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Macellazione dei bovini: valutazione dei problemi di benessere
Lo scorso novembre EFSA ha pubblicato una valutazione del benessere dei bovini al momento della macellazione basata sui più attuali studi e ricerche scientifi che. Il recente parere scientifi co fa parte di una serie di aggiornamenti in materia di tutela del benessere degli animali al macello richiesti dalla Commissione europea e fa seguito a valutazioni già pubblicate su pollame, conigli e suini. In totale sono stati individuati 40 pericoli che potrebbero verifi carsi durante la macellazione. La maggior parte di essi — 39 su 40 — è la conseguenza di una preparazione inadeguata del personale addetto o di stanchezza. Il parere propone misure per prevenire e correggere tali pericoli. Tutelare il
benessere degli animali al macello vuol dire ridurre al minimo dolore, angoscia o sofferenza degli animali d’allevamento al momento dell’ab-
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battimento. A tal fi ne, il personale dei macelli deve mettere in atto una serie di procedure. Ad esempio, deve effettuare controlli periodici per garantire che gli animali non presentino segni di coscienza o sensibilità tra la fi ne della procedura di stordimento e il decesso. Nel caso gli animali vengano macellati senza essere storditi, occorreranno controlli accurati per garantire che essi non mostrino alcun segno di coscienza o sensibilità prima di essere liberati dal sistema di immobilizzazione per essere sottoposti a tolettatura o scottatura. L’attività degli esperti scientifi ci dell’EFSA contribuisce a migliorare il benessere degli animali nei macelli in vari modi. Tanto per fare un esempio gli esperti forniscono consulenza scientifi ca sugli indici di coscienza o di sensibilità negli animali o per studi sui metodi di stordimento. L’EFSA assiste i punti di contatto nazionali negli Stati Membri con l’organizzazione di incontri dove scambiare esperienze e condividere conoscenze in merito al benessere in fase di macellazione.
Fonte: EFSA European Food Safety Authority
Nota
Photo © Felix Lukas Gürtler.
• L’abbattimento di bovini per il consumo umano (macellazione) può avvenire in un macello o in un’azienda agricola. • I processi di macellazione valutati in termini di benessere, dall’arrivo dei bovini fi no alla loro morte (compresa la macellazione senza stordimento), sono stati raggruppati in tre fasi principali: pre-stordimento (compreso l’arrivo, lo scarico dal camion, la stalla, la movimentazione e lo spostamento dei bestiame); stordimento (compreso il contenimento); e sanguinamento. • I metodi di stordimento sono stati raggruppati in due categorie: meccanici ed elettrici. • Sono state identifi cate 12 conseguenze sul benessere a cui il bestiame può essere esposto durante la macellazione: stress da caldo, stress da freddo, aff aticamento, sete prolungata, fame prolungata, movimento impedito, limitazione dei movimenti, problemi di riposo (incapacità di riposare o disagio durante il riposo), stress sociale, dolore, paura e angoscia. Vengono descritte le conseguenze sul benessere e le relative misure basate sugli animali. • In totale, sono stati identifi cati e caratterizzati 40 rischi per il benessere che potrebbero verifi carsi durante la macellazione, la maggior parte dei quali legati allo stordimento e al sanguinamento. • Il personale è stato identifi cato come l’origine di 39 pericoli, attribuiti alla mancanza di set di abilità appropriati necessari per svolgere i compiti o alla fatica. • Sono state identifi cate misure per prevenire e correggere i rischi e sono state identifi cate misure strutturali e gestionali come quelle con un ruolo cruciale nella prevenzione. • Per ogni processo sono state sviluppate tabelle dei risultati che collegano i pericoli, le conseguenze sul benessere, le misure basate sugli animali, l’origine dei pericoli e le misure preventive e correttive. Vengono proposte misure di mitigazione per ridurre al minimo le conseguenze sul benessere.
EFSA e benessere animale: tappe più recenti
• 2017 – Gli esperti dell’EFSA esaminano questioni relative alla macellazione di animali d’allevamento gravidi nell’Unione Europea. Il parere scientifi co (riguardante bovine da latte, bovini da carne, suini, cavalli, pecore e capre) fornisce nuove prospettive sul numero di animali gravidi macellati nell’UE, sui motivi per cui vengono macellati e sulla questione se i feti animali possano o meno provare dolore, angoscia o soff erenza. • 2018 – L’EFSA pubblica una guida dal titolo Guidance on criteria for assessing applications for new or modifi ed stunning methods. • 2019 – L’EFSA pubblica due pareri scientifi ci sul benessere del pollame al macello. L’esaustiva disamina tocca tutto il processo della macellazione, dall’arrivo e lo scarico dei volatili, fi no allo stordimento, all’abbattimento e al dissanguamento. Nel documento vengono individuati una serie di pericoli che danno adito a questioni di benessere come dolore, sete, fame o limitazioni dei movimenti, e vi si propongono, ove possibile, misure di prevenzione e correzione. • Gennaio 2020 – L’EFSA pubblica tre pareri relativi al benessere dei conigli. Il primo confronta il benessere dei conigli allevati rispetto ai diversi sistemi di produzione nell’UE, e conclude che il benessere dei conigli adulti tenuti in gabbie convenzionali è peggiore di quello dei conigli alloggiati con altri sistemi. Gli altri due pareri si occupano delle relative questioni di benessere: metodi di stordimento utilizzati nel processo di macellazione; e abbattimento per motivi diversi dalla produzione di carne (ad esempio per il controllo di malattie). • Giugno 2020 – L’EFSA pubblica un parere scientifi co sul benessere del suini al macello. Nel documento vengono individuati una serie di pericoli che danno adito a questioni di benessere come stress termico, sete, fame prolungata e problemi respiratori, e vi si propongono, ove possibile, misure di prevenzione e correzione. Il gruppo di esperti scientifi ci conclude che la maggior parte dei rischi legati al benessere dei suini al momento della macellazione è dovuta a competenze inadeguate del personale e a strutture mal progettate e mal costruite.
>> Link: www.efsa.europa.eu
Una bottega storica di Nizza Monferrato, Asti
Vittorio e Loredana: Bue Grasso, Fassona e Salsiccia di Nizza
di Massimiliano Rella
Il nostro giro tra le macellerie del Piemonte fa tappa, di nuovo, a Nizza Monferrato (AT), paese al centro di una terra di nobili vini: il Nizza DOCG e la Barbera d’Asti DOCG. Oltre al nettare di bacco, quest’importante comune del Monferrato vanta macellerie storiche e di qualità, come la Macelleria Vittorio e Loredana, dal nome dei due proprietari, marito e moglie, una coppia di macellai con lunga esperienza. Lui, VITTORIO GIOVINE, 68 anni, cominciò a far pratica da adolescente; la signora LOREDANA COVISOLO proveniva invece dal mondo della ristorazione. Nel ‘77, ormai 43 anni fa, decisero di rilevare insieme una macelleria storica nel centro di Nizza Monferrato, un negozio vecchio di 200 anni, in cui oggi sopra al bel bancone carico di ghiottonerie, dalla Fassona piemontese alla carne di Bue Grasso,
Vittorio Giovine e Loredana Covisolo, proprietari della Macelleria Vittorio e Loredana a Nizza Monferrato (AT).
