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Fatti di casa nostra: Castel Ivano
l’opera era presente nella collezione dell’antiquario veneziano, il conte Dino Barozzi. Due anni dopo venne esposta a Firenze in occasione della mostra dedicata alla pittura italiana tra il ‘1660 ed il’700 a palazzo Pitti per finire, subito dopo, nella collezione privata del magnate statuniten se dell’industria vetraria Edward Drummond Libbey. Nel 1901 aveva fondato il Museum of Art di Toledo, in Ohio, dove oggi si trova il dipinto che il museo attribuisce a Francesco Guardi. “Quello che stiamo cercando di capire – prosegue Pasquazzo – è come ha fatto la tela a finire da Strigno nelle mani del Barozzi e poi in America. Nella pieve del paese non esiste un altare dedicato alla Sacra Famiglia e si desume che il dipinto fosse esposto nella canonica. Perché venne silenziosamente ceduto all’antiquario veneziano? Esistono dei documenti che possano testimo niare questo passaggio di proprietà?” In questi mesi il comune e la biblioteca sono entrati in contatto con il Toledo Museum of Art che si è dimostrato sensibile e collaborativo per ricostruire la storia, così vaga e misteriosa, della scomparsa della Sacra Famiglia da Strigno. “Non vogliamo creare problemi a nessuno, men che meno al museo di Toledo. Quello che chiediamo è di fare chiarezza su questa vicenda – conclude Giacomo Pasquazzo - anche perché è un vero peccato che la parrocchiale di Strigno e la Valsugana più in generale siano state private di un’opera d’arte così pregevole”. E per fare chiarezza ora si cerca la collaborazione di storici, professionisti dell’arte e studenti in storia o beni culturali. Già in passato il comune di Castel Ivano, grazie alla collaborazione del professore Vittorio Fabris, è riuscito a recuperare un dipinto di Strigno del Marchioretto ed arrivare al restauro, ese guito da Roberto Borgogno tra il 2007 ed il 2008, della Madonna col bambino sulla falce di luna del pittore di Borgo Paolo Naurizio. Ora si cerca di fare luce anche sul quadro del Guardi, uno dei vedutisti più affermati all’epoca del Canaletto. La Sacra Famiglia è uno dei lavori di gio ventù dell’artista, le cui opere hanno un valore notevole anche nel mercato delle opere d’arte. Un quadro che fa parte della memoria storica di Strigno, una vicenda “offuscata” su cui il comune vuole vederci chiaro. Una piccola impresa per detective.
Castel Ivano: il mistero del Guardi
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Il Comune cerca investigatore. Referenze: fiuto e cultura.
All’appello hanno risposto diverse persone. Non solo professionisti del settore, anche studenti e lau reandi in storia o beni culturali. L’iniziativa è stata promossa dal comune di Castel Ivano. “Cerchiamo uno storico, con piglio da detective per una piccola impresa – si leggeva sull’annuncio – per ricostruire le vicende offuscate legate ad un’opera d’arte”. C’era tempo fino alla fine del mese di marzo per dare la propria disponibilità. E presso la sede della biblioteca comu nale Albano Tomaselli a Strigno ne sono arrivate davvero molte. Di cosa si tratta ce lo spiega l’assessore alla cultura del co mune di Castel Ivano Giacomo Pasquazzo. “L’opera d’arte in questione è la tela della Sacra Famiglia, un dipinto attribuito al Guardi, di una storia che a Strigno è riemersa alcuni anni fa”. Tutto è partito dal libro “Il Borgo di Strigno – storia, arte e devozione” dello storico ed appassionato d’arte Vittorio Fabris. Una vicenda finita nel dimenticatoio della memoria colletti va poco più di un secolo fa. “Proprio così. Parliamo di un’opera – ricorda l’assessore alla cultura- presente fino allo scoppio della Grande Guerra nella chiesa parroc chiale di Strigno. È un quadro a carattere devozionale, una libera interpretazione di un dipinto di Andrea Pozzo (pittore di Trento del ‘600) che si pensa sia stato commissionato al Guardi dal decano di Strigno don Paolo Giuseppe Pasqualini tra il 1743 ed il 1765”. Non è certo se l’opera sia da attribuire ai due fratelli, Francesco e Gian Antonio Guardi, o se deve essere ritenuta opera di uno solo dei due. Certo è che verso il 1920, secondo le ricostruzio ni di Fabris che definisce il dipinto come una trasfigurazione pittorica autoctona,
di Massimo Dalledonne
La Sacra famiglia - Il quadro del Guardi
di Chiara Paoli
L’America di “Via col vento”
“Via col vento” rimane un film indimenticabile, record di Oscar e di incassi, ma soprattutto emozionante nel suo narrare le vicende amorose di Rossella O’Hara ambientate a Tara, in una piantagione di cotone del sud, all’epoca della guerra civile americana.
