BORGO - ARMA DEI CARABINIERI “la Cittadinanza onoraria” L’IMMIGRAZIONE IN ITALIA APSP BORGO
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L’EDITORIALE
IMMIGRAZIONE
vero problema italiano
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n questi ultimi giorni, anche dopo il servizio giornalistico di Fabrizio Gatti dell'Espresso (si è finto profugo per sette giorni nel CARA di Foggia e dalle pagine del suo giornale ha documentato una vera vergogna), l’immigrazione nel nostro paese, sempre più dimostra di essere un problema di scottante attualità. E lo è non solo perchè a dispetto degli accordi internazionali l’Italia è stata lasciata sola a gestire questa incontrollabile immigrazione, ma, a causa della burocrazia e ostacoli vari, è veramente compito arduo e difficile controllare, gestire e quindi diversificare i profughi dai clandestini. E sono i dati del Viminale che documentano questa “anomala” situazione. Dalle statistiche, infatti, solamente il 56% ha diritto all'asilo politico, il 1822% ottiene il permesso di soggiorno temporaneo, ma il rimanente 65% risulta essere di fatto irregolare e quindi, nel rispetto della nostra legge, dovrebbe essere espulso. Dovrebbe, ma purtroppo - non è così. E ora – anche alla luce delle diverse posizioni politiche, specialmente in tanti paesi europei che hanno deciso di rivedere la logica dell'accoglienza – non solo è in aumento il numero degli italiani che si stanno dimostrando contrari all’accoglimento degli immigrati, ma anche moltissimi nostri rappresentanti in parlamento stanno riconsiderando il loro “punto di vista”. E lo stanno facendo perchè oltre a rendersi conto che l'accoglienza dei profughi e dei clandestini sta diventando per l’Italia insostenibile, iniziano a capire che questa immigrazione, con annessi e connessi, dimostra, in maniera esponenziale, essere un enorme business soprattutto a vantaggio di chi la gestisce. Personalmente sono del parere che chi scappa dalla guerra deve essere accolto, senza se e senza ma. Per tutti gli altri, però, ritengo indispensabile si debba trovare una reale, pronta e urgente soluzione battendo i
di Armando Munaò
pugni anche in Europa. E a proposito d’Europa, in questi ultimi tempi cresce anche lo scetticismo nei suoi confronti e delle sue regole, a volte veramente inconcepibili e decisamente illogiche. Lo testimonia un sondaggio Demos pubblicato su Repubblica che quantifica in “solo” il 27% coloro i quali credono ancora nel sogno europeo. Quindici anni fa erano oltre il 60%. E i dati sottoscrivono che oltre l’83% degli intervistati vuole maggiore controllo alle frontiere e in tutta l’aerea Schengen. La
maggioranza degli elettori di Lega Nord e Forza Italia (circa il 70%) desidera una linea “più dura”, ma sono d’accordo anche il 49% di quelli del M5S e il 38% di quelli del centrosinistra. Aggiungiamo pure il duro segnale d’insofferenza, nei confronti degli immigrati, che arriva dal referendum in Canton Ticino che ha approvato l’articolo costituzionale “Prima i nostri”, direttamente contro i frontalieri italiani che di fatto, offrono mano d’opera a buon mercato a discapito degli Svizzeri. Un segnale che se non altro mette in primo piano l’urgenza di difendersi dall’invasione (e là gli invasori siamo noi). Tutto questo deve far riflettere con lucidità, nonostante il timore – vissuto da moltissimi – suscitato dall’immigrazione di massa e dalle conseguenze che questa sembra portarsi appresso: aumento dei reati a svantaggio della sicurezza quotidiana.
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IL SOMMARIO Ai carabinieri la “ Cittadinanza onoraria” ........7 Convegno sull’ Alzheimer ............................15 Immigrazione............................................ 21 La strada si apre con il perdono...................26 Il bullismo a scuola.................................... 29 Alcide De Gasperi ...................................... 30 Le accise sulla benzina ...............................32 I tradimenti .............................................. 34 I bambini ansiosi ....................................... 36 Voglio tu sia…campione ............................. 39 Intervista a Pierluigi Bonora ....................... 40 Mila, cartone animato contro la guerra........ 42 Lagorai Pietre............................................ 44 The Bastard Son of Dioniso ........................ 47 Chi era Ottone Brantari .............................. 50 Le cronache .............................................. 51 Le cronache .............................................. 53 La SAT di Caldonazzo................................. 54 L’aeroporto militare di Cirè ......................... 56 Le cronache .............................................. 57 Il Forte Busa Grande ................................. 58 A pergine i corsi di pattinaggio ................... 61 I canti di sdegno ....................................... 63 La chiesa di Sant'Ermete............................ 66 Castellalto................................................. 68 Il Manghen Team e d’oro ........................... 69 Noi volontari ai giochi olimpici di Rio ........... 71 La ragazza immagine................................. 74 I castelli in Valsugana ................................ 76 Medicina e Salute – L’ansia generalizzata .... 78 Salute e benessere – L’ortocheratlogia ........ 80 L’Arte terapia ............................................ 81 Natura in Valsugana .................................. 82 Girovagando - L’isola di Pasqua .................. 84 La pagina dei giochi .................................. 86
La “Cittadinanza Onoraria” ai Carabinieri di Borgo Pag. 7
ANNO 2 - OTTOBRE 2016 DIRETTORE RESPONSABILE Armando Munao’ - 333 2815103 direttore@valsugananews.com VICEDIRETTORE Roberto Paccher COORDINAMENTO EDITORIALE Enrico Coser COLLABORATORI Luisa Bortolotti - Elisa Corni - Erica Zanghellini Francesco Cantarella - Maurizio Cristini Alessandro Dalledonne - Mario Pacher - Franco Zadra Laura Fratini - Francesca Schraffl - Sabrina Mottes Eleonora Oss Emer - Chiara Paoli - Tiziana Margoni Patrizia Rapposelli - Zeno Perinelli - Adelina Valcanover CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA Dott.ssa Cinzia Sollazzo - Dott. Alfonso Piazza Dott. Giovanni Donghia - Dott. Marco Rigo EDITORE Edizione Printed srl Viale Vicenza, 1 - Borgo Valsugana IMPAGINAZIONE, GRAFICA Grafiche Futura STAMPA Grafiche Futura PER LA PUBBLICITÀ SU VALSUGANA NEWS info@valsugananews.com
Convegno Nazionale su Alzheimer a Borgo Pag. 15
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L’immigrazione, vero problema dell’Italia Pag. 21
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BORGO VALSUGANA
di Armando Munaò
ARMA DEI CARABINIERI La Cittadinanza Onoraria Il Carabiniere La divisa da Carabiniere è quella che, forse più di altre, esercita un fascino particolare, circondando chi la indossa con onore di un’aura che incute rispetto e ammirazione. Che si voglia intraprendere la carriera militare nell’Arma oppure che si sia semplici cittadini, si guarda da sempre ai Carabinieri come un simbolo di coraggio, sacrificio, valore e fedeltà. È inoltre, quasi per definizione, la presenza rassicurante dello Stato, quella che ci fa toccare con mano il significato di essere e di sentirci Italiani, da sempre, anche prima di Nassirya dove il 12 novembre del 2003 alle 10.40 locali, un attentato alla base MSU dei Carabinieri fece esplodere il deposito delle munizioni e uccise 19 italiani e 9 iracheni. Si ricorda giustamente l’attentato di Nassirya perché raffigura il sacrificio della vita che gli uomini dell’Arma sono disposti a compiere ogni giorno, nelle nostre città, in difesa di tutti. Un senso del dovere che informa la professionalità di questi militari speciali, dal semplice carabiniere al brigadiere, dal maresciallo al sottotenente, e su su fino al generale di corpo d’armata. Un mestiere che non è per tutti e richiede una sorta di vocazione per essere intrapreso. Anche per questo occorre un attento discernimento personale per capire fino a che punto si è disposti a spendersi per i valori della Benemerita, “nei secoli fedele”. Quando però si arriva a indossare la divisa, si capisce che difficilmente vi saranno momenti nei quali si potrà togliere, e ci si può forse spaventare per la grande responsabilità che questo comporta. L’appartenenza al Corpo dei Carabinieri però, sostiene nel prodigarsi in quell’eroismo del quotidiano che accompagna il dovere di ciascun militare. Per questo non tanto “si fa” il carabiniere, ma prima di tutto lo si è! Ed è giusto e bello per l’Italia fregiarsi di una presenza tanto preziosa, al limite dell’indispensabile per la sua sicurezza e per il buon governo delle sue istituzioni.
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opo la cittadinanza onoraria concessa alla sorelle De Gasperi, figlie del grande statista italiano, l’amministrazione comunale di Borgo Valsugana ha voluto dare analogo riconoscimento all’Arma dei Carabinieri con la seguente motivazione letta da Fabio Dalledonne, primo cittadino, alla presenza di autorità militari, politiche e Istituzionali: «Per il senso civico, l'impegno e la fondamentale attività svolta nella tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica e per lo spirito di sacrificio e abnegazione messi a disposizione della comunità di Borgo Valsugana, al fine di garantire il controllo del territorio e rispondere prontamente alle esigenze dei cittadini e della comunità». Una decisione unanime per premiare, riconoscere e ringraziare, i rappresentanti della “Benemerita” che con la loro presenza e il loro indefesso impegno, garantiscono quella sicurezza che indubbiamente rende più serena la nostra quotidianità. La scelta dell'Amministrazione comunale di Borgo, nel conferire la cittadinanza onoraria all’Arma dei Carabinieri, ha le sue motivazioni nel sentimento radicato nella cultura e nella tradizione dei cittadini della Valsugana verso i rappresentanti della legge nato dalla loro presenza capillare e dal rinomato “buon senso” che impronta il loro rapporto con la popolazione. Vi sono di certo le motivazioni storiche: l'Arma è stata uno dei simboli di unità del paese, protagonista delle guerre di indipendenza, della guerra di liberazione, oltre che nel contrasto alla criminalità organizzata, al terrorismo e alla corruzione di ogni genere, come testimoniano i riconoscimenti citati nella motivazione presentata al Consiglio. Vi è però, molto forte, anche una motivazione più immediata. In un momento storico in cui i cittadini percepiscono che la loro sicurezza, sia personale che delle loro proprietà, valore predominante del vivere civico, è un bene minacciato, i Carabinieri rappresentano un fortissimo punto di riferimento. Nei nostri comuni e in quello di Borgo essi sono l'unica forza
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militare di polizia in servizio permanente di pubblica sicurezza, e a loro è affidato il compito di mantenere nel nostro territorio un clima di serenità e sicurezza. Con quest’atto l'Amministrazione si è voluta fare interprete dei sentimenti di stima e gratitudine della comunità di Borgo Valsugana per il loro operato. Alla concessione della cittadinanza, che il sindaco ha posto nelle mani del generale Massimo Minniti, comandante della Legione del Trentino Alto Adige, erano presenti, oltre a un numerosissimo pubblico,i rappre-
Il Cap. Alessandro e l’Ass. Stroppa
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sentati militari dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, delle Istituzioni locali e nazionali, della politica nazionale e provinciale e amministratori. Per i carabinieri di Borgo ha fatto gli onori di casa il Cap. Filippo Alessandro, Comandante della Compagnia. E per quanto riguarda Borgo siamo certi di non sbagliare se affermiamo che tutti militi della Compagnia hanno percepito, con estremo piacere, questo riconoscimento, in un mondo ove, non di rado, si è abituati ad essere solo criticati, per le modalità d’intervento quando
Messaggio del Sottosegretario alla Difesa Il “Conferimento della Cittadinanza Onoraria all’Arma dei Carabinieri” da parte dell’Amministrazione Comunale di Borgo Valsugana è una cerimonia importante perché il comune di Borgo Valsugana vuole ribadire profonda gratitudine nei confronti delle donne e degli uomini che quotidianamente, anche col sacrificio della propria vita, difendono la legalità e la democrazia nel territorio italiano e nello scenario internazionale. L'elevata professionalità e lo spirito di sacrificio che animano i nostri Carabinieri devono rappresentare un motivo di vanto e di orgoglio per tutti gli italiani, perché i valori trasmessi dall'Arma sono un esempio da seguire per la nostra società. Nel corso di oltre duecento anni dalla costituzione sono centinaia i militari dell’Arma che si sono sacrificati nello sforzo continuo di rendere la nostra società migliore. Oggi è doveroso ricordarli perché il loro passato è entrato a far parte della storia dell’Arma, il coraggio delle loro idee e dei valori sono di esempio per tutti noi. Un grazie a tutti per i tanti traguardi raggiunti, ottenuti tra la gente e con la gente, che fanno dell'Arma dei Carabinieri riferimento assoluto per la sicurezza di che rappresentano una “eccellenza” del nostro Paese tra le più apprezzate nel mondo. On. Domenico Rossi
è necessario ristabilire l’ordine e la legalità. Come tutti noi, anche i rappresentanti dell’Arma soffrono nel percepire, intorno a essi, un crescente disagio per l’impossibilità materiale e/o legale di affrontare la moltitudine di reati in continuo aumento e nel vedere il malessere dei cittadini onesti che sovente devono limitare la loro libertà per la paura di essere vittime. E questa testimonianza, vera dimostrazione di affetto, è stata la prova che vale sempre la pena lottare per il giusto, per la verità, per la legalità, per la propria terra e per tutti gli italiani. Il concerto del Coro Valsella ha chiuso la manifestazione egregiamente coordinata dall’Assessore Rinaldo Stroppa, delegato dal sindaco di Borgo Valsugana all’organizzazione dell’evento. E un ringraziamento anche alla Polizia Locale e tutti i militari in servizio di vigilanza che hanno contribuito a garantire la riuscita della cerimonia.
LE AUTORITÀ PRESENTI Il Colonnello Maurizio Graziano e il Ten. Col. Giovanni Cuccurullo del comando Carabinieri di Trento, il Generale Marcello Ravaioli e il Colonnello Fabrizio Nieddu, del comando generale e provinciale della Guardia di Finanzia, i senatori Giorgio Tonini e Sergio Divina e l’On, Mauro Ottobre, il Presidente del TAR regionale, Roberta Bigotti, il Commissario del Governo Pasquale Gioffrè, il vice Questore Maurizio Auriemma, Bruno Dorigatti Presidente del Consiglio Provinciale di Trento, la dott.ssa Maria Comitè Segretario Generale del Comune di Borgo, il Presidente della Comunità di Valle Attilio Pedenzini, il Comandante Vicario della Polizia Locale Isp. Arianna Tamburini; Comandante VV.FF di Borgo Valsugana David Capraro, il Comandante della Tenenza Guardia di Finanza di Borgo, Luogotenente Fulvio Capone, il dott. Francesco Venturini, presidente ANC di Borgo Valsugana, Don Daniele, Parroco di Borgo e Riccardo Lippi, Vice Comandante della Stazione Carabinieri di Borgo Valsugana
I CARABINIERI A BORGO con la prima Nel marzo 1919 a seguito degli eventi bellici connessi noma dei guerra mondiale si costituì la Legione Provvisoria Auto dalla Legione Carabinieri Reali di Trento, con dipendenza amministrativa Carabinieri di Verona. Valsugana con Nel 1920 fu istituita la Stazione Carabinieri Reali di Borgo Compagnia sede in Piazza Degasperi nr. 1, alle dirette dipendenze della Carabinieri Carabinieri Reali di Trento e, superiormente, della Legione one esterna. Provvisoria Autonoma dei Carabinieri Reali di Trento – divisi , fu costituita Con Regio Decreto emanato in data 20 giugno 1921 agnie, 27 tra definitivamente la Legione Trentina su 4 divisioni, 11 comp Tenenze e Sezioni e 171 stazioni. Carabinieri Con Decreto del 14 novembre 1929, fu istituita la Legione di Bolzano con la soppressione di quella di Trento to di della La Legione Carabinieri di Bolzano, fu sciolta nel 1943, a segui Gruppo di ndi seconda guerra mondiale, e ricostituita 1945 con i coma Carabinieri di Trento, Bolzano e Belluno. In questo contesto la Stazione pagnia di di Borgo Valsugana, passò, quindi, alle dipendenze della Com Trento. Carabinieri di Nel 1971, a Borgo Valsugana, venne istituita la Tenenza dei pagnia di seconda Classe esterna, alle dipendenze del Comando Com o Valsugana; Trento con alle dipendenze i Comandi Stazione di: Borg o; Levico Pergine Valsugana; Grigno; Strigno; Roncegno; Castello Tesin e; Civezzano; Terme; Caldonazzo; Baselga di Pinè; Sant’Orsola Term Transacqua; Canal San Bovo. di Tenenza, In concomitanza con la nuova istituzione del Comando entrambi i Comandi vennero trasferiti in Viale Vicenza 29. dipendenze Nel 1980 la Stazione Carabinieri di Civezzano passò alle e Canal San della Compagnia di Trento, mentre le Stazioni di Transacqua binieri di Bovo passarono alle dipendenze della Compagnia Cara Cavalese. fu elevata al Nel 1989 la Tenenza dei Carabinieri di Borgo Valsugana Gruppo di rango di Compagnia, alle dirette dipendenze del Comando Carabinieri Trento, successivamente rinominato Comando Provinciale di Trento. il Comando Il 25 luglio 2005, il Comando Compagnia Carabinieri ed nell’ attuale Stazione Carabinieri di Borgo Valsugana vengono trasferiti sede via Giurisdicenti Giovannelli. il Comando Il 1 gennaio 2016 a seguito della fusione dei comuni, Stazione Stazione Carabinieri di Strigno ha cambiato denominazione Carabinieri di Castel Ivano.
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ARMA DEI CARABINIERI La carica di Pastrengo - 1848
Nei secoli fedele di Franco Zadra
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ittorio Emanuele I di Savoia, il 13 luglio 1814, emanò la legge reale “Regie Patenti” che istituì il Corpo dei Reali Carabinieri, un corpo militare di fanteria leggera con una componente di cavalleria, più elitario rispetto a un corpo di fanteria di linea; il primo personale arruolato fu, infatti, selezionato nell'eccellenza dei reparti piemontesi. Il loro primo generale comandante fu Giuseppe Thaon di Revel, chiamato a ricoprire la più alta carica del corpo il 13 agosto 1814. Il 25 giugno 1833 con decreto del re Carlo Alberto di Savoia vennero adottati i colori del pennacchio: lo scarlatto e il turchino. L'8 maggio 1861, dopo il compimento dell'unità d'Italia, i Reali Carabinieri diventarono “Arma” del Regio Esercito, raggiungendo il rango delle suddivisioni principali come fanteria, artiglieria, cavalleria, divenendo componente effettiva del Regio Esercito dell'Italia unita. Fu a Pastrengo, il 30 aprile 1848, che la bandiera dell'Arma venne insignita della prima medaglia d'argento al valor militare, mentre a Verona, il 6 maggio 1848, ricevette la prima medaglia di
bronzo al valor militare. Nella prima guerra mondiale i Carabinieri si distinsero nella battaglia del Podgora, il 19 luglio 1915, e per il contributo nel primo conflitto mondiale la bandiera dell'Arma fu insignita della prima medaglia d'oro al valor militare. Fino all'anno 2000 l'arma era parte integrante dell'Esercito Italiano con il rango di Arma (definita «prima arma dell'Esercito»); attraverso l'art. 1 della legge delega 31 marzo 2000, n. 78 i carabinieri vennero elevati a rango di forza armata autonoma nell'ambito del Ministero della Difesa, con l'emanazione del D. Lgs. 5 ottobre 2000, n. 297, divenendo una delle quattro forze armate della Repubblica Italiana e una delle cinque forze di polizia italiane. Ciò ebbe come conseguenza per il corpo di avere come comandante generale un ufficiale generale proveniente dai propri ranghi. Il primo comandante generale, proveniente dalle sue stesse fila, è stato nel 2004 il generale di corpo d'armata Luciano Gottardo. In precedenza il comandante generale dell'Arma era scelto tra gli ufficiali generali in possesso di particolari caratte-
Vittorio Emanuele I° - Re di Sardegna Fondatore del corpo dei Carabinieri Reali
Giuseppe Alessandro Thaon di Revel
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ristiche provenienti dall'Esercito. La patrona dell'Arma dei Carabinieri è la Virgo Fidelis, e ricorre il 21 novembre, giorno in cui cade la Presentazione della Beata Vergine Maria e la ricorrenza della battaglia di Culqualber. Lo stemma dei Carabinieri attualmente in uso è uno scudo italiano rosso inquartato da una croce d'argento con al capo sfondo azzurro. Il rosso a significare l'ardire, il coraggio e il sacrificio; l'azzurro simboleggia il valore, la fedeltà e la patria, nonché il colore simbolo di Casa Savoia. Nel I e IV quadrante dello sfondo rosso, una mano destra recisa impugna un serpente verde, con la testa e la coda rivolta a destra, a simboleggia la cautela e il buon governo. Nel II e III quadrante, una granata d'oro infiammata che è anche l'unico simbolo presente sulle divise (sul cappello e sul braccio) ed è da sempre simbolo di ordini militari moderni; infatti, venne applicata per la prima volta come simbolo dai nobili Brugioni che avevano, ottenendo per questo il titolo, comandato l'artiglieria nella vittoria di Alfonso I d'Este contro le truppe papali. In capo allo stemma, un leone d'oro, a indicare la determinazione del buon governo. Sullo sfondo del leone il tronco di rovere con otto ghiande color oro, a significare glorie militari, decorazioni conseguite, antichità, costante rinverdimento, merito riconosciuto e animo forte e spirito guerriero. Sotto lo scudo su lista svolazzante color azzurro scuro il motto, creato nel 1914 per il primo centenario dell'Arma dal capitano Cenisio Fusi, e non come si crede da Gabriele d’Annunzio, "nei secoli fedele" che sostituì "Usi obbedir tacendo e tacendo morir" (versi tratti dal poema La Rassegna di Novara di Costantino Nigra). L'intero scudo è timbrato da una corona color oro, con due cordoni di muro sostenenti otto torri di cui cinque visibili. (fonte: wikipedia)
Un ringraziamento particolare al Luogotenente Oriano Tosin per la gentile e preziosa collaborazione
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Nei numeri precedenti abbiamo presentato ai nostri lettori il Nucleo Gravi Demenze inaugurato a Borgo dai responsabili della Apsp S. Lorenzo e S. Maria della Misericordia – (presidente Mario Dalsasso e direttrice Anna Corradini) - per offrire agli ammalati di Alzheimer un particolare e funzionale spazio quotidiano per garantire una qualità di vita migliore e più indicata alle loro esigenze personali creando una vera sinergia di intenti tra ospiti, famiglie e operatori. Un progetto messo in essere con la consapevolezza che questa patologia è, purtroppo, in continua crescita e che quindi necessita di particolare attenzione. E Oggi questa struttura - che è la prima in Valsugana- è di fatto una vera realtà che offre a questi pazienti una concreta opportunità per un vivere migliore”. In questo numero, ritornando sul tema “Alzheimer” e a distanza di circa quattro mesi dall’avvio del Nucleo Demenze Gravi, presentiamo una ampia sintesi del qualificato convegno “Non ti scordar di me” organizzato presso l’APSP di Borgo Valsugana, e una intervista-dialogo con la dott.ssa Katia Pinto,Vicepresidente dell’Associazione Alzheimer Italia ed esperta di questa patologia.
