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Ricordo di un’attrice: Lucia Bosè

Lucia Bosè

annunciata” (1987) di Francesco Rosi, “L’avaro” (1990) di Tonino Cervi, “Volevo i pantaloni” (1990) di Maurizio Ponzi, “Harem Suare” (1999) di Ferzan Özpetek, e “I Viceré” (2007) di Roberto Faenza. Per quanto riguarda la sfera privata, la sua vita fu piuttosto tormentata: nel 1955 sposò il torero Luis Miguel Dominguín, da cui ebbe tre figli, Miguel, Lucia e Paola, e da cui però si separò nel 1967 a causa delle continue infedeltà del marito. Donna di cinema e di cultura, nel 2000 Lu cia Bosè realizzò nella cittadina di Turégano, nei pressi di Segovia, in Spagna, un museo dedicato agli angeli, dove vennero esposte circa 80 opere di artisti contem poranei, la cui ispirazione le derivò da una passeggiata effettuata anni prima su Pon te Sant’Angelo a Roma, ma soprattutto dal suo particolare rapporto di amicizia con Pablo Picasso, che le dedicò dei piatti con gli angeli. Tra l’artista spagnolo e l’attrice italiana ci fu un rapporto di grande affetto e amicizia al punto che Lucia diventò un’importante collezionista con circa 40 opere. Una spiccata sensibilità verso l’arte che caratterizzò gran parte della sua vita, e che le permise di intrattenere rapporti di amicizia e condivisione affettiva anche con tanti altri illustri artisti del calibro di Ernest Hemingway e Salvador Dalí. Lucia Bosè era una donna che amava definirsi “ribelle”, è rifiutò sempre l’idea di essere uguale alle altre. La sua ribellione iniziò all’età di 10 anni, quando si tagliò le trecce per non uniformarsi allo stereotipo delle bambine dell’epoca, fino ad arrivare alla caratteristica chioma blu che l’ha accompagnata negli ultimi anni della vita. Una capigliatura nata dalle sperimentazio ni della nipote, come dichiarò nel corso di una recente intervista alla trasmissione “Domenica In”, ma dalla quale si sentiva pienamente rappresentata, come se con l’avanzare dell’età il suo corpo dovesse esprimere visivamente il suo mondo inte riore fatto dei suoi angeli e di una bellezza che alla fine le ha fatto mettere in secon do piano il cinema rispetto alla famiglia. Dopo una vita ricca di avvenimenti ed una carriera piena di soddisfazioni, Lucia Bosè ci ha lasciati lo scorso 23 marzo all’età di 89 anni, a causa di una polmonite complicata dal Covid-19 che l’aveva co stretta al ricovero in ospedale a Segovia, in Spagna.

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Icona del cinema anni ‘50, nata da una famiglia operaia il 28 gennaio 1931 a Milano, figlia di Domenico Borloni e Francesca Bosè, Lucia iniziò a lavorare come commessa nella nota pasticceria Galli di Milano quando venne notata da Luchino Visconti che le disse: «Lei potrebbe diventare un animale cinematografico». E fu così che dal semplice apprezzamento di un grande regista nacque una carriera cinematografica e mediatica di respiro internazionale.

Le porte del cinema le si aprirono dopo il 1947 grazie alla vittoria del concorso Miss Italia a Stresa. Alla stessa edizione parteciparono altre concorrenti divenute poi famose attrici: Gianna Maria Canale, Gina Lollobrigida (classificatesi rispettivamente seconda e terza). Il debutto nel cinema, col nome d’arte di Lucia Bosè, avvenne nel 1950 con “Non c’è pace tra gli ulivi” diretto da Giuseppe De Santis. Ebbe poi dei ruoli in alcuni film di Michelangelo Antonioni come “Cronaca di un amore” del 1950 e “La signora senza camelie” del 1953. Fu diretta da Luciano Emmer in “Parigi è sempre Parigi “del 1951 e nel film che le diede la celebrità, “Le ra gazze di Piazza di Spagna” del 1952. La sua arte cinematografica si differenziò fin da subito, allontanandosi in breve dal mondo fatuo dei concorsi di bellezza e riuscendo ad imporsi come una grande protagoni sta del cinema, anche se poco premiata, dimostrando tutta la sua bravura al fianco di attori di primo piano come Alberto Sordi, Carlo Dapporto, Lauretta Masiero e Nino Taranto. Negli Anni Sessanta girò vari film sotto direzioni eccellenti, tra cui “Sotto il segno dello scorpione” di Paolo e Vittorio Taviani (1969), al fianco di Gian Maria Volonté, e “Fellini Satyricon” di Federico Fellini (1969), pellicola che guadagnò una nomination all’Oscar come miglior regista nel 1971. Tra i lavori più interessanti girati negli anni successivi meritano di essere menzio nati “Nathalie Granger”(1972), diretta da Marguerite Duras, “Cronaca di una morte

Lucia Bosè

di Katia Cont

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