Salsiccia di Nizza Monferrato: da mangiare cruda, è fatta con carne magra di scottona e castrato aromatizzata con sale, pepe, noce moscata, Parmigiano Reggiano e vino bianco Chardonnay.
Tartare di Fassona.
svettano stendardi e gualdrappe di tanti premi conquistati alle fi ere bovine, da Carrù a Moncalvo e da qui fi no a Nizza.
La macelleria lavora tagli di carni pregiate e prodotti gourmet: Fassona Piemontese, Bue Grasso, Scottona, castrato di animali di piccoli allevamenti situati tra Asti e Cuneo — sono 6 i fornitori — alimentati con fi eno, cereali, pastone, ecc…, e macellati all’età di 18-22 mesi il castrato e la scottona, a quella di 5-7 anni il bue grasso, dopo 2-3 anni di pascolo e d’ingrasso.
Sono invece di loro produzione i salumi come la Salsiccia di Nizza, una bontà da mangiare cruda, fatta con carne magra di scottona e castrato aromatizzata con un pizzico di sale, pepe, noce moscata, Parmigiano Reggiano e vino bianco Chardonnay. Fanno artigianalmente anche il cacciatorino di bue (80% di bue grasso, 20% pancetta di maiale), il salame cotto, la salamella di scottona, ecc…
Il Bue Grasso insieme alla Fassona è il simbolo della razza bovina Piemontese. È un animale maestoso e imponente cui sono dedicate ogni anno due fi ere storiche, la Fiera del Bue Grasso a Carrù (CN) e la Fiera Bue Grasso a Moncalvo (AT).
Noto in tutto il mondo per la qualità delle sue carni, questo bovino adulto dal manto bianco viene castrato entro gli otto mesi d’età (lasciando integra la sacca scrotale) per favorire l’aumento di peso, che può superare anche di molto la tonnellata. Dopo quattro anni di vita
l’animale assume la denominazione
di bue. Alimentato a base di prodotti naturali a secco (mais, fi eno, soia, fave, orzo, etc) — dieta integrabile con uova e altri prodotti — il Bue Grasso deve aumentare di peso lentamente e in modo equilibrato, per valorizzare anche l’estetica del suo portamento e la bellezza dell’animale. Ma la cosa più importante è la qualità della sua carne pigmentata di grasso, di gusto intenso e grande tenerezza.
A Carrù, prima della fi era, ancor prima dell’alba, nelle affollate taverne e osterie del paese— già alle 5:00 del mattino — c’è la tradizione di mangiare il Gran Bollito misto, un mix di carni pregiate composto di sette tagli di polpa: tenerone (da collo o coppa), scaramella (pancia e costato), muscolo di coscia, muscoletto (stinco), spalla, fi occo di punta e cappello del prete (sottopaletta).
A questi si aggiungono sette ammennicoli: lingua, testina con musetto, coda, zampino, gallina, cotechino e rollata (o tasca ripiena). Il tutto da condire con sette bagnetti o salse: verde rustico, verde ricco, rosso, cren, mostarda, cugnà, salsa al miele. I contorni, invece, sono quattro: le patate lesse, gli spinaci al burro, i funghi trifolati, le cipolle in agrodolce.
Massimiliano Rella
Vittorio e Loredana Macelleria Storica
Via Carlo Alberto 80 14049 Nizza Monferrato (AT) Telefono: 0141 721192 E-mail: info@vittorioeloredana.com Web: www.vittorioeloredana.com
Nota
Photo © Massimiliano Rella.
Pozzi: comunicare l’identità valtellinese attraverso la bresaola
di Riccardo Lagorio
La bresaola è uno dei prodotti simbolo della Valtellina. Le prime testimonianze letterarie della sua produzione risalgono al XV secolo, ma la sua origine è da ritenersi senz’altro antecedente (photo © Marco Introini – stock.adobe.com).
Nel buio di inizio dicembre, a quest’ora del mattino, gli unici incontri per le strade di Sondalo sono l’aria vivace che scende dalla Val di Rezzalo e il respiro lontano dell’Adda, non coperto da mormorii di uomini e cose. L’oscurità perforata dai lampioni conduce verso il bagliore di una sola vetrina, una sola bottega. Una sbirciatina e, dentro, le sagome dei primi clienti e dei banconieri. Da lontano pare che si muovano con lentezza, più da vicino i gesti si mostrano rapidi e precisi. Li coordinano EMILIO e CLEMENTE POZZI,†questo il figlio diciannovenne del primo. Già abile e preparato. Ma nella Macelleria Pozzi l’intera famiglia è coinvolta: c’è anche PIA, la matrona, SARA e GABRIELLA, le sorelle di Clemente, e PIERO, suo cugino.
Per i Pozzi la bresaola è un modo di comunicare la propria identità
valtellinese e il giovane Clemente ne è già un missionario. «La stagionatura è approssimativamente di 20 giorni. Dipende dalla dimensione della bresaola. In ogni caso deve essere graduale e mai troppo veloce per evitare che la parte esterna diventi secca. Per questo vanno verifi cate quotidianamente la temperatura e l’umidità alle quali le bresaole sono sottoposte».
Il nostro viaggio dedicato alla scoperta della bresaola prodotta nelle macellerie della Valtellina, alle differenze tra luogo e luogo,
tra bottega e bottega, sta per iniziare e continuerà nei prossimi due numeri di questa rivista, con un compendio fi nale sul volume n. 2/2021 di PREMIATA SALUMERIA
ITALIANA.
Clemente Pozzi.
Bresaole e slinzeghe della Macelleria Pozzi sono prive di insacco per esaltare l’artigianalità del prodotto fi nale e non vengono neppure lavate, rimuovendo le muffe macroscopiche. La superfi cie esterna presenta spesso foglie di alloro e frammenti di spezie, simbolo di autenticità
Qui a Sondalo la carne riservata alla produzione di bresaola proviene da allevamenti italiani o spagnoli. Italiani talvolta di casa, poiché uno dei cugini di Clemente Pozzi alleva bovini e cavalli da carne. «La bresaola propriamente detta è la parte centrale della punta d’anca. Le porzioni laterali ottenute dalla rifi latura, cioè la fesetta, e altre sezioni di muscolo produciamo la slinzega, più piccola. Dalla carne di cavallo otteniamo solo queste ultime».
