Valsugana News n. 6/2020 Agosto

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Punto & a capo di Waimer Perinelli

L’Europa batte il covid Questa volta l’Europa l’ha vista brutta. Febbre alta, malessere generale, colpi di tosse e un po’ di catarro residuo; quello olandese. L’Olanda è il paese che già il 18 aprile del 1951 alla fondazione della Ceca, Comunità economica del carbone e acciaio, si presentò ultimo alla firma trattato dopo avere capito che gli altri cinque componenti erano determinati.

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ncora dall’Olanda 69 anni dopo è avvenuto il pericolo maggiore per l’implosione dell’Europa. Il premier Mark Rutte ha insistito per una votazione unanime sul Recovery Fund con la conseguenza che un solo stato poteva bocciare l’intero progetto. Al di là delle cifre la controproposta di votazione a maggioranza qualificata ha sbloccato la situazione e per la prima volta l’Europa dopo avere avuto la moneta unica ha ora il debito unico. Insomma salvati dal debito e noi che di debiti ce ne intendiamo, abbiamo vinto una partita per la quale alcuni commentatori hanno resuscitato gli incontri di calcio delle nazionali azzurra ed arancione. In realtà si è giocata una partita politica molto sottile, ricca di trappole create da piccoli e grandi egoismi. Trabocchetti inventati dai cosiddetti paesi frugali, quelli che non raggiungono nemmeno i 10,6 milioni di abitanti della Lombardia, come l’Austria, 8,86 milioni, Finlandia 5, 5 milioni, Irlanda poco meno di 5 milioni. Ma non è un problema di teste, almeno fisiche, bensì di chi all’Europa chiede e chi invece non vuole dare. E così l’Italia, grazie anche alla Germania guidata da un’ Angela generosa, intelligente ed abile, ha avuto quanto chiedeva e i paesi recalcitranti hanno salvato i loro paradisi fiscali e risparmieranno anche sui versamenti dovuti per il funzionamento delle istituzioni comunitarie. Nei Paesi Bassi delle dighe e mulini a vento, per esempio trova sede legale

Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte

Angela Merkel

il turismo dei capitali, attirato dalla semplificazione amministrativa ma e soprattutto dalla ridotta tassazione degli utili societari. Un’anomalia di cui approfittano almeno 2.800 aziende europee e mondiali con un flusso di 5mila miliardi di euro. A ciascuno il suo. Facciamo parlare le cifre, il colore dei soldi. Senza il mercato unico, lo spazio Schengen e le regole comuni, i dazi reintrodotti e le frontiere chiuse costerebbero ai 27 Stati dell’Unione tra i 480 e i 1380 miliardi di euro. La fondazione privata Bertelsmann ha calcolato che il valore aggiunto dell’Unione è fra il 3 e l’ 8,4 per cento del Pil e che ogni cittadino europeo perderebbe un beneficio medio di 840 euro l’anno di reddito. Lo sa bene la Cancelliera tedesca il cui governo ha assunto in luglio la presidenza di turno del Consiglio dell’UE. Angela Merkel si era detta preoccupata perché alla tenuta economica della Comunità è agganciata quella politica. “C’è il rischio di una spaccatura profonda e permanente” aveva detto al Bun-

Mark Rutte

destag e ciò porterebbe ad una crisi irreversibile del progetto europeo. A Giuseppe Conte il merito di avere tenuto la barra al centro e agli italiani, popolo di navigatori, va confermata l’arte della mediazione. Alla fine ridimensionato anche il Primo ministro ungherese Viktor Orbàn, l’ultimo dei sovranisti. E l’Europa è salva, per ora, ma soprattutto più forte perché ha dimostrato di saper mediare come si usa fare in democrazia. L’Europa che verrà è in costruzione, i 27 paesi sono legati in cordata. Per loro una scalata dura su rocce a volte fragili; per raggiungere la cima servono solidarietà, serietà, impegno. La generazione che verrà potrà goderne i benefici e proseguire fra scambi culturali e scolastici con la nuova lingua comune dei computer. La cima da raggiungere è una sola: la febbre creata dal Covid ci ha fatto capire che non ci possono essere diverse vette per scalatori di grandi ambizioni e piccole teste.

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SOMMARIO ANNO 6 - AGOSTO 2020 DIRETTORE RESPONSABILE Armando Munaò - 333 2815103 direttore@valsugananews.com VICEDIRETTORE Chiara Paoli - Elisa Corni COORDINAMENTO EDITORIALE Enrico Coser COLLABORATORI Waimer Perinelli - Erica Zanghellini Katia Cont - Massimo Dalledonne - Francesca Gottardi Maurizio Cristini - Laura Mansini - Alice Rovati Giorgio Turrini - Laura Fratini - Patrizia Rapposelli Zeno Perinelli - Adelina Valcanover - Veronica Gianello Giampaolo Rizzonelli - Mario Pacher CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA Dott.ssa Cinzia Sollazzo - Dott. Alfonso Piazza Dott. Giovanni Donghia - Dott. Marco Rigo EDITORE - GRAFICA - STAMPA Grafiche Futura srl Via della Cooperazione, 33 - Mattarello (TN)

PER LA TUA PUBBLICITÀ cell. 333 28 15 103 direttore@valsugananews.com info@valsugananews.com Registrazione del Tribunale di Trento: nr. 4 del 16/04/2015 - Tiratura n° 7.000 copie Distribuzione: tutti i Comuni della Alta e Bassa Valsugana, Tesino, Pinetano e Vigolana compresi COPYRIGHT - Tutti i diritti di stampa riservati Tutti i testi, articoli, interviste, fotografie, disegni e pubblicità, pubblicati nella pagine di VALSUGANA NEWS e sugli Speciali di VALSUGANA NEWS sono coperti da copyright GRAFICHE FUTURA srl e quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore, del Direttore Responsabile o dell’Editore è vietata la riproduzione o la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni, per altri giornali o altre pubblicazioni, possono farlo richiedendo l’autorizzazione scritta all’Editore, Direttore Responsabile o Direttore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che, utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio e quindi fatta pervenire, a GRAFICHE FUTURA srl, le loro pubblicità, le loro immagini i loro testi o articoli. Per quanto sopra GRAFICHE FUTURA srl, si riserva il diritto di adire le vie legali per tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.

Punto & a capo ELEZIONI AMMINISTRATIVE Sommario A parere mio Il personaggio - don Marcello Farina Come eravamo Girovagando con il pensiero Marta Cartabia e la Lectio degasperiana Tra passato e presente - Tenna Conosciamo il passato Storie di migranti La Valsugana sempre più green I Nomadi: mai dimenticati Tra passato e presente Come eravamo Cassa Rurale Alta Valsugana e l’ambiente Come eravamo La Valsugana anni ‘30 Come eravamo Ieri avvenne Estate in trentino Umana-mente: vacanze bonus La storia del costume da bagno Medicina & Salute: la sana alimentazione Medicina & Salute: proteggiamo i nostri occhi Tra turismo e cultura Tra passato e presente: la fucina di Villa Agnedo Storie di altri tempi Laghi trentini : pericoli e precauzioni In Valsugana: Pieve Tesino, visite ai musei Cronache perginesi: campionato di geometriko Girovagando in Trentino: 3 giorni in Lagorai Arte e pittura: Paul Gauguin Università di Trento al top Medicina & Salute: L’importanza delle vacanze Medicina & Salute: la felicità Le cascate del Niagara Storie di migranti: Ivo Finotti Il passato nel presente: Cima Mandriolo Tra poesia, pittura e prosa: Daiana Berloffa

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Ricordo di un “Grande” Ennio Morricone Pagina 23

Medicina & Salute: Il melanoma Pagina 46

Storie del passato Il tabacco in Valsugana Pagina 62

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A parere mio di Cesare Scotoni *

Salvare i beni dello Stato e formare il personale Con una certa disinvoltura, ad ogni crisi ricorrente della Finanza Pubblica, si leva il concorde coro della “Valorizzazione degli Assets” (beni, proprietà, liquidità,crediti...servizi)gestiti (malamente) dalla P.A.

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oiché ci risiamo, con una significativa contrazione del P.I.L. che ha chiaramente tratteggiato gli effetti sul gettito di cui lo Stato NON potrà disporre nel prossimo biennio, sarebbe bene condividere cosa si debba intendere come Asset e cosa possa significare Valorizzarne il peso in termini di Crescita per il Paese. Sembra scontato l’associare il Valorizzare con l’Investire, ma poiché gli assets disponibili sono sia Materiali che Immateriali e che non tutti gli Assets sono strategici allo stesso modo è necessario avviare quella riflessione che precede ogni classificazione ed ogni scelta per definire e condividere Chi e Perché dovrebbe investire su quegli Assets che per buona o cattiva scelta rientrano nel perimetro della Cosa Pubblica. Scuola, Formazione e Ricerca sono gli Assets Indispensabili su cui si costruisce il Futuro di un Paese e sono anche quegli investimenti di medio e lungo Periodo su cui un Paese privo di grandi players delega alla parte pubblica l’impegno diretto e preponderante che essi richiedono. Sicurezza, Energia, Reti, Nuove Tecno-

logie sono ambiti in cui l’Intervento ed il Controllo Diretto ed Indiretto dello Stato attraverso diversi strumenti anche normativi offre spazi importanti, ma molto regolati, ai privati che vi investano. Sanità, Infrastrutture e Mobilità, dove gli spazi aperti con le privatizzazioni avviate nel 1993 e poi con i Decreti Bersani del 1999 e del 2007, hanno offerto in questo ultimo biennio le peggiori performances in termini di risultati, sono gli ambiti più consolidati di interazione tra Pubblico e Privato e ci si può solo chiedere dove sia finito in corso d’opera quel beneficio tariffario di cui, di norma, dovrebbe avvantaggiarsi l’utenza. Per queste stesse considerazioni in Italia vanno affermandosi forme “spurie” di Partnership tra Pubblico e Privato che, qualora costruite in trasparenza, sembrano poter sopperire sia alla debolezza di un Mercato troppo spesso soggetto più invocato che protagonista e che riflette la debolezza che è nella dimensione e nella solidità patrimoniale delle imprese più che nell’assenza di visione che, dagli anni ’90 appesantisce le prospettive di un Paese senza bussola. Altro importante Asset del Paese è la Pubblica Amministrazione nella sua interezza. Essa è, nell’ipotesi che ne prevede un accesso per concorso riservato ai meritevoli, un motore di crescita per l’intero Paese. Poiché una sua Valorizzazione non può prescindere da un quadro normativo che,

con trasparenza, distingua in modo univoco la Produzione Amministrativa dal Controllo sugli Atti e definisca chiaramente il perimetro e gli obiettivi delle Azioni dei singoli Enti oggi, alla luce di ciò che non è, rappresenta una leva importantissima per una ripartenza concreta che non sia solo sostenuta dai sussidi a fondo perduto e dal debito pubblico che sostiene quel “metter pezze”. Cosa ci si deve dunque aspettare da quel Pubblico di cui tutti siamo “azionisti” e cosa deve attendersi dalla Politica una Parte Pubblica il cui mantenimento appare ogni giorno più ripiegato sulla tassazione? Certo un approccio che, costretto dalla contrazione del gettito, offra reali spazi ad una creazione di ricchezza senza la quale la capacità di incidere della Parte Pubblica è destinata a soccombere al Debito Pubblico, procedure che siano all’insegna di responsabilità, trasparenza e contendibilità, un investimento costante in formazione e professionalità su del personale che si confronta, come tutte le attività produttive, in un radicale cambiamento dei modi del Lavoro e dell’Economia dovuto non solo al mutare delle Tecnologie, ma soprattutto al sempre più veloce evolvere dei modelli stessi della creazione di Marginalità. * L’ingegner Cesare Scotoni è Consigliere di Amministrazione della Patrimonio Trentino spa

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Il Personaggio di Waimer Perinelli

L’aquila di San Venceslao a don Farina - L’umanità testimonia l’esistenza di Dio Don Marcello Farina è stato insignito dell’Aquila di san Venceslao la più alta onorificenza della città di Trento, assegnata ogni anno a chi, per attività ed intelligenza, ha dato prestigio alla comunità trentina.

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on Farina, 80 anni, ha ringraziato, commosso. La città e l’intera comunità gli rendono onore per il lume acceso in nome della carità e libertà, alimentato dalla filosofia e comprensione, con cui indica la strada per l’arrivo del Signore. Come nella parabola evangelica delle dieci vergini in attesa dello sposo, da sempre, don Farina combatte con la parola e l’esempio, la leggerezza degli stolti e invita a conservare i doni che Dio ci ha dato. Non però a seppellirli ma ad investirli per il bene della comunità. Don Marcello, sacerdote, filoso e teologo segue nella sua predicazione tutti i Vangeli ma per la raffinata esposizione del pensiero vola alto come l’aquila di San Giovanni l’evangelista che ha conosciuto Gesù, che pone l’uomo, il verbo al centro della creazione. Due aquile dunque per lui e quella di San Venceslao rende onore a quest’uomo capace di mortificare or-

Il nostro Waimer intervista don Marcello Farina

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goglio e vanità a favore della verità. Un sacerdote spesso scomodo nella Chiesa. Era il 1968 quando il ventottenne sacerdote, cappellano in Duomo a Trento, assistette al contro quaresimale ovvero alla richiesta di Don Marcello Farina (da l’Adige) un gruppo di fedeli, universitari di socioloIn questo modo scopre la vocazione gia, di dialogare con d’insegnante con cui affronta i giovani il sacerdote durante l’Omelia. Fu studenti dell’università trentina e scandalo ma don Farina comprese della Terza età. Le sue lezioni sono che non era contestazione bensì la colte, le omelie nella messa del sabato richiesta di salvare la vera rivoluzione sera con don Marcello, alle 18.45, un attuata dal Concilio Vaticano secondo appuntamento da non perdere. È con voluto da Papa Giovanni ventitreesila predicazione che diventa sacerdote mo. Una manifestazione di apertura scomodo, ovvero, come egli dice, “ della Chiesa predicata in quegli anni che in questo contesto si tira fuori dal da don Lorenzo Milani, Davide Maria coro”. In una delle prediche più recenti Turoldo, Ernesto Balducci e tanti altri nella chiesa di SS Trinità a Trento ha che, come lui, si sono trovati spesso lanciato la proposta di chiudere una in disaccordo con la curia diocesana. domenica tutte le chiese trentine Don Marcello racconta come protesta contro la decisione che il controquaresimale della Provincia di trasferire 24 giofu una folgorazione che vani profughe dell’Africa residenti lo portò a frequentare, a Lavarone, dove si erano inserite e di nascosto dai superiori, trovato lavoro nella comunità crila facoltà di filosofia a stiana. “Una forma di solidarietà, dice Padova. “Avevo poco temdon Marcello, contro l’ipocrisia che po per studiare, ricorda, butta via le persone e toglie loro ciò l’impegno di cappellano che serve per vivere”. Una decisione è impegnativo. Ma poi ho amministrativa, accettata da molti ricevuto l’incarico d’insecristiani, contraria alla rivoluzione del gnante alle scuole medie”.


Il Personaggio Concilio Vaticano II. e all’idea stessa del l’enciclica Laudato si! di Papa Francesco che invita a non offendere la natura della quale l’uomo è parte. “Un uomo deve essere ricco di comprensione e carità, ovvero di Umanità, che è, dice don Farina, la testimonianza più elevata dell’esistenza di Dio”. Dopo quasi sessant’anni di sacerdozio questo prete filosofo non ha nemmeno i gradi di “caporale” della Chiesa. Perfino don Camillo di Guareschi è stato nominato Monsignore. E come potevano riconoscergli un ruolo nel mondo ecclesiastico che egli elude. Don Marcello Farina non è un prete di strada: è filosofo, teologo, predicatore del dialogo. Io, dice citando l’attore Alessandro Bergonzoni, “Nella mia vita ho fatto voto di vastità”: è un invito ad aprirsi all’incommensurabile, all’incredibile, per uscire dalle abitudini mentali, dal conformismo.

Scheda Aquila di San Venceslao

L’

aquila di San Venceslao nasce come simbolo dei duchi di Boemia Přemyslidi. Era utilizzata già dal duca Venceslao I, da cui prende il nome, regnante dal 921 al 935 ed evangelizzatore della Boemia, venerato come santo da subito dopo la sua morte per mano del fratello Boleslao. Il 9 agosto 1339 il principe vescovo di Trento Nicolò da Bruna ottenne dal re di Boemia Giovanni di utilizzare l’aquila di San Venceslao come stemma del principato vescovile (da cui discende quello dell’odierna arcidiocesi) Nel 1407, quando Trento adottò uno statuto comunale dopo la rivolta guidata da Rodolfo Belenzani, l’aquila divenne anche lo stemma ufficiale della città (da dove è passata allo stemma della Provincia e a quello della Regione). L’aquila di San Venceslao Come appare nello stemma come appare nello stemma cimbri. (W.P.) del Trentino della dinastia Přemyslidi

Come eravamo

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Girovagando... con il pensiero di Laura Mansini

Il Futuro è Ora Politica e poesia sembrano agli antipodi. La prima fredda e calcolatrice, la seconda dettata dal sentimento, ma se l’arte del governare ha buoni scopi, è possibile s’incontrino nel segno della ragione. A questo pensavo in una giornata di mezza estate.

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trane riflessioni sotto il sole di un pomeriggio sul lago. Seduta sulla terrazza godevo di uno splendido sole, un meriggiare addolcito da una leggera brezza: tutto sembrava perfetto tanto da rimpiangere di avere quasi 75 anni. Ma poi mi sono detta che è bello avere la mia età in questo periodo storico ed essere italiana, dimenticando per un attimo la tragica Pandemia che sta sconvolgendo il mondo. Sono nata, infatti alla fine del 1945, a guerra conclusa, quindi sono vissuta nella seconda metà del secolo scorso, ho visto la fine del secondo millennio ed ora sto vivendo nell’anno 20 del terzo millennio. L’Europa, da quando sono nata, è stata senza le guerre che hanno funestato i secoli scorsi e, riflettendo sulle nuove tecnologie che stanno entrando nella nostra vita, mi sembra che non siano trascorsi tre quarti di secolo dalla fine della Seconda Guerra mondiale, bensì dei millenni. La scienza ha fatto dei passi avanti incredibili, pare lontano il giorno in cui l’uomo ha raggiunto la Luna e sono trascorsi “solo” 51 anni. Ora siamo interconnessi, le mie nipotine di sei e dieci anni si muovono

sui tablet, sui cellulari, sui computer con estrema facilità. Il futuro è loro e sarà un futuro imprevedibile, spero sereno; certo sono lontani i tempi in cui già avere il telefono in casa, la televisione in bianco e nero, era una ricchezza e parliamo degli anni Sessanta. Però negli stessi anni c’era il boom economico; ora invece siamo in forti difficoltà, si perdono posti di lavoro per problemi che le classi dirigenti faticano a risolvere. Il mondo sta correndo e la politica è ancora lenta e non sa adeguarsi alle nuove generazioni. Siamo fermi ai concetti di destra e di sinistra come nel primo Novecento. Una differenza tuttavia c’è ed è nelle Parole e soprattutto nella mancanza di Cultura di chi entra in politica. Ricordiamo che ora è spesso sufficiente urlare slogan contro chi ha amministrato per raccogliere i consensi degli arrabbiati, che sperano nella capacità degli urlatori seriali di cambiare le cose. Ma poi notiamo che la realtà è molto più articolata di quanto appaia, che l’egoismo è entrato a testa bassa nella nostra vita, è entrato anche in quelle aule che dovrebbero essere la summa del sapere politico, ed invece nel sentirli parlare, o meglio urlare, cadono le

braccia. Ma sotto questo splendido sole non è possibile abbandonarsi a riflessioni tristi, ed all’improvviso mi trovo a canticchiare un motivetto scritto da Giorgio Gaber nel 1994 “Destra Sinistra” che inizia così : Tutti noi ce la prendiamo con la storia/ ma io dico che la colpa è nostra/ È evidente che la gente è poco seria / quando parla di sinistra o destra../ Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra…Fare il bagno in vasca è di destra / fare la doccia è invece di sinistra/…..Una bella minestrina è di destra e il minestrone invece è sempre di sinistra…” E mentre risento la splendida voce del cantautore torno al meriggio di Montale, al muro rovente, alla muraglia che in cima ha cocci aguzzi di bottiglia.

