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Il politico in cronaca Antonio Bisaglia Pagina
Il politico in cronaca
di Waimer Perinelli
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La misteriosa morte di ANTONIO BISAGLIA il terzo uomo della PiRuBi
Il 24 giugno del 1984 Antonio Bisaglia, potente uomo politico padovano, affogò nella baia di Portofino, località della Liguria frequentata da super ricchi. Cadde in mare dal panfilo Rosalù di proprietà della moglie Romilde Bollati di Saint Pierre. A bordo dell’ imbarcazione, lunga 22 metri e pesante oltre cinquanta tonnellate, c’erano altre sei persone ma nessuno si accorse della sua caduta in tempo utile per soccorrerlo. Nessuno si aspettava nemmeno la caduta visto che il mare era calma piatta e non c’era un alito di vento. I testimoni riferirono di un’onda anomala il cui urto avrebbe fatto precipitare Bisaglia, dalla tuga, dove sdraiato prendeva il sole leggendo il giornale, alla passeggiatina, da dove il corpo, del peso di 90 chilogrammi circa, dopo avere travolto un paio di candelieri, sarebbe precipitato nell’acqua azzurra di uno dei golfi più belli d’Italia, procurando la morte per affogamento dell’uomo politico, di 55 anni e buon nuotatore.. Mortale incidente batterono le telescriventi delle agenzie e scrissero a caldo i giornali; tuttavia molte circostanze sono poco credibili, sospette. Antonio Bisaglia era nato a Padova il 21 marzo del 1929. Il padre era ferroviere di Rovigo, la famiglia numerosa. Il giovane completò gli studi in seminario poi si laureò in giurisprudenza all’università di Padova. Nel 1945 si era iscritto all’Azione Cattolica iniziando un percorso culturale e politico frequente nell’ambito della nascente Democrazia Cristiana diretta da Alcide Degasperi. Ha la fortuna d’incontrare ed avere l’apprezzamento di Mariano Rumor, vicentino, già leader veneto e nazionale del partito che governerà l’Italia, da solo per trent’anni e in compagnia della sinistra per altri dodici prima del crollo con le inchieste di “mani pulite”. Siamo nel 1952 Rumor ha immediata stima del ventitreenne Antonio e lo inserisce nel proprio staff affidandogli la propaganda ed il tesseramento. Sono anni politicamente molto caldi con la battaglia contro il comunismo di Togliatti, l’ ingerenza della Chiesa nello scenario italiano, dove la propria esperienza di ex seminarista sarà utile strumento di analisi per Bisagliae la politica europeista di Degasperi. L’Italia economica e politica sta compiendo il massimo sforzo di rinascita dalle macerie della guerra e il giovane padovano-rovigino compie un lavoro egregio, tanto che Rumor, nel 1954 guida la sua nomina alla presidenza della Cassa Mutua di Rovigo e due anni dopo gli rende agevole l’ingresso nel Consiglio provinciale del partito. Nel 1963 alle elezioni politiche Antonio Bisaglia raccoglie 35 mila preferenze ed a 37 anni viene eletto alla Camera dei Deputati. E’ l’inizio di una folgorante carriera incentrata sul controllo della provincia padovana con sconfinamenti nel vicentino dove ha il proprio feudo il protettore Mariano Rumor che nel 1951 era stato nominato Sottosegretario all’Agricoltura del governo Degasperi. Bisaglia è un fedelissimo e nel 1968 viene nominato Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Inizia il periodo d’oro del duo Rumor-Bisaglia a cui viene aggregato il trentino Flaminio Piccoli e nasce il trinomio PiRuBi con il quale oltre all’unione politica della corrente Dorotea viene associata un’autostrada di collegamento fra Venezia e Trento ritenuta indispensabile per il commercio e il turismo, affogata nella contestazione, ancora oggi rimpianta davanti al caos di mezzi pesanti che pervade la strada statale 47 e le viuzze provinciali. Al fallimento del progetto stradale contribuisce anche lo scontro fra i tre uomini politici, in particolare i due veneti, il cui territorio di competenza si fa tropo stretto. Una sedia per due della loro stazza non è sufficiente, e Bisaglia, che alle elezioni del 1972 è passato da 35 mila a 138 mila preferenze, dopo essere stato nominato nel 1974,dallo stesso Rumor,