di Armando Munaò e Franco Zadra
ALL’ APSP di Borgo Valsugana
“NON TI SCORDAR DI ME” R
esponsabili scientifici del convegno gli psicologi Tiziano Gomiero (Formatore e consulente nell’ambito del caregiving delle persone anziane con demenza ed esperto in psicologia dell’invecchiamento. Socio della Società Italiana di Psicologia dell’invecchiamento, membro del Consiglio direttivo di Alzheimer Trento ONLUS, e docente in diversi master universitari di primo e secondo livello), e Alessio Pichler (psicologo clinico e psicoterapeuta esperto in gerontologia con specializzazione in interventi psicologici nell'età adulta e anziana. Esperto in supervisione sul campo e formazione del personale socio sanitario e nella gestione dei colloqui di ingresso degli anziani in RSA) i quali hanno fatto parte del comitato scientifico fortemente voluto dal presidente Dalsasso, composto anche da professionisti dell’Apsp, grazie al quale il Nucleo è stato progettato, realizzato e viene costantemente supervisionato. Con questo momento formativo l’Apsp di Borgo Valsugana ha inteso contribuire all’approfondimento delle tematiche legate alla demenza negli anziani e alla sensibilizzazione del territorio della Val-
sugana Orientale su questo delicato argomento. Il convegno, strutturato in due momenti, “Il contesto e i nuclei dedicati nella vita delle persone con demenza” e le “Esperienze e prassi di alcuni interventi non farmacologici nella presa in cura delle persone affette da demenza”, ha voluto evidenziare i molteplici aspetti che fanno parte del grande universo legato a questa patologia e nello specifico ha posto l'accento e l'attenzione sia sul “contesto e i nuclei dedicati, nella vita con persone di demenza” sia e su “esperienze e prassi di alcuni interventi non farmacologici nella presa in cura delle persone affette da demenza”. Le relazioni degli intervenuti meritano di essere di seguito almeno accennate per contribuire in qualche modo al diffondersi della cultura del “prendersi cura”, come è nell’intenzione dei promotori il convegno “Non ti scordar di me”. Moderatore della prima parte del convegno è stato il dott. Tiziano Gomiero, collaboratore nel gruppo di lavoro mul-
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Il presidente Mario Dalsasso e la direttrice Anna Corradini mondiale e l’impegno pubblico a ritidisciplinare voluto dal presidente Mario muovere gli ostacoli (siano essi di natura Dalsasso, per la nascita del nucleo de- economica o sociale) che sono motivo menze, e assieme al dott. Alessio Pichler e causa di disuguaglianza, di discrimine e al Responsabile del Servizio di For- e d’emarginazione”. mazione consortile di Upipa, Werner Su “Gli interventi psicosociali nei disturbi Moranduzzo, segue il percorso di del comportamento” ha parlato il prof. crescita professionale del personale, Marco Trabucchi – Direttore Scientifico per migliorare il livello di competenze del Gruppo di Ricerca Geriatrica di Bretecniche e relazionali dello staff socio scia e Professore ordinario della Cattedra sanitario. di Neuropsicofarmacologia presso l’UniIl prof. Fabio Cembrani – direttore versità di Roma “Tor Vergata” e Presidell’U.O. di Medicina legale presso dente della Società Italiana di Psicogel’Azienda provinciale per i Servizi sanitari riatria.. «La persona con deficit cognitivo di Trento ed esperto in medicina legale – ha detto Trabucchi - non è solo una e bioetica – è intervenuto su “La dignità realtà biologica, ma soprattutto "umanella persona affetta da demenza”. na", cioè in grado di relazionarsi con «La dignità è un attributo intrinseco di gli altri e l'ambiente, di percepire relaogni essere umano, - ha detto Cembrani zioni positive o negative. Gli interventi - e garantisce oltre l’uguaglianza, la di cura devono ispirarsi a una medicina tutela, e il rispetto delle diversità che della tolleranza, oltre i limiti della mecompongono il puzzle della comunità dicina di precisione, per avvicinarsi con prudenza al mondo di dolore che accompagna la vita degli ammalati e dei donatori di assistenza». L’intervento di Carlotta Ferri, architetta, responsabile della progettazione del nucleo “Non ti scordar di me” di Borgo Valsugana – attraverso una panoramica dei principi cardine di proA sinistra il dott. Cembrani a destra il dott. Gomiero
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gettazione ambientale per la demenza, con particolare attenzione ai concetti di flessibilità e orientamento, ha illustrato il caso pratico realizzato presso l’Apsp San Lorenzo e Santa Maria della Misericordia a Borgo Valsugana, con la riconversione di una porzione di piano a Nucleo Alzheimer, esponendo la relazione dal titolo: “L’evoluzione attraverso l’orientamento per un ambiente Dementia-Friendly”. Su “La nascita del nucleo di Borgo: dalla formazione del personale alle prime evidenze sui residenti” ha parlato il dott. Alessio, ripercorrendo le fasi salienti della “fondazione” del Nucleo “Non ti scordar di me” di Borgo Valsugana e focalizzandosi in particolare sulla formazione del personale e sui primi risultati ottenuti. Sono state in particolare portate alcune riflessioni degli operatori rispetto al cambio di prospettiva sul mondo “demenza”( una sorta di rivoluzione nel modo di lavorare) e del materiale visivo prodotto dal personale stesso che ben documenta i notevoli cambiamenti in positivo mostrati dai primi pazienti coinvolti nel progetto. Nella seconda parte del convegno, moderata questa volta dallo stesso Pichler, su “La progettazione dell’ambiente a supporto della persona con demenza” è intervenuta Virginia Serrani – Architetta, titolare della azienda “Archadiaprogetti” specializzata nella progettazione di strutture sanitarie e socio sanitarie. «Alcune caratteristiche dello
In piedi, la dott.ssa Pinto e seduta la dott.ssa Lograno spazio – ha detto Serrani - possono assumere una valenza “terapeutica” e supportare le difficoltà connesse con i deficit cognitivi. L’architettura può essere un supporto a un corretto svolgimento di terapie riabilitative e bio-psico-sociali, ma i criteri di progettazione devono valorizzare la componente percettivosensoriale». Di “Terapia occupazionale con le persone affette da demenza: una pratica basata sui modelli concettuali”, ha parlato il dott. Yann M.H. Bertholom – infermiere psichiatrico, laureato in Terapia Occupazionale presso l’Università la Cattolica di Roma terapista occupazionale presso il centro abilitativo per l’età evolutiva “Il Paese di Oz” dell’Anffas Trentino Onlus. «Il Terapista Occupazionale - ha detto Bertholom - consente alla persona con difficoltà cognitive di continuare ad agire con semplicità e spontaneità la sua quotidianità. Ac-
Dott. Pichler e il dott. Bertholom compagna la persona a individuare dei progetti terapeutici specifici e significativi per dare un senso alla vita e sentirsi ancora utile». Hanno portato “L’esperienza di Casa Alzheimer don Tonino Bello (Bari): Point Care per ospiti e familiari e le terapie non farmacologiche utilizzate”, la dott.ssa Caterina Pinto – psicologa e psicoterapeuta, Vice Presidente della Federazione Alzheimer Italia – e la dott.ssa Claudia Lograno – psicologa esperta in diagnosi neuropsicologica, stimolazione cognitiva e terapie non farmacologiche in soggetti affetti da demenza di Alzheimer. «Una associazione – hanno detto – si batte a fianco dei malati e delle famiglie per fornire loro assistenza concreta, sostegno nella ricerca di una rete (ancora in gran parte da creare), nonché consigli pratici ed aiuti che cerchino di rallentare il proce-
dere della malattia e di renderla meno amara (lo slogan della Federazione Alzheimer Italia è, infatti, “La forza di non essere soli”). Ha concluso il convegno l’intervento della dott.ssa Stefania Filippi – educatrice professionale sanitaria e musicoterapista presso l’Apsp Margherita Grazioli di Povo (TN), dal titolo: “L’utilizzo del suono e della musica nella relazione con la persona affetta da demenza”, ha posto l’attenzione sul ruolo di suono, silenzio, e musica, nell’ambito comunicativo e relazionale, e nella gestione della quotidianità con la persona affetta da demenza. «La musica – ha detto Filippi – può stimolare e valorizzare “la parte sana” della persona con deterioramento cognitivo, agevolando anche la condivisione fra i diversi caregivers».
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La malattia di
Alzheimer
La malattia di Alzheimer (chiamata anche Alzheimer-Perusini), è la forma più comune di demenza degenerativa progressivamente invalidante che, di solito, si manifesta in età senile (oltre i 65 anni), ma anche prima. Fu scoperta nel 1907 a Tubingen in Germania dal neurologo Alois Alzheimer e dal suo assistente nella ricerca, il medico italiano Gaetano Perusini. Dialogo intervista con la dott.ssa Katia Pinto*
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e il progresso ha allungato di molto la durata della vita, (in media 82 anni gli uomini e 84-85 le donne), l’invecchiare porta con se delle patologie croniche tipiche: ipertensione, malattie respiratorie, diabete e, non ultimo, il decadimento cognitivo e le demenze vere e proprie, allo studio in diversi istituti di ricerca, nazionali e internazionali. La malattia di Alzheimer sta acquisendo i connotati di una vera e propria epidemia. Un grido d’allarme che viene lanciato in ogni occasione ci si trovi a parlare di questo dramma socio-sanitario. L’OMS ha dichiarato la demenza uno dei 7 disturbi neuropsichiatrici prioritari. Nel Rapporto 2015, l’ADI, Alzheimer Disease International, ha stimato 46 milioni in tutto il mondo le persone affette da demenza, ma se ne prevedono 74 milioni nel 2030 e 131 milioni nel 2050. In Italia, si stimano oggi 1.241mila persone con demenza, previste 1.609mila nel 2030 e 2.270mila nel 2050. I nuovi casi nel solo 2015 sono 269mila e i costi ammontano a 37,6 miliardi di euro. In Trentino, secondo quanto rivela l’Ass. Alzheimer Trento Onlus, viene colpita 1 persona su 8 sopra i 65 anni e 1 su 2,5 oltre gli 85, e il numero di malati sarebbe compreso tra le 7.000 e le 7.500 unità. Un dato calcolato per di-
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fetto perché le persone che soffrono di demenza sono in continuo aumento e crescono alla media di oltre 500 l’anno. Sino a ieri si diagnosticava un malato di Alzheimer ogni 7 secondi, oggi uno ogni 3 secondi. Si dice che ogni 10 minuti un italiano perda la memoria. Più che raddoppiata, quindi, è la velocità d’impatto della malattia sul tessuto sociale, aumentati i costi relativi alla gestione dei percorsi diagnostico, terapeutico, e soprattutto assistenziale di questa malattia, che in media dura oltre 10 anni e mette le famiglie in balia di uno tsunami che travolge tutti e tutto. Sono numeri impressionanti, capaci di mettere in difficoltà l'assetto socio-sa-
nitario di qualsiasi paese, specie di quelli che, come l'Italia, non hanno pensato a mettere a punto un piano per contenere gli effetti di una tale patologia. IL MOMENTO DELLA DIAGNOSI Inizia con semplici dimenticanze, magari di persone distratte, ma quando compaiono episodi particolari (come mettere il ferro da stiro nel freezer, i libri nel forno, avere difficoltà a rientrare a casa, dimenticare spesso il nome delle cose d’uso comune o dei familiari, avere difficoltà a fare calcoli anche elementari) si può supporre un deficit cognitivo e avviare un percorso diagnostico per inquadrare un’eventuale demenza. Diversi test neuropsicologici possono essere
La dott.ssa Pinto con il dr. Schino Pietro, prof. Marco Trabucchi, Dr. Giampaolo D'auria, Dr. Fabrizio Lattanzio
eseguiti con discreta semplicità, e indirizzano già verso diagnosi che dovranno essere confermate da indagini come TAC cranio, RM encefalo, PET, SPECT, ed esami ematochimici. Ultimamente la ricerca scientifica va verso l'individuazione di marcatori specifici perché la diagnosi precoce della malattia, potrebbe dare ai pazienti prospettive terapeutiche e gestionali migliori. Questo e' proprio quello di cui si sta occupando la facoltà di Scienze del Farmaco di Bari, con l' equipe diretta dal professor Nicola Colabufo, e quella diretta dal Prof. Logroscino della Facoltà di Neurologia dell’Università di Bari. IL PERCORSO DELLA MALATTIA Giorno dopo giorno si vanno perdendo capacità. Si cerca di mascherare, all’inizio, poi ci si ritira in se stessi, per paura di sbagliare, di non saper fare, di non riuscire a fare, cadendo molte volte in una depressione che peggiora il quadro mentale già alterato. Anche il familiare può passare dall’iniziale non accettazione della malattia, al rifiuto della stessa, fino a una cupa rassegnazione. In questo senso l’Alzheimer è una malattia della famiglia, una vera e propria emergenza sociale. Il malato finisce per essere spettatore del suo deterioramento mentale e conseguente regressione, alternando periodi di maggiore o minore gravità, necessitando sin dall’inizio di assistenza continua e specializzata. DOVE CURARE IL NOSTRO MALATO Il luogo migliore per la cura del malato di Alzheimer, a detta dei familiari intervistati, è la propria casa, che sostiene i pochi punti di riferimento conservati dal paziente. Auspicabile sarebbe un Servizio Domiciliare che garantisca continuità nell’assistenza al malato. Vi sono anche i Café Alzheimer, i Meeting Center Alzheimer e i Centri Diurni dedicati, dove un ammalato di livello lieve-moderato può fare esercizi di riabilitazione cognitiva per mantenere le residue capacità e rallentarne la perdita, mentre (nel Café e Meeting Center ) il familiare scambia esperienze con altri care-givers, chiede e dà consigli utili per la gestione quotidiana dei problemi
legati alla malattia, con la presenza di psicologi ed educatori. Nel percorso della malattia si manifestano a volte disturbi comportamentali con aggressività, alterazioni del rapporto sonno/veglia, affaccendamento continuo con girovagare senza meta, anche deliri e allucinazioni che hanno un impatto devastante su chi assiste. Tali problematiche, quando compaiono, rendono spesso necessaria l’istituzionalizzazione presso strutture residenziali (RSA: Residenze Sanitarie Assistenziali e RSSA: Residenze Socio-Sanitarie Assistenziali) possibilmente con il cosiddetto Nucleo Alzheimer, per assicurare adeguata e specialistica professionalità. È il momento della resa da parte dei familiari che non riescono più a sopportare il peso della assistenza senza rimetterci in salute. TERAPIA FARMACOLOGICA Allo stato attuale sembra che i farmaci non riescano a modificare la storia della malattia, o possano solo rallentarne il decorso. Così come le terapie sintomatiche (ansiolitici, ipnoinduttori, tranquillanti) che riducono le alterazioni comportamentali. Sono allo studio un vaccino specifico, l’utilizzo di cellule staminali, l’ingegneria genetica e l’utilizzo di nanoparticelle.
ciazione Alzheimer Non lasciare le famiglie da sole! Le Associazioni che si occupano dell'Alzheimer sono un primo passo verso la creazione di una rete socio-assistenziale per i malati e le loro famiglie che spesso si ritrovano da sole a dover gestire il carico di un’assistenza sfibrante, anche perchè i piani socio-sanitari non hanno ancora preso atto della necessità di un’inversione di rotta dal "curare" al "prendersi cura". Oggi in Italia 8 famiglie su 10 si fanno carico dei costi dell’assistenza al paziente (61mila euro tra costi diretti e indiretti) che viene spesso curato a casa, poichè i servizi assistenziali e sanitari per questo tipo di patologie sono molto scarsi soprattutto per la fascia di popolazione medio-bassa che non può accedere ai servizi privati. *
Un ringraziamento particolare, per la gentile collaborazione, alla dott.ssa Katia Pinto (Psicologa, specializzata in Analisi e Modificazioni del Comportamento – Formata in Valutazioni Neuropsicologia delle Demenze),Vicepresidente Nazionale dell’Associazione Alzheimer Italiana e Vicepresidente Associazione Alzheimer di Bari.
TERAPIA NON FARMACOLOGICA La terapia non farmacologica è finalizzata a conservare il più elevato livello di autonomia mediante tecniche con lo scopo di controllare i disturbi del comportamento, rallentare il declino cognitivo e funzionale, e compensare le disabilità. Ruolo della Asso-
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L’immigrazione in Italia
I NUMERI della
VERGOGNA T
ra i 23 centri per l'immigrazione censiti dal Ministero dell’Interno, dove i cittadini stranieri entrati in modo irregolare in Italia dovrebbero essere accolti per ricevere assistenza, venire identificati e trattenuti in vista dell'espulsione oppure, nel caso di richiedenti protezione internazionale, sottoposti alle procedure di accertamento dei relativi requisiti, i centri di accoglienza e per richiedenti asilo (Cda e Cara) sul territorio sono: Gradisca d’Isonzo (Gorizia), Arcevia (Ancona), Castelnuovo di Porto (Roma), Borgo Mezzanone (Foggia), Palese (Bari), Restinco (Brindisi), Don Tonino Bello (Lecce), Loc. S. Anna (Crotone), Mineo (Catania), Pozzallo (Ragusa), Contrada Pian del Lago (Caltanissetta), Lampedusa (Agrigento), Salina Grande (Trapani), e Elmas (Cagliari). Nei primi 8 mesi del 2016 sono arrivati in Italia 120mila immigrati, mentre ad agosto 2015 erano 116mila. Attualmente sono ospitati nelle varie strutture circa 265mila migranti. Nel canale di Sicilia si registrano l’85% di tutte le morti in mare; 1 morto ogni 276 migranti nel 2015; 1 ogni 85 nel 2016. Secondo il Viminale soltanto il
5% dei richiedenti ottiene lo status di rifugiato e solo il 13% ottiene un permesso di soggiorno temporaneo, mentre il restante 82% risulta irregolare, passibile d’espulsione. Estrapoliamo dall’articolo di Fabrizio Gatti, Sette giorni all’inferno, su L’Espresso del 11 settembre 2016, i numeri che danno la dimensione delle condizioni dei richiedenti asilo “ospitati” nel Cara di Borgo Mezzanone (Foggia). Ospiti dichiarati nel contratto d’appalto: 636, ma sicuramente più di 1000, e contando gli abusivi, forse 1500. Euro al giorno incassati dai gestori per ogni richiedente asilo: 22. Euro ogni 24 ore incassati dai gestori del Cara di Foggia: 14.000. Incasso in 3 anni di appalto: oltre 15 milioni più eventuali compensi straordinari. Varchi nella recinzione del Cara di Foggia: 4 dove chiunque può passare. Prezzo dei babbaluci, le lumache aggrappate agli arbusti attorno al Cara di Foggia, raccolte e rivendute da alcuni richiedenti asilo al mercato di Foggia:
3 Euro al Kg. Prezzo incassato dai caporali nigeriani per il trasporto con i camion dei braccianti ai campi di ortaggi e pomodori: 5 Euro a passeggero. Paga giornaliera per i braccianti prelevati all’interno del Cara: 15 Euro, anziché 25 perché i padroni foggiani decurtano il corrispondente di vitto e alloggio. Età media ospiti del Cara di Foggia: 25. Presenza femminile: minoritaria, non si sa se ospiti o abusive, soggetta allo sfruttamento della prostituzione. Uscite di sicurezza nei dormitori dell’ex Cie: 0. Maniglioni antipanico: 0; porte che si aprono verso l’interno. Cestini per i rifiuti: 0. Impegno dei gestori a spiegare, insegnare, preparare i richiedenti asilo a quello che sarà: 0. Base d’asta per l’appalto del Cara: Euro 20.892.600, corrispondenti a 30 Euro al giorno procapite. Aggiudicante la gare, il consorzio Sisifo di Palermo, per: 22 Euro al giorno procapite. In caso di emergenze richieste dal Ministero dell’Iterno, rimangono i: 30 Euro al giorno procapite. Secondo quanto riportato da Gatti nel suo servizio la crescita del fatturato della coop. Cattolica “Senis Hospes” che per conto di Sisifo gestisce Borgo Mezzanone: 400% in due anni, dai 3 milioni del 2012 a 15,2 milioni del 2014. Dipendenti dichiarati: 109 nel 2014, 518 nel 2016.
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L’immigrazione in Italia
IL CARA DI FOGGIA...
...la non accoglienza
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l reportage di Fabrizio Gatti, giornalista de L’Espresso, pubblicato l’11 settembre 2016, fintosi clandestino, sotto lo pseudonimo di Steve Biko, l’eroe sudafricano della lotta contro l’apartheid, e intrufolatosi all’interno del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Borgo Mezzanone Manfredonia (Foggia), il terzo per dimensioni in Italia, ha subito allarmato il Ministero dell’Interno che non solo ha fatto partire una inchiesta, ma anche un programma di interventi strutturali per la realizzazione di una nuova rete di recinzione, di una strada perimetrale interna, di un sistema integrato di video sorveglianza e anti-intrusione e di un nuovo corpo di guardia, nonché il potenziamento dell'impianto di illuminazione esterna al Centro. Ad annunciarlo è lo stesso ministro dell'Interno, Angelino Alfano.
Sulla struttura, definita da Gatti «ghetto di Stato», sono state disposte verifiche e in passato erano già state rilevate criticità che, ricorda Alfano (cit. Ansa.it), «avevano indotto la Prefettura di Foggia a chiedere al gestore del Centro un potenziamento del personale e dei servizi di gestione». «Ho istituito una task force - ha aggiunto Alfano - per un check up straordinario di tutte le strutture di accoglienza sul territorio. Al termine informerò il Cdm sulle proposte di una riorganizzazione del sistema». Le contromisure proposte dal Ministero dell’Interno corrispondono in maniera puntuale alla denuncia del giornalista de L’Espresso che ha convissuto una settimana, da lunedì 15 a domenica 21 agosto scorsi, con forse 1500, ma di certo più di «mille esseri umani
tenuti come bestie. E, per ciascuno, le Coop prendono 22 euro al giorno». Riprendiamo questo reportage de L’Espresso perché svela una volta di più che quello degli immigrati è, per molti, un grande un businnes redditizio per alcuni. Noi siamo del parere che l’accoglienza vada assolutamente dissociata da queste vergognose speculazioni. Non vorremmo più leggere di «decine di persone, scrive Gatti – ammassate come stracci su tranci di gommapiuma. Niente lenzuola, a volte solo un asciugamano fradicio di sudore sotto le coperte di lana. Nemmeno un armadietto hanno messo a disposizione: ciabatte e scarpe sono sparse sul pavimento, i vestiti di ricambio dentro sacchetti di carta. Rischio di calpestare una serpentina incandescente, collegata alla presa elettrica da due fili volanti. Qualcuno sta preparando la colazione per poi andare a lavorare nei campi. Cucinano per terra. Se scoppia un incendio, è una strage». Fabrizio Gatti fa nomi e cognomi, di destra e di sinistra, di chi sta dietro questo businnes che incassano dal governo una fortuna: ventidue euro al giorno a persona, quattordicimila euro ogni ventiquattro ore, oltre quindici milioni d’appalto in tre anni. Più eventuali compensi straordinari, secondo le emergenze del momento». Anche il circondario del Cara, un aereoporto militare dismesso, al quale si può accedere da quattro buchi nella recinzione, è descritto da Gatti come una «baraccopoli abitata da quanti negli anni sono usciti dal centro d’accoglienza, con o
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senza permesso di soggiorno. Una stratificazione di sbarchi dal Mediterraneo e di sfruttamento da parte dei famosi “caporali” che fanno gli interessi loro e degli agricoltori foggiani». Una baraccopoli di fantasmi in mano per metà alla mafia nigeriana che vi ha «aperto bar, due ristoranti, una discoteca che con la musica assorda ogni notte il riposo dei braccianti». Degli afghani controllano l’altra metà, vi «hanno allestito un negozio che vende di tutto e una misteriosa moschea». Il Cara è diviso in due settori, il primo «è composto da diciotto moduli prefabbricati. Quattro abitazioni per modulo. Ogni abitazione ha tre stanzette: due metri per due, una finestra, lo spazio per due brande, raramente quattro a castello. Ciascun modulo ospita così tra le 24 e le 48 persone. Oppure, per dirla brutalmente, rende ai gestori tra i 528 e i 1.056 euro al giorno». Un campetto di calcio, un capannone con la mensa, la moschea e tre camerate; un capannone dormitorio; una dozzina di casupole con «sei rubinetti ciascuno, sei turche, sei docce malridotte, alcune con l’acqua calda». «Il secondo settore è invece rinchiuso dietro cancellate alte cinque metri: due fabbricati illuminati a giorno sotto un’altra schiera di telecamere. È il vecchio Cie per le espulsioni, una prigione. Lo usano per l’accoglienza. I rapporti sulle visite ufficiali sostengono che il secondo settore sia la parte dove si sta meglio. Oltre non bisogna andare. Lì vigila, si fa per dire, il personale di guardia». «Quanti attraversano il Sahara e il mare – scrive ancora Gatti – per sfuggire alla povertà meritano totale rispetto. Ma il diritto internazionale protegge soltanto chi scappa da dittature e guerre, come accade per eritrei, somali e maliani che dormono nei due grandi capannoni».
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L’immigrazione in Italia
I PROFUGHI IN VALSUGANA
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ono 107 i profughi attualmente ospitati in Valsugana. Sono stati accolti da 8 comuni della zona, quattro dell'Alta ed altrettanti della Bassa. Rappresentano l'8,4% di tutti i migranti (sono 1.277) oggi presenti nei 39 dei 178 comuni trentini che ne sono fatti carico. Da oltre un anno la Provincia sta lavorando per chiedere all'intera comunità di farsi carico dell'accoglienza dei migranti. Ma, oggi come oggi, la situazione non è equamente suddivisa in tutto il Trentino. Il compito dell'assessore provinciale Luca Zeni non è facile. Ma, in questo momento di vera emergenza, sarebbe bene che tutti i comuni, ognuno per le sue possibilità, si facesse carico. Ma oggi, in Trentino come in Valsugana, ci sono comuni che non accolgono neppure un migrante. Nei 18 comuni della Bassa Valsugana e Tesino oggi sono presenti 40 profughi, solo Borgo, Novaledo, Telve e Castel Ivano hanno fatto la loro parte. Gli altri 14, per il momento, hanno risposto picche all'invito della giunta provinciale. Gli altri 67 rifugiati sono ospiti in strutture pubbliche o private presenti a Levico, Pergine, Bedollo e Baselga di Pinè. Nessun rifugiato, a tutt'oggi, risulta risiedere nel comune dell'Altopiano della Vigolana, a Calceranica al Lago, Caldonazzo, Civezzano, Fierozzo, Fornace, Frassilongo, Palù del Fersina, Sant'Orsola Terme, Tenna e Vignola Falesina. Secondo l'Anci (Associazione nazionale dei Comuni) ci dovrebbe essere una suddivisione, comune per comune, con una media di 2,5 profughi ogni mille abitanti. In Alta Valsugana sono 28 i profughi ospitati a Baselga di Pinè, 8 a Bedollo, 15 a Levico Terme e 18 a Per-
gine Valsugana. Per quanto riguarda la Bassa Valsugana, a Borgo ne sono ospitati 18, altri 6 a Castel Ivano, altrettanti a Telve e 12 risiedono nel comune di Novaledo. In Trentino il peso maggiore lo ha Trento, che con 612 presenze, ospita quasi più del doppio dei profughi che dovrebbero essere assegnati al capoluogo; e lo stesso vale per Rovereto, con 275 profughi contro 109 (secondo il calcolo su 1.500 arrivi). Ma ci sono anche Comuni più piccoli che stanno dando di più - come Baselga di Piné o Sella Giudicarie – e intere valli che hanno scaricato il problema ad altri, come la Val di Sole, la Val di Fassa, l'altopiano della Paganella, gli Altipiani Cimbri, la Piana Rotaliana. Molti amministratori si giustificano per il fatto che si tratta di zone turistiche e la presenza di profughi viene ritenuta incompatibile. Però ci sono anche paesi grandi come Mezzolombardo, Mezzocorona, che non hanno questo problema ma non c'è l'ombra di un profugo, così come a Cles. Quelli che abbiamo riportato finora sono i dati ufficiali sulla distribuzione dei profughi nei comuni trentini. La situazione, però, sembra destinata a mutare nel giro di pochi mesi. Infatti, da Roma, è già stata prospettata la necessità di aumentare le quote
di Alessandro Dalledonne
per ospitare in Provincia un numero maggiore di profughi. Si parla di arrivare fino a 1.500 o, addirittura, fino a 2.000 persone. In questo caso anche i comuni, dove finora non c'è l'ombra di nessun profugo, dovranno venire a più miti consigli. Ma cosa succederà se si dovessero ospitare fino a 2.000 profughi? Ecco le quote assegnate ai 33 comuni dell'Alta e Bassa Valsugana: 6 ad Albiano, 19 a Baselga di Pinè, 6 a Bedollo, 2 a Bieno, 26 a Borgo Valsugana, 5 a Calceranica al Lago, 13 a Caldonazzo, 2 a Carzano, 12 a Castel Ivano, 4 a Castello Tesino, 4 a Castelnuovo, 1 a Cinte Tesino, 15 a Civezzano, 2 a Fierozzo, 5 a Fornace, 1 a Frassilongo, 8 a Grigno, 29 a Levico, 4 a Novaledo, 4 a Ospedaletto, 1 a Palù del Fersina, 79 a Pergine Valsugana, 2 a Pieve Tesino, 11 a Roncegno Terme, 2 a Ronchi Valsugana, 4 a Sant'Orsola Terme, 2 a Samone, 5 a Scurelle, 8 a Telve, 2 a Telve di Sopra, 4 a Tenna, 3 a Torcegno e 1 a Vignola Falesina.