Giorgio Gaber (1991)

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Il passato nel presente di Massimo Dalledonne

Marta Cartabia ricorderà Alcide De Gasperi La Presidente della Corte costituzionale a Pieve Tesino per la Lectio degasperiana. Martedì 18 agosto alle 17 a Pieve Tesino l’appuntamento con la tradizionale Lectio degasperiana vedrà la partecipazione della prof.ssa Marta Cartabia, Presidente della Corte costituzionale e prima donna ad occupare tale carica nella storia della Repubblica. Terrà una lezione sul tema “Ricostruzione e Costituzione: un modello degasperiano”.

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opo sedici edizioni della Lectio degasperiana, che hanno visto la presenza di storici, giuristi, giornalisti, studiosi e uomini politici di vario orientamento, l’appuntamento del 2020 cade in un anno di svolta per il mondo, colpito da un’emergenza che non ha accentuato le contraddizioni economiche e sociali del pianeta. Da più parti si è costruita un’analogia tra la ricostruzione post bellica e le difficoltà che incontreranno le società democratiche nel riprendere il percorso di crescita e di innovazione dopo la pandemia da Covid 19. La questione è particolarmente delicata per il nostro Paese che negli ultimi decenni ha faticato a tenere il passo con gli altri paesi europei e che presenta problemi strutturali molto gravi. La figura di Alcide De Gasperi si staglia

Alcide De Gasperi

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ancora di più come l’esempio di una guida politica illuminata e tenace che è riuscita a guidare il Paese in un momento difficile senza mai tradire, ma anzi potenziando, lo spirito democratico della sua ispirazione cristiana. La Costituzione repubblicana del 1948 non è stata solo la magna carta della Repubblica, ma la chiave di volta e il riferimento per una spinta verso la democrazia e i diritti personali e civili in un paese che aveva subito, oltre la tragedia della sconfitta militare, anche la terribile esperienza di un regime illiberale. Pensare all’Italia senza rileggere la Costituzione non è possibile e la lezione che la Presidente Marta Cartabia terrà a Pieve Tesino martedì 18 agosto, rappresenta un’occasione per rileggere la nostra storia costituzionale con uno sguardo rivolto al futuro, così da confermare che la strada dei diritti, vecchi e nuovi, non può mai essere separata da quella dei doveri di solidarietà che ogni cittadino assume di fronte alla comunità. Marta Cartabia, sposata, tre figli, Marta Cartabia - Presidente è professore ordella Corte costituzionale dinario di Diritto

costituzionale e, nel settembre 2011, è stata nominata giudice della Corte costituzionale, di cui è stata Vice Presidente dal novembre 2014 fino all’elezione a Presidente nel dicembre 2019. I settori privilegiati della sua attività di ricerca riguardano il diritto costituzionale italiano ed europeo, la giustizia costituzionale, la protezione dei diritti fondamentali e il rapporto tra Stato e confessioni religiose. Ha insegnato presso numerose università italiane ed è stata Visiting Professor in Francia, Spagna, Germania e Stati Uniti. Dal 2013 è invitata ogni anno al seminario Global Constitutionalism, parte del Gruber Program for Global Justice and Women’s Rights organizzato dalla Law School di Yale (USA). Dal dicembre 2017 è membro della Commissione europea per la Democrazia attraverso il Diritto (altrimenti nota come Commissione di Venezia), organo del Consiglio d’Europa che opera per la promozione dei principi chiave del patrimonio costituzionale europeo: democrazia, diritti umani e stato di diritto. È membro dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti e fa parte del Society’s Council di ICON•S (The International Society of Public Law). È cofondatrice e presidente dell’Italian Chapter della medesima società. Ricopre diversi incarichi di responsabilità editoriale in varie riviste a carattere scientifico.


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Tra passato e presente di Marco Nicolò Perinelli

E se Tenna diventasse patrimonio mondiale dell’Umanità? La Dama del Lago, nel mito anglosassone, cela i tesori più preziosi. Tra questi Excalibur, la spada invincibile che diede ad Artù e l’anello magico di Lancillotto. E forse la Dama del Lago ha voluto donare a Tenna un tesoro ancora più prezioso, del quale però oggi pochi sono a conoscenza e nessuno vede traccia.

U

na ricchezza nascosta nel terreno sartumoso che circonda il Laghét, un biotopo protetto all’interno di quell’area di straordinaria bellezza, nonostante le ferite di Vaia, che è la Pineta di Alberè. Proprio lì, nell’estate del 1959, come ho appreso io stesso parlando con i rappresentanti della Pro Loco di Tenna, durante i lavori di scavo e manutenzione dell’area, venne alla luce qualcosa che nessuno si sarebbe aspettato di trovare: un reticolo di pali di quercia lavorati dall’uomo, a formare una piattaforma di circa 400 metri quadrati. Ciò che rimaneva di una palafitta, una capanna sostenuta da pali e dotata di una piattaforma lignea orizzontale che si erigevano diretta-

mente su uno specchio d’acqua. Ne diede allora testimonianza Aldo Gorfer, con un articolo che venne pubblicato sul quotidiano “L’Adige” il 5 luglio di quell’anno. Una scoperta eccezionale per l’intera Valsugana, di cui allora non si comprese la grande portata. Ce ne dà testimonianza Luciano Brida, che racconta in “Tenna. Cenni Storici”, il ritrovamento: “In ambito locale – scrive - non ci si rese conto dell’importanza del rinvenimento, ma però si pensò alla casualità d’un avvenimento naturale, quale poteva essere stato lo sradicamento di piante provocato da una bufera di vento o, considerata la tipologia del terreno, il progressivo dissesto della superficie boscosa e il conseguente ammontic-

Parco giochi sul sentiero degli Gnomi - Pineta Albere (da TripAdvisor)

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chiarsi delle piante. Tuttavia, ancora in quelle settimane, gli studiosi avevano intuito il valore della scoperta, la certezza dell’intervento umano sul – laghèt – e ne avevano concretizzato l’investigazione in una breve , seppur inesatta, cronaca giornalistica da Tenna, nel prelievo di qualche frantume ligneo (che si rivelerà fondamentale) da parte del Museo di Storia Naturale di Trento” (L.Brida, in Rilevazioni documentarie dall’Evo antico all’Ottocento, in Tenna. Cenni storici, AAVV 1993). L’allora Soprintendente alle Antichità e Belle Arti, Nicolò Rasmo, comprese che quello che vedeva era l’esito di un intervento umano: l’esame approfondito al radiocarbonio da parte

Sentiero degli Gnomi - Pineta Albere di Tenna (da TripAdvisor)


Tra passato e presente

Sentiero degli Gnomi - Pineta Albere di Tenna (da TripAdvisor)

del prof. Vittorio Marchesoni, allora Ordinario di Botanica all’Università di Padova dimostrò che qualcuno aveva costruito le proprie abitazioni sul colle di Tenna attorno al 1500 a.C.! Fu subito allora chiaro che in Alberè si celava qualcosa di unico, ma in assenza di uno scavo estensivo e di ulteriori analisi dell’area, non fu allora possibile determinare con esattezza la natura e l’estensione di quello che appariva certamente come un insediamento palafitticolo preistorico, analogo ad altri presenti in Trentino, ben documentati, a Fiavè e Ledro. A conferma di quanto scoperto, pochi anni dopo, nel 1967, sempre per un intervento casuale, vennero portate alla luce due punte di freccia in selce, depositatisi sulla riva fangosa del laghetto, anch’esse databili a quel periodo. È dunque evidente che nell’area, una posizione dominante rispetto alla valle sottostante, all’epoca certamente meno agibile rispetto ad ora, avvenne un primo insediamento antropico sul modello palafitticolo ampiamente documentato in tutto l’arco alpino. Purtroppo nessuno da allora ha più indagato e queste scoperte sono

andate dimenticate, anche all’interno della stessa comunità locale. Ad oggi 111 “Siti palafitticoli preistorici dell’arco alpino” sono stati iscritti nella Lista del Patrimonio mondiale dell’UNESCO e si estendono sui territori di sei Paesi - Svizzera, Austria, Francia, Germania, Italia e Slovenia. Il caso di Tenna, del quale al momento non è possibile determinare l’estensione né l’importanza, merita certamente una indagine approfondita e partendo da questa conoscenza

possiamo già pensare in futuro a progetti che permettano di scoprire sempre più il nostro passato, contribuendo così a ricostruire quel meraviglioso ambiente che era la Pineta di Alberè prima del disastro di Vaia, anche attraverso il recupero di quel patrimonio storico e archeologico che lì si cela, valorizzandolo, senza interventi invasivi e farlo conoscere così non solo agli abitanti dello splendido municipio affacciato sui due laghi, ma dell’umanità intera.

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ELEZIONI AMMINISTRATIVE PER IL RINNOVO DEI CONSIGLI COMUNALI TRENTINO – ALTO ADIGE 20-21 SETTEMBRE 2020

CONDIZIONI DI ACCESSO PER LA DIFFUSIONE DI MESSAGGI POLITICI ELETTORALI SUL PERIODICO VALSUGANA NEWS Si informano gli interessati che il periodico VALSUGANA NEWS, nel rispetto di quanto previsto dall'art. 7, comma 2, della legge 22 febbraio 2000, n° 28, e successive modifiche, pubblicherà nel mese di settembre 2020, uno SPECIALE ELEZIONI all'interno del quale sono stati previste pagine politiche riservate ai candidati, partiti e movimenti politici. Si informa che i messaggi politici elettorali saranno posizionati in ordine di prenotazione e in spazi chiaramente evidenziati e riconoscibili con modalità uniformi per ciascun candidato, Partito e/o Movimento politico, e recheranno la dicitura “messaggio politico elettorale” con l'indicazione del soggetto politico committente. Si informa, inoltre, che potranno essere pubblicate soltanto le seguenti forme di messaggio politico elettorale: 1) annunci di dibattiti, tavole rotonde, conferenze e discorsi; 2) spazi riservati alla presentazione dei programmi delle varie liste, dei gruppi di candidati e dei candidati; 3) pubblicazioni di confronto tra più candidati.

COSTO SPAZI ELETTORALI: PAGINA INTERA 350,00 + IVA AL 4% - MEZZA PAGINA 200,00 + IVA AL 4% Le modalità, le condizioni di accesso e i prezzi relative alle pagine, agli spazi e ai modulari per la pubblicazione dei messaggi elettorali di cui sopra e relativi alla legge sopracitata, sono disponibili presso GRAFICHE FUTURA (sede della redazione del periodico VALSUGANA NEWS) a Mattarello,Via della Cooperazione, 33. Per info e prenotazioni: direttore@valsugananews.com - info@valsugananews.com Per contatti telefonici: 333 2815103 1 16

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Conosciamo il passato di Massimo Dalledonne

Silvio Divina e Carlo Dall’Elmo Ciurcentaler Due giovani borghesani accomunati tra loro da un tragico destino. Tutti e due sono caduti, durante la Prima Guerra Mondiale, nella zona del Monte Nero, durante i sanguinosi scontro del 1915 tra le truppe italiane e quelle austro-ungariche.

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roprio nel giorno di ferragosto di 105 anni fa venne ucciso il Divina, Nato a Borgo nel 1894 – come si legge nel libro di Fulvio Alberini ed Emanuele Divina “Memorie di un irredentista – l’avventurosa vita di Ermete Divina” che cita come ulteriore fonte il volume “Martiri ed eroi trentini della guerra di redenzione” – nel settembre del 1914 scappa dal suo paese natale e, con alcuni amici, dalla Valle di Sella passa il confine italiano attraverso porta Manasso. Una volta arrivato a Milano, si iscrive al Battaglione Volontari Negrotto, prima, e, allo scoppio della guerra, si arruola nel 12° Bersaglieri. Nel mese di giugno del 1915 viene spedito sul Monte Nero. Qui, esattamente il 15 agosto, mentre attaccava le trincee austriache durante l’avanzata dello Slemme, venne ucciso dalla spoletta di uno schrapnel. Come si legge ancora nel libro “dopo l’azione (Silvio) venne raccolto dai compatrioti ed amici Ermete Costa e

Carlo Dall’Elmo Ciurcentaler

Silvio Divina

Francesco Ferrai e sepolto in prossimità della trincea, non consentendo il bombardamento nemico ed altre circostanze di dargli più onorata sepoltura. Alla vigilia dell’azione aveva scritto ai fratelli una entusiastica cartolina di saluto; presagio forse della prossima fine, ai compagni di trincea aveva detto che la festa di Ferragosto l’avrebbe passata ridendo di fronte alla trincea nemica. E così fù. I commilitoni che lo raccolsero esanime raccontarono che aveva ancora sulle labbra il sorriso”. Il luogo della sepoltura non venne mai ritrovato, nonostante fosse stato ripetutamente cercato sia dai fratelli che da numerosi commilitoni. La famiglia Divina diede ben quattro volontari, durante la Prima Guerra Mondiale, all’esercito italiano: due caduti (Silvio e Giovanni) ed uno mutilato (Gioacchino). Quest’ultimo faceva parte del 12° Reggimento Bersaglieri. Fuggito da Borgo nel marzo del 1915 attraverso il monte Picosta con il fratello Giovanni,

Stele di Silvio Divina

come Silvio fu inviato a combattere sul fronte isontino del Monte Nero. Il 24 luglio del 1915, durante un pattugliamento, venne colpito al femore da una pallottola esplosiva. La gamba gli rimase irrimediabilmente deformata ed irrigidita. Gioacchino Divina morì nel 1959 all’età di 64 anni. Carlo Dell’Elmo Ciurcentaler era nato a Borgo l’11 agosto del 1886 ed il suo cognome di battesimo, quello austriaco, era Tschurchenthaler. Anche lui scappò dalla Valsugana. Era il dicembre del 1914 e, dopo aver attraversato l’altopiano di Lavarone, fece lo stesso percorso di arruolamento nell’esercito italiano di Silvio Divina. A differenza del compaesano, una volta arrivato sul fronte isontino del Monte Nero, prese parte a diversi combattimenti per essere poi nominato aspirante ufficiale. Finì nelle prime linee sulle pendici del Mrzli. Faceva parte del 5° reggimento bersaglieri ed assegnato al 2° Battaglione. Dopo aver frequentato il corso ufficiali venne aggregato al 90° reggimento fanteria. Una bomba lo colpì mortalmente il 2 dicembre del 1915 sul Monte Merli e la sua salma venne sepolta nel piccolo cimitero di Silisce. Per il suo eroico comportamento gli venne assegnata la medaglia d’argento al valor militare. Due cippi commemorativi sono stati posti dalla Legione Trentina in ricordo dei due giovani borghesani in Slovenia, nella zona dello Slemme, tra Tolmino e Caporetto.

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Storie di migranti di Waimer Perinelli

In Colorado sognando il Trentino Nato a Denver, in Colorado, nel 1969, Eric Marshall è il bisnipote di Anna Andreatta, emigrata negli Usa da Segonzano nel 1892, e di Giovanni Battista Grisenti, emigrato da Baselga di Pinè nel 1910.

“Q

uando ha conosciuto la mia bisnonna, il mio bisnonno lavorava assieme ai fratelli come minatore in Colorado- ci ha raccontato Eric- si sono sposati nel 1920 e nel 1925 nacque mia nonna, Florence Grisenti, che invece ha sposato un americano, ecco perché il mio cognome è Marshall”. Quello che ha stupito immediatamente tutti noi, è stato l’italiano di Eric, parlato in maniera pressoché perfetta con soltanto l’accento inglese a tradirne la provenienza. Il mistero è presto svelato. “Con la mia nonna ho sempre parlato un po’ di italiano ma all’inizio degli anni ‘90 ho seguito un corso intensivo di italiano in California. Sette settimane di full immersion che mi hanno permesso di imparare la lingua e venire a Firenze, dove nel 1992 mi sono iscritto alla scuola per stranieri “Lorenzo De Medici” per studiare scultura. Nel 1994 ho partecipato al progetto di interscambio a Candriai (INFO), al termine del quale i miei nonni sono arrivati in

Italia dagli Stati Uniti per la prima volta. Naturalmente ne abbiamo approfittato per visitare alcune città italiane, ma la meta che più ci stava a cuore era il Trentino, dove abbiamo soggiornato grazie all’appoggio di alcuni parenti. Non dimenticherò mai la grandissima emozione che ho visto negli occhi di mia nonna quando siamo arrivati a Baselga di Pinè, il luogo dove era nato e cresciuto suo padre”. Eric è proprietario di una ditta che si occupa di realizzare progetti in marmo e altri materiali pregiati, attività che segue non solo come imprenditore ma partecipando attivamente alla realizzazione dei progetti. “L’arte e il disegno restano la mia passione, mi piace collaborare con gli architetti e nel tempo libero continuare a cimentarmi nella scultura. Il lavoro mi porta a viaggiare molto, ed è sempre un piacere quando mi capita di passare dall’Italia. L’ambiente, la cultura, il cibo... amo talmente tanto l’Italia che sono venuto addirittura a sposarmi qui! Mia

moglie Laura ama molto l’Europa, in particolare l’Italia e la Francia, tanto che, quando nel 2003 abbiamo deciso di sposarci, lo abbiamo fatto in Italia, proprio a Trento, con una cerimonia civile e un ricevimento a Villa Mersi. Anche i miei figli, Isabella e Shae conoscono l’italiano e sono già stati qui. Isabella ha studiato scienze ambientali, ma ha seguito anche dei corsi di italiano, e le piacerebbe molto proseguire i suoi studi a Trento. Anche a me farebbe molto piacere se decidesse di studiare qui, dopotutto quella di Trento è una delle università migliori d’Italia”. Eric è già membro del Circolo trentino di Denver, di cui è rappresentante, ma ha espresso il desiderio di iniziare a collaborare ancora di più con la Trentini nel mondo. Il primo passo? Prendere il posto della nonna Florence, purtroppo scomparsa, diventando ufficialmente socio. Per gentile concessione della rivista Trentini nel mondo.

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Conosciamo il territorio

LA VALSUGANA

Sempre più green e sostenibile

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a zona della Valsugana Lagorai ha intrapreso una scelta di straordinaria importanza per lo sviluppo della destinazione come comunità di sistema integrata alle peculiarità e alla vocazione della meta turistica. Nel turbinio di colori che in primavera vestono questo magico paesaggio, quest’anno è il “green” ad avere il ruolo di protagonista, grazie all’attuazione di un progetto che prevede l’applicazione di un approccio sostenibile al turismo, abbracciandolo in ogni sua sfumatura green, dall’ospitalità alla ristorazione, dalla gestione dell’ambiente alle proposte di svago. Una nuova visione “total green” che ha portato la Valsugana e Lagorai a ricevere, a giugno 2019, la certificazione secondo gli standard del GSTC (Global Sustainable Tourism Council) come prima destinazione a livello nazionale e mondiale per il turismo sostenibile: questo l’emblema di quell’instancabile amore e rispetto per la propria terra che si traduce nel quotidiano impegno di valorizzare e curare un, già inestimabile, patrimonio ambientale. Va ricordato, infatti, che i Laghi di Levico e Caldonazzo dal 2013 ricevono il riconoscimento europeo della Bandiera Blu per la qualità delle acque e dei servizi offerti sulle spiagge del lago. Un riconoscimento di prestigio che ha fatto iniziare un percorso legato alla vicinanza all’ambiente e al turismo sostenibile. Altro importante risultato riguarda la Ciclabile della Valsugana. Nel mese di febbraio 2020, infatti, alla Ciclabile è andato il premio della stampa

Passo 5 Croci - Val Campelle (Ph. Stefano Slompo)

nell’ambito dell’edizione 2020 dell’”Italian green roads award”. Il premio è stato attribuito a Verona in occasione del “Cosmo Bike Show”, il Festival della bici, presso il quartiere fieristico. “Italian green roads” è l’iniziativa che annualmente valuta e premia le più belle vie verdi d’Italia, intese anche come prodotto turistico che diffonde la conoscenza del territorio e delle sue caratteristiche ambientali, culturali, enogastronomiche. La Provincia Autonoma di Trento, ha partecipato all’edizione 2020 presentando le Ciclovie delle Valli di Fiemme e Fassa e quella della Valsugana. La Ciclovia della Valsugana ha ottenuto il prestigioso premio della stampa, assegnato dai giornalisti che compongono la giuria ad uno dei progetti non premiati con il primo premio assoluto coma la “ciclabile più verde d’Italia”. E altro qualificatissimo riconoscimento è stato ottenuto, sempre dall’APT

Valsugana nel mese di luglio 2020, quando ha ricevuto la bandiera verde di Legambiente per la promozione di un turismo rispettoso dell’ambiente – dal progetto “Vacanze in Baita” alla valorizzazione degli alpeggi con l’iniziativa “Adotta una mucca” – e l’ottenimento della certificazione Gstc” “Riconoscimenti, questi, ha sottolineato Denis Pasqualin, presidente Apt, che indiscutibilmente premiano la nostra volontà di mettere “sempre” il residente al centro del nostro impegno e del nostro operare. E dobbiamo essere orgogliosi del nostro territorio e della qualità della vita. In questo modo siamo appetibili anche per i turisti. È fondamentale il tessuto locale per ribadire la veridicità di valori che tutti ci invidiano e che sono centrali nell’essenza della montagna, della vita in natura, dell’identità alpina e della serenità. Questi, ha concluso Pasqualin, sono punti di forza unici”.

