; questo veniva poi denominato Istituto. Con provvedimento del 22 giu-

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gno 1999 la Regione Trentino-Alto Adige dichiarava la depubblicizzazione dell’Istituto Romani Sette Schmid che, scegliendo la veste giuridica e la denominazione di Fondazione, ritornava nell’alveo degli enti privati con la denominazione di Fondazione Romani Sette Schmid. Attualmente nello stabile e nel retrostante ampio parco (per un totale di oltre 3500 mq. di planimetria utile), si trovano e vengono gestiti direttamente e gratuitamente, nel rispetto del pieno ed encomiabile volontariato: Al 1° piano e piano rialzato la Scuola Equiparata per l’Infanzia Romani, frequentata da oltre duecento bambini dai 3 ai 5 anni.

 di Armando Munaò

L'Ing. Romani Al 2° Comunità e alloggi ANFASS con assistenza costante, riservati alla residenza e pernottamento per tutta la settimana, di cinque ragazzi ANFASS assistiti da 2 operatori di giorno e uno di notte. Al 3° la residenza Rododendro per anziani autosufficienti, che ha undici mini alloggi Al 4° il Centro Socio Educativo dell’ANFFAS, frequentato, nelle ore diurne, da 17 persone con otto operatori. Viene praticata la fisioterapia e musico terapia nonche’ assistenza continua. Presidente della Fondazione è l’ing. Romano Romani, Suo vice è Gianfranco Schraffl mentre la segreteria è affidata alle Sigre. Milisa Galvan e Sara Segnana.

La vecchia casa Romani


DALL’ORFANOTROFIO “MARIANNA SETTE” ALLA FONDAZIONE ROMANI SETTE SCHMID

LA RESIDENZA RODODENDRO

una comunità per gli anziani

L

a Residenza Rododendro è stata concepita come una piccola comunità in cui gli anziani possono trascorrere gli ultimi anni della propria vita (fino a che si rimane autosufficienti), godendo di tutta la privacy nel proprio alloggio e nel contempo condividere alcuni momenti comuni trovandosi immersi in un ambiente di amicizia, di serenità e aiuto reciproco. La sua collocazione posta nella piazza principale di Borgo Valsugana permette di essere facilmente raggiungibili da partenti e amici e anche fare, senza difficoltà alcuna, le commissioni quotidiane o anche passeggiare per le vie del paese a stretto contatto con il centro storico e le sue attività commerciali. E' costituita da 11 minialloggi, modernamente attrezzati, destinati ad anziani autosufficienti che desiderano godere di un appartamento individuale a costo molto contenuto e in cui sia possibile tutelare la propria privacy, senza per questo sentirsi soli, proprio in quel periodo della vita in cui la solitudine può aprire le porte alla depressione e tri-

stezza. Una gestione, quella della Residenza, decisamente attiva e funzionale grazie, sia all’aiuto dei volontari che in essa collaborano e che rappresentano uno dei punti “qualificanti” e più importanti della struttura e sia alla presenza di personale di segretaria e a quello incaricato della pulizia delle parti comuni. Tutti gli ospiti, molto solidali tra loro, dispongono di un servizio di segreteria coordinato da Maria Elisa Galvan, dove si possono rivolgere per la soluzione di eventuali problemi, e di un servizio di pulizia degli spazi comuni. E a proposito di spazi è utile sottolineare che all'interno della struttura sono presenti: un ampissimo e luminoso corridoio in cui è possibile passeggiare, nel periodo invernale o in caso di maltempo, da soli o in piacevole compagni con altri ospiti; una grande sala comune, che gode di un bel panorama e si affaccia su Piazza Romani, all'interno della quale si possono scambiare “due chiacchiere” o vivere momenti di gioiosa allegria magari festeggiando un compleanno, un anniversario o più semplice-

mente un piccola festicciola tra amici. E nella bella stagione si può anche godere del parco della Fondazione. Da evidenziare che gli anziani, vivendo a casa loro, non sempre sono in grado di risolvere tutti quei problemi che durante il giorno possono verificarsi. Nella Rododendro questi problemi sono sempre risolti da personale qualificato ma soprattutto gratuitamente

Alcuni volontari, (Rosangela Peruzzo e Mariarosa Cadonna), sono presenti nella struttura più volte alla settimana, per parlare con loro e, all'occorrenza, presentare e discutere le problematiche quotidiane. Ed è anche funzionale un servizio di assistenza religiosa e una coppia giovane alloggia nella Residenza che, quando è presente, è in grado di attivare servizi di emergenza anche notturni. La Residenza Rododendro (al 3° piano della struttura) è servita da ascensore che aiuta gli spostamenti verso l'interno e l'esterno. (A.M.)

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La Valsugana dei primi censimenti asburgici (1869-1891)  di Elisa Corni

U

n secolo e mezzo fa la nostra valle era molto diversa da come appare oggi: i centri abitati erano tendenzialmente più piccoli; la natura la faceva da padrona; campi e boschi curati indicavano come l’agricoltura fosse al centro della vita della gente. Fotografie e cartoline, dipinti e pagine di diario ci riportano questi aspetti, ma esistono anche altri strumenti per trasmetterci questi cambiamenti. Negli archivi, infatti, una serie di documenti ufficiali forniscono un’istantanea di episodi e fatti del passato, come i censimenti. Questi consentono di raccogliere le informazioni base sulla popolazione che abita in un determinato paese. I primi in Europa furono eseguiti nel Settecento, ma è solo nel secolo successivo che divenne una vera e propria prassi: in Inghilterra e in Danimarca dal 1801, a partire dagli anni Cinquanta di quel secolo nello Stato Pontificio e nel Lombardo-Veneto. Nel 1861 anche il neonato Regno d’Italia fece il suo primo censimento, mentre nell’Impero Asburgico, e quindi anche in Trentino, il primo censimento ebbe luogo nel 1869. Il secondo nel 1881 e poi di seguito ogni dieci anni fino al 1911.

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La tabella qui sotto riporta i numeri degli abitanti nei distretti della Valsugana nei primi tre censimenti. (tabella 1) La prima cosa che emerge è come, a partire dal 1869, si assiste a un notevole calo della popolazione residente: sono oltre 3.000 le anime in meno nel 1891. Ciò non valeva per il resto dell’Impero, dove, tra il 1880 e l’ultimo decennio di quel secolo la popolazione era in aumento con una media dell’8% (e con picchi del 14% in più). Anche il Tirolo, la regione più vicina al Trentino, mostrava un incremento, seppur lieve, dei residenti. Perché in Valsugana invece la popolazione era in picchiata? La risposta va probabilmente cercata in un fenomeno che coinvolse profondamente questa zona: l’emigrazione. La Valsugana all’epoca fondava la propria economia sull’agricoltura, che dagli anni Cinquanta dell’Ottocento aveva subito un forte rallentamento a causa di una serie di sventurate malattie che colpirono le principali produzioni agricole, quelle della vite e del gelso. Con la separazione del Lombardo-Veneto dall’Austria-Ungheria, inoltre, si erano chiuse molte delle vie commerciali verso le quali era

rivolta la produzione trentina, e l’istituzione di dazi e tasse doganali non aveva certo aiutato l’economia valsuganotta. L’assenza di moderne e rapide vie di comunicazione - la ferrovia non era ancora stata costruita - di certo non aiutavano la ripresa economica che da anni ormai non vedeva nuovi investimenti di capitali. Infine, la terribile alluvione del 1882, della quale abbiamo parlato qualche numero fa, distrusse paesi e coltivazioni. Tutto ciò fece sì che centinaia di persone fecero armi e bagagli e cercarono fortuna altrove: mantenere le numerose famiglie d’allora non era fattibile in una valle economicamente depressa. Dati alla mano, tra il 1870 e il 1887 dal Trentino emigrarono oltre 23 mila persone, il 7% della popolazione. Meta preferita, il Sud America. Alcuni di questi emigrati, o i loro figli o nipoti, sono poi tornati. Ma sul finire del XIX secolo il saldo della popolazione era decisamente negativo; quasi 6.500 persone abbandonarono in quegli anni la Valsugana, e solo 400 tornarono negli anni immediatamente successivi la partenza, come riportato nella tabella qui sotto. (tabella 2)


La festività

Il Columbus Day negli Stati Uniti

America

che divide

l’

gni anno, il secondo lunedì di ottobre, negli Stati Uniti si celebra il Columbus Day. Si tratta di una giornata dedicata all’arrivo di Cristoforo Colombo nel Nuovo Mondo, il 12 ottobre 1492. Il navigatore italiano è un personaggio storicamente importante per gli Stati Uniti. Oggi figura controversa, Colombo ha per lungo tempo rappresentato l’incarnazione del sogno americano. Tanti sono i riferimenti a Colombo negli USA. Per esempio, a lui è dedicata una delle più prestigiose università Statunitensi, la Columbia University. Inoltre, 20 città americane portano il suo nome, tra cui la capitale dell’Ohio, Columbus.

O

LE CELEBRAZIONI La prima commemorazione del Giorno di Colombo risale al 1869, su iniziativa della comunità italiana di San Francisco. Solo nel 1937 il presidente Franklin Roosevelt proclamò il Columbus Day festività nazionale. La celebrazione principale della giornata si svolge a New York, che tiene ogni anno una grande

sfilata sulla quinta strada, la Columbus Parade. L’evento è strettamente associato alla tradizione italiana, tanto che negli ultimi anni persino l'Empire State Building per l’occasione viene illuminato dei colori della bandiera italiana. Come da tradizione, il presidente statunitense ha invitato il popolo americano ad unirsi ai festeggiamenti del Columbus Day. Lo scorso 6 ottobre Donald Trump ha disposto che la bandiera degli Stati Uniti venisse spiegata in tutti gli edifici pubblici in onore della storia USA e di tutti coloro che hanno contribuito a modellare la nazione. Trump ha inoltre posto l’accento sul forte legame che storicamente esiste fra Italia e USA, dichiarando che “l’Italia è un forte alleato e un prezioso partner nella promozione di pace e prosperità nel mondo”. Nessun riferimento è stato fatto ai nativi americani, per i quali il Columbus Day rappresenta invece una dolorosa commemorazione.

LE POLEMICHE Molte città statunitensi hanno deciso di cancellare il giorno dedicato a Cristoforo Colombo. La festa nazionale che onora il famoso esploratore italiano è diventata infatti sempre più controversa. Se per il popolo italo-americano la giornata è motivo di grande orgoglio, per la popolazione indigena rappresenta infatti un’offesa. L’arrivo degli europei negli Stati Uniti ha portato mor-

 Francesca Gottardi

te e distruzione, spazzato via intere culture e causato la perdita di un immenso patrimonio storico. Per questo i gruppi nativi americani considerano il Columbus Day come una celebrazione dell'uomo responsabile del genocidio delle popolazioni indigene. Alla luce di ciò, in alternativa al Columbus Day ogni anno sempre più Stati e città USA optano per celebrare l’Indigenous Peoples Day, una giornata dedicata ai popoli indigeni. Il malcontento è palpabile tra i membri della comunità italo-americana, per i quali il Giorno di Colombo è molto sentito e che per questo non vedono di buon occhio la prospettiva di una sua cancellazione. Lo sfregio di una statua dell’esploratore italiano a New York dello scorso settembre ha ulteriormente peggiorato la situazione. Di recente Alberto Milani, presidente della camera di commercio Italia-America, ha difeso a spada tratta gli attacchi alla figura di Colombo, definendolo “un simbolo di coraggio e intraprendenza” per la comunità italoamericana.

Francesca Gottardi è nostra corrispondente dagli USA

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La Valsugana dei  di Franco Zadra

La famiglia, UNA STORIA INFINITA

È

facile, e insieme impossibile, scrivere una storia della famiglia. Ancora più facile, e ancora più impossibile, scriverla nel breve spazio di queste pagine, magari scegliendo di puntare l’attenzione su un singolo aspetto come la storia e l’evoluzione del rapporto genitori-figli nell’ambito famigliare della cultura occidentale, o pur semplicemente limitandosi alla sola realtà italiana. Facile perché ciascuno di noi è fondamentalmente un esperto di famiglia. Un’esperienza che va oltre qualsiasi possibile riconoscimento accademico, tanto che è sufficiente attingere alla propria esistenza per poter dire qualcosa di sensato sulla famiglia, almeno sulla propria. Impossibile per lo stesso motivo, poiché il termine famiglia sfugge ogni tentativo di definizione universale, ed è applicabile a ogni situazione relazionale. È il termine più abusato e appropriato per antonomasia, poiché da esso non si può prescindere. È il termine più relativo che esista, e poiché tutto è relativo… Potremmo riempire pagine scrivendo semplicemente la sequenza di attributi della famiglia, a partire dall’apparente assurdità di “famiglia mononucleare”, dove un individuo singolo si ritrova a comporre davanti alla legge una “famiglia” necessariamente monoreddito, fino al concetto di famiglia umana, comprendendo l’intera umanità, pas-

sando per gli altri infiniti concetti tra i quali troviamo purtroppo anche quello di “famiglia mafiosa” o l’odioso e paternalistico concetto del “siamo una grande famiglia” che si ritrova di tanto in tanto nei discorsi ipocriti di qualche manager o politico che lancia la sua rete per acchiappare consensi in nome dei sacri valori della famiglia, tanto che pure una “sacra famiglia” entra nel novero e fa parte dell’immenso catalogo. Nonostante questo terribile incipit, vorrei tentare un possibile approfondimento del tema famiglia partendo dalla realtà ideale che vede la famiglia, almeno in origine, almeno per un certo tempo, ma indiscutibilmente, come luogo della cura. Dal momento che veniamo al mondo, apparteniamo a una famiglia, e veniamo al mondo solo perché c’è una famiglia. Questa famiglia è nella sua sostanza più profonda il luogo entro il quale si realizza la cura del nuovo arrivato, si nutre, si fa crescere, in un ambiente però in continuo movimento, in continua mutazione. Questo “meccanismo” che naturalmente non è un meccanismo, anzi, indicarlo così diviene il modo più infelice per descrivere un miracolo, ma tant’è… usiamo le parole di cui siamo capaci, si esplica identico a se stesso fin dall’origine dei tempi, si potrebbe dire, fin da un secondo dopo

la grande esplosione del big-bang! La famiglia è il luogo dove non esiste il concetto di solitudine, ma anche se capitasse che qualcuno si sentisse solo in famiglia, abbandonato dalla famiglia, tradito, espulso, rinnegato, non potrà mai eliminare da se quell’esperienza che fonda la religione naturale di ogni essere umano, l’esistenza dell’altro diverso da se, ma anche la propria stessa esistenza tradotta nel breve luccichio degli occhi della propria madre che dicono “tu esisti!”. Il resto… lo capiremo solo vivendo. E vorrei terminare così questo articolo introduttivo, ma per non deludere troppo i miei lettori e per evitare di dare l’impressione di esser-

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mela cavata a buon mercato, arrampicandomi sui vetri di una definizione indefinibile, che mi viene però di scrivere così in questo particolare momento della mia via poiché da poco è venuta a mancare mia madre (scusate), vorrei dare un’occhiata veloce ai vari testi sulla famiglia che si possono trovare facilmente anche in biblioteca, senza però indicare alcun titolo particolare, trattandosi di una mare magnum. Moltissimi autori affrontano il tema della famiglia sotto il profilo economico, partendo dall’assunto che, per esempio, oggi in Italia si regista un benessere superiore al passato, chiedendosi dunque il perché non si è comunque più soddisfatti di cinquant’anni fa. Ecco che il concetto di famiglia diviene uno strumento di critica sociale che oltre al benessere economico, vaglia molti altri aspetti indicativi come l’istruzione, le condizioni abitative, il tempo libero, la disuguaglianza, il funzionamento delle istituzioni, nello sviluppo, sempre incerto e carente, della capacità di costruire un ambiente sociale dove il rapporto tra cittadini, regole, e istituzioni sia degno di un paese moderno. Uno sguardo storico sulla famiglia privilegia in tanti altri autori, considerazioni attinenti a una storia delle emozioni che portano infatti a chiedersi «Di quali emozioni era intessuta la vita degli uomini del passato? Come percepivano il loro mondo? Quali le conseguenze sulla loro esistenza, dal fatto di

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occupare un certo posto nella società? O di appartenere a una data classe o gruppo etnico?», domande, manco a dirlo, che possono fare da specchio al nostro presente. Per questo è utile leggere i libri di storia. Interessante risulta la rivalutazione dei “nonni” in quei testi sulla famiglia che intendono portare un contributo di carattere pedagogico-educativo, descritti in genere come «punti fermi», esempi di «solidità affettiva», e «chiarezza sulla vita», antidoti a portata di mano nell’attuale crisi educativa. La figura del nonno, oltre all’apporto affettivo, fornisce l’immagine concreta della storia di famiglia, della continuità storica oltre che biologica. Tralasciando i testi a carat-

tere religioso che sulla famiglia dicono moltissimo e anche troppo, ma che sarebbero comunque da tenere in considerazione per il ricchissimo apporto che possono dare alle varie sensibilità di ciascuno, concludo con i testi di taglio sociologico o statistico, che sciorinano freddi e incontestabili dati Istat, per raccontare la famiglia di oggi, tracciando un ritratto davvero sconcertante della società. Testi che pronosticano, o già dichiarano, la fine della famiglia, portando prove e numeri che danno partita vinta ai celibi e le nubili, contando i trentenni che vivono ancora in famiglia, le famiglie di una sola persona e quelle senza figli. Una sconfitta che pare imminente, se non già avvenuta, che rischia di passare inosservata, ma che non possiamo di certo permetterci d’ignorare.


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GENITORI nel 2017 E FIGLI I

l mestiere del genitore è il più difficile, ma anche il più ricco di soddisfazioni. Ma cosa significa essere genitori in Italia nel 2017? Partiamo dall’assunto che in questo momento ci son due generazioni di genitori delle quali esistono statistiche e numeri in grado di offrirci una panoramica: i 20-30enni e i loro genitori. I primi sono i nuovi genitori, i secondi dovrebbero essere nonni. Dovrebbero perché il Bel Paese detiene l’ennesimo record negativo europeo, con i genitori più vecchi del vecchio continente, come raccontato da un approfondito studio Eurostat che ha fotografato la genitorialità tra il 1995 e il 2015. Infatti, gli italiani diventano mamme e papà piuttosto tardi, con una media di 30,8 anni di età. Tutti gli altri paesi europei sono sotto questa soglia: in Germania questa cifra è sotto il 30 (29,5), nel Regno Unito siamo sotto i 28 anni di età, e in Bulgaria si diventa genitori mediamente entro i 26 anni di età. Questa tendenza all’invecchiamento

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dei genitori è iniziata negli anni Novanta, e sembra inarrestabile in Italia come nel resto d’Europa. Infatti, nel 1995, tutti i paesi membri rientravano nella soglia della fertilità (16-28 anni) per l’età di concepimento del primo figlio. La media europea si attesta a un +4 anni di età, e il record negativo, almeno questa volta, non spetta all’Italia, bensì alla Repubblica Ceca (+4,9 anni per il concepimento del primo figlio). Ma la tendenza a invecchiare non è poi così universale. Sempre secondo il medesimo studio Eurostat (l’Istituto di Statistica Europeo) son ben due i paesi europei nei quali, tra il 2005 e il 2015, il dato non ha subito variazioni o è andato a ringiovanire l’età dei genitori: in Francia, infatti, da dieci anni l’età nella quale si diventa genitori è ferma a 28,5. In Inghilterra, invece, questo numero è addirittura calato: da 29,9 a 28,7. Ma perché i genitori sono sempre

 di Elisa Corni

più vecchi? Be’, qui è necessario guardare a due aspetti della società. Il primo è la precarietà. Poca certezza sul futuro, lavori mal retribuiti e con contratti limitati, tutele minime e spesso assenti sono fattori che scoraggiano sicuramente il desiderio di maternità e paternità. Prendiamo per esempio il fattore “posto di lavoro”. Come emerso in un’indagine giornalistica dello scorso autunno, la gravidanza costa il posto di lavoro a un’italiana su due. E, infatti, le donne senza figli nel nostro paese hanno un tasso di occupazione dell’82,1% (età comprese tra i 24 e i 44 anni), mentre le donne della stessa età con figli e con un lavoro sono il 19% in meno. In Danimarca l’84% delle donne con figli lavora. Il secondo aspetto che fa invecchiare i nuovi genitori, è che la maggior parte dei ragazzi in età fertile vive ancora


con i (vecchi) genitori. È il triste fenomeno dei “bamboccioni”, a volte enfatizzato dai media, ma che nei numeri si palesa nella sua enormità. Sono quasi 7 milioni gli italiani under 35 a vivere con i genitori, e molti di loro hanno un lavoro. Per essere più precisi, si tratta del 62,5% dei giovani tra i 18 e i 34 anni, un dato che si scontra con la media europea, “ferma” al 48,1%. Le ragazze sembrano essere più autonome dei maschietti (56,5% delle under 35 vive ancora con i genitori, contro il 68,2% dei loro coetanei). La precarietà del lavoro e il costo degli immobili nel nostro paese non bastano però per giustificare questi numeri sproporzionati rispetto alla media. Numeri presentati, di seguito, in infografica.