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La stradasi apre colperdono
di Franco Zadra
Claudia Francardi e Irene Sisi sono due donne divise da una tragedia. L’una è la vedova del carabiniere ucciso vicino al rave party di Sorano il 25 aprile 2011, l’appuntato scelto Antonio Santarelli. L’altra è la mamma del ragazzo che l’ha ucciso, Matteo Gorelli, 22 anni, condannato a venti anni per l’omicidio. Dovrebbero, o potrebbero, odiarsi e invece sono diventate amiche.
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na amicizia che è diventata anche una associazione, incredibilmente nata sull’orlo dell’abisso nero che si è spalancato sotto i loro piedi quella notte che due carabinieri, fermano la macchina guidata da Matteo, unico maggiorenne di quattro ragazzi un po’ fuori. Il test alle sostanze risulta positivo, il ritiro della patente, la rabbia feroce e selvaggia che si scatena contro i due appuntati. Il primo, Domenico Marino, a suon di sprangate e calci perde un occhio. L’altro entra in coma farmacologico e a un anno da quella terribile tragedia, l’11 maggio del 2012, muore. Sapere il motivo per cui queste due donne sono tante volte insieme non può che straziare e aprire il cuore nello stesso istante. A unirle non è stata la scelta inconsapevole, legata alla depressione che le ha coinvolte nella tragedia. Il loro è, come lo chiamano le due protagoniste, «un percorso di riconciliazione», il dolore che super l’odio e la rassegnazione. E diventa una strada nuova che si apre, una ripartenza, una nuova speranza. Quale? Quella del recupero di Matteo che nella comunità di don Antonio Mazzi a Milano, dove era fino a cinque mesi fa, si è iscritto alla facoltà di Scienze dell’Educazione maturando il desiderio di diventare educatore nelle carceri. Ma è nata anche una Associazione, “Ami Caino
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e Abele”, per cercare di aiutare tante altre persone vittime di violenza, con la particolarità, forse unica in Italia, di stare sia dalla parte di chi la subisce, che di chi, invece, l’ha messa in pratica. «Guardare al reo innanzitutto come persona, – dice Irene – è questo che cerchiamo di imparare e prima di tutto abbiamo iniziato a imparare l’una dall’altra. Una persona che non è solo il reato che ha commesso, ma molto, moltissimo di più, tanto di più che nemmeno lui lo sa». Chiamare tuo figlio “assassino” fa male soprattutto a te. «All’inizio il senso di colpa – dice ancora Irena – e l’auto accusa di aver sbagliato tutto, come genitore, mi faceva sentire totalmente inadeguata, depressa. Poi un sacerdote che seguiva Matteo nella comunità di don Mazzi, mi aiutò a cercare una strada per incontrare Claudia, e scrissi una lettera dalla quale è cominciato tutto». Che cosa è cambiato? «Amo mio figlio, gli ho sempre voluto bene. Non è stato impossibile perdonarlo. Ma un percorso di riconciliazione significa soprattutto trovare la strada per perdonarsi, per perdonare se stessi». Sembra che la fede aiuti molto in questo. «Non parlo mai di fede con le persone che si avvicinano all’associazione. Credo che per ritrovare la pace e fare i conti con se stessi occorra di base saper co-
gliere la differenza tra bene e male, sapersi ascoltare». E il senso di colpa? «Occorre superare il senso di colpa, ma anche quello è utile. Uno spillino nel cuore che non ti permette mai di essere sicura al cento per cento. Una specie di post-it nell’anima per non dimenticare la fatica di crescere nell’amore, anche se è un amore che ha generato dolore». «Quando don Enzo mi portò la lettera di Irene – dice Claudia – ho subito voluto incontrarla per quel segnale di grande umiltà e vicinanza. Antonio era in coma e Irene venne a fargli visita insieme a me. Poi siamo andate insieme a visitare Matteo e, in treno, chiacchieravamo molto. Un giorno, sedute in una spiaggia, ci siamo aperte il cuore e siamo diventate amiche».
Chi era Antonio? «Antonio amava tantissimo il suo lavoro, era una persona brillante e gli piaceva stare con i giovani, avendo un figlio adolescente. E dai ragazzi era ricambiato. Non è per caso che si trovasse in servizio a quel rave party». Che cosa intendete fare con la vostra associazione? «Abbiamo cominciato a girare l’Italia, le scuole, in incontri che avevano lo scopo di divulgare la cultura del perdono. Testimonianze che però pensiamo di smettere perché in qualche modo rinnovano il dolore. Ora abbiamo in cantiere un progetto di inserimento lavorativo per i carcerati che possa in qualche modo metterli nelle condizioni economiche di risarcire le vittime. Perché il recupero vero comincia quando vittima e assassino si avvicinano, si parlano, si riconciliano. Quindi ci proponiamo come mediatori con le aziende che possano garantire uno stipendio adeguato. Le più accessibili sono le Cooperative, ma la retribuzione è piuttosto bassa».
FRANCESCO E IL PERDONO
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Il Signore mai si stanca di perdonare: mai! Siamo noi che ci stanchiamo di chiedergli perdono. E chiediamo la grazia di non stancarci di chiedere perdono, perché Lui mai si stanca di perdonare». È papa Francesco a dire queste parole sul perdono. Parole che colpiscono il cuore e mettono in primo piano la misericordia di Dio senza la quale il mondo si raffredda e i nostri cuori intristiscono. Una riflessione che per Francesco è il cuore della vita cristiana, tanto che ne ha fatto il suo motto episcopale: «Miserando atque eligendo», rifacendosi all’episodio evangelico della vocazione di San Matteo, un peccatore che Gesù «guardò con sentimento di amore e lo scelse». Il perdono per papa Francesco sta tutto in questo sguardo di misericordia: sentirsi guardati con misericordia da Dio per poter guardare con misericordia ai fratelli.
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BULLISMO scuola
di Luisa Bortolotti
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Bullismo” è la traduzione dell'inglese "bullying", che indica un insieme di comportamenti in cui qualcuno ripetutamente fa o dice cose per avere potere su un'altra persona o per dominarla. Include sia i comportamenti del "persecutore" che quelli della "vittima", ponendo al centro dell'attenzione la relazione nel suo insieme. Dalle varie indagini effettuate nelle scuole italiane emerge che: molti sono gli alunni coinvolti in modo significativo; quelli che sono coinvolti in modo continuativo nelle prepotenze vivono male la vita scolastica; le prepotenze avvengono in tutti i luoghi ed i momenti in cui è ridotta la presenza di adulti che sorvegliano (in classe nei cambi di ora, in palestra, nei bagni, nei piazzali dove si trascorrono gli intervalli tra le lezioni, sui mezzi di
trasporto, ecc,); i maschi sono tendenzialmente più coinvolti delle femmine nel ruolo di prepotente; le prepotenze dei maschi sono spesso di tipo fisico, quelle delle femmine di tipo psico-relazionale; con il crescere dell'età i bambini ed i ragazzi raccontano sempre meno agli adulti ciò che accade loro; i genitori sono le figure adulte a cui i ragazzi raccontano maggiormente le prepotenze subite. Fermare il bullismo è necessario: dovremmo considerarlo come un fenomeno che riguarda tutti e di cui tutti sono in qualche modo responsabili, sicuramente nel fare o non fare qualcosa per ridurlo. Nelle scuole per ridurre il bullismo la prima cosa da fare è decidere di occuparsi del problema, discuterne per favorire un clima più sicuro per tutti ed in cui si possa parlare di ciò che succede, aiutare i bambini ed i ragazzi a trovare la forza di raccontare, creando un ambiente in cui raccontare le prepotenze non venga più considerato un tradimento verso i compagni, ma sia la manifestazione del desiderio e del diritto di migliorare la propria vita. Alla fase di sensibilizzazione dovrebbe seguire una fase di intervento con attività mirate: sono stati sviluppati vari approcci, alcuni dei quali privilegiano l'aiuto tra coetanei, altri la discussione quotidiana con gli alunni, altri ancora un approccio non pu-
nitivo ai prepotenti, ecc.. I consigli dovrebbero essere differenziati per gli alunni che agiscono le prepotenze, per quelli che le subiscono, ed infine per coloro (circa i due terzi del totale) che solo "stanno a guardare”. A chi subisce prepotenze si consiglia prima di tutto di non attribuirsene le colpe e di pensare che in realtà chi ha comportamenti inadeguati sono i prepotenti e non coloro che subiscono. Ci si difende anzitutto raccontando alle persone che ci stanno vicino ciò che succede, sapendo che chi ci può essere di maggiore aiuto sono gli adulti: chi subisce spesso non racconta, tiene tutto dentro di sé sia perché si sente inadeguato sia perché teme ripercussioni negative da parte dei "persecutori”. A chi fa prepotenze si consiglia di immaginare che ci sono tanti altri modi per affrontare i conflitti che portano a risultati migliori. Il “bullo” spesso si sente anche spalleggiato e sostenuto dai compagni: in realtà la popolarità dei prepotenti è spesso minore di quella che essi credono, in quanto spesso dai coetanei vengono più tollerati che veramente desiderati. La vera grande risorsa per la riduzione del bullismo è rappresentata dalla maggioranza degli alunni che non rivestono un ruolo preciso e che sono meno coinvolti nelle prepotenze, in quanto sono proprio loro che possono aiutare gli alunni coinvolti a modificare i loro comportamenti.
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Nascere in Tesino, per entrare nella storia
ALCIDE DE GASPERI
di Chiara Paoli
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Pieve Tesino ha sede il Museo Casa De Gasperi che ha restituito vitalità e riempito di significati quella che era la casa natale dello statista trentino. Questo luogo vuole essere un incubatore di idee e messaggi, trasmessi attraverso installazioni multimediali, portatori del messaggio umano, politico e spirituale, di un uomo che ha vissuto in prima persona un periodo storico di grandi cambiamenti. Alcide è il primogenito di Amedeo di Sardagna, maresciallo maggiore della gendarmeria locale tirolese, e di Maria Morandini, che avrebbe dato alla luce altri tre figli, due maschi e una femmina. Lo statista, di madrelingua italiana, conosceva perfettamente la lingua te-
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desca e dopo la formazione all'Imperial Regio Ginnasio superiore di Trento, si laurea in Filologia presso l'Università di Vienna. Fin da giovane prende parte ad attività politiche d'ispirazione cristiano-sociale e, terminati gli studi, entra a far parte della redazione del quotidiano Il Trentino divenendone in breve tempo il direttore. I suoi articoli sono un manifesto a difesa dell'autonomia culturale del Trentino, pur sotto l’egida dell'Impero austro-ungarico. In seguito alla repressione messa in atto dalle autorità asburgiche, muta il suo pensiero che si orienta verso il diritto all'autodeterminazione dei popoli; con l’annessione del Trentino all'Italia, prende la cittadinanza italiana ed entra a far parte del Partito Popolare Italiano promosso da don Luigi Sturzo. Nel 1922 sposa a Borgo Valsugana Francesca Romani, dalla cui unione nasceranno quattro figlie: Maria Romana, Lucia, Cecilia e Paola. Il 16 novembre 1922 vota per la fiducia al governo De Gasperi alla presidenza Mussolini, ma l’anno succesdell' A ssemblea ceca, 10 maggio 1954
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La famiglia De Gasperi sivo assieme al PPI cerca di trovare un compromesso alla legge Acerbo, voluta dal duce per assicurare al Partito Nazionale Fascista una solida maggioranza parlamentare. Il 20 maggio 1924 assume la segreteria del Partito popolare, ma a seguito della sua opposizione al fascismo viene arrestato alla stazione di Firenze l'11 marzo 1927. Scarcerato alla fine di luglio del 1928, è tenuto sotto controllo dalla polizia; segue un periodo di ristrettezza economica ed emarginazione. Nella primavera del 1929 viene assunto presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, i suoi articoli in questo periodo sostengono l’opinione della chiesa tedesca, in contrasto con le accuse di “scristianizzazione” mosse al Partito Socialdemocratico austriaco.
Museo Casa De Gasperi Durante il secondo conflitto mondiale, compone l’opuscolo intitolato “Le idee ricostruttive della Democrazia Cristiana”, diffuso clandestinamente sotto lo pseudonimo Demofilo il 26 luglio 1943, opera che diede avvio alla DC. Il 10 agosto 1946 interviene come ministro degli Esteri alla Conferenza di pace a Parigi, cui segue l'accordo De Gasperi-Gruber, per la tutela della minoranza di lingua tedesca in Alto Adige. Il 18 aprile 1948 la DC ottiene il 48% dei consensi, eleggendo De Gasperi quale primo Presidente del Consiglio dell'Italia repubblicana. Il suo impegno è concentrato sull'integrazione europea, con il sostegno alla fondazione della CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) e la firma del Trattato di Bruxelles che diede avvio
Maria Romana De Gasperi con il padre
all'Unione Europea. Nel 1952 per scongiurare l’affermarsi di posizioni marxiste, la Chiesa vorrebbe vedere la DC unita al Partito Nazionale Monarchico, ma De Gasperi rifiuta, fedele al suo spirito antifascista. Si dimette dalla carica di presidente del Consiglio nell'agosto del 1953, dopo il fallimento della legge elettorale, definita “truffa”. Nella sua amata casa in Val di Sella, dove ha trascorso i momenti più belli con la sua famiglia, esala l’ultimo respiro il 19 agosto del 1954. La salma, nel lungo viaggio in treno che la conduce a
Roma per i funerali di Stato, viene acclamata dalla popolazione. La tomba opera dello scultore Manzù trova collocazione nel porticato della Basilica di San Lorenzo fuori le mura.
(Per le foto si ringrazia la Fondazione Trentina Alcide De Gasperi)
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Accise: «Una Tantum?
No! Una Semper!»
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er l’Ufficio studi della CGIA (Associazione Artigiani Piccole Imprese) di Mestre, i conti della serva, sulla base dei consumi annui di carburante, per tirare le somme su quanti soldi ha riscosso lo Stato italiano con l’introduzione delle accise (Accisa, dal Latino Accidere: stare sopra) che avevano la finalità di finanziare la ricostruzione di 5 delle 7 aree devastate dal terremoto, è presto fatto. Sono 5 gli incrementi delle accise sui carburanti introdotti in questi ultimi 48 anni per recuperare le risorse da destinare alla ricostruzione delle zone colpite dal terremoto. Dal 1970 (primo anno in cui sono disponibili i dati sui consumi dei carburanti) al 2015 gli italiani hanno versato nelle casse dello Stato 145 miliardi di euro nominali (261 miliardi di euro, se attualizzati). Se teniamo conto che il Consiglio Nazionale degli Ingegneri stima in 70,4 miliardi di euro
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nominali (121,6 miliardi, se attualizzati) il costo complessivo resosi necessario per ricostruire tutte e 7 le aree fortemente danneggiate dal terremoto (Valle del Belice, Friuli, Irpinia, Marche/Umbria, Molise/Puglia, Abruzzo ed Emilia Romagna), possiamo dire che in quasi 50 anni in entrambi i casi (sia in termini nominali sia con valori attualizzati) abbiamo versato più del doppio rispetto alle spese sostenute. Solo i più recenti, ovvero i sismi dell’Aquila e dell’Emilia Romagna, presentano dei costi nettamente superiori a quanto fino ad ora è stato incassato con l’applicazione delle rispettive accise. Un dato di fatto, un numero che parla, o almeno, che dovrebbe mettere qualche pulce nelle orecchie degli italiani. Se si sono raccolti il doppio dei soldi che si sono spesi per le finalità di quelle raccolte, allora, forse, l’altra metà dei soldi è andata da altre parti. Dove?
Forse per mettere in sicurezza le zone ad alto rischio sismico? La tragedia del Centro Italia dell’ultimissimo terremoto pare dire di cercare altrove la risposta. Ma il sospetto di una colossale truffa legata alle accise fa parte ormai della storia italica e, governo dopo governo, nessuno escluso, pare che l’ottundimento del popolo rispetto a tale questione squisitamente fiscale rimanga a livelli oltremodo preoccupanti. Tante promesse, ma nessuna protesta, nessuna indignazione per un prelievo fiscale che arriva al 30 % del gettito complessivo, giustificato in maniera tanto approssimativa e poco trasparente che fa pensare conti soprattutto sulla smemoratezza tipica di un popolo “pantalone”. Era il 1935 quando fu introdotta un’accisa sui carburanti per finanziare la guerra in Etiopia. Ci si crederebbe? La stiamo ancora pagando! E il finanziamento per la crisi di Suez? Il disastro del Vajont? L’alluvione di Firenze? Il contratto 2004 degli autoferrotranvieri? - solo per elencane alcune di quelle che pesano tuttavia sul prezzo del carburante. - Sono tra le una tantum perpetue che fanno parte della nostra storia e gravano sul nostro presente. Era il 1982 e la regione Calabria, che ha una estensione di foreste pari a 6.500 km quadrati circa, non aveva i soldi per pagare i suoi 27.500 lavoratori forestali, (altra cosa tipicamente italiana, se si pensa che il Canada con 400.000 km quadrati di foreste, ha un corpo forestale - Rangers - che conta, circa, 4.200 addetti), e chiese 100 miliardi allo Stato. Occorre dirlo? Una Tantum!
ELENCO DELLE ACCISE SUI CARBURANTI AL 2016 • • • • • • • • • • • • • • • •
0,000981 0,00723 0,00516 0,00516 0,00516 0,0511 0,0387 0,106 0,0114 0,02 0,005 0,0071 0,04 0,0089 0,082 0,02
€ € € € € € € € € € € € € € € €
per il finanziamento della guerra di Etiopia del 1935-1936; per il finanziamento della crisi di Suez del 1956; per il finanziamento del disastro del Vajont del 1963; per il finanziamento dell’alluvione di Firenze del 1966; per il finanziamento del terremoto del Belice del 1968; per il finanziamento del terremoto del Friuli del 1976; per il finanziamento del terremoto dell’Irpinia del 1980; per il finanziamento della guerra del Libano del 1983; per il finanziamento della missione in Bosnia del 1996; per il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004. per l’acquisto di autobus ecologici nel 2005; per il finanziamento alla cultura nel 2011; per far fronte all’emergenza immigrati dovuta alla crisi libica del 2011; per far fronte all’alluvione che ha colpito la Liguria e la Toscana nel novembre 2011; per il decreto “Salva Italia” nel dicembre 2011. finanziamento post terremoti dell’Emilia del 2012.
Sommando il fatto che alle Regioni è concesso applicare ulteriori accise, è ancora da imputare l’imposta di fabbricazione sui carburanti e va inoltre applicata l’IVA si arriva a un importo totale di 85 centesimi per ogni litro di benzina acquistato.
Il 23 maggio 2014, il nostro presidente del consiglio Matteo Renzi aveva dichiarato tutte le vecchie accise, specialmente quelle più ridicole, sarebbero state eliminate ridicole. Eppure a oggi, le accise sono ancora lì e incidono per oltre il 50% sul prezzo della benzina.
Certo, si può anche essere può essere d’accordo sul fatto di stanziare alcune accise per le calamità naturali degli ultimi anni ma farci ancora finanziare le guerre del 1935 o crisi del 1956 non vi sembra una cosa da fantascienza??
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Sessualità e brivido tra leggerezza e ricerca
I TRADIMENTI
di Patrizia Rapposselli
Marcel Proust disse che è la nostra immaginazione la causa dell’amore e non dell’altra persona. Il brivido erotico è tale se il bacio che stai soltanto immaginando di dare può essere forte e seducente come ore passate a fare l’amore.
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elazione segreta, legame emotivo di varia misura e alchimia sessuale, sono le tre parole chiave racchiuse nella definizione di avventura. Scappatella di una notte o avventura nel tempo, storia di sesso o storia d’amore? Ogni caso da includere nella scia dell’infedeltà che nelle sue molteplici faccettature si confina nel fenomeno sociale: dalla nascita della società ad oggi non poco si è divertita con la sua tenacia. Si parla di tradimento poiché nell’ attualità si presenta come normalità, le cifre variano dal 26% al 75% di tradimenti nella nostra Italia. Un evento che va via via ad espandersi e le cui cause non sembrano ancora essere chiare, ritengo variano da caso a caso. La componente psicologica, biologica e sociale come per ogni comportamento hanno la loro valenza nel complesso; non esiste una chiave di lettura univoca a riguardo, come non esiste una definizione universalmente riconosciuta d’infedeltà. Concetto che si espande come macchia d’olio nello scenario della quotidianità: sexting, guardare porno, essere attivi segretamente nelle app di appuntamenti, condividere intimità con altri all’infuori del proprio partner e lascerei un eccetera in grassetto. Infatti nel 2016 i modi per tradire o da considerarsi tradimento vedono
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l’allargarsi delle vedute e lo fanno rientrare nel cosiddetto fenomeno sociale, consapevoli che l’infedeltà e l’adulterio esistono da che è stato inventato il matrimonio, ed anche il tabù che lo riguarda. Restringendo il campo e legando il concetto d’infedeltà ad avventura mi soffermerei a riflettere sull’idea del mettere in gioco ogni certezza che in questa società incerta vacilla su più fronti, anche su quello relazionale. Cos’è la stabilità di coppia? Esiste un legame duraturo e cosa spinge all’infedeltà? Parlerei di società della leggerezza e della ricerca di ciò che manca. Dico ciò in base a dei dati di ricerca rilevati, secondo i quali l’ottanta percento dei tradimenti vengono scoperti e nel settanta percento dei casi le coppie ufficiali sopravvivono all’intrusione di una terza persona a causa di quella che viene chiamata dipendenza affettiva. L’ideale romantico moderno vede il rivolgere a una persona una lista di bisogni da soddisfare e se questo manca vediamo il riempire il vuoto altrove, una ricerca continua di stimoli e di fattori culturali religiosi storici instabili. Il sociologo Baumann definisce l’amore “un prestito ipotecario fatto su un futuro incerto e imperscrutabile”; infatti l’infedeltà
in amore appare sempre più incontestabile spesso dai media, oggi si tradisce molto più che in passato. L’evitamento dei conflitti o disaccordi, l’insoddisfazione nella vita sessuale, l’assenza di confini che preservino la coppia da influenze esterne, tutte cause di un terreno fertile al tradimento e ciò sembra pervadere nell’evoluzione della società moderna. Società che insegna la leggerezza nel costruire e nel distruggere, l’incertezza dei suoi valori che stia condizionando i rapporti relazionali? Waldinger dice che i geni non funzionano senza ambiente. Siamo lontani dall’estetismo dannunziano, dal culto della bellezza, alla vita vissuta come opera d’arte, alla sessualità e il sottile erotismo, la leggerezza fa da padrona.