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In ricordo di un “Grande” di Katia Cont

Ennio Morricone

Musica, disciplina e... amore

“A mia moglie Maria il più doloroso addio”

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ompositore, musicista, direttore d’orchestra e arrangiatore, ha regalato al mondo più di 500 colonne sonore per il cinema, da Per qualche dollaro in più a Mission. Cinque nomination e due premi Oscar: il primo alla Carriera, nel 2007 e l’altro nel 2016 per la partitura del film The Hateful Eight di Quentin Tarantino. Una stella, la numero 2574, sulla Walk of Fame di Hollywood. Era difficile non considerarlo un genio, ma Ennio Morricone teorizzava che tutto quello che aveva realizzato nasceva unicamente dall’abnegazione e dal lavoro: “l’ispirazione non esiste” ripeteva, “c’è solo il lavoro quotidiano, sodo e preciso.” Un uomo riservato, a volte sfuggente e durissimo, quasi spietato. Non è mai stato una persona conciliante, severo e critico nei confronti di tutto quello che lo allontanava dalla sua idea di perfezione. Un uomo incredibilmente prolifico che è stato in grado di musicare anche 10 film l’anno per 20 anni di seguito, una macchina melodica che non ha mai avuto battute d’arresto. Ma non solo film, ha anche realizzato circa un centinaio di brani di musica classica e musica commerciale eseguendo gli arrangiamenti di capolavori come Sapore di sale di Gino Paoli e Se telefonando. Il grande compositore, appena scomparso all’età di 91 anni è stato un infaticabile lavoratore rivoluzionario e sperimentatore. Nelle sue colonne sonore si affacciarono per la

prima volta nella storia della musica i ha sempre voluto metterlo in chiaro: “rumori”, le sue armonie iniziarono a gran parte del merito è di Maria. «È mescolarsi con suoni e discontinuità stata bravissima lei a sopportare me. rumorose come urla, colpi di frusta, È vero, qualche volta sono stato io a sassi rotolanti, suoni che ora siamo sopportarla. Ma vivere con uno che fa abituati a sentire nei film western. il mio mestiere non è facile. AttenzioMorricone, ha condiviso tutto con ne militare. Orari rigorosi. Giornate la donna che ha sposato nel 1956: intere senza vedere nessuno. Sono «Nell’amore come nell’arte la costanun tipo duro, innanzitutto con me za è tutto. Non so se esistano il colpo stesso e di conseguenza con chi mi di fulmine, o l’intuizione soprannasta attorno». Maria è sempre stata turale. So che esistono la tenuta, la la prima ad ascoltare la sua musica: coerenza, la serietà, la durata. E, certo, «È lei che giudica prima di tutti» un la fedeltà», Ennio Morricone e Maprivilegio raro. ria Travia sono una bellissima storia “A mia moglie Maria il più doloroso d’amore, un solo grande amore. Maaddio” l’amore che prevale sulla sua ria, 89 anni, è stata al suo fianco fino razionalità espressa nell’ennesimo alla fine, dopo il ricovero in ospedale gesto rivoluzionario del necrologio a seguito di una caduta. “Lucido fino che egli stesso ha voluto scrivere, alla fine, ha salutato l’amata moglie lasciando questa volta alle parole il Maria che lo ha accompagnato ruolo che lui ha sempre affidato alla con dedizione in ogni istante sua musica. della sua vita umana e professionale e gli è stata accanto fino all’estremo respiro”, così recita il comunicato stampa inviato dalla famiglia. A lei Morricone aveva voluto dedicare, sul palco del Dolby Theatre, il premio più importante: l’Oscar per la colonna sonora di The Hateful Eight nel 2016. Con voce tremante aveva alzato la statuetta verso la donna della sua vita: «Lo dedico a mia moglie Maria, mio Ennio Morricone - Oscar (da Musicalnews) mentore». Morricone,

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Il 5 settembre concerto all’Hotel Paoli - La Vedova - Lochere di Caldonazzo

Nomadi: mai dimenticati

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ldo Conci aveva 17 anni quando i Nomadi debuttarono al Lido di Levico. Correva l’anno 1965 nella band musicale modenese cantava Augusto Daolio, morto a soli 45 anni, nel 1992, destinato a diventare una leggenda. Fu un successo grande quanto inatteso perché i “ragazzi” beat, erano stati ingaggiati per sessanta giorni dalla famiglia Flaim che gestiva il centro balneare, come “spalla” dei Ribelli, complesso musicale che accompagnava Adriano Celentano. I Nomadi dettero una “spallata” e s’ impressero nel cuore dei giovani della Valsugana. “ La loro canzone donna la prima donna non fu un immediato successo ricorda Aldo che conserva gelosamente quel primo 45 giri, ma sottolinea, aprì loro la via per Milano dove con la canzone Come potete giudicar ottennero uno strepitoso successo”. Aldo Conci, il Valsugana sub e un gruppo di amici fra i quali Rita Flaim, figlia dei gestori del Lido, riuscirono a riportare i

Nomadi - 2017 (foto di Andrea Colzani_web)

Nomadi in Valsugana il 13 marzo 1993 nel concerto che decretò la “ripartenza” della band di Novellara ad un anno dalla morte del grande Augusto Daolio. In quell’occasione furono ospitati dall’Hotel Paoli dell’omonima famiglia che allestirono un’arena sul loro campo capace di accogliere oltre 4 mila persone. E fu un successo veraNomadi - 1972 mente enorme, al di là delle aspettative, tanto da essere richiamati ne colse pienamente il significato. Furoin concerto, sempre all’Hotel Paoli, no perfino ricevuti da Papa Paolo sesto. per altre due volte, nel 1994 e nel ‘95. La musica dei Nomadi è stata influenIn quasi sessant’anni di attività grazie, zata inizialmente dalla rivoluzione anche alla collaborazione con Francesco culturale nata negli Stati Uniti come Guccini, i Nomadi hanno venduto 15 contestazione della guerra del Vietnam milioni di dischi affermandosi terzi nella e ispirata dal movimento culturale della classifica di ogni tempo degli interpreti Beat Generation sorto negli anni ‘50, le italiani con canzoni leggendarie come cui idee sono state dettate e diffuse dal Io vagabondo, Canzone per un’amigruppo letterario composto fra gli altri ca, Dio è morto. A proposito di questo dallo scrittore Jack Kerouac e del poeta brano del 1967 bisogna ricordare che la Allen Ginzberg. Rai lo censurò mentre venne trasmessa A settembre I Nomadi tornano all’Hotel tranquillamente da Radio Vaticana che Paoli- La Vedova e con loro c’è Beppe Carletti, il tastierista, immancabile fin da quel leggendario 1965. Unico a non mollare mai. La band è cresciuta, la musica conserva però il sapore leggero del divertimento, capace di far riflettere sulle cose più serie del mondo ma anche di far decollare la fantasia e l’ottimismo. Non a caso è fra i ricordi più belli di almeno due generazioni di valsuganotti. (W.P.)

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Tra passato e presente di Mario Pacher

La miniera di Calceranica al Lago In questi ultimi anni il comune di Calceranica, in collaborazione anche con altri enti e comuni limitrofi, ha voluto in vari modi richiamare nella memoria della gente l’antica miniera. Lo ha voluto fare perché non venga mai dimenticato quel giacimento che se un tempo è stato valido sostentamento di vita per tante famiglie, è stato anche causa di drammi per morti e per gravi conseguenze sulla salute. Molte persone che negli anni della guerra vi trovarono sicuro riparo come rifugio, furono contaminate da quella polvere respirata che, entrando nei polmoni, aveva poi causato in loro la silicosi.

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ià nel 1991 era stato inaugurato in piazza a Calceranica il “Monumento al Minatore” realizzato da ex minatori e dal gruppo culturale “Miniera”. Alcuni anni dopo al piano superiore del municipio di Calceranica, venne realizzato un museo permanente con esposizione di documenti d’epoca, attrezzi vari, libretti di lavoro, lampade, vestiti usati dagli stessi minatori. E sempre all’interno di quella esposizione permanente, accanto alle foto dell’epoca che riportano soprattutto volti di operai che dentro vi lavorarono, vi sono molteplici monografie del Museo Tridentino di Scienze Naturali. A fine luglio 2008 è stato inaugurato poi il “Parco minerario” con taglio del nastro e consegna della moneta commemorativa e la galleria è visibile, dall’inizio, per un centinaio di metri. E questa forse è l’opera più importante poichè vuole essere di forte richiamo per i locali e le loro future generazioni, e anche per i turisti che vengono in Trentino per trascorrere le loro ferie e che desiderano conoscere una grande pagina di storia locale. Il giacimento minerario di Calceranica ha la forma di una lente ellittica, con diametri rispettivamente di 1800 e 600 metri circa e spessore che varia da oltre 4 metri nella zona centrale a

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meno di 1 metro ai margini. Sembra certo che dalle porzioni superficiali ossidate del giacimento, siano stati ricavati rame e probabilmente ferro fin da epoche remote. Lavorazioni saltuarie sono documentate fra il 1600 e i1 1900, ma la vera coltivazione industriale del giacimento fu compiuta tra la fine della seconda guerra mondiale e il 1964 dalla Soc. Montecatini. Complessivamente sarebbero state estratte circa due milioni e mezzo di tonnellate di minerale. Aggiungiamo qualche altro dato storico su questa miniera situata

Alcuni operai della miniera

sulla sponda meridionale del Lago di Caldonazzo, che è stata il più grande giacimento metallifero dell’alta Valsugana. Inizialmente la miniera fu gestita dalla “Società Anonima Miniere di Calceranica” che estraeva un quantitativo di minerale ridotto, che via via però andò sempre aumentando. Infatti nel 1922 le tonnellate di pirite prodotto erano diecimila per raggiungere poi, nel 1953 quando divenne di proprietà della Montecatini, le centomila tonnellate. In quegli anni gli operai che dentro vi lavoravano avevano raggiunto il numero di 700


Tra passato e presente

L’ingresso al “parco minerario”

unità. La quasi totalità del giacimento era formata da sulfuri, cioè da minerali formati da zolfo legato a un elemento metallico. Il solfuro, di gran lunga più comune nel giacimento, era la pirite, un minerale nel quale lo zolfo è legato al ferro. Questo “solfuro di ferro” appare di lucentezza metallica e di colore giallo: da qui il nome di “oro degli stolti” con il quale era noto in passato. I cristalli di pirite hanno

forma di cubo o di pentagono con dodici facce. La pirite del giacimento di Calceranica ha comunque grana microscopica e i suoi cristalli misurano frazioni di millimetri. Nella fase finale di coltivazione della miniera di Calceranica, che venne chiusa nel 1964, all’interno delle sue gallerie lavoravano ancora diverse centinaia di persone. Il lavoro era a ciclo continuo, organizzato su tre turni di scavo: dalle 7 alle 15, dalle 15 alle 23 e dalle 23 alle 7. Ogni ciclo si protraeva per otto lunghe ore di attività nelle viscere della terra, a migliaia di metri di distanza dall’imbocco della miniera e a centinaia di metri sotto la superficie del terreno. Un lavoro duro

e disagevole nel corso del quale ogni piccola disattenzione poteva tradursi in un rischio di rimanere feriti o peggio ancora. La possibilità di trovare “a cottimo” un sistema di retribuzione basato sulla quantità di minerale effettivamente estratto, incentivava i minatori a incrementare la velocità di scavo a scapito anche della propria sicurezza. Almeno una decina furono i minatori che morirono a causa di franamenti improvvisi, di rovinose cadute, di detonazioni ritardate delle cariche di scoppi, precipitati in pozzi verticali o anche schiacciati dai vagoncini nelle anguste gallerie. Numerosi furono anche i lavoratori che rimasero feriti e quelli invece che contrassero la silicosi, un’insidiosa malattia polmonare causata dalla respirazione di polveri di silicio che provoca la morte per insufficienza respiratoria o scompenso cardiaco. Chi oggi vuole visitare la miniera, trova, a pochi passi dall’ingresso, un ufficio informativo per il pubblico.

Come eravamo

Borgo, Largo Dordi

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La Cassa Rurale Alta Valsugana e l’ambiente di Armando Munao’

Green economy e “impatto zero” Il progetto “Impatto Zero”, nella sua essenza, vuole richiamare la filosofia di fondo sottesa a quest’idea: quella di portare nel tempo all’offerta di prodotti e servizi “green”, incentivando contestualmente scelte e comportamenti responsabili da parte di tutti i soggetti con cui la Cassa Rurale Alta Valsugana entra in relazione. Nel dettaglio, “Impatto Zero” si configura come una linea di finanziamenti a condizioni particolarmente agevolate per il miglioramento dell’efficienza energetica e il rispetto dell’ambiente.

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resso la sede della Cassa Rurale Alta Valsugana di Pergine, è stato presentato, dai vertici dell’Istituto di Credito, il progetto “Impatto Zero”, un insieme d’iniziative e sostegni economico-finanziari al servizio di imprese, famiglie, imprenditori e realtà commerciali e artigianali operanti in Alta Valsugana. Un progetto che non solo ha il precipuo scopo di aiutare concretamente i soci e clienti nella non facile ripartenza del dopo Covid19, ma anche il rispetto dell’ambiente che ci circonda. In un mondo che si desidera sempre più “verde”, più sensibile ai temi ecologici e attento a realizzare uno

sviluppo sostenibile, è necessario individuare, è stato precisato nel corso della conferenza stampa, anche degli strumenti concreti per incentivare e favorire il miglioramento di quel complesso sistema conosciuto come “green economy”. E a oggi sono molti i Paesi che hanno già fissato precisi obiettivi volti a tutelare l’impatto ambientale, a ridurre l’inquinamento e a mitigare gli effetti del riscaldamento globale, varando specifici provvedimenti a sostegno della generazione e dell’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili. Per il Presidente della Cassa Rurale Alta Valsugana, Franco Senesi, “Impatto Zero” ha il precipuo compito,

da sinistra Diego Franceschi (responsabile area finanza), Daniele Lazzeri (responsabile relazioni esterne), il Presidente Franco Senesi e Massimo Tarter (responsabile area commerciale e marketing

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IMPATTO

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dopo la recente pandemia dovuta al Covid 19, di mettere al centro, e come punti prioritari, i temi della salute, del benessere, della sostenibilità e l’indispensabile ricerca di fonti alternative. E si tratta – ha concluso- di “un’idea sostenuta anche dal Gruppo Cassa Centrale Banca, che appartiene da sempre al mondo del credito cooperativo, ma che ora si traduce in un modo nuovo di fare “green banking”: quello di essere cooperativi, sostenibili, responsabili”. Massimo Tarter, (responsabile dell’area commerciale e marketing dell’Istituito perginese) nel suo intervento, ha illustrato e presentato i possibili finanziamenti e le modalità volte a incentivare, con una particolare linea di credito - e a condizioni agevolate - il miglioramento dell’efficienza


La Cassa Rurale Alta Valsugana e l’ambiente energetica degli immobili come l’installazione di pannelli solari, impianti fotovoltaici, di pannelli idraulici, celle a combustibile domestiche, serre bioclimatiche. Oltre a questo, “Impatto Zero” è anche destinato a sostenere la mobilità elettrica per e-Bike e scooter, nonché per tutte le automobili integralmente elettriche. A tal proposito deve essere sottolineato l’impegno dell’Istituto di credito perginese che da anni produce energia pulita grazie agli impianti fotovoltaici e di microcogenerazione installati in molte sue filiali. Così com’è già possibile - e anche facilmente - ricaricare autoveicoli o e-bike utilizzando le colonnine installate in tutta l’Alta Valsugana, posizionate in prossimità delle filiali della Cassa Rurale. Diego Franceschi, responsabile dell’area finanza, ha invece reso noto che i quasi 10mila soci e i circa 40mila clienti potranno usufruire di mol-

tissimi prodotti finanziari e convenienti forme d’investimento che non solo permetteranno una resa del capitale, ma - di fatto puntano su una migliore tutela dell’ambiente. A breve, il progetto “Impatto La sede della Cassa Rurale Alta Valsugana Zero” includerà anche finanziamenti per la collocamento di strumenti di finanza realizzazione di tutte le opere che sostenibile, i cosiddetti fondi comuni beneficeranno del credito d’imposta ESG (Environmental, Social, GoverEcobonus 110% e per l’acquisto o la nance). costruzione di immobili con certificaInvestimenti responsabili che perzione Arca e CasaClima. seguono per l’appunto gli obietContemporaneamente, nel settotivi tipici della gestione finanziaria re degli investimenti, si è ampliata tenendo però in considerazione gli ulteriormente l’offerta dei prodotti aspetti di natura ambientale, sociale proposti alla clientela attraverso il e di governance.

Come eravamo

Vigolo Vattaro - Piazza del Popolo (1921)

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Valsugana anni 30 di Fiorenzo Malpaga*

La diga dei due laghi L’idea era di edificare una diga a Levico e sistemare a serbatoio i Laghi di Levico e Caldonazzo per la realizzazione di una centrale idroelettrica

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ualche anno fa l’ing. Arrigo Pedrolli, già dirigente della SIT di Trento, società che gestiva gli acquedotti della città, che in estate trascorre le ferie nella propria villa nei pressi del forte di Tenna, mi racconta la storia della progettata centrale idroelettrica a Mattarello, alimentata dai laghi di Levico e Caldonazzo. Erano gli anni Trenta, durante i quali venivano costruite in Trentino molte centrali idroelettriche, che utilizzavano il dislivello dei vari laghi; si pensi ad esempio alla centrale di S. Massenza, che utilizza l’acqua del fiume Sarca e poi del Lago di Molveno. Il progetto riguardante la zona dei laghi di Levico e Caldonazzo prevedeva, utilizzando il dislivello fra i due bacini (il lago di Levico è di circa 10 metri inferiore a quello di Caldonazzo) di creare un grande e unico serbatoio idrico, collegando i due laghi con una condotta sotto la collina di Tenna, fra la loc. Costa e Brenta. A protezione dell’abitato di Levico, era prevista una diga in terrapieno dell’altezza di oltre 10 metri.