Antonio Bisaglia
Il politico in cronaca
ministro all’agricoltura, deve mordere il freno. E’ ormai temuto dal suo ex protettore e solo il governo Moro nel novembre del 1974 gli aprirà grandi varchi. Nel 1975 l’ex delfino, assieme a Piccoli, scaverà la fossa a Rumor mettendolo in minoranza al Congresso democristiano del luglio 1975. Grandi scalate, conoscenze delle cose palesi e segrete dello Stato e molti misteri. Fra il 1974 ed il 1984 mentre Bisaglia accumula ministeri, scoppiano il Caso Petroli, il fallimento della banca Franklin National Bank di Michele Sindona, che morirà in carcere dopo avere bevuto un caffè alla Stricnina, l’assassinio del giornalista Pecorelli che, si scrisse, indagava nella torbida matassa di soldi e appalti. Con Bisaglia, nel golfo di Portofino, affogarono buona parte di questi misteri. Ma ne nacquero di nuovi e intriganti. A poche centinaia di metri dalla disgrazia, sopra gli scogli, gli ospiti della villa del re degli elicotteri Agusta avevano probabilmente assistito alla tragedia senza potere fare nulla. Una di loro era Vacca Agusta, moglie dell’imprenditore, che, per singolare coincidenza, morirà anch’ella in circostanze misteriose, cadendo e annegando in mare. Scrive Agatha Christie che una coincidenza è solo una coincidenza, due sono ancora coincidenze ma tre sono un fatto. Nel nostro caso la terza coincidenza è la morte del sacerdote Mario Bisaglia, fratello di Antonio, acceso contestatore della disgrazia accidentale e sostenitore dell’omicidio. Era il 17 agosto del 1992 quando
La baia di Portofino
Flaminio Piccoli (da Il popolo della Democrazia Cristiana)
il corpo del prete fu ripescato dal laghetto alpino di Centro di Cadore nei pressi di Domegge, in provincia di Belluno. Era partito tre giorni prima da Rovigo diretto a Calalzo dove voleva incontrare il Papa ed aveva appuntamento con due giornalisti. Aveva le tasche piene di sassi e si ipotizzò il suicidio. Le indagini appurarono che nei polmoni non c’erano né acqua né microrganismi tipici. Uno strano suicidio visto che probabilmente era caduto o gettato nel lago già cadavere. Il caso fu archiviato. Resta ancora da chiarire perché sul corpo di Antonio Bisaglia non fosse stata effettuata l’autopsia. Scrive il direttore del Giornale di Vicenza in un editoriale di 16 anni dopo: “Quello stesso giorno (24 giugno 84) Francesco Cossiga, ministro degli interni, piombò nell’ospedale di Santa Margherita Ligure, dove Bisaglia, subito ripescato in mare, fu portato già morto. Non fu eseguita nessuna autopsia e la sera stessa la bara venne portata a Genova poi, con un volo militare direttamente a Roma”. Perché tanta fretta? Mario Borghezio ex deputato leghista, nel 1993, presentò un’interrogazione al ministro di Grazie e Giustizia scrivendo di “misteriose morti parallele” e si sa che le parallele, salvo che per Aldo Moro, non s’incontrano mai e con loro forse anche la verità è affogata nel mare blu di Portofino.
Società oggi
di Patrizia Rapposelli
FESTE PRIVATE E COVID
Il popolo della notte non si ferma
Non serve andare indietro di due secoli, ma “solo” di uno. Torniamo al tempo del proibizionismo negli Stati Uniti. Per un decennio circa fu vigente il divieto costituzionale sulla produzione, importazione, trasporto e vendita di bevande alcoliche. Effetto collaterale: il fiorire del contrabbando, raduni allegri e rumorosi nelle case private per bere alcolici. Analogia non perfettamente calzante, ma funzionale a sufficienza per descrivere quello che sta accadendo. È il tempo delle feste private. Lo scenario è andato via – via a prefigurarsi tale per tutto l’anno, la gente e soprattutto i giovani infischiandosi di regole e limiti, orpelli fastidiosi, si è organizzata privatamente. Ad oggi le feste private sono un fenomeno sottaciuto in forte aumento tra i giovani. Discoteche