Non esiste grande differenza tra bresaola e slinzega, almeno apparentemente, se non la dimensione e la forma meno lineare e armonica della slinzega. Anche la concia è del tutto uguale per entrambe:
sale, pepe, cannella, aglio, Marsala
e foglie di alloro. La sosta nella salmistratura è identica, cosicché, in ragione delle più ridotte dimensioni delle slinzeghe, il loro gusto sarà più intenso. La stagionatura delle slinzeghe varia tra 10 e 12 giorni, dai 15 ai 20 quella delle bresaole. «Sino allo scorso anno la stagionatura avveniva nelle cantine della macelleria. Abbiamo dovuto trasferirci e, per mantenere uno stretto rapporto con l’aria che crea la bontà della bresaola, esiste un apposito impianto che alimenta le celle di stagionatura» afferma sicuro Clemente Pozzi.
Certo: bresaola e slinzega mostrano differenze non da poco. «Esiste una differenza marcata nel momento della vendita: chi acquista l’affettato preferisce la fetta rotonda e regolare. Pertanto acquisterà la bresaola. Chi invece apprezza tagliarsi da sé il salume preferisce comprare la slinzega».
Con tutta evidenza i pezzi sono irregolari, anche quelli… più uniformi. Da quanto si intuisce solo chi possiede un palato molto raffi nato riesce a comprendere la differenza di gusto, leggermente più intenso nella slinzega.
Uno degli aspetti centrali nella preparazione dei due salumi è senz’altro il calo del peso iniziale, che è superiore al 30%. In verità le differenze di lavorazione non sono indifferenti. «Per realizzare la slinzega serve più lavoro di manodopera esperta. Infatti le rifi lature devono essere eseguite con più attenzione. Di contro, nella bresaola si devono togliere solo le nervature.
Da noi la bresaola non presenta marezzature e la differenza fondamentale con le altre tipologie presenti sul mercato è proprio l’assenza, pur sottile, di strisce di grasso. La bresaola deve avere una fetta di colore rosso granata».
I due salumi sono privi di insacco per esaltare l’artigianalità del prodotto fi nale e non vengono neppure lavati, rimuovendo le muffe macroscopiche.
La superfi cie esterna presenta spesso foglie di alloro e frammenti di altre spezie. Immediato simbolo di autenticità.
Riccardo Lagorio
Macelleria Pozzi Emilio
Via Giuseppe Garibaldi 2 23035 Sondalo (SO) Telefono: 338 3753010 Web: pozzi-emilio.business.site
Valter Bottega: dare valore a tutta la carcassa
di Riccardo Lagorio
Il macellaio Valter Bottega. C erto, il luogo dove è inserito l’esercizio di VALTER BOTTEGA, un comune supermercato, potrebbe sollevare qualche perplessità ai puristi. Ma quando si dimenticano le confezioni di detersivo per lavatrice o i vasetti di tonno arrivando al cospetto di questo angolo paradisiaco (per i carnivori), ci si rende conto che giungere alle porte di Belluno è stata una buona idea. Lo si intuisce dall’incessante viavai di persone che si avvicinano al bancone ricco di tagli, lo si prova assaggiando le carni e i salumi preparati sul retro. Del resto, buon sangue non mente:
famiglia di 12 fratelli, 4 dei quali svolgono l’attività di macellaio,
pratica ereditata dal nonno.
La maestria di Bottega poggia su tre pilastri: • il primo, una vita intera a scegliere tra i piccoli massari locali, nella zona dell’Alpago; • appartenere alla vecchia scuola dei macellai, quella che sacrifi ca gli animali e riesce a dare a ciascuna parte di essi un valore economico e sociale; • infi ne, dedicarsi completamente alla macelleria e non assecondare certe tendenze di tuttologia che molti praticano. «Faccio il macellaio, non acquisto cosce e fi letti già pronti, che è una pratica da commercianti».
Scontro tra classi, quella dell’artigiano puro e del venditore? Può essere un’ulteriore chiave di lettura di questa macelleria ricca di sorprese.
Bottega non è dogmatico sull’età degli animali da abbattere. «Non esi-
ste un’età ideale per la macellazione. Dipende da come sono stati allevati gli animali e quali sono i criteri di allevamento dell’azienda agricola
che li fa crescere». Questo è vero soprattutto per i vitelli, che proven-
gono per lo più da Pieve d’Alpago, incroci di animali da carne e razza Friulana alimentati esclusivamente
con latte materno. «Queste carni non rilasciano umidità al momento di prepararle in cucina. I clienti lo sanno bene e per questo le apprezzano», commenta.
Un altro esempio sta nelle condizioni di presentazione della carne frollata: l’assenza di umidità fa sì che la carne non perda la propria brillantezza e il proprio colore. «I criteri
di allevamento sono fondamentali
per ottenere una buona carne» afferma mostrando un costato di manza di 48 mesi che ha partorito una sola volta e che ha subito una frollatura di tre settimane.
«L’esempio più evidente però sta nelle mezzene di Cinta senese, allevate a Budoia, in Friuli. I suini vengono macellati tra i 26 e i 35 mesi. La condizione indifferibile è la presenza di una spessa coltre di lardo oleoso, che è sintomo di buona alimentazione e perfetta modalità di allevamento. I clienti
sono entusiasti e alcuni importanti ristoranti locali, come il San Lorenzo e il Dolada, si contendono carne fresca e salumi che hanno queste
caratteristiche». Nel banco selle di Cinta senese affumicate e con un goloso contorno di grasso davvero scioglievole. Ne esce un salume a doppio uso: questa parte bianchissima e profumatissima da usare come base per sughi e affettare sottile la parte magra, oppure affettare congiuntamente le due ottenendo fette bicolori per antipasti o merende.
I salumi sono infatti un altro
punto di forza di Bottega. Come la pendola, sottili strisce di fesa o polpa suina lasciate macerare 3 giorni in vino e spezie, poi affumicata con legni di ginepro e rosmarino. Niente conservanti né coloranti. Bandito persino il salnitro, come riprova che non è una necessità ma un paracadute. La pendola è un gu-
stoso spuntino tutto l’anno, specie se tagliata a tocchetti e consumata
col pane alle noci.
Il pastin è l’hamburger ante
litteram del Bellunese. «Si prepara macinando carne di anteriore bovino e aggiungendo un condimento di vino, sale e spezie. Se ne fanno piccoli dischi irregolari che vengono cotti alla griglia, eventualmente conditi con aceto e consumati con verdure».
Per un ristretto numero di appassionati si possono trovare anche salumi equini e ovini. L’Alpago è infatti la patria dell’agnello che porta il nome della località.
«È un agnello di piccola taglia, dalla carne rossa perché si alimenta di latte materno: la macellazione avviene quando raggiunge i 13 kg, vale a dire intorno ai 3 mesi di età. Per i salumi vengono utilizzate le carni di pecore a fi ne carriera o di castrati».
Anche in questo caso la capacità
di Valter Bottega è quella di poter
dare un valore a tutta la carcassa. «Bisogna riconoscere che la parte più amata sono le bricioline. Come preparazione, mi limito a proporre gli arrosticini, che amano soprattutto i giovani».