A Calceranica sarebbe stata eseguita una condotta verso Mattarello, dove era prevista la centrale idroelettrica, utilizzando il dislivello fra il lago di Caldonazzo e Mattarello di circa 300 metri. Il progetto era già esecutivo, ed era già stata avviata la proceLa costa fra laghi di Levico e Caldonazzo (Anno 1959) dura per espropriare ed indennizzare le aree interessate ai lavori. Al riguardo ho rinvenuto, fra i vecchi documenti di mio nonno, Malpaga Enrico,(sindaco di Tenna per 30anni) per la stima eseguita nel 1936 dal Magistrato delle Acque di Trento prot. 5560 del 3 Luglio 1936, relativa ai danni arrecati al Lago di Levico Terme bosco in loc. Costa di Levico, riguardanti i rilievi necessari per avviare i lavori lago di Levico e quello di Caldonazzo. della condotta di collegamento fra il L’esecuzione dei lavori poi si è arresta-

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Valsugana anni 30

Pattinare sul lago

ta e il progetto non ha avuto seguito; non si è a conoscenza della ragioni o motivazioni che hanno indotto le Autorità competenti a bloccare l’esecuzione dei lavori. Non certo per proteste popolari e ecologiste, posto che eravamo in pieno regime fascista. Forse ragioni di ordine tecnico-economico hanno indotto le Autorità ad arrestare la realizzazione della programmata diga. Un vero “miracolo” ha consentito di

preservare la nostra splendida zona, con le due perle costituite dai laghi di Caldonazzo e Levico, separati dalla collina di Tenna. Pensiamo alle conseguenze disastrose che ne sarebbero derivate se la progettazione fosse stata realizzata: Dal danno enorme al turismo di Levico, posto che tutta la zona Lido, spiaggia, campeggi, area sportiva, Alberghi , a seguito della realizzazione del tomo di contenimento del lago di Levico alto almeno 10 metri, non si sarebbe potuta realizzare all’ altrettanto gravissimo danno alla bellezza paesaggistico-ambientale dello splendido lago di Levico, con la modifica morfologica di tutta la fascia lago e delle sponde

e per finire le conseguenze negative per la balneabilità dei due laghi posto che, diventando un bacino unico, la gradazione delle acque sarebbe diminuita. Effetti negativi anche sul clima di tutta la zona dell’Alta Valsugana, per effetto della alterazione e rimescolamento delle acque dei due laghi. Ho ritenuto opportuna divulgare tale informazione, che penso possa interessare sia i cittadini che i turisti della nostra splendida zona dei laghi, riguardante una vicenda che, nella malaugurata ipotesi, poteva nel caso di attuazione del progetto, tradursi in un danno enorme ed irreparabile per l’ambiente, il paesaggio ed il turismo, soprattutto di Levico. * Il dottor Fiorenzo Malpaga, segretario comunale a riposo, storico per passione.

Come eravamo

Levico Terme (1928)

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Ieri avvenne di Massimo Dalledonne

Il Re d’Italia a Strigno

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ono trascorsi esattamente 99 anni da quando, nell’agosto del 1921, l’allora re d’Italia Vittorio Emanuele III venne in visita ufficiale a Strigno. Il fatto è raccontato, con dovizia di particolari, da Carlo Zanghellini nel volume “Le mie guerre” edito dal Circolo Croxarie nell’ambito del Progetto Memoria. Per l’occasione la locale Cooperativa di Lavoro fra artieri di Strigno costruì in piazza un grande arco di trionfo tutto coperto di verde e di fiori. All’arrivo del re la piazza era gremita di gente e di autorità. Come racconta lo stesso Carlo Zanghellini “Il re si fermò sotto l’arco, all’interno della sua auto scoperta. Io avevo insistito perché mia sorella Paola si presentasse assieme alle autorità fregiata della sua Croce al merito di guerra. Dico di aver insistito perché qualcuno della famiglia di suo marito non dimostrava molto entusiasmo per ciò che essa aveva fatto in favore della causa italiana. Questo sentimento era del resto condiviso da una larga parte della popolazione, il cui attaccamento all’Austria e l’avversione all’Italia erano evidenti, tanto è vero che il professor Suster, pur eminente patriota, qualche tempo prima aveva consegnato la decorazione a mia sorella anziché con i dovuti pubblici

Re Vittorio Emanuele III

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In attesa del Re

Comitato d’accoglienza


Ieri avvenne

Strignati in posa

onori, come gli aveva ordinato il prefetto, a quattrocchi in municipio, senza cerimonia alcuna e ciò, mi aveva detto personalmente, per non urtare l’amara sensibilità di molti paesani che non avevano ancora digerito la tremenda sconfitta subita dall’Austria e dal loro beneamato Kaiser. Quando il re vide tra la folla mia sorella con la decorazione sul petto la fece subito

accostare e, tenendola per mano, volle sentire il racconto intero dei fatti per cui era stata decorata. Alla fine si congratulò sorridente stringendole con calore la mano. Alla costruzione dell’arco presero parte soci e operai della cooperativa, tra i quali vi erano molti sizzeri, Schützen, i franchi tiratori fedelissimi al Kaiser. Loro, naturalmente, non potevano

digerire l’amarezza di dover costruire archi in onore al re d’Italia e tentarono di soffocare nel vino l’amara pillola”. In quell’occasione Carlo Zanghellini scrisse anche una poesia che così recita: “Una volta quand’ancora si moveva “Checco bello” si faceva gran bordèllo, nel tugurio e nel castello, per l’Asburgo festeggiar. Or che i tempi son cambiati, or che abbiamo il tricolore, come il povero, il signore fan gran festa ad onore dell’Italia e del suo Re. Pure i “Sizzeri” cocciuti - le coscienze giallo-nere - già si scordan nel bicchiere e fan archi con bandiere, al Savoia, al nuovo Sir. Io che sono irredentista ora guardo e sto in disparte: e nel vedere tanta arte nel cambiar bandiera e parte non mi resta che arrossir”.

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Estate in Trentino di Nicola Maschio

I numeri del turismo È stata un’estate assolutamente diversa quella di quest’anno, altrettanto particolare. Il 2020 infatti resterà nella storia, con quest’ultima ovviamente segnata pandemia di Coronavirus ancora in atto nel mondo. La situazione in Europa, e dunque anche in Italia, è però al momento sotto controllo: l’emergenza sanitaria è terminata, e mentre in altre parti del mondo c’è chi ancora fronteggia il virus, la nostra realtà ha potuto fortunatamente ricominciare a muoversi.

È

il caso, soprattutto, del settore turistico: basti pensare che nel 2019 l’Italia è stata il quarto Paese più visitato al mondo (dato fornito dall’Agenzia Nazionale Italiana del Turismo), con quasi 115 milioni di presenze straniere sul nostro territorio nelle più importanti città d’arte. Non a caso, inoltre, il sopra citato settore occupa circa il 6% dei lavoratori italiani e può vantare centri ricolmi di opere straordinarie, da Roma (la città da sempre più visitata) a Venezia, Milano e Firenze, che la seguono a ruota. Ma quali sono i numeri di Trento e, più in generale, della nostra Regione? Parlando del 2019 e basandosi sui dati forniti dagli uffici della Provincia, il Trentino ha registrato un +2.5% di arrivi rispetto all’anno passato, così come un +1.5% in merito alle presenze. Più di 18 milioni i pernottamenti, quasi il 60% dei quali fatti da turisti italiani, ed anche una leggera diminuzione nel periodo primaverile che

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però, hanno spiegato prontamente gli esperti, derivava dal fatto che nello stesso periodo del 2018 è andata in scena l’adunata degli Alpini, evento che come sappiamo ha richiamato una quantità decisamente importante di persone nella città di Trento. Relativamente agli arrivi ed ai pernottamenti turistici stranieri, rispetto al 2018 si è registrato un +2,8%, con una massiccia presenza di turisti tedeschi (l’1.2% del totale) anche se non sono mancati visitatori da Olanda, Polonia e Repubblica Ceca. Rispetto al numero degli alberghi, poco più di 30mila in tutto il territorio nazionale, il Trentino ha potuto contare su ben 1.519 aperture che hanno garantito un totale di 93.806 posti letto disponibili, con una permanenza media degli ospiti che si è stanziata attorno alle quattro notti. Gli alberghi a 3 stelle contano il 46% dei turisti complessivamente transitati sul nostro territorio, ma anche i 4 stelle (+2,8%) e i 5 stelle (aumento

notevole pari al +7%) hanno registrato un positivo incremento. Da segnalare tuttavia anche il costante ed importante lavoro del settore extra alberghiero, il quale segna numeri altrettanto importanti: ben il 28,6% delle presenze turistiche hanno infatti scelto queste destinazioni, per una permanenza media di 4,6 notti ed un numero di strutture pari a 2.009 (in tutto ci sono 81.374 posti letto disponibili). Relativamente a tutte le strutture non comprese nelle due precedenti categorie, segni positivi anche per affittacamere, case vacanza e B&B, con una crescita del 5,7% e un totale dii presenze registrare di poco inferiore ai due milioni di visitatori. A farla da padrone nel settore extra alberghiero sono stati senza alcun dubbio gli agriturismi, che nel 2019 hanno rappresentato il 45% del movimento complessivo settoriale. Rispetto ai periodi preferiti dai turisti invece, sono i mesi estivi quelli trainanti: ben il 20,3% degli arrivi si registrano infatti nel mese di agosto, seguito dal 17% di quello di luglio e dal 7,9% di giugno. L’inizio dell’anno è sostanzialmente simile, con il 9,5% di gennaio, il 9,8% di febbraio ed il calo in marzo, con l’8,5%. Il mese meno attrattivo, in termini turistici, risulta quello di novembre (1,5%), mentre la percentuale sale notevolmente nel mese successivo: dicembre registra infatti un solido 7,3%, merito probabilmente dei tanto attesi mercatini di Natale.


Umana-mente di Chiara Paoli

Vacanze bonus Bonus diversi per andare in vacanza, quello Trentino che ci concede di fare una vacanza di prossimità rimanendo in provincia, anticipando noi il costo della vacanza e poi chiedendo un rimborso tramite il sito ripartitrentino.provincia.tn.it oppure quello statale, per cui bisogna verificare quali strutture aderiscano all’iniziativa che prevede di pagare direttamente un costo ridotto per il proprio soggiorno.

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l problema di quest’ultima modalità è trovare hotel, campeggi e strutture che siano disposte ad applicare lo sconto previsto dal “Decreto Rilancio”, che prevede 500 euro in meno per i nuclei famigliari composti da tre o più persone, 300 euro per la coppia e 150 euro decurtati al singolo viaggiatore. Cifre importanti che poi l’albergatore dovrà richiedere allo Stato e che con pazienza dovrà attendere. Considerando la stagione ridotta e le molteplici difficoltà incontrate dagli albergatori per la ripartenza, comprendiamo il perché molti di loro non siano disposti a prendere parte a questa proposta governativa. Il bonus statale è riservato a nuclei familiari con un ISEE inferiore ai 40.000 euro, mentre quello provinciale può essere richiesto da tutti. Anche le tempistiche dei due bonus sono diverse, quello statale si potrà richiedere e utilizzare fino a fine anno, mentre per quello provinciale il soggiorno deve essere ricompreso entro il 30 novembre. Certo prima di partire per una vacanza nel bel paese, nel caso del bonus statale bisognerà darsi da fare per ottenere la SPID, nel caso non si fosse già in possesso dell’identità digitale, fare la richiesta on-line e mettersi di buon grado a cercare le strutture che lo accettano. Dopo questa fatica, si potrà poi

godersi la vacanza a prezzo ridotto senza pensieri, mentre per chi chiede il bonus provinciale, ricordiamo che bisognerà farsi rilasciare fattura elettronica o ricevuta con segnato il codice fiscale del capofamiglia o capogruppo. Questo per fare chiarezza tra queste due diverse tipologie di bonus vacanza che possono “smuovere” anche quelli che in vacanza pensavano di non andarci affatto. Nonostante la diffidenza e le normative che impongono la sanificazione continua e l’uso di mascherine negli ambienti interni, c’è bisogno di ritornare alla normalità, c’è tanta voglia di vacanza e di svago dopo i mesi di quarantena. Ritornano a spaventare alcuni focolai e appare difficile rimuovere dalla nostra mente lo spettro del Covid-19, che ormai da molti mesi ci accompagna e tormenta nella nostra quotidianità.

Direi che il bonus è un buon incentivo per chi ha la possibilità di staccare la spina dal lavoro per cercare di scacciare la negatività e lo stress che si sono moltiplicati in questi mesi di emergenza sanitaria. Qui si sente forte il bisogno di evadere e di uscire all’aria aperta, le vacanze sono belle sia al mare che in montagna e per i Trentini c’è un motivo in più in questo 2020 per riscoprire il territorio, grazie al bonus. magari andando ad esplorare quelle valli che meno conosciamo. I nostri occhi potranno ammirare chiese affrescate, antichi castelli, sontuosi palazzi, laghi dalle tonalità azzurro-verde, passeggiate al cospetto delle orgogliose e fiere montagne che ci proteggono da millenni. Il nostro splendido ambiente naturale non può che riservarci una splendida villeggiatura in Trentino e quindi non mi resta che augurarvi buone vacanze!

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Storia dei costumi da bagno femminili

di © Mitì Vigliero

Dai gonnelloni al perizoma Si avvicina l’estate e con essa la voglia di abbronzarsi. Ogni donna, in questo periodo, passa in rassegna i propri costumi da bagno, comperandone di nuovi o infilando quelli a cui è particolarmente affezionata e che le donano di più. Nel 2020, tutto ciò pare assolutamente normale. Ma quella del costume da bagno, che fa parte dell’abbigliamento femminile da pochissimo tempo, oltre ad essere una delle storie più affascinanti dell’evoluzione della moda, la dice anche lunga in termini di emancipazione femminile.

L’

uso di frequentare d’estate le spiagge “organizzate” nacque nel 1700, quando vennero scoperte le proprietà terapeutiche dei bagni in mare. Gli uomini entravano in acqua nudi, le donne indossando sottovesti di flanella a maniche lunghe. Nel secolo XIX andare al mare divenne invece una moda oltre una sana abitudine, per questo i costumi da bagno si tramutarono in un vero e proprio capo d’abbigliamento. Quello maschile era solitamente composto da un paio di mutandoni con sopra una lunga maglia a maniche lunghe; quelli femminili avevano larghi mutandoni altezza caviglie o gonnelloni con sottovesti,

lunghe casacche con maniche a sbuffo sino al gomito (e sotto camiciole e camicine), cuffiette di stoffa sul cranio, calze nere e scarpette gommate. Le signore e signorine più vanitose, o le Mosaico fanciulle in bikini - Villa Casale Piazza Armerina più burrose, sotto si strizzavano in strettissimi busti Nel 1906 una nuotatrice australiadi gomma. na, Annette Kellerman, si presentò I colori predominanti erano il nero, il a una gara negli USA indossando blu e il rosso; le fantasie erano rigoun costume intero fatto a tutina che rosamente a righe bianche e roslasciava scoperte le cosce: fu arrestase o bianche e blu e i costumi erano ta, multata e immediatamente rimtutti in lana spessa che in acqua si patriata con foglio di via. Ma ormai inzuppava e allungava diventando la corsa alle forbici era tratta. una pesantissima zavorra. Nel 1915 nacquero in Francia le Dal 1890 i più audaci (e i più pratiprime fabbriche/case di moda speci) d’ambo i sessi iniziarono a dare cializzate in costumi come la Erté; dei tagli alle lunghezze; i mutandoni nel 1920 Coco Chanel, imponendo arrivarono al ginocchio così come le la moda della donna bella solo se gonne e le maniche, e poco per voltutta abbronzata, lanciò sul mercato ta sparirono calze e scarpette. pantaloncini corti sopra al ginocchio e Una piccola rivoluzione avvenne ai priparti superiori decisamente scollate; missimi del Novecento in Francia nello stesso anno in America veniva grazie al sarto Paul Poiret detto Le inventato il primo costume in maglina Magnifique, che impose per uomini “elasticizzata” (detto “modello sirenete donne costumi sempre di maglia, ta”) che permetteva ampie scollature ma più aderenti.

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Storia dei costumi da bagno femminili

anche sulla schiena. Negli anni ’30 nacquero gli antenati del due pezzi; pantaloni corti legati a corpetti tramite sottili strisce di stoffa (per curiosità la prima italiana ad indossarli al mare, con grande scalpore dell’opinione pubblica e gran divertimento di Pirandello, fu l’attrice Marta Abba); fu allora che nacquero anche i lunghi accappatoi in spugna che permettevano alle bagnanti di uscire dall’acqua e coprirsi immediatamente senza dare scandalo. Nel 1939 la casa di moda Jantzen lanciò il primo due pezzi “ufficiale”; il reggiseno era in realtà un bustino che copriva l’ombelico (e che solo nel ‘49 divenne un reggiseno vero e proprio), mentre i pantaloncini arrivavano sotto l’anca; ma l’idea di quel costume era stata presa da quello in maglina nera e considerato audacissimo che Greta Garbo indossava nel film “La donna dai due volti” (1934) Ma una rivoluzione era in agguato. Mentre il mondo femminile impazziva per i magnifici e sensuali costumi indossati da una giovanissima Esther Williams nei suoi film. il 2 luglio 1946 gli americani sperimentarono, con grande scalpore, le bombe all’idrogeno, facendole esplodere in un atollo della Micronesia: Bikini. Pochi giorni dopo (e precisamente il 5 luglio) a Parigi, ai bordi della piscina Molitor, un sarto francese allora asso-

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lutamente sconosciuto –Louis Réard– lanciò un’altra bomba: un costume in due pezzi, che lasciava totalmente scoperto l’ombelico, chiamato appunto “bikini”. In realtà, storicamente non fu una novità: l’avevano già “inventato” gli antichi romani nel IV sec. dC, come dimostrano gli splendidi mosaici di Piazza Armerina. Nessuna modella famosa volle sfilare con quella roba svergognata, e così Rèard lo fece indossare a una ballerina-spogliarellista del Casinò, Micheline Bernardini; non era una gran bellezza, ma nel giro di un mese la fanciulla ricevette, grazie alle foto che fecero il giro d’Europa, ben 50 proposte di matrimonio. Nel 1947, le concorrenti di “Miss Italia” sfilarono tutte indossando il bikini (per la cronaca, vinse Lucia Bosè); da allora, tutte le donne dello spettacolo fecero a gara a indossare due pezzi sempre più succinti, intendendoli come strumento di seduzione: indimenticabili le immagini anni ’50 dell’imbronciata e meravigliosa Brigitte Bardot sulla spiaggia di Saint Tropez che sfoggia il primo bikini


Storia dei costumi da bagno femminili

Annette Kellerman

Esther Williams

con reggiseno a balconcino a leziosi disegnini bianchi e rosa, con pizzetti loliteschi. Nel 1953 sempre la vulcanica mente di Réard inventò il “reggiseno disco volante”, che stava miracolosamente su senza bisogno di spalline e il pezzo di sotto a guaina (Sexyform) che altrettanto miracolosamente spostava all’insù le natiche. Nel 1956 Marisa Allasio sconvolse i sonni maschili indossando nel film “Poveri ma belli” il bikini più succinto della storia di quegli anni; modello immediatamente copiato dalle più grandi case, che mise in allarme i custodi della pubblica morale: sulle spiagge italiane giravano carabinieri in coppia, muniti di centimetro, che avevano il compito di misurare le dimensioni dei bikini indossati dalle bagnanti Le “misure” variavano da regione a regione e se erano inferiori al lecito, come accadde ad Anita Ekberg nel 1956 a Ostia, si veniva fermate, portate in caserma, sottoposte a verbale e multate per oltraggio al pudore.

Katia Rosso

Micheline Bernardini indossa il primo bikini al mondo nel 1946 (Foto Barbara Picci)

Negli anni Sessanta il bikini venne finalmente accettato dalla morale comune e divenne indumento da indossare senza alcun clamore, forse sdoganato definitivamente dalla splendida Ursula Andress in “007 Licenza d’uccidere”.

Lucia Bosè

Brigitte Bardot

me tanto che la leggenda vuole che la poveretta, sconvolta da tanto scalpore e cacciata ignominiosamente dalla famiglia, si chiudesse in convento. In compenso da allora furono migliaia le brasiliane che indossarono provocatoriamente il tanga, nel tempo talmente ristretto sino a diventare perizoma o decisamente “filo interchiappale”®, come parte inferiore del costume; la moda, nata per i piccoli e sodi sederini delle brasilère, arrivò ben presto in Europa e ancora permane anche su chiappone mediterranee ahimé non sempre perfette. Su gentile concessione di Mitì Vigliero. http://www.placidasignora.com /2010/07/16/storia-dei-costumi-da-bagno-femminili-dai-gonnelloni-ai-fili-interchiappali/

Nel 1968, ufficialmente seguendo le norme femministe che in nome della libertà e parità sessuale imponevano il rogo ai reggipetti, sempre le attrici lanciarono la moda del topless: in Italia la prima a mostrarsi pubblicamente a tette al vento sulle spiagge fu Laura Antonelli (eh no, la foto dello storico evento non l’ho trovata, mi dispiace ;-). Nel 1972 , sulla spiaggia di Ipanema (Rio de Janeiro) la signora italo-brasiliana Rose Di Primo, per farsi notare in una festa in spiaggia, modificò la parte di sotto del suo bikini inventando il “tanga”: la cosa ebbe un clamore enor-

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A FINO AL 30 AGOSTO

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Medicina & Salute di Armando Munao’

La sana alimentazione estiva Con l’arrivo della stagione estiva e quindi con l’aumento della temperatura, secondo i consigli dei medici e degli esperti di alimentazione, non solo è necessario ridurre l’apporto calorico, specialmente quello dato da cibi grassi, ma anche e principalmente si devono tenere presenti alcuni e importanti concetti fondamentali che sono alla base di corretta nutrizione.