e luoghi della notte, chiusi sulla carta, diventano motivo di divertimento alternativo e pretesto per portare lo svago in casa. In giro per l’Italia scoppia la moda dei festini nelle abitazioni, sui terrazzi, nei giardini, nei luoghi isolati della montagna. Queste iniziative costituiscono elementi di forte rischio rispetto all’emergenza sanitaria in atto; infatti, divertimento e responsabilità non sono concetti che spesso coincidono. Le feste diventano potenzialmente esplosive per la proliferazione di contagi. In questi lunghi mesi l’autorità diventata autoritaria ha lambito i limiti costituzionali e al contempo ha smarrito la necessaria autorevolezza. Da qui, un concitato imperio a cui non fa seguito il celere ubbidire. Le regole e i limiti, a volte discordanti e confusi, fanno scomparire l’autorevolezza necessaria a contenere un’emergenza sanitaria. Quanti vaccinati ci sono nelle molte feste organizzate privatamente? Tra i giovani il numero di immunizzati è aumentato significativamente; una parte spinta da una consapevole responsabilità e una fetta dalla paura di limitata libertà personale. Non basta. Da dopo Ferragosto la campagna vaccinale ha accelerato con le aperture per la fascia 12-18 anni senza prenotazione. La platea della fascia 12-19 è stata quasi completamente vaccinata, con una doppia dose, ma con qualche differenza tra i territori. Sta di fatto che la categoria prioritaria, in questo momento, è quella dei ragazzi. Da una parte in previsione dell’apertura delle scuole, dall’altra per paura dei cluster di contagiati emersi da alcuni party decerebrati. Vaccino non vuol dire divertimento senza freni, ma questo concetto da molti non è stato compreso. Giovani, giovanissimi. In tanti non hanno neppure 20 anni e di notte bivaccano, bevono e si divertono in modo sconsiderato nelle nottate estive; pazienza se le discoteche sono chiuse. Nulla di nuovo. Il popolo della notte non si arrende, anzi rilancia ed esagera creando un vero e proprio fenomeno, quello delle feste private senza ritegno. Educare alla responsabilità. Continuiamo a parlare di coscienziosità, ma senza fornire strumenti per maturarla, i primi a trasgredire sono gli adulti. La festa clandestina, organizzata in modo pericoloso a livello sanitario, è solo uno dei tanti aspetti dell’intera pandemia, che sta mettendo in risalto una vecchia generazione che ha difficoltà nel trasmettere giudizio e sensatezza alle nuove generazioni. Un vulnus che riguarda l’intera comunità educante. Festa privata un fenomeno in forte aumento e un rischio per l’autunno. La pandemia non è finita.
Attualità
di Francesco Zadra
«Sono bambina, non una sposa!»
Vi sono delle bambine che, già a partire dai cinque anni, si ritrovano oggetto di veri e propri contratti, cedute per denaro dalle loro famiglie divengono spose per una sorta di dote al contrario, versata dai futuri mariti ai genitori delle ragazzine.
Una sposa bambina è derubata del suo futuro e diviene di colpo grande per forza, vittima di una violenza travestita di cultura, di appartenenza etnica, di costumi millenari, che non sa contrastare, alla quale obbedisce accettando di sacrificarsi, dimenticando per sempre quello che, forse, non è neppure arrivata a immaginare, ma che poteva essere un suo futuro diverso. È allora che pensa di non essere fatta per la libertà. Non ci si crederà, ma in Italia succede più spesso che nel resto del mondo. Secondo la ricerca intitolata “Non ho l’età: matrimoni precoci nelle baraccopoli della città di Roma”, limitata ai matrimoni avvenuti tra il 2014 e il 2016 nelle baraccopoli romane, i matrimoni con sposi minorenni di età compresa tra i 16 e i 17 anni erano il 77%, e nel 28% dei casi i contraenti erano addirittura tra i 12 e i 15 anni. Un fatto macroscopico del quale però l’opinione pubblica ha sentore solo quando accade l’irreparabile, come a Saman Abbas, giovane d’origine pakistana, a Novellara, nella Bassa Reggiana, oppostasi a un matrimonio