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I BAMBINI
ANSIOSI di Erica Zanghellini
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on è facile essere i genitori di un bambino ansioso, ci si interroga sull'origine di tale difficoltà, ci si chiede come poterlo aiutare ed alcune volte non riuscendo ad individuare il motivo scatenante entra l'adulto stesso in panico oppure in un circolo di frustrazione e stress. E' utile però fare una premessa, qualsiasi bambino prova ansia e paura nel corso della sua vita; non dobbiamo spaventarci, fa parte del normale sviluppo e non c'è nulla di patologico. La paura del buio, dei mostri, dei ladri, della separazione con i genitori solo per nominarne alcune sono tappe, che ogni minore attraversa per “diventare grande” e in cui si può manifestare uno stato ansioso. Il problema vero e proprio, nasce quando non sono “mo-
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menti transitori”, ma diventa un tratto stabile; un blocco vero e proprio che provoca limitazioni e/o evitamento di specifiche attività. L'ansia è una reazione naturale, innata e necessaria per la nostra sopravvivenza. Se cerchiamo di descriverla, a livello di manifestazioni riscontriamo una serie di comportamenti/sintomi soggettivi e oggettivi che la caratterizzano. Si può passare dal semplice stato di vigilanza a modificazioni vere e proprie a livello di irrequietezza; a livello di risposte fisiologiche ritroviamo tremore, sudorazione ecc.. mentre a livello cognitivo, riscontriamo stili di pensieri pessimisti e catastrofici, aspettandoci sempre il peggio ma, soprattutto un efferata autocritica. A completare il quadro si possono evidenziare delle
emozioni secondarie, cioè derivate dagli stati ansiosi. Non è insolito infatti, vedere bambini in preda a scoppi di rabbia, aggressività o opposizione e provocazione come conseguenza di una stato di agitazione o nel tentativo di evitare la situazione che loro trovano ingestibile. Insomma, questa emozione comporta l'attivazione sia di componenti fisiche sia mentali e si verifica o in versione acuta nella quale si viene travolti dall'ansia oppure in modalità generalizzata, in cui l'intensità è meno forte ma, in cui il tempo di sperimentazione è praticamente una costante. Una cosa importante da tener presente, è una difficoltà in alcuni casi di differenziare manifestazioni ansiose, da quelle invece derivanti da altre emozione, come per esempio la paura, che
può essere anch'essa eccessiva o comunque non appropriata dal punto di vista evolutivo. In tutti e due i casi ci sentiamo incerti rispetto la nostra tranquillità o al nostro benessere ed in agsperimentiamo delle giunta manifestazioni simili. Risulta allora importante, intervenire anche con l'aiuto di un professionista, dove necessario, soprattutto nel momento in cui si rilevi un impedimento massivo e costante da parte del proprio figlio, nel godersi le normali esperienze di vita quotidiana. Cercare di capire il circolo vizioso emotivo che glielo impedisce sarà il passo successivo. Ricordiamoci che per alcuni bambini è difficile provare e gestire queste emozioni, si verificano delle vere e proprie distorsioni a livello cognitivo di come percepiscono la situazione e il significato che attribuiscono agli eventi. Il risultato è una qualità di vita precaria e scadente che non gli permetterà di essere soddisfatti e tranquilli. A livello terapeutico sono proprio due obiettivi da perseguire con priorità, perché solamente mettendo a fuoco questi “errori di valutazione” e sostituendoli invece, con pensieri funzionali che il minore potrà ridurre o eliminare l'ansia. Da non sottovalutare il pericolo di somatizzazioni, mal di stomaco, stanchezza, problemi col sonno o con l'alimentazione, solo per citarne alcuni, possono essere la conseguenza di costanti stimoli ansiogeni. Ma vediamo ora che cosa possono fare i genitori per aiutare il proprio figlio? • Essere presenti fisicamente ma anche affettivamente. Aprire un canale di comunicazione dove il bambino possa elaborare con noi quanto successo durante la giornata e soprattutto le emozioni provate in modo da potenziare la gestione di tale disposizione emotiva. Tenete in considerazione il fatto che spesso i bambini negano il loro stato emotivo e cercano di trovare varie scuse per giustificare i loro comportamenti. Spieghiamogli che provare ansia è la normalità e che ci ha permesso di sopravvivere fino a ora, insomma dobbiamo normalizzare il
provare questa emozione. Se aggiungiamo qualche coccola e un po' di affetto inoltre, il bambino si sentirà accettato anche nelle sue fragilità e gli infonderemo un senso di sicurezza. • Stabile una routine, l'avere una quotidianità familiare aiuta i bambini ansiosi perché altro non sono che schemi ripetuti e per cui prevedibili. Il senso di controllo sprigionato dalla routine, può essere in alcuni casi già la soluzione a minimi problemi ansiosi. Creare dei rituali per rilassarsi assieme al proprio figlio o dedicati a lui possono aiutare a gestire meglio lo stress o aumentare il senso di benessere e rilassatezza. • Incoraggiamolo a sfidare i propri limiti. L'esposizione graduale agli stimoli temuti possono essere un buon modo di provare a gestire la situazione. Cominciamo a farlo noi come esempio e poi piano piano senza forzare il bambino incoraggiamolo a provare anche lui. E infine ricordiamoci che noi adulti siamo il modello di riferimento per i nostri figli, se siamo genitori presi dalle nostre preoccupazioni o assenti non aiuteremo di certo nostro figlio. Se siamo i primi a manifestare in una determinata situazione spavento o ansia inarrestabile trasmetteremo proprio questo modello di fronteggiamento delle situazioni al nostro bambino. Tentiamo di capire le nostre ansie e cercare di contenerle
davanti a loro, questo permetterà al minore di crescere in modo differente da quello che anche noi magari consideriamo una nostra fragilità. Insomma proviamo a mantenere per quanto ci è possibile un atteggiamento calmo e paziente in loro presenza.
Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologa-Psicoterapeuta Riceve su appuntamento Tel. 3884828675
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“DROP OUT” SPORTIVO E GENITORI
VOGLIO TU SIA...
di Patrizia Rapposselli
“Ho odiato ogni minuto di allenamento, ma mi dicevo: non rinunciare. Soffri ora, e vivrai il resto della tua vita come un campione”. (Muhammad Ali)
O
gni piccolo atleta può diventare un Muhammad Ali? Ovvero è dotato di quell’innata capacità e volontà per diventare il numero uno? Stephen Hawking dice che non dovrebbero esserci confini agli sforzi umani; ma noi tutti siamo diversi e per quanto brutta possa sembrarci la vita, c’è sempre qualcosa che uno può fare e con successo, mentre altri no. Nello sport ogni piccolo praticante può diventare un campione e meglio vuole esserlo? Quando si parla di attività sportiva e si tralasciano le belle parole relative al piano del benessere e dello sviluppo psico-fisico in età evolutiva, ci scontriamo in una realtà ben diversa fatta di ansia, stress e frustrazione provate dall’atleta quando la propria pratica sportiva diviene traumatica: la doppia faccia dello sport. In sé questo suo lato oscuro non è dato dalla disciplina in sé
e per sé, ma dal contesto che si crea intorno, dato dalla società sportiva, gli atleti con le loro capacità e volontà, e i genitori stessi. La Gazzetta Sportiva ha messo in luce dei dati significativi, in cui si dice che l’ottanta percento dei bambini italiani in età prepuberale pratica almeno uno sport, ma intorno ai 14-15 anni, fase definita critica in materia psicologica per via dello sviluppo e del cambiamento fisico-personale, i mini atleti si ritirano, lasciando l’attività. Vista l’espansione e la portata di tale fenomeno, destato l’interesse di più specialisti, psicologi, terapeuti e istruttori hanno denominato il fenomeno “drop out”, identificando con tale concetto l’abbandono della disciplina praticata. Normalmente decisione affiancata a una perdita di motivazione, noia e stress emotivo. Le cause possono essere diverse e di varia natura, in particolare sono state messe in evidenza alcuni fattori predominati. In primis l’agonismo esasperato fin dalla tenera età, i risultati ad ogni costo e l’illusione preclusa di divenire campioni.
Nuovi interessi e non meno significativi i genitori e l’ambiente esterno troppo esigenti e pressanti. La riflessione punta al chiedersi quanto effettivamente l’atleta coinvolto viene ascoltato, cosa davvero voglia fare e dare in quello che fa. Il venir meno del divertimento e della motivazione sono le conseguenze principali. All’origine dell’abbandono dell’attività sportiva sono dunque più elementi concomitanti che si conciliano. In questo quadro generale metterei il focus sulla figura genitore, il quale mostra secondo delle ricerche una tendenza spiccata a far comprendere all’interno della parola sport il concetto di agonismo, una lotta contro un avversario o un limite, dove si pretende un costante miglioramento per essere “i primi”. Assistere a qualche competizione sportiva giovanile vuol dire osservare frotte di mamme e papà, amorevoli e perbene, che riescono a trasformarsi, abbarbicati alle reti in un campetto o scompostamente seduti sulle tribune di un palazzetto, in fanatici urlatori che insultano tutti e tutto, compresi i loro figli, se le performance non corrispondono alle loro aspettative. Così lo sport da passione, socializzazione e divertimento diviene un fatto di ansia, paura e tensione dati dal timore dei giovani sportivi di non soddisfare le ambizioni del proprio punto di riferimento; ciò che emerge dagli studi e dall’andamento della società postmoderna è un genitore che riversa sul figlio delusioni e insoddisfazioni collezionate nella gioventù e vive un prolungamento della sua personalità in termini di aspirazioni realizzate tramite la loro riuscita. Chi decide come vivere lo sport e cosa farne, l’atleta o il genitore?
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il Personaggio
PIER LUIGI BONORA
Pier Luigi Bonora (1937), ferrarese, professore ordinario a riposo di Scienza e tecnologia dei Materiali. Laureato in chimica all’università di Ferrara, ha insegnato nella sua città, Genova, Marsiglia, Parigi, Hackensak (USA), Trento e Udine. Ha creato laboratori tra cui il B.I.C a Pergine Valsugana. Consulente sulle grandi criticità. Amante della musica è presidente dell’Orchestra di Adelina Valcanover Giovanile Trentina di Pergine Valsugana. In una sua carta d’identità cosa ci sarebbe scritto alla voce “professione?” Un umanista prestato alla chimica. Si racconti allora. Sono ferrarese, con una genealogia geniale per la sua composizione così decentrata e quasi casuale. Certamente composita. Sono un chimico che non ne aveva la vocazione, ma che l’ha trovata modificandola lentamente in ingegneria dei materiali. Come mai il Trentino allora? Il Trentino non è la culla né l’ultima spiaggia. È stata una opportunità (non verrei dire ultima) che la vita mi ha riservato. Ho avuto la fortuna di partecipare alla costruzione dell’Ingegneria dei Materiali alla facoltà di Trento, grazie alla stima e all’amicizia dei fondatori e, perché no, di qualche merito mio. Venivo dall’ateneo di Genova. Sono approdato lì venti anni prima, ovvero nel ’70; dall’80 al ’90 ho fatto il pendolare. Ma Pergine cosa c’entra? Nel 2001 ho creato un laboratorio tecnologico di anticorrosione industriale presso il B.I.C. (Business Innovation Center) con attrezzatura di avanguardia sulle nanotecnologie e sulla galvanica ecologica. La galvanica è tradizionalmente una tecnologia inquinante, il nostro impianto è privo di affluenti e di fumi dannosi. Quindi una ricerca nella salvaguardia dell’ambiente?
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Naturalmente e, per restare vicino al laboratorio mi sono installato a Zivignago di Pergine. Partendo da Ferrara cui son rimasto fino al ’71, poi, come ho detto a Genova fino al ’90 e a Trento dall’80 in poi (pendolare), ma nel frattempo ho fatto due anni alla Sorbona a Parigi. Vede, fino al ’70 ho insegnato alla piccola università di Ferrara con grandi ambizioni didattiche e di ricerca, ma spazio per pochi. La grande opportunità è stata appunto Genova e da lì verso il mondo. Ovviamente i due anni alla Sorbona mi hanno letteralmente cambiato la vita. E attualmente di che cosa si occupa? Ora mi occupo di problemi di grande criticità: recentemente la tragedia di Viareggio; il pullman di Avellino. Mi
dedico alla tecnologia di quei materiali possibilmente strategici e utilizzabili a scopi bellici. Nella mia vita di ricerca e professionale ho frequentato un gran numero di laboratori e alcuni li ho pure costituiti. Tuttavia non sono mai stato un topo di laboratorio, ma piuttosto uno sperimentatore in campo, e talvolta un pioniere. Tuttavia, del laboratorio di Anticorrosione Industriale di Mesiano, con la sua appendice tecnologica d’avanguardia al BIC di Pergine sono assolutamente fiero. Ancora oggi, dopo trent’anni dalla sua fondazione, è un punto di riferimento internazionale per la protezione dei materiali. Ha anche altre occupazioni? L’otium latini (di romana memoria), ossia quelle occupazioni che ti permettono quella parte migliore del proprio umanesimo, qualunque forma d’arte sociale… Tra le sue numerose pubblicazioni scientifiche, una rispecchia proprio quanto ha appena detto, dal titolo Di me dell’amore alla vita. Molto bello. Ma mi risulta anche un suo grande interesse musicale. Da dove nasce? Avevo nove anni, ascoltavo alla radio i concerti della Martini e Rossi, che mi appassionavano molto, in radiocronaca diretta dal Teatro Marcello di Roma, ascoltai Rapsodia in blu di Gershwin, suonata e diretta da Armando Travajoli: fu una rivelazione! L’anno
dopo, stagione lirica al teatro Verdi di Ferrara. Il mio papà compra tre biglietti per Madama Butterfly di Puccini. Inaspettatamente arriva mia cugina da Roma e si becca il mio biglietto. Pianti. Mio papà non si aspettava che me la prendessi tanto e allora mi ha comprato un biglietto di platea, solo per me, per il debutto di Mario del Monaco nel Ballo in Maschera di Verdi. Credo, dal punto di vista musicale, di non aver mai tradito i miei esordi. Posso aggiungere che, pur appassionato della mia professione, è da sempre la musica il mio vero amore: da profano, da fruitore, ma con la casa invasa da CD, vinili, registratori. E infine, la presidenza dell’Orchestra Giovanile Trentina, ultimo entusiasmante evento di cui sono grato ad Andrea Fuoli, il suo Direttore. Sono certo di aver incontrato in Andrea un grande interprete del nostro patrimonio musicale e forse, nonostante la mia “veneranda” età, potrò essere testimone del suo luminoso futuro. Faccio notare, essere
l’unica orchestra stabile del Trentino. Posso dire che il mio sogno è farla diventare anche l’orchestra ufficiale dell’Università di Trento (ma questo resti tra noi). E in chiusura di questo nostro dialogo? Se mi permette desidererei sottolineare che sono particolarmente orgoglioso e felice di poter asserire che tutte le attività, le collaborazioni, le innovazioni, le tecnologie che ho sviluppato durante la mia lunga carriera, sia a Genova sia a Trento sono state proseguite e sviluppate dai miei allievi e collaboratori. Che niente sia andato disperso di ciò che è stato immaginato e realizzato è il più gran dono che la vita professionale potesse elargirmi.
Vuole dire qualcosa ai lettori di Valsugana News? Alcuni versi che ho intitolato Allergia Non lasciarti vagare: reagisci,/ lotta. Perderai dopo./ Vinci te stesso, e libera/ il corpo dalla reazione/ allergica/ alla speranza inutile./ A cosa?/ Guarda il senso di Gigi per l’assurdo:/ (sì, davvero)/ lui ama la vita.
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Contro la guerra
MILA…
CARTONE ANIMATO
“TRENTINO”
Copyright Mila Film Cinzia Angelini
Un cartone animato realizzato dalla trentina Cinzia Angelini che tende a sensibilizzare l’opinione pubblica sui danni che la guerra provoca ai più piccoli, spettatori e vittime di una storia incomprensibile e dolorosa. Una vera opera d’arte che sta mobilitando il mondo, tant’è che a oggi circa 250 animatori in più di 25 paesi nei cinque continenti si stanno dedicando al film per raccontare i bambini nelle guerre.
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ila è una bimba come tante altre. Gioca in una piazza e si diverte insieme alla mamma su una giostrina con i cavalli di legno. Improvvisamente il cielo si riempie di aerei minacciosi e si scatena un bombardamento che distrugge la sua città e le porta via la madre. Una donna sconosciuta la mette in salvo e la accoglie in casa sua. Nel dolore che le accomuna, ciascuna riuscirà a donare all’altra un nuovo sorriso e la forza per affrontare ancora la vita. Ecco, in breve, la toccante storia di Mila, cortometraggio di animazione 3D frutto di un lavoro indipendente di volontariato
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mondiale che ha le sue radici nel capoluogo trentino. L’idea prende l’avvio nel 2009. Cinzia Angelini, originaria di Trento, lavora da anni nell’animazione e vive da tempo negli Stati Uniti, a Los Angeles. Decide di realizzare un cartone animato, un cortometraggio che aiuti a sensibilizzare l’opinione pubblica sui danni che la guerra provoca ai più piccoli, spettatori e vittime di una storia incomprensibile e dolorosa. Cinzia prende spunto dai racconti di sua madre che, da bambina, ha vissuto i bombardamenti del settembre 1943 a Trento. Immagina la storia della piccola Mila e inizia a lavorarci insieme ad alcuni amici, tra i quali Andrea Emmes, Valentina Martelli, Andy Gahan. Partecipa al progetto anche Valerio Oss, di Pixel Cartoon Trento, che diventa produttore esecutivo del film e una delle colonne portanti del progetto.
di Sabrina Mottes
Il costo da sostenere per la realizzazione di un cartone animato è molto alto. Ma il team non si scoraggia e poco per volta la passione, la condivisione, la voglia di fare, di dare il proprio contributo ad una buona causa, crea un movimento di interesse. Si forma e cresce attorno al progetto “Mila” un gruppo di volontari che collaborano via internet in uno studio virtuale che si espande sull’intero pianeta. Ciascuno dedica ore di lavoro ed entusiasmo a quello che con il passare del tempo diventa un cortometraggio animato 3D della durata di circa 8 minuti e di altissima qualità. Ad oggi circa 250 animatori in più di 25 paesi nei cinque continenti si stanno dedicando al film. Molti si sono avvicendati, dando per un periodo il loro contributo, scambiando opinioni e lavoro, portando avanti in perfetta sincronia un team che è diventato oggetto di studio per il metodo di lavoro assolutamente innovativo e il sostegno su base quasi esclusivamente volontaria. Anche le risorse economiche raccolte per la lavorazione del cortometraggio provengono infatti quasi totalmente da donazioni e crowdfunding, termine inglese che definisce la raccolta di denaro “dal basso” allo scopo di finanziare e sostenere pro-
getti. Gli unici contributi in denaro non da privati sono stati di Trentino Film Commission e dalla Fondazione Cassa Rurale di Trento. La storia è ambientata durante la Seconda guerra mondiale, nel centro del capoluogo trentino e nel rione di Piedicastello. La città, dopo un’attenta ricerca storica condotta con l’ausilio di foto e documenti dell’epoca e con la preziosa collaborazione della Fondazione Museo Storico del Trentino, è stata ricreata al computer nell’assetto dell’epoca, prima e dopo il bombardamento del 1943. La ricostruzione è
volutamente non rigorosa, poiché l’intento non è quello di proporre la guerra a Trento ma di raccontare tutti i luoghi, le guerre e i bambini del mondo. Il messaggio che Mila porta con sé vuole essere universale. E, proprio allo scopo di raggiungere tutti, il film non è parlato ma accompagnato dalle bellissime musiche composte appositamente da Flavio Gargano. Dalla primavera di quest’anno è possibile vedere il trailer di Mila online. E già guardando i brevi fotogrammi si rimane colpiti dall’intensità delle immagini e si
Copyright Mila Film Cinzia Angelini
intuisce la qualità altissima del lavoro. Una volta concluso, probabilmente nel 2017, il film verrà presentato nei festival e punta successivamente ad essere proposto nella sezione cortometraggi d’animazione degli Oscar. Da quest’anno, Mila ha anche il sostegno di UNICEF Italia, che ha trovato nella storia della piccola bimba di Trento sopravvissuta ai bombardamenti un simbolo di tutti quei bambini che quotidianamente vivono nei conflitti, nel pericolo, nella violenza e nella paura e li affrontano, malgrado tutto e senza poter scegliere, con la spontaneità della loro età e sostenuti da adulti che si prendono cura di loro, proteggendoli ed aiutandoli a crescere liberi e in salute, come tutti gli adulti dovrebbero fare.
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L’evoluzione della competenza e professionalità
NASCE LAGORAI PIETRE
Tecnologia e tradizione L'evoluzione e il progresso tecnico, tecnologico e lavorativo di un’azienda si determinano quando la stessa evidenzia reali cambiamenti e trasformazioni qualitative nelPieve suo Tesino modo ha di sede operare mirati sempre soddiil Museo si orientaalverso il diritto all'autodetersfacimento le esigenze e le richieste, anche Casa di Detutte Gasperi che ha restiminazione dei le popoli; con l’annespiù particolari, chee ilriempito clientedipone. tuito vitalità signi- sione del Trentino all'Italia, prende la Centro Pietrache srl fondata nel natale 2004 da cittadinanza Oscar Ropelato, ficati quella era la casa italiana ed entra a far puntostatista di riferimento forniture marmi e pietre dello trentino. nelle Questo luogo diparte del Partito Popolare Italiano pronaturali a Scurelle, ha deciso di investire perdacrescere vuole essere un incubatore di idee e mosso don Luigi Sturzo. Nel 1922 ed avvicinarsi sempre di più instalagli standard messaggi, trasmessi attraverso sposa aqualitativi Borgo Valsugana Francesca che il mercato impone. lazioni multimediali, portatori del Romani, dalla cui unione nasceranno Dinnazi a tanti cambiamenti terminiquattro organizzativi e messaggio umano, politico einspirifiglie: Maria Romana, Lucia, tecnologici un ha nuovo vestito fosse più vituale, di un serviva uomo che vissuto in che Cecilia e Paola. Il 16 novembre 1922 LAGORAI PIETRE. cino aipersona nuovi valori aziendali: prima un periodo storico di vota per la fiducia al governo MussoUna nuova insegna e una nuova immagine che di grandi cambiamenti. lini, ma l’anno successivo assieme al fatto, al interno, non solo abbina voci tecnologia Alcide è suo il primogenito di Amedeo di lePPI cerca di trovare un compromesso e tradizione, competenza e professionalità, maAcerbo, anche voluta dal duce per Sardagna, maresciallo maggiore della alla legge il senso dell’identificazione con il territorio e il rispetto gendarmeria locale tirolese, e di Maria assicurare al Partito Nazionale Fascista di tutto ciòche cheavrebbe circonda la alla nostra operativa. Morandini, dato lucestruttura una solida maggioranza parlamenE’ infatti nella logica della vicinanza na- 1924 assume la sealtri tre figli, due maschi e una fem- all’ecologica tare. Il 20 maggio tura di tutto il Lagorai che Oscar ha greteria ideato ildel nuovo mina. Partito popolare, ma a logo. Lo statista, di madrelingua italiana, seguito della sua opposizione al fasciLAGORAI perfettamente PIETRE, però,lanon è una insegna, conosceva lingua te- semplice smo viene arrestato alla stazione di Fima una nuova denominazione che, renze nell’essenza del 1927. Scarcerato desca e dopo la formazione all'Impel'11 marzo progredire, continua, superiore potenziandole, l’esperienza, la del 1928, è tenuto rial Regio Ginnasio di alla fine di luglio competenza, la professionalità e la conoscenza dei maTrento, si laurea in Filologia presso sotto controllo dalla polizia; segue un teriali, che di la Vienna. nostra realtà ha maturato in oltre l'Università periodo di dodici ristrettezza economica ed annidadigiovane specifica attività. Fin prende parte ad atti- emarginazione. Nella primavera del LAGORAI PIETRE offre un cristianoservizio chiavi in mano nelle presso la Bibliovità politiche d'ispirazione 1929 viene assunto seguenti sociale e, aree: terminati gli studi, entra a teca Apostolica Vaticana, i suoi articoli - lavorati in marmo e granito per arredo ed edilizia far parte della redazione del quotiin questo periodo (scale, davanzali, copertine, piani lavelli, diano Il Trentino divenendone in cucina, sostengono ecc)tempo il direttore. breve l’opisassi da muro (dala mosaico alI- suoi articoli sonoper un esterni manifesto di- nione l'opera a corsi, dalla natura del calcarea a fesa dell'autonomia culturale della quellapur granitica e porfirica) Trentino, sotto l’egida dell'Impero -austro-ungarico. sassi da rivestimento ed In seguitoper alla interni reesternimessa (retrosegati con spessori pressione in atto dalle autorità ridotti per posa muta a colla) asburgiche, il suo pensiero che - arte funeraria (lapidi singole/famigliari, ripristini e manutenzioni cimiteriali) - complementi per arredo urbano e giardinaggio (vasche, monumenti, fontane, cordonate, pavimentazioni, ecc)
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chiesa tedesca, in contrasto con le accuse di “scristianizzazione” mosse al Partito Socialdemocratico austriaco. Durante il secondo conflitto mondiale, compone l’opuscolo intitolato “Le idee ricostruttive della Democrazia Cristiana”, diffuso clandestinamente sotto lo pseudonimo Demofilo il 26 luglio 1943, opera che diede avvio alla DC. Il 10 agosto 1946 interviene come ministro degli Esteri alla Conferenza di pace a Parigi, cui segue l'accordo De Gasperi-Gruber, per la tutela della minoranza di lingua tedesca in Alto Adige. Il 18 aprile 1948 la DC ottiene il 48% dei consensi, eleggendo De Gasperi quale primo Presidente del Consiglio dell'Italia repubblicana. Il suo impegno è concentrato sull'integrazione europea, con il sostegno alla fondazione della CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) e la firma del Trattato di Bruxelles che diede avvio all'Unione Europea. Nel 1952 per scongiurare l’affermarsi di posizioni marxiste, la Chiesa vorrebbe vedere la DC unita al Partito Nazionale Monarchico, ma De Gasperi rifiuta, fedele al suo spirito antifascista. Si dimette dalla carica di presidente del Consiglio nell'agosto del 1953, dopo il fallimento della legge elettorale, definita “truffa”. Nella sua amata casa in Val di Sella, dove ha trascorso i momenti più belli con la sua fami-
La nuova impostazione di LAGORAI PIETRE è in grado di risolvere tutti i passaggi del nostro settore in modo indipendente, fornendovi un servizio a 360° che vi farà ridurre imprevisti, tempi di consegna e costi. Accurata progettazione e pianificazione dei nostri interventi sono la nostra carta vincente per impostare il lavoro di cantiere in modo semplice ed efficace. Il nostro staff vi darà tutta l'assistenza necessaria per ottenere le agevolazioni fiscali fino al 50% dell'investimento e ogni altra necessità in modo che l'impegnativa attività di ristrutturazione risulti per voi la più leggera possibile. Una planimetria utile di oltre 7mila mq che con uffici, magazzini, esposizione e vendita, uniti ai vari reparti lavorativi, fanno di LAGORAI PIETRE una struttura decisamente come poche e una della più complete della nostra zona e anche fuori dai nostri confini. Una realtà, artigiano-commerciale dove il cliente trova un qualificato punto di riferimento che dalla commissione gli offre la progettazione, la realizzazione, la fornitura e la posa in opera di quanto egli desidera per abbellire e rendere più ospitale la sua abitazione (p.r.).