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nnanzitutto è necessario sapere che nella dieta estiva è importantissimo bere molta acqua allo scopo di mantenere intatto il nostro fabbisogno, specialmente se con la sudorazione, la traspirazione della pelle, l’urina e le feci, ne abbiamo persa molta. È bene ricordare che nella normalità, il nostro fabbisogno giornaliero di acqua da ingerire dipende molto dal sesso e dall’età: negli adulti la quantità d’acqua da ingerire è di circa 2 litri per gli uomini e 2,1 litri e mezzo per le donne mentre nei bambini si va da 1,2 litri d’acqua fino a 3/5 anni a 1,8 a 10 anni. Secondo le indicazioni degli esperti l’acqua deve essere bevuta a temperatura ambiente, quindi non fredda e consumata non come gli

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assetati ma a piccoli sorsi. È vero che noi assumiamo questo prezioso liquido anche con le bevande e con i numerosi alimenti che ne contengono tanta, ma per una buona e corretta idratazione del nostro corpo è utile, anzi indispensabile bere durante la giornata, e anche lontano dei pasti. E quanta acqua dobbiamo ingerire dipende dalla quantità di cibi e da che tipo di alimenti mangiamo. Insomma, quando si ha sete, il nostro organismo ci avvisa sempre di bere e mai, però, sostituirla con le numerose bevande e bibite gassate. È utile ricordare che nei bambini è necessaria una maggiore attenzione poiché loro sono meno sensibili al richiamo della sete. In merito invece alla dieta “vegetale”, e non solo quella estiva, uno dei

punti fermi della nostra alimentazione, è ribadito anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che raccomanda il consumo di almeno 400 gr. di frutta e verdura al giorno perché frutta e verdura rappresentano, insieme con altri gruppi di alimenti, l’essenza del concetto di dieta mediterranea, di un particolare stile alimentare da promuovere e prediligere in tutte le fasi della vita e che utilissimo per prevenire malattie e patologie, anche gravi, come il diabete, l’obesità e il cancro nelle sue varie forme. Ma quali cibi salutari oltre all’acqua? È importante che la dieta contenga sempre fibre utili e indispensabili a regolarizzare le funzioni intestinali. Da sapere che nelle verdure e ortaggi si trovano molti sali minerali (calcio, ferro, fluoro, fosforo, magnesio, manganese e potassio), e numerose vitamine (A, C, B1, B2, B12, oltre all’acqua (per l’80-90%) e fibre. Se è possibile evitare la cottura prolungata in acqua perché provoca notevoli perdite di tali nutrienti. Meglio, e più opportuno privilegiare, quelle crude, fresche di stagione, dopo averle lavate accuratamente. Buona regola è quella di consumarli sempre ai pasti principali per l’importante ruolo nella modulazione glicemica e per raggiungere un buon senso di sazietà. La frutta invece è poco calorica e povera di grassi perché costituita


Medicina & Salute Cipolle, aglio, scalogno, cavolfiori, finocchi: favoriscono una corretta assimilazione dei grassi contenuti negli alimenti e quindi aiutano a combattere il colesterolo. Alcuni hanno anche proprietà antitumorali. Vegetali e frutta di colore viola: Melanzane, uva, prugne: proteggono le vie urinarie e hanno azione anti-invecchiamento nei confronti della pelle e della perdita di memoria. soprattutto da acqua e, in quantità minore, da carboidrati sotto forma di zuccheri semplici (soprattutto glucosio e fruttosio). Contiene invece molti sali minerali e vitamine. La frutta può essere consumata prima o dopo i pasti, a colazione o come spuntino e poichè è molto ricca di acqua e il suo consumo deve essere aumentato, soprattutto in estate, anche nei bambini, per evitare il rischio di disidratazione. Anche i colori della frutta e verdura sono indicatori delle specifiche proprietà dei vegetali. Vegetali e frutta di colore rosso: Pomodori, peperoni, fragole: ricche di vitamina A e C. Proteggono il cuore e le vie urinarie e rafforzano la memoria. E sono, insieme alla vitamina E, potenti antiossidanti. Vegetali e frutta di colore giallo-arancio: Carote, peperoni, zucca, mais, albicocche, pesche, melone: rinforzano gli occhi, il cuore e tutto il sistema immunitario, grazie anche alla grande quantità di vitamina C e betacarotene. Vegetali di colore verde: Insalate, zucchine, broccoli, asparagi, piselli, rucola, basilico, kiwi: proteggono le ossa, i denti e gli occhi e riducono l’affaticamento. Alcuni hanno anche proprietà antitumorali. Vegetali bianchi:

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Medicina & Salute di Rolando Zambelli *

Proteggiamo i nostri occhi

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er molti anni gli studiosi si sono applicati ed ancora si applicano per meglio comprendere gli effetti a volte deleteri che la luce (diretta, indiretta o di riverbero) può causare ai nostri occhi. Ormai è certo e documentato che la luce solare e quella riflessa da superfici come acqua, neve, asfalto (specialmente nel periodo estivo) e sabbia, rende la visione d’insieme meno nitida e più fastidiosa. Il maggior affaticamento inoltre in caso di abbagliamenti, specialmente quando si è alla guida di una autovettura, può essere causa di incidenti anche gravi. Fateci caso, ma nei mesi estivi spesso ci si preoccupa di salvaguardare la pelle dalle radiazioni solari; spessissimo siamo impegnati a spalmare sul nostro corpo creme e cremine, ma nessuno considera i danni che il sole con i suoi raggi può provocare ai nostri occhi, soprattutto in condizione di luce diretta o di intenso riverbero. Raggi certamente una volta sconosciuti, ma oggi ben etichettati e ben classificati. Come ben etichettata e classificata è l’azione che essi svolgono nei confronti della della nostra vista. L’azione delle radiazioni IR(infrarossi) e UV (ultravioletti) non solo sono all’origine di irritazioni ed infiammazioni, anche serie degli occhi, ma il loro continuo l’assorbi-

mento da parte dei tessuti dell’occhio, accumulandosi negli anni, ne accelera i processi di invecchiamento. Forse non tutti sono a conoscenza che l’intensità degli UV varia in funzione della latitudine, della stagione e dell’ora del giorno. Intensità che viene misurata secondo una scala (UV INDEX) che suggerisce anche le varie modalità di protezione. Ecco perché è consigliabile, se non indispensabile, dotarsi di occhiali da sole atti a proteggere gli occhi dai raggi solari ed i maniera specifica dai raggi ultra violetti che dal sole si generano e che sono quelli che possono causare patologie o alterazioni visive. Suggerimento opportuno in quanto nubi e foschia non filtrano completamente gli UV. E questo consiglio – a detta degli oculisti- è indirizzato non solo a coloro i quali hanno una vista perfetta

(bambini in particolare), ma anche a chi utilizza lenti correttive (occhiali o a contatto). Quindi, l’occhiale da sole, non è esclusivamente un accessorio di moda, ma un vero e proprio dispositivo di protezione individuale che deve rispettare una serie di criteri dettati dalle normative europee (EN 1836/1997) e corredato dalla note informative e riportare la marcatura CE Non solo, ma grazie ai progressi delle tecnica e della tecnologia applicata agli occhiali ed alle montature, sempre più sofisticate ed alla moda, ognuno di noi può risolvere i propri problemi visivi soddisfacendo, nel contempo, anche quelle ricercate esigenze estetiche da tutti desiderate. * Rolando Zambelli è Ottico Optometrista, Titolare di Ottica Valsugana – Borgo Valsugana

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Medicina & Salute di Armando Munao’

Il Melanoma U na recente statistica, condotta dalla Fondazione AIOM, ha evidenziato, purtroppo, che il melanoma è in aumento tra i giovani ed emerge che il 39% di loro non utilizza nessun tipo di protezione prima di esporsi al Sole. Il melanoma, infatti, è il tumore più aggressivo che colpisce coloro i quali hanno la cattiva abitudine, non solo di esporsi per molte ore al sole, ma soprattutto di non proteggersi adeguatamente. A tal proposito è utile ricordare che le creme o i prodotti per la protezione solare vanno riapplicate dopo 2-3 ore e dopo un bagno o una doccia. Le creme vanno applicate anche durante le giornate nuvolose soprattutto in montagna. Al bisogno è opportuno utilizzare anche cappelli e occhiali da sole. Per fortuna, a fronte dei casi in aumento, la mortalità provocata dal melanoma è stabile, ma con un significativo aumento, della sopravvivenza a cinque anni, che è oggi quantificata in circa l’87% dei casi. E se da una parte è aumentata sì l’incidenza di questa patologia dall’altra è aumentata anche la diagnosi di Melanomi sottili, cioè in fase iniziale, grazie all’opera di informazione svolta dai giornali, TV,

Evoluzione di un melanoma

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e società medico scientifiche. I numeri ci dicono anche che il melanoma cutaneo rappresenta circa il 9% dei tumori giovanili negli uomini (seconda neoplasia più frequente) e circa il 7% nelle donne (terza neoplasia più frequente). In totale il 4% di tutti i tumori in entrambi i sessi (dati Ministero della Salute). E in Italia, nel 2019, ci sono state quasi quattordicimila nuove preoccupanti diagnosi, Nello specifico, e analizzando i numeri diffusi per il 2018, in Italia erano 155.000 (73.000 uomini e 82.000 donne) le persone con una diagnosi di melanoma. Riferendoci ai dati AIRTUM (Associazione italiana registri tumori) si quantificano in circa 7.300 nuovi casi ogni anno tra gli uomini e 6.700 tra le donne. Dal 2003 al 2019, il numero di diagnosi di questa neoplasia è raddoppiato, passando da poco più di 7.000 a quasi 14mila casi, il 20% dei quali in pazienti con età compresa tra i 15 e i 39 anni. Ma cos’è il melanoma?. È un tumore che nasce dalla trasformazione tumorale dei melanociti (cellule della pelle) che hanno il precipuo compito di produrre la melanina, un utilissimo pigmento che ci protegge dagli effetti dannosi dei raggi solari ultravioletti che arrivano

a noi sotto forma di raggi UVA e UVB. In condizioni normali i melanociti possono dar luogo ad agglomerati scuri visibili sulla superficie della pelle e noti come nei (nevi è il termine medico) dai quali, a volte, e anche per la troppa esposizione al sole, si può generare un melanoma. A tal proposito è utile ricordare che anche le lampade e i lettini solari sono sorgenti di raggi ultravioletti e devono quindi essere utilizzati con estrema attenzione e senza abusarne. La scienza medica ci dice che anche altri fattori possono essere la causa dell’insorgere del melanoma: l’insufficienza del sistema immunitario e alcune malattie ereditarie. Il rischio può aumentare anche nelle persone con lentiggini o con molti nei, in quelle con occhi, capelli e pelle chiara e in quelle che hanno un parente stretto colpito da questo tumore o che hanno avuto un precedente melanoma cutaneo. Altri campanelli d’allarme, che devono essere valutati da un medico, sono un neo che sanguina, che prude o che è circondato da un nodulo o da un’area arrossata. La diagnosi precoce del melanoma cutaneo non dipende però solo dal medico: un auto-esame periodico della pelle permette in molti casi di identificare cambiamenti dei nei e di rivolgersi per tempo al dermatologo. Dal punto di vista clinico, sono quattro i tipi di melanoma cutaneo: melanoma a diffusione superficiale (il più comune, rappresenta circa il 70 per cento di tutti i melanomi cutanei), lentigo maligna melanoma, melanoma lentigginoso acrale e melanoma nodulare (quest’ultimo il più aggressivo, rappresenta circa il 10-15 per cento dei melanomi cutanei).


Medicina & Salute B come Bordi irregolari e indistinti; • C come Colore variabile (ovvero con sfumature diverse all’interno del neo stesso); • D come Dimensioni in aumento, sia in larghezza sia in spessore; • E come Evoluzione del neo che, in un tempo piuttosto breve, mostra cambiamenti di aspetto. E la prevenzione? Una delle prime regole, se non la più importante, è quella di esporsi al sole in maniera moderata fin dall’età infantile, evitando le scottature e ustioni solari. A tale scopo si DEVONO usare creme protettive o prodotti adeguati al proprio tipo di pelle applicandoli anche più volte in maniera tale da assicurare una copertura continua. Buona regola è quella di proteggere la pelle non esponendosi nelle ore più calde (tra le 12 e le 16) e riducendo al minimo l’uso di lampade o lettini abbronzanti. Questi particolari consigli vanno •

Nei (nevi) della pelle (da Mutua MBA)

A differenza dei primi tre tipi, che hanno inizialmente una crescita superficiale, il melanoma nodulare è il più pericoloso perché invade il tessuto in profondità sin dalle sue prime fasi. E quali sono i sintomi del melanoma? Il primo campanello d’allarme è quando ci si accorge del cambiamento nell’aspetto e nella forma di un neo o la comparsa di uno nuovo. Le caratteristiche di un neo che possono indicare la possibile insorgenza di un melanoma sono riassunte nella sigla ABCDE: • A come Asimmetria nella forma (un neo benigno è generalmente circolare o comunque tondeggiante, un melanoma è più irregolare);

indirizzati soprattutto ai bambini che più degli adulti sono molto sensibili alle scottature. Da ricordare che il processo di trasformazione tumorale è molto lungo e spesso può derivare da un’alterazione che è avvenuta in età pediatrica. È inoltre necessario controllare periodicamente l’aspetto e l’eventuale trasformazione o anche una piccola variazione dei propri nei, sia consultando il dermatologo, sia autonomamente guardandosi allo specchio e facendosi guardare da un familiare nei punti non raggiungibili col proprio sguardo. Un sentito ringraziamento al dr. Francesco Donghia, per la gentile collaborazione. (Il dr. Donghia è specialista dermatologo con studio e ambulatorio a Verona) NOTA IMPORTANTISSIMA DI REDAZIONE: Le informazioni presenti in questa pagina non sostituiscono il parere del medico, ma hanno il solo scopo d’informazione e di sensibilizzazione.

MORTALITÀ dovuta al melanoma Sopravvivenza a 5 anni: La sopravvivenza a 5 anni dei melanomi cutanei in Italia è pari all’87%. Esiste un forte gradiente per età: la sopravvivenza a 5 anni passa dal 93,55% registrato nei pazienti giovani (15-44 anni) al 73% dei pazienti anziani (75+). Sopravvivenza a 10 anni La sopravvivenza a 10 anni è pari all’86%. Fattori di rischio Fattori genetici: Storia familiare di melanoma; Anamnesi personale per melanoma carcinomi cutanei; Presenza mutazione ereditaria del gene CDKN2A Fattori fenotipici: Fototipo cutaneo chiaro Elevato numero totale di nevi e presenza di nevi atipici. Nevo melanocitico congenito largo (>20 cm); Fattori ambientali: Esposizione a raggi UV (eritemi solari ripetuti soprattutto nel corso dell’età infantile) Esposizione a lampade abbronzanti in età DATI ESTRAPOLATI DALLA RELAZIONE : “I numeri del cancro in Italia 2019 – Aiom”

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Tra turismo e cultura di Massimo Dalledonne

Valsugana, Gal e via Claudia Augusta Un progetto di cooperazione per valorizzare, in chiave turistica, la storica via Claudia Augusta Altinate. Una operazione messa in campo dal Gal Trentino Orientale e quello bellunese delle Prealpi e Dolomiti che hanno promosso l’iniziativa “Sulle tracce dell’antica via Claudia Augusta tra turismo e cultura”.

C

ome ricorda il presidente del Gal Trentino Orientale Pierino Caresia “l’obiettivo è quello di valorizzare il patrimonio paesaggistico e culturale adiacente a questa importante Via storica, in continuità con i vari interventi di sviluppo della Claudia Augusta che si sono susseguiti fino ad oggi nei territori trentini e bellunesi interessati”. Nei primi anni del 2000 il Gal Valsugana mise in campo l’iniziativa per creare un percorso ciclo pedonale lungo il tracciato storico della Via. “Un lavoro che noi intendiamo oggi riprendere e migliorare con nuovi investimenti. Le Comunità di Valle Alta Valsugana Bersntol e Valsugana Tesino – rimarca Caresia - si sono già attivate, promuovendo un primo confronto con i sindaci dei Comuni

attraversati dalla Via per condividere alcune ipotesi progettuali”. Quella che verrà messa in campo è una sinergia per migliorare l’attrazione turistica dei territori attraversati, in particolare nei confronti del target legato al cosiddetto slow o leisure bike, ovvero il cicloturismo praticato da turisti che cercano, nel viaggio lento, tutti i piaceri che questo può offrire (natura, paesaggio, cultura, enogastronomia, relax, comfort). Con questi obiettivi il Gal Trentino Orientale ha pubblicato un bando rivolto ad enti pubblici - anche in partenariato con Apt, Consorzi di promozione turistica e Pro Loco – e ad enti di diritto privato senza scopo di lucro (associazioni e fondazioni), che prevede una dotazione di 300.000 euro. “Verranno sostenute iniziative – precisa il direttore Marco Bassetto - orientate al miglioramento qualitativo dell’offerta turistica, integrabili con le attività di ospitalità fornite dalle imprese, per migliorare nel complesso la fruibilità della Via Claudia Augusta sotto il profilo del turismo rurale, in coerenza con la politica turistica provinciale e nell’ottica della sostenibilità economica, sociale ed ambientale”. Gli investimenti potranno riguardare la realizzazione e ammodernamento di infrastrutture su piccola scala, la

valorizzazione, riqualificazione e messa in sicurezza di percorsi e itinerari, la realizzazione di strumenti propedeutici alla commercializzazione dell’offerta turistica integrata, anche tramite web e le iniziative informative finalizzate ad ampliare la conoscenza dell’offerta del sistema turistico nelle aree rurali. La scadenza per la presentazione delle domande è fissata al 29 ottobre.

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Tra passato e presente di Mario Pacher

La fucina di Villa Agnedo Con la ricostruzione della casa avvenuta una quarantina di anni fa ad Agnedo, al civico 37 di via dei Molini, Paolo Zanghellini pensò di ridare vita anche a quella che fu un tempo la fucina di famiglia iniziata dal nonno Gervasio Zanghellini e portata avanti poi dal figlio Domenico, detto Minico.