La guerra di secessione americana prende avvio il 12 aprile del 1861, sconvolgendo le vite dei protagonisti. La causa scatenante di questa lotta fra nordisti e sudisti risiede nell’abolizione della schiavitù, per volere del presidente repubblicano Abraham Lincoln, eletto l’anno precedente. A scontrarsi sono gli Stati Uniti che affrontano gli Stati Confederati del sud, costituiti inizialmente da Alabama, Florida, Georgia, Louisiana, Mississippi e Carolina del Sud, cui si aggiungono nel maggio 1861 anche Texas, Virginia, Arkansas, Carolina del Nord e Tennessee. In questi stati circa la metà della popolazione, a volte anche di più era costituita da schiavi che lavoravano nelle piantagioni di cotone per pochi spiccioli. Nella realtà dei fatti, il soldato dell’Unione soprannominato Billy Yank, combatteva non tanto nell’intento di aiutare i fratelli neri, quanto piuttosto per vendicarsi di chi aveva scelto di abbandonare gli Stati Uniti d’America, realtà istituita dai padri fondatori e ritenuta indivisibile. Il soldato confederato, noto con il nome di Johnny Reb, si immola invece per preservare la società rurale in cui vive, rappresentando i cosiddetti Dixies e la neonata confederazione. Ad attaccare per primi sono i sudisti che si dirigono verso Fort Sumter guidati dal generale Robert Lee, conquistandolo e dimostrando la loro superiorità militare. Nord e Sud apparivano già
come due mondi molto diversi tra loro, il primo fortemente industrializzato e con una popolazione di 22 milioni in continuo aumento, mentre il meridione era costituito da appena 5,5 milioni di abitanti, per lo più da aristocratici militari proprietari di latifondi, che avevano già combattuto in precedenza nei diversi conflitti del XIX secolo. I Sudisti inoltre potevano contare sull’equipaggiamento britannico, ritenuto uno dei migliori all’epoca e su artiglieria francese così si spiegano i primi successi militari delle forze della confederazione. Ben presto però le sorti si ribaltarono, il Nord aveva investito nell’addestramento degli uomini, dando vita a un esercito di volontari ben addestrato ed equipaggiato. Grazie ai contatti con l’Europa, l’Unione era riuscita a ottenere armi innovative e aveva più che quadruplicato le navi della propria Marina Militare. La zona settentrionale, con le industrie non fece mai mancare ai propri uomini il necessario, dai rifornimenti alimentari alle munizioni, mentre al Sud pian piano tutto ciò cominciò a mancare, a causa dei blocchi navali messi in atto dai nordisti. Questa tattica volta ad indebolire il sud era stata proposta dal tenente generale Winfield Scott, il piano venne presentato con il nome Anaconda e prevedeva appunto l’embargo e mirava a dividere in due la Confederazione, attraverso un attacco al di sotto del fiume Mississipi. Il primo gennaio 1863 venne emesso il Proclama di emancipazione, che prevedeva la liberazione di tutti coloro che negli stati confederati vivevano in stato di schiavitù, ma questa pratica centenaria terminerà solo nel dicembre 1865, con il XIII emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti d’America, nella quale lo schiavismo venne dichiarato fuori legge. Nel corso del tempo le nuove forze militari dimostrarono il proprio valore, così avvenne per Ulysses Simpson Grant che nel marzo del 1864 divenne luogotenente generale e comandante di tutti gli eserciti dell’Unione. Egli aveva dimostrato il suo talento conducendo le truppe ad una serie di successi militari nella cosiddetta campagna di Vicksburg, che si concluse vittoriosamente nel luglio del 1863. Una volta preso il comando il comandante Grant si dirigeva a sud verso Richmond, mentre William Tecumseh Sherman conduceva una parte dell’esercito ad est verso Atlanta e successivamente Savannah, conquistata il 21 dicembre 1864, nell’intento di dividere l’esercito sudista. I sudisti persa Richmond si ritrovarono accerchiati e furono costretti alla resa, avvenuta il 9 aprile del 1865. A
pochi giorni dalla fine della guerra, nella serata del 14 aprile all’interno del Teatro Ford un attore spara nella nuca del presidente Abramo Lincoln, che morirà il giorno seguente. «Il conflitto era terminato: il Sud aveva pagato cara la sua tentata secessione; nulla era più come prima. Città incendiate, case distrutte, la morte ovunque.» (Mario Francini in “Storia dei presidenti americani”, Tascabili Newton 1996) La guerra di Secessione Americana che mirava a riunire tutti gli stati sotto un’unica bandiera era durata quattro anni e aveva messo in ginocchio il sud, dimostrando la superiorità del nord industrializzato. Il risultato finale stimato della lotta fra abolizionisti e schiavisti è la morte di oltre 750 mila soldati e 50 mila civili, cui si sommano circa 400 mila feriti a carico della società. Sono poi da mettere in conto 56 mila i soldati che furono segregati nei campi di prigionia, uscendone come spettri di umanità e più di 60mila sono coloro che furono vittime di orribili mutilazioni. Il divario fra Nord e Sud continua a crescere dopo la fine del conflitto e lo schiavismo rimane, sotto forma di segregazionismo. Rialzarsi da questa sconfitta è difficile, anche per l’altezzosa e viziata Rossella che si ritrova a patire la fame e infine da sola, come unica consolazione la terra, la sua Tara, di cui riconosce il valore solo a guerra finita.