combinato e quindi uccisa. Un crimine che appare pianificato e attuato all’interno della cerchia familiare. Un delitto annunciato, prevedibile forse dai pochi che si sono presi il tempo di vedere La sposa bambina, un film del 2014 con protagonista Nojoom, una bambina yemenita. Nojoom significa “le stelle”, ma suo padre lo cambia in Nojoud, “nascosta” e, pur amandola, la consegna alle regole non scritte della convivenza nello Yemen che comportano una totale sudditanza delle femmine rispetto ai maschi. Una ricerca elaborata dal Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, tenendo conto anche delle situazioni sommerse, conta almeno duemila casi di spose bambine ogni anno in Italia. Un dato fermo al 2007, poiché nel nostro Paese non esistono progetti specifici per contrastare i matrimoni forzati e non è quindi sollecitato un monitoraggio costante. Dalla stessa fonte apprendiamo che le spose bambine in Italia provengono soprattutto dalle comunità di India, Pakistan, Bangladesh, ma anche
Attualità
Albania e Turchia; praticano la religione musulmana e devono sottostare alla legge islamica secondo la quale una bambina raggiunge la maggiore età già a nove anni. Gli Stati più a rischio a livello globale - secondo i dati delle Nazioni Unite - sono Niger, Ciad, Bangladesh, e Guinea, dove il sessanta per cento delle donne si sposa prima dei 18 anni. Nel mondo 15 milioni di ragazze si sposano prima di aver compiuto la maggiore età, ma anche bimbi maschi sono in alcuni casi promessi a donne adulte. Nelle comunità di India e Pakistan le famiglie si mettono d’accordo con un vero e proprio contratto matrimoniale, un accordo economico grazie al quale i genitori dei futuri sposi ottengono somme di denaro, la certezza del mantenimento dei propri figli o addirittura un aiuto per ottenere documenti e permessi di soggiorno. Il matrimonio forzato è un reato e una violazione dei diritti umani, non solo in Italia ma, secondo alcune associazioni che si occupano di queste problematiche, come l’Associazione Nazionale Famiglie degli Emigranti, provare questi abusi è molto difficile, anche se si può sospettare che quando un cittadino straniero chiede il ricongiungimento con un cugino di secondo grado, quel lontano parente potrebbe essere, in realtà, il marito di una bambina o il suo promesso sposo. Troppo spesso questi fatti restano impuniti ed estranei a qualunque calcolo statistico, per quel fenomeno sociale che mantiene sacche non integrate che pur assecondando in superfice uno stile di vita “occidentale”, non intendono il matrimonio forzato come un reato penale specifico, tanto meno una violazione dei diritti umani o una forma di violenza sulle donne. I numeri portati in evidenza dall’impegno associativo che si batte per i diritti umani e fa rete promuovendo la campagna di sensibilizzazione «Sono bambina, non una sposa!», oltre alla dolorosa cronaca di fatti come quello accaduto a Saman, sembrano mostrare quanto anche in Italia siamo lontani dal garantire i diritti dell’infanzia e promuovere un sano sviluppo delle bambine e dei bambini; tantomeno ci possiamo dire capaci di un efficace contrasto alla povertà urbana. Ma dov’è il vero problema? Nel giorno della sua scomparsa, possiamo ripensare più seriamente a quanto diceva Gino Strada: «I diritti umani devono essere di tutti gli uomini, proprio di tutti! Altrimenti chiamateli privilegi».
Musicalmente
Vasco sì? Vasco no?
di Gabriele Biancardi
Il Vasco nazionale non si discute. Quando qualcuno si permette di dire che in fondo “Non è sto gran artista”, viene guardato con sospetto, lesa maestà si potrebbe dire. Ora, un concerto a Trento del Blasco, o meglio, l’idea di poter fare un evento di così grande portata, ha diviso in curva sud e curva nord i trentini. Da una parte coloro che sono già con i soldi in mano per il biglietto e dall’altra quelli che hanno già i polpastrelli infiammati a forza di scrivere sui social tutti contro di questa operazione.