G

ervasio aveva appreso questo mestiere dai fabbri Rigotti di Scurelle negli anni fra il 1878 e il 1882, dietro pagamento, e morì in modo drammatico nel 1931 proprio all’interno di quel suo stesso laboratorio. Sui monti circostanti era stato trovato un reperto di guerra contenente gelatina che, portato in officina, a contatto con il fuoco scoppiò. Gervasio rimase gravemente ferito e spirò due ore dopo l’incidente. Raimondo Valandro, un ragazzo di 18 anni che era con lui, morì invece sul colpo. Dopo la morte di Gervasio, l’attività continuò con il figlio “Minico”, che nel 1933 si sposò con Teresa Sandri, deceduta nel 2009 a 97anni, e che fu l’usufruttuaria di tutto il caseggiato. Dal suo matrimonio nacquero 4 figli: Silvana, Dino, Paolo e Bruna. Il figlio Dino, scomparso nel 1993, iniziò a lavorare giovanissimo come fabbro nell’attività del padre fino a quando

aveva 20 anni. Poi, dopo la metà degli anni ’50, sia Dino che Paolo dovettero cambiare mestiere perché l’attività di fabbro, con l’arrivo della motorizzazione, si ridusse notevolmente. Oggi, al piano terra su un’area di una sessantina di metri quadrati, sono state riabilitate le apparecchiature di un tempo ormai lontano come la forgia originale per riscaldare il ferro, il maglio che funzionava in modo originale ma ancora efficiente con l’utilizzo dell’acqua del rio “Rivetta” che passava vicino, altri strumenti di lavoro azionati a cinghia. Ora tutto è stato rimesso in azione, così come tanti attrezzi e manufatti creati dal fondatore Gervasio sono stati recuperati ed ora fanno bella mostra ai lati del locale e sulle sue pareti. Quel laboratorio artigianale era chiamato “la fucina del Castel Ivano” perché serviva soprattutto per la produzione e la lavorazione del ferro per quel maniero, ma anche per tutte le esigenze della popolazione di Villa Agnedo e dei centri vicini. Nel 2006 si tenne la cerimonia d’inaugurazione della “vecchia officina”, con i suoi oltre mille attrezzi utilizzati nei trascorsi decenni ma ancora in piena efficienza, alla presenza del titolare Paolo Una parte di attrezzi all’interno della fucina con Paolo Zanghellini Zanghellini e

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del figlio Stefano, perito meccanico, dell’allora sindaco Armando Floriani, dell’allora assessore provinciale all’artigianato Franco Panizza, e tanta gente del posto. Nel corso dei vari interventi era stato sottolineato anche il difficile lavoro dei nostri antenati che si basava esclusivamente sull’uso delle proprie forze, della proprie braccia. Poi il primo cittadino aveva premiato Paolo Zanghellini donandogli un artistico piatto raffigurante uno scorcio di Villa Agnedo. Nell’agosto 2013 è stato presentato anche il libro “L’antica fusina Zanghellini nella Villa d’Agnedo”. Una pubblicazione di oltre 150 pagine corredata di tante foto a testimonianza di quella che fu la lunga attività di quell’antica officina che ora fa parte dell’Ecomuseo della Bassa Valsugana “Da Rava al Brenta”. Quell’officina-museo viene visitata spesso dalle scolaresche, dai gruppi pensionati e anche da tanti turisti.


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Storie d’altri tempi di Chiara Paoli

I Fantasmi in Valsugana La Valsugana è luogo di fantasmi e molte storie sono narrate da Brunamaria Dal Lago Veneri nel volume “Trentino. Una guida curiosa”. Il fantasma più famoso della Valsugana è sicuramente quello della Dama Bianca, contessa del castello di Pergine, che secondo le credenze sarebbe morta suicida alla ricerca della sua libertà.

T

ra queste leggende, una si lega all’abitato di Novaledo e alla sua Tor Quadra. Ecco quanto narrato nel volume già citato: “Il Bebi Bepeto, un contadino del posto, stava falciando il campo in quel luogo. A un tratto, mentre beveva dalla sua zucca piena di acqua fresca, sentì un fischio e un soffio che gli strappò di mano la sua zucca. Il Bepi se la diede a gambe levate e, voltandosi, vide come dalla Toresella uscivano cento anime che lottavano per bere dalla sua zucca.” I fantasmi di Castel Telvana, che svetta sul versante del monte Ciolino, sovrastando il paese di Borgo Valsugana sono invece i suoi stessi feudatari, i Welsberg o forse i Gasperotti, le cui lotte rimangono impresse nella memoria. “Dagli spalti del castello si sente ancora l’arcano rotolare di sassi che dal palazzo inferiore devono essere trascinati alla torre e poi giù di nuovo, in eterno, per purgare, da morti, le colpe che questi antichi feudatari commisero in vita”. Si narra che il signore di Castel Selva a Levico, facesse rapire ogni bella fanciulla dei dintorni di cui si invaghiva, per abusarne fino a consumarla. Tra queste vi fu una certa Giana, che venne sottratta una domenica, nel bel mezzo della messa. La giovane non voleva cedere alle voglie del castellano e venne quindi imprigionata. Riuscì a scappare grazie all’aiuto del secondino che conosceva il padre della fanciulla, ma venne inseguita e nuovamente catturata, la punizione

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per la sua fuga fu terribile “legata mani e piedi a due alberi di nocciolo che crescevano vicini, piegati fino a terra. Poi lasciarono svettare le due chiome e la povera Giana fu spezzata a metà.” Leggenda vuole che si odano ancora oggi le urla della bella Giana nelle notti illuminate dalla luna e che i noccioli non crescano più, nel luogo in cui fu ammazzata. Un altro castello custodisce al suo interno gli spettri, quello di Ivano Fracena. “Sul cammino di ronda del «palazzo di là» si apriva la botola del pozzo della morte dove venivano gettati i prigionieri che si sfracellavano sul fondo della botola, irta di coltelli. Nella stanza dell’ultimo piano del «palazzo di qua» si davano convegno le streghe e le loro grida e le loro risa risuonano ancora nelle notti di luna. Le mura del castello stillano lacrime di sangue a memoria delle molte donne e bambini qui murati vivi. Sul prato vicino al castello, il cosiddetto «pra’ delle anime» si radunano gli spiriti degli

Castel Selva

Castel Telvana (da Magico Veneto)

Castel Telvana


Storie d’altri tempi antichi castellani, costretti a ballare e cantare in un indiavolato sabba in punizione dei loro peccati”. In occasione del restauro voluto da Vittorio Staudacher sono riemersi molti ambienti nascosti e murati dove alleggiano misteriose presenze. Anche i ruderi di Castellalto a Telve nascondono segreti e fantasmi. “Si racconta nel vicino villaggio di Carzàno che qualche volta le voci dei contadini morti si levavano lugubremente dal castello e dal bosco che lo circonda per ammonire i vivi, che portavano le decime ai signori, che tornassero indietro e che la finissero con la schiavitù. E se non sono le anime inquiete dei contadini sono quelle tragiche delle fanciulle promesse spose, costrette a venire al castello per pagare, con il proprio corpo, il diritto della prima notte dei signori. Anche se, stando sempre alle leggende che

s’intersecano con la realtà, i signori di Castellalto si accontentavano di una notte sola, rispetto ad altri che si arrogavano il diritto per le notti di una settimana intera se non di più. ( ius primae noctis) Castello di Pergine Eppure un tempo la sola vista di queste mura faceva rabbrividire i tanti viandanti, pellegrini, mercanti, fuggiaschi, che transitavano da qui verso il Passo del Manghen…” (tratto da “Castellalto in Telve. Storia di un antico maniero” a cura di L. Trentinaglia)

Luoghi ricchi di storia, narrano eventi lontani nel tempo, leggende e verità si mescolano producendo nella memoria degli abitanti fantasie che danno forma a spettri e fantasmi che aleggiano sulla nostra vallata in una sorta di “memento mori”.

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Laghi trentini di Nicola Maschio

Pericoli e precauzioni Il Trentino, si sa, è terra ricca di bellezze. Tanti sono i panorami mozzafiato delle nostre valli, delle montagne e soprattutto degli splendidi laghi che, ogni anno, attirano turisti e visitatori da ogni parte d’Italia e del mondo. I colori sgargianti, le storie centenarie sulle loro formazioni, i cambiamenti che hanno affrontato negli anni: tutti questi elementi hanno da sempre contraddistinto i laghi trentini, ad oggi veri e propri piccoli paradisi con tanto di riconoscimenti di Eccellenza.

B

en 10 infatti le “Bandiere Blu” sul nostro territorio, certificazione di una qualità senza eguali. Ma la bellezza di questi specchi d’acqua nasconde, la maggior parte delle volte, anche numerose insidie: da Lamar a Levico, da Roncone a Caldonazzo, se affrontato senza attenzione il lago può rivelarsi temibile al pari del mare aperto. In tanti infatti, già in questi primi due mesi d’estate, hanno rischiato o, sfortunatamente, perso la vita nelle acque trentine. I controlli, va detto, sono tanti ed avvengono ovviamente in modo costante. Tuttavia, è necessario che ognuno si prenda le proprie responsabilità e metta in campo, per quanto possibile, quelle “buone pratiche” che possono permettere, in casi estremi, anche di salvare una vita. Sono gli stessi esperti a consigliare i comportamenti da tenere per evitare di incappare in brutte situazioni, soprattutto nelle giornate più calde, quando un bel tuffo nell’acqua gelata sembra essere la soluzione migliore (e più rapida) all’afa estiva. Mantenere alta la prudenza, entrare a piccoli passi e per gradi in acqua, evitare di sottoporre il corpo ad un eccessivo shock termico e farlo passare da uno stato caldo ad uno freddo improvvisamente: quest’ultima dinamica è particolarmente importante, spiegano i sorveglianti delle spiagge trentine, in quanto a differenza dell’acqua ma-

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rina, dove la salinità è decisamente necessari i soccorsi. maggiore e consente al corpo di galAl fine di tutelare la salute dei baleggiare, venendo a mancare questo gnanti, nel 1991 è nato il progetto elemento nelle acque dei laghi c’è “Spiagge Sicure”: alla luce del fatto il rischio che un improvviso malore che l’annegamento rappresenta la trascini il malcapitato sott’acqua in terza causa di morte accidentale pochi secondi. al mondo (guidano la classifica gli Attenzione massima dunque, anche incidenti stradali e le cadute) con e soprattutto nelle lunghe nuotate circa 400 decessi all’anno, sono state che permettono di trovare refrigerio: istituite numerose postazioni di per quanto l’attività fisica ricopra salvataggio fisse ed un numero più infatti un ruolo molto importante, contenuto di postazioni mobili. In è altrettanto fondamentale lasciar questo modo, il monitoraggio costante di bagnini ed esperti contribupassare il giusto tempo tra i pasti e il isce in modo decisivo alla riduzione bagno nel lago, in particolar modo dei rischi corsi nelle acque dei laghi, se si ha intenzione di svolgere un senza tuttavia riuscire a limitare comqualche tipo di movimento intenso. pletamente il verificarsi di spiacevoli Inoltre, un occhio di riguardo gli situazioni. Proprio per questo peresperti lo riservano ai luoghi dai quali mangono le raccomandazioni che ci si può tuffare, pratica molto diffusa riportano al controllo e alla presa di tra i giovani che, soprattutto in compagnia, spesso decidono di provare responsabilità personali, invitando l’ebrezza di un salto da cinque, dieci, ogni bagnante a rispettare le poche addirittura quindici metri d’altezza. ma semplici regole. Non che questa tipologia di divertimento sia vietata (si pensi ad esempio al tuffo dagli scogli del lago di Lamar), tuttavia si raccomanda sempre di svolgere simili attività in gruppo e in luoghi non troppo isolati, per garantire la massima velocità nel momento in cui Laghi di Levico e di Caldonazzo dovessero rendersi


In Valsugana: Pieve Tesino di Massimo Dalledonne

Le visite guidate ai Musei A Pieve Tesino la Fondazione Trentina Alcide De Gasperi gestisce da anni un polo culturale unico in Trentino per la sua varietà e l’interesse dei suoi contenuti.

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n centro al paese si trovano infatti il Museo Casa De Gasperi, uno scrigno di storia trentina, italiana ed europea e, all’interno di una vecchia casa poco distante, è stato realizzato anche il Museo Tesino delle Stampe e dell’Ambulantato. Si chiama “ Per Via” ed è uno spazio dedicato all’epopea dei venditori ambulanti tesini. Racconta le avventure di questi coraggiosi viaggiatori che a partire dal Seicento iniziarono ad avventurarsi lungo le strade d’Europa per vendere le loro stampe, diventando tra i primi pionieri della civiltà delle immagini. A valle dell’abitato, infine, si può ammirare il Giardino d’Europa De Gasperi, un omaggio ad Alcide e un simbolo dell’Europa unita: luogo di svago e meditazione che regala la pace e la bellezza delle sue fioriture da maggio fino a ottobre inoltrato. Tre luoghi che raccontano il passato ed il presente del nostro territorio e che quest’estate potranno essere ammirati anche grazie ad un fitto programma di visite guidate offerte a condizioni vantaggiose.

Museo De Gasperi

Fino al 20 settembre vengono proposte le visite guidate ai Musei e al Giardino d’Europa e sono state pensate per poter abbinare, il giovedì, la visita al Museo Casa De Gasperi con quella al Giardino d’Europa, mentre la domenica (e sabato 15 agosto) sarà possibile visitare in sequenza in Museo De Gasperi e il Museo Per Via. Le visite ai Musei sono gratuite (sono incluse nel costo del biglietto), mentre quelle al Giardino d’Europa hanno un costo di 2 € a persona. Ecco gli orari e i dettagli delle visite guidate settimanali: giovedì ore 15.00 al Museo Casa De Museo Per Via Gasperi; gio-

vedì ore 16.30 al Giardino d’Europa con partenza dal Museo De Gasperi in centro al paese; domenica e a Ferragosto ore 15.00 e 16.30 al Museo Casa De Gasper ed al Museo Per Via. Nel rispetto delle misure di sicurezza per l’emergenza sanitaria potranno partecipare alle visite guidate ai Musei massimo 8 persone per volta. Per le visite al Giardino è ammesso invece un numero più elevato (20 persone circa). Si consiglia in tutti i casi la prenotazione al numero 331 4745389 oppure alla mail museo.fdg@degasperitn.it. Fino al 30 settembre 2020 il Museo Casa De Gasperi e il Museo Per Via di Pieve Tesino saranno aperti al pubblico nei seguenti orari: martedì-mercoledì-giovedì: 14.30-18.30; venerdì-sabato-domenica: 10-13 e 14.30-18.30. Lunedì chiuso. Il Giardino d’Europa è accessibile gratuitamente in tutte le stagioni.

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Cronache Perginesi di Chiara Paoli

Il Campionato Nazionale di Geometriko

La Geometria nel cuore

Pietro Ravagni, studente dell’Istituto Comprensivo “Pergine 2”, di Pergine Valsugana, ha conquistato il titolo di Campione Nazionale del 5° Torneo di Geometriko.

S

embrava impossibile riuscire ad organizzare le semifinali e le finali di Geometriko, invece alla fine si sono fatte, grazie alla passione del suo creatore Leonardo Tortorelli. Ovviamente, Covid 19, tutto online! Il Torneo si è svolto su una piattaforma in rete simulando a tutti gli effetti un tavolo da gioco con arbitri veri e gli studenti sono stati selezionati direttamente dall’università Bocconi mediante un test somministrato simultaneamente in tutta Italia. I tre finalisti d’Istituto, Elisa Calzà, Pietro Ravagni e Jessica Violante, hanno superato brillantemente le tre semifinali, ma alla fine solo Pietro ha avuto accesso alla Finalissima del 3 luglio scorso. E qui, come rappresentante del Trentino, in una sfida all’ultimo quadrilatero con studenti di altre regioni, è riuscito ad aggiudicarsi

Pietro Ravagni

il primo posto diventando Campione Nazionale di Geometriko 2020. Un ringraziamento speciale va ai ragazzi, che hanno voluto mettersi in gioco nonostante la scuola fosse finita e alla prof.ssa Lorena Nicolao, docente tutor dell’Istituto, che si è dedicata con passione all’organizzazione del Torneo con il sostegno delle coordinatrici regionali Chiara Cateni e Elena Cosser e della Dirigente Antonella Zanon. Ma cos’è Geometriko? Non ci sono definizioni in grado di descriverlo in modo semplice e questo forse giustifica i tanti successi che sta raccogliendo tra studenti, insegnanti e famiglie. Certamente, prima di tutto, Geometriko è un modello ludo-didattico, ma ciò che lo rende ancor più accattivante è che si gioca con le carte. Le carte non sono un videogame e gli avversari non si trovano da qualche altra parte del mondo: tutto ciò che serve per fare una partita è “materialmente” tra le mani del giocatore e gli avversari sono seduti allo stesso tavolo. Intorno ad un gesto semplice quale può essere quello di “scartare” una carta, c’è tutta una serie di azioni: si elaborano strategie di scelta, si interagisce con gli altri giocatori, ci si guarda negli occhi, si cerca la concentrazione per elaborare una domanda per soddisfare il “Caprone Ugo” o per saper rispondere. E, cosa più importante di tutto, si parla il linguaggio comune della geometria in un modo mai ottenuto prima, perché lo si fa

per giocare e, certamente, per vincere. Ecco perché non è difficile comprendere il successo di Geometriko tra studenti di fasce di età così diverse (dalla Scuola Primaria, alla Secondaria di II grado): Geometriko è divertente, strategico, creativo e inoltre sfrutta le conoscenze, le abilità logiche, la memoria, come qualsiasi gioco di carte molto caro anche ai ragazzi più grandi. I giocatori sono chiamati a risolvere in pochi minuti alcuni problemi di geometria piana o dimostrazioni di proprietà e teoremi, tratti anche dalle prove INVALSI. Sono previste penalizzazioni per i giocatori che, giocando senza cognizione di causa, commettono errori di geometria (la “Multona Geometrika”) e non mancano momenti di suspense grazie alle Flash-Card, che, come accadeva con le carte “Imprevisti” e “Probabilità” del “Monopoli”, possono ribaltare le dinamiche di una partita. L’ideatore di Geometriko è Leonardo Tortorelli, già divulgatore scientifico, autore e coautore di diversi libri, attualmente scrive per la casa editrice Erickson e Dedalo, docente di Matematica presso il Liceo Leonardo da Vinci di Maglie (Lecce). Attualmente è per il Centro PRISTEM responsabile scientifico del progetto “Torneo Nazionale di Geometriko”. Concretamente, il “Torneo Nazionale di Geometriko” è una gara articolata in più fasi: Torneo di Classe, Torneo di Istituto, Torneo Regionale, Torneo Nazionale.

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Girovagando in Trentino di Chiara Paoli

Tre giorni in Lagorai con il team Vaia

I

giovani fondatori della startup VAIA, tra il 17 e il 19 luglio hanno intrapreso una escursione di tre giorni sulla catena montuosa del Lagorai, nei luoghi deteriorati dalla tempesta e non solo. Il trekking ha portato i ragazzi a Malga Conseria e in Valsorda per raggiungere il Passo Cinque Croci e quindi malga Caldenave, attraversando un territorio che conserva nel terreno cicatrici più antiche, ma ancora oggi tangibili, che si legano alla Grande Guerra. L’escursione ha previsto anche la visita alle trincee, con una breve riflessione che ha visto i giovani ritenersi fortunati per una libertà ed una democrazia, che vengono oggi date per scontate, ma per cui i giovani di un secolo addietro hanno dato la propria vita. In questa zona di collegamento tra la Valsugana e la val di Fiemme il gruppo di giovani Vaier ha messo a dimora all’incirca due mesi fa cinquecento alberi. Il perché di questa tre giorni lo spiegano Federico, Paolo e Giuseppe: “È un modo per ricordarci chi siamo e da dove veniamo” e continuano. “Siamo reduci da una crisi sanitaria senza precedenti, che ci ha costretti a rivedere il nostro stile di vita e le nostre

Trincee

Catena del Lagorai

priorità. Per noi andare in quei luoghi acquisisce quindi un duplice significato: rappresenta la nostra volontà di ripartenza, un riscatto per il territorio, ma anche il desiderio di riscoprire il nostro bellissimo Paese”. L’intento è quindi anche quello di valorizzare il nostro bel paese, con il suo immenso patrimonio storico artistico e naturalistico, il più ricco per numero di siti UNESCO. “Il messaggio che vorremmo lanciare con questa escursione”, continuano, “è di concedersi le meritate vacanze estive nel Paese più bello del mondo, visto che abbiamo la fortuna di abitarci”. Questo viaggio è stato seguito da numerosi amici e sostenitori della startup Vaia, che attraverso i canali social ha potuto seguire virtualmente il loro cammino attraverso una sorta di “diario di bordo”, arricchito con video e foto. In questo modo molte persone, italiani o cittadini del mondo, hanno potuto scoprire un luogo incantevole come il Lagorai, chiedendo notizie in merito ed esprimendo il desiderio di percorrere di persona questi sentieri. L’escursione vuole trasmettere anche

un ulteriore messaggio ai giovani di oggi: “in questi mesi abbiamo lavorato in smartworking dalle nostre case. È stata una situazione complessa per tutti, soprattutto per i tanti ragazzi della nostra età che hanno dovuto affrontare sospensioni di stage, mancati rinnovi o, peggio, licenziamenti dettati dall’attuale stato di emergenza”. “Siamo vicini a tutti i giovani che come noi si ritrovano in questo delicato momento storico”, dicono Giuseppe, Paolo e Federico. “Nonostante a volte ci dipingano come svogliati e succubi degli eventi, VAIA ha sempre avuto a che fare con ragazzi motivati, determinati, pronti a mettersi in gioco in ogni situazione. E a tutti i ragazzi sfiduciati e scoraggiati dal futuro, vogliamo dire questo: la storia di VAIA ci insegna che da un cambiamento devastante, bisogna avere il coraggio di ricominciare e trovare strade nuove. Cadere, rialzarsi e reinventarsi fa parte dell’essere umano. Per questo motivo, siamo fiduciosi che l’Italia e i suoi giovani talenti saranno capaci di andare avanti, con spirito di sacrificio, forza di volontà e la determinazione che tutti gli altri Paesi ci invidiano”.