E ancora una volta sono i ristoranti più quotati, San Lorenzo e Dolada, che riescono a proporre le parti meno richieste, come spalle e pance. Si tratta pur sempre di importanti biglietti da visita…
Riccardo Lagorio
Bottega Valter
Viale Alpago 74 32015 Puos d’Alpago (BL) Telefono: 348 4431588
La Fiorentina entra nei PAT, i Prodotti Agroalimentari Tradizionali
La bistecca alla fi orentina si ottiene dal taglio della lombata del vitellone o della scottona ed è caratterizzata dalla presenza nel mezzo dell’osso a “T”, col fi letto da una parte e il controfi letto dall’altra. Questo taglio, che è un vero capolavoro, è recentemente stato iscritto nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT), comprendente specialità particolarmente legate a un territorio e alla sua storia. Per i metodi di realizzazione, conservazione, stagionatura, creazione che si sono consolidate e protratte nel tempo, secondo le regole tradizionali e per un periodo non inferiore a 25 anni. Proprio per questo, sottolinea Coldiretti, è necessario che l’origine della carne sia locale. La bistecca alla fi orentina ha una lunga tradizione e a fi ne ‘800 venne presentata come piatto toscano per Firenze capitale d’Italia. Fu PELLEGRINO ARTUSI, nel suo “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, a spiegare come doveva essere cucinata la vera bistecca fi orentina: “Mettetela in gratella a fuoco ardente di carbone, così naturale come viene dalla bestia o tutt’al più lavandola e asciugandola; rivoltatela più volte, conditela con sale e pepe quando è cotta, e mandatela in tavola con un pezzetto di burro sopra. Non deve essere troppo cotta perché il suo bello è che, tagliandola, getti abbondante sugo nel piatto. Se la salate prima di cuocere, il fuoco la risecchisce, e se la condite avanti con olio o altro, come molti usano, saprà di moccolaia e sarà nauseante”. «Far parte dell’elenco dei PAT vuol dire contribuire alla crescita di una collettività e dell’economia di un territorio» ha sottolineato la vicepresidente e assessora all’agroalimentare Stefania Saccardi. «Ma si tratta anche di ottenere un riconoscimento della nostra tradizione che è espressione del patrimonio culturale» (fonti: Coldiretti, ruminantia.it; photo © Valerio Pardi).
Cuciniamo i saltimbocca
Un balzo gustoso
di Giorgia Fieni
«S fi do chiunque (a parte i vegetariani) a rimanere impassibile davanti ad un piatto di saltimbocca alla romana: l’aroma della salvia, la vista del prosciutto croccante, il sughetto che promette meraviglie…» Ha ragione SONIA PERONACI: questa ricetta ingolosisce tutti, adulti e bambini, chef stellati e cuochi alle prime armi. Basta coprire fettine di fesa ben battute con prosciutto crudo e salvia, arrotolarle, fi ssarle con uno stecchino e cuocerle nel burro, deglassando poi il fondo con vino bianco. Pochi minuti di cottura (si possono anche preparare in anticipo e rosolarle all’ultimo)… Et voilà… il secondo è servito ed è perfetto soprattutto dopo un primo piatto impegnativo, perché sono bocconcini piccoli e golosi, ovvero una vera esplosione di gusto che si può anche mangiare con le mani!
Però mi sento di dissentire da Sonia sul tema veg: esistono infatti versioni di saltimbocca prive di carne ma altrettanto golose. Sostituendo il vitello col seitan o col muscolo di grano, il prosciutto con affettato vegetale e il burro tradizionale con quello di soia, per esempio. Ma anche usando il pesce (e, ovviamente, un ripieno di verdure): scorfano, sogliola, baccalà, orata, calamari, pesce spada, rana pescatrice, coregone, triglia, capesante.
Se invece possiamo concederci la fetta di crudo all’interno per l’esterno possiamo usare i funghi, i fi chi o addirittura i bagels come contenitore.
Chi invece ama i saltimbocca solo con la carne può comunque variarli scegliendo cavallo (con lo speck), agnello, fegato (con lardo), maiale (con Pata Negra, sfumati nello sherry, oppure con basilico — al posto della salvia — e aggiunti di burrata, oppure alla napoletana — con mozzarella, salsiccia e uova), tacchino (con speck e fi chi sfumati al Porto oppure con spinaci lessati e sottiletta), pollo (con zucca e alloro), vitello (con pancetta, servito con castagne al timo o piselli alla pancetta), capocollo (sono i Saltimbocca alla pugliese, con pancetta e caciocavallo).
Altre sostituzioni possibili sono: anziché prosciutto usiamo la pancetta, la coppa, il bacon o il prosciutto cotto (io direi che per farli più “alla romana” possibile, anche del buon guanciale potrebbe essere perfetto, perché, sciogliendo il suo grasso naturale in cottura, renderebbe la carne molto morbida); come farcitura, mettiamo pure mozzarella e salsa di pomodoro (sono i Saltimbocca alla sorrentina) e credo sia l’unica variante possibile altrimenti diventano comuni involtini; per sfumare, anziché vino bianco scegliete birra o brandy o succo di agrumi o latte di cocco.
Le aggiunte sono invece infi nite e passabili solo della vostra fantasia; vi cito solamente: Camembert, pomodori secchi sottolio, capperi, fi ori di zucca, mele, groviera, cipolle, carciofi , fontina e curry. Non ponetevi comunque alcun limite: tutto ciò che secondo voi può accoppiarsi bene con prosciutto e salvia è ben accetto!
Infi ne, un consiglio per una presentazione originale: infi late i saltimbocca negli spaghetti fritti, aggiungendo così anche una nota croccante. Il balzo fra le fauci rimane sempre lo stesso, ma i vostri commensali ne rimarranno ancora più stupiti. Carne di vitello, prosciutto crudo dolce, salvia e burro: ecco cosa serve per fare i saltimbocca alla romana, un piatto tipico della cucina regionale del Lazio diffuso largamente in tutta la Penisola. Scegliete un prosciutto dolce, non eccessivamente saporito, oppure provate la variante con lo speck, il lardo, o capocollo e caciocavallo, per un saltimbocca pugliese
Pellegrino Artusi, nella sua “Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” (1891), racconta di averli mangiati a Roma, alla trattoria Le Venete, e perciò di poterli “descriverli con esattezza. Sono bracioline di vitella di latte, condite leggermente con sale e pepe, sopra ognuna delle quali si pone mezza foglia di salvia (una intera sarebbe di troppo) e sulla salvia una fettina di prosciutto grasso e magro”
Preparazione dei saltimbocca di vitello con prosciutto crudo e salvia (photo © genny – stock.adobe.com).
Scopriamo i benefi ci delle carni avicole sulla nostra salute
Approvate dai nutrizionisti: tutti possono mangiare le carni avicole
Perché le carni avicole costituiscono una grande risorsa per il nostro organismo? Lo abbiamo chiesto a tre esponenti del mondo della nutrizione, che ci spiegano perché il consumo di carni bianche è determinante per il nostro benessere.