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Bambini e capricci

 di Erica Zanghellini

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i sorprenderà scoprire che in realtà in questo senso i capricci non esistono, si avete capito bene, non esistono. Vi siete mai ritagliati del tempo per osservare un bambino intento a svolgere qualsiasi attività in autonomia e in solitaria? Lo avete mai visto fare i capricci? No, proprio perché concretamente i capricci sono un mezzo che il bambino usa per modificare qualcosa nelle relazione con qualcuno, nello specifico di solito con le persone di riferimento (mamme, papà,

nonni ecc..) Si può dire perciò, che nel momento in cui il minore lo mette in atto sta comunicando qualcosa all’adulto. La difficoltà è capire cosa. Dobbiamo cominciare a diventare degli specialisti a distingue due piani comunicativi, uno pragmatico/esplicito manifestato per esempio da “voglio le patatine”, oppure “non voglio vestirmi” e un altro piano più “nascosto”. Nel nostro primo caso potrebbe voler dire “voglio scegliere cosa mangiare” perciò una manifestazione di indipendenza, o per l’altro esempio che abbiamo fatto potrebbe essere, “voglio

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rimanere a casa con la mamma e passare del tempo con lei”, quindi magari un bisogno di rassicurazione. La difficoltà pertanto sarà inquadrare bene il bisogno celato dietro a quel comportamento “sgradevole”, ma se riusciremo a farlo sarà molto più semplice la gestione. I capricci, hanno vita, la maggior parte delle volte, finche il minore è piccolino perché poi, mano a mano che è più cosciente di sé stesso e riesce a verbalizzare i suoi bisogni, le sue volontà ecc.. questi diminuiscono sensibilmente. Dobbiamo riuscire a metterci perciò nei suoi panni, finchè non riesce ad acquisire questa tappa evolutiva e diventare il suo “traduttore”. Certo non è facile, quanti di noi hanno assistito o sono

Vi siete mai chiesti che cosa sono i capricci? Secondo il Dizionario di Psicologia di Galimberti, i capricci sono “una manifestazione improvvisa e incontrollata di rabbia e aggressività, generalmente impotente, adottata come risposta ad una frustrazione”. E vi siete mai chiesti che cosa stanno a significare? Noi siamo abituati ad attribuirlo ad un tratto caratteriale “quel bambino è proprio capriccioso”, ma non è così.

stati i protagonisti di vere e proprie scenate, con bimbi urlanti, che si lanciano atterra e piangono? Di solito il genitore in quell’occasione si ritrova a sperimentare queste emozioni o una combinazioni tra queste: - Rabbia “che nervi, di nuovo”, - Impotenza “e ora cosa faccio”, - Delusione “sono proprio una frana, dove ho sbagliato”; - O infine sconforto “non ce la farò mai a gestire i suo capricci”. A livello pratico, qualsiasi siano l’emozioni provate, si incanalano e nella maggior parte delle volte sfociano in due tipi di comportamenti, chi comincia a fare una lotta di potere con il proprio figlio per provare a gestire il capriccio oppure il genitore che si arrende ancor prima di iniziare e permette al proprio figlio quello che vuole. Come si può facilmente intuire ne uno, ne l’altro, sono comportamenti corretti per gestire questo tipo di palesamento di bisogni da parte del bambino. Bisogna che l’adulto si interroghi bene, su quello che il minore sta comunicando con quel modo di agire. Dico


questo perché a seconda della motivazione, io genitore devo comportarmi in modo differente per essere adeguato e aiutarlo. Le cose necessarie da sapere per affrontare al meglio queste situazioni sgradevoli sono poche ma, importanti. Attenzione, non facciamoci prendere dalla fretta perché in quel momento stiamo provando tanta vergogna, e/o per paura che se qualcuno vede quello che sta succedendo ci giudichi chissà in che modo. Questo è il presupposto per cedere. Tutti i genitori passano per i capricci, siamo tutti nella stessa barca, ricordiamoci che concedere tutto quello che il bambino vuole, non lo aiuterà nella vita da adulto. Facendoci forza di questo pensiero fermiamoci: magari usiamo una scusa, per esempio “vado a bere un bicchiere d’acqua e torno” e utilizziamo quei minuti per riacquistare la calma. Teniamo presente che non c’è spazio all’indecisione e che se decideremo per un “no”, dobbiamo mantenerlo. Anche se poi ce ne pentiamo, in quella situazione oramai deve essere no, poi lo terremo presente per il futuro, ma a questo punto in quella circostanza

non possiamo più cambiare idea. Mi raccomando la risposta ai capricci deve essere coerente con il nostro stile educativo, perciò per essere una modalità di risposta efficace deve essere una decisione che ci sentiamo di portare avanti costantemente, altrimenti il bambino non ci capirà più niente e questo caos genererà a sua volta altri capricci. Quindi concluso il nostro ragionamento, comunichiamo al bambino che cosa abbiamo scelto, con tranquillità e spiegandogli il perché. Se questa manifestazione dirompente avviene per cose materiali invece, usiamo la tecnica del “prevenire”. Se sappiamo che ad esempio quando andiamo a fare la spesa, il capriccio si manifesta sempre, partiamo da casa già specificando al bambino che gli compreremo una cosa sola. Piano piano imparerà la regola e tenderanno quindi ad estinguersi questi comportamenti esplosivi. Ed infine mostriamoci disponibili all’ascolto e alla comprensione, non fermiamoci

alle lacrime, alla rabbia o a qualsiasi comportamento dirompente, cerchiamo sempre di capire la motivazione profonda di quella manifestazione. Tengo infatti a precisare che quelli che sembrano dei capricci che hanno come fattore scatenante la paura, non sono dei veri e propri capricci, ma sono manifestazioni di un bisogno psicologico primitivo e come tale deve essere gestito con una modalità diversa e con delicatezza nonchè cautela. Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologa-Psicoterapeuta Riceve su appuntamento - Tel. 3884828675

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SUPPORTARE GIOCANDO

i bambini con DSA D

SA è un acronimo per Disturbi Specifici dell’Apprendimento, una definizione che raggruppa una serie di difficoltà quali dislessia, disortografia, disgrafia, e discalculia. Chi ha questi disturbi fatica più degli altri nella lettura, nella scrittura, e nel calcolo. Nel nostro paese, secondo i dati pubblicati dal Miur nel 2015, i bambini e ragazzi cui è stato diagnosticato un DSA sono il 2% del totale. La scuola, gli esperti e le famiglie possono contare su una serie di strumenti che possono venire in aiuto ai ragazzi, come i training cognitivi - esercizi atti a stimolare determinate funzioni cognitive - innovativi e originali. È il caso di Skies of Manawak, un videogioco pensato proprio per chi ha questo tipo di difficoltà. Si tratta del prodotto di una ricerca realizzata da Angela Pasqualotto, Zeno Menestrina, e Adriano Siesser all’interno dell’Università degli Studi di Trento. Tre giovani con un’idea: «Abbiamo notato che i training cognitivi con i quali i ragazzi si interfacciano sembrano avere risultati positivi in termini di miglioramento, ma risultano particolarmente “indigesti” in quanto poco coinvolgenti. Da qui è nata l’idea di un prodotto che unisse esercitazione e gioco», racconta Zeno, Dottore di Ricerca in Informatica all’Università degli Studi di Trento. Un’idea nata durante una passeggiata attorno a un lago trentino, ma che è poi sfociata in un videogioco che pare avere tutte le carte in regola, grazie alla collaborazione con Angela, Dottoranda in quel di Rovereto (Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive); non manca un pizzico di creatività portato da Adriano, artista e autore delle grafiche. È sua anche l’idea del nome del gioco. «Non volevamo che il nostro videogioco stigmatizzasse il carattere cognitivo del prodotto: do-

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veva essere un videogioco a tutti gli effetti, ambientato, per l’appunto, nei cieli di un mondo immaginario: Manawak». Sì, perché Som (il nome del videogioco in breve) è un videogioco inclusivo, rivolto a tutti. «Chiunque può partecipare, giocare e divertirsi. In particolare, chi presenta una difficoltà specifica di apprendimento ne trarrà anche dei benefici», spiegano sorridendo i tre ricercatori. In breve, all’inizio dell’avventura, come in tutti i videogiochi che si rispettino, il giocatore sceglie il suo personaggio e comincia a muoversi in un mondo fatto di rocce volanti, paesaggi onirici e incontri straordinari. Sembrerebbe nulla di eccezionale. Eppure, come spiega Angela, non è così: «Il nostro è un videogioco a supporto del trattamento dei DSA, in particolare della Dislessia Evolutiva. In questo mondo fantastico il giocatore interpreta l’eroe o l’eroina della storia, il cui compito è salvare il proprio popolo da una minaccia incombente. Ma quelle che per il giocatore sono le tipiche missioni di un qualunque videogioco, in realtà nascondono

 di Elisa Corni

degli esercizi progettati per un allenamento dei processi cognitivi, come l’attenzione, la memoria, o la percezione che sono alla base di capacità più complesse, quali apprendimento, ragionamento e consapevolezza». Sembra incredibile, eppure è proprio così. «Negli ultimi due anni abbiamo fatto una serie di valutazioni. Abbiamo


potuto provare il videogioco con i ragazzini, andando nelle scuole e distribuendo loro dei questionari da riempire dopo aver provato Som», spiega Zeno, per il quale questo progetto rappresentava il tema della tesi di dottorato. «Abbiamo avuto risultati molto positivi per quanto riguarda l’allenamento dei processi cognitivi coinvolti nel training». A questo proposito, Angela ci tiene a

precisare quali: «Possiamo affermare che il videogioco da noi progettato risulta efficace nell’incrementare non soltanto le funzioni cognitive oggetto di allenamento, ma ha aiutato i ragazzi a migliorare le loro capacità di scrittura e, soprattutto, di lettura. Hanno infatti letto più velocemente e con meno errori». Ma, soprattutto, i giovani giocatori si sono divertiti. Questo è il motivo per cui Angela,

Adriano, e Zeno hanno deciso di realizzare un videogioco. Esistono infatti molti altri strumenti che possono svolgere questo ruolo di esercizio, eppure loro cercavano qualcosa di diverso. «Si possono avere simili risultati coi metodi tradizionali o anche con altri prodotti digitali; molto spesso ciò che manca però è un’esperienza coinvolgente e divertente, che è una delle caratteristiche principali di giochi e videogiochi», racconta l’artista. «Secondo alcune ricerche l’aspetto ludico è fondamentale nei processi di apprendimento. E poi, essendo divertente, non è certamente vissuto come un obbligo o un dovere, e probabilmente faciliterà l’esercizio nei più piccoli». Skies of Manawak in effetti piace. Moltissime persone - bambini, adulti, esperti, psicologi, addetti ai lavori hanno potuto giocarci nelle numerose occasioni in cui è stato messo a disposizione. Per esempio alla Notte dei Ricercatori dell’Università di Trento, o a Ginevra durante un’importante convention internazionale di videogiochi. Anche a livello accademico i tre ricercatori hanno ricevuto complimenti e incoraggiamento. Quali allora i prossimi passi? «La nostra ricerca non è ancora finita spiega Zeno - e quindi dobbiamo trovare i fondi per proseguire lo sviluppo del videogioco. A quel punto, terminate le valutazioni, ci piacerebbe metterlo sul mercato». Un’idea imprenditoriale che sta crescendo e si sta

formando, quindi. Ma, a quanto pare, non è l’unica: «Stiamo lavorando all’idea di un altro paio di videogiochi e di progetti nell’ambito dell’educazione». spiega Adriano, che lavora anche come educatore al Mart di Rovereto. «Per noi - conclude Angela l’importante è continuare su questa strada, con progetti che coinvolgano, stupiscano e divertano le persone». Per scoprire Skies of Manawak e il lavoro di Angela, Zeno, e Adriano, www.studiobliquo.com

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 di Chiara Paoli

NA GA SU AL EV IN RG PE

Una discutibile

La Valsugana dei “nomenklatura” scolastica

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e comunicazioni scuola famiglia sono sempre più difficili, soprattutto da quando il libretto è cambiato. La dicitura Responsabile 1 e Responsabile 2 non è piaciuta ai genitori degli studenti dell’Istituto comprensivo Pergine 2. La questione approderà sui banchi del consiglio provinciale in seguito a un interrogazione del consigliere di Civica Trentina, Rodolfo Borga. La decisione della dirigente scolastica Antonella Zanon di modificare la dicitura non è stata ben vista dai genitori che hanno espresso il loro dissenso, cancellando la dicitura e sovrascrivendo padre e madre. In alcuni istituti d’altronde la dicitura è ancora più enigmatica e criptica, e riporta semplicemente Firma 1/2. Rimane il fatto che i genitori si chiedono perché non si ritenga più valida la dicitura “padre/madre o chi ne fa le veci”, quasi che questi ruoli fondamentali non vengano più riconosciuti. La questione che ha suscitato grande scalpore, induce a pensare che esistano bambini e ragazzi che non vivono con i genitori per i più svariati motivi, ma questo alla maggior parte delle mamme e dei papà chiamati in causa non è parso un motivo valido per inserire questa nuova forma. Molti genitori si sono sentiti sminuiti, perché in effetti il loro ruolo non è soltanto quello di responsabili, ma anche quello di educatori in primis dei propri figli. C’è chi si sente leso nella propria dignità di padre o madre e rifiuta di firmare il documento, facendo riferimento al declino di questa società che non riconosce più i ruoli interni al

nucleo familiare. C’è poi chi ha preferito modificare la dicitura, riportandola alla vecchia formula; c’è chi ironizza che avendo perso entrambi i responsabili, verrà ora ribattezzato “irresponsabile”, anziché orfano? Chi poi fa riferimento al fatto che i genitori li si chiama mamma e papà, non certo responsabile 1 o 2. Molti sono poi quelli che si chiedono dove sia finito il buon senso, sarebbe forse bastato scrivere padre o responsabile1 e madre o responsabile 2, per evitare di far arrabbiare i genitori? Ma veramente la vecchia formula “genitore o chi ne fa le veci” non è più valida? In fondo comprendeva tutte le categorie come sostengono gli stessi genitori che vedono in questo accanimento una strenua difesa della famiglia tradizionale. “Genitori” non precisa se madre e padre o madre+madre o padre+padre, quindi non si pone contro le coppie omosessuali. C’è anche chi difende questa scelta in considerazione di una società che ormai non riconosce più l’importanza della famiglia tradizionale, dove la maggior parte dei genitori sono separati e le figure di riferimento per i bambini si moltiplicano. Vi sono poi situazioni difficili in cui i bambini sono orfani e affidati a nonni o zii, o inseriti in case-famiglie, e quindi la responsabilità non ricade sui genitori, ma sugli

educatori presenti nella struttura. A molti la nuova terminologia sembra andare incontro a una semplice esigenza amministrativa della scuola che necessita di sapere chi sono i responsabili dello studente. Quello che alcuni genitori evidenziano è che il ruolo di madre o padre, non può essere sminuito semplicemente da una dicitura su un libretto, i problemi di questi nostri tempi, e soprattutto quelli della scuola di oggi, sono ben altri.

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LA DIFFICOLTÀ DI ADOTTARE

Adottare un bambino dovrebbe essere una gioia, una speranza che si realizza, sia per gli aspiranti genitori, sia per i bambini -orfani o abbandonati dai genitori biologici -che hanno bisogno, o meglio hanno diritto, ad una famiglia in cui crescere e sentirsi amati. In Italia per riuscire a coronare questo sogno ci vuole parecchio tempo, anche per le coppie eterosessuali sposate.

 di Silvia Tarter

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econdo la legge che regola le adozioni infatti, la 184 del 1983, poi modificata dalla 149 del 2001, nel nostro paese possono adottare un minore solo le coppie eterosessuali sposate da almeno 3 anni (eventualmente possono essere conteggiati gli anni di una precedente convivenza, se dimostrabili) e che devono avere almeno 18 anni di età in più rispetto al minore; la differenza di età non può poi essere superiore a 45 anni per un genitore e 55 per l’altro. Gli aspiranti genitori devono, prima di tutto, ottenere un’attestazione dell’idoneità dell’adozione, presentando alla Cancelleria una serie di documenti e certificati, volti a provare la loro stabilità di coppia (certificato di nascita, di matrimonio, dichiarazione di assenso da parte di entrambi, atto notorio o autocertificazione che attesti che non sono separati), la loro affidabilità (certificato del casellario giudiziale), la loro stabilità economica (dichiarazione dei redditi), e la loro salute (certificato medico). Dal momento in cui presentano la dichiarazione di disponibilità ci vogliono infatti molti pas-

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saggi, la preparazione di un rapporto dal Tribunale dei Minori, ulteriori approfondimenti dal giudice, procedure per l’incontro con il bambino e periodo di preaffidamento, prima che possa essere approvata, ufficialmente e definitivamente, l’eventuale adozione. Certo, la tutela del minore deve essere garantita in maniera assoluta e cristallina. Purtroppo però, i vari cavilli burocratici e la mancanza, più volte lamentata, di una banca dati dei tribunali dei minori (che ora sembra entrerà a breve in funzione), per far incrociare dati delle famiglie disposte ad adottare e bambini adottabili, non hanno contribuito ad aiutare le procedure di adozione. Nel 2015 ad esempio, degli oltre 30.000 bambini fuori famiglia stimati i bambini adottabili erano 1345 (molte di più le famiglie disposte ad adottare) e di questi ne sono stati effettivamente adottati 1057. Gli altri rimangono in affido, in case famiglia o comunità educative (che hanno sostituito gli orfanotrofi, chiusi nel 2006). Le cose si complicano ancora di più se a decidere di adottare un bambino sono coppie omosessuali, o genitori single. Al momento, per le coppie omo-

sessuali la questione adozione ruota attorno alla spinosa stepchild adoption ovvero l’adozione del figliastro, che permette al genitore non biologico di adottare il figlio, naturale o adottivo, del suo partner. Di fatto questa fattispecie è già presente nell’articolo 44 della legge sulle adozioni riguardo ai casi


speciali, là dove si dice: che il minore puà essere adottato “dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio dell’altro coniuge, anche adottivo”, senza specificare, in realtà, il genere dei coniugi. E infatti l’adozione da parte di coppie omosessuali è già avvenuta nel nostro paese. Un recente caso è avvenuto proprio a Trento, con la sentenza dello scorso febbraio che ha riconosciuto a una coppia di uomini l’adozione di due bambini nati grazie alla gestazione per altri (la maternità surrogata, illegale in Italia), avvenuta negli States. Una sentenza storica, il primo caso italiano in assoluto di adozione da parte di due genitori maschi e dove uno dei due non è geneticamente legato al bambino. Altra questione è poi quella dell’adozione da parte di una madre o un padre single. La possibilità di adottare, in questo caso, in Italia è possibile solo grazie a una delle eccezioni che confermano la regola contenuta nell’art. 44 della legge 1983. Un uomo o donna single può dunque adottare un bambino: nel caso in cui esista un legame stabile e duraturo, precedente alla morte dei genitori, quando il minore soffra di un handicap e quando sia impossibile ricorrere ad un affidamento preadottivo. Un articolo che fa sempre un po’ discutere questo, basti pensare alla vicenda dello scorso ottobre della bambina down rifiutata per ben 7 volte, in primis dai suoi genitori biologici, e che è stata infine affidata ad un libero professionista, un uomo scapolo. Al di là che sia positivo che la bimba abbia trovato finalmente una famiglia, fa pensare il fatto che possa andare bene anche avere un solo genitore se il bambino da adottare è “imperfetto”.