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Storie del passato di Mario Pacher

Il tabacco in Valsugana La “masera” di Levico Se è vero che “di tabacco si muore” è altrettanto vero che “di tabacco si vive”, o meglio si viveva. Molti infatti ricordano ancora quanto fu provvidenziale, fino agli anni ‘60, la coltivazione di questa pianta per l’economia della nostra valle. La coltivazione del tabacco in Europa si è diffusa tra la metà e la fine del sedicesimo secolo, per merito di un monaco benedettino che aveva portato con sé nel convento alcuni semi di questa pianta esotica che all’epoca la chiamavano “Erba Santa”, per la polvere che se ne poteva ricavare e che provocava lo starnuto.

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a coltivazione del tabacco in Valsugana, come del resto anche in altre vallate del Trentino, iniziò in maniera massiccia nel 1925 e costituì per molte famiglie una vera e propria fonte alternativa di sostentamento anche perché, in quegli anni, si stava registrando un deciso decadimento di quella che era l‘importante coltivazione del baco da seta e anche della viticoltura per la improvvisa comparsa della filossera e della peronospora che distruggevano gran parte del raccolto. A metà degli anni ’20 quindi fu rilasciata la nuova autorizzazione ministeriale per la coltivazione del tabacco. Nuova perché una cinquantina d’anni prima era già stata rilasciata una speciale concessione, ma per la sola durata di cinque anni. Un tempo sufficiente però per sperimentare che le nostre campagne erano particolarmente adatte per la coltivazione di questa pianta. La reintroduzione fu quindi una vera e propria manna venuta dal cielo, che diede modo alle famiglie contadine di riprendere fiato e guardare al futuro con un po’ di ottimismo anche se, intanto, molti che non riuscivano più a trovare dalla lavorazione dei campi un sufficiente sostentamento di vita, dovettero scegliere la via dell’emigrazione. All’epoca non erano state ancora

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costruite le strutture per la macerazione ed essiccazione delle foglie per cui ogni coltivatore doveva provvedere lui stesso a questa fase successiva alla raccolta. Poi il Ministro delle Finanze mise come condizione determinante per il rilascio della licenza, l’obbligo di costruire una struttura adeguata per l’essicazione delle foglie. In Alta Valsugana nacque così la “ macera del tabacco “ di Levico gestita dalla Lega Contadini, in grado di accogliere le foglie di tabacco che venivano prodotte in zona e che di anno in anno erano in costante aumento. L’es-

siccazione avveniva a cura della Lega Contadini all’interno di uno stabile che nel frattempo era riuscita a realizzare nell’ambito di un progetto che riguardava anche i bachi da seta. Alla fine degli anni ’20, in conseguenza dell’aumentata produzione, si presentò l’esigenza di costruire un fabbricato adeguato che potè essere realizzato grazie al mutuo concesso dalla Cassa Rurale di Levico. L’inaugurazione della macera tabacchi fu fatta il 28 ottobre del 1930. Per far funzionare queste strutture, si dovette assumere anche del personale e anche ciò contribuì

Anno 1925 la costruzione della macera a Levico


Storie del passato

Tabacco

ad aiutare, sotto l’aspetto occupazionale, molte famiglie. Inizialmente gli addetti erano una cinquantina, prevalentemente donne, che arrivarono a più di 130 nell’anno 1940. Il lavoro era a carattere stagionale e nei primi anni aveva una durata di 4 - 5 mesi, per passare poi a 8 – 9 mesi all’anno. La preparazione del terreno destinato a questa coltivazione, iniziava verso la metà di marzo con la concimazione, usando in molti casi la latrina che veniva prodotta nelle singole stalle. Poi venivano posati i semi per far nascere le piantine che però in epoca

successiva, dopo la metà degli anni ’50, si passò direttamente alla posa delle piantine che un incaricato provvedeva a consegnare ad ogni singolo richiedente in base alla domanda. La piantagione avveniva ai primi di giugno. Quando fra le piccole piante di tabacco crescevano le erbacee, queste venivano tolte mediante zappatura e in quell’occasione la terra veniva tirata su come protezione della piantina e quando queste avevano raggiunto l’altezza di quaranta - cinquanta centimetri, si procedeva alla spunta con il taglio della parte più alta. Con questa operazione si favoriva un maggior sviluppo delle foglie rimaste. La coltivazione era soggetta ai controlli da parte del capo zona che spesso si presentava per la “conta” delle piante. Nel caso in cui ce ne fossero state più del numero richiesto,

queste venivano sradicate e distrutte. La maturazione era attesa verso la fine di settembre e si incominciava a raccogliere le foglie più in basso perché erano le prime a maturare. Successivamente si passava alle foglie di “prima”, cioè quelle più alte e più grandi che erano le più pregiate, e poi quelle di “seconda”. La consegna al magazzino veniva fatta “per foglia”, cioè in base al numero di foglie che venivano contate su alcune piante prese come campione e moltiplicate per il quantitativo. Si faceva così una media in base alla quale si stabiliva il numero di foglie che doveva essere conferito al magazzino. Qui il tabacco veniva pesato e al momento del pagamento veniva trattenuta la somma corrispondente al costo delle piantine, perché pochi avevano potuto pagarle in anticipo.

Lavoranti presso la macera tabacchi di Levico Terme negli anni ’30. Qualche mamma ha voluto portare, per questa foto ricordo, anche un proprio bambino

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Arte e pittura di Giorgio Turrini

Paul Gauguin e la Polinesia Gauguin, Thaiti e il paradiso Eugène-Henri-Paul Gauguin nacque il 7 giugno 1848 a Parigi, al n.56 di rue Notre-Dame-de-Lorette, celebre strada di Montmartre, papa’ giornalista liberale e madre dalle idee socialiste e femministe, e morì a Hiva Oa nel 1903.

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auguin inizia il suo percorso artistico dipingendo come autodidatta avvicinandosi così all’impressionismo, ponendo e saldando poi nelle sue tele le basi del simbolismo.Vive i primi anni della sua vita a Lima in Peru’ per trasferirsi subito dopo in Francia dai nonni materni. Si arruola nella marina militare francese diventando in seguito un ottimo agente di cambio nonchè un abile uomo d’affari. È considerato tra i maggiori interpreti del post-impressionismo. Esiste un legame tra l’artista francese e quelle terre lontane. “A Tahiti, nel silenzio delle notti tropicali, ha scritto, potro’ ascoltare il ritmo dolce e suadente del mio cuore in armonia con le presenze misteriose che mi circondano. Libero, senza problemi di denaro, potro’ amare, cantare morire” Con questa promessa Paul Gauguin salpo’ da Marsiglia a bordo della nave che lo condurra’ verso la sua ultima nuova vita nella Polinesia francese. All’amico Odilon Redon, pittore simbolista che gli aveva fatto un ritratto, Gauguin scrisse: “deciso di andare a Thaiti per finire la mia esistenza. Credo che la mia arte, che voi ammirate tanto, non sia che un germoglio, e spero di poterla coltivare laggiu’ per me stesso allo stato primitivo e selvaggio.” Patria di vacanze rilassanti, sportive, romantiche, Thaiti e la Polinesia vivono dei volti e dei corpi di donne bagnanti sulla spiaggia dipinte dalla inconfondibile mano di Paul Gauguin.

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Si allontano’ così, dalla Francia, dal fermento e dalla fibrillazione di fine ottocento non più capace di dargli nuovi, differenti stimoli. Un viaggio che lo porto’ a esplorare lo spirito e l’animo umano tra mille sfumature di una civilta’ recondita e devota al misticismo e all’ancestrale. Polinesia e Gauguin, Gauguin e la Polinesia richiamano la ipnosi di viaggiatori di tutto il mondo grazie all’ispirazione di quei luoghi magici e incantati. Sono date dal contributo dell’arte se l’arcipelago affascina i desideri dei cosi tanti turisti.

Gauguin - Autoritratto 1889

Paul Gauguin esercita con la sua arte e si deve il merito di aver portato all’occidente le bellezze polinesiane. Dalla vegetazione dell’arcipelago le stesse donne si trovano dipinte in una serie di capolavori, nessuno dei quali si trovano a Thaiti ma solo custoditi al Metropolitan Museum di New York, al Chicago Art Institute, alla National Gallery of Art di Washington come al Museum of Fine Arts di Boston. Il famoso pittore post impressionista, che qui visse fino alla morte, ci fa vivere, per chi ci fosse già stato e per chi ancora non abbia visitato questi


Arte e pittura

luoghi e le sue meraviglie, le emozioni piu’ affascinanti che stregarono la sua arte figurativa. L’artista lo si puo’ trovare a Papeete, capitale della Polinesia Francese quando venne investito, invaso, ammaliato, dai profumi e dai colori dell’isola. Diciamo cosi’, che la capitale francese della Polinesia non sara’ l’ultima stazione né l’ultima destinazione

di questo poeta del visivo, dell’umano e del naturale. Notiamo bene che dopo aver visto i colori di Thaiti sulla tavolozza di Gauguin, le stesure, le cromie e le gamme non risultano piu’ come prima, quanto le correnti del Sintetismo e del Simbolismo francese avevano gia’ recepito il metabolico cambio. In Europa gia’ vivevano in lui altre forme, altri colori, altri costumi. Troviamo che nel 2019 Claudio Poli regista del film Gauguin a Thaiti – Il paradiso perduto, diresse un docu-film che racconta le passioni e le malinconie dell’artista. Una fuga che reinvento’ l’arte in occidente. A quarantatre anni, Paul Gauguin lascia Marsiglia diretto a Thaiti, in Poli-

nesia, alla ricerca dell’alba del tempo e dell’uomo. Ai Tropici, l’artista rimane fino alla morte. Dodici anni di ricerca devota della sua vera, unica e ultima autenticità.

UNIVERSITÀ DI TRENTO AL TOP IN ITALIA

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’Università di Trento si conferma tra le migliori d’Italia. Anzi, la migliore. La speciale classifica Censis degli Atenei statali infatti la colloca al vertice della classifica, con un totale di 98,7 punti, con un aumento di 1,7 rispetto al primato già conseguito lo scorso anno ma arrivato con un punteggio pari a 97. Sebbene infatti il sistema trentino pecchi in merito all’Internazionalizzazione, le valutazioni molto elevate nei settori dell’Occupabilità e della Comunicazione hanno permesso alla nostra Università di piazzarsi in testa. Un primato che l’Ateneo può vantare anche e soprattutto nei confronti di altre illustri Università: al secondo posto infatti, con 96 punti, troviamo l’Università di Sassari mentre in terza posizione, con un punteggio pari a 93, ecco l’Università di Siena. A scalare, troviamo Trieste (quarta), la Politecnica delle Marche (quinta) e Udine (in sesta posizione). Insomma, il consueto appuntamento annuale con la classifica Censis attribuisce un’ulteriore lode al sistema universitario trentino che, soprattutto in un periodo come questo e in vista dell’ormai prossimo inizio degli studi, si prepara ad accogliere con organizzazione eccelsa i numerosissimi studenti che ogni anno scelgono la nostra città per crescere, imparare e specializzarsi. Un rapido resoconto dei numeri è necessario: 84 il punteggio attribuito ai Servizi (85 per Sassari e 94 per Siena), mentre le Borse con 103 segnano un -1 da Sassari ma un incoraggiante +11 su Siena; al top, come detto, Comunicazione e Servizi Digitali (110 contro 107 e 94 delle “rivali”), mentre a farla da padrone è senza alcun dubbio la sopra citata Occupabilità che, con un totale di 103, distacca notevolmente l’80 sassarese e l’88 senese. Punteggio medio che, ripetiamo, si attesta dunque a 98.7, ben 2,7 punti in più rispetto alla seconda classificata. Va detto, tuttavia, che l’Università di Trento non è nuova a record molto interessanti: all’inizio del passato mese di giugno infatti, classificandosi al 389esimo posto l’Ateneo è entrato a far parte delle migliori 400 Università al mondo, a pari merito con quella della città di Pisa. Con l’entrata della nostra realtà all’interno della classifica stilata nell’edizione annuale di Qs World University Raking, l’Italia diviene il settimo Paese più rappresentato al mondo ed il quinto dell’Unione Europea, dietro solo a Regno Unito, Germania, Francia e Spagna. (N.M.)

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Medicina & Salute di Erica Zanghellini *

L’importanza delle vacanze

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a vita di tutti i giorni è frenetica, spesso i genitori rientrano solo la sera in famiglia e i figli, a parte quest’anno, si ritrovano a passare dalla scuola, a centri estivi per poi riprendere il nuovo anno scolastico. L’unico momento, in cui possono passare del tempo con i propri genitori, senza avere mille impegni che interrompono il trascorrere del giorno si limita alle agognate vacanze estive. Al di là del posto in cui si passeranno, sono un’occasione importante per trascorrere del tempo di qualità con i propri figli e cercare di risintonizzarsi e di riscoprire il piacere di dedicarsi alla relazione con loro. Non servono proposte o giochi stratosferici, spesso bastano attività semplici o situazioni diverse dal solito, per permettere di attirare il bambino e ingaggiarlo in una nuova avventura. Può essere l’occasione per mettersi in gioco, apprendere nuove abilità e aumentare le proprie competenze. Un suggerimento che vi do è anche evitare, se è possibile, lo svolgere dei compiti delle vacanze durante proprio questi giorni di riposo. Proviamo magari a stabilire prima una tabella di marcia, capiamo quante pagine svolgere al giorno e tentiamo di escludere da questa incombenza i bambini durante le ferie. Questo farà

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bene a loro, ma anche ai genitori. Di solito è un momento delicato, che può anche scatenare dinamiche frustranti e discussioni e quindi almeno in vacanza forse sarebbe opportuno evitare. I giorni di villeggiatura dovrebbero rappresentare un’opportunità per disconnetterci dalla quotidianità, e liberarci da tutto quello che di solito facciamo: gli impegni, lo stress, i tempi stretti e le richieste sia per i grandi che per i piccoli. Se abbiamo anche la fortuna di poter viaggiare, sarà una grossa opportunità per tutti, ma soprattutto i bambini potrebbero avvantaggiarsi di più. Potrebbero imparare abilità come l’adattarsi a situazioni nuove e magari non con tutti i confort, vedere posti nuovi e culture diverse. Questa è una grossa opportunità per aprire la mente e crescere con meno condizionamenti possibili. Cerchiamo di essere realistici e calibrare bene quello che vogliamo fare. La vacanza è per tutti ma, sicuramente dobbiamo tenere in mente che i tempi dei bambini sono diversi dai nostri. Attività più dilazionate nel tempo, non programmare ogni minuto, magari ecco qualche servizio ad hoc, come per esempio la baby dance, oppure qualche animazione permetteranno di divertirsi ai più piccoli e a mamma e papà magari rilassarsi un po’. Alla fine si sa, i genitori devono abituarsi a “vacanze nuove” con l’arrivo dei figli, i bambini devono essere seguiti sempre, e i più piccoli avranno sempre la richiesta pronta di giocare assieme. Se partiremmo comunque con questa idea in testa, avremo delle

aspettative più realistiche e ci divertiremo tutti. D’altro canto ai bambini non sembrerà vero di avere i genitori tutti per loro e quindi potrebbero aumentare anche le richieste di fare assieme le più svariate attività. Ricordiamoci inoltre, soprattutto per i piccoli, che i cambiamenti spesso sono faticosi, per cui ritrovarsi, che sia in un appartamento o in un albergo o in attico super lusso all inclusive, a loro poco conta è sempre un mutamento delle loro abitudini, della loro alimentazione e delle loro attività quotidiane. Questo potrà scaturire in loro un po’ di agitazione e frustrazione e quindi aumentare le richieste di attenzioni, nonché i capricci. Cerchiamo di essere molto presenti e accoglienti, ben venga un po’ più di flessibilità ma, soprattutto cerchiamo di mantenere tutto quello che è possibile delle routine di casa, per cui cerchiamo se è possibile mangiare più o meno alla stessa ora, o stessa cosa per esempio per i riposini. Per i bambini le routine sono importanti, sono sicurezza, sono prevedibilità e quindi permettono loro di tenere sotto controllo quanto sta succedendo. Ed infine ricordiamoci, che siano piccoli o grandi qualche momento “vacante”, in cui proveranno noia è importante. Solleticherà la loro fantasia e gli permetterà di inventarsi nuove attività. La creatività è una di quelle abilità trasversali importanti in tutto il nostro percorso e quindi più la stimoliamo più sarà presente nella vita di tutti i giorni.

* Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologa-Psicoterapeuta Riceve su appuntamento Tel. 388 4828675


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Medicina & Salute di Laura Fratini *

La Felicità Ci si concentra spesso solo sulle emozioni negative, trascurando quelle positive. Eppure si è costantemente alla ricerca di qualcosa che possa farci star bene, che possa renderci FELICI! Oggi vorrei proprio parlare di questo, un argomento del quale si parla talvolta con leggerezza e il cui significato viene dato per scontato e che invece ha una grande importanza: la felicità. Zigmund Bauman, il teorico della società liquida, sosteneva che la felicità non consiste in una vita senza problemi. La vita felice viene dal superamento dei problemi, dal

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risolvere le difficoltà. “Si raggiunge la felicità - dice Baumann - quando ci si rende conto di riuscire a controllare le sfide poste dal fato, ci si sente persi se aumentano le comodità”. Questo è un tema a me caro, in quanto, superando i propri limiti e affrontando le insidie della vita possiamo raggiungere lo stato di benessere psico-fisico a cui tanto ambiamo. È stato dimostrato che se noi sorridiamo, si può attivare l’emozione della gioia e quindi produrre felicità. Tutti abbiamo questa capacità: le emozioni primarie sono emozioni innate e sono riscontrabili in qualsiasi popolazione, per questo sono definite primarie ovvero universali. Le emozioni secondarie, invece, sono quelle che originano dalla combinazione delle emozioni primarie e si sviluppano con la crescita dell’individuo e con l’interazione sociale. Lo psicologo americano Ekman, racconta di essere stato in un remoto villaggio sulle alture della Papua Nuova Guinea per studiare gli abitanti del posto e verificare se fosse possibile riscontrare anche tra loro

le stesse emozioni provate da altri popoli. Fu proprio seguendo questa Tribù che Ekman poté notare come le espressioni di base fossero universali perché riscontrabili in popolazioni diverse, anche in quella dei Fore, isolata dal resto del mondo. Quindi, tutti nasciamo con la capacità di sviluppare gioia e felicità, chiaramente poi come io mi comporterò dipenderà anche dal contesto in cui sono nato e l’aria che ho respirato. Se dedichiamo tanto tempo ai pensieri negativi, pensando continuamente che ‘’non siamo felici’’ o che ‘’non riusciamo ad essere felici’’ attiviamo un pensiero di tipo catastrofico che contribuirà ad alimentare la nostra infelicità. Se, invece, proviamo a dedicare meno tempo a questi pensieri, sapendo che non ci sono utili per il raggiungimento del nostro obiettivo, che è appunto l’essere felici più che possiamo, diminuirà il nostro senso di malessere mettendoci nell’ordine delle idee che per essere felici dobbiamo anche essere tristi. Vediamo di cosa si tratta ed entriamo nel vivo del diventare felici 1 Essere più attivi e tenersi occupati Mantenersi quotidianamente più attivi permette di migliorare il livello di benessere. Investire le energie in attività coinvolgenti, accattivanti e piacevoli rende soddisfatti e di conseguenza più felici. 2 Passare più tempo socializzando Avere delle attività sociale, rende felici. Secondo la teoria del bersaglio, più le relazioni sono profonde e intime, maggiore è il loro impatto sulla


Medicina & Salute

felicità. Al contrario più si sta soli e più si è tristi e sconsolati. 3 Essere più produttivi svolgendo attività che abbiano significato L’impegno profuso, quando risulta produttivo, genera soddisfazioni, ma

affinchè abbia un reale effetto positivo su se stessi deve essere mirato ad attività ritenute ricche di significato, come un lavoro soddisfacente. 4 Ridimensionare le proprie aspettative e aspirazioni Le persone felici rincorrono meno il successo, ma paradossalmente, ne hanno di più. La rincorsa del successo mette in una posizione di attesa in cui si rimanda l’essere felici a domani. È utile conoscere le proprie risorse e i propri limiti, in modo da domandare alla vita cosa si vuole e godere delle piccole cose. 5 Sviluppare pensieri ottimistici e positivi L’ottimismo migliora le emozioni e innesca un circolo virtuoso del tipo profezia che si auto avvera. Se si pensa di poter realizzare qualcosa, si è anche invogliati a darsi da fare e questo comportamento aumenterà

le probabilità di raggiungere ciò che si desidera. 6 Essere orientati sul presente Per essere felici è sicuramente utile investire di più sul presente, dando valore ad ogni giorno e godendo delle opportunità quotidiane. Detto questo, mi voglio ricollegare al sociologo Baumann, ma anche a ciò che sostiene l’ACT (Acceptance and Commitment Therapy), ricordando che il raggiungimento della felicità è un obiettivo comune a tutti ma per portalo a termine, ciò che conta è lo spirito con il quale intraprendo il percorso per arrivarci.