Proteine animali e vegetali
Per il PROF. ANDREA POLI, presidente dell’associazione Nutrition Foundation of Italy, «le proteine di origine animale sono in genere molto più complete dal punto di vista del profi lo amminoacidico» mentre «le proteine vegetali sono meno complete e non contengono tutti gli amminoacidi essenziali, quelli che il nostro organismo non è in grado di produrre». Per far “rifornimento” di questi importanti elementi, il prof. Poli consiglia di consumare carni avicole, le cui proteine «vengono smontate più facilmente dai nostri enzimi digestivi, rendendo più utilizzabili gli amminoacidi che li contengono».
Secondo dati Ipsos 2018, pollo e tacchino sono le carni preferite dal 54% degli Italiani, che le scelgono come principale fonte di proteine nella propria dieta. Le carni bianche vantano pochi grassi, un ragionevole apporto calorico ed elevata digeribilità e biodisponibilità proteica
Esiste un quantitativo consigliato?
Possiamo consumare le carni avicole fi no a quattro volte a settimana, in quanto apportano pochissime calorie e, come conferma NICOLA SORRENTINO, nutrizionista specialista in Scienza dell’Alimentazione e Dietetica, «sono molto digeribili e adatte a tutti: bambini e adulti, anziani, donne incinte, sportivi e per chi è a dieta».
Prima pappa col pollo...
La carne bianca fornisce alcuni nutrienti e micronutrienti di solito presenti in minime quantità nei prodotti di origine vegetale come vitamina B12, ferro, zinco, selenio e niacina. Inoltre, colma il defi cit di ferro e proteine del latte materno, dopo il sesto mese di vita, favorendo lo sviluppo delle capacità neurologiche e psicologiche.
Il dott. GIUSEPPE MORINO, responsabile UO Educazione alimentare dell’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma, conferma che «tra le carni è corretto prediligere quelle bianche, ottima fonte di proteine, con pochi grassi e di buona qualità, una elevata digeribilità e un ragionevole apporto calorico, da poter consumare fi n dalle prime pappe».
...e dieta over 65
L’alimentazione per i soggetti di età superiore ai 65 anni ha delle caratteristiche particolari perché non riguarda solo la percentuale delle proteine presenti nella dieta ma anche la loro digeribilità e biodisponibilità. Proprio per questo il rapporto tra pollo e salute è ancora più stretto: tra i vari tipi di carne, quella bianca corrisponde a questi requisiti perché permette facilità di masticazione e ottimo assorbimento delle sue proteine.
Fonte: UNAItalia Unione Nazionale Filiere Agroalimentari delle Carni e delle Uova www.unaitalia.com
Nota
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L’antica arte di salmistrare e non soltanto la lingua
Si usano sale e salnitro. In origine nacque per il pesce, poi fu riservata alle carni. Oggi caratterizza soprattutto la preparazione della lingua di bovino, un “pezzo di scarto” diventato prelibatezza sempre presente nel classico bollito misto nonché Prodotto Agroalimentare Tradizionale. Tipico del Veneto (e anche di Lombardia, Emilia, Friuli e Trentino)
di Nunzia Manicardi
La salmistratura è un metodo antichissimo di conservazione delle carni che oggi si lega nella memoria collettiva soprattutto alla ricetta della “lingua salmistrata” (lingua di bovino). In origine, però, la salmistratura nacque per permettere la conservazione del pesce. Sarebbe infatti stato il pescatore fi ammingo WILHELM BRÖKEL ad averla inventata nel XIV secolo e questo non deve destare meraviglia, essendo sempre stati gli uomini del Nord Europa i maestri nell’arte della conservazione dei prodotti ittici. Dal pesce, gradualmente, si è estesa poi alla carne, fi no ad essere il termine “salmistrato” una defi nizione
Lingua salmistrata (photo © spinetta – stock.adobe.com).
applicata soltanto a quest’ultima e in particolare, soprattutto in Italia, alla lingua. Per il pesce conservato in questo modo si parla adesso, invece, semplicemente di “pesce sotto sale”. La defi nizione ricorda infatti chiaramente che per salmistrare occorre innanzitutto il sale, che sottrae umidità al prodotto prolungandone la conservazione.
Un tempo si usava soltanto sale marino e poi anche sale da cucina. La differenza è la seguente: il sale marino viene prodotto attraverso l’evaporazione di acque salate (di mari o laghi salati) e richiede di solito poca lavorazione, mentre il sale da cucina richiede una lavorazione più complessa poiché bisogna eliminare i minerali ed eventualmente aggiungere un additivo per prevenire l’aggregazione.
Per salmistrare la carne occorre un tipo particolare di sale, composto solitamente da sale da
cucina e nitrito (usato anch’esso per aumentare la conservabilità), a cui a volte si aggiunge il salnitro. Il nome “salmistrare” deriva infatti dal veneto salmistro, “salnitro”, forse incrocio di salnitro con salmastro (Dizionario Treccani).
Il salnitro è il nitrato di potassio, ovvero il sale di potassio dell’acido nitrico. È un additivo alimentare, usato principalmente nella conservazione di salumi e carni salate,
identifi cato dalla sigla E 252.
Durante la salmistratura, l’emoglobina si combina col nitrito diventando resistente all’azione del calore e dell’ossigeno. Poiché l’emoglobina è resistente, la carne riesce a conservare il proprio colore rosso vivo, come se fosse fresca, e di conseguenza la propria conservabilità. Si impoverisce però il contenuto nutritivo di proteine e sali minerali.
La salmistratura può essere a
secco o in salamoia. A secco consiste nello sfregare la carne con la miscela di sale e nitrito. È un procedimento semplicissimo, che dopo circa un mese o due fornisce una carne abbastanza secca e che può essere conservata a lungo. In salamoia la carne viene invece bagnata con una Il teteun è un salume valdostano riconosciuto come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (PAT) italiano prodotto con mammelle bovine adulte salmistrate. Il nome riprende la voce del “patois” valdostano per mammella (fonte: www.regione.vda.it; photo © SteVephoto di Venturini Stefano).
soluzione di acqua e miscela di sale per salmistrare. Dopo un mese, e anche meno, la carne è già pronta per il consumo ma dura meno a lungo rispetto a quella trattata a secco.
I tempi moderni, con la velocità richiesta dal mercato, hanno fatto sì che si sia arrivati anche alla salmistratura rapida, in cui la soluzione della salamoia viene iniettata direttamente nei muscoli e nelle vene della carne accelerando notevolmente i tempi che si riducono a sole due o tre settimane.
La preparazione di carne salmistrata probabilmente più famosa in Italia è, come detto, la lingua salmistrata. Di bovino (manzo, vitello, bue) o di maiale, fa parte di quel “quinto quarto” che comprende i tagli di scarto coi quali tuttavia la creatività culinaria del nostro Paese ha saputo dar vita a piatti gustosissimi e oggi perfi no ricercati.
