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Ieri avvenne: un frate regicida

Un frate regicida

cessivamente venne trasferito presso la famiglia francescana di Borgo. Al suo ritorno da Venezia decise di fare una tappa a Padova per visitare la basilica del Santo. “Dopo aver pregato – continua don Armando Costa – e passato al convento dei Conventuali, finalmente si era messo in una locanda in attesa del passaggio del treno che doveva portarlo a Borgo”. In quei giorni e settimane convulse la polizia italiana era stata tutta mobilitata per rintracciare a catturare l’attentatore di Umberto I ed i suoi complici. “Si stava avvicinando l’ora della partenza quando gli si parò davanti un signore che, manifestatosi per delegato di questura, l’invito a seguirlo in Polizia. Il povero francescano – si legge nell’articolo – fece di tutto per persuadere il delegato che ci doveva essere un equivoco ma invano. Dovette fare di necessità virtù ed andare in questura dove venne perquisito da cima a fondo e sottoposto a un noioso interrogatorio per più di un’ora. Poi venne condotto e consegnato ai Conventuali e rimesso in libertà”. Ma i guai per il tranquillissimo e popolarissimo “padre Piero” non era ancora finiti. A Borgo, come ricorda anche don Armando Costa, a quel tempo era conosciuto come un frate bonario e cordiale, confessore ricercato, simpatico e amabile per le sue battute acute. “Il frate prese la via della stazione, si presentò allo sportello per comperare il biglietto quando un altro delegato di questura lo fermò nuovamente. Questa volta lo dichiara in arresto e lo mena in prigione. Viene sottoposto ad un altro interrogatorio e, dopo una minuta perquisizione fino allo spoglio dell’abito, gli viene levata anche la corona, il cingolo e una fascetta di lino che copriva una piccola piaga ad un piede. Poi viene posto in prigione”. Una vicenda decisamente singolare. Come prosegue nel suo racconto don Costa “il povero frate, impedito di corrispondere con chicchessia, tenuto sotto stretta e severa sorveglianza, senza sapere dove la vicenda sarebbe andata a parare, dovette starsene due giorni nella celletta dei malfattori. Finalmente, verificato l’equivoco, quando la questura si rese conto di averlo scambiato per un complice del regicida Gaetano Bresci, fu rimesso in libertà e poté tornarsene al suo convento di Borgo”. In Valsugana padre Piero rimase ancora diversi decenni e morì il 31 gennaio del 1959, all’età di 90 anni, presso l’infermeria dei Francescani di Trento.

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Sono passati quasi 120 anni da quando, il 19 luglio del 1900, a Monza venne ucciso, all’età di 56 anni, il re d’Italia Umberto I. Il monarca trova la morte per mano dell’anarchico Gaetano Bresci ma in pochi, anzi pochissime persone, compreso il sottoscritto, erano al corrente che in quelle febbrili settimane che seguirono l’attentato anche un bonario e cordiale padre francescano venne sospettato del regicidio. Una storia, quella raccontata dalle pagine di Voci Amiche da don Armando Costa, infaticabile storico e documentarista di tutte le vicende che riguardano il suo paese natale e la V alsugana, che a quel tempo era stata riportata anche dalla rivista dei gesuiti “La Civiltà Cattolica”.

Èbene ricordare che a quei tempi, siamo nel 1900, Borgo Valsugana faceva parte dell’impero austroungarico, uno dei tanti comuni della provincia del Tirolo. Era il 24 agosto quando padre Piero, all’anagrafe Giampietro Matuella, originario di Mezzolombardo, di stanza presso il convento di Borgo decise di partire per trascorrere alcuni giorni in laguna, a Venezia. Come ricorda don Costa “era nato il 30 luglio del 1869 e vestì l’abito serafico a Santa Maria delle Grazie presso Arco. Emise i voti solenni il 29 settembre del 1890 e venne ordinato presbitero il 10 luglio del 1892”. Suc

di Massimo Dalledonne

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