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di Armando Munaò
THE BASTARD SONS OF DIONISO Jacopo, Michele e Federico sono tre ragazzi che quasi per gioco si sono messi insieme concretizzando la loro passione per la musica e per il canto. E nel tempo e con il tempo, grazie alle loro indiscusse e originalissime capacità interpretative, sono diventati, senza tema di smentita, un “trio” tra i più importanti del nostro Trentino e del panorama nazionale. La loro musica, come evidenziato nel loro sito, prende spunto dal rock degli anni ’70, con venature hard di matrice zeppeliana e vocalizzi a tre voci che strizzano l’occhio ai Beatles ma anche a Crosby Stills Nash & Young. Dopo la naturale non facile “gavetta” e dopo innumerevoli concerti ed esibizioni, nel 2009 la svolta: approdano quasi per sbaglio in televisione nel programma X-Factor dove arrivano secondi in finale e firmano un contratto con la Sony Music che li lancia, definitivamente, nel grande panorama della musica italiana. Una delle loro incisioni è il loro quarto album rimarrà per alcune settimane nella top ten dei dischi più venduti. E sempre nel 2009 vengono premiati come Band rivelazione dell’anno. E rimanendo in tema di premi nel febbraio 2012 quello dell’ A.F.I. (Associazione Fonografici Italiani) per il “Miglior Disco Rock Indipendente del 2011”. E la loro storia prosegue in un continuo crescendo. Nel 2015: Jacopo, Michele e Federico, dopo oltre 500 concerti eseguiti sempre nel rispetto delle loro idee musicali originali, decidono di cambiare e si presentano, ovviamente per un breve periodo, in una nuova veste musicale. Non più arrembante rock bensì musica più intima e più confidenziale. E lo fanno con una loro opera “ Sulla cresta dell’onda” che dopo l’uscita sta riscuotendo plausi e unanimi consensi.
LA NOSTRA INTERVISTA Come e dove vi siete conosciuti? Come nei migliori cartoni giapponesi ci siamo incontrati tra i banchi di scuola, all'istituto tecnico industriale M.Buonarroti di Trento. Jacopo e Federico dal primo anno, poi anche con Michele dal terzo, quando abbiamo deciso di fare i periti edili. In una regione come il Trentino incontrare persone nuove e con interessi in comune è sempre limitato dalle distanze, soprattutto quando si è ragazzi e non si ha la libertà di un mezzo di trasporto. È stato un vero stimolo per ognuno di noi allargare i nostri orizzonti grazie alla musica. Quando e come nasce il vostro trio? Il trio per come è concepito nasce, dopo varie esperienze in altri gruppi e cover band, il giorno della Madonna d'agosto del 2003 al Mas dei Gianeti sopra Rizzolaga (Altopiano di Piné), a una festa con solo tre partecipanti ma che ha avuto postumi che si stanno protraendo da un bel po'. E perchè questo nome artistico? Il mondo della musica, particolarmente ai giorni nostri, è inevitabilmente in bilico tra apparenza e realtà, e persino noi non possiamo sottrarci da questo meccanismo. Abbiamo quindi cercato di unire queste due facce nel nostro nome. Una più goliardica e diretta, una invece più profonda, emotiva. Entrambe sono prospetti del nostro stato d'animo e del complesso ed equivocabile ambiente in cui viviamo e lavoriamo. Vi volete presentare? Jacopo Broseghini (voce e basso) nato a Trento 23/12/86 pinaitro, bassista, cantante, perito edile, consulente tecnico ambientale; appassionato di archeo metallurgia, funghi, belle ragazze e sintetizzatori. Michele Vicentini (voce e chitarra), sempre classe '86. Perginese. Chitarrista e cantante da metà degli anni novanta. Appassionato prevalentemente di musica, anche sotto l'aspetto tecnico costruttivo di strumentazione e apparecchiatura per registrazione.
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Ciò nonostante, al di là dei concerti, adora il silenzio, la sua casa in montagna e la morosa. Federico Sassudelli (voce e batteria). Appassionato di calcio. Punto e basta. Il vostro stile musicale rispetta dei canoni precisi oppure fa riferimento a un artista o a un gruppo che vi ha preceduti? La nostra musica rispetta i canoni delle sonorità e ritmi della musica europea e americana, ricercando nel passato ciò che ci ispira e incontriamo nel percorso, quella musica che ci ha influenzato vivendola comunque, volenti o nolenti. Nel vostro esibirvi avete mai improvvisato oppure ogni cosa è studiata nei minimi particolari? Ogni cosa è pensata per essere al suo posto sia tecnicamente, con la strumentazione a nostra disposizione, e cronologicamente con la scaletta del concerto che va migliorandosi e perfezionandosi a ogni esibizione. Ogni artista ha il preciso obiettivo di comunicare al pubblico un qualcosa. Qual'è il vostro messaggio? Noi pensiamo che sia una presunzione volere far capire, comunicando con la musica, qualche cosa a qualcuno. All'inizio ci abbiamo anche provato, ma poi il risultato era sempre lo stesso, la
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comunicazione è travisata dal modo che ogni persona ha di capire e di ascoltare. Il nostro messaggio è quindi raramente di concetto, ma quasi esclusivamente emotivo: cerchiamo solo di creare sonorità e parole che ci convincano, facciano divertire, e che diventino nostre, celando riferimenti, letture, ed esperienze che pensiamo possano dare una bella carica a chi ci ascolta. Abbiamo saputo che voi sostenete molte iniziativa benefiche. Quali? Sì, avere un pubblico è sempre un'occasione per dire due parole, senza entrare nei patetismi delle emergenze,
raccontando di nostre esperienze, come la tipizzazione e la donazione del midollo osseo. ADMO ci ha informato e convinti ad affrontare un lato della nostra vita, che volevamo in qualche modo schivare, poiché la paura e l'ignoranza ci fanno allontanare dal pensiero del dolore, e della solitudine, della malattia. Partecipando con Rezophonic abbiamo contribuito al progetto idrico AMREF Italia, che si è coronato con la costruzione di un pozzo ad AMBOSELI in KENIA dal mitico nome “LEMARONI” che in ogni caso ci fa sempre sorridere. Programmi e obiettivi futuri? Ormai da svariati anni il nostro modus operandi prevede una costante attività live, che raramente s’interrompe per più di due settimane. Questa scelta c’è permessa solamente perché abbiamo una sala di registrazione personale, e non abbiamo necessità di fermarci fra un tour e l'altro per rinchiuderci uno, due o tre mesi interi in uno studio prenotato con ingegneri esterni. Semplicemente, quando abbiamo l'idea la registriamo, fra un live e l'altro si procede con i vari strumenti, le voci, gli arrangiamenti, le collaborazioni. In questo modo abbiamo il tempo di risentire con calma e lucidità tutte le registrazioni fatte nei giorni precedenti, e quindi intervenire con modifiche, oppure decidere si proseguire. Il tutto condividendolo con tecnici esterni, molto fidati, che danno il loro contributo (non solo tecnico ma anche artistico) alla resa finale del brano.
Chi era Ottone Brentari? Q
uando si dice Brentari, la mente immancabilmente scorre, andando a ripescare le immagini di quel ri-
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fugio Sat che spicca nella roccia della Cima d’Asta a 2480 m slm. È uno degli splendidi scorci montani del nostro Trentino che intende onorare la memoria di Ottone Brentari, nato a Strigno il 4 novembre 1852. Difficile definire questa figura in un solo termine, egli fu geografo, storico, giornalista e politico italiano, irredentista e ancora autore di numerose guide turistiche del Trentino. La madre è Elisabetta Negrelli, nipote del celebre ingegnere che progettò il Canale di Suez, mentre il padre Michele, è un ufficiale giudiziario, che si sposta tra Rovereto, Malè, Fondo e
di Chiara Paoli
Cembra per motivi lavorativi, portando con sè il figlio. Rimane orfano di padre in tenera età e con la madre si stabilisce a Rovereto, dove inizia gli studi che lo portano a conseguire nel marzo 1873 la maturità classica. Completa la sua formazione improntata all’indirizzo storico e geografico, spostandosi tra le Università di Innsbruck, di Vienna e infine di Padova dove nel 1877 ottiene il dottorato. Si dedica quindi all’insegnamento, inizialmente a Rovereto, trasferendosi poi a Pisino in Istria e successivamente a Catania, dove nel 1878, prende in moglie Domenica Fusaro. Nel 1879 si trasferisce a Bassano del Grappa per insegnare lettere al ginnasio e assumere la carica di direttore dell'istituto scolastico. Pur gratificante, la vita dell'insegnante non lo soddisfa pienamente, si dedica quindi a partire dal 1887 a diverse collaborazioni giornalistiche, tra cui il "Bollettino del Club Alpino Italiano", in seguito dal 1890 al 1910 collabora con "Letteratura", "Tridentum", "Nuova antologia", "Bollettino della Società Bibliografica Italiana", "Almanacco Bemporad". Proprio la passione per il giornalismo lo spinge, nel 1890, ad abbandonare
definitivamente l'insegnamento e a trasferirsi a Milano nel 1893, dove inizia a lavorare per "Il Corriere della Sera", pur continuando le diverse collaborazioni con diverse altre riviste trentine, venete e catanesi. Nel 1908 lascia il Corriere per fondare "Italia Bella", un mensile turistico caratterizzato da un deciso patriottismo. Tra i numerosi scritti editi dal Brentari, si annoverano approfonditi studi sulla terza guerra d’Indipendenza italiana e in particolare sulla campagna militare garibaldina del 1866 in Trentino. Preziose sono inoltre le sue biografie di patrioti trentini che hanno preso parte alle guerre risorgimentali italiane; basate sulla testimonianza diretta dei protagonisti di quegli avvenimenti. Con lo scoppio della Grande Guerra e della successiva dichiarazione dell’Italia, nel 1915, le sue ideologie, orientate all'indipendenza del Trentino dall'Austria, lo inducono a costituire
la “Lega Nazionale Italiana”. E attraverso le pagine del Corriere della Sera, racconta ai lettori i "Bollettini del Comando Supremo". Nell'immediato dopoguerra si impegna in prima persona per la ricostruzione, e per conto della Lega Nazionale di Milano, nei mesi di aprile e maggio del 1919 si occupa di un’inchiesta sullo stato delle popolazioni delle località redente, in seguito pubblicata col titolo "Le rovine della guerra nel Trentino". Nell’autunno dello stesso anno invia numerose lettere ai giornali, a membri del Parlamento e del Governo, in seguito raccolte nell’opuscolo "Lettere dal Trentino", per denunciare l’inefficacia e i ritardi nell’opera di soccorso e ricostruzione delle zone di confine. Le tre lettere che riguardano la Valsugana orientale, dall’eloquente titolo "Il cimitero del Trentino" sono pubblicate inizialmente sul giornale "La Perseveranza" di Milano.
LEVICO TERME
Il festival dell’uva
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a attirato diverse migliaia di persone da tutta la Valsugana, da Trento e anche da altre vallate della regione, il “Festival dell’uva” svoltosi a Levico Terme nelle giornate di sabato e domenica 3 e 4 settembre scorsi. Un appuntamento organizzato dal “Consorzio in Centro” e dedicato ai prodotti della terra della stagione autunnale. Durante le due giornate nelle vie centrali del centro termale sono comparse una quindicina di casette e bancarelle di cui almeno una decina che proponevano, con assaggi, i loro vini. Cantine note e meno conosciute di tutto il Trentino e anche della Valsugana come l'Azienda Agricola Ferrai di Telve, l'Azienda Agricola Fagarini di Novaledo, e la Cantina Romanese di Levico Terme. All'interno del Festival organizzato per festeggiare l'inizio della vendemmia, si è svolto anche il “Palio delle botti”, quale primo memorial in ricordo di Giancarlo Vettorazzi, noto produttore levicense dell'omonima grappa, venuto a mancare recentemente. (m.p.)
Brentari fa ritorno a Trento nel 1920 per prendere la direzione del settimanale liberale "La Libertà", ma a conclusione dello stesso anno si dimette per divergenze politiche con i finanziatori del periodico. Inizia un impegno appassionato a sostegno della ricostruzione soprattutto di quelle zone del Trentino più martoriate dalla guerra, attraverso articoli, conferenze, numeri unici, lettere aperte a onorevoli. Denuncia apertamente i ritardi burocratici e l'incompetenza delle amministrazioni comunali e il 2 giugno 1920 tiene a Milano la famosa conferenza "L'allegra agonia del Trentino". Nel 1921 concorre per un seggio al Parlamento nelle liste del Partito Liberale Democratico, ma non viene eletto, si ritira quindi a Rossano Veneto, nella casa di proprietà della moglie, dove muore il 17 novembre. Alla sua memoria è stata intitolata la scuola secondaria di primo grado di Strigno, suo paese natale.
NOVALEDO
La sagra di S.Agostino
Sono stati tre giorni di festa in piazza Municipio a Novaledo, in occasione della Sagra di S. Agostino, organizzata dal Comune in collaborazione con il Cerchio della Luna e le altre associazioni locali. Una festa che comprendeva musica, recite, danze, buona cucina, sport e tanto altro. Si sono esibiti i “Band DharmaTriubuto anni ’80”, poi lo spettacolo della Compagnia Nonsoloteatro di Levico Terme con la rappresentazione scenica “Un tuffo nella belle epoque con balli e coreografie del passato”, danze con “I Fantasy”, liscio e musica a 360°. Nella mattinata di domenica 28 agosto S. Messa in onore del Patrono S. Agostino e, nel pomeriggio, presso il campo sportivo comunale si è disputata la II^ edizione Miniolimpiadi dei Masi, ed ancora una esibizione di ballo liscio dei bambini dell’associazione Cerchio della Luna. La sagra si è conclusa con musica e ballo in compagnia di Fabio e la sua fisarmonica. Nelle tre giornate ha funzionato la cucina tipica trentina con piatti tradizionali, a base di pesce e dolci paesani. (m.p.)
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PER RICORDARE MARCELLO OSLER
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a Biblioteca comunale di Levico, la Società Filodrammatica di Canezza, il Consorzio Levico Terme in Centro, il gruppo W la Fuga e il Zock Gruppe, hanno organizzato nei primi giorni di settembre in piazza della Chiesa a Levico Terme, un appuntamento particolare: la presentazione del libro “La fuga più lunga - un tratto di strada con Marcello Osler”, di Elena Leonardelli Osler. Il libro ci fa conoscere il campione di ciclismo e la vita di Marcello Osler attraverso il malore che lo ha colpito il 31 luglio 2013. Il percorso successivo è visto dagli occhi della moglie che punta i riflettori su aspetti intimi e privati per dare speranza a chi dovesse trovarsi in analoghe situazioni. Un viaggio che si spinge fino al punto di non ritorno, ma poi la vicenda prende una piega inaspettata. Che cosa può aver determinato il cambiamento? Il titolo richiama la tappa di Sorrento che Osler vinse nel 1975 dopo appunto una lunga fuga solitaria Elena Leonardelli Osler è nata nel 1954 a Susà di Pergine. Conosce Marcello Osler nel 1975 che sposa poi nel 1976 e dal loro matrimonio nascono quattro figli. Quando dopo 37 anni di matrimonio, il marito per un improvviso malore è sul punto di morte, sente come non mai la profondità del legame che unisce la loro vita e quella dei loro figli. Elena ha scritto queste pagine per raccontare come, in situazioni improvvise e estreme, si possono trovare dentro se stessi risorse prima inimmaginabili. Numerosi gli appassionati della bicicletta di Levico e Pergine presenti in mezzo a tanto pubblico che letteralmente gremiva la grande piazza e la serata è stata brillantemente condotta dal giornalista Gabriele Buselli. Hanno usato parole di lode per questo insolito appuntamento, il delegato alla cultura del comune di Levico Guido Orsingher, l’ex professionista del ciclismo Stefano Casagranda, il consigliere provinciale Gianpiero Passamani che ha sottolineato come “questa esperienza di vita sia un grande esempio per tutti”. Il ricavato della vendita del libro è destinato all’Associazione Trentino onlus, l’Associazione Italiana contro le Leucemie, Linfomi e Mieloma, sezione di Trento. Per la nostra rivista “Valsugana news” ha collaborato, inviandoci anche questa foto della serata, la bibliotecaria Elena Libardi. (m.p.)
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Nuovo Bivacco - Foto RG
di Elisa Corni
SAT di Caldonazzo
Territorio, storia e futuro F
a un certo effetto parlare al telefono con il presidente molto giovane di una delle più longeve associazioni di Caldonazzo, la SAT, nata negli anni Cinquanta. Riccardo Giacomelli, classe 1988, ci tiene a specificare che è solo l’ultimo di una lunga serie di presidenti under 35: “Dal 1994 la scelta dell’associazione è stata quella di responsabilizzare i giovani, e così in direttivo siamo tutti under 40, e in generale nell’associazione possiamo contare su un gran numero di iscritti con poche primavere alle spalle”. Come Davide Bortolini, che è nato nel 1994 e che fa parte del direttivo assieme ad altri ragazzi con voglia di fare, idee e, cosa importante, energia. Sì, avete letto bene. La prestanza fisica è elemento importante per chi vuole partecipare attivamente ad un’associazione come quella degli alpinisti tridentini, perché alcuni compiti che spettano a questo gruppo di appassionati richiedono braccia e gambe forti. “Il nostro primario interesse è quello per il territorio montano -spiega il presidente- e ciò si traduce ad esempio nella cura, nel recupero e nel mantenimento dei sentieri del nostro territorio di riferimento”. Un territorio ampio, che dalla Val Carretta scende lungo le sponde del Centa per risalire lungo la Vigolana passando per il Monte Rive. Solo inerpicarsi lungo quelle vie impervie è una vera e propria impresa. E
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così, come racconta Giacomelli, “ci sono diversi modi per partecipare alle attività della SAT. I nostri soci, circa 150, partecipano in massa alle gite, calibrate per un pubblico più vasto, o alle altre attività culturali. E poi ci sono i soci attivi sul territorio”. Insomma, un’associazione adatta a tutti, grandi e piccini. Come il piccolo Thomas, 7 anni, che pochi giorni fa ha tagliato il nastro del nuovo bivacco costruito proprio dalla sezione di Caldonazzo sulla Vigolana. Erano gli anni Sessanta e la SAT di Caldonazzo era nata appena da un decennio; uno dei primi progetti realizzati fu il montaggio di una struttura prefabbricata in quota, ai piedi della roccia chiamata “La Madonnina” sulla vetta della Vigolana. A 2030 metri di altitudine e a parecchie ore di distanza dal fondovalle, è un rifugio per alpinisti e camminatori impegnati nella salita. Il presidente Giacomelli conosce la storia del bivacco molto bene, dato che suo nonno fu uno dei volontari della SAT che si impegnarono nel trasporto e nella costru-
Inaugurazione Bivacco - Foto RG
zione del bivacco, e ne ha progettato la nuova struttura. “Ci hanno messo più di due anni per portare su a mano tutti i pezzi del prefabbricato. Solo le lamiere pesavano oltre 14 quintali, e chi lo ha costruito non aveva a disposizione gli elicotteri” racconta quasi nostalgico. Il lavoro per realizzare il nuovo bivacco non è stato più breve, solo un po’ meno faticoso. “Quattro anni fa ci siamo resi conto che il vecchio bivacco aveva fatto il suo tempo. Era testato per durare cinquant’anni sul fondovalle, ne ha resuscitati altrettanti subissato dalle aspre condizioni climatiche dell’alta quota. Era ora di mandarlo in pensione”. E così dopo anni di scartoffie, ricerche fondi, permessi e progetti, “grazie alla collaborazione di tutti i volontari, della SAT Centrale, del Comune di Caldonazzo, di alcune aziende locali e soprattutto grazie al Nucleo Elicotteri della PAT che ci hanno aiutati a portare su i pezzi” conclude Riccardo Giacomelli.
Trasporto Vecchio Bivacco SAT Caldonazzo
Nuovo Bivacco - Foto RG
Inaugurazione Bivacco 1966 - SAT Caldonazzo
CALDONAZZO
Anche le mucche sono appassionate di musica!
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videntemente anche alle mucche piace la musica. Si può credere che sia proprio così dopo aver assistito una domenica di fine agosto ad una “adunata” inconsueta sull’altopiano delle Vezzene. Infatti durante la cerimonia in ricordo dei Caduti, che comprendeva pure una sfilata dei numerosi partecipanti dal Monumento che li ricorda alla Chiesetta di Santa Zita, capeggiata dalla Banda di Caldonazzo, le decine di mucche appartenenti ad una malga distante qualche centinaio di metri e che, sparse nei prati circostanti stavano brucando l’erba, sono accorse immediatamente attirate dalle squillanti note della banda. Non potendo arrivare sulla strada perché delimitate da recinti, tutte si sono unite in gruppo e fermate a una decina di metri dal limite a loro concesso, con il muso rivolto in direzione inequivocabile verso il corpo bandistico che in quel momento transitava suonando. Uno spettacolo inconsueto osservato da molti dei presenti che hanno sorriso davanti a questa insolita scena. (m.p.)
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CIRè DI PERGINE
L’AEROPORTO MILITARE F orse non tutti sanno che a Ciré di Pergine esisteva durante la prima guerra mondiale, un aeroporto militare austroungarico. Era stato costruito su una superficie di diverse migliaia di metri quadrati e quel suolo dovette essere completamente bonificato. In più si dovettero abbattere svariate centinaia di piante di gelso, tanto preziose all’epoca per la coltivazione del baco da seta, una delle poche attività in cui le famiglie trovavano sostentamento di vita. E per recuperare tutta la superficie necessaria, si dovette demolire anche una parte della vicina Casa Dalcolmo. Per la costruzione di questo aeroscalo furono chiamati circa 500 giovani soldati, i cosiddetti “militarizzati”. Accanto alle piste di decollo e di atterraggio che avevano la lunghezza di circa 2 chilometri, furono costruite anche sei aviorimesse per la custodia degli aerei, diversi alloggi, alcune officine meccaniche, un laboratorio fotografico e una cinquantina di baracche attrezzate. In fondo alla pista fu predisposto anche un dispositivo di difesa antiaerea, un allarme con sirena e un potente riflettore per le incursioni notturne. Il tutto al servizio di quella quarantina di aerei che frequentavano
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l’aeroporto. Nell’anno 1916 si fecero molte missioni di guerra per localizzare, fotografare e anche bombardare, le postazioni nemiche italiane che si trovavano verso l’altopiano delle Vezzene, a Verona, Vicenza e a Bassano del Grappa. Molti aerei furono abbattuti e conseguentemente molti furono i piloti morti che vennero poi sepolti nei due cimiteri esistenti a Pergine. Il primo era situato in località San Pietro nei pressi dell’ospedale psichiatrico, mentre l’altro lungo la strada che porta a Serso, nei pressi dell’attuale bocciodromo comunale. Da parte italiana numerose furono le incursioni nel tentativo di distruggere l’aeroporto,
di Mario Pacher
ma i loro attacchi non ebbero grande successo poiché, a parte alcuni danni alle baracche, non riuscirono mai a renderlo impraticabile. Le strutture dell’aeroporto vennero poi date alle fiamme durante la ritirata nel 1918. Una decina di anni fa venne organizzata a Pergine una mostra diffusa nei vari alberghi e bar con esposte tante foto storiche dell’aeroporto di Ciré e degli aerei. Tutte immagini originali possedute e messe a disposizione da alcuni collezionisti perginesi. In questa foto tratta da “Osterreichisches Kriegsarchiv”, vediamo com’era all’epoca l’aeroporto di Ciré.
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ontinuano con sempre maggior entusiasmo i rapporti di collaborazione fra Levico Terme e la gemellata cittadina germanica di Hausham. Un’amicizia iniziata ancora nel lontano 1959 e che in questi 57 anni è andata sempre più consolidandosi. Recentemente più di quaranta ragazzi levicensi, oltre a una decina fra accompagnatori ed assistenti, erano stati ospitati, dal 31 luglio al 12 agosto, dall’amministrazione comunale di Hausham, presso le scuole di quella cittadina. A sua volta il comune di Levico Terme, con la collaborazione anche delle varie associazioni, ha offerto ospitalità ad altrettanti ragazzi bavaresi, accompagnati pure loro da assistenti e cuochi, ed ospitati presso le ex scuole medie del centro termale. Durante il loro soggiorno i ragazzi germanici sono stati portati a visitare i luoghi più caratteristici della Valsugana e quelli che ricordano la grande guerra, come il forte del Col delle Benne, accompagnati dallo storico Ferruccio Galler. Le autorità locali: sindaco Michele Sartori con il vicesindaco Laura Fraizingher ed alcuni assessori, il delegato del Comune per gli incontri con la gemellata cittadina Arturo Benedetti, il presidente dell’Associazione “Amici di Hausham” Fabio Recchia, la ex presidente Sandra Pohl, ora presidente onoraria e l’ex delegato Umberto Uez, si sono incontrate in una serata di fine agosto, nel piazzale delle ex scuole di Levico con le autorità di Hausham per un momento di familiarità che si è concluso con una cena collettiva tra grandi caraffe di birra portata al seguito dai germanici. Il sindaco di Hausham Zangenfeind Jens, accompagnato dalla sua vice Ria Ropfl, dall’ex primo cittadino Hugo Schreiber e da Marianne Widmann presidente dell’associazione Amici di Levico, ha usato per primo parole di vivo apprezzamento per questa amicizia con la città termale, che dura ormai da così lunghi decenni. Sulla stessa linea d’onda anche il primo cittadino di Levico Sartori e il presidente dell’associazione Fabio Recchia. Vale la pena di ricordare che sindaco e vicesindaco di Hausham hanno raggiunto Levico in bicicletta, quasi a voler ricambiare la “pedalata” dei ciclisti del Pedale Levicense che un anno fa avevano pure loro percorso i 380 chilometri che separa le due cittadine. (m.p.)
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Busa Granda in inverno 1916 - Osterreichisches Nationalbibliothek
Forte Busa Granda
Tra passato e futuro L
o scorso 18 settembre in località Compet si sono radunate personalità e appassionati della Grande Guerra per un evento importante: l’inaugurazione del Forte Busa Granda dopo i lavori di recupero promossi dalla Provincia Autonoma di Trento. Tra i presenti anche Giorgio d’Asburgo, erede della dinastia che governò il Trentino fino alla fine della Prima Guerra Mondiale, per combattere la quale il forte sulle pendici della Panarotta fu progettato e costruito. Ma anche numerosi gruppi di Schutzen e Keiserjäger, uniti assieme agli Alpini e agli appassionati per ricordare il sangue versato durante il primo conflitto mondiale. Il Forte della Busa Granda è un forte così detto di terza generazione della Festung Trient, quella fortezza articolata
Il forte prima, durante e dopo i lavori Foto di Roberto Pezzato
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costruita tra il 1860 e lo scoppio della guerra per proteggere la città di Trento e il Tirolo meridionale da un eventuale avanzata italiana. Una delle ultime fortificazioni realizzate fu proprio la fortificazione campale che doveva sostituire l’ormai obsoleto Forte delle Benne, qualche decina di metri più sotto sempre lungo la Valsugana. La struttura, costruita nella roccia via della montagna, fu realizzata nel 1915 dal Genio Militare Austro-Ungarico per rafforzare le difese della Valsugana in vista dell’apertura del cosiddetto “fronte meridionale”, ovvero quello tra Austria-Ungheria e Italia che coinvolse anche il Trentino. Inizialmente pensato per sostituire il Forte di Tenna, doveva essere costruito sulla punta meridionale del colle di Tenna, per sfruttare una posizione e una visuale migliore rispetto a quella dell’arretrato e tecnologicamente superato forte di fine Ottocento. Quando nel febbraio del 1915 il progetto fu presentato agli alti comandi riscosse molto successo; cartina alla mano, però, gli esperti di strategia individuarono nel colle copra la località Compet il luogo più adatto per la costruzione di una seconda linea difensiva.
di Elisa Corni
Non appena giunse l’ordine, si cominciò il duro lavoro. Prigionieri russi e serbi vennero utilizzati per realizzare la strada che dal Forte delle Benne conduceva alla nuova fortificazione, e nel frattempo ingegneri e uomini del Genio Militare misero mano ai martelli pneumatici e alle cariche esplosive. Questo perché il forte è interamente scavato nella roccia viva, che dovette essere adeguata alle richieste belliche di quegli anni. Il forte, venne completato nell’aprile di quello stesso anno, pochi giorni prima dell’ingresso in guerra dell’Italia. L’esercito austro-ungarico piazzò nelle loro dove postazioni i due obici rimossi dalle Benne, dove non erano di nessuna utilità. Strategici potevano invece rivelarsi piazzati ad alta quota: con la loro gittata e il punto di osservazione potevano facil-
mente colpire Marter e le altre zone che venissero occupate dagli italiani. Era una posizione strategica che offriva anche una buona difesa; inoltre la profondità a cui il forte era costruito permetteva una sicurezza maggiore. Altri piccoli accorgimenti fecero della Busa Granda uno dei più moderni forti della Grande Guerra, come l’impianto elettrico, la distanza tra i due obici, il collegamento con le trincee e gli avamposti che costellavano il territorio. Oggi, dopo decenni di abbandono, il forte è aperto e può essere visitato grazie a un’importante lavoro di ristrutturazione. In prima fila nel recupero di questo manufatto è stato il sindaco di Vignola-Falesina, Danilo Anderle. “Il progetto di recupero del forte ha le sue origini negli anni Duemila, con la precedente amministrazione -racconta- ma oggi vedere la fine dei lavori è una vera propria soddisfazione”. Un traguardo importante per un comune di piccole dimensioni come quello da lui amministrato, che si estende su dodici chilometri lungo le pendici della Panarotta. Un territorio montano dove vivono meno di duecento persone. Ma, come fa notare il sindaco Anderle, i numeri non sono rilevati quanto la voglia di fare e le prospettive:
boschi e forte non sono infatti l’unica ricchezza di Vignola-Falesina. “Nel nostro territorio ci sono ad esempio oltre sessanta punti d’accesso alle miniere della Panarotta -prosegue il sindaco- e nella nostra visione il Forte è solo il primo di una serie di interventi che vogliamo fare nel prossimo futuro”. Il progetto, più ampio, è quello di ricordare alle persone che vivere in montagna ha i suoi aspetti positivi. E a quanto pare, cultura e storia con il forte Busa Grande in Testa saranno il cavallo di battaglia di questo processo. Il Forte, che per il mese di ottobre sarà aperto dai volontari della zona in orari specifici, è stato ristrutturato grazie alla partecipazione della Provincia Autonoma di Trento, e con la Vista della Panarotta dalla postazione di Busa collaborazione del Servizio Beni Granda - Ö s terreichisches Nationalbibliothek Culturali della Provincia. “Ma anche noi nel nostro piccolo abbiamo fatto la nostra parte -ci tiene ad stato cruciale, come la partecipazione evidenziare Anderle- anche se non siamo degli architetti Roberto Pezzato e Lorenzo mai stati soli. L’appoggio degli esperti Beber. E di tutti gli altri che hanno reso Marco Gramola e Volker Jeschkeit è possibile la riapertura del forte”.
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RICORDATI I CADUTI DEL BASSON A passo Vezzena nel territorio del comune di Levico Terme, è stato ricordato a cura dei Fanti - sezione di Levico Terme, il 101^ anniversario della battaglia del Basson quando, nella notte fra il 24 e il 25 agosto 1915, a pochi mesi dall’apertura delle ostilità contro l’Impero Austroungarico, negli scontri persero la vita 1.048 fanti e 43 ufficiali di truppa italiani, nonchè molti soldati dell’Impero Austroungarico. All’appuntamento commemorativo vi hanno partecipato numerosi cittadini ed una sessantina di rappresentanti di associazioni combattentistiche e d’arma con i loro gagliardetti, venuti da tutto il Trentino e dal Veneto. Dopo l’ammassamento, tutti hanno sfilato, capeggiati dalla Banda di Caldonazzo, fino al monumento che li ricorda e dove è stata deposta una corona d’alloro a cura dei Fanti di Levico. Sono state quindi issate le tre bandiere: austriaca, europea e italiana e si sono tenuti poi i discorsi di circostanza da parte di alcune autorità civili e militari: il sindaco di Levico dott. Michele Sartori, il consi-
gliere provinciale Gianpiero Passamani, il vicepresidente nazionale dei Fanti Gomitolo, il presidente dei Fanti di Levico Terme Guido Orsingher, il presidente dei Fanti di Treviso, Pier Prete. Un’altra corona è stata deposta poi al vecchio monumento a cura dei Fanti di Treviso e una terza a cura dei Finanzieri al monumento davanti la chiesetta di Santa Zita. Qui il cappellano della Finanza don Mario Mucci ha celebrato una S. Messa. (m.p.)
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a sempre lo sport, appreso e praticato a tutti i livelli e nelle sue varie forme, aiuta gli individui, specialmente i bambini, a crescere, a socializzare e a formare, plasmandoli, il loro carattere e la personalità. Fare sport non significa infatti continuo agonismo a confronto per stabilire chi è il migliore. Fare sport innanzitutto vuol dire comprendere se stessi e verificare le proprie capacità. Ed è importante far vivere ai bambini esperienze di movimento, di divertimento legato all’ azione di gioco o all’apprendimento di una qualsiasi disciplina sportiva. In questo contesto e in questa logica, quindi, assume particolare significato quanto l’Associazione sportiva dilettantistica New Skating Butterfly concretizza per rivolgersi soprattutto ai bambini e giovani. E’ infatti dal 1996 che si occupa di avviare bambini e ragazzi alla pratica del pattinaggio artistico su ghiaccio, e in particolare, del pattinaggio sincronizzato. E come tradizione ed impegno societario vuole, anche quest’anno la New Skating Pergine “Butterfly riprende la sua attività d’insegnamento riproponendo una serie di corsi sia per piccoli che per adulti. Lo scorso anno, come ci sottolinea il presidente Maurizio Beber, l’Associazione ( il direttivo è formato dal Vicepresidente Monica Angeli e dai consiglieri Matteo Savastano, Claudio Eccher e Floriani Sandra) la partecipazione ha raccolto quasi 150 iscrizioni, di cui ben 61 che erano alla loro prima esperienza. Un dato questo, più che significativo e che gratifica gli organizzatori se si considera anche che gli iscritti provenivano da tutta la Valsugana, Vigolana, Pinetano e Tesino compresi. Una iniziativa che ogni anno riscuote unanimi consensi, specialmente da parte dei genitori, che grazie a questi particolari corsi, vedono i loro figli non solo impegnati nella pratica luco-sportiva, ma anche e principalmente concretizzare quella vita in comune che è elemento formativo della loro personalità.
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TRA CULTURA e TRADIZIONI
Canti Sdegno
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e serenate per dichiarare amore non sempre finivano serenamente con un tacito accordo e non sempre bastevole era la volontà della ragazza. A lei il giovane dichiarava i propri sentimenti, ma destinatari del canto erano anche i suoi genitori, ad essi egli presentava richiesta di fidanzamento ufficiale. Ove il canto non fosse gradito, marito e moglie lo notificavano all’interessato, naturalmente non in maniera verbale. Di norma era la moglie che si incaricava di affacciarsi al balcone e di rovesciare ‘casualmente’ in strada, possibilmente sul cantore, dell’acqua, non sempre limpida, talvolta quella che si accumulava nei vasi per le necessità notturne. Se ad affacciarsi era il marito, la risposta era più convincente e definitiva: un colpo di fucile, sparato in aria, una minaccia che chiudeva la porta ad ogni speranza ed invitava il giovane a rivolgere altrove le proprie attenzioni. Gran vanto per un giovane interrompere il rapporto amoroso, abbandonare la fidanzata, ma un amore non corrisposto o tradito lo mette alla berlina e lo spinge ad una rivincita coram populo. Ecco i canti di sdegno come risposta all’affronto ricevuto, per recuperare la dignità offesa, lavando l’onta dell’umiliazione. La preparazione della serenata è segreta, nella valutazione dei rischi che comporta. Per un canto di sdegno non occorre un complesso musicale numeroso, basta la sola chitarra ed una voce, un numero esiguo per essere agevole una eventuale possibilità del gruppo di ritirarsi e di ab-
bandonare velocemente il luogo. Il patrimonio popolare offre numerosi canti di sdegno, ma, a volte, egli trova nuove rime e versi inediti, quelli che più servono per liberarsi dalla rabbia ed arrecare offesa.
Un iornu ti cci ha vìdiri arriddutta nè maritata nè zita né schetta. (Un giorno spero vederti ridotta / né maritata né fidanzata né nubile.) Qualche volta, la notizia di ciò che egli organizzava alla famiglia della destinataria, allora essa apprestava la contromossa in maniera che a rimanere maggiormente scornato fosse il corteggiatore. Si narra ancora di una giovane che, dopo avere ascoltato il canto di sdegno a lei dedicato, si è affacciata al balcone, sostenuta dalla famiglia, ed ha risposto,
di Francesco Canatella sempre in canto, con il seguente distico:
Mancu si ti vidissi d’oru vistutu, i ti vulissi pi maritu. (Neanche se ti vedessi ricoperto d’oro, / io ti prenderei per marito.) Le serenate di sdegno sono un concentrato di insulti verbali che mirano ad offendere, mettendo in risalto difetti, veri od inventati, dell’ex innamorata, oltraggiando anche i suoi familiari.
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TRA CULTURA e TRADIZIONI Sugnu cuntenti e ringràzziu Dìu ca di ss’èbbica tò mi nn’arrassavu. Ti sputu, ti rinùnciu e ti schifìu, sputu li mani mii si tì tuccaru ca, si pi sorti, a la missa ti viu, nèsciu, perdu la missa e mi nni vàiu. (Sono contento e ringrazio Iddio, / di essermi allontanato dalla tua famiglia. / Ti sputo, rinuncio a te, ti disprezzo, / sputo le mie mani, se ti hanno accarezzato / e, se per sorte, a messa ti vedo, / esco, perdo a messa e me ne vado.) I canti non possono essere lunghi, pochi versi debbono bastare per dire quello che più urge al cuore leso. Spesso dei semplici distici. All’attacco canoro, il vicinato si desta. Il tenore delle parole, gridate più che cantate, sono un motivo convincente per rimanere a letto. Le finestre restano chiuse, non è necessario curiosare, il fatto è risaputo, le reazioni attese. Le regole sociali dei canti di sdegno sono a tutti noti. Il giovane che porta offesa lo sa ed è per questo che si mantiene a de-
bita distanza dalla casa dove lei abita. Le esperienze paesane narrano di vicende, finite in cruento scontro. Non è mai l’offensore a passare dalle parole ai fatti, la reazione è sempre del genitore di lei che, per mostrarsi uomo, ferito nell’onore, reagisce per tacitare quella voce che umilia la figlia. Successe che il cantore, non aveva ancora completato lo sfogo canoro, sentì
arrivare delle ripetute sassate, tirategli dal mancato suocero, il quale, postosi al balcone, dove le pietre erano state appositamente ammassate, tentava di colpirlo. Regola non scritta voleva che l’offensore, non accettasse sfide e si ritirasse in fretta, ma egli non seppe resistere alla voglia di rispondere alle sassate con altre sassate. Le strade, al tempo non lastricate, offrivano sassi a
ABBIGLIAMENTO E INTIMO DA 0 A 99 ANNI
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TRA CULTURA e TRADIZIONI volontà. I contendenti diedero vita ad una breve e furiosa sassaiola, al termine della quale a farne le spese furono i vetri delle finestre della casa, ridotti in frantumi. Uno degli ultimi canti di sdegno a Cianciana è stato composto e cantato da Modesto Abella, non in una serenata notturna, bensì in una situazione particolare e senza accompagnamento musicale. Traduco la narrazione dialettale: Nel 1942, ci amavamo di cuore con Nina e i miei genitori la chiesero in matrimonio. Suo padre chiese otto giorni di tempo per darci risposta, ma dopo appena cinque giorni ci disse: Ho una figlia maggiore di età, se prima non sposo lei, non posso fidanzare Nina. - Era una scusa, la madre preferiva a me, bracciante agricolo, un altro agiato pretendente. Decisi di dedicarle una serenata di sdegno e composi i versi un poco alla volta. Un giorno, tornando dalla campagna, nella terra accanto alla trazzera che percorrevo, vidi Nina e la mamma che abbacchiavano
olive. Non ho resistito e ho iniziato a cantare: Cci voli curàggiu a canùsciri genti, avi na figlia e la prumetti a tanti, avi na figlia cu li hianchi lenti, pari la signa chi purtà l’opranti. Intra vi resta pi troffa di ddisa annu pi annu cci at’a fari bbusa[1].
(Ci vuole tempo per conoscere la gente, / ha una figlia e la promette a tanti, / ha una figlia con i fianchi cascati, / sembra la scimmia che ha portato il commediante. / A casa vi resta come cespuglio di ampelodesmo, / anno dopo anno vi servirà per provvedervi di busa.)
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La chiesa di
Sant'Ermete di Chiara Paoli
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ant’Ermete a Calceranica al Lago è ritenuta la più antica chiesa di tutta la Valsugana, il passato di questa pieve si intreccia agli antichi culti dei romani, al suo interno è stata infatti rinvenuta una stele romana dedicata alla dea Diana. La celebre ara di Diana in calcare bianco ammonitico viene citata dal Mariani nel 1673, nella sua “Storia del Concilio di Trento”, e per lungo tempo rimase esposta all’esterno della chiesa, mentre oggi trova sede al suo interno, di fronte all’entrata laterale. La stessa intitolazione della chiesa a Sant'Ermete, - Secondo la tradizione, Ermete nasce in Grecia nel primo secolo, ricco liberto morto martirizzato a Roma nel 120 e sepolto nel cimitero di Bassilla sulla via Salaria Antica. Ucciso per ordine di un giudice chiamato Aureliano, insieme ai suoi compagni. Secondo studiosi laici del cristianesimo sant'Ermete è uno degli esempi di annessione al culto cristiano del dio olimpico Hermes, ossia Mercurio, che
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veniva celebrato il 28 agosto, quando la Chiesa cattolica celebra il santo che si dice guarisca i malati di mente; riscontrati i collegamenti con il mondo pagano, la sua commemorazione è stata rimossa dal martirologio romano nel 1969. - ha indotto gli studiosi a datarne l’architettura a tempi molto lontani. Secondo Ochner un primo complesso venne edificato nel II secolo. Schmid più recentemente ritiene che l’opera possa risalire alla metà del IV secolo, mentre Campregher, a distanza di qualche anno, sposta ulteriormente la datazione per giungere al VIII-IX secolo. L’edificio, in stile romanico gotico e con orientamento a Nord, che spicca su uno sperone roccioso nel centro storico del paese, viene però nominato per la prima volta in un documento soltanto nell’anno del Signore 1346. La pieve è arricchita da un portale principale in pietra rossa sul cui architrave è presente lo stemma dei Conti Trapp e l’iscrizione latina: “L’anno 1512 fu restaurata questa chiesa dai nobili Trapp, Signori di Beseno e Caldonazzo. Fabiano Rillas, capitano di Caldonazzo, comandò di annotare”. La facciata è lineare e intonacata a raso sasso, con tetto a due spioventi, intervallata solamente dall’apertura d’accesso e dalle due monofore laterali. Sulla sinistra troneggia il campanile con cella a quattro monofore e vertice in muratura, e al suo fianco si apre un elegante protiro aperto su
due lati da arcate in pietra bianca e rosa sorrette da una colonnina. L'interno si presenta a un'unica navata, con soffitto piano in legno, mentre l'arco santo in pietra immette per mezzo di un gradino nella zona del presbiterio che presenta una volta a costoloni, così come l’abside e il protiro esterno, elemento tipico delle architetture gotiche e testimonianza degli interventi finanziati dai conti Trapp. Nel presbiterio, dopo il Concilio di Trento, ha trovato collocazione un altare ligneo con una pala a olio di ignoto raffigurante in alto la Madonna col Bambino e Sant’ Anna, in basso al centro S. Giuseppe e S. Gioacchino e ai lati figurano S. Ermete e S. Agostino. Sant’Ermete è in veste senatoriale romana e si riconosce dai due attributi che reca tra le mani: rispettivamente il bastone di comando e la palma del martirio. Ai lati dell'arco santo sono presenti degli affreschi che ritraggono alcune figure di santi, databili al primo quarto del XVI secolo, opera di un anonimo frescante di scuola locale. La decorazione dell'arco santo viene portata a termine nel settecento con l’aggiunta in alto di due padiglioni oggi difficilmente visibili. Come tutte le pievi della Valsugana, dal 1786, dopo un lungo periodo di dipendenza dalla diocesi di Feltre, passa sotto l’egida di quella Trentina, e tra il 1833 e il 1855, date ipotizzate dallo
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AUGURONI GIUSEPPINA
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Schmid, le decorazioni dell’arco santo subiscono una scialbatura (vengono cioè intonacati, ricoperti da pittura bianca), per essere riscoperti nel 1883 in occasione dei lavori di sistemazione del soffitto. Le pitture, recentemente restaurate, rappresentano la Santissima Trinità con San Nicola e un altro santo vescovo con l’iscrizione “Cristoforo della Bottega f.f. 1578”, molto probabilmente una personalità importante di Calceranica che commissionò l’opera. L’affresco di destra, illustra la Madonna del Rosario fra i Santi Rocco e Lorenzo, diacono e martire ed è stato realizzato per volere del Conte Trapp. In realtà si ritiene che la chiesa fosse interamente ricoperta al suo interno di dipinti che oggi risultano svaniti. Tra il 2003 e il 2004 l'edificio è stato sottoposto a un intervento di restauro conservativo che ha riportato l’edificio all’antico splendore.
stato festeggiato alla grande presso l’APSP San Valentino di Levico Terme, il compleanno di Giuseppina Tomasi. Un traguardo del tutto speciale: 103 anni di vita e molto atteso da Giuseppina, come ci ha confidato Gisella Iseppi, una delle animatrici dell’Istituto, perché voleva fare festa con le persone a lei care. Al pranzo ha voluto avere vicino i nipoti e la sua cara amica Lidia accompagnata dalla figlia. Nel pomeriggio si sono stretti attorno alla festeggiata altri parenti ed amici nonché il direttore dell’APSP Fabrizio Uez con la presidente Martina Dell’Antonio. C’era pure l’assessore Giuliana Sighel in rappresentanza del comune di Baselga di Pinè, dove Giuseppina risiedeva fino al 2010. Date le sue ancor buone condizioni di salute, Giuseppina, sia pur emozionata, si è intrattenuta con tutti in allegra conversazione. Poi la grande sorpresa: un giro in carrozza per le vie di Levico offerto dal cocchiere Calogero Polizzi, dove residenti e turisti hanno applaudito al suo passaggio donandole così nuovi momenti di gioia e di commozione. “Non avrei mai pensato, ci ha confidato, di festeggiare questo mio nuovo compleanno e tantomeno in questo modo così solenne. Speriamo in una nuova festa il prossimo anno” (m.p.)
CALDONAZZO
UN GIORNO DI FESTA
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ra i momenti più salienti legati alla solennità di SS. Angeli Custodi, patroni di Caldonazzo e festeggiati domenica 4 settembre scorso, va certamente ricordato lo spettacolare corteo di persone che, al termine del rito religioso presso la chiesa di Caldonazzo, in devota processione hanno sfilato per le vie principali del centro storico, capeggiate dalla locale banda musicale, fino al ritorno nella parrocchiale. Un giorno di festa tanto caro alla gente del posto che vi ha partecipato in massa unitamente ai rappresentanti della principali associazioni di volontariato, Vigili Urbani e Carabinieri. Alle spalle del corpo bandistico che marciando intonava le musiche più adatte alla ricorrenza, c’erano i sacerdoti concelebranti e poco dopo la camionetta dei Vigili del Fuoco che trasportava la grande statua dell’Angelo Custode, simbolo della festività. In occasione della festa il locale Gruppo Missionario Santa Teresina di G.B. Onlus, ha organizzato un mercatino missionario a favore delle popolazioni colpite dal terremoto. (m.p.)
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Il recupero e la conservazione dell’antico maniero medievale
Castellalto,
storia di casa nostra
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astellalto, l’antico maniero medievale che ancora oggi sovrasta l’abitato di Telve, faceva parte di un imponente sistema fortificato a protezione della vallata assieme a Castel Telvana, Castel San Pietro e Castel Arnana (castello, quest'ultimo, di cui oggi non rimane più traccia e che sorgeva sul dosso detto del Castelletto). L’avevano eretto, nel XII secolo , i signori di TelveTelve, feudatari dei vescovi di Feltre, in una posizione più strategia ed elevata rispetto al loro castello di origine, per l’appunto Castel Arnana. I signori di Telve possedevano anche il Castel San Pietro, vicino a Torcegno: da ognuno di questi tre castelli un ramo diverso della famiglia governava alternativamente la giurisdizione. Con il passare degli anni, e dei secoli, i tre rami della famiglia si estinsero e i castelli passarono ad altri proprietari. L'ultimo dei Telve fu Francesco Castellalto, colonnello imperiale. Alla sua morte, avvenuta nel 1555, il Castellalto passò ai Trautmannsdorf che lo vendettero nel 1635 a Claudia de' Medici, arciduchessa d'Austria e contessa del Tirolo. Nel 1652 il castello venne dato in pegno ai fratelli Zambelli di Bassano.
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In seguito nel 1674 passò ai Buffa che furono elevati al rango nobiliare di baroni e condividevano l'amministrazione della giurisdizione con i conti Giovannelli di Castel Telvana. Oggi del castello esistono solo dei vecchi ruderi ed raggiungibile, con una piacevole passeggiata, partendo dalla frazione Parise. Durante il periodo napoleonico, la giurisdizione del Castellalto fu soppressa per passare a Borgo, ma venne ricostituita dopo la Restaurazione. Nel 1825 la giurisdizione fu definitivamente cancellata ed il castello abbandonato. Negli anni era diventato anche una cava di pietre e durante la Prima Guerra Mondiale venne pesantemente danneggiato. I resti del maniero, di grande impatto, permettono ancora di avere una chiara percezione di quello che doveva essere l'antico impianto del castello. Sull'arco della porta, a tutto sesto della torre, si trova incisa la data 1556 e, fino a poco tempo fa, era possibile scorgere le tracce di un interessante affresco medievale sulla parte di quella che probabilmente era la cappella del castello. Da molti anni, però, il comune di Telve ha iniziato un lungo iter bu-
rocratico finalizzato al recupero ed alla conservazione di quello che rimane dell’antico maniero medievale. E, nelle scorse settimane, nel corso di un pomeriggio di porte aperte, sono stati presentati i lavori del primo lotto del restauro conservativo. Una giornata, quella organizzata dal comune e dall’assessore Lorenza Trentinaglia, servita per poter visitare la parte bassa dell’antico maniero, un cantiere seguito passo dopo passo dall’architetto Giorgia Gentilini che ha ripercorso le tappe di un lungo percorso. Finora sono stati investiti poco più di 200 mila euro per un intervento che, per riuscire a risanare l’intera area, prevede la realizzazione di ben cinque lotti di lavori. Dopo il risanamento della parte bassa, si dovrebbe ora mettere mano alla parte superiore del vecchio castello. Tutto è nelle mani della Sovrintentenza dei Beni Culturali a cui il comune ha inoltrato, da tempo, la richiesta di finanziamento dell’intervento. Dopo il saluto dell’assessore e del professionista, il pomeriggio è proseguito con un breve concerto del Gruppo Vocale Sintagma ed un rinfresco a cura dell’Associazione Comitato San Michele. (A.D.)