La lingua salmistrata, non a caso, fa parte di un complesso gastronomico estremamente importate: il Bollito Misto, grande classico della nostra cucina, tipico soprattutto di Piemonte ed Emilia (Modena, in particolare). La lingua viene servita con la tipica salsa verde a base di olio e prezzemolo. La preparazione è molto lunga, almeno 15-18 ore in salamoia, ma per fortuna oggi la lingua è venduta anche confezionata sottovuoto. Va sempre cotta, ma i tempi si accorciano moltissimo. Dopo aver aperto la busta, la lingua deve essere lavata con cura e messa a bollire senza sale e a fuoco moderato. Dopo circa 2 ore dovrebbe essere pronta. Si verifi ca la cottura con l’aiuto di uno stecchino. Una volta cotta, va spellata ancora bollente, facendo attenzione a non scottarsi. Non si può fare diversamente, perché una volta diventata fredda diventa estremamente diffi cile riuscire in quest’operazione.
La si taglia poi a fettine sottili e la si serve con la salsa verde, col purè di patate o con la pearà veronese, altra salsa tradizionale con brodo di carne, pane raffermo, midollo di bue e tanto pepe (pearà signifi ca infatti “pepata”).
Nunzia Manicardi
Doppio appuntamento, digitale e in presenza
MARCA by BolognaFiere 2021
L’ edizione 2020 di MarcabyBolognaFiere aveva segnato un importante punto di svolta grazie ai risultati raggiunti in termini di partecipazione degli operatori, frutto anche del lavoro di promozione svolto in collaborazione con ICE – Agenzia, che ogni anno contribuisce ad invitare category manager e buyer delle principali catene internazionali. Per l’edizione 2021, che si è trovata a fronteggiare una situazione radicalmente diversa con numerose restrizioni imposte agli spostamenti, BolognaFiere ha riposizionato l’evento fi eristico in presenza dal tradizionale mese di gennaio alle giornate del 24 e 25 marzo. Ma non solo! È infatti stata ideata anche una Digital Session di MarcabyBolognaFiere, un evento on-line che si svolgerà nei giorni immediatamente precedenti ovvero dal 15 al 25 marzo. L’obiettivo? Rispondere alla necessità di mantenere i rapporti tra buyer ed espositori ed accrescere le opportunità di stabilire nuovi contatti; nei giorni precedenti sarà infatti possibile incontrare i buyer sulla piattaforma video e stabilire dei rapporti che potranno essere successivamente consolidati nel corso della fi era con una visita allo stand. L’agenda digitale degli incontri b2b tra espositori e buyer è ospitata dalla piattaforma B2Match, la stessa utilizzata con successo negli ultimi anni per gli incontri dell’International Buyer Programme.
Come funzionerà la Digital Session?
I partecipanti (espositori e buyer) potranno richiedere appuntamenti 1:1 a seconda dei loro interessi specifi ci (tipo di collaborazione, Paese, prodotto) utilizzando un sistema di matchmaking con fi ltri avanzati. Una volta concordati, gli incontri si svolgeranno on-line attraverso la piattaforma video integrata al sistema (per informazioni e iscrizione: marca@bolognafi ere.it).
I prodotti MDD al centro della fi era
MarcabyBolognaFiere è l’evento leader per il settore della MDD in cui la GDO è protagonista e rappresenta, da oltre 17 anni, il momento di confronto per l’analisi dei trend di mercato e la pianifi cazione delle strategie business. A poche settimane dalla data di svolgimento della manifestazione — organizzata da BolognaFiere in collaborazione con ADM, Associazione Distribuzione Moderna — c’è fi ducia da parte delle imprese nella manifestazione e nella la volontà di rilancio dell’economia nel post pandemia. «Rilevare un’adesione così signifi cativa da parte delle imprese — ha dichiarato ANTONIO BRUZZONE, direttore generale di BolognaFiere — dopo un anno che ci ha costretti al confronto con l’emergenza causata dalla pandemia è, per la nostra società, motivo di orgoglio. In questi mesi la struttura, in stretta collaborazione con il partner ADM e il comitato tecnico scientifi co, ha lavorato per arricchire ulteriormente la fi era con nuove iniziative che renderanno la partecipazione a MarcabyBolognaFiere ancora più strategica e performante».
Il positivo trend nelle adesioni a MarcabyBolognaFiere 2021 è anche lo specchio del dinamismo dei prodotti MDD che, nel nostro Paese, hanno ancora ampie opportunità di incrementare le rispettive quote di mercato: in Francia questa categoria di prodotti vale il 33,9% del food, nei Paesi Bassi il 30% (con andamento costante), in Italia il 22,3%
L’edizione di MarcabyBolognaFiere 2020 (photo © Pasquale Minopoli, fotominopoli@gmail.com).
(+2%); l’unico Paese in Europa in controtendenza è il Regno Unito che registra un –2.8% ma a fronte di una quota di penetrazione del mercato del 53%. Negli USA, infi ne, i prodotti MDD rappresentano il 18,7% (+0,5%) (fonte: IRI-Consumer Spending Tracking, maggio 2020).
Lay-out rinnovato e obiettivo sicurezza
Gli operatori professionali in visita all’evento potranno muoversi all’interno di un lay-out ulteriormente fi nalizzato rispetto alle precedenti edizioni che si svilupperà in sette grandi padiglioni espositivi. Infatti, in aggiunta ai tradizionali 25, 26, 28 e 29, MarcabyBolognaFiere 2021
occuperà anche i padiglioni 31, 32 e il nuovissimo 37 del quartiere
fi eristico di Bologna, assicurando le migliori condizioni per uno svolgimento dell’evento in piena sicurezza, grazie anche a percorsi fi nalizzati alla razionalizzazione dei fl ussi di visita e ai protocolli per la sicurezza che saranno applicati.
MarcabyBolognaFiere 2021 dedicherà al settore food i padiglioni 25, 26, 28, 29 e 37 e al settore Non food i padiglioni 31 e 32. Due gli ingressi a disposizione di espositori e operatori: l’ingresso Nord e l’ingresso Ovest Costituzione; il primo collegato direttamente alla rete autostradale e al sistema di parcheggi (più funzionale per quanti utilizzeranno l’auto), il secondo collegato alla stazione ferroviaria, al centro cittadino e all’aeroporto internazionale G. Marconi con mezzi pubblici (funzionale a quanti privilegeranno la rete ferroviaria o il trasferimento in aereo).
Focus dedicati ai trend emergenti: Fresco, Wine e Free From in primo piano
Da sempre MarcabyBolognaFiere si caratterizza per mettere in evidenza i trend emergenti, dedicandogli spazi e occasioni specifi che di approfondimento. Nel 2021 la manifestazione proporrà, accanto alla seconda edizione di Marca Fresh — lo spazio riservato al settore del fresco, ortofrutta in primis (ma destinato a coinvolgere tutti i settori del fresco), che promuove le relazioni tra produzione e distribuzione mettendo in evidenza tre obiettivi primari in termini di strategie per il business: Innovation, Experience, Networking — la nuova Marca Wine Area e l’iniziativa Free From Hub.