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ABBIGLIAMENTO E INTIMO DA 0 A 99 ANNI

la moda erno v n i o n n u aut


Pro e contro della tecnologia in famiglia  di Elisa Corni

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on ci si stupisce quasi più quando un bambino, per quanto piccolo, di fronte a un Tablet o a uno Smartphone superi noi adulti per facilità e abilità nell’utilizzo. Questi schermi portatili sono ottimi compagni di gioco, intrattenitori e stimolatori di capacità cognitive. Eppure una serie di recenti studi in questo campo sta mettendo in dubbio che facciano solo bene. Se da un lato, infatti, non si posso negare gli aspetti positivi connessi alla sempre più pervadente presenza della tecnologia nella vita dei più piccoli, dall’altro lato alcuni dati mostrano come la misura dovrebbe essere controllata. In un interessante articolo pubblicato su un’importante rivista statunitense, la psicologa della San Diego University Jean Twenge mostra come la iGeneration (quella dei bambini nati dopo il 2000) nella sua diversità rispetto alle generazioni precedenti mostri alcuni aspetti critici. A partire dal 2012, secondo le statistiche americane, i livello di depressione ansia e solitudine sono aumentate esponenzialmente nei giovanissimi, come il numero di suicidi. Dove ricercare le cause di questa importante variazione? Certo, rispetto ai Millennials - nati a partire dagli anni Ottanta - questi giovani tecno-bambini partecipano meno alle attività sociali e di gruppo, e la studiosa americana non afferma con certezza che i due fenomeni siano in qualche modo connessi. A confermare questa ipotesi una ricerca dell’Università Tecnologica Norvegese, secondo la quale una vita più attiva, fatta di sport, movimento, e mo-

menti sociali, aiuta anche i bambini a combattere la depressione. L’esperimento ha coinvolto 800 bambini tra i 6 e i 10 anni di età, e sono state osservate e monitorate le loro attività giornaliere. Quelli con una vita più attiva hanno effettivamente mostrato minori segni collegati a stati d’animo depressi. Ma tornando allo studio della dottoressa Twenge, le sue osservazioni non si sono limitate allo stato d’animo dei più giovani; la ricercatrice si è anche dedicata all’impatto sulle interazioni umane. I ragazzi che hanno passato molto tempo nel mondo digitale, infatti, risulterebbero meno empatici nei confronti dei coetanei, e mostrerebbero difficoltà nell’interpretazione delle emozioni altrui. Ma, sempre dalla scienza, ci arrivano importanti consigli. Non si tratta solo di quando e quanto, ma anche di come i giovani stanno a contatto con la tecnologia. L’Università del Michigan, per

esempio, consiglia ai genitori di essere i primi a moderarsi: l’ossessione che molti adulti hanno per la tecnologia sembra essere la causa di comportamenti negativi nei figli. Notifiche e messaggi interrompono l’interazione genitore-figlio almeno tre volte al giorno, facilitando quindi l’insorgere nei più piccoli di atteggiamenti aggressivi. Sempre dalla stessa università arriva un secondo importante monito: genitori, non cedete alla tentazione di calmare vostro figlio con uno Smartphone o un Tablet. Il rischio è che insorgano situazioni critiche. Se studi compiuti già negli anni Ottanta e Novanta avevano evidenziato come l’eccessiva esposizione alla televisione riducesse l’attenzione e le capacità cognitive dei bambini, forse con gli schermi che possono essere portati ovunque bisognerebbe prestare maggiore attenzione.

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Mamme alla pari per l’allattamento

 di Chiara Paoli

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’allattamento al seno è raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), dal Ministero della Salute, e a livello locale è portato avanti dagli Amici della Neonatologia Trentina, nella carismatica figura del dottor Dino Pedrotti. Certo, allattare non è sempre facile, se il bambino si attacca in maniera sbagliata o se non si usano delle accortezze, si rischiano dolorose ragadi, ingorghi mammari e addirittura mastiti. Per questo, soprattutto alla prima esperienza c’è bisogno di un aiuto, che si può trovare presso i consultori di zona, come quello di Pergine e Borgo Valsugana che nell’arco dell’anno attivano numerosi percorsi Nascita, che offrono sostegno e consulenza nelle delicate fasi della gravidanza e del puerperio, offrendo consulenza per quanto concerne la cura del neonato, uno spazio dedicato alle mamme, corsi di massaggio infantile, e il sostegno delle Peer counsellors (consulenti alla pari). Si tratta di mamme che hanno a loro volta allattato i propri figli, per non meno di un anno, e hanno scelto di condividere la loro esperienza per aiutare nuove mamme che hanno bisogno di sostegno nel delicato periodo dell’allattamento. Per divenire Peer Counsellor hanno frequentato uno specifico corso di formazione organizzato e coordinato dai Consultori Familiari. La Mamma di sostegno opera per ripristinare quel tessuto sociale al femminile, per il quale allattare era consuetudine, andata purtroppo perduta dopo il boom del latte in polvere degli anni ’80. La sua disponibilità e il suo aiuto sono a titolo puramente volontario e gratuito, e si esercita “da pari a pari”, cioè da mamma a mamma, da cui deriva il

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termine “peer”. L’operato delle mamme alla pari è di natura empatica e si affianca all’aiuto che possiamo trovare nelle diverse figure professionali di riferimento, come le ostetriche e il pediatra. L’esperienza delle altre mamme è un arricchimento per la propria vita, soprattutto nel percorso di madre, è un’occasione per condividere emozioni, paure, difficoltà, dubbi, un aiuto non soltanto pratico ma anche un sostegno psicologico, in un momento in cui le mamme spesso si sentono infinitamente sole. Per andare incontro alle esigenze di allattamento delle mamme e per offrire uno spazio accogliente, è nata nel 2008 la campagna “Mamma, qui puoi allattare”, promossa dall’Ant (Amici della Neonatologia Trentina) che ha approntato una lista di esercizi commerciali, dove è possibile allattare in serenità. Le attività che aderiscono, espongono l’apposita vetrofania raffigurante un opera pittorica di Umberto Moggioli che rappresenta una mamma che allatta. Per andare incontro alle esigenze delle mamme nel centro di Pergine Valsugana è stata installata in piazza Fruet una Baby Little Home,

una sorta di piccolo nido promosso e finanziato dall’Agenzia per la famiglia di Trento. Durante il periodo dei mercatini di Natale, la Baby Little Home viene spostata in Via Bortolamei, le chiavi della struttura possono essere ritirate presso la parafarmacia Sittoni o presso il bar La Vecchia Europa, in piazza Municipio negli orari di apertura. Questa è una delle 11 casette in legno sparse sul territorio della provincia, un’altra la si può trovare a Roncegno; qui la mamma può effettuare il cambio del pannolino, riscaldare e preparare il biberon o allattare il proprio piccolo in un luogo accogliente e appartato. Per maggiori info: www.neonatologiatrentina.it.


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Giuliano Guzzo,

 di Franco Zadra

«la famiglia è una sola!» C

lasse 1984, vicentino di nascita e trentino d’adozione, laureato a Trento in Sociologia e Ricerca Sociale, Giuliano Guzzo è un appassionato di bioetica e fa parte dell’Equipe Nazionale Giovani del Movimento per la Vita italiano. Il suo primo libro, del 2014, “La famiglia è una sola”, è un tentativo di contrastare la cultura dominante per la quale esistono ormai diversi tipi di unioni familiari, tutte equivalenti fra loro e meritevoli di riconoscimento giuridico, ravvivando il dibattito sulla famiglia intesa come l’unione matrimoniale fra un uomo e una donna, aperta alla prole, vista come l’unica, autentica famiglia. Una sorta di itinerario alla riscoperta di quanto il buon senso delle persone semplici avrebbe sempre colto e, invece, il Pensiero Unico tenta di farci dimenticare. A sostegno di questa visione “tradizionale” non vi sarebbe una mera presa di posizione ideologica, ma una seria ricerca ricca di prove e contenuti a sostegno della famiglia così intesa. «Questo tipo di famiglia – dice Giuliano Guzzo – è l’unico che si ritrova in tutte le civiltà, incluse quelle, per esempio, che prevedono la poligamia. Un modello di nucleo famigliare che prescinde dal contesto economico o religioso e che

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trova conferme importanti anche dalla storia antica dal momento che sono stati ritrovati fossili di 4mila anni fa che testimoniano la coppia uomo-donna con accanto i loro bambini. È la vera famiglia perché c’è sempre stata e la si ritrova dappertutto. Resiste alle differenze culturali, storiche, religiose, ed economiche. Sarebbe veramente curioso che fosse l’unico modello a persistere a fronte di una miriade di modelli che invece appaiono e scompaiono nel corso della storia umana, se fosse solo una imposizione culturale e non avesse invece un fondamento certo nel senso stesso dell’essere umano. La prima conseguenza che deriva alla società dal disconoscere la vera famiglia è il venir meno del grande contributo che la famiglia così detta “tradizionale” darebbe invece alla società in termini non solo di stabilità economica, garantendo un adeguato livello di natalità, ma anche di stabilità affettiva e sociale». «Quella che papa Francesco chiama “la cellula fondamentale della società umana” è oggi in pericolo. Le Istituzioni tutte dovrebbero poter riflettere, invece, sull’esperienza storica dell’Unione sovietica, che sin dal principio si mostrò tempestiva, come meglio

non poteva, nel lavorare contro la famiglia. Il 19 e il 20 dicembre 1917 – subito dopo la Rivoluzione d’ottobre – furono varati due provvedimenti che oggi troverebbero senza dubbio posto nell’agenda progressista dei “nuovi diritti”: il primo, sul divorzio, stabiliva che bastasse la richiesta di uno solo dei coniugi per ottenerlo, mentre il secondo decretò l’abolizione del matrimonio religioso in favore di quello


civile. Nel novembre del 1920 arrivò poi alla legalizzazione dell’aborto procurato sulla base della semplice richiesta della donna, da effettuarsi in strutture idonee e con personale autorizzato; una misura che rimase in vigore fino al 1936, quando il legislatore sovietico tornò sui propri passi con un sorta di “controriforma familiare” perché ci si accorse che la progressiva disgregazione familiare stava comportando anche quella dello Stato. Ma che cosa accadde esattamente in Russia fra il 1920 e il 1936? Nel 1920 a Pietrogrado il 41% dei matrimoni civili non durava più di sei mesi, il 22% meno di due e l’11% meno di un mese. Nel 1926 a Mosca, a fronte di mille matrimoni, si contavano 477 divorzi e nell’Unione sovietica, nello stesso anno, si stimavano oltre 500mila donne divorziate, ma appena 12mila di queste ricevevano gli alimenti mentre alle altre toccavano povertà e solitudine, alla faccia della “liberazione” promessa dal regime. Nel complesso lo scenario sociale venutosi a creare fu talmente disastroso che la politica fece marcia indietro dapprima nel 1936 e poi nel 1944. Se da un lato l’istituto del ma-

trimonio entrò in crisi e l’aborto spopolò, anche il numero dei nati, nel giro di pochi anni, subì un declino spaventoso: i 3.055.527 conteggiati nel 1924, si ridussero appena dieci anni più tardi, nel 1934, a 2.627.900. Ciò nonostante Stalin (1878-1953), forse per non sollevare allarmi, si guardò bene dal sottolineare il problema vantando invece il fatto che, alla fine del 1933, la popolazione fosse arrivata a 168 milioni, sovrastimandone a scopo propagandistico il numero – si sarebbe scoperto molto tempo dopo – di quasi 8 milioni. Nonostante la spaventosa crisi di quegli anni, gli studiosi – considerando l’intera durata del regime sovietico – riscontrarono la sostanziale tenuta di famiglia e matrimonio, dimostratisi più forti anche di un’ideologia accanitamente ostile».

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Il nepotismo nel DNA della famiglia  di Franco Zadra

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anlio Lilli, archeologo e giornalista, lo scorso 4 luglio su il Fatto Quotidiano, ritornava su una piaga classica, molto italiana, quella del nepotismo. Un termine coniato dagli storici che indagavano sulle vicende ecclesiastiche dei papi, i quali nel Medioevo allevavano i loro figli illegittimi come "nipoti", gratificandoli con incarichi e prebende. Ma favorire i propri parenti, alla faccia della meritocrazia, è un costume mai del tutto tramontato. Emblematica e memorabile, come ci ricorda Wikipedia, è stata la candidatura di Renzo Bossi a consigliere regionale della Lombardia nel 2010 nelle liste della Lega Nord, partito allora guidato dal padre Umberto, anche se il record mondiale, almeno tra i capi di Stato, non è italiano, ma fu del Presidente Maumoon Abdul Gayoom delle Maldive, che contava almeno undici parenti e amici nel suo gabinetto, oltre a numerosi altri nei più alti incarichi di governo. «Abbiamo confrontato – scrive Lilli a proposito di università italiane - il numero di ricercatori con lo stesso cognome, in ogni dipartimento con quello che ci si

aspetterebbe se le assunzioni fossero casuali secondo diversi ipotesi. L’abbondanza di ricercatori con lo stesso cognome nello stesso dipartimento potrebbe essere dovuta a effetti geografici o a una immigrazione in alcuni settori specifici. Se la ridondanza non si spiega così, allora potrebbe essere dovuta a professori che fanno assumere parenti stretti». Pare che anche gli effetti geografici in troppi casi non prevedano il superamento del terzo grado di parentela. D’altra parte non c’è di che meravigliarsi se studi scientifici sulle basi genetiche ed evolutive del comportamento, come troviamo nell’aggiornatissimo volume di “Psicologia” di Peter Gray edito da Zanichelli, mostrano come anche gli animali tendano ad aiutare di più gli individui a cui sono legati da parentela. Per quanto riguarda l’animale sociale “uomo”, il nepotismo, cioé la tendenza a rivolgere in modo selettivo un aiuto ai parenti, risulta diffuso in tutto il mondo e in ogni cultura. Al di là del timbro dispregiativo nell’uso di questa parola, ovunque si osserva che se una madre muore, o per qualsiasi motivo non può

più badare ai propri figli, la cosa più probabile è che questi siano allevati dalla nonna, da una zia, o da un altro parente stretto. In più, si nota come i comportamenti violenti siano meno frequenti fra gli individui geneticamente imparentati. I leader politici, quando fanno appello al senso di sacrificio per la patria o alla cooperazione universale, in genere ricorrono a un linguaggio ricco di vocaboli attinenti alla parentela. In tempo di guerra si chiede ai cittadini di combattere per «la madrepatria» o per «la terra dei padri»; i leader religiosi, o i promotori della pace nel mondo, si riferiscono a tutti gli esseri umani come a «fratelli e sorelle», facendo appello al nostro istinto di comportarci benevolmente verso i parenti. Lo stesso amore del prossimo di derivazione biblica, è chiaramente riferito nella sua etimologia a una stretta cerchia parentale, i consanguinei di Giacobbe. Pare che occasionalmente, con un certo sforzo d’immaginazione e un alto grado di intelligenza, alcuni esseri umani siano riusciti, e tuttavia riescano, a estendere il concetto di parentela a tutta l’umanità.

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Papà ingioco È finita l’era dei padri che esigono rispetto e incutono terrore, è giunto il tempo per i papà di mettersi in gioco!

Papà in Gioco”, il titolo del progetto ideato dal Gruppo Famiglie Valsugana, finanziato dal servizio Pari Opportunità della Provincia Autonoma di Trento e realizzato con la collaborazione di numerose realtà del territorio: Associazione Levico in Famiglia, Comune di Tenna, Comune di Pergine, Comune di Sant’Orsola, Comune di Baselga di Pinè, Comune di Calceranica, Associazione Orizzonti Comuni, Asif Chimelli - Comune di Pergine, Comune Altopiano della Vigolana. L’intento della proposta è quello di valorizzare le figure dei papà che ogni giorno si mettono in gioco per fare fronte alle problematiche familiari. Attraverso la predisposizione di una serie di laboratori-gioco, rivolti a bambini e ragazzi da 0 a 15 anni, e genitori, che saranno condotti da papà dell'Alta Valsugana e Bersntol che risponderanno alla chiamata, si intendono creare spazi di condivisione padre-figlio e favorire una rete di relazioni tra famiglie del territorio. La figura del padre in questi anni va acquisendo importanza, pur rimanendo “estraneo” alla gestazione, che rimane un privilegio della madre, il ruolo del papà è via via più partecipe. Il suo ruolo è quello di un amico con cui giocare, una figura che a volte va a prendere i figli a scuola o presenzia a riunioni e udienze, può essere colui che prepara la cena per i bambini se la mamma non c’è.

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Un padre che ricopre un nuovo ruolo, educativo e di aiuto nella gestione familiare, soprattutto quando le mamme sono lavoratrici. Nel sito dedicato al progetto, troviamo una definizione assai particolare del termine padre (ant. patre) s.m. [lat. pater tris] – Personaggio straordinario ed eroico impegnato in azioni a favore degli altri e della società intera; possiede capacità straordinarie, simili a superpoteri, che esprimono la sua storia, la sua personalità e lo contraddistinguono come unico e inimitabile… alcuni conoscono la tecnologia, altri hanno doti creative “super” avanzate e segreti del mestiere molto preziosi... Quello che è certo è che i papà in questo caso saranno i protagonisti, recuperando terreno rispetto al ruolo genitoriale delle madri, prese sempre quale punto di riferimento, ma che a volte hanno anche bisogno della presenza di un super papà che possa essere di aiuto e sostegno a tutta la famiglia. Tutto quello che scaturirà da questo progetto en-

 di Chiara Paoli trerà a far parte di un video-documentario girato da Cooperativa Sociale Relè, perché rimanga traccia e possa essere mostrato al pubblico il cambiamento dei ruoli genitoriali in atto nella società, attraverso le testimonianze di alcuni padri del territorio. I 6 laboratori sono stati previsti nelle giornate di sabato 28 ottobre, 4 e 11 novembre, al mattino e al pomeriggio, dislocati in luoghi diversi della comunità e pensati per le diverse fasce d’età. I 3 migliori “Papà in gioco” saranno premiati per le abilità dimostrate nel pomeriggio di sabato 16 dicembre, presso il centro giovani Kairos, in occasione della festa finale del progetto. Per info: www.papaingioco.com, papaingioco@gmail.com, Tel. 348 514 5338.