di Massimo Dalledonne
È morto Nerio Fontana: artista del bello
Disegnatore, pittore, incisore, scultore e fotografo. All’età di 89 anni è scomparso Nerio Fontana, artista curioso e poliedrico, originario di Cembra ma borghesano e valsuganotto di adozione.
Classe 1931, ancora giovane con la famiglia si trasferisce in Valsugana. Prima a Strigno, poi a Borgo ma è a Venezia che affina la sua tecnica e l’arte. In laguna frequenta il Liceo Artistico e l’Accademia delle Belle Arti. Come insegnante lavora per diversi anni nelle scuole medie di Borgo, Bren tonico e Mezzolombardo. La passione per la fotografia arriva ancora prima, negli anni ’50. Ecco come il critico d’arte Rinaldo Sandri, per molti anni responsa bile della pagina culturale del giornale l’Adige, ne scriveva diversi anni fa. “Le opere fotografiche di Nerio Fontana hanno un corpo straordinario. Come egli avverte, sono lungamente progettate, elaborate in sede di stampa, sovvertite affinché affiori nell'immagine una verità che l'autore ha saputo presentire e infine coniugare attraverso l'incessante sperimentazione. Costituiscono una ricerca durata molti anni soprattutto sulla figura (ci sono molti ritratti e molti nudi) sulle luci che l'accompagnano. Fontana non ricorre mai a un'illumina zione artificiale, per lasciare naturalità alle superfici, sempre ricercatissime nel dettaglio espressivo, e soprattutto fedeli a quella regola, ormai antica, secondo la quale unicamente nella sensibilità umana dell' artista va cercata e trovata la certezza per ogni giusta conoscenza”. Nel 1958 la prima mostra personale alla Galleria degli Specchi, ne seguirono tantissime altre (anche collettive) che l’hanno visto protagonista in tutta la Regione. Una volta andato in pensione ha potuto dedicarsi completamente all’attività artistica. Nelle sue opere pitto riche, scultoree e fotografiche le donne rappresentano il suo amore sensuale, struggente e tormentoso per il mistero della vita. Come sculture ha lavorato diversi materiali come la terracotta, la ceramica, il marmo ed il bronzo. In tutti queste decenni di attività di Nereo Fon tana hanno recensito opere e mostre, sia personali che collettive, oltre allo stesso Rinaldi Sandri anche Ugo Tait, Fiorenzo Degasperi, Luigi Serravalli, Palmiro Bo schesi, Gian Pacher, Floriano Menapace, Luciano Coretti, Mariapia Laghi, Riccarda Turrina e Renzo Francescotti che ricorda come “Neri abbia avuto la vita dominata da due ossessioni: l’arte e la donna”. Le donne le ha spiate, idoleggiate, ritratte con tutti gli strumenti come la matita, il pennello, la spatola, il bulino, la sgorbia e la macchina fotografica. Nei momenti di maggiore felicità artistica, di fronte alle figure femminili, quasi per miracolo riu sciva a trovare la loro perfezione plastica, l’equilibrio delle forme e la pienezza del la luce. Spero che ora sia planato in uno spazio più luminoso di questo nostro, così oscuro. “La realtà – ricordava spesso Nerio Fontana– non cesserà mai di stu pirmi con la sua bellezza e le emozioni che mi regala e che al di là delle correnti e delle mode non ha mai tradito o illuso lungo tutta la storia millenaria dell’arte, che ad essa si indirizza ed ispira”. Così lo ricorda il sindaco di Borgo Enrico Galvan. “Negli ultimi anni abbiamo inaugurato allo Spazio Klien diverse sue mostre temporanee. Nerio Fontana ha lasciato molte sue opere in tante case del paese, scorci e paesaggi ma anche splendidi nudi. Una mano geniale, sensuale. A breve le sue sculture saranno valorizzate nella zona dedicata agli artisti al Parco della Pace. Ci mancherà la sua presenza costante, il suo silenzioso rispetto per l’arte e per gli artisti. Non mancheremo certo di organizzare una mostra per rivedere Nerio nei suoi quadri e nella sua amata Borgo”.