Sviluppata dal know-how di BolognaFiere e BOS, Free From Hub si ripropone nell’edizione 2021 con l’obiettivo di rappresentare il mercato free from italiano e internazionale.
Il mercato evidenzia che viene posta sempre più attenzione agli healthy food nella loro accezione
più ampia: cibi sani, che fanno bene all’organismo sia per le proprietà benefi che che sono state aggiunte, nel caso dei cibi rich-in, o tolte nel caso dei prodotti free from.
I consumatori sono sempre
più attenti al binomio cibo-salute, prediligendo, con sempre maggiore incidenza, prodotti funzionali, alimenti biologici e free from. Queste tendenze saranno in primo piano a MarcabyBolognaFiere 2021 nell’ambito di Free From Hub, che comprenderà anche un nuovo spazio Functional Food Hub per dare risposte esaustive e promuovere nuove opportunità di business.
Marca Digital Session 15-25 marzo 2021
Piattaforma on-line www.marca.bolognafi ere.it
Marca by Bolognafi ere 24-25 marzo 2021
Bologna Fiere www.marca.bolognafi ere.it
CARRELLO RIBALTATORE
CARRELLO MULTILIFT
FRIGGITRICE GRIGLIATRICE
MEAT-TECH: fi era in presenza e attenzione ai nuovi trend
Grande ritorno della manifestazione dedicata alle soluzioni di processing & packaging per l’industria delle carni, dei derivati e dei piatti pronti dal 17 al 20 maggio
Sostenibilità, tracciabilità, food safety e ingredienti innovativi sono alcuni dei trend topic guida di MEAT-TECH, in calendario a Milano dal 17 al 20 maggio. Grande attenzione anche alle nuove abitudini di consumo, con le tematiche di sostenibilità ambientale e del biologico in netta crescita, soprattutto nei segmenti Meat e Dairy.
MEAT-TECH 2021, terza edizione della fi era specializzata in tecnologie e soluzioni innovative per la fi liera dei salumi, delle carni e dei piatti pronti, si svolgerà dal 17 al 20 maggio in accordo coi più rigidi protocolli di sicurezza anti-Covid previsti da Fiera Milano a garanzia di espositori e visitatori.
Sostenibilità, tracciabilità, food safety, ingredienti innovativi sono solo alcuni dei trend topic guida di
MEAT-TECH, scelti per fornire alle fi liere produttive presenti in fi era, elementi e applicazioni capaci di coniugare innovazione, effi cienza produttiva e logiche di trasferimento tecnologico per i prodotti dell’oggi e del domani.
Dopo un anno complesso come il 2020, sono molti gli elementi di cambiamento che il mercato dovrà affrontare, a cominciare dalle mutate abitudini di consumo che vedono
in crescita la sensibilità verso i
temi ambientali e il bio, scelto dal 20% in più di consumatori, in un percorso coerente che alla qualità delle materie prime, associa scelte più sostenibili anche sul fronte del packaging.
La sensibilità ambientale accresciuta dall’emergenza parte dalla scelta del prodotto per trasferirsi alla confezione, tanto che 9 consumatori su 10 ritengono che il packaging green sia un complemento indispensabile per il prodotto bio (fonte: NOMISMA).
Ma il bio non è il solo segmento a crescere in un 2020 che, nelle sue battute fi nali, vede il consumo del settore insaccati pari a 130.000 tonnellate vendute per un valore di oltre 1.030 milioni di euro, che segue le 413.000 tonnellate del segmento processed meat, per un volume d’affari di 2.978 milioni di euro (fonte: ASS.I.CA.).
A livello mondiale, buona performance anche per il settore Fish & Seafood che, con oltre 126.400 milioni di euro di valore delle vendite, vede dati in crescita del +4,7% stimato nel periodo 2021-2024 (fonti: Ipack Ima Business Monitor in collaborazione con MECS).
Tra i focus della fi era c’è anche il Dairy, in particolare i formaggi, che vedono 886 milioni di chilogrammi previsti in vendita entro la fi ne dell’anno, per un valore di oltre 9.000 milioni di euro, con prospettive di crescita del mercato mondiale nel periodo 2021-2024 di un +0,9%, pari a 21.682 milioni di chilogrammi per 178.795 milioni di euro di vendite. Alla trasversalità dei temi presenti in fi era si aggiunge, infi ne, la proposta di ingredienti innovativi per ricette complesse che guardano con crescente interesse al mercato dei prodotti free from o a base vegetale.
I partner che sostengono MEATTECH, portando con sé competenze, saperi e opportunità di networking rappresentano l’eccellenza produttiva italiana: • UCIMA (Unione Costruttori Italiani Macchine Automatiche per il
Confezionamento e l’Imballaggio); • ASS.I.CA. (Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi) in rappresentanza delle imprese di produzione dei salumi, dai prodotti trasformati di carne suina e bovina alla macellazione suina; • ANIMA ASSOFOODTEC (Associazione Italiana Costruttori
Macchine, Impianti, Attrezzature per la Produzione, la Lavorazione e la
Conservazione Alimentare).
Bio e Green spingono le nuove abitudini di consumo nelle carni
Dai dati dell’osservatorio “The World after lockdown” di NOMISMA, tra marzo e maggio 2020 il 30% degli Italiani ha acquistato con maggiore continuità prodotti bio. Più attenzione, nel 20% dei consumatori anche ai metodi di produzione attenti all’ambiente e al packaging sostenibile.
Una sensibilità ambientale e una maggiore attenzione alla sicurezza alimentare fi glie dell’emergenza, che dal prodotto si trasferiscono
quindi alla confezione. 9 consumatori su 10 ritengono infatti che un prodotto bio debba, per coerenza, essere confezionato con metodi green; il 36% si aspetta una confezione 100% riciclabile e il 17% compostabile, mentre l’11% vorrebbe informazioni sull’impatto ambientale del packaging anche in etichetta.
Si tratta di un trend di crescita non solo in Italia, ma che investe anche il prodotto bio made in Italy. Il segmento ha vissuto una crescita particolarmente signifi cativa negli ultimi 10 anni (+597%), con un posizionamento al quinto posto a livello mondiale dietro a USA, Germania, Francia e Cina nel biennio 2018-2020 (fonte: NOMISMA).
In particolare, hanno espresso grande dinamismo i settori Meat e Dairy, comparti in cui l’innovazione di processo e di prodotto diventano strumento fondamentale per anticipare i nuovi trend di consumo.
La presenza di espositori specializzati nel settore della carne, salumi e derivati, ma anche nei nuovi trend di consumo e negli ingredienti innovativi, affi ancati ad aziende “multiprodotto”, rende l’offerta espositiva di MEAT-TECH 2021 unica nel suo genere, per visitatori e buyer alla ricerca di soluzioni innovative e di un attento monitoraggio
del mercato.