Nati perleggere  di Chiara Paoli

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uesta la risposta data alla domanda perché leggere? Ma la risposta non si esaurisce qui; leggere ad alta voce predispone all'ascolto, accrescendo così i tempi di attenzione dei nostri piccoli. La lettura è un momento che il genitore dedica al bambino, un tempo di condivisione, di ascolto, ma anche di riflessione su alcune tematiche che possono far sorgere nel piccolo domande e curiosità. La voce della mamma e del papà, per il bambino diviene magia. Basta trovare nella quotidianità un momento di tranquillità, da dedicare a questa attività; io con i miei piccoli leggo alla sera, prima di andare a letto; per noi è diventato il “rito della buona notte”. La lettura in questo caso li aiuta a rilassarsi e ad addormentarsi sereni e felici (ovviamente, niente letture troppo spaventose!). Noi per le nostre letture prediligiamo il lettone, ma l’importante è che si tratti di un luogo comodo e confortevole, dove leggere diventi un piacere. Tutti gli elementi di distrazione quali radio e televisore vanno spenti, il bambino se disturbato da altre fonti non riesce a essere attento e partecipe. I libri possono essere molto utili per i genitori anche nei momenti di attesa, dal medico, al ristorante, o in viaggio possono essere un ottimo diversivo per non far annoiare i piccolini. Ovviamente è bene tener conto delle preferenze dei bambini, se i primissimi anni possiamo spaziare a nostro piacimento, già in età di scuola materna sanno esprimere e far prevalere i propri gusti. Andare insieme in biblioteca diventerà

un appuntamento importante e partecipato, nelle apposite sale ragazzi, potranno andare in esplorazione tra le librerie, alla ricerca di ciò che li incuriosisce. I genitori potranno fare una tessera del Catalogo Bibliografico Trentino a nome del bambino, e sarà per lui un riconoscimento importante; potrà essere lui stesso a consegnare i libri prescelti e la propria tesserina alle bibliotecarie, che caricheranno all’interno del sistema di prestito. Tutti i bambini amano guardare le immagini e i disegni presenti negli albi illustrati, diamogli il tempo di osservare ed eventualmente di indicare ciò che noi stiamo leggendo. I piccoli poi adorano le filastrocche in rima, la lettura di questo tipo è più melodiosa e armonica, di conseguenza è più facile intuirla e memorizzarla, perciò è particolarmente apprezzata. A fine lettura è sempre bene chiedere ai nostri giovani ascoltatori se la storia è piaciuta, se sono più grandini, si può porre alcune domande per testare la comprensione del testo e capire se hanno individuato un messaggio nascosto, un piccolo insegnamento, celato dentro il racconto. A volte saranno loro a fare domande, e a noi genitori, nel limite del possibile, toccherà fornire delle risposte. Io amo prendere per i miei bambini alcuni libri selezionati in base all’argomento, che si leghino quindi al periodo dell’anno o alle esperienze che loro stessi stanno vivendo in prima persona, così che si sentano protagonisti o possano fare un parallelo fra le proprie vicende e quelle dei personaggi del racconto. Nati per Leggere nasce nel 1999, con

«Leggere ad alta voce ai bambini fin dalla più tenera età è una attività coinvolgente: rafforza la relazione adulto bambino ed è la singola attività più importante che i genitori possano fare per preparare il bambino alla scuola. Un bambino che riceve letture quotidiane avrà un vocabolario più ricco, si esprimerà meglio e sarà più curioso di leggere e di conoscere molti libri». l'obiettivo di promuovere la lettura in famiglia sin dalla nascita, vista l’influenza positiva in campo relazionale e cognitivo. Il progetto si avvale della collaborazione dei pediatri, e dei bibliotecari, attraverso l'Associazione Culturale Pediatri, l'Associazione Italiana Biblioteche e il Centro per la Salute del Bambino onlus. La Settimana Nazionale Nati per Leggere si svolge dal 18 al 26 novembre, il titolo dell’evento è “Diritti alle storie!” e si svolge in concomitanza con la Giornata Internazionale dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza (20 novembre), perché «ogni bambino ha diritto a essere protetto non solo dalla malattia e dalla violenza, ma anche dalla mancanza di adeguate occasioni di sviluppo affettivo e cognitivo, e le storie sono un mezzo di relazione e una fonte inesauribile di stimoli». Le citazioni fra virgolette sono tratte dal sito www.natiperleggere.it

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LA

 di Silvia Tarter

MALARIA COS’È E COME SI MANIFESTA Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2015 si sono registrati oltre 212 milioni di nuovi casi di malaria e 429.000 decessi. Il nome, “mal aria” deriva dal fatto che inzialmente si pensava fosse provocata dai miasmi delle aree paludose. Infatti questa malattia è diffusa in maniera endemica principalmente nelle aree umide tropicali, specie in Africa Centrale, Caraibi, Sud America, Sud Est Asiatico e Oceania. Una vera emergenza, che minaccia ben il 40% della popolazione mondiale, colpendo le aree più povere del pianeta. Questa terribile malattia si contrae tramite parassiti protozoi del genere Plasmodium. Tra le 4 specie di questo parassita in grado di contagiare l’uomo (Falciparium, Vivax, Ovale, Malariea, oltre al Knowlesi che colpisce

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alcune scimmie in Asia), il Plasmodium Falciparum è il più pericoloso, lo stesso ad aver ammalato la piccola Sofia. Dal momento del contagio al manifestarsi della malattia può trascorrere un periodo di incubazione di 7-14 giorni (anche mesi in caso di malaria contratta da diversi ceppi del parassita). Dopodiché, compaiono i primi sintomi. Il parassita attraverso il sangue raggiunge il fegato dove si moltiplica, per poi tornare nel sangue, infettare e distruggere i globuli rossi dando vita a nuove generazioni di parassiti che si sviluppano nelle forme sessuate, i gametociti. Se a questo punto un’altra zanzara pungerà il malato, il parassita si trasmetterà e riprodurrà anche in essa, che diventerà così nuovo vettore della malattia. I sintomi dipendono naturalmente dal tipo di parassita infetto che colpisce, ma i più comuni sono febbre, anche periodica, comparsa di brividi, anemia, astenia, mal di testa, dolori

Alla luce della tragica morte della piccola Sofia Zago, la bimba deceduta lo scorso settembre a causa della malaria, abbiamo deciso di dedicare uno spazio di approfondimento per conoscere un po’ meglio questa terribile malattia, che, debellata in Italia dagli anni ’70, continua a colpire milioni di persone in tutto il mondo.

La palude: regno delle zanzare muscolari, sudorazione, talvolta vomito e diarrea, insufficienza renale (adulti), edema polmonare. Nei bambini colpiti dal Falcidarium, oltre a febbre, aumento del volume del fegato, tachicardia, può esserci anche un grave danno al cervello.

SOGGETTI A RISCHIO I soggetti più a rischio sono proprio i bambini che non hanno sviluppato le difese immunitarie, specie tra i 6 mesi e i 3 anni, ma anche persone non immuni, come viaggiatori che si recano in luoghi tropicali, donne in gravidanza, che rischiano l’aborto o addirittura la morte, persone affette da HIV e AIDS, immigrati che si muovono verso e di ritorno dal paese d’origine. LA SCOPERTA Nominata già da Ippocrate, (si dice che lo stesso Dante morì di malaria contratta


nelle valli di Comacchio) tra i primi ad accorgersi di questo parassita ci fu il medico francese Charles Louis Alphonse Laveran che a fine ‘800 dopo essere stato in Algeria analizzò i protozoi patogeni, scoprendo il ruolo dei plasmodi. Questa scoperta gli valse un premio Nobel. Ad individuare invece nella zanzara di specie anofele il vettore responsabile della trasmissione della malattia fu l’italiano Giovanni Battista Grassi, così come il collega inglese Ronald Ross, che si aggiudicò un Nobel nel 1092 (la questione dell’attribuzione del

Nobel è in realtà ancora contesa) e dimostrò che l'infezione malarica può persistere solo se il numero di zanzare rimane al di sopra di una certa soglia.

LA CURA Benchè mortale, è possibile prevenirla e curarla. Zanzariere e insetticidi infatti possono naturalmente proteggere dalle punture di insetti infetti. Altrimenti, tra i trattamenti farmacologici l’OMS suggerisce delle terapie combinate basate sull’artemisinina, il farmaco più efficace contro la malattia non grave causata da Falcidarium, altrimenti si può ricorrere alla clorochina o, nei casi più gravi al chinino. L’obiettivo comunicato dall’OMS in una conferenza nel 2015, è quello di eliminare la malaria da almeno 35 paesi entro il 2030, e stando ai loro dati (www.who.int/mediacentre/news/releases/2016/malaria-control-africa/en/) qualche risultato positivo nella lotta alla malaria lo si nota. Ad esempio, è

aumentato il numero di test diagnostici effettuati in Africa, così come la somministrazione di trattamenti preventivi nelle donne in gravidanza, e sono cresciuti anche i trattamenti insetticidi. Finalmente, contro la malaria ora esiste un vaccino, l’RTS,S-Mosquirix, sviluppato dalla GlaxoSmithKline Biologicals e dalla PATH Malaria Vaccine Initiative, che verrà lanciato in via sperimentale dall’OMS in alcuni paesi africani a partire dal 2018, per combattere la diffusione della malaria nei bambini.

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e n io z a r g te in i d ia r to s a ll Una be

A K N A IV I L E D A DJUR

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no dei temi che sempre di più occupa le cronache quotidiane, è quello legato all'immigrazione e alla possibile integrazione nel nostro paese da parte di coloro i quali, per i più disparati motivi, sono giunti in Italia e nelle nostre varie regioni. Un tema “scottante” che indiscutibilmente divide gli italiani in due o più parti che non di rado la pensano in maniera diametralmente opposta. Certo, l'integrazione non è un aspetto facile e semplice da concretizzare, perchè non sempre avviene nella maniera giusta e desiderata e non sempre ottiene i risultati sperati. Qualche volta, però, i dubbi e le incertezze vengono fugati da indiscutibili risultati che aprono un panorama decisamente positivo che fa bene sperare. Uno di questi casi d'integrazione è quello che riguarda Ivanka Djuradeli, una ragazza venuta in Italia nel 1992, dopo che aveva lasciato, o meglio, era scappata dal suo paese e dalla citta natale, Stivor, per colpa della guerra. Arriva a Borgo Valsugana nel 1996 e da allora la vita di Ivanka è stata caratterizzata dalla voglia di fare parte della nostra comunità. Il lavoro è stato il suo pensiero fisso nella considerazione che senza un’occupazione sarebbe stato difficile integrarsi e quindi essere accettata. Commessa, lavoratrice in fabbrica, occupata nella raccolta di piccoli frutti e mele, sono stati i lavori che hanno permesso alla “nostra” di crearsi una certa tranquillità economica e guardare con più ottimismo al futuro. Certo, i sacrifici sono stati tanti, ma

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quando la voglia di riuscire e la volontà di migliorare ci sono, tutto si sopporta. E Ivanka ha sopportato e oggi non solo è bene integrata con la gente di Borgo Valsugana, rispettando i principi morali, etici e civili, ma, dopo tanti sacrifici, è riuscita a essere titolare di una attività commerciale in Via Fratelli, sempre a Borgo. Un negozio particolare che necessita, da parte della “nostra” Ivanka, di buona competenza e preparazione specifica in quanto tratta e propone quei particolari e indispensabili alimenti per celiaci, senza glutine, che sempre

di più sembrano essere necessari per il benessere di una grande parte della nostra popolazione. E di preparazione, Ivanka dimostra di possederne, e anche tanta. Oggi, grazie alla simpatia, al savoir faire, affabilità e buona predisposizione al dialogo e ai rapporti umani, si è indiscutibilmente integrata nel nostro tessuto dimostrando, non solo a se stessa, ma a tutti noi che quando esiste la voglia, il desiderio, ma soprattutto il rispetto per il prossimo, tutto ciò che pareva inizialmente impossibile diviene realtà. (A.M.)


Alessia è una “piccola” artista con un sogno nel cassetto: sembrerà strano, ma dopo il conseguimento del diploma di parrucchiera vuole, anzi, desidera fortemente fare il… MECCANICO.

ALESSIA TISOT Ognuno di noi, sia maschio o femmina, se abbiamo la sorte di riconoscerle, si ritrova alle volte con alcune doti e capacità nelle quali brilla più che in altre. Queste possono aiutarci a disegnare il futuro e l’occupazione lavorativa. Doti personali legate ai vari “mondi” e aspetti del vivere che sovente si manifestano in giovane età e che fanno parte del proprio quotidiano. Il voluto riferimento è per Alessia Tisot, una 17enne come tante ragazze della sua età, ma che a differenza delle altre, dimostra di possedere un qualcosa di speciale e una passione decisamente unica, decisamente insolita per quella fascia d’età. Alessia è una disegnatrice in grado di rappresentare un mondo “fantastico” che forse le appartiene e dove le figure nascono dalla sua mente, si imprimono sulla carta, e creano, dapprima in lei e poi nei suoi familiari, emozioni visive che attirano l’occhio dell’osservatore. Disegni per molti appartenenti al mondo surreale, a quel mondo dove le dimensioni “sogno e realtà” si uniscono nella mente di Alessia e poi da lei, posizionati sulla carta, formano un universo dove le fantasie e le idee trovano concretezza e motivo di esistere. È questo che fa la “nostra” artista, quando con la sua matita esprime la libera associazione di pensieri, parole e immagini attraverso grafie decise e perfette. Una “disegnatrice” in grado di rappresentare le proprie emozioni e il personale modo di essere. Il tutto attraverso una creatività libera, senza freni che appartiene a coloro i quali vivono la realtà in un modo per molti inesistente, ma nel quale sono completamente immersi. I suoi disegni, magari di una semplicità estrema, sanno risvegliare, nell’attento osservatore, quel particolare interesse che attira l’occhio e ne fissa, come in un obiettivo, l’immagine, ovviamente statica nel forma, ma decisamente dinamica nell’idea che comunica.

BORGO VALSUGANA

Progetto Casa A.M.A.

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odici mesi per dare la possibilità ad una donna rumena, Mihaela Andrici, da 17 anni in Italia e da tre residente a Roncegno Terme, di riqualificare le sue competenze con un percorso di reinserimento lavorativo e sociale. Il progetto è durato un anno, promosso, come ente capofila, dall’Associazione A.M.A. (Accoglienza Mano Amica) di Borgo e finanziato, per l’80% della spesa, attraverso un bando della Fondazione Cassa di Risparmio di

Trento e Rovereto. “Con i fondi della Fondazione Caritro – ci racconta Loredana Ballon e Enrico Segnana, rispettivamente presidente e segretario dell’Associazione AMA – siamo riusciti ad acquistare una macchina da ricamo digitale. Parte della spesa è stata coperta con i fondi della nostra associazione ed il contributo di altri due enti (il negozio Forec di Trento e la parrocchia S. Anna di Montagnaga di Pinè) che hanno messo a disposizione anche i loro spazi per esporre i lavori realizzati”. In Romani, prima, ed in Italia poi Mihaela aveva lavorato come sarta, una professione che ha potuto riscoprire, seguita dal tutor Raffaella Ciacci, recuperando la manualità perduta e imparando nuove tecniche. Presso la sede dell’Associazione, dove l’abbiamo incontrata con i volontari di Ama, in questi mesi ha prodotto borse, borsette, portaoggetti, t-shirt, cuscini, sacchi, sacchetti, zaini, porta occhiali e porta documenti. In cotone, in lino ed in ecopelle. “Ringrazio tutti coloro che mi hanno dato la possibilità di fare questo percorso - conclude Mihaela Andrici. Ora cercherò di mettere in pratica quanto imparato. Aprirò una partita Iva ed avvierò una attività per conto mio”. Per far conoscere i suoi prodotti ha realizzato anche un piccolo catalogo, materiale che da tempo ha messo a disposizione di parrocchie della zona, associazioni, gruppi religiosi. Ma anche di singoli privati, grazie al semplice passaparola. Ora per lei si apre una nuova possibilità. Grazie all’Associazione Ama, il negozio Forec di Trento, la parrocchia S. Anna di Montagnaga di Pinè e la Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto. (A.D.)

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I REVERSI

che strani

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prima vista sembrerebbe che al gruppo dei "Reversi" di Caldonazzo dovessero appartenere solo persone strane, originali, dal carattere rustico ed intrattabile. Invece, conoscendo a fondo lo spirito di questa associazione, possiamo affermare solo il contrario. Diciamo subito allora che si tratta di un'associazione composta di brave persone sempre attente ai problemi della gente e della collettività, dove prevale la vera amicizia e la buona armonia. Gli aderenti sono quasi duecento ed appartengono a tutte le categorie sociali: lavoratori dipendenti, artigiani, pensionati che provengono non solo da Caldonazzo e paesi vicini, ma anche da Trento e perfino dall’America e da altri stati del mondo. I soci sono soprattutto di sesso maschile ma non mancano nemmeno le appartenenti al gentil sesso. Tutti gli anni gli iscritti si incontrano per presentare il bilancio del loro operato e il programma per il futuro. Si salutano tutti amichevolmente porgendo non la mano destra ma quella sinistra per un

“saluto alla rovescia”. La sede del Gruppo è situata nel capannone artigianale dell’animatore principe Ferruccio Brida Montibeller detto “Luli”, sulla strada che da Caldonazzo porta a Centa S. Nicolò. Tutti gli aderenti hanno la loro divisa che indossano nelle loro feste od altre occasioni d’incontro. Non avendo finalità di lucro, il ricavato sia del tesseramento che di altre iniziative, viene sempre destinato alla beneficienza in favore della collettività e delle associazioni che operano nel volontariato. Molti soci sono anche disponibili ad aiutare in piccoli lavori e senza nulla pretendere, le persone che si trovano in difficoltà. Fra i recenti atti di generosità del gruppo, è il caso di ricordare il dono di mille euro al Villaggio SOS-Kinderdorf di Caldonazzo, con allegato un bigliettino con poche ma significative parole: “Reversi, sempre pronti ad aiutare chi ha bisogno”. Hanno aiutato anche l’oratorio parrocchiale e l’amministrazione comunale nell’acquisto di un orologio installato nella piazza L’orologio che segna le ore alla rovescia, principale del pae-

con il suo ideatore Luli

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 di Mario Pacher

CALDONAZZO

Parte del direttivo con Luli (ultimo a destra) se. E’ il caso di ricordare poi che i Reversi di Caldonazzo hanno partecipato anche, a Trento, al “Girotondo più grande del mondo”, hanno vinto poi due primi premi in occasione delle “Festa di sapori”, con il menù delle trippe in brodo. L’associazione fu fondata più di 30 anni fa e ne fu ideatore Paolo Nicoletti con spalla destra l’intraprendente Luli. Fu primo presidente Lorenzo Curzel (Lorenzini). Successivamente furono alla guida del gruppo Rino Curzel (Brizza), Ruggero Tomasi (Verona) e presidente attuale è Sandro Carlin. Presso la loro sede ed in altri luoghi di Caldonazzo, fanno bella mostra orologi con le lancette che girano alla rovescia. Un progetto anche questo sempre dell’infaticabile Luli, anima principale del gruppo. Il ristorante per il primo momento conviviale, all’epoca, era stato raggiunto in macchina, in retromarcia, con partenza dalla piazza di Caldonazzo. Anche il pranzo era stato consumato tutto alla rovescia: iniziato col caffè, la frutta, poi il secondo piatto, quindi il primo, l’antipasto e terminato con l’aperitivo.


IIN VIGILI “MANOVRA  di Alessandro Dalledonne

BASSA VALSUGANA ell'ottica di un continuo aggiornamento ma soprattutto nel favorire l'aggregazione e l'affiatamento tra i vari corpi dei vigili del fuoco volontari della Bassa Valsugana e il Corpo del Soccorso Alpino, è stata organizzata, nelle scorse settimane, una manovra congiunta che vedeva come organizzatore capofila il Corpo di Telve, coordinato dal sempre disponibile comandante Silvio Trentinaglia e supervisionati dall'Ispettore distrettuale Emanuele Conci. Per una domenica, nella stupenda zona di Calamento, Malga Cere e Malga Valpiana è stata organizzata una simulazione di incendio boschivo che coinvolgeva un esteso tratto di vegetazione e simultaneamente il soccorso dei due persone in difficoltà: un boscaiolo incastrato sotto una pianta e un fungaiolo disperso. Sul posto sono stati fatti coinvolgere ben 290 vigili del fuoco e 15 componenti del Soccorso Alpino partecipanti. Fin dalle prime luci dell'alba i volontari, partiti dalle loro rispettive sedi, sono stati allertati con l'invito di portarsi presso la partenza della strada per

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Malga Cere e prendere istruzioni dalla sala operativa installata appositamente per la manovra. Per portare l'acqua necessaria allo spegnimento dell'incendio è stata realizzata una colonna di ben 14 motopompe, più altre 3 per lo smistamento delle varie "mandate" dove le squadre destinate all'attacco dell'incendio (ben 9 punti) attingevano ai vasconi pieni d'acqua. Spettacolari quanto istruttivi i due recuperi delle persone in difficoltà, svolti dal Soccorso Alpino e Vigili del Fuoco, che, forse, per la prima volta lavoravano in squadre miste tra loro, nell'ottica di un sempre maggiore affiatamento tra le due compagini del soccorso. Con un unico fine: quello del miglior servizio possibile alle nostre comunità. Sperimentate, per l’occasione, anche nuove tecnologie quali le nuove radio Tetra, che consentono di localizzare tramite GPS il personale sul territorio e permettono anche comunicazione tra i vari servizi, comunicazioni che prima avvenivano per comparti stagni in quanto le vecchie radio non permettevano la connessione tra di loro. Utilizzato anche un particolare software in dotazione ai vigili del fuoco che permette di avere cartografie ad alta risoluzione con la possibilità di trac-

ciare percorsi, strade, zone d'intervento a favore di squadre operanti nella ricerca persona o incendio boschivo come in questo caso. Ultimi, ma sicuramente non per importanza, hanno partecipato attivamente anche i 40 vigili allievi simulando. per loro. lo spegnimento di due focolai, mentre per i più piccoli è stata l'occasione per una istruttiva gita a piedi lungo tutto il tratto della manovra che si sviluppava per 5 chilometri circa. Non potevano mancare le autorità locali. Presenti diversi sindaci del territorio, Il presidente della Comunità di Valle Attilio Pedenzini, l'intera giunta comunale di Telve e soprattutto il neo-eletto Presidente della Federazione Tullio Ioppi accompagnato dal suo Vice Guido Lunelli che hanno avuto parole di elogio per la massiccia partecipazione di personale e per il clima di unità e collaborazione che ha contraddistinto la giornata. Il tutto si è concluso con un pranzo in compagnia gestito in modo impeccabile dal gruppo Alpini di Telve, che come sempre quando la comunità "chiama" rispondono con discrezione e umiltà.