Proviamo allora a fare una disamina distaccata. Pro: risonanza nazionale, migliaia di persone che arriverebbero in provincia. Alberghi pieni, ristoranti occupati all’inverosimile. Indotto per negozi e varie attività. Prestigio nel proporre “Il concerto”, quello che potrai raccontare a figli e nipoti. Poi, ovviamente, la gioia di poter esserci, poter ascoltare colui che negli ultimi quarant’anni, tiene per mano classifiche e fedeltà. Fin qui tutto bene, la provincia forte di un portafoglio che non trema è disposta a fare la parte del leone. Due milioni e mezzo per approntare l’area, che nei piani dovrebbe essere un polo per futuri eventi. 60.000 biglietti “comprati” a priori dalla Pat per un totale di 3.225.000 euro. Una mostra su Vasco per un ammontare di 100.000 euro. 300.000 euro per ospitalità per tutto il carrozzone che lavora per il concerto. Una curiosa postilla appare ad un certo punto: “le Parti si obbligano a non
rivelare il contenuto della Con-
venzione “. Questo non dovrebbe essere permesso, la trasparenza è importante. Ci sono altre voci di spese naturalmente, sono visibili dopo veloce ricerca in internet. I soldi impiegati quindi sono la prima voce per chi storce il naso. Vero che il richiamo di gente sarebbe enorme, vero anche che il pubblico da concerto, non prenota due giorni prima alberghi e ristoranti, ma preferisce il “mordi e fuggi” che di solito non lascia tanti soldi sul territorio. Lavoro nell’ambito della musica, per cui ogni evento lo vedo come una bella opportunità. Sono però abituato ad eventi organizzati da privati, società del settore, che lo fanno di mestiere. Organizzano un concerto, rischiano del proprio e se va bene, tutti contenti. La vera domanda che mi gira in testa è per quale motivo, la provincia autonoma di Trento, si sia lanciata in un rischio così importante. Siamo davvero sicuri che per il prossimo maggio la pandemia sarà un lontano ricordo? Siamo certi che saranno 120.000 le persone che compreranno il biglietto? Anzi no, 60.000 perché la metà è stata già prenotata dalla Pat. La priorità è proprio questa? Gli antichi romani su questo erano piuttosto avanti, “panem et circenses” è una frase che viene spesso usata per questo concerto. Sarebbe bellissimo se le risorse finanziarie del nostro territorio, fossero in grado di provvedere ai tanti problemi che sono sotto gli occhi di tutti, sanità, viabilità... e anche in grado di regalare, perché di questo si tratta, una serata così memorabile. Il fatto è che nessuno di noi decide. La firma è stata fatta, gli accordi presi e possiamo solo sperare che vada tutto per il meglio. Che il Covid sia un brut-
Musicalmente
to ricordo, che ci sia il tutto esaurito, che l’indotto porti sollievo a tutti gli esercizi, che l’impatto con migliaia di automobili non sia un trauma. Che non lascino un campo di battaglia nel post concerto. Che quella sera non piova. Tante le speranze. Avere grandi progetti, essere ottimisti fa sicuramente bene alle nostre anime provate da tante difficoltà. Però è anche vero che di solito noi trentini, facciamo passi che hanno la misura delle nostre gambe e questo pare essere un salto più che altro. Eppure non riesco ad essere totalmente contro questo evento. Penso alle maestranze che lavoreranno, non c’è solo il “cantante” che prende soldi. Ma tutta una filiera di persone che potranno finalmente tornare a fare il proprio mestiere. Una domanda però affiora sempre. Perché? Un consiglio provinciale che dovrebbe avere cura di tutta un territorio, infonde una gran parte di danaro in un solo, seppur enorme, evento? Probabilmente non ho una grande visione, i miei limiti non mi permettono di capire il motivo di tutto questo spiegamento di forze e denaro. Non sono nemmeno quello che “occupatevi prima di...” anche se qualche problemino in giro lo abbiamo. L’unica è stare a vedere. Una curiosità, pare che si voglia intitolare una via o addirittura un monumento al signor Vasco Rossi di Zocca di Modena. Credo che appena saputo, si sia dato una grattata epocale. Di solito strade e statue si dedicano a coloro che sono “andati avanti”, non ai viventi.
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Un cittadino che onora la comunità
di Massimo Dalledonne
L’ingegnere Romano Romani
Da qualche giorno l’ingegnere Romano Romani è stato insignito della cittadinanza onoraria del comune di Borgo Valsugana. La cerimonia si è svolta in municipio con il sindaco Enrico Galvan che ha ricordato come “la cittadinanza è estesa idealmente, anche ai membri della famiglia Romani, che hanno preceduto l’ingegner Romani e ai quali spetta il merito di aver contribuito a questa straordinaria pagina di storia per la nostra comunità”.