* Dott.ssa Laura Fratini Psicologa - Psicoterapeuta Studio, Piazzale Europa n°7 - Trento Tel. 339 2365808

tutta la moda estate 2020

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Girovagando di Francesca Gottardi è la nostra corrispondente dagli USA

Alla scoperta delle Cascate del Niagara Le cascate del Niagara - anche conosciute come Niagara Falls - sono situate al confine tra Stati Uniti e Canada. Per la loro imponenza, sono tra le cascate più famose al mondo. Prima della crisi Coronavirus, le cascate attiravano p iù di 30 milioni di visitatori all’anno da tutto il mondo.

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e Cascate del Niagara canadesi si trovano in Ontario, a 130 km da Toronto, nella città di Niagara Falls. Delle tre cascate che costituiscono il gruppo delle Cascate del Niagara, solo uno si trova in territorio canadese. Si tratta della più grande e suggestiva delle tre, dalla celebre forma a ferro di cavallo (Horseshoe Falls). Attraversato l’iconico ponte tra Canada e USA (il Rainbow Bridge), ci si trova sul versante statunitense dei salti d’acqua, nello Stato di New York. Le due cascate del Niagara statunitensi si chiamano “Cascate americane” (American Falls) e “Cascate a Velo di Sposa” (Bridal Veil Falls) e sono situate all’interno dell’omonimo parco nazionale. La grande cascata a ferro di cavallo canadese è larga circa 800 metri, mentre la cascata americana ha un’ampiezza di quasi un terzo, 323 metri. Le cascate in numeri Le Cascate non si distinguono per altezza, avendo un salto relativamente modesto di 57 metri. Ciò che le rende uniche è lo scenario che creano con la loro imponente portata d’acqua.

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Si stima che il flusso si aggiri attorno ai 168.000 m³ al minuto quando in piena, e circa 110.000 m³ come media annuale. Le cascate del Niagara non sono solo famose per la loro magnificenza. Sono anche notoriamente utilizzate per la produzione di energia elettrica. Tra il 50% ed il 75% delle acque del Niagara viene deviata per la produzione di energia elettrica; per questo raramente le si può apprezzare in piena. La centrale idroelettrica genera una media di 4,9 milioni di KW, e produce una parte importante

dell’energia elettrica dello stato di New York. Per fare un parallelo, tale energia è sufficiente per illuminare 24 milioni di lampadine da 100 watt e 3.8 milioni di abitazioni. Storia ed imprese Le Cascate devono molta della loro notorietà al film di Henry Hathaway “Niagara” del 1953, con Marilyn Monroe come protagonista. Ma la storia delle cascate comincia ben prima. Risale al termine dell’era glaciale, 10.000 anni fa. Lo scioglimento dei

La nostra Francesca alle Cascate del Niagara


Girovagando

Curiosità

Le cascate del Niagara nel 1920

ghiacciai produsse i Grandi Laghi americani ed il fiume Niagara, che da’ vita alle Cascate. Le Cascate erano originariamente situate a 11 chilometri di distanza, ma l’erosione le ha fatte arretrare fino al sito attuale. Lavori di ingegneria idraulica ne hanno rallentato l’erosione, passando da una velocità di 1 metro a 30 centimetri all’anno. Il più imponente di questi lavori risale al 1969, anno in cui le acque del fiume Niagara sono state

completamente deviate da una diga provvisoria per permetterne i lavori, lasciando le cascate completamente in secca. Impresa memorabile è quella dell’equilibrista Nik Wallenda, che nel 2012 attraverso’ le cascate del Niagara su una fune di appena 61 millimetri. Wallenda cammino’ per 550 metri nel vento, ad un’altezza di 45 metri dalle acque, in poco meno di 30 minuti e senza alcuna protezione.

A seguito di un cedimento nel 1954, le cascate americane hanno un salto di circa un terzo (21 metri) rispetto alle cascate canadesi, che anche per questo risultano essere più spettacolari. Inizialmente le cascate erano su terreno di proprietà privata, ed i visitatori dovevano pagare una somma per apprezzarne lo spettacolo attraverso dei fori ritagliati da una palizzata protettiva che ne impediva altrimenti la visione ai passanti. Oggi l’area delle Cascate gode dello status di parco naturale sia sul versante canadese, che su quello americano. Con il calare della notte, le cascate vengono illuminate in con centinaia di luci colorate che fanno risplendere i salti d’acqua, creando un colpo d’occhio spettacolare. Alle cascate illuminate si aggiungono i fuochi d’artificio, che vengono sparati sopra le cascate nelle notti d’estate. Molte delle iniziative sono ora in pausa a causa dell’emergenza Coronavirus.

Cascate del Niagara - Luci danzanti

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Storie di migranti di Francesca Gottardi è la nostra corrispondente dagli USA

Ivo Finotti

Un trentino nella regione del Niagara Ivo Finotti , canadese con origini trentine, vive a Toronto, non distante dalle Cascate del Niagara. I suoi genitori emigrarono in Canada da Valle San Felice (zona di Mori) nel 1956. Finotti fa parte del circolo dei trentini nel mondo canadesi, e racconta di sentire un legame molto forte con la sua terra di origine. Finotti ha attivamente cercato i suoi parenti rimasti in trentino. Ne ha rintracciati una trentina, con i quali si ritrova ogni quattro anni. Nel 2012, il gruppo trentino-canadese ha visitato le cascate del Niagara LA NOSTRA INTERVISTA Ivo, che legame senti con il Trentino? Sono nato a Rovereto e siamo emigrati quando avevo 2 anni. I miei genitori hanno insistito perché frequentassimo le lezioni di lingua italiana sabato mattina tenute dal governo italiano a Montreal. Ogni anno scrivevamo delle lettere di Natale a famiglie in Trentino. Quando, 16 anni dopo, siamo tornati in Trentino per la prima volta, siamo stati accolti a braccia aperte da molti zii, zie e cugini. Ci siamo innamorati delle montagne, delle malghe - in particolare del rifugio sul Monte Stivo e della malga Girardelli - e del Lago di Garda. Del trentino ci piace la vita semplice, incentrata sulla famiglia. Considero il mio villaggio d’origine la mia casa spirituale. Sono in pace quando sono lì. Come hai rintracciato le tue origini in trentino? Uno dei miei zii aveva iniziato a fare un albero genealogico. Io l’ho digitalizzato e portato avanti. Nel tempo ci siamo collegati con molti cugini. Uno dei miei ricordi più cari è che i miei cugini siciliani ci hanno fatto una sorpresa e ci hanno raggiunto a

Verona. In onore della visita, la sera stessa mia zia Elisa ha preparato un banchetto dell’ultimo minuto al mio villaggio d’origine in trentino. Ancora ci ricordiamo dell’aroma della cucina di mia zia: cibo semplice, la famiglia riunita attorno al tavolo, risate a non finire. Negli ultimi 20 anni abbiamo avuto una riunione di famiglia dei discendenti di mio nonno ogni 4 anni. In Trentino, in Sicilia e in Canada. Tempo fa mi sono imbattuto in una foto del 1924 della famiglia di mia madre nel loro villaggio natale, Besa-

gno. Insieme ai miei cugini, abbiamo ricreato l’immagine nel 2016 con oltre 300 persone! Quali sono le sfide maggiori che il circolo dei trentini nel mondo in Canada deve far fronte per mantenere viva la tradizione trentina all’estero? In principio, i primi immigrati avevano un bisogno naturale di incontrarsi e di aiutarsi a vicenda in questa terra diversa con una lingua che non conoscevano. I loro discendenti hanno lavorato duramente per integrarsi

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Storie di migranti nella cultura canadese, e talvolta le tradizioni sono state dimenticate. È talvolta difficoltoso trovare volontari disposti a donare il loro tempo per organizzare le feste tradizionali, i vari eventi, e per mantenere le comunicazioni. Il mondo è cambiato sostanzialmente. I circoli devono essere aperti, trasparenti e accoglienti per tutti. È necessario utilizzare ogni tecnologia disponibile per condividere le nostre tradizioni: e-mail, Facebook, siti Web, Twitter, ecc ... È difficile rimanere motivati come volontari poiché ci sono sempre alcuni aspetti negativi. Dobbiamo concentrarci sugli aspetti positivi e tenere d’occhio l’obiettivo di mantenere viva la nostra eredità. Come promuove le tradizioni trentine il circolo dei trentini nel mondo in Canada? Siamo fortunati a Toronto ad avere un grande consiglio di amministrazione guidato da David Corazza. Il team è aperto a idee progressiste e focaliz-

Il gruppo trentino-canadese alle cascate

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zato sulle attività che coinvolgono i nostri giovani. I circoli devono essere aperti e trasparenti. Una volta che i giovani viaggiano in Trentino, tendono ad innamorarsi della natura e a stabilire connessioni con il Trentino e con la sua gente. Per andare avanti, dobbiamo inoltre imparare a perdonare le trasgressioni dei nostri antenati. Troppo spesso le famiglie sono accecate da diatribe e misfatti percepiti o reali - risalenti a molti anni prima. I circoli in Canada mantengono le tradizioni trentine ospitando incontri come la Festa della Befana, Torteii di Patate, Picnic, Festa delle Castagne, Cena di San Giuseppe, Canederli, e così via. Inoltre, manteniamo ancora la tradizione di alcuni giochi di carte, come la briscola, usando le carte trentine e ovviamente si gioca ancora a bocce! Ivo, raccontaci una curiosità sulle cascate del Niagara! Le cascate del Niagara hanno la por-

tata più elevata di qualsiasi cascata nordamericana con il salto più alto di 50 metri. Quando ne ammirate la maestosità, potreste non rendervi conto che state vedendo solo metà del vero potere delle cascate. Metà dell’acqua è diretta infatti verso le centrali idroelettriche accanto alle cascate. Solo quando il vento soffia fortemente verso est il livello dell’acqua sopra le cascate si avvicina a ciò che i primi esploratori hanno visto per la prima volta.

NOTA DI REDAZIONE: Nel corso della nostra intervista, Ivo Finotti racconta alla nostra Francesca che nel 2016 ha ricreato una foto dei suoi avi risalente al 1924 con i parenti /discendenti che ha rintracciato con le sue ricerche. Nella pagina accanto pubblichiamo la foto originale nella versione a colori, in bianco e nero, e con nomi.


Storie di migranti

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Il passato nel presente di Massimo Dalledonne

Cima Mandriolo Il punto di osservazione di Cima Mandriolo era la punta più avanzata della linea italiana lungo il crinale che divide la Valsugana dagli Altipiani. Da lì era possibile controllare, durante la Prima Guerra Mondiale, tutti i movimenti delle truppe austriache alle quali erano state impartite delle precise indicazioni per eliminare l’osservatorio ed evitare le correzioni di tiro delle grosse artiglierie italiane.

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a quella vetta, infatti, grazie alla sua precisa collocazione geografica è possibile spaziare in direzione di tutte le 32 parti della Rosa dei Venti. Gli esperti topografi, vero la metà dell’800, già aveva individuato l’importanza di questo punto di osservazione per redigere l’impianto del nuovo catasto imperiale. Un vertice primario denominato “Mandriolo Cima” a quota 2047 sul livello del mare, a sud dei Masi, in Valsugana, al confine con il territorio di Venezia. Confine rappresentato da un ceppo di pietra con la sigla KV (Katastaral Vermessung o misurazione catastale). Un punto di presidio irrinunciabile per la monarchia asburgica al centro di diverse contestazioni di confinamento, soprattutto vero la fine dell’800. A tal punto che si arrivò alla distruzione del vecchio segnale trigonometrico. Nel 1905 la controversia venne affronta dalla Commissione bilaterale nominata da Italia e Austria per la revisione dei confini compresi tra Mandriolo e Pianello di Grigno. Lavori che si svolsero tra il 17 ed il 30 luglio, giorno in cui venne firmato il cosiddetto Protocollo di Borgo Valsugana. Come si legge a pagina 91 nel volume “Alpi di mezzogiorno” di Franco Gioppi e Giordano Balzani, per il primo tratto esaminato compreso fra cima Mandriolo e Porta Manazzo “nessun dubbio sull’andamento del confine nettamente indicato dal terreno e dalle due croci 2-3, nonostante la mancanza di quella numero 1 che non

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fu possibile rintracciare”. Da parte della Commissione viene proposto “l’ere-

zione di un termine del punto in cui il prolungamento dell’allineamento de-


Il passato nel presente

terminato dal termine esistente nella valle Spatavieri e dalla croce L.B.A. incontra la linea di vetta. Detto punto viene individuato provvisoriamente sul terreno mediante una croce in tinta di minio e distinta col millesimo 1905 sopra una pietra affiorante 53 metri a nord della croce L.B.A”. Ed ancora. “Si propone di erigere sulla cima Mandriola, dove non esiste più il segnale trigonometrico, un cippo il quel deve servire come termine di confine sia come punto trigonometrico e di cui dovranno essere nuovamente determinati gli elementi trigonometrici”. Il punto su cui detto cippo deve essere eretto venne precisato dalla Commissione sul terreno con un triangolo dipinto in rosso sopra una pietra affiorante. “La costruzione ed il collocamento dei nuovi termini di confine vengano eseguiti per cura del Governo italiano e che le spese inerenti siano sopportate per metà dai due Stati. Che gli istituti geografici di Vienna e di Firenze comunichino gli estremi trigonometrici dei segnali che verranno eretti a Cima Mandriolo, Cima Larici-Monte Paradiso e Cima Undici”. Tutto bene, sulla carta. Ma sei anni dopo, esattamente nel luglio del 1911, la questione del Mandriolo ebbe l’onore delle cronache con

diversi quotidiani italiani a divulgare la notizia di nuove violazioni di confine da parte austriaca che si era impossessata di un ettaro di territorio italiano. Ma cosa era successo? Una compagnia di 60 Jàger spostavano il punto trigonometrico di confine dall’orlo che guarda la Valsugana addentro il territorio italiano. Appropriandosi, in questo modo, di circa 10 mila metri quadrati di terreno sul quale costruirono anche un rifugio a secco e coperto di legno. L’incidente di confine a Cima Mandriolo divenne anche la prima pagina dell’edizione della Domenica del Corriere del 23-30

luglio 1911. Immediatamente avvisati da alcuni pastori, sul posto arrivarono prontamente i militari della Reale Guardia di Finanza agli ordini del capitano Bellenghi e del tenente Lorenzo Bembina. Carte e documenti alla mano, stabilirono il territorio violato e fecero rimettere al suo posto il confine spostato. Ma il casotto costruito dagli austriaci rimase come corpo del reato sul territorio italiano. Della vetta del Mandriolo se ne parla anche qualche anno dopo. Da qualche tempo era scoppiata la Prima Guerra Mondiale quando, nel maggio del 1916, un gruppo di bersaglieri provinciali tirolesi (Landeschutzen) la conquistò salendo da settentrione avendo la meglio sulla guarnigione italiana. Le giubbe grigio azzurre, però, furono costrette ad una immediata ritirata e gli attaccanti, numericamente inferiori agli italiani, ridiscesero a valle fra la gola della Val del Cazzolin e della Val del Boscheto in Val di Sella. Cima Mandriolo rimase avvolta nelle fitte nebbie, quelle stesse nebbie che ancora oggi i trentini chiamano “calivi” e “gahilwe” dalle popolazioni cimbre dell’altipiano.

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Tra poesia, pittura e prosa

A mio padre Ed era cosi che non vedevo mai quel volto tanto amato fra il pubblico... Era cosi che vivevo facendo a pugni con la tua assenza e dedicavo le mie canzoni al tuo sguardo rivolto altrove... Era cosi che non sapevi quanto soffrivo la tua indifferenza e quanto ero diventata brava a gestire il mio pubblico mentre di me non rammentavi più nulla... Era cosi che quella bambina doveva nascondersi quando tornavi cambiato dopo giorni di assoluto silenzio... Era cosi che assistevo al tuo precario equilibrio quando eri succube di un vizio nemico ...eri vittima di questo nemico ed eravamo in tanti occhi a guardare quello scenario che si ripeteva ogni volta, e ogni volta mi regalavi paura e sgomento. E’ cosi che ho sempre conosciuto la fragilità di un padre che doveva essere l’invincibile eroe della mia fanciullezza. Ma è cosi che ti ho sempre amato, accogliendo i tuoi sbagli e combattendo fino all’ultimo giorno per riconquistare mio padre. Il giudizio altrui non può scrivere la tua storia, oggi la mia mano scrive il tuo mondo,scrive di un uomo che mi ha forgiata con i suoi sbagli e i suoi insegnamenti,e mi ha fatto ridere con le sue facce da clown... e da quel giorno il mio sguardo ti ha riconosciuto e non ha mai smesso di amarti. Quanto avrei voluto conoscere di più dei tuoi lunghi silenzi...oggi mi manca la tua esperienza,quella che nessuno conosce,quella di un uomo che scavava il suo futuro nelle miniere del Belgio,quella del tuo lavoro in Olanda, quella della tua adolescenza, della fame e della seconda guerra mondiale... Oggi racconto di un uomo che ha lavorato tanto per spianare il più possibile la strada dove muovevo i miei primi passi ...oggi racconto del mio eroe che ha distrutto l’immagine di invincibile con un pianto nascosto dietro alla porta dei suoi innumerevoli sforzi di comprarmi un regalo importante e che ha impresso nella mia mente il colore arancione di quel libricino da colorare che per me rappresentava la più bella conquista di mio padre. 78

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Scrivo di quella telefonata dove udii nuovamente il tuo pianto papà ed io con la forza di una leonessa misi a tacere per un istante la malattia che ti rubava ai miei giorni. Il mio eroe era vulnerabile Daiana Berloffa un’altra volta... Ed ecco sull’altare del mio matrimonio... eri invincibile ed orgoglioso al mio braccio mentre la malattia piegava le tue ginocchia e scavava solchi profondi sul tuo irriconoscibile volto...l’ultimo pianto di mio padre fu dinanzi a quel Dio dove affidavi la tua bambina... Oggi posso scrivere che da quando ho sollevato in braccio mio padre e l’ho accompagnato verso la fine , il mio pubblico è meravigliosamente cambiato perché sento che in quella platea c’è il mio papà che applaude entusiasta alle mie canzoni, si alza incoraggiandomi come un fans accanito ogni giorno della mia vita...oggi sono diventata di nuovo una figlia. Daiana Berloffa


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