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Già Ippocrate, padre della medicina, riteneva le piante uno strumento di cura che, di fatto, hanno fornito le basi per lo sviluppo scientifico della terapia farmacologica moderna. Fitoterapia significa letteralmente “curarsi con le piante” in quanto secondo l’OMS ogni vegetale dotato di sostanze farmacologicamen te attive merita l’accezione di pianta medicinale.

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Erbe come medicine LA

FITOTERAPIA I

l Ministero della Salute, che rende disponibile l’elenco di queste piante (lista e schede EMA), definisce fitomedicine i “prodotti medicinali finiti, provvisti di etichetta, che contengono come principi attivi esclusivamente delle piante o delle associazioni di piante allo stato grezzo sotto forma di preparati”, da non confondere con i fitofarmaci che sono tutti quei prodotti utilizzati per combattere le principali avversità delle piante e colture vegetali. I fitoterapici sono preparati a base di piante e registrati come medicine, approvate dall’AIFA, che seguono le normative del farmaco e, in Italia, vengono venduti in farmacia. Studiati e valutati per le loro proprietà di qualità, sicurezza ed efficacia terapeutica come tutti gli altri farmaci, vanno assunti in modo ponderale rispetto al soggetto. La dispensazione può essere con o senza obbligo di ricetta medica. La fitoterapia è dunque una scienza medica riconosciuta complementare alla medicina dei farmaci di sintesi che studia il corretto uso delle piante medicinali e derivati allo scopo di trattare o prevenire malattie e condizioni di interesse medico o salutistico. Le piante medicinali sono adatte sia nelle terapie di lunga durata sia in associazione a farmaci di sintesi in quanto capaci di accrescerne l’efficacia o di limitarne alcuni possibili effetti collaterali. È bene però fare attenzione alle possibili correlazioni fra erbe e altri farmaci in uso consultando lo specialista di riferimento quando il fitoterapico non necessiti di ricetta medica ma sia acquistabile come normale farmaco da banco. Secondo il presidente della Società Italiana di Medicina Naturale An-

 di Laura Fedel

tonello Sannia il settore fitoterapico conta ancora persone improvvisate che mettono in pericolo la salute delle persone con intossicazioni. Innanzitutto il prodotto venduto deve rispettare criteri qualitativi richiesti dalle farmacopee e dalla legislazione - nome botanico della pianta, luogo di origine della droga (la parte utilizzata della pianta), numero di lotto di lavorazione e altre specifiche, e inoltre la sua preparazione e prescrizione richiede una formazione specifica. Secondo Gabriella Cavallo, erborista, vice presidente nazionale della FEI (Federazione Erboristi Italiani) se fino a una ventina di anni fa con “fitoterapico” si indicava un farmaco derivato dall’estrazione di principi attivi dalle piante medicinali e quindi un farmaco vero e proprio, composto da principi attivi isolati, oggi la situazione si è fatta più mobile e complessa ed è più difficile definire in maniera univoca un fitoterapico. Nell’uso comune infatti con fitoterapico si intende un prodotto vegetale immesso sul mercato con finalità salutistiche e non più come solo prodotto registrato come medicinale. Allo stesso modo il termine Fitoterapia difficilmente nel sentire comune rimane ancorato alla prescrizione fitoterapica fatta dal medico, ma si allarga a tutto il campo dell’uso delle piante medicinali per la salute, come l’automedicazione con le piante e l’uso di integratori alimentari che a partire dalla lavorazione della materia prima (le piante) seguono protocolli per la notifica diversi dai medicinali. Per orientarci quindi dobbiamo guardare a livello normativo e lì verifichiamo che la differenziazione sostanziale di collocazione sta nella finalità d’uso, nella modalità di registrazione e di immissione al commercio. Sono questi i tre elementi che ci permettono di distinguere un derivato da una o più piante medicinali come farmaco


vegetale, farmaco vegetale tradizionale, prodotti vegetali prescritti su ricetta medica, e botanicals classificati come integratori alimentari e vendibili anche al di fuori delle farmacie. Il modo in cui viene recepita nei fatti la diversità tra i diversi preparati vegetali complica ulteriormente il quadro. Se fino a una ventina di anni fa il fitoterapico registrato come medicinale era composto da uno o più principi attivi oggi anche la farmacologia ufficiale nei confronti dell’analisi delle piante medicinali ha, per molte piante, riconosciuto quella che è sempre stata la valutazione e la discriminante

della visione erboristica delle piante rispetto a quella strettamente analitico-farmacologica e cioè che il “fitocomplesso” ha azione superiore a quella del principio attivo isolato. Le sostanze attive nelle piante medicinali sono molteplici, alcune dotate di una propria attività medicamentosa, altre invece sono inerti come la lignine e la cellulosa. Nella loro globalità costituiscono il “fitocomplesso”, responsabile delle proprietà salutari di una pianta medicinale e diverse da quelle di un componente preso isolatamente. Occorre quindi considerare non più solo il principio attivo, ma tutti quei composti, anche quelli inerti, che agiscono in modo sinergico al principio stesso modulandone l’azione. Ecco perché ogni pianta ha un’azione medicamentosa considerata predominante e delle altre dette secondarie. Per i farmaci tout court l’attenzione terapeutica è posta invece sul singolo principio attivo mentre gli altri componenti sono inerti. Questo mutato orientamento nella valutazione delle piante medicinali ha contribuito anch’esso a far sì che sia la destinazione d’uso la vera discriminante sui vari derivati. I prodotti finiti possono presentarsi sotto varie forme come tisane, decotti, tinture, estratti liquidi, molli e secchi, enoliti, oleoliti, succhi, essenze, pomate, integratori.

Un sentito ringraziamento alla Federazione Erboristi Italiani per il contributo giornalistico.

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FORTUNATO

DEPERO ello che ho pensatcoopiieari, Quando vivrò di qu comincerò ad avere paura di chi mi Fortunato Depero

rtista eclettico, visionario e allo stesso tempo di grande piglio imprenditoriale, Fortunato Depero nasce a Fondo, in provincia di Trento, il 30 marzo 1892 in un’epoca in cui il Trentino era ancora provincia meridionale dell’Impero austro-ungarico. Si trasferisce a Rovereto con la famiglia dove frequenta un istituto ad indirizzo artistico per poi perfezionarsi nello studio dello scultore Scanagatta. Conosce in quegli anni Rosetta Amadori, che sarà sua compagna per tutta la vita. A Roma, dove risiede per qualche tempo,

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In prima fila Depero, Marinetti e Cangiullo nei loro panciotti futuristi. Fotografia scattata il 14 gennaio 1924

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conosce Filippo Tommaso Marinetti, Cocteau, Picasso e Giacomo Balla con il quale firma, nel 1915, il Manifesto di Ricostruzione Futurista dell’Universo in cui viene espressa dai due artisti la volontà di puntare all’arte totale, da portare in ogni attimo della quotidianità, fino a farne un vero stile di vita. In quegli anni lavora anche per il teatro, realizzando per il regista Sergeij Diaghilev le scenografie del balletto russo Le chant du rossignol, di Igor Strawinskij. Nel 1927 pubblica Depero Futurista per la casa editrice Dinamo-Azari, il famoso libro imbullonato, primo esempio di libro futurista. Due sono le parentesi americane dell’artista dove, a New York, egli opera come interior designer, scenografo, costumista, pubblicitario e illustratore. Nel 1957, a Rovereto, inaugura con la moglie la Casa d’Arte Futurista Depero, un laboratorio creativo di produzione di arazzi, stoffe decorate, cuscini, collages e oggetti d’arte applicata contraddistinti dal suo stile inconfondibile. Sempre negli anni Cinquanta Remo Albertini, allora Presidente della Provincia di Trento, gli commissiona la

 di Sabrina Mottes progettazione della Sala del Consiglio della Provincia Autonoma di Trento alla quale Depero di dedica dal 1953 al 1956 disegnandone ogni minimo dettaglio. Oltre alle opere a parete, grandi pannelli affrontano temi quali la natura e la tecnologia che caratterizzano il territorio trentino. Quella che oggi viene chiamata Sala Depero è considerata una delle opere d’arte globale più importanti della storia italiana, oltre ad essere testimonianza del forte attaccamento dell’artista al suo territorio. Depero muore nel 1960. Grande osservatore partecipe dei cambiamenti della società del Novecento, vive le due guerre mondiali descrivendo quel periodo di grandi mutamenti attraverso i suoi scritti, le opere grafiche e pittoriche, i manifesti, i cartelloni pubblicitari tra i quali è impossibile non citare la notissima cartellonistica pubblicitaria creata per la ditta Campari. Attraverso di lui le arti applicate, l’oggettistica quotidiana, gli abiti, la pubblicità si fondono con l’arte superiore attraverso un percorso creativo che ancora oggi è di forte ispirazione per la grafica contemporanea.


Il Circolo Antonio Rosmini a Borgo Valsugana

I ROSMINIANI esempio di vita e di carità

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l Circolo Antonio Rosmini di Borgo Valsugana è nato alla fine del 2007, dopo la beatificazione di Antonio Rosmini, per iniziativa di Don Benedetto Molinari, sacerdote, ora defunto, della Diocesi di Trento, nativo di Borgo. La sua proposta di fondare un Circolo dedicato allo studio, all'approfondimento e alla diffusione del pensiero filosofico, teologico e spirituale del Beato Rosmini, per riscoprirne la grandezza, l'attualità e imitarne la santità di vita, venne accolta positivamente da un gruppo iniziale di sette soci fondatori che assieme a Don Benedetto diedero vita al Circolo Antonio Rosmini. Attualmente il Circolo di Borgo si compone di 15 soci che ogni 15 giorni si riuniscono (di solito il lunedì dalle 20,30 alle 22,30) presso la Casa di Accoglienza San Benedetto Labre, in via Dordi 11, che è stata la casa natale di Don Benedetto Molinari da lui donata alla Diocesi di Trento e attualmente gestita dalla Associazione AMA di Borgo Valsugana.

Coordinatrice del Circolo è la professoressa Maria Rosa Cadonna Dalle Fratte affiancata da un sacerdote Animatore Spirituale. “ Pur essendo legati all'Istituto della Carità, fondato da Rosmini, ci sottolinea la coordinatrice, ci sentiamo parte viva della Parrocchia di Borgo e del Decanato della Valsugana Orientale come peraltro è raccomandato nei Regolamenti stessi dell'Istituto. Per questo siamo in comunione con il Decano Don Daniele Morandini al quale presentiamo i nostri programmi, le nostre iniziative e al quale abbiamo sempre dichiarato la nostra piena disponibilità per le eventuali necessità della parrocchia. Lo specifico carisma rosminiano – continua la coordinatrice- è quello dell'esercizio, nella situazione di vita e di lavoro in cui ciascuno di noi si trova, della Carità universale nelle tre forme della carità materiale, intellettuale e spirituale. A questo si ispira il nostro programma annuale che appare, assieme alla relazione finale sulle nostre attività, nel fascicolo a stampa denominato” Quaderno rosminiano”. E ogni anno, come carità materiale di Circolo, sosteniamo le Missioni rosminiane in Africa, India e Venezuela”. Se qualcuno volesse ulteriori informazioni sull’attività del Circolo di Borgo Valsugana o desiderasse partecipare alle riunioni, può rivolgersi alla Coordinatrice, prof.ssa Maria Rosa Cadonna Dalle Fratte o al segretario dott. Franco Parotto.

 di Armando Munaò

ANTONIO ROSMINI Il Beato Antonio Rosmini nacque a Rovereto nel 1797 in una famiglia nobile in un’epoca in cui l’Europa era stata travolta dalle idee e dagli sconvolgimenti della Rivoluzione Francese, dalle guerre napoleoniche e dalla rivincita dell’Austria. Scoprì precocemente la sua vocazione al sacerdozio e allo studio e nel tempo mise tutto se stesso e le sue straordinarie capacità intellettuali, (pubblicò un centinaio di libri di filosofia, teologia, apologetica, ascetica, pedagogia, psicologia, diritto, politica), al servizio di Dio e della Chiesa. Pur essendo di famiglia facoltosa seppe usare il proprio patrimonio per il bene del prossimo, vivendo poveramente e mettendo in pratica per primo le sue Massime di Perfezione Cristiana. E sulla traccia delle Massime che i suoi confratelli (Padri Rosminiani), le Suore della Provvidenza Rosminiane e molti grandi uomini di Chiesa, come Papa Giovanni XXIII, hanno formato la propria vita spirituale. Nel 1828 si ritirò al Sacro Monte Calvario di Domodossola e in un mese circa elaborò le Costituzioni di un nuovo Istituto religioso fondato sulla Provvidenza, la società della Carità nei suoi tre aspetti dell’amore, la carità materiale, intellettuale e spirituale. Morì a Stresa nel 1855 e il 18 novembre 2007, riconosciuta dalla Chiesa la sua testimonianza di verità, di ascesi, mistica e santità, è stato dichiarato beato da Papa Benedetto XVI. Quest’anno ricorre il decennale della sua beatificazione.

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In collaborazione con negozio PEPE – Borgo valsugana

BAMBINI

CHE CRESCONO CON GLI ANIMALI P

er un bambino vivere insieme ad un animale domestico è davvero un’esperienza ricca di benefici. Crescere insieme ad un cane, un gatto, ma anche ad altri piccoli animali, infatti, permette al bambino di avere da subito una vita piena ed attiva, imparando a prendersi cura di un altro essere vivente, a responsabilizzarsi e ad affrontare lo stress, ac-

quisendo anche una maggiore stabilità emotiva. La presenza di un animale può aiutare poi il bambino nell’espressione del linguaggio e nella gestione delle relazioni; inoltre, permette al piccolo umano di conoscere e affrontare i grandi temi della vita, come la malattia, la morte, la nascita, l’accoppiamento. Giocare con un animale e carezzarne il corpo ha inoltre un comprovato effetto terapeutico e calmante; in particolar modo, in caso di periodi di malattia del bimbo, la presenza di un animale da coccolare stimola in lui la produzione di endorfine che aiutano il buonumore. Se il bambino invece sta per nascere in una casa nella quale c’è già un animale domestico è bene fin da prima del parto e poi una volta che il bimbo

è nato, non scordarsi di prestare attenzione anche all’animale, che vedrà naturalmente ridotto il tempo dedicato a lui (passeggiate e giochi più brevi ad esempio). Occorre quindi trovare del tempo per coccolarlo, in modo che associ alla nascita del bambino una situazione positiva. Buona cosa è poi non sgridare l’animale in presenza del bambino, e supervisionare, man mano che il bimbo cresce, l’interazione tra i due. Il cane infatti non va considerato un babysitter e certi comportamenti, magari scambiati per aggressività, sono in realtà normali reazioni prevedibili ed evitabili. Anche nel caso in cui è l’animale a fare il suo ingresso in una famiglia dove vive un bambino, occorre una stretta sorveglianza da parte di un genitore per far conoscere e interagire gradualmente i due senza lasciarli mai soli, specie se l’animale è un cucciolo, normalmente più eccitato e vivace. Un semplice graffio dato per gioco al bambino potrebbe infatti far sviluppare in lui la paura per l’animale. Una fase delicata quindi, ma necessaria, per sviluppare una sana e bellissima amicizia.

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RICCIO O CRESPO? I

capelli ricci sono particolarmente difficili da curare perché spesso tendono al crespo, effetto poco gradevole da vedere e che conferisce un effetto spettinato e di disordine. Da sempre i capelli ricci sono sinonimo di femminilità selvaggia, ribelle ed estremamente dinamica ed estroversa. Secondo una statistica questi capelli sono i più diffusi tra le donne (65/68%) e ne esistono più tipi documentati: lissotrici (lisci a sezione rotonda tipici delle razze mongoliche; cimotrici o ondulati o ricci (a sezione ovale tipici delle razze caucasiche; ulotrici; lanosi; crespi (a sezione piatta tipici delle razze negroidi). Nel 2010 è stato effettuato uno studio, che dopo aver esaminato le caratteristiche genetiche di onde e ricci relativamente ai capelli, ha stabilito che sono i fattori ereditari che determinano la na-

tura del follicolo e di conseguenza del capello stesso, perché quest’ultimo risiede nel primo. Quando il follicolo è asimmetrico, i capelli a cui esso dà origine tendono ad arricciarsi, quando invece è più simmetrico allora si ha il capello liscio. Le domande più frequenti che riguardano questi capelli potrebbero essere: “ come deve essere trattata una capigliatura riccia? Quali sono gli accorgimenti? Quali i prodotti da utilizzare? Quella, però, alla quale è più difficile da rispondere è: quale metodo di taglio bisogna adottare? Le risposte possono essere infinite, ma i principi cui bisogna attenersi sono quelli di: utilizzare shampoo idratanti o a base di estratti vegetali emollienti; utilizzo di oli e burri naturali; evitare prodotti che contengono siliconi, solfati e parabeni. I siliconi sono sostanze plastiche contenute nella maggior parte degli styling, e l’unico modo per rimuoverli è quello di utilizzare solfati, agenti detergenti molto aggressivi. I solfati rendono i capelli ricci secchi e crespi (caratteristiche già persistenti in colori che

di Annarosa Pasa Via XX Settembre, 77 BORGO VALSUGANA

hanno quel tipo di capigliatura. I parabeni, invece, sono conservanti che possono causare patologia anche gravi e quindi da evitare. Per una corretta cura del capello riccio è consigliabile un’asciugatura naturale o phon con diffusore, utilizzando aria a bassa temperatura. E ora il momento più difficile ovvero il taglio del riccio. Il metodo specifico da utilizzare è quello con la tecnica a sospensione studiato appositamente in modo da riuscire a dare la giusta forma e il desiderato volume, evitando così l’effetto “fungo” e garantendo una semplice gestione a casa.

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Ancora sulla

PRANOTERAPIA  di Armando Munaò

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el numero di ottobre avevamo pubblicato un articolo sulla pranoterapia che alla luce delle email ricevute, anche se con qualche eccezione, ci dimostra che moltissimi lettori sono stati interessati dall'argomento. Per quanto sopra abbiamo deciso di continuare su questa tematica, non solo per soddisfare alcune richieste di approfondimento, ma anche e principalmente per integrare, con dovizia di particolari, quanto pubblicato nel mese precedente. Lo abbiamo fatto aprendo un dialogo con la Sig. Rosanna Conci residente a Barco di Levico Terme, citata nel numero di ottobre e che in passato è stata positivamente destinataria di articoli su molti quotidiani e riviste nazionali e internazionali, come La Stampa, Corriere della Sera, La Domenica del Corriere, Stop, Visto e altri ancora e che è una delle poche “esperte” che gode di riconoscimenti ufficiali. Tra questi uno a firma del Prof. Giuseppe Ambrosini che in un certificato testualmente sottoscrive che «le emissioni bioplasmatiche, rilevate tramite metodo Edbs (elettro dattiloscopia biologica) con apparecchiature Ambrosini, appartengono alla mano destra e sinistra di Rosanna Conci». Nel documento si precisa anche che la «documentazione scientifica Edbs,

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conforme alla P.U. effettuata per la Pretura di Domodossola e alla C.T.P. è stata accettata dalla Pretura di Busto Arsizio e dal Tribunale di Ivrea». Data della documentazione 2 febbraio 1983. Due nostre premesse, però, sono d'obbligo: la prima è che il nostro scrivere non vuole essere sostenitore della pranote- menica del Corriere, Stop, Visto e altri rapia. Nostro intento giornalistico è ancora, sui quali sono stati riportati arpresentare un problema che per mol- ticoli che positivamente hanno presentissimi ha validità scientifica e certa, tato la Sig. Conci. Ma su quali malattie per altri invece no. Per la cronaca la in particolare la pranoterapia ha una professione della prano-pratica è oggi certa efficacia? Ecco quanto ci ha diregolamentata solamente nella regione chiarato la signora Conci: «La bioenergia Toscana come disciplina bionaturale. ha dimostrato una validità d’azione Ed è stato fatto con la delibera n° 609 sulle malattie del sistema nervoso, del del 28 gennaio 2009 che motiva come ritardo psicomotorio dei bambini, del «le discipline bio-naturali potranno coadiuvare la battaglia per la salute in Toscana in moltissimi settori e potranno diventare valore aggiunto anche nella nostra offerta termale». La seconda è che la pranoterapia non deve essere mai sostituita alla medicina tradizionale, anche se doLa Sig,ra Conci intervistata da Alberto Castagna a Canale 5 cumentati risultati hanno certificato mi- sistema circolatorio, disturbi ormonali, glioramenti fisici e mentali. malattie reumatiche e infiammatorie, A tal proposito è da citare malattie della pelle». «È importante che molti sono stati i quo- sottolineare - afferma ancora Rosanna tidiani e le riviste giornali- Conci - , che questa non è una terapia stiche nazionali e interna- miracolistica, ma l’azione del pranotezionali come La Stampa, rapeuta ridà la voglia di vivere, aiuta a La signora Conci con il figlio Nello Corriere della Sera, La Do- creare un equilibrio psicofisico del corpo

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emato-clinici e strumentali eseguiti sia prima che dopo le applicazioni. Ho notato inoltre una particolare sensibilità a recepire il beneficio pranoterapico da parte di bambini affetti da ritardo psicofisico. L’epilessia giovanile è parsa facilmente dominabile in brevissimo tempo e risultati essenzialmente positivi sono stati riscontrati nelle turbe ormonali, anche accentuate, con remissione della sintomatologia e normalizzazione delle analisi di laboratorio».

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tarlo alla totale guarigione. Sulla signora Conci e le sue doti di pranoterapeuta pubblichiamo quanto affermato dal dott. Fabio Mazzoli che è stato uno dei medici che l'affiancarono e che era responsabile del Servizio Asl della Regione Autonoma della Valle D’Aosta: «Ho seguito per oltre un anno molti pazienti affetti da diverse patologie trattati dalla signora Conci e ho accertato delle guarigioni dopo le sedute pranoterapiche, convalidate da accertamenti

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umano e offre un’ottima possibilità di recupero fisiologico e psicologico. Recupero, però, che è sempre da rapportarsi alla reazione soggettiva del paziente, nonché alla sua età e alla cronicità della malattia. È inoltre utile ricordare che la bioenergia può essere utilizzata non solo come sistema di cura integrativo della medicina ufficiale, ma anche come azione preventiva poiché aumenta e favorisce le difese immunitarie». Affermazioni sostenute da studi e da ricerche effettuati per molti anni dall’Ingegnere Marco Todeschini su questo tipo di medicina alternativa, che lo hanno portato a dichiarare che il pranoterapeuta emette due tipi di energia: quella biopsichica, che viene generata dal cervello, e quella bioradiante, che viene creata dagli anelli della colonna vertebrale, come pile messe in serie. Sui polpastrelli il pranoterapeuta ha delle “placchette” formate da un fitto reticolo di cellule: si tratta di energia “intelligente”, che col contatto trasmigra nel corpo del paziente, il quale ottiene così notevoli benefici che possono por-

ANALISI PER L’EMOGLOBINA GLICATA

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CINTE TESINO

la Casa del Pertegante

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ino a qualche anno fa era la sede del Centro Diurno. Oggi è diventata la Casa del Pertegante dove, dal 1 luglio al 10 settembre, sono arrivate già 400 persone. Gruppi parrocchiali, scout e parrocchie, soprattutto della Lombardia e dal Nord Italia. Ragazzi ed adulti saliti in Tesino da Mantova, Brescia, Cremona per usufruire dei nuovi spazi che il comune ha messo a disposizione della Cooperativa Sociale Artico. Siamo all’ingresso del paese, un edificio che, nei decenni scorsi, era stato sede di alcune attività produttive, tra cui anche la Bailo. E che, dopo aver dato ospitalità per alcuni anni agli anziani della conca, ora, con una convenzione decennale, il sindaco Angelo Buffa e la giunta ha assegnato alla cooperativa di Trento che concepisce e pratica un turismo accogliente e accessibile per valorizzare i beni comuni e i loro territori. In tutto 18 ca-

CIAO VENENZIO

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mere in grado di ospitare fino a 50 persone, un partneriato pubblico e privato che in Tesino punta a radicarsi nei prossimi anni. Sabato pomeriggio l’inaugurazione, un pomeriggio di porte aperte alla comunità per conoscersi, presentarsi, condividere e stare insieme. Soddisfatto, e non potrebbe essere diversamente, il primo cittadino. “Noi, in questa operazione,, fin da quando siamo stati eletti, ci abbiamo sempre creduto. E’ stata una scommessa portata a termine grazie al lavoro di Ferdinando Ceccato ed una cooperativa che fin dall’inizio ha dimostrato grande serietà condividendo il nostro progetto”. Dopo il taglio del nastro, alla presenza del presidente della cooperativa Mariano Failoni e dell’amministratore delegato Pietro Scarpa, la visita guidata alla struttura. “Il comune si è occupato dell’adeguamento strutturale dell’edificio, da parte nostra – hanno ribadito presidente e ad – abbiamo pensato agli arredi, ripensato la logistica dotando l’edificio di una nuova cucina”. Al primo ed al secondo piano le stanze, al pianterreno la mensa, gli spazi ri-

creativi e la cucina con un ampio giardino esterno. Oltre che a Cinte Artico gestisce in Trentino spazi destinati al turismo sociale a Segonzano, a Borgo Chiese e, dal 1 gennaio, una casa natura all’interno del Parco Adamello Brenta. Fino a poco tempo fa aveva in gestione anche una struttura in Vezzena. “Rispetto alle altre case, qui in Tesino vogliamo sfruttare questo edificio tutto l’anno. Una struttura alpina per andare oltre gli 80-85 giorni della norma attività estiva”. Il pomeriggio di festa è stato allietato da attività creative, laboratori per i più piccoli, una caccia al tesoro ed il bar al buio con la cooperativa Irifor, Apc Onlus e la Darko Solutions. Nei mesi scorsi diversi gruppi hanno usufruito degli spazi, alcuni in auto gestione, con Comune e cooperativa che puntano, quanto prima, a creare anche alcuni nuovi posti di lavoro. “Noi ci crediamo – concludono sindaco e rappresentanti della cooperativa – in quanto per ogni euro introitato vengono generati altri 50 centesimi che ricadono sul territorio e, in questo caso, in paese”. (A.D.)

LEVICO TERME

e n’è andato recentemente all’età di 92 anni, Venanzio Slompo, l’ultimo reduce di Levico Terme che apparteneva, assieme ad altri trentini, ad uno dei reparti della germanica Wehrmacht. Venanzio, classe 1925, era stato reclutato a soli 19 anni e fu mandato in servizio militare di addestramento nella zona della valle dei Laghi per essere spedito poi in luoghi di combattimento. Fortuna volle che poco dopo la guerra terminò e così anche Venanzio potè ritornare nel suo paese natale, Levico, sano e salvo. Dopo aver contratto matrimonio, emigrò in Svizzera assieme alla moglie dove, per ragioni di lavoro, vi rimase per alcuni anni. Ritornò poi nella sua Levico a vivere con tutta la sua famiglia. (M.P.)

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Terza “C” di Levico Terme

 di Franco Zadra

Piccoli storici crescono... «

La casa del nonno era molto grande, fatta di sassi, e per terra c’era cemento grezzo...». Inizia cosi uno dei componimenti degli alunni della terza C delle scuole elementari di Levico Terme, che sotto la guida della maestra Cesarina Pacher hanno allestito una mostra, con tanto di libro presenze da firmare con dedica, di oggetti “antichi”, raccolti dalle famiglie di Levico, prestati dai nonni, o recuperati dai magazzini della vecchia scuola in via Slucca De Matteoni, appartenenti a un’epoca quasi mitica, ma per tutti ormai «del millennio scorso». Banchi di scuola con innestato il calamaio, stilo, pennini, quaderni, una rara copia della prima edizione de Le avventure di Pinocchio, purtroppo mancante delle prime pagine, scaldaletto, ramponi, attrezzi da boscaiolo, chiodi fatti a mano, magnetofoni, armoniche, indumenti, e una miriade di altri oggetti, ordinati secondo il criterio dell’esposizione scolastica, che hanno fatto brillare gli occhi di nonni e genitori, ma anche visitatori occasionali per un mese intero, fino a circa metà novembre, in una classe dedicata del secondo piano. La consegna che aveva dato il via a questo lavoro, programmato fin dai primi giorni di scuola, riguardava un’intervista “ai nonni” condotta dai “novelli giornalisti” della 3 C, che con professionalità impeccabile hanno dato conto di un mondo ormai scomparso. «Alcuni di loro – ha detto Cesarina Pacher – non avevano neppure mai visto una macchina da scrivere». Le domande fatte ai nonni hanno esplorato e approfondito all’inizio ambiti come la casa e la scuola, per continuare poi nel completamento del progetto, con il gioco, la famiglia, e la vita quotidiana, ricostruendo un’immagine ricchissima di particolari che ha permesso ai visitatori la mostra di compiere, in molti casi, un salto temporale all’indietro di quasi cento anni, nella riscoperta di usi, costumi, ma anche

valori e qualità di relazioni sociali, difficilmente immaginabili senza questo tipo di inchieste, o senza la possibilità di toccare con mano quegli oggetti altrimenti scomparsi dall’orizzonte quotidiano. «Un lavoro – è stata la considerazione condivisa con la classe in un incontro con il giornalista – che diventa prezioso non solo per la didattica, ma anche per la crescita di una consapevolezza maggiore riguardo al progresso sociale, che in certi casi cammina come un gambero ma che va costantemente monitorato, tenendo alto il valore della memoria, per il bene comune». Considerazioni che potranno apparire sorprendenti per una terza elementare, soprattutto a chi da tempo non frequenta gli ambiti scolastici, ma che nell’immaginario di quei fanciulli costituisce fin d’ora il basamento della società di domani, che si va edificando accompagnata dall’emozionante scoperta di un passato favoloso nella sua semplicità. Grazie a loro e alla maestra Cesarina quel passato è potuto arrivare ancora una volta fino a noi. «Ma tu quanti anni hai? Ottanta?», chiede al cronista uno degli alunni della maestra Cesarina uscendo dalla mostra. «Sì – avrebbe voluto rispondere il cronista – e me ne vanto, grazie a questa vostra mostra che qui vale quanto il Louvre di Parigi».

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Un pittore generoso, rodomontico e “brasilero”

Luigi Prati Marzari

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uando ripenso al prof. Luigi Marzari Prati, m' appare subito un suo logo con due vele che solcano i laghi di Caldonazzo e Levico. È il logo che negli anni '70 egli ha disegnato per “Folklore sui Laghi”,manifestazione d'assieme fra le due Comunità. Durò 7 anni con ben 200 manifestazioni. Il professore era fiero di quel programma che seguiva alle famose Settimane azzurre, con i Concorsi Nazionali di Pittura Eugenio Prati e Tullio Garbari, che le Apt di Trento e le Comunità attorno al lago organizzavano negli anni '60. Egli vantava amicizie con il gallerista Walter Visioli di Bormio, gli amici pittori di studi a Brera, il Gruppo En plein air dello scenografo e pittore Tullio Oss Emer e del giornalista Massari de ”Il Giorno” di Milano, poi i pittori del Circeo/Gaeta. Coinvolgendo albergatori del lago, amministratori dei diversi Comuni, Istituti di Credito, convogliava a Caldonazzo, Tenna e dentro la Valle del Fersina, decine pittori. Fu proprio in quegli anni che fece capolino il geniaccio di Elio Ciola, pittore e docente caldonazzese che raffigurava le case e i balconi delle vie “panizare”. Prati Marzari con la calma brasileira acquisita, con l'entusiasmo dilagante che

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comunicava nelle sue riunioni, riuscì a condurre in porto sia “Folclore sui Laghi “, poi con il giornalista e scrittore Gian Pacher un' iniziale Mostra permanente di pittura con quadri acquistati e donati a Caldonazzo dai vari Comuni ed Istituti, parecchie edizioni del Concorso di pittura per le Scuole Elementari e Medie, fondare il Centro d'Arte “la Fonte”, oggi condotto dal giornalista Waimer Perinelli, e, a ritmo battente, molte sue personali nel Trentino, in Valle ed a vari concorsi. Testimoniano quel suo periodo felice e produttivo le tele esposte un tempo nei vari bar e alberghi di Levico, Caldonazzo e dintorni. E suoi capolavori, utilizzati dal Comune di Caldonazzo per le sale pubbliche, sono il pannello con ”Lago e panorama visto dal Monte Rive”, posto in sala del palazzo della cultura o “L'esodo dei campesinos”, in sala consiliare. Questa tela ricorda la terra brasiliana in cui il Prati Marzari ha operato come“ingheniero” presso alcune industrie minerarie, come architetto presso il Ministero dell'Aeronautica, come professore di disegno presso l'Istituto Professionale di Rio de Janeiro e Sao Paulo. Ecco al suo ritorno a Caldonazzo nascere a più riprese i quadri con soggetti brasiliani, quadri che suggerivano macumbe e merengue, danze e rituali di preghiera, dove il rosso dei drappeggi e costumi s'impone sulla tela. L' assessore comunale al turismo di un tempo, il dr. Mario Pola, aveva però un preciso ricordo, fattogli anche dai genitori. Per questo, dopo la morte del “professor “ Cav. Luigi Prati Marzari (1 novembre 1980-a 73 anni)

 di Luigi De Carli

volle ricordarlo con un concerto della Jazz Band di Cento (Fe), del maestro Giuseppe Ravasini. Quella serata fu un vero tripudio, un' emozione commovente, con le note delle trombe a tiro ,dei sax contraltobasso e tenore, dei clarinetti e tromba, dei tromboni e delle percussioni per tante canzoni latino-americane che deliziarono i presenti. Nel buio qualche lacrima, tanti ricordi e battimani a non finire. Il professor Luigi Prati Marzari non è stato per Caldonazzo una meteora, ma un pittore “passionale” per tutto ciò che si configurava come caldonazzese/panizaro, culturale ed artistico, identitario. Egli ha portato alto il nome del suo Paese, collezionando, con la sua arte, successi continui e recensioni di critici come Comanducci/Bolaffi, Gian Pacher, Bruno Passamani, Luigi Menapace, Umberto Mattalia, Luciano Brida. Fu un generoso, bravo pittore che seppe crearsi molti amici ed estimatori. Egli ha saputo regalarci tanti bei paesaggi en plein air, scorci, atmosfere delle nostre valli e frenetici balli del paese carioca. A noi manca quel suo tratto simpatico, rodomontico, schietto di “in linea con nessuno”, che venava gli incontri per strada o nei bar, al suo studio o in casa o in qualche sempre animata e frequentata sua mostra.


Lettera al Direttore Da parte del Comitato Genitori Vigolana, ci giunge questa lettera che volentieri pubblichiamo.

VACCINI: ALCUNE RIFLESSIONI

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enza entrare nel merito dell’importanza dei vaccini, anche all’interno del mondo scientifico le posizioni non sono allineate, come dimostrano le esortazioni del premio Nobel per la medicina Luc Montagnier ad evitare un uso indiscriminato e massivo delle vaccinazioni. Ci limitiamo ad alcune considerazioni sul metodo con cui si è giunti al D.l. 73/17, convertito in legge e alle ricadute pratiche a carico delle famiglie. La prima riguarda i tempi di applicazione della legge. I vaccini obbligatori ante decreto erano 4 (difterite, poliomielite, tetano, epatite B) ma, di fatto, veniva somministrato un vaccino esavalente (che aggiungeva pertosse e Hemofilus influenzae tipo B) in assenza di vaccini monovalenti; l’MPR (morbillo, parotite e rosolia) era solo consigliato. La mancata vaccinazione comportava una sanzione pecuniaria. Nel 2010 il Consiglio Provinciale di Trento, con assessore alla sanità Ugo Rossi, approvò la L.P. 16/10 che prevedeva il superamento dell’obbligo vaccinale e la sospensione delle sanzioni. Molte famiglie si sono approcciate con

cautela, limitandosi alle sole vaccinazioni obbligatorie o non vaccinando per nulla, dopo essersi ampiamente informate sui rischi che la vaccinazione comporta e averne ponderato i benefici. Non sono famiglie irragionevolmente ideologizzate ma persone che si sono accuratamente documentate facendo una scelta attenta per la salute dei propri figli. In poco più di due mesi si sono viste imporre non più quattro, ma ben dieci vaccinazioni obbligatorie, più del doppio di quelle che, fino a ieri, sembravano garantire un’adeguata tutela sanitaria della popolazione. Il disagio e lo spiazzamento è stato grandissimo. Non solo devono abbandonare una posizione maturata in anni di riflessione ma viene loro imposto di sottoporre i figli ad una inoculazione massiccia nel giro di poche settimane. Siamo certi che non ci siano rischi? Ricordiamo che è in vigore la Legge 210/92 che prevede l’indennizzo per danni da vaccino. Se un trattamento sanitario comporta l’assunzione di un rischio per una sua reazione avversa, non dovremmo poter scegliere se accettare tali rischi? Seconda considerazione sul presunto carattere di urgenza del provvedimento, giustificato, secondo il legislatore, da epidemie in corso. Ci chiediamo se davvero ci siano ben sei epidemie in corso, oltre a quella assai dubbia di morbillo, tali da giustificare una vaccinazione massiva

della popolazione della fascia da 0 a 16 anni in tempi così ristretti? Ma quali sono i rischi nel sottoporsi a vaccinazione massiccia e in così breve tempo? Altro punto riguarda le sanzioni. E’ prevista la sospensione della frequenza di asili nido e scuole materne per i bambini non conformi. Per chi frequenta le scuole dell’obbligo la sanzione sarà solo pecuniaria. E’ giusto condizionare così pesantemente l’accesso alle esperienze di socializzazione e formazione dei bambini più piccoli, che sono certamente un diritto in una scuola che dovrebbe accogliere tutti? Ci sembra un provvedimento affrettato privo di una equilibrata campagna di informazione e adeguate misure di attuazione. Le ricadute sulle famiglie saranno gravi. Dato che le motivazioni di questa scelta sono maturate in anni di riflessione in molti non se la sentiranno di calpestare ciò in cui credono, ma saranno comunque costretti a scendere ad un difficile compromesso fra lavoro e accudimento dei figli.