MEAT-TECH è la fi era delle tecnologie e dei materiali innovativi per lavorazione, trasformazione e confezionamento di carne, derivati e piatti pronti. Un’off erta espositiva che si completa con spezie, aromi e ingredienti per l’industria alimentare. I numeri dell’edizione 2018: 180+ espositori, 14.363 visitatori e un gradimento dei visitatori pari a 7,3 punti su un massimo di 9.
>> Link: www.meat-tech.it
IFFA 2022, non solo proteine animali
Oltre al tradizionale focus sulle carni, dalla prossima edizione IFFA si aprirà anche alle proteine alternative e ai loro processi di produzione. All’insegna di una piattaforma fi eristica incentrata sull’innovazione e sul networking dell’industria alimentare
La prossima edizione di IFFA, la manifestazione fi eristica più importante nel mondo per gli operatori dell’industria delle carni, amplierà la sua gamma prodotti includendo tecnologie e soluzioni per prodotti vegetali e proteine alternative. IFFA – Technology for Meat and Alternative Proteins: questa è la nuova defi nizione della fi era che si svolgerà a Francoforte dal 14 al 19 maggio 2022. «Il mercato delle carni alternative è uno tra i settori in maggiore espansione a livello mondiale in questo momento e il nostro obiettivo è sviluppare le sue componenti tecnologiche in occasione della prossima IFFA» ha dichiarato WOLFGANG MARZIN, presidente e amministratore delegato di Messe Frankfurt. «La principale area di competenza dei nostri espositori e visitatori da sempre ruota intorno alla lavorazione, al confezionamen-
Il nuovo key visual di IFFA 2022 con un burger di proteine animali e uno di carni vegetali. Due visioni produttive e culturali lontanissime tra loro che però dovranno sempre più contendersi l’attenzione del consumatore (photo © Messe Frankfurt Exhibition GmbH). to e alla vendita di carne e prodotti a base di carne. Anche per questo siamo ben felici di presentare nuovi prodotti e tendenze favorendo una vera spinta all’innovazione».
Nonostante i prodotti a base vegetale rappresentino ancora un mercato di nicchia, le previsioni di sviluppo a livello di mercato globale sono caratterizzate da un trend in forte crescita. Le vendite annuali di prodotti a base di proteine vegetali sono stimate a 12 miliardi di dollari entro il 2025, con un tasso di crescita annua di oltre il 18% (fonti: Arizton Plant-based Meat Market – Global Outlook and Forecast 2020-2025, 09/2020). Parallelamente, riporta Messe Frankfurt, le vendite annuali di carne lavorata dovrebbero raggiungere circa 319 miliardi di dollari con un tasso di crescita annuale di appena +0,2% (fonti: Statista – Consumer Market Outlook, 2020).
Va da sé che per i produttori di
macchinari e attrezzature per l’industria alimentare e per il confezionamento, spezie e additivi, questo sviluppo rappresenti un enorme
potenziale di business.
I visitatori di IFFA 2022 avranno quindi accesso alle tecnologie nei settori della lavorazione delle carni e delle proteine alternative, così come nel campo dell’ingredientistica e dei prodotti a base di carne prodotta in laboratorio. Il tutto in un contesto che darà spazio non solo ai grandi player tecnologici ma anche a start-up innovative.
>> Link: www.iffa.com
Confermato Cibus 2021. Si terrà a metà giugno o all’inizio di settembre: sondaggi In corso tra aziende espositrici e buyer nazionali ed esteri. Pronto un budget record per l’incoming dei top buyer
Confermata la XX edizione di Cibus 2021, Salone Internazionale dell’Alimentazione esclusivamente dedicato ai prodotti agroalimentari italiani. L’imprevedibilità della pandemia ha suggerito a FIERE DI PARMA e a FEDERALIMENTARE di valutare lo spostamento in avanti della data di apertura, inizialmente prevista per il 4 maggio. Per fi ssare la nuova data sono stati avviati, alla fi ne del 2020, due sondaggi: uno su un campione rappresentativo degli espositori di tutti i settori alimentari, l’altro su un panel di 1.500 buyer nazionali ed esteri provenienti da tutte le geografi e di riferimento. Due le possibilità che stanno emergendo: aprire Cibus nella terza settimana di giugno, prima di Vinitaly, oppure agli inizi di settembre, prima del Salone del Mobile. La scelta fi nale terrà conto naturalmente dell’andamento della pandemia e della campagna di vaccinazione. Fiere di Parma e Federalimentare, in accordo con ICE-AGENZIA e i principali attori della fi liera agroalimentare, contano di poter fi ssare a breve la data defi nitiva. Il
95% delle tremila aziende che avevano prenotato il proprio stand per Cibus 2020, poi cancellata, ha già
confermato la propria presenza. Una risposta positiva sta arrivando anche dai buyer esteri, tanto che è previsto un budget senza precedenti di oltre 3 milioni di euro per favorire l’incoming. La scommessa è quella di incrociare la progressiva ripresa produttiva e commerciale in Italia e nel mondo.
Cibus 2021 sarà una fi era in presenza, per presentare i nuovi prodotti e per consentire alla community
internazionale di tornare sul territorio, a visitare le aziende fi ore all’occhiello del Food & Beverage italiano. Ma l’evento capitalizzerà anche il matching generato dalla piattaforma on-line MyBusinessCibus e dai contenuti sviluppati in ambiente phigital e digital da Cibus Forum e Cibus Lab, portale sul quale saranno organizzati per tutto il 2021 nuovi workshop con la partecipazione di aziende e buyer nazionali ed esteri.
>> Link: www.cibus.it
Tuttofood si riprogramma in autunno insieme a HostMilano: appuntamento a Fiera Milano dal 22 al 26 ottobre 2021
Tuttofood Milano, la manifestazione B2B globale e innovativa dell’ecosistema agroalimentare, punto di riferimento nazionale ed internazionale, ha deciso di spostarsi dal tradizionale appuntamento di maggio ad ottobre 2021, nei giorni dal 22 al 26, per cogliere l’opportunità di sfruttare tutte le sinergie strategiche e di sistema con HostMilano, la manifestazione leader mondiale delle tecnologie e delle soluzioni per l’ospitalità ed il fuori casa. «In questo momento è necessario agire in modo sinergico e trasversale anche nel settore fi eristico — ha detto CARLO BONOMI, presidente di Fiera Milano — le manifestazioni professionali devono rimanere al fi anco delle imprese, aiutandole ad essere sempre più competitive in un mercato dove l’innovazione e l’internazionalizzazione oggi, più che mai, rappresentano elementi fondamentali per la ripresa dei settori economici oltre che per l’intero sistema-Paese». «Consapevoli della centralità delle nostre manifestazioni vogliamo trasformare le incertezze di questo momento in opportunità — ha sottolineato Luca Palermo, AD di Fiera Milano — la contemporaneità delle due manifestazioni, fortemente connesse, consentirà l’arricchimento dell’intero sistema del Food e dell’Hospitality e Milano si confermerