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Storie di Ieri: Giovanni Ernesto Fante
di Massimo Dalledonne
In memoria di Giovanni Ernesto Fante
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GRIGNO – Giovanni Ernesto Fante oggi è ricordato nel monumento ai Caduti di Enego in Piazza S. Marco e da un cippo in capo al ponte di Tezze, sulla riva destra del fiume Brenta, nel comune di Grigno. Nella frazione, infatti, la vita gliela strapparono a calci e pugni il 0 settembre del 1944. Una storia, la sua, che merita di essere raccontata prendendo spunto dalle pieghe della memoria grazie alla ricerca paziente dello storico Giuseppe Sittoni, impegnato a ricostruire le vicende partigiane dell’altopiano di Asiago e del Canal di Brenta.
Giovanni Ernesto era il primogenito dei sette figli di Antonietta Mocellin e Antonio Fante, un «ragazzo del ’99» che fece in tempo a vivere da soldato bambino gli orrori della Grande Guerra, da uomo le angherie riservate agli antifascisti. È la storia di un ragazzo di diciannove anni travolto dagli orrori della guerra. Con la famiglia abitava a Pianello Vallon, terra di confine, un pugno di case sulla destra del Brenta, sotto il Comune vi centino di Enego. Poco più su Pianello di Sopra, un altro grumo di abitazioni sotto Grigno: in mezzo il confine tra Italia e Alpenvorland, tra Salò e la Zona di Operazioni delle Prealpi sotto diretto controllo tedesco, a due passi il cippo che segnava il confine fra l’impero austroungarico e il regno d’Italia. Di lui ne ha scritto Giuseppe Sittoni, così come Attilio Pedenzini in un am pio servizio pubblicato il 9 settembre del 2008 dal quotidiano l’Adige. Gente pratica, quella dei due Pianello, divisa da un segno sulla carta geografica ma unita nelle vicende quotidiane. Il padre lavorava un piccolo appezzamento strappato al Brenta nel fondovalle, che da solo non bastava a sfamare i sette ragazzi. Così aveva preso in affitto anche una malga sull’altopiano e tirava avanti nonostante la guerra. Tutti sapevano che sull’altopiano c’erano molti partigiani. I più vicini quelli della Divisione Sette Comuni: trecento uomini, in massima parte cattolici e monarchici, di stanza in Mesagranda, in prossimità della malga Val d’An tenne di Angelo e Domenico Stefani di Tezze. Per raggiungerli c’erano e ci sono ancora tre sentieri: il primo par tiva proprio vicino alla casa di Giovanni Fante, il secondo al vecchio cippo del confine e l’ultimo, il più ampio, al ponte di Tezze. Tutti erano battuti dai partigiani che
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di notte, ricorda Nerina Montibeller, scendevano alla ricerca di cibo e di armi, e dai tedeschi che li inseguiva no sulla montagna ma più spesso si accontentavano di piazzare le mitra gliatrici per il fuoco di sbarramento. Giovanni salì in montagna nell’ago sto del 1944 e si unì alla compagnia «Fiamme Verdi» della «Sette Comuni». La divisione, trasferita a Frizzon dopo il proclama Alexander con il nome «Or tigara», aveva il compito di provocare il maggior danno possibile alla ferrovia e ai depositi di carburante ed esplosivo della Todt, impegnata nelle opere di fortificazione fra Tezze e Ospedaletto e nelle riparazioni alla ferrovia con duemila uomini a Cismon e un altro migliaio alle dipendenze di Carlo Zan ghellini di Strigno. La linea ferrata della Valsugana aveva assunto una certa importanza strategica dopo che quella del Brennero era stata resa pressoché inservibile dai bombardamenti alleati e dalle incursioni nella zona di Fortezza dei partigiani della «Calvi» che dalla Val Cordevole scendevano attraverso la Pusteria. La recluta Giovanni, ai comandi di Giu lio Vescovi «Leo», non ebbe il tempo di prendere un nome di battaglia. I nuovi arrivati dovevano prima conclu dere il periodo di addestramento, che prevedeva il supporto ai compagni nelle azioni economiche per procurare le derrate alimentari che abbondavano nei magazzini Todt. L’otto settembre scese per viveri assieme ad altri due partigiani, ma non riuscirono a salire il ripido sentiero al ponte di Tezze con tutto il carico. Nonostante il parere contrario del comandante Leo e dei compagni decisero di scendere il gior no successivo per recuperare quanto era rimasto occultato nel bosco. Arrivarono in valle verso l’imbrunire ma trovarono ad attenderli i tedeschi e i militi del Corpo di Sicurezza Trenti no. Erano quasi accerchiati quando Giovanni cadde ferito gridando aiuto. I due compagni, uno dei quali, Antonio Todesco «Pardo», morirà poco dopo sotto le torture dei tedeschi, fuggirono per non cadere nelle mani naziste. Girolama Stefani, di Tezze, ha ancora nelle orecchie il rumore degli spari, negli occhi il lampeggiare dei fucili all’altra estremità del ponte, le invoca zioni «Mamma! Mamma!» della recluta ferita. Ma i trentini del CST e i nazisti non si impietosirono. Le urla del ferito sembravano quasi reclamare una mag giore ferocia. Infierirono su Giovanni e poi, non paghi, lo legarono per i piedi e lo trascinarono moribondo per le vie di Tezze fino alla vecchia dogana nei pressi della chiesa. Le botte e le ferite al volto, ricorda an cora la signora Nerina, lo avevano reso irriconoscibile. Il tempo di constatarne la morte e via, verso la casa di famiglia a Pianello Vallon per una punizione esemplare, armati di taniche di benzi na per cauterizzare l’onta nel fuoco. Per salvare gli altri ragazzi e la casa, ad An tonio e Antonietta non fu risparmiato lo strazio di dover negare che il povero corpo alla dogana appartenesse al figlio. Il giovane rimase dietro la porta della dogana anche il giorno successi vo, domenica. Lo vide Antonio Voltolini andando a messa. Lo vide Rita Stefani, che nella strada verso la chiesa notò le tracce del trascinamento. Arrivata alla parrocchiale venne raggiunta da una persona che, agitata, le chiese una corona del rosario. Lei, senza capire, le diede la sua e, incuriosita, la vide avvi cinarsi a un capannello di territoriali e tedeschi per metterla fra le mani del morto: un gesto di pietà che riaccese l’ira dei soldati.
BRAVISSIMA FRANCESCA - COMPLIMENTI E CONGRATULAZIONI
La nostra corrispondente USA, Francesca Gottardi, è una dottoranda ed assistente universitaria in diritto internazionale e scienze politiche presso l’Università di Cincinnati, negli Stati Uniti. Ha conseguito la laurea in giurisprudenza presso l’Università degli studi di Trento nel 2016, seguendo un percorso di diritto europeo transnazionale. Si è poi trasferita negli Stati Uniti, dove nel 2018 ha conseguito un master post-laurea in diritto americano ed internazionale, che l’ha portata a lavorare presso il Ministero degli Interni della Georgia, dove nell’estate 2018 ha vinto una borsa di studio per lavorare nel campo dei diritti umani. Recentemente, e siamo felicissimi per Lei, ha superato l’esame di avvocato negli Stati Uniti, e ora lavora come consulente legale presso la General Electric.”