F.to Comitato Genitori Vigolana

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alimentazione consapevole

MANGIARE SANO, PER VIVERE MEGLIO

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uante volte ci sentiamo deboli, spossati e scarsamente motivati? La vita di tutti i giorni, fatta di compiti, responsabilità ed impegni mette costantemente alla prova il nostro fisico e il nostro benessere, e a questo si aggiunge il cambio di stagione, che è sempre un momento delicato. Spesso si ricorre a qualche rimedio farmacologico per stare meglio, ma in casi di normale stanchezza e semplice stress è bene non trascurare innanzitutto la nostra alimentazione, la base da cui partire per stare bene. “Fà che il cibo sia la tua medicina, e la medicina sia il tuo cibo” diceva il medico Ippocrite. E spesso, nonostante siamo ormai bombardati da tanta informazione in merito all’alimentazione, per lo più sotto forma di show culinario, tendiamo a dimenticare o sottovalutare quanto sia invece realmente importante, fondamentale, nutrirsi bene. Questo a cominciare dal primo mattino, dalla prima colazione, che non andrebbe mai saltata, per fornirci la giusta energia per affrontare la giornata. La nostra dieta mediterranea poi, ci offre un’incredibile varietà di prodotti della terra che non sono affatto scontati a tutte le latitudini, per poterci nutrire in modo gustoso e variegato per tutta la settimana. Largo allora alle verdure di stagione, come la zucca, ricca di fibre, vitamine e sali minerali, che nonostante il suo sapore dolce è davvero povera di glucosio, ideale per risotti, gnocchi, polpette...chi più ne ha più ne metta! E poi ancora, possiamo sbizzarrirci mangiando cavoli, cavoletti, dei veri e propri antiinfiammatori naturali, e ricchi di ferro, più della carne, e ancora bietole e verdure a foglia verde, che aumentano le difese immunitarie. Ovviamente, non possiamo trascurare le proteine, che ci vengono dai legumi, da abbinare ai carboidrati in gustosi piatti, dal pesce e da carne bianca per lo più, e uova. Il segreto è come sempre avere un po’ di buon senso, e mangiare in modo variegato, prendendosi il giusto tempo, sedendosi senza frenesia per nutrirsi come si deve.

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DANZA, FITNESS & SHOW NoDS nasce non solo come Centro di Danza e Fitness con lo scopo di creare uno spazio in cui allenarsi con il sorriso, ma anche per fare danzare i più piccoli e i più grandi attraverso lezioni di Fitness, corsi di ballo per adulti e Tango Argentino. “Nostro intento, ci dice la responsabile, è creare uno spazio dove le persone si sentano a proprio agio e indipendentemente dalla disciplina praticata, coltivino la propria passione, allenandosi e divertendosi”. Il Centro è gestito da Simona Niero, di origine veneziana, insegnante e ballerina di tango argentino, ideatrice del programma di Tango per ipovedenti in collaborazione con l'Unione Italiana Ciechi e da Martina Casagranda che dopo anni di studio e insegnamento ha ideato questo nuovo progetto. All'interno della struttura, con una sala di 90mq, vengono proposti corsi di danza per tutte le età, puntando maggiormente al Moderno e Contemporaneo, e all'Hip-Hop & Video Dance, disciplina, quest'ultima, che va molto di moda tra i ragazzi e di forte impatto

visivo e coreografico. Di particolare nota è che i giovani saranno ospiti in diverse rassegne di danza, in un momento di crescita e confronto con altre realtà, e dove potranno respirare la magia del palco perché il teatro fa parte integrante della danza, di qualunque tipologia essa sia, indipendentemente dal livello dell'allievo. In merito ai corsi di Tango Argentino, vi è la possibilità di studiare anche con lenante seguendo gli schemi del fitness grandi maestri ospiti nella struttura con con i passi derivati dalla danza jazz, seminari intensivi e nei week end di hip hop e classica. stage e perfezionamento, questi aperti Pilates&Posturale: che consiste in anche agli esterni. Nostro ospite è stato un lavoro al tappetino seguendo la diil ballerino di fama Internazionale Hernan sciplina del Pilates Matwork combinata Ohaco e a novembre avremo Silvio con elementi di ginnastica posturale, Grand, ballerino e coreografo degli adatta a chi ha bisogno di correggere spettacoli di Tango della compagnia atteggiamenti posturali sbagliati o come Naturalis Labor, una delle più grandi lavoro di base per altre discipline sia di compagnie del Nord Italia. fitness sia di danza. Nel corso dell'anno Per quanto riguarda il fitness sono pro- saranno proposte, nuove discipline, posti corsi di: sempre in materia di fitness, e con OneKor NRG: un metodo di allena- orario flessibile per venire incontro alle mento con lo Step basato sulla esigenze di ogni categoria, e con la variazione di velocità della mu- possibilità di prenotare lezioni anche Martina Casagranda sica. Da gennaio sarà proposto secondo le proprie personali esigenze. OneKor Skulpt, un particolare metodo che sfrutta il bilanciere e lo Step ideale per chi vuole allenarsi come in sala pesi. WellDance, novità assoluta ideata dall'Etoile internazionale Raffaele Paganini e la ballerina/ coreografa Annarosa Petri, che consiste in una Simona Niero lezione coreografica al-

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Nods Ordinary Dance Studio

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Mutui: occhio ai tranelli C

omprare casa, finanziare una nuova attività o fare una ristrutturazione: i motivi per richiedere un mutuo possono essere i più svariati. Non è semplice però scegliere quello più conveniente e adatto alle proprie esigenze senza incappare in condizioni non proprio trasparenti e in pratiche scorrette. Quando si va in banca e si richiede un mutuo, può capitare che l'impiegato chieda di sottoscrivere una polizza venduta dalla banca, aprire un conto corrente o acquistare altri servizi. In questo caso, il confine tra pratica corretta e scorretta è molto sottile: la banca può sì porre delle condizioni per concedere il mutuo, ma l'erogazione del prestito non deve essere vincolata dall'acquisto di prodotti o servizi della banca stessa. In una nostra inchiesta in 176 agenzie bancarie di dieci città italiane abbiamo rilevato che troppe volte agli aspiranti

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mutuatari veniva offerta la polizza vita a copertura del credito venduta dalla banca stessa, facendo capire che faceva parte del pacchetto mutuo, altrimenti la pratica avrebbe avuto più difficoltà a essere approvata. Insomma, non è obbligatoria ma se non la si stipula…. Ciò è purtroppo successo nel 26% delle agenzie visitate. Lo stesso copione con il conto corrente e l’accredito dello stipendio. Condizionando il finanziamento viene però meno la libertà di scelta del consumatore che potrebbe invece non voler sottoscrivere alcuna polizza oppure sceglierne una più economica, non cambiare conto corrente e non accollarsi azioni della banca difficilmente rivendibili sul mercato. Altroconsumo si è occupata già in passato di prati-

 di Alice Rovati

che scorrette legate ai mutui: grazie alle nostre segnalazioni dal 2012 nel Codice del consumo, il decreto legislativo a tutela dei consumatori, sono state inserite delle regole ben precise sulle condizioni che le banche possono imporre per erogare il mutuo. Vi sono poi le disposizioni dell'Ivass (l'Autorità di controllo del mercato assicurativo) che prevedono che gli intermediari assicurativi, comprese le banche e le finanziarie, non possono più ricoprire simultaneamente il ruolo di venditori e di beneficiari delle polizze. Ecco alcuni casi. • Polizza casa/vita della banca. In nessuna circostanza la banca può obbligare il mutuatario a sottoscrivere una polizza assicurativa venduta dalla banca stessa ai fini della stipula di un contratto di mutuo. Men che meno quando la banca è anche beneficiaria della polizza: se lo fa compie una pratica scorretta. La banca può


richiedere l'acquisto di una polizza sulla casa o sulla vita o a garanzia del capitale, ma, secondo le norme del libero mercato, il cliente può scegliere se acquistare la polizza della banca o di un altro intermediario assicurativo. • Apertura di un conto corrente presso la banca. Anche l'apertura di un conto corrente presso l'istituto di credito in cui si ha il mutuo deve rimanere a discrezione del cliente e non può essere una condizione per il rilascio del prestito: se viene imposta dalla banca per ottenere il mutuo è una pratica scorretta. • Domiciliazione dello stipendio e carta di credito. Anche questa condizione è totalmente infondata e soprattutto illegale. Infatti implica di aprire un conto corrente nella banca che come detto sopra è una pratica scorretta. Nonostante la legge lo vieti, troppi consumatori sono stati costretti ad acquistare altri prodotti (soprattutto polizze) abbinati al prestito. Se la banca obbliga a com-

prare la sua polizza per erogare il mutuo fa una pratica scorretta, che deve essere segnalata all’Antitrust. E’ bene anche ricordare che da alcuni mesi sono entrate in vigore nuove regole sulla trasparenza, che aumentano l’informativa precontrattuale da dare a chi è in cerca di un mutuo e rendono obbligatoria la consegna del Pies (prospetto informativo europeo standardizzato), un modulo che consente di confrontare le offerte sul mercato, verificare le condizioni del mutuo e fare così una scelta consapevole. Per dubbi o consigli si segnala che Altroconsumo sarà presente l’11 novembre alle 10,30 alla fiera Idee Casa Unica a Trento per un incontro informativo sui mutui e sugli aspetti di interesse notarile ad

esso collegati (argomento quest’ultimo che verrà affrontato da un Notaio di Trento). *La dott.ssa Alice Rovati è laureata in Giurisprudenza, percorso europeo e transnazionale, con master in Europrogettazione. Giurista esperta in diritto dei consumatori, docente di diritto. È Rappresentante di Altroconsumo per la Provincia di Trento.

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Coro Cima Vezzena

 di Franco Zadra

Un grazie per il Maestro Baldi P

iù delle parole valgono i gesti e il Coro Cima Vezzena si è ritrovato ultimamente con il Maestro Riccardo Baldi per ringraziarlo di quanto ha voluto e saputo dare al Coro fin dal 6 aprile scorso, quando aveva accolto, di buon grado anche se temporaneamente, la bacchetta dalle mani del Maestro Mauro Martinelli. Il vicemaestro Alberto, fratello di Mauro, aveva iniziato il suo Calvario. Non potendo più assistere il Coro, i due fratelli avevano individuato in Riccardo un valido sostituto che, con i suoi quarant’anni di esperienza nel dirigere cori di montagna, avrebbe saputo per lo meno tamponare il periodo di grave difficoltà che si andava prospettando. Il primo di giugno la ferale notizia della scomparsa di Alberto aveva precipitato il Coro in un doloroso sgomento che in quei giorni portò molti a disperare per la stessa sopravvivenza del sodalizio canoro. Come un capitano coraggioso in mezzo alla tempesta, Riccardo Baldi ha saputo mantenere la barra dritta, nella puntigliosa ricerca di un’armonia smarrita. Senza fare sconti a nessuno, neppure a se stesso, il Maestro Riccardo ha saputo comunque far lavorare il Coro riuscendo

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là dove molti avrebbero ceduto le armi. Interpretando simpaticamente il regalo che il Coro ha voluto fargli per salutarlo, un orologio con incisa una dedica, si potrebbe dire che il Maestro Riccardo ha fatto vedere a tutti “che ora è”! Dopo sei mesi è arrivata l’ora del commiato, com’è nella natura di tutte le cose. Ora tocca di nuovo al Maestro Mauro riprendere in mano la bacchetta, per fare, per forza e per amore, una cosa nuova, pur nella sincera ammissione, «dopo trentadue anni di Coro – ha detto Mauro Martinelli nell’ultima assemblea del Cima Vezzena – posso risentire anche di una certa stanchezza artistica». Senza più Alberto e il suo preziosissimo supporto, con tutto quello che è accaduto in questo ultimo periodo, ha l’aspetto di un primo baluginare di luce, di un primo raggio di sole dalle montagne, quel dire «in più» di Mauro, a tutti i coristi riuniti, di «progetti in sospeso da riprendere, entusiasmi per un repertorio da rinnovare, una rassegna da preparare». Il nome di

Leonard Cohen, cantautore, poeta, scrittore e compositore canadese, viene suggerito dal Maestro, nel recuperare precedenti progetti condivisi con Alberto, come ipotesi di arricchimento per tracimare un repertorio di canti di montagna al quale il Coro rimarrà comunque sempre fedele. «Il 14 novembre – ha concluso il Maestro Mauro – si ricomincia con chi ci sta. Due prove in settimana». Alberto, con il papà Marco, dalla stanza accanto il camerone della sede di Barco, annuivano e sorridevano. «Il Coro Cima Vezzena c’è! Viva il Coro!».


BENESSERE&SALUTE

Rolando Zambelli è titolare dell’Ottica Valsugana con sede a Borgo Valsugana in Piazza Martiri della Resistenza. È Ottico, Optometrista e Contattologo.

PROTEZIONE DEGLI OCCHI DALLE RADIAZIONI UV  di Rolando Zambelli

Oltre alla pelle, l'organo più suscettibile ai danni indotti dalla luce (radiazione ultravioletta e luce visibile) è l'occhio. L'occhio umano è costantemente esposto alla luce solare e all'illuminamento artificiale, è esposto agli UVB (295-320 nm ), agli UVA (320-400nm ) e alla luce visibile (400-700 nm). La luce è fondamentale per alcune funzioni biologiche della visione e per il ritmo circadiano ma allo stesso tempo l'esposizione all'intensa luce solare presenta un particolare pericolo per la salute: può portare ad un danno della visione e eventualmente a cecità. Questo pericolo è determinato da svariati fattori ambientali: lavoratori all'aperto, persone che vivono a basse latitudini o in alta montagna, riflessione della luce da parte di sabbia o neve.

Questa continua esposizione può portare a degenerazioni oculari più o meno gravi (cheratopatia, cataratte, pterigio), è quindi importante proteggere l'occhio da queste radiazioni. L'occhiale da sole può non essere sufficiente, soprattutto se mancante di un trattamento antiriflesso, ma in combinazione con una lente a contatto con blocco UV, la protezione può essere quasi completa. Va sottolineato come i danni oculari provocati dall'esposizione alla radiazione UV è cumulativa, è quindi importante massimizzare la protezione degli occhi iniziando già dall'infanzia. L'esposizione dei bambini più piccoli ai raggi UV dovrebbe essere limitata, soprattutto quando il livello di UV è moderato o alto. I bambini sono particolarmente vulnerabili ai danni provocati da questa radiazione poiché hanno pupille più grandi e il cristallino più trasparente. Nei bambini sotto i i 10 anni il 75% degli UV viene trasmesso attraverso il cristallino, mentre per un adulto di 25 anni solo il 10%, questo è dovuto ad effetti di assorbimento di un cristallino sempre meno trasparente con l'avanzare dell'età.

Recenti studi stimano che solo il 3% dei bambini indossa occhiali da sole protettivi e che il 23% del tempo di esposizione avviene prima dei 18 anni. Una volta che il bambino cresce è bene incoraggiare ad indossare sia gli occhiali da sole che lente a contatto con blocco UV in modo tale che abbia una protezione più. In conclusione, è importante fare prevenzione quindi affidarsi sempre agli specialisti del settore (oculisti e ottici-optometristi), per saperne di più su una corretta scelta dell'occhiale protettivo da sole e per un'eventuale applicazione di lenti a contatto con blocco UV.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI: Lynch, David K., Livingston, William Charles; D.H. Sliney;J.C. Merriam; Winn B, Whitaker D, Elliott DB Phillips; Weale RA; Young S, Sands J.; J. Wolffsohn; Parisi, Alfio and Green, A. and Kimlin, Heater L; . Chandler, Kathleen S. Reuter, Loraine T. Sinnot and Jason J. Nichols; J.E. Roberts; M. Lira, E. dos Santos Castanheira, L. Santos, J. Azeredo, E. Yebra-Pimentel, E.C.D. Real Oliveira;Richard P Feynman, Robert B Leighton, Matthew Sands; P. Mazzoldi, M. Nigro.

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 di Andrea Casna

LE FORTEZZE DELL'IMPERATORE:

Doss Fornas L

'intero complesso si sviluppa su un solo piano. Superato l'accesso, passando sotto un suggestivo arco in pietra, si entra nell'edificio – a pianta semicircolare - caratterizzato dalle cannoniere posizionate in direzione di sbarramento per chi proviene da Vigolo Vattaro e dalla postazione osservatorio. Appena entrati, sulla destra, un corridoio conduce ai posti di comando, latrine e magazzini. Quello che salta all'occhio è l'abilità degli operai e scalpellini chiamati dal genio militare ad eseguire i lavori di costruzione. Di particolare interesse è proprio l'accuratezza nella lavorazione della pietra: aspetto che emerge visivamente nella navata principale dell'intera fabbrica e nelle cornici esterne a bugnato delle feritoie. Da questo punto di vista, Doss Fornas è un prezioso documento capace di raccontare l'arte di chi un tempo lavorava la pietra. Doss Fornas ha tutte le caratteristiche delle opere permanenti dette in “stile

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Salendo da Mattarello in direzione di Vigolo Vattaro, in prossimità del paese di Valsorda, arroccato sulle pendici occidentali della Vigolana, un vecchio fortilizio, ora nascosto dalla vegetazione, domina silenzioso l'intera vallata. E' il forte di Doss Fornas, realizzato, fra la fine degli anni '70 e i primi anni '80 dell'Ottocento, per bloccare una avanzata italiana proveniente dalla Valsugana.

trentino”: casamatta in muratura a prova di scheggia con scudi in acciaio attorno alla bocca dei cannoni, grosse feritore per fucilieri, postazioni per mitragliatrici. Il perimetro era difeso da reticolato e l'illuminazione esterna avveniva con proiettori ad acetilene. Il rifornimento idrico era garantito da un cisterna, e dal punto di vista delle comunicazioni il forte era in contatto telefonico con Trento, Mattarello, e il vicino forte Bursafer. Infine il suo armamento consisteva in 4 cannoni da 12 cm M 61 e 2 cannoni da 9 cm M 04. La guarnigione in tempo di guerra era di un ufficiale e di 63 uomini. Considerato subito obsoleto, fu disarmato e utilizzato come bersaglio fittizio. La collina mantenne comunque un'importanza strategica in quanto, alla vigilia dell'entrata in guerra dell'Italia, nel maggio del 1915, tale settore risultava modernizzato con postazioni e cannoniere in caverna. Nel dicembre del 1914, infatti, erano

già state costituire 22 gallerie armate con pezzi di artiglieria e mitragliatrici. Con il fronte in Vallagarina, in Valsugana e sui ghiacciai, le granate della Grande Guerra non colpirono mai Doss


Fornas e nemmeno tutto il sistema difensivo di Trento, costruito fra la fine degli anni settanta e primissimi anni ottanta dell'Ottocento e poi aggiornato nei primi anni del Novecento. Doss Fornas fa parte della seconda stagione di forti costruiti dal Genio Militare Austro-Ungarico. Sono postazioni permanenti detti “stile trentino” (perché costruite con caratteristiche architettoniche presenti solo in Trentino) in posizione rialzata per fare fuoco di sbarramento sull'esercito nemico in avanzata. Entrando maggiormente nel dettaglio, la zona ad ovest dell'abitato di Vigolo Vattaro fu coinvolta nel processo di fortificazione del Trentino attraverso la costruzione di due postazioni in corrispondenza dell'abitato di Valsorda. Sono i forti di Doss Fornas (sul lato sinistro della valle provenendo da Vigolo Vattaro -alle pendici della Vigolana- e di Brusafer sul lato opposto). Due forti, quindi, all'interno della stessa valle per rendere maggiormente efficace, con una strategia incrociata e a tenaglia, la difesa di questo settore. Queste due batterie erano il punto meridionale della difesa del settore orientale di Trento. Una cintura difensiva che partiva dal Monte Calisio e arrivava fino alle pendici della Vigolana: un interessante sistema di sbarramento composto dalle batterie Roncogno, Cimirlo, Maranza. Brusafer, Doss Fornas e Mattarello. Tale settore fu aggiornato nel corso degli anni per arrivare, nel 1915, ad essere un moderno e avanzato sistema di sbarramento completamente scavato nella roccia. Le motivazioni che spinsero il comando militare a fortificare la Valsorda hanno origine, come nel caso di Civezzano, nell'invasione del 1866 quando le truppe italiane del Generale Medici arrivarono fino alle porte di Trento attraverso la Valsugana. La stessa Valsorda fu teatro di un breve scontro fra austriaci e italiani. Ancora oggi un cippo commemorativo ricorda quei drammatici eventi che contribuirono a portare all'Unità d'Italia.

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ME LEVICO TER

Tutto d’Oro lo Sci Club Levico

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a stagione estiva si è colorata d’oro per lo Sci Club Levico. Dopo sette anni, infatti, è arrivata la grande soddisfazione di vincere la classifica assoluta nelle finali del “Talento verde” e, più recentemente, nei campionati italiani assoluti, a Tambre in località Col Indes a Belluno. Parliamo della disciplina dello sci d’erba dove lo sci club levicense siede ora sul gradino più alto del podio nazionale. Nella specialità dello slalom gigante, nella categoria baby femminile, primo posto per Lisa Anastasia Lucchese con Noemi Oettl medaglia d’argento. In campo maschile 2° posto per Bryan Agostini, stesso risultato per Annachiara Marchesi tra le cucciole con Nathan Seganti campione italiano tra i cuccioli. Nella categoria ragazze un’altra medaglia d’argento arriva da Federica Libardi. Podio tutto levicense tra i ragazzi: Alex Galler si riconferma campione italiano seguito da Alessandro Martinelli

e Nicolò Libardoni. Altri successi sono arrivati nello slalom speciale: vittoria nella baby femminile per Noemi Oettl ed argento nella baby maschile con Bryan Agostini: Nella categoria cuccioli argento per Annachiara Marchesi e secondo oro portato a casa da Nathan Seganti. Un’altra medaglia di bronzo arriva tra le ragazze con Federica Libardi con Alex Galler grande protagonista tra i ragazzi: per lui seconda vittoria in poche ore con la medaglia d’argento che finisce al collo di Nicolò Libardoni. Nella categoria allievi, infine, si laurea campione italiano Alessandro Martinelli per la grande gioia dei tanti tifosi e del presidente Franco Libardi. (A.D.)

TTARO VIGOLO VA

FESTA DEI NONNI

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n occasione della Festa dei Nonni, l’orchestra d’argento di Casa Santa Maria di Vigolo Vattaro ha iniziato il lungo tour musicale che la vedrà protagonista in diversi palcoscenici del Trentino.

La prima uscita dopo la pausa estiva, come afferma l’animatrice Luisa Tamanini, è stata presso il centro diurno Crivelli di Gardolo gestito dalla Cooperativa Kaleidoscopio, dove il gruppo ha potuto dare sfogo e diffondere allegria. Una decina sono stati i pezzi eseguiti, tutti di famosi autori. I 4 solisti della Band: Angela Turcato, Dario Ravagni, Dario Andreis, Paul Sark hanno accompagnato con grande lena l’orchestra composta da dieci anziani che sommando la loro età, si arriva a 847 anni, con la centoquattrenne Corinna Ioriatti che non manca mai. Il presentatore ufficiale dell’orchestra Antonio Maule, ha arricchito la performance musicale con alcuni aneddoti e racconti buffi per strappare qualche sana risata. La band si esibirà in futuro presso altri teatri del Trentino, nonchè a Rovereto presso un esercizio commerciale che sta sostenendo il progetto. (M.P.)

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SCURELLE

IN RICORDO DI PADRE ALBANO

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a lunedì 16 ottobre, le spoglie mortali di padre Albano Torghele, venuto a mancare all’età di 91 anni presso l’infermeria dei Padri Francescani di Trento, riposano nel cimitero di Scurelle. E’ stato lì sepolto dopo una solenne concelebrazione presieduta dal parroco don Claudio Leoni che proprio il giorno prima, domenica 15 ottobre, aveva fatto il suo ingresso in quella Unità Pastorale ed era stato accolto presso la parrocchiale di Strigno. Tantissimi i fedeli accorsi per porgergli l’estremo saluto venuti da tutta la Valle, in particolare dai paesi che lo avevano avuto come cura d’anime. Hanno concelebrato il rito funebre, accanto al parroco, una ventina di sacerdoti di tutta la Valsugana e anche diversi “colleghi” frati venuti da Trento e da altri conventi. Al termine del rito funebre padre Albano è stato ricordato con parole di gratitudine da diversi rappresentanti di associazioni e di consigli pastorali. Albano Torghele era nato nella frazione Pianezze, nella parte alta di Scurelle, il 27 gennaio 1926 e fu consacrato sacerdote a Trento nel 1952. Di grande talento nel predicare, nei primi anni successivi fu predicatore nelle “missioni al popolo” in cattedrali di grandi città italiane come Reggio Calabria, Palermo, Gela, in provincia di Cosenza e di Matera, e tante altre. Poi ritornò in Valsugana dove divenne cura d’anime a Santa Brigida di Roncegno, piccola frazione di appena 400 persone, e dove trascorse venti anni della sua vita sacerdotale. Abitava nella vicinissima canonica e ogni mattina celebrava la S. Messa. Passò poi alla parrocchia di Ronchi Valsugana e nel 1992 fu nominato parroco di Novaledo dove vi rimase fino al 1996. Successivamente fu cappellano presso il convalescenziario dell’ospedale Villa Rosa di Pergine, con assistenza spirituale anche alle vicine case di riposo. Ma con il passare degli anni e venendo meno le forze, una

AUGURI

 di Mario Pacher decina di anni fa si vide costretto a chiedere ospitalità presso l’infermeria dei padri Francescani di via Grazioli a Trento, dove rimase fino all’ultimo dei suoi giorni. Negli anniversari della sua ordinazione sacerdotale, padre Albano è sempre stato festeggiato alla grande dalla gente che lo aveva avuto come pastore spirituale. In ogni ricorrenza venivano esaltate le sue doti di uomo semplice e premuroso, soprattutto verso le persone anziane, che visitava spesso, così come anche le sue costanti visite ai degenti in ospedali e presso le case di riposo. Il 60^ di sacerdozio, nel 2012, aveva voluto festeggiarlo nella chiesetta di Santa Brigida, fra quella gente che non vedeva più ormai da tanti anni. Al termine della solenne concelebrazione, sia pur preso dalla commozione, aveva concluso: “Vi ho sempre avuti nel cuore perché ho trascorso in mezzo a voi quasi metà della mia vita. E pure voi mi avere ricambiato con tanto affetto. Vi ringrazio ancora”. Ultima testimonianza di attaccamento in ordine di tempo, è il caso di ricordare la festa per i suoi 90 anni di vita raggiunti nel gennaio dello scorso anno. In quell’occasione una trentina di suoi ex parrocchiani di Ronchi, Santa Brigida, Roncegno e Novaledo, lo avevano raggiunto, a bordo di un pulmino, presso quella che ormai era divenuta la sua residenza, l’infermeria dei padri Francescani a Trento appunto. Con lui avevano rievocato tanti bei momenti del passato trascorsi assieme e gustato pure i dolci portati al seguito, con un brindisi augurale. Ultimo atto terreno di padre Albano è stato quello di chiedere alla sua amata Santa Brigida, dove ha lasciato gran parte del suo cuore, che nel giorno della sua partenza da questo mondo non venga suonata la “campana a morto” ma si faccia campanò per rallegrare i cuori nell’annunciare il suo ritorno a Dio. Un desiderio questo che la piccola frazione di Roncegno ha rispettato.

LEVICO TERME

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ino Cetto e Giuseppina Pompermaier, rispettivamente di 91 e 90 anni, di Levico Terme, hanno festeggiato lo scorso 30 settembre i 67 anni di matrimonio. Una festa in ambito familiare alla quale hanno partecipato i figli con le rispettive famiglie ed alcuni amici. Gino in particolare è una persona molto nota a Levico e in tutta la Valsugana, per il suo lavoro inizialmente di fabbro e maniscalco a Selva e successivamente di lavoratore del ferro a Levico in via Gianettini dove abita e dove ancora realizza qualche lavoretto. Al piano terra della loro abitazione, fanno bella mostra opere di grandi dimensioni raffiguranti personaggi storici del presente e del passato, nonché di fantasia. Le sue creazioni, permanentemente esposte, sono di grande attrattiva soprattutto per i turisti che frequentano nella stagione estiva e anche in quella invernale, la città termale. In passato Gino e Giuseppina fondarono e gestirono per alcuni decenni anche un’attività alberghiera, che ora è passata ai figli. (M.P.)

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TERME O L IO R T E V

Vetriolo Terme, ma come sei cambiata...

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ino agli anni ’70 dello scorso secolo, a Vetriolo Terme funzionava la Posta, uno sportello bancario, un negozio di alimentari di Fernando Galvan, un distributore di Benzina e almeno 8 strutture alberghiere. La stagione estiva a Vetriolo iniziava ai primi di giugno e terminava verso metà di settembre e durante tutto quel periodo funzionava anche il servizio di pullman con frequenti corse da Levico Terme a Vetriolo e ritorno, curato dalla ditta Toselli. Esisteva anche una bottega da calzolaio che riparava le scarpe ai numerosi villeggianti che frequentavano quella località turistica dove, presso quelle terme che con i suoi 1500 metri di altitudine sono le più alte d’Europa, si praticavano tante benefiche cure. Nel laboratorio di calzoleria si trovava il ciabattino Pietro Galler, con opificio in Levico, che si trasferiva a Vetriolo durante la stagione estiva. A raccontarci questa bella storia del “tempo che fu” è il figlio del calzolaio, l’ex comandante della Polizia Municipale di Levico Terme Ferruccio Galler, storico e nostro affezionato lettore ed informatore. Così ci dice: “Tutta la nostra famiglia partiva giornalmente da Levico verso le due di notte per raggiungere Vetriolo all’alba, a bordo di un carro trainato dal cavallo di Tullio Pradi, “molinaro” di Levico e sul carro si portavano pure tutti gli attrezzi del mestiere. Assieme a mia madre c’erano i suoi tre figli, che siamo divenuti poi quattro con la nascita di Paolo il 31 agosto 1948, che risulta essere, fino ad oggi, il primo ed unico nato della storia a Vetriolo e che fu battezzato in quella chiesetta da don Giovanni Goio. Durante il giorno noi portavamo le capre al pascolo fino a Malga delle Rose, e così anche le galline, nonché un maialino che veniva nutrito con gli avanzi di cucina dei vari alberghi”. E Ferruccio conclude: ”Questi ricordi di gioventù mi fanno comprendere com’era bella la vita così semplice in mezzo ai boschi e alla natura”. Il calzolaio Pietro deve essere stato proprio uno specialista nel suo mestiere poiché un turista sconosciuto aveva scolpito su di un abete vicino alla calzoleria, questa scritta: “Questa è la calzoleria d’alto monte ove si serve ogni Barone e Conte; misero è il mestiere, è naturale, devo vivere anch’io menomale”. Quella scritta, semplice ma significativa, fu riportata poi in calce ad una scultura in legno raffigurante la calzoleria, che Ferruccio custodisce accuratamente a casa sua e che ci mostra in questa foto. (M.P.)

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ME LEVICO TER

PORTE APERTE Le due giornate di “Porte aperte” organizzate recentemente dall’APSP San Valentino di Levico Terme, hanno avuto un grande successo. La prima si è svolta presso l’istituto Casa di Riposo denominata “San Valentino…. in arte”, con momenti di incontro con i famigliari degli ospiti e tanti semplici cittadini. Qui la festa è iniziata al mattino con una Messa celebrata dall’assistente spirituale dell’Istituto don Valentino Chiocchetti e cui hanno fatto seguito i vari interventi delle autorità. Hanno salutato per primi la presidente Martina Dell’Antonio e il direttore Fabrizio Uez, quindi il consigliere comunale Paolo Andreatta e il consigliere provinciale Gianpiero Passamani. Sin dal mattino artisti di Levico hanno iniziato a lavorare creando in diretta lavori artigianali utilizzando il legno, usando l’uncinetto, altri dipingendo, attirando tutti l’attenzione degli ospiti, dei famigliari e di tanti cittadini. Analoga iniziativa si è svolta la settimana successiva, organizzata ancora dalla stessa APSP, presso il Centro don Ziglio dove si è tenuta la “Festa dell’incontro - cuciamo ponti per allargare gli orizzonti”. Ai famigliari degli ospiti e a tutta la cittadinanza intervenuta è stata offerta l’opportunità di visita alla struttura e ai laboratori didattici. Vi sono stati poi nel grande giardino, momenti di animazione per bambini e per adulti. Ed ancora le bolle giganti, “Little cow boy”, cavalchiamo piccoli pony, trucca bimbi, palloncini e giochi per tutti. Presso la piccola fattoria si sono potuti anche coccolare e lisciare i piccoli animali, i lama e “i nostri amici cani della Pet therapy”. (M.P.)


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Ricordato il Tenente Cav. Pietro Moriconi

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er ricordare il 5^ anniversario della morte del tenente cav. Pietro Moriconi, una cinquantina di amici e conoscenti hanno raggiunto domenica 15 ottobre scorso, a mezzo pullman, la basilica di Sant’Antonio a Padova dove hanno partecipato ad una solenne Messa. Durante la celebrazione il sacerdote ha salutato i trentini ed elogiato l’iniziativa volta a ricordare questo loro amico per quanto ha saputo dare alla sua città. Per tanti anni infatti Moriconi fu comandante della Stazione Carabinieri di Levico Terme dove da tutti era benvoluto e stimato per la sua rettitudine ed umanità. Uomo di grande cultura, era stato anche autore di diverse pubblicazioni come il libro: “Una vita al servizio della Patria e della collettività”. E fra le composizioni poetiche vogliamo ricordare “L’Inno di Levico”, che fu poi armonizzato dal maestro Caldonazzi ed inserito nel

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programma musicale della Banda Cittadina di Levico e successivamente anche da Cecilia Vettorazzi per i cori Alleluia e Cima Vezzena. Dopo il suo pensionamento, Moriconi si dedicò interamente alle associazioni del posto e anche all’interno di quelle umanitarie. La trasferta di domenica 15 ottobre, “V^ Memorial Pietro Moriconi” è stata voluta ed organizzata dal cav. Enzo Libardi, già presidente dei Fanti di Levico e pure presidente provinciale dei Fanti. Erano presenti anche i figli di Moriconi, Morena ed Osvaldo, che pure loro hanno ricordato l’impegno del papà in seno a tante associazioni di volontariato, così come anche un amico lo ha ricordato per l’impegno e la lealtà. A mezzogiorno il gruppo ha raggiunto Occhiobello per un pranzo a base di pesce e, nel ritorno, ha fatto visita al vivaio-serra di Rosà. (M.P.)

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IL FESTIVAL DELL’UVA

IL LIBRO DI FABIO RECCHIA

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stato recentemente presentato presso Villa Sissi Hotel Imperial di Levico Terme, l’ultimo libro di Fabio Recchia “I colori delle parole". Un volume critico delle poesie e dei quadri dell'autore presentato da Luigi Ruggeri dell'Associazione Cultura " Beniamino Joppolo di Patti in Sicilia, nell'ambito della manifestazione "Strade di Poesia" che ha fatto la decima Tappa del Tour poetico in quel di Levico Terme. Ruggeri, davanti ad un pubblico particolarmente attento che letteralmente gremiva la grande sala, ha profondamente esaltato la vena poetica e il dipingere di Recchia. Fra i presenti anche il Consigliere Provinciale Gianpiero Passamani, il delegato alla cultura del Comune di Levico Guido Orsingher e l'ex sindaco di Hausham in Baviera Arnfried Faerber, città gemellata con Levico Terme di cui Recchia è Cittadino onorario, venuto appositamente per l'evento. (M.P.)

i è concluso con successo a Levico Terme il recente “Festival dell'Uva” svoltosi per tre giorni lungo la centralissime via Dante, via Regia e via Marconi, dove sono comparse le tipiche casette in legno in rappresentanza di diverse cantine sia della Valsugana che di altre zone del Trentino che proponevano, oltre ai vini, anche assaggi enogastronomici. Alcuni stand presentavano poi prodotti d’altro tipo e lavori artigianali. Una manifestazione quella del Festival dell’uva, nata allo scopo di celebrare la vendemmia, che è stata anche quest’anno rallegrata da gruppi musicali e dalla cucina tradizionale presso alcuni ristoranti della città. Particolarmente seguita è stata la disputa del “Palio delle botti”, 2^ memorial Giancarlo Vettorazzi. Una gara che ha visto tanti giovani di ambo i sessi impegnati nel traslocare nel minor tempo possibile, fino alla piazza della Chiesa, le grandi botti. (M.P.)

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Cercate e cancellate nello schema tutte le parole elencate qui di seguito, scritte anche in diagonale, da destra a sinistra (o viceversa) o dal basso verso l'alto (o viceversa). Le lettere possono essere in comune a più parole. Quelle restanti, lette nell'ordine, daranno il nome di una località della Valsugana che venne totalmente distrutta durante la Prima Guerra Mondiale. ADDITARE AEROSTATI ALPINE ARNIE ARTICOLO BAITA BOCCIATURA CAMBIALI CAUTA CHIUSA CIOCCHI CITTADINA COCCODE' COMPUTER CUOCA DIURETICO GHIAIA GHIERA GIOVE ITTITI POSTER PRESSO RACCOLTE RACCONTARE RICATTO SATIRO SBANDARE SCAMBIO STANARE TACIUTO TEMPIETTO TORNARE TRAGEDIE

SOLUZIONI NR. DI OTTOBRE 2017 ALLA RICERCA ! Dalle prime lettere si ottiene VERBANO

CRUCI... TRENTINO EUREGIO

A gioco risolto, leggendo di seguito le lettere nelle caselle a sfondo colorato, si otterrà il nome di un glorioso ufficiale al quale è dedicata una piazza di Levico Terme. ORIZZONTALI: 1. Cittadina della Val di Cembra famosa per le piramidi - 10. Lo pseudonimo del famoso cantante Filippo Neviani da Sassuolo - 13. Spesso si cita quella della specie - 15. Adesso... a Napoli - 16. La parte legnosa del grappolo d'uva - 17. Titolo di studio per dottori - 18. Assicurazione in breve - 19. Donna in galera - 20. Novantanove romani - 22. Grande foresta di conifere dell'emisfero boreale - 24. Il Decamerone ne raccoglie cento - 26. La targa di Pesaro - 27. Il dio che per gli Egizi rappresentava il Sole - 29. Lo studioso degli insetti - 34. Dentro - 35. Meticci delle Antille - 36. Gli ormoni che fanno gonfiare i muscoli - 40. Agenzia di spionaggio civile degli USA 41. Attività tradizionale svolta in proprio - 43. Le dispensano le località termali ai pazienti - 44. Il bandito che dà il titolo ad un'opera di Verdi - 46. Cosenza - 47. Moderna corrente musicale molto ritmata - 49. Le vocali... in gola! - 50. Un potente esplosivo (sigla) - 52. Un po' d'ombra nel deserto! - 53. Il suo maschio si chiama fuco - 54. Sono dodici nell'anno.. VERTICALI: 1. Le ore del dopo cena - 2. E' una donna... molto ricercata! - 3. E' costituito da pettegolezzi - 4. Yasser Arafat ne fu a capo (sigla) - 5. La moglie del figlio - 6. Sono doppie nei pezzi - 7. Albero considerato infestante, comune anche in Valsugana - 8. La Ndimurwanko, giovane e forte lanciatrice di martello della Valsugana - 9. Dispone dei Caschi Blu - 11. Una lettera... via Internet 12. Un risultato sul ring - 14. Rifugio alpino in località Cinque Valli nel Lagorai - 21. Grossa forbice per tagliare lamiere - 23. Partecipano ad una battaglia - 25. Veggente e gran sacerdote Troiano che venne stritolato con i suoi figli da due grossi serpenti - 28. Un' estranea... nella festa - 30. Composizioni per musiche da camera - 31. Tennista rimasto famoso per le sue sfide contro Borg e Connors - 32. Il nome della giornalista Fallaci - 33. Articolo per... sportivi - 34. Il figlio di Abramo - 37. La sigla dell'elettrotreno - 38. L'inizio di oggi - 39. Sigla per le postazioni di emergenza che contengono un defibrillatore - 42. Taranto - 45. Insegnante... in breve - 48. Uno degli Angela (iniz.) - 51. A te.

1. Nei cantieri navali si varàno bastimenti. 2. Se al mercato trovi brise, préndine un chilo! 3. Avere sia fame che sete. 4. Aver lunghe braccia non muscolose. 5. In autunno, l'alba non sempre è radiosa. 6. Una scatoletta di dimensione minima. 7. Mangiar due fette di una squisita torta Sacher.

QUALE DELLE TRE? RAMPILONGA

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