Il Manghem Team... è d'ORO
Delladio vince il Rallye Historique San Martino L
a settima edizione del Rallye Historique San Martino di Castrozza è stata una gara ricca di colpi di scena e avvicendamenti, sia per quanto riguarda il rally quanto per il revival di regolarità sport. Si inizia il venerdì sera con la disputa della prova speciale spettacolo nella quale Giorgio Costenaro e Sergio Marchi sono i più veloci con la Lancia Stratos; il duo marosticense si ripete nella prima prova del sabato, la “Sagron Mis”, ma nella successiva abbandona subito dopo lo start. La lunga e temuta “Valmalene” da il primo scossone alla classifica grazie allo scratch di Claudio Zanon e Maurizio Crivellaro con la Porsche 911 RSR i quali passano al comando con oltre un minuto su un convincente Andrea Montemezzo con l’Opel Kadett GSI che divide con Andrea Fiorin e su Pierluigi Zanetti e Roberto Scalco, provvisoriamente terzi con l’Opel Ascona e tallonati da un veloce Gianluigi Baghin ben coadiuvato
da Elsa Daldosso sull’Alfa Romeo Alfetta GTV; attardati Lorenzo Delladio e Remo Bazzanella a causa della rottura di un condotto dell’impianto frenante della Posche 911 SC che costa loro un pesante gap. Sistemato il problema, il duo del Manghen Team si riscatta vincendo la “Gobbera” ed iniziando la rimonta dalla sesta posizione. Il secondo giro di prove regala un altro colpo di scena: a “Sagron Mis” si ferma per problemi meccanici la Porsche 911 di Zanon e Montemezzo si ritrova leader con Baghin alle spalle e Delladio che si porta in terza posizione e sulla successiva “Valmalene” sferra l’attacco che lo fa balzare al comando con 15”7 sul padovano dell’Opel. Delladio ribadisce la superiorità firmando i due scratch conclusivi e arriva sulla pedana a San Martino a festeggiare il primo successo assoluto in un rally storico: equipaggio, scuderia e gara, tutto firmato Trentino! Il podio viene completato da Monte-
mezzo e Fiorin autori di una gara perfetta che vale loro anche la vittoria di 4° Raggruppamento e da Baghin e Dal Dosso davvero bravi e tenaci nel proseguire anche dopo un problema che ha rischiato di veder terminare anzitempo la gara. Decisamente positiva anche la prestazione di Stefano e Lino Oss Pegorar, quarti assoluti con un’altra Opel Kadett GSI e gara da incorniciare per Roberto Naclerio e Michele Bizzotto, quinti su Opel Ascona SR. I bresciani Ruggero Brunori e Claudio Filippini portano in sesta posizione la Porsche 911 SC e in settima troviamo la Peugeot 205 Rallye, la più piccola di quelle in gara, dei bravi Mauro Taverna e Gianantonio Corso. Roberto Stevan e Lucio Baggio, ottavi, festeggiano il successo nel 2° Raggruppamento ottenuto con la Fiat 125 Special, la più datata delle vetture al via. Ancora Opel a completare la top ten con l’Ascona SR 1.9 di Paolo Dal Corso e Filppo Destro, noni, e Pierluigi Codato con Federico Busolin, decimi con la Kadett Gt/e. Combattuta ed avvincente anche l’ottava edizione del Revival San Martino di Castrozza settimo appuntamento del Trofeo Tre Regioni che vedeva al via tutti i maggiori protagonisti della serie. Dopo otto rilevamenti al centesimo di secondo, Andrea Giacoppo e Andrea Tecchio su Autobianchi A112 Abarth si sono aggiudicati la vittoria e per il driver vicentino si tratta del quarto successo stagionale nel Trofeo
Ufficio Stampa Rally San Martino Historique Andrea Zanovello www.rallysmedia.com
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Dalla Valsugana a Rio di Veronica Gianello
Noi volontari ai Giochi Olimpici 2016 Veronica, con il suo ragazzo Riccardo «insieme a un gruppo di ragazzi della Valsugana abbiamo avuto la fortuna — come suggerisce l’hashtag ufficiale dei Giochi — di “essere Rio 2016”», ci racconta il «sogno» di partecipare come volontaria, rispondendo più di due anni fa al reclutamento volontari dei Giochi Olimpici 2016. La procedura di selezione prevedeva diversi step: lettere di motivazione, pratiche burocratiche, interviste online, lavori di gruppo e simulazioni. A ogni passaggio in cui risultavo idonea mi entusiasmavo sempre di più e iniziavo a vedere questa possibilità più vicina. Ma è stato solo a novembre scorso che è arrivata la conferma. Mi sono svegliata una mattina con il telefono pieno di messaggi “Mi hanno presa!”, “Andiamo a Rio!”. Apro velocemente la mail ed eccola anche per me, la tanto aspettata letter of invitation, l’invito formale del Comitato Olimpico a prendere parte ai Giochi come volontaria. La possibilità diventa concretezza. Per la cronaca le richieste di partecipazione come volontari alle olimpiadi sono state oltre 250mila proveniente da tutto il mondo.
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’avventura comincia il 5 agosto insieme al mio ragazzo Riccardo che come me è stato selezionato per lavorare a Rio e anche se le spese sono state quasi totalmente a nostro carico è stata un’esperienza davvero unica. In merito al lavoro, poi, siamo stati decisamente fortunati: abbiamo ricevuto orari accettabili (alcune ragazze dovevano lavorare dalle 6 di sera alle 3 di notte!—una sistemazione molto comoda e dei supervisor disponibili e competenti. Già dal primo giorno il clima a Rio è quello di una grande festa: la gente sorride, si perde meravigliata tra mille colori, e celebra con allegria l’inizio di questo grande evento. Non c’era grande fiducia sulle possibilità organizzative del Brasile, invece personalmente devo dire che siamo restati colpiti: la città era pulita, la sicurezza
ovunque, e qualora vi fosse qualche pecca, la generosità e la bontà dei carioca — così si fanno chiamare gli abitanti di Rio — ha compensato le piccole e inevitabili mancanze del sistema. Certo, questa bella copertina non ci fa dimenticare che a Rio ci sono più di 100 favelas, che problemi come la criminalità, la prostituzione minorile, le malattie sono comuni e diffusi, ma con un occhio di riguardo e un po’ d’attenzione si può girare tranquillamente per le strade della città. Tutto qui sembra enorme e le distanze sono sorprendenti. Ci rendiamo subito conto di come sia incredibilmente difficile gestire e organizzare un’Olimpiade. Ognuno dei 50.000 volontari prima di iniziare il proprio servizio deve recarsi a Cidade do Samba, sede storica del Carnevale di Rio de Janeiro, che per l’occasione si è trasformato nel
Centro di Accredito e Consegna Uniformi. Siamo tantissimi e, pur essendo tutto ordinato e controllato, ci impieghiamo circa due ore per completare il tutto. Ci cambiamo velocemente ed eccoci pronti: divisa giallo sgargiante per poter essere subito riconoscibili, tessera dei trasporti alla mano e già dal pomeriggio iniziamo a lavorare. I ruoli da ricoprire sono veramente tanti e la mole di lavoro non indifferente. Riccardo è stato assegnato al Tennis Center all’interno del Villaggio Olimpico e ha lavorato come statistico: il suo compito era quello di seguire diversi match registrando punti e tipi di battuta. Io invece ero nella squadra dei Servizi Linguistici al Whitewater Stadium dove si sono disputate le discese di canoa e kayak. Il mio compito è stato quello di facilitare gli atleti italiani e spagnoli nella comunicazione con i
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giornalisti internazionali e di fare da interprete nelle conferenze stampa e nelle interviste post gara. Ho capito subito che il lavoro mi sarebbe piaciuto molto, ma al primo giorno di gare… Wow! Il clima, l’arrivo delle delegazioni, l’attesa nella zona mista, i giornalisti da tutto il mondo, e l’emozione negli occhi degli atleti sono immagini e sensazioni che difficilmente dimenticherò. I giorni sono passati velocissimi, e ho avuto la possibilità di lavorare in un team di professionisti e di conoscere gente da tutto il mondo. Dopo ben due primi posti nelle giornate di qualifica per l’Italia, purtroppo nulla di fatto al kayak per Horn e De Gennaro, ma assistere a una cerimonia di premiazione è stata comunque un’esperienza davvero toccante, e anche senza medaglie italiane è stato appagante poter stare a stretto contatto con gli atleti che si sono dimostrati da subito molto alla mano. Alcuni di loro conoscono già molto bene l’inglese e quindi non hanno bisogno del supporto di interpreti e mediatori. Eppure, mi è successa una cosa divertente. Il kayakista De Gennaro—tra gli atleti con inglese fluente—sapendo che non avrei potuto lavorare se lui avesse parlato inglese con i giornalisti ha finto un improvviso lapsus e appena prima di giungere alla conferenza stampa ha esclamato “Oh no, ho improvvisamente dimenticato l’inglese! Mi servi-
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rebbe proprio un’interprete!”. E così mi sono ritrovata a tradurre botta e risposta tra lui e i giornalisti! È stata una situazione comica, ma mi ha anche fatto capire che spesso i grandi campioni olimpici sono persone semplici, che amano ridere e scherzare. Ho lavorato dal 6 al 12 agosto, lasciando l’hotel la mattina alle 8 e rientrando verso le 7 di sera. I trasporti purtroppo non offrono sempre collegamenti comodi, il traffico è spesso congestionato e questo ovviamente comporta ritardi e lentezza. Ad ogni modo la gioia di essere a Rio, ed essere parte di un evento del genere ci ha fatto dimenticare ogni sera la stanchezza, e dopo una doccia rigenerante ci siamo concessi delle uscite per esplorare un po’ la città, svestendo per qualche ora i panni di volontari. Ci siamo anche accorti che il mondo è davvero piccolo. Parlando con i membri del team di Riccardo un giorno, abbiamo menzionato il fatto di venire dalla Valsugana e un ragazzo messicano ha esclamato: «Ma io conosco una ragazza della Valsugana!». Scopriamo così che nel 2010 sua sorella ha partecipato al progetto di gemellaggio con l’Istituto Degasperi di Borgo Valsugana, ed è stata ospitata da Alice Pierotti di Ospedaletto. E come se non bastasse… Anche Alice si trovava con noi a Rio nei panni di volontaria! Una coincidenza davvero inaspettata. Essere parte di Rio 2016 non è un’esperienza che finisce quando esci dall’arena in cui presti servizio. Essere parte di Rio 2016 ti coinvolge totalmente: dalle uscite tra churrasco e caipirinhas con i colleghi, ai momenti di pausa bevendo acqua di cocco e mangiando açai a Copacabana, dall’emozione di vestire l’uniforme allo scambio di spille tra volontari, credetemi, c’è una competizione incredibile per chi ne colleziona di più! Essere volontario non
è — per definizione — un lavoro, ma senza l’impegno e l’energia di queste 50.000 persone, sarebbe stato impossibile riuscire a realizzare un’Olimpiade di tali dimensioni. In generale, senza volontari lo sport e gli eventi culturali non hanno possibilità di sopravvivere. Per noi partecipare alle Olimpiadi è stato un arricchimento personale, un’occasione di crescita, e un momento di condivisione davvero unico. E adesso… Aspettiamo Tokyo 2020! Prima di chiudere questo mio scrivere permettetemi di presentarvi “Casa Italia” CASA ITALIA ovvero la “tana2 degli Azzurri a Rio. Durante il periodo olimpico nella città ospitante, vengono spesso create le Case Nazionali delle delegazioni partecipanti. La Casa è un luogo in cui ogni Paese può mostrare le proprie bellezze, la gastronomia, la cultura, e ovviamente sfoggiare con orgoglio i propri vanti sportivi. Ci sono Case inaccessibili come quella degli Stati Uniti, Case aperte come Casa Francia, Casa Austria e Case con accesso su invito. Tra queste ultime c’è anche Casa Italia, che in quanto a bellezza e imponenza lascia davvero poco spazio alle rivali. Realizzata nella suggestiva cornice del Costa Brava Clube, su un promontorio a strapiombo sull'oceano, distribuita su ben 1.700 metri quadri è raggiungibile tramite un lungo ponte con vista sull’oceano che lascia davvero di stucco. Al suo interno, ha accolto spazi espo-
sitivi dedicati al Made In Italy e all'enogastronomia. La cucina è stata affidata invece allo chef stellato Davide Oldani.Non essendo giornalisti, vip, né tantomeno atleti, nessuno di noi aveva l’invito per entrarci. Quando, però, dopo vari consulti ci viene dato il permesso di visitarla siamo un po’ increduli, ma non ce lo facciamo ripetere due volte e corriamo all’ingresso! L’interno è indescrivibile, maestoso, e lo stile e l’eleganza italiana si leggono in ogni angolo. Tutto è scavato nella roccia, alle pareti sono appese delle foto dei luoghi tipici, e le tante finestre con vista oceano danno l’idea di viaggiare su una nave. Una volta che si è invitati come ospiti si ha accesso a tutti i trattamenti e servizi: spa, piscine, palestra e ristorante. Il tempo all’interno vola e quando decidiamo che è giunta l’ora di avviarci all’uscita, proprio in quel momento entra la delegazione di ginnastica artistica al completo. Essendo il mio sport preferito, avendolo praticato e insegnato per diversi anni non riesco a crederci, e mi sembra ancora più assurdo, ma meraviglioso essere lì. Trovo il coraggio di chiedere una foto, di scambiare due parole e la mia gioia e felicità diventa un qualcosa da conservare e ricordare.
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Tania tania
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Foto di Giuseppe Facchini
LA ragazzA immagine
TANIA
di Giuseppe Facchini
la ragazza dagli occhi azzurri S guardo ammaliante che attira e colpisce chi la osserva, capelli biondo vivo, un metro e settanta con un fisico atletico e ben proporzionato (la nostra Tania pratica attività agonistica nella pallavolo sia con la squadra dell’Alta Valsugana Volley in serie C sia nell’Under 18). Sorriso aperto, solare, per certi aspetti accattivante che bene si sposa con la simpatia che nei dialoghi sa emanare. Sono questi alcuni dei segni particolari che appartengono alla ragazza immagine di questo mese. Tania è una 17enne di casa nostra, vive infatti a Pergine insieme a papà Marco, mamma Manuela, i fratelli Nicola 16 anni e Thomas 14 anni, con i quali con-
divide la passione per la pratica sportiva. I fratelli infatti sono atleti agonisti junior a livello nazionale specialità pattinaggio su velocità, uno in pista lunga e uno in pista corta. Dialogando con lei subito ci si accorge che della vita e sulla vita ha le idee ben chiare, certamente derivanti dagli insegnamenti ricevuti dai genitori. Tania, come tutte le ragazze, non solo ama la musica, il divertimento e lo stare insieme con la gente, ma non di rado è attratta dal grande universo moda e spettacolo anche se, ci tiene a sottolinearlo, non è il principale obiettivo del suo futuro. “Quello che per me è importante, ci sottolinea, è il rispetto per il prossimo
e dare il giusto e pieno peso ai valori della vita. Senza condivisione dei principi etici e morali, non si può pensare a un mondo migliore dove i giovani possono trovare la loro giusta dimensione e il loro futuro. Tocca a noi, individui della nuova generazione, credere al domani e costruirlo con il continuo impegno e la continua applicazione di tutti quei concetti e insegnamenti che abbiamo ricevuto dai nostri genitori e dagli anziani. Purtroppo, continua Tania, la moderna società ha perso o ha dimenticato i veri valori della vita. E gli esempi di malcostume, specialmente tra i giovani, sono tanti. E purtroppo, anche con e in internet, continuamente crescono e si manifestano”.
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I Castelli Valsugana della
Castel Telvana - Borgo
Nelle antiche fortificazioni medioevali «si riconosce la capacità di attirare su di sé l'interesse di tutti: quello dello studioso, che con attenzione scientifica cerca di leggere l'architettura passata attraverso l'analisi delle murature e degli intonaci; come quello del bambino, che va oltre a ciò che vede, facendo correre l'immaginazione tra leggende e saloni affrescati».
H
o voluto iniziare questo articolo (il primo di una serie dedicati ai castelli della Valsugana) con una citazione che, secondo il mio avviso, riassume perfettamente il ruolo assunto oggi dalle numerose fortezze presenti nelle vallate trentine. A parlare è Giorgia Gentilini (Presidente dell'Associazione Culturale Ricerche e fortificazioni altomedioevali e Vicepresidente dell'Istituto Italiano dei Castelli – Sezione Trentino). La frase, presa in prestito, si trova nell'introduzione al volume «Castelli del Trentino», edito dalla Provincia Autonoma di Trento, curato da Umberto Raffaelli, e pubblicato nel 2006. Una monografia che riassume il ruolo e la storia delle fortificazioni medioevali che ancora oggi dominano le valli della nostra Provincia. Il castello, infatti, ha perso la sua funzione originaria di presidio e difesa militare del territorio, per assumere quella di monumento della memoria. Il castello, quindi, è una realtà capace di unire, al
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giorno d'oggi storia e fantasia. Una storia antica. Una storia che ha origine in un tempo remoto. Oggi come all'epoca, questi antichi guardiani di pietra sorgono sulle principali vie di comunicazioni. Vie e strade e che in passato collegavano l'Italia con il mondo germanico. Storicamente l'incastellamento ha origine con l'indebolimento dell'Impero Romano e con il passaggio delle "orde barbariche". Ma è proprio nei secoli compresi fra IX e l'XI dopo Cristo, che il fenomeno dell'incastellamento inizia a manifestarsi con una certa importanza. Le invasioni dei normanni da nord, degli ungari da est e dei saraceni da sud, (siamo nei secoli a cavallo fra l'800 e il 900) obbligano le comunità locali ad erigere fortificazioni a fini difensivi. È in questo periodo storico che l'Europa assume quei tratti paesaggistici che hanno nel castello il proprio elemento caratterizzante. E l'attuale Trentino non è escluso da questo fenomeno. Molti, infatti, sono i
di Andrea Casna
casi di incastellamento risalenti attorno a questo periodo. Ma i nostri castelli narrano anche un'altra storia. Sono dei libri di pietra dai quali apprendiamo il ruolo che il Trentino inizia ad assumere in quel passato lontano, dove storia e mito si mescolano nella nebbia dei secoli. Il Trentino, assieme all'attuale Alto Adige, nasce e si sviluppa come via di passaggio e di transito obbligato fra nord e sud. Una zona strategicamente importante da difendere e controllare. L'origine stessa dei castelli è legata anche al rapporto stretto fra le autorità locali (per fare un esempio, il Principe Vescovo di Trento) e Sacro Romano Impero della Nazione Germanica. Un legame che ha origine proprio durante le invasioni sopra citate, quando Ottone I di Sassonia (incoronato imperatore a Roma nell'anno 962) inizia ad esercitare un controllo sull'area alpina, in modo particolare sull'asta dell'Adige, per avere garantito e assicurato il passaggio verso sud. Un legame che si rafforza nell'anno
Mille: esattamente nel 1027 quando l'imperatore tedesco Corrado II il Salico conferisce al vescovo di Trento, Udalrico II, il controllo sulle contee di Trento, Bolzano e Venosta. E' la nascita, possiamo semplificare, del Principato Vescovile di Trento che, per certi versi, contribuisce a portare stabilità e ordine in una regione di frontiera. Nelle vallate trentine questa stabilità si manifesta con la costruzione di fortezze affidate a uomini d'armi fedeli al vescovo: è l'aristocrazia che per conto dell'autorità tridentina, e a partire da un certo periodo storico anche tirolese, garantisce il controllo e l'amministrazione del territorio. Dietro a ogni castello, quindi, troviamo una famiglia legata, a seconda delle singole fasi storiche, al Vescovo di Trento o al Conte del Tirolo: aspetti questi che saranno approfonditi nei successivi articoli. La Valsugana, come altre valli del Trentino, non è esclusa da tale processo. Castel Telvana, i castelli di Pergine, di Selva di San Nicolò, di San Pietro e Ivano, Castellano e Pietra dimostrano l'importanza strategica della Valsugana.
Una vallata attraversata per secoli, sul solco dell'antica Via Claudia Augusta, da eserciti, mercanti e viaggiatori. Ma vi sono altri luoghi che in modo nascosto e velato testimoniano la presenza di vecchi manieri. È il caso della chiesa di San Biagio a Levico Terme, un tempo sede di un castello, risalente all'anno Mille, ed eretto a controllo e difesa dell'antica via Claudia Augusta. Dall'altra parte, sulla collina fra Tenna e Caldonazzo, in prossimità della chiesa dedicata
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Forte Benna. foto Apt Valsugana Daniele Mosna a San Valentino, si nascondono i resti dell'antico incastellamento dei signori di Brenta: altra fortezza a difesa e presidio della valle. Di questi antichi guardiani rimane poco. Ma oggi, a dimostrare l'importanza strategica della zona e della vallata, si ergono due recenti guardiani di pietra. Sono Forte delle Benne e Forte Tenna: ma questa è un'altra storia.
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Ti preoccupi per tutto? Sei costantemente agitato?
L’ansia generalizzata
di Laura Fratini
Vi è mai capitato di soffrire di uno stato di agitazione molto forte, magari anche immotivato? Spesso capita quando aspettiamo qualcuno, una persona cara in ritardo.Viene naturale chiedersi come mai non è ancora arrivato: sarà accaduto qualcosa? Si sarà sentito male? Questi sono imprevisti che spesso possono succedere nella vita di tutti i giorni e l’emozione che si attiva è quella dell’ansia. Può accadere che questo tipo di emozione possa protrarsi nel tempo senza alcuna ragione apparente, senza avere una domanda a cui dare una risposta. È questa l'ansia generalizzata. Si manifesta in modo molto più lieve rispetto agli attacchi di panico, ma ciò che la caratterizza è la presenza ingiustificata di agitazione e tensione continua che non permette il regolare svolgimento della propria vita. L’ansia generalizzata è un problema che investe il 22,15% delle persone in Italia, nella maggior parte donne, e investe particolarmente le persone con una tendenza caratteriale.
Tuttavia controllare l'ansia si può!
È
un problema che si riscontra anche negli adolescenti e nei bambini, le cause dell’ansia generalizzata sono da ricercare o nell’accumulo di stress che colpisce in modo silente, o in alcuni traumi che vanno a minare la nostra sicurezza personale. Infatti il problema fondamentale dell’ ansia generalizzata è che non ci permette di vivere normalmente la nostra vita e di affrontare i problemi che quotidianamente ci investono in modo tranquillo e razionale ma trasformano ogni evento, anche quello più innocuo, in una situazione che crea panico e agitazione. Le preoccupazioni possono essere accompagnate da: irrequietezza, affaticamento, difficoltà di concentrazione e memoria, irritabilità, difficoltà nel sonno, tensione muscolare o altri disturbi somatici (es: nausea, diarrea, emicrania, sudorazione ecc…). La preoccupazione è eccessiva rispetto all’evento temuto, è inoltre pervasiva e difficilmente controllabile dal soggetto. Il contenuto di tali preoccupazioni si estende solitamente
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a diverse aree tematiche, quali: la famiglia, il denaro, il lavoro, la salute. I criteri diagnostici per il disturbo d'ansia generalizzato proposti dal DSM5 (American Psychiatric Association, 2013) sono questi: • Presenza di ansia e preoccupazioni eccessive, che si manifestano per la maggior parte dei giorni per almeno sei mesi. Presenza di almeno due ambiti diversi di preoccupazione; • La persona ha difficoltà nel controllare la preoccupazione; • L’ansia e la preoccupazione sono associate con almeno tre dei sintomi seguenti: irrequietezza, facile affaticabilità, difficoltà a concentrarsi o vuoti di memoria, irritabilità, tensione muscolare, alterazioni del sonno; • L'ansia, le preoccupazioni e i sintomi fisici provocano una significativa riduzione della qualità di vita del soggetto ; • L’ansia non è dovuta agli effetti di una sostanza o a una condizione medica;
• Il disturbo non è specificato da altre condizioni mediche di natura psichiatrica.
Gli individui con questo disturbo si descrivono di solito come persone sensibili, tendenti al nervosismo e alla preoccupazione cronica, detta anche rimuginio, caratteristica cognitiva principale del disturbo d'ansia generalizzato. Il rimuginio è una catena di pensieri negativi nei quali il soggetto si concentra sulla natura incontrollabile della preoccupazione e sul suo possibile ruolo
nell’evitare gli esiti negativi degli eventi temuti. Ciò che rende la preoccupazione patologica nel disturbo d'ansia generalizzato non è né il contenuto, né il grado con il quale la preoccupazione è riconosciuta come irragionevole, ma piuttosto la percezione che la preoccupazione è eccessiva e incontrollabile. L’obiettivo iniziale del trattamento dei chi si rivolge allo psicologo è quello di rendere consapevole la persona su
quali siano i pensieri controproducenti che genera costantemente e rendere più concrete le preoccupazioni che altrimenti resterebbero confuse e astratte. L’impegno terapeutico consiste nello sfidare e confutare i pensieri disfunzional, ogni volta che si presentano stimoli in grado di scatenarli. La terapia cognitiva, partendo dal presupposto che le interpretazioni catastrofiche delle preoccupazioni sono la caratteristica distintiva del disturbo d'ansia generalizzato, ha come intento quello di reinterpretare le idee, le convinzioni e le aspettative sbagliate e irrealistiche del paziente. Il trattamento è spesso efficace e permette di far tornare la persona a vivere una vita serena, libera dall’oppressione dei pensieri catastrofici che sono generati dalla mente del paziente, causando in lui questo senso di ansia continuativa.