Romano Romani nasce l’11 novembre 1935 a Galatz in Romania, dove vive per 9 anni per poi rientrare con la famiglia in Italia e stabilirsi a Milano. Nel capoluogo lombardo, oltre ad ottenere la laurea in Ingegneria, partecipa attivamente alla vita sociale frequentando gli scout, la Federazione universitaria cattolica italiana e la San Vincenzo, che gli permettono di formarsi in profondità sugli aspetti del sociale, del volontariato e dell’aiuto al prossimo. Nel 1964 si sposa con Piera Bonicalzi con la quale avrà 4 figli: Pietro, Nicolò, Maddalena e Francesco. “Il suo contributo è stato fondamentale per la crescita sociale della nostra Comunità – si legge nella delibera - ed è strettamente legato alla storia della famiglia Romani e all’edificio di famiglia che è giusto ricordare. La vecchia casa Romani, situata nello stesso sito dell’attuale Fondazione, era stata requisita dai tedeschi e completamente distrutta con 8 quintali di tritolo il 2 maggio 1945 all’arrivo delle truppe americane”. A seguito della distruzione dell’edificio, nacque la volontà della famiglia di destinare il futuro immobile all’orfanotrofio “Sette Schmid” attivo a Borgo fin dal 1839 e ampliare gli spazi anche per destinarli all’asilo infantile. La famiglia Romani si spese tantissimo, anche con risorse
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Romano Romani
proprie, per recuperare i fondi sia pubblici che privati per poter ricostruire l’edificio e poterlo destinare a quelle finalità così importanti e di alto valore sociale. Lo stabile ricostruito venne inaugurato il 19 agosto 1955, anniversario della morte di Alcide Degasperi, e vide la partecipazione dell’Onorevole Antonio Segni Presidente del Consiglio Italiano e Monsignor Carlo de Ferrari, arcivescovo di Trento. La nuova sede dell’orfanotrofio ospitava più di 100 bambini maschi e femmine e la scuola materna aveva più di 150 iscritti; la scuola di cucito aveva più di 100 allieve e le suore residenti erano sette. Nel 1964, all’interno dell’edificio, venne istituita una sezione distaccata dell’Istituto Tecnico Tambosi che vi rimase fino al 1996. Nel 1976 vennero inoltre conclusi i lavori di ampliamento per le necessità della scuola materna. “L’ingegnere Romano Romani – ha ricordato nel suo intervento il sindaco Galvan - entra a far parte ufficialmente dell’Istituto Romani Sette Schmid alla fine del 1980, in una fase in cui varie problematiche gestionali stavano mettendo in discussione il futuro dell’opera a favore dei piccoli di Borgo. Il lavoro di rinnovamento e ricostruzione dei servizi si concentrò anche
Un cittadino che onora la comunità
su altri possibili interventi assistenziali. Con grande impegno e spirito sociale, propose al Consiglio di Amministrazione la destinazione di un piano dell’edificio alla costruzione di mini-alloggi per anziani non abbienti, ancora fisicamente e mentalmente autosufficienti e desiderosi di mantenere una propria autonomia in un contesto abitativo che garantisse loro anche lo scambio sociale. Ciò ha richiesto coraggio, tenacia e chiarezza di obiettivi. I mezzi materiali a disposizione erano davvero limitati, ma l’impegno e l’entusiasmo suoi e dei pochi volontari che allora lo affiancavano hanno sopperito validamente. Moltissimi viaggi da Milano a Borgo e ritorno, anche a tarda notte per gestire le questioni necessarie con ovvie preoccupazioni per l’impegno di tempo, risorse fisiche e mentali da investire in questa nuova sfida. Un lavoro profuso a dare sostegno, con ottimi risultati, anche ad altre iniziative benefiche del privato sociale”. Nel 1999 l’Istituto cambia forma giuridica diventando una Fondazione e si rese disponibile ad accogliere anche le richieste dei responsabili di un’altra fascia debole della popolazione: i disabili dell’ANFFAS. La Fondazione Romani Sette Schmid, che già ospitava per Statuto in comodato gratuito la Scuola equiparata dell’Infanzia, accoglieva quindi sotto il proprio tetto anche i disabili, riuscendo a stabilire con l’ANFFAS Trentino un rapporto di reciproco sostegno di natura ideale ed economica. Negli anni, la Fondazione ha mantenuto fede anche all’impegno statutario nei confronti delle fasce più giovani della popolazione. Durante l’anno scolastico, mantenendo in vita un doposcuola per alunni della scuola elementare per figli di genitori entrambi lavoratori; nel periodo estivo, con la storica “Scuola di cucito”, per bambine e ragazze in età di Scuola dell’obbligo, dando così un aiuto alle famiglie, nel problematico periodo delle vacanze estive. “Con l’Amministrazione Comunale - ha concluso il primo cittadino di Borgo - l’ingegner Romani e la Fondazione hanno mantenuto sempre rapporti corretti e improntati alla collaborazione, nell’interesse della popolazione di Borgo. Dalla fine degli anni 80 Romano Romani è stato membro di diritto prima dell’Istituto poi della Fondazione come appartenente della famiglia Romani e dalla stessa designato. Dal 2015 al 2018 ha ricoperto la carica di Presidente della Fondazione”.