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BENESSERE&SALUTE
ORTOCHERATOLOGIA
Rolando Zambelli è titolare dell’Ottica Valsugana con sede a Borgo Valsugana in Piazza Martiri della Resistenza. È Ottico, Optometrista e Contattologo.
di Rolando Zambelli
Cornea in mappa
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’ortocheratologia è una tecnica di correzione del difetto visivo a mezzo di particolari lenti a contatto rigide gas permeabili (RGP) ad uso notturno. La tecnica è reversibile e non invasiva che necessità però di un uso costante e quotidiano. Le lenti sono costruite su misura con un particolare design che permettono il rimodellamento della curva corneale così da annullare il difetto di vista. Con la lente applicata il difetto è corretto come con una lente tradizionale per cui la visione è buona e rimarrà tale per tutta la giornata anche dopo averla rimossa. L’obbiettivo infatti è di mantenere il rimodellamento corneale per tutta la giornata. Le lenti indossate alla sera e rimosse al risveglio, consentono infatti di vedere bene tutto il giorno. I tempi per ottenere una visione nitida stabile per tutta la giornata dipendono dall’entità dell’ametropia da correggere e da variabili individuali, ma già dopo la prima notte di porto delle lenti si hanno evidenti risultati. Con il passare dei giorni il tempo di visione nitida si allungherà se di più fino a coprire tutta la giornata. La riapplicazione ogni notte mantiene l’effetto stabile, quando si volesse interrompere il trattamento, sarà sufficiente un breve periodo per far tornare la cor-
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nea alla forma originaria. Questo trattamento va fatto sotto stretto controllo dello specialista e vanno rispettate rigorosamente tutte le prescrizioni d’uso e i controlli programmati per minimizzare i rischi che derivano dall’uso di qualsiasi tipo di lente a contatto, sia pure in minima percentuale. Attualmente le lenti per ortocheratologia non possono correggere tutti i difetti visivi. Le indicazioni sono per miopia fino a circa 6 diottrie, nell’ipermetropia fino a 3 diottrie e in alcuni casi di astigmatismo. Valgono le stesse controindicazioni presenti nell’applicazione di lenti a contatto convenzionali. Opportuni esami pre-applicativi e una
prova preliminare permettono di pronosticare il successo applicativo. Le lenti attualmente in uso in ortocheratologia sono molto sofisticate e particolarmente permeabili all’ossigeno così da poter essere utilizzate in tutta sicurezza per il porto notturno. L’ortocheratologia è dunque una tecnica alternativa di correzione del difetto visivo, quando non si desideri utilizzare occhiali o lenti a contatto convenzionali o non si possa o desideri essere sottoposti a chirurgia refrattiva. Questa tecnica viene anche utilizzata nel tentativo di rallentare la progressione miopica in soggetti che presentano un aumento annuale del difetto significativo.
arteeterapia
La bellezza salverà il mondo di Chiara Paoli
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osì affermava il principe Miškin nel famoso romanzo di Dostoevskij intitolato “L'Idiota” e mai silloge a mio avviso fu più appropriata. L’arte come la letteratura, la musica, il teatro, il cinema e quell’immensa opera d’arte che è la natura sanno dare sensazioni impagabili. Alla vista di una tela o di uno splendido paesaggio, come al termine di uno spettacolo o a conclusione di un libro non possiamo fare a meno di tirare quel piccolo sospiro di sollievo che è indice di appagamento. Certo l’effetto può anche essere pari e contrario se si tratta di film violenti o drammatici che possono scatenare in noi quel “magone” che ci accompagna per un tempo indefinito, come una piccola lacerazione nella nostra anima. Non ci sono algoritmi o formule specifiche per spiegare questa nostra istintiva e naturale reazione è qualcosa che viene dal profondo, da quella parte del cervello più irrazionale ed emotiva, quella che risponde in maniera immediata alle sollecitazioni. E’ da questo che prende piede l’arte terapia, percorso di aiuto psicologico e
psicofisico, praticata sin dall’antichità e rinata negli anni quaranta del novecento. Scopo terapeutico avevano in fondo anche certi canti militari, che distogliendo l’attenzione dall’imminente conflitto, fungevano da inibitori contro la paura. Grande precursore dell’odierna Arteterapia è sicuramente il teatro greco, nato come strumento utilizzato per allietare la massa, senza avere alle spalle una visione ed uno studio per il suo uso prettamente terapeutico. L'Arteterapia utilizzata in particolare per dare sollievo a chi soffre di malattie psichiche viene utilizzata dapprima nei manicomi arabi ed è successivamente il dottor Philippe Pinel che introduce questa metodologia all'interno degli istituti di cura psichiatrica europei. Il "maestro" che accompagna questi percorsi deve mettere a disposizione le sue doti empatiche e d'immaginazione, tenendo ben presente le indicazioni dello psichiatraartista che conduce il gruppo e lo scopo ultimo, che è l'appoggio terapeutico.
Non è raro che gli artisti soffrano di squilibri psichici, non per niente si parla di "artisti da strapazzo", non ci stupiremo quindi se all'interno del gruppo troveremo dei veri e propri artisti "in nuce". "Ora, da qualche giorno, il "manicomio" è chiuso. Chiuso per sempre con le sue torri che sembravano inespugnabili, chiuse anche le ultime roccaforti della resistenza strenua di chi ha creduto, fino alla fine, nella cura della malattia come nella custodia di un segreto" disse Margherita Levo Rosenberg, ed è così che con la legge Basaglia i manicomi vengono chiusi e l'arte terapia diventa un sostegno al di fuori della prigione fisica di contenimento. “La scultura - secondo il detto leonardesco che tanto piaceva a Sigmund Freud - è un'arte "per via di togliere", nella quale è più evidente il contrappunto tra il "creare" ed il necessario parallelo "distruggere" la forma precedente della pietra: a colpi violenti di scalpello il marmo si infrange e si frantuma per lasciare emergere la nuova immagine[...] Ogni creazione (lo dice anche Giulio Carlo Argan) è un atto distruttivo.” (dal saggio di Simona Argentieri, “Creatività, vandalismo e restauro nella dimensione intrapsichica”) L’arte insomma come una valvola di sfogo, soprattutto in questa nuova dimensione del vivere sotto stress, prendersi il tempo di scolpire, di creare, modellate e di impegnare positivamente le nostre energie in qualcosa di bello e che ci da soddisfazione è la cura migliore per affrontare il presente ed il futuro con una maggiore positività. Provare per credere!
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Attorno a noi, fuori dalla finestra, ci sono boschi, prati, fiumi, laghi, montagne e acquitrini. Sono luoghi dove l’uomo spesso entra chiedendo permesso, permettendo alla natura di esprimersi al meglio e senza limiti. O questo è ciò che si auspicherebbe per la difesa della biodiversità e degli equilibri naturali. Eppure non sempre è così. Noi abbiamo il potere di modificare l’ambiente che ci circonda, e spesso dimentichiamo la sua ricchezza e quanto può essere articolato e complesso, ma soprattutto delicato il mondo naturale attorno a noi. Chi invece lo sa e se ne ricorda sono i naturalisti; esperti di ambiente e di scienza, ognuno con le proprie specifiche competenze. C’è chi si occupa di specie vegetali invasive, come la robinia, che provengono da luoghi lontani e che mettono a repentaglio la sopravvivenza delle specie autoctone. C’è chi si occupa delle invasioni invece di animali come il visone o la martora: mai vissute nel nostro territorio, eppure da quando sono state inserite rischiano di alterare irreparabilmente l’equilibrio del nostro ecosistema. Ci sono i biologi che si occupano di animali in pericolo, come i pipistrelli, e studiano strategie per difenderli. Ma ci sono anche quelli che osservano come alcune specie stiano aumentando in numero e resistenza nel territorio trentino grazie a ripopolamenti forzati o naturali. E poi c’è chi si occupa di zone umide. In questo numero il primo appuntamento di una rubrica che ci guiderà nel conoscere, scoprire ed esplorare l’ambiente in Valsugana.
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VALSUGANA:
ambiente e natura T
utto attorno a noi ci sono boschi, campi e prati, laghi, fiumi o paludi. Questo è l’ambiente naturale della Valsugana che è tanto ricco quanto delicato. Per tutelare la biodiversità da trent’anni la Provincia di Trento ha istituito i biotopi, oggi Riserve Naturali Provinciali, nei quali la convivenza tra uomo e natura è curata e gestita. Una persona che dei biotopi ha fatto la sua passione è Gerri Stefani, laureto in Scienze Naturali e che ha alle spalle collaborazioni con gli enti che di ambiente si occupano qui in Trentino: il Muse e l’APPA. Ma che, soprattutto, negli scorsi anni molto ha fatto per far conoscere le peculiarità ambientali di una delle più importanti Riserve Naturali Provinciali, il Fontanazzo e per la tutela dell’area “Ampliamento Sorgente Resenzuola”. “Quando si è cominciata a trattare la questione dei Biotopi e di come gestirli, abbiamo fondato un’associa-
di Elisa Corni
zione con la quale ci siamo impegnati soprattutto nel coinvolgere la popolazione locale”, racconta il naturalista. Sì, perché molto spesso lo scoglio per l’istituzione di un’area protetta è l’opinione pubblica. Infatti dei 68 Biotopi individuati nel Piano Urbanistico Provinciale (PUP), ancora 22 mancano all’appello. “Purtroppo -spiega Stefani- attorno a queste istituzioni girano delle leggende: molti credono ad esempio che in un’area protetta non si possa più fare nulla. Ma quanto successo al Fontanazzo dovrebbe far capire che non è così”. Infatti, all’interno della Riserva Naturale provinciale Fontanazzo non si trovano campi solo coltivati dagli agricoltori locali, ma lungo la sponda in sinistra orografica è possibile anche pescare. “Vista la grande superficie e la tipologia di quest’area protetta è stato possibile dialogare con le persone e collaborare con i vari gruppi di inte-
resse -spiega Gerri- e così gli agricoltori locali hanno potuto gestire i prati da sfalcio e piantare colture a perdere per la fauna selvatica nelle particelle provinciali della Riserva Naturale Provinciale Fontanazzo. Inoltre la provincia in collaborazione con l’Associazione Pescatori locale ha creato nuovi ambienti per la riproduzione della trota marmorata e liberato avannotti di questa specie. Insomma, uomo e natura possono convivere, e lo dimostra la presenza di dieci aree designate a ospitare aree protette in Valsugana. Due di queste, però sono ancora in attesa d’istituzione; nel Comune di Caldonazzo, il canneto dove nasce il Brenta, e poi a Tezze Valsugana, dove è previsto l’ampliamento dell’area protetta della Sorgente del Resenzuola. “Al momento questo biotopo è inaccessibile, perché troppo piccolo e delicato, ma se si riuscisse ad ampliarlo non solo difenderemmo la biodiversità ma creeremmo una nuova importante area umida protetta”; ciò rappresenta un’azione importante per la tutela della
biodiversità complessiva della Valsugana e del Trentino, poiché questa tipologia di ecosistemi sono fortemente minacciati secondo quanto emerso a livello Europeo ed Internazionale., prosegue Gerri Stefani, secondo il quale due sono i tipi di pubblici non specializzati cui questi luoghi si rivolgono. Da un lato ci sono le persone da fuori, i turisti, che possono trovare nella Riserva Naturale una nuova meta per la scoperta del territorio. Dall’altro ci sono le nuove generazioni. “Abbiamo avuto interessanti esperienze con i ragazzi, che, se coinvolti in prima persona, si dimostrano essere un ottimo veicolo per trasmettere amore e conoscenza del territorio” racconta soddisfatto il naturalista, che proprio quest’estate con alcuni ragazzi ha realizzato presso il Biotopo del Fontanazzo un’area di riproduzione degli anfibi. Ma perché son importanti queste aree non o scarsamente antropizzate? Ad esempio queste
sono aree di fondovalle che spesso possono aiutare a sfogare i fiumi in piena, evitando quindi dissesti idrogeologici sul territorio. Ma soprattutto per arricchire la biodiversità, che può rifiorire dove caccia e pesca sono controllate o proibite. “La complessità ambientale spiega Gerri- riguarda tutti noi, perché maggiore è il suo livello più stabile, ricco e forte è un ambiente. In questo modo può resistere ai cambiamenti ed evitare di deteriorarsi.
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L’Isola di
PASQUA di Elisa Corni
Scorcio dell’Oceano Pacifico da una delle grotte dell’isola
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olo arrivarci è un’impresa. Da un qualunque posto sul globo per raggiungere l’Isola di Pasqua si deve fare tappa obbligatoria a Santiago de Chile. Sì, perché anche se quest’isola fa geograficamente parte dell’Oceania, è territorio cileno. Dall’Italia abbiamo volato su Madrid, e Santiago (per un totale di 17 ore in aria) per poi imbarcarci su un non proprio economico volo diretto a “la Isla de Paqua”. La traversata è durata cinque ore. Cinque ore di acqua e oceano. Tra la costa sudamericana e quest’isola misteriosa non c’è niente, solo 3.600 chilometri di profondità oceaniche. Rapa Nui (questo il nome in lingua locale) è infatti uno dei posti più isolati del nostro pianeta, e questa caratteristica permea tutti gli aspetti dell’isola. Già mettendo piede sulla pista d’atterraggio del piccolo aeroporto di Mataveri ci si rende conto che non è un luogo qualunque. Tanto per cominciare quella su cui siamo atterrati non è una pista come le altre; attraversa la punta meridionale dell’isola ed è stata costruita dalla NASA
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per gli atterraggi di emergenza degli Shuttle. Difficile immaginare una di quelle tecnologiche astronavi frenare tra i Moai che da secoli sorvegliano la loro isola, eppure un giorno o l’altro potrebbe capitare. Quelle strane statue ci accolgono e ci accompagnano per tutta la nostra permanenza sull’isola misteriosa: silenziosi manufatti a memoria di una società davvero unica ma della quale si conosce davvero poco. Il primo giorno, ottimisti, affittiamo delle biciclette. “L’isola è piccola” ci convinciamo, ma bastano due ore di ripide salite e discese, vento e sole a picco per farci desistere. Forse l’ho già detto, questa non è un’isola normale. Si sviluppa infatti su quattro vulcani dai nomi quasi impronunciabili che danno origine a salite e discese piuttosto scoscese. Abbandonate le biciclette abbiamo optato per un più pratico scooter, che ci ha condotti alla scoperta di luoghi di culto, posto sacri, dove il paesaggio brullo, quasi desertico, stupisce il
visitatore con prospettive e immagini mozzafiato. Sono i Moai, gigantesche statue di pietra che ci ricordano la cultura originale dell’isola. Popolazioni di esploratori polinesiani, giunte a Rapa Nui in un punto non bene identificato della storia. L’Isola
Una delle grandi statue che da secoli riposa sui pendii del vulcano Ranu Raraku, in attesa di essere portata lungo la costa
Il cratere del vulcano sacro di Orongo, uno dei pochi posti dove c’e’ ancora la vegetazione autoctona dall’isola di Pasqua è circondata da un’aura di mistero perché le popolazioni autoctone, non svilupparono mai una forma di linguaggio; nessuno sa di preciso cosa siano queste gigantesche statue, e questa caratteristica è sicuramente parte del loro fascino. Mentre percorriamo le strade semi deserte dell’isola, ci imbattiamo lungo la costa in questi giganti che vegliano e attendono. Alcuni sono a terra, con il volto nascosto o con le spalle in acqua. Altri, pochi, sono ancora in piedi. La maggior parte di questo Moai è in piccoli gruppi, ma ci sono
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anche complessi numerosi, come quello della bellissima spiaggia di Anakena, sul lato nord dell’isola. Quasi tutti i complessi guardano alla terraferma, spalle al mare. Uno solo di questi complessi monumentali guarda all’oceano: è quello dei primi esploratori giunti sull’isola. Sette uomini che osservano l’acqua davanti a loro in attesa dell’arrivo degli altri coloni. Uno dei posti più suggestivi dell’intera isola è però la “cava” dove si realizzavano queste gigantesche statue monolitiche. I pendii scoscesi interni ed esterni del vulcano Roratka nascondo centinaia e centinai di statue abbozzate, iniziate o finite ma comunque abbandonate.
Una visita al piccolo ma curato museo archeologico non sembra offrire grandi spiegazioni sulla storia dell’isola: anche gli archeologi non sanno bene dove sbattere la testa. Come se non bastasse l’assenza di scrittura, purtroppo già all’arrivo degli europei una serie di complicazioni avevano drasticamente ridotto la popolazione. In primo luogo, come suggeriscono le ricerche, la colpa è dei rapanti stessi, che avrebbero depredato il territorio, abbattendo tutte le verdi piante che la popolavano e portando il territorio a una quasi totale desertificazione. Infatti, eccezione fatta per l’interno dei due crateri sacri Rana Kao e Rana Roratka, tutta la vegetazione dell’isola, piante, arbusti, palme e cespugli, sono il frutto di un rimboschimento a opera dell’uomo nel corso degli ultimi 40 anni. Una settimana è volata, tra moai, grotte sacre, caldere, pietre magnetiche e luoghi da sogno. Facciamo il check-in nel semplice aeroporto di Mataveri, dove chi parte e chi arriva è separato da una semplice transenna di stoffa. La tentazione di scavalcarla e rimanere lì è alta.
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Si ringrazia Domenico La Cava, autore della presente vignetta, e il responsabile del Blog “EdicoLando.it”, autore del testo pubblicato in occasione della festa del santo patrono di Pergine Valsugana. «Per chi non lo sapesse, la festa patronale a Pergine Valsugana è dedicata alla natività di Maria. La vignetta del nostro Mimmo La Cava fa sorgere spontanea una domanda... Ma l'interruzione di un pubblico esercizio per motivi religiosi è compatibile con la laicità dello Stato? Boh! Intanto siamo in una botte di ferro perché sappiamo chi pregare (ed è una molto in alto) in caso di necessità sanitarie... A proposito, non sarebbe meglio chiamarla festa "matronale" visto che trattasi di una "lei"?».
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o d n a l l e r e h c o i G
Cristini io iz r u a M a cura di
GIOCHI ENIGMISTICI FALSI Sono tali perchè le seconde parole, derivate dalla prima, non ne condividono la stessa radice etimologica. I più comuni e diffusi sono: Falso accrescitivo: la seconda parola sembra un accrescitivo della prima per la presenza della desinenza “–one” (maschile o femminile; singolare o plurale) (bue, buone; o persa, persona); Falso diminutivo: la seconda parola sembra un diminutivo della prima per la presenza della desinenza “–ino” (maschile o femminile; singolare o plurale) (resa, résina; o petti, péttini); Falso iterativo: creazione di una seconda parola che si ottiene aggiungendo il prefisso iterativo/ripetitivo “ri-“ alla prima parola senza però averne una ripetizione (sotto, risotto); Falso peggiorativo: la seconda parola sembra un peggiorativo della prima per la presenza della desinenza “–accio” (maschile o femminile; singolare o plurale) (foca, focaccia); Falso vezzeggiativo: la seconda parola sembra un vezzeggiativo della prima per la presenza delle desinenze “–ello oppure –uccio oppure –etto” (maschile o femminile; singolare o plurale), (pasto, pastello o crû, cruccio)
INCASTRO E’ un gioco enigmistico di fine ‘800, il cui meccanismo risolutivo comprende due parole che danno origine ad una terza parola (che non ha etimologia legata ad esse) “incastrandosi” l'una nell'altra (pere, orti = portiere).
A gioco risolto, leggendo di seguito le lettere nelle caselle a sfondo colorato, si otterrà il nome trentino delle bacche di rosa canina
INDOVINELLO
ORIZZONTALI: 1. Quelli per le gare di salto sono più larghi e lunghi di quelli da discesa - 4. Sopra - 6. Famoso caccia bombardiere tedesco - 10. Una crème, dolce al cucchiaio - 13. Errore... in breve - 15. Lago russo pressoché prosciugato - 16. Conte pisano ricordato da Dante nell'Inferno con le parole “... più che la fame potè il digiuno”- 19. Il principale attore del film Titanic (iniz.) - 20. Tale è la Marcia che si corre sugli sci in Val di Fiemme - 23. Un ma latino - 24. Un gustoso piatto della cucina trentina - 27. Grossolano e clamoroso, detto di un errore - 28. Trieste - 29. Con quello di seppia si prepara un particolare risotto - 30. La sigla della materia plastica usata per le bottiglie di acqua minerale - 31. Un tipo di ragionamento deduttivo composto da due premesse e una conclusione - 35. Il Frank detto “The voice”- 36. Azienda italiana che produce abbigliamento intimo, costumi e lingerie femminili - 38. Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (sigla) - 40. Il secondo segno zodiacale - 41. Lo sono coloro che si mostrano particolarmente soddisfatti - 45. La camera inglese - 46. Bulbi... lacrimogeni! - 48. Eloquenza, arte nel parlare.
E’ gioco molto diffuso e antico (il termine pare risalire alla metà del 1300). La sua peculiarità, che lo rende difficile, sta nell'individuare e interpretare fra le parole del testo quelle con doppio senso (quindi sempre ambigue): uno “apparente” e immediatamente comprensibile e uno “reale”che, pur celandosi nel testo, si può ricavare da un'attenta analisi dello stesso. Prima del testo, presenta sempre una breve frase che SEMBRA la soluzione del gioco ma in realtà non lo è, essendo SEMPRE fuorviante per il solutore, che non dovrà MAI affidarsi ad essa per risolvere il gioco.
LUCCHETTO E’ un gioco enigmistico piuttosto diffuso e di epoca relativamente recente (anni ’50). Comprende due parole nelle quali una o più lettere alla fine della prima sono uguali ad altrettante all'inizio della seconda parola: si eliminano le parti comuni e si unisce ciè che rimane in un'unica parola (mais, sale = maiale o rane, nebbia = rabbia) che è la soluzione del gioco. PALINDROMO (pàlin = all’indietro, dròmos = corsa) A differenza del Bifronte, si propone come parola (o frase) che mantiene il medesimo significato anche nella lettura da destra a sinistra. La più lunga parola palindroma della lingua italiana è onorarono, quella più antica (1890) è la frase Ed Irene se ne ride. Ricordare che nel Palindromo sillabico, le sillabe vanno lette da destra a sinistra nella loro stesura usuale (il palindromo sillabico “re-ca-re” non si legge “er-ac-er”).
SCARTO E' la creazione di una seconda parola che si ottiene eliminando una lettera interna alla prima parola (barbone, barone). E’ un gioco che risale al 1866. Fra i più diffusi sono: Scarto finale: creazione di una seconda parola che si ottiene eliminando l’ultima lettera della prima parola (cavia, cavi); Scarto iniziale: creazione di una seconda parola che si ottiene eliminando la prima lettera della prima parola (spari, pari); Scarto sillabico: creazione di una seconda parola che si ottiene eliminando una sillaba della prima parola (Canarie, carie).
VERTICALI: 1. Può essere a chiocciola - 2. La Via usata per pagare l'autostrada - 3. Un peccato capitale - 4. Nel seme sono diverse - 5. Sigla dell'Unione Europea - 7. Il comico Teocoli - 8. Urla senza fine! - 9. Il tipico pugnale malese - 11. Shakespeare la definiva “messaggera dell'alba” - 12. La salsiccia di Roncegno - 14. Lo è un concorso di corsa a piedi - 17. Fontana monumentale di Siena, situata in piazza del Campo - 18. Prive della tara - 21. Il mattino lo ha in bocca - 22. Sigla di una moderna tecnica diagnostica medica - 24. A Borgo è avversario dei Semoloto - 25. E' l'autore della Cavalleria rusticana (iniz.) - 26. Due compagni a bridge 27. Ospita la Facoltà di Ingegneria a Trento - 30. Un tipico frutto in Val di Non - 32. Latina sulle targhe - 33. Erba irritante - 34. Altro nome delle cozze - 35. Il suo volume si calcola con la formula: 4/3πr3 - 37. Il ramarro ne ha tre - 39. Arcolaio - 42. Miscela di sostanze organiche presenti nel terreno - 43. Il Samir Said ginnasta francese che a Rio 2016 si è fratturato una gamba nel volteggio al cavallo - 44. A Novaledo c'è la Quadra - 47. La nota del diapason.
SOLUZIONE DEL NUMERO DI SETTEMBRE
SCIARADA
Crucuverba n° 1 : PINOT NERO Cruciverba n° 2 : SENTIERO DEI NOMADI
Gioco enigmistico molto antico. L’attuale versione nasce in Francia nel ‘700; in Italia la prima sciarada risale al 1836. Il nome del gioco contiene il meccanismo che porta alla soluzione: le due parole, scia e rada, si uniscono a formarne una terza, sciarada. Nel testo del gioco compaiono (usualmente) prima le singole parole e, in chiusura, il totale. La Sciarada incatenata è una sua variante: consiste nell’unire due parole ricavandone una terza che comprenda una sola volta le lettere/sillabe uguali presenti al termine della prima parola e all’inizio della seconda (pasto, tori = pastori).
ZEPPA La sua nascita è del 1880. Semplice o sillabica che sia, deve il nome al “cuneo” (zeppa) che si inserisce, ad esempio, sotto una porta per tenerla aperta, descrivendo con tale significato quale sia il meccanismo del gioco. In tal senso al posto del cuneo si usano lettere (romano, romanzo) o sillabe (cabina, carabina). Se la lettera va a inserirsi all’inizio o alla fine della parola, si definisce Aggiunta iniziale/finale (pira, spira / set, sete). Così pure se la sillaba va a inserirsi all’inizio o alla fine della parola, si avrà una Aggiunta iniziale/finale sillabica (gli, fogli / muli, mulino)
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Il numero di ottobre di Valsugana News è stato chiuso il 29 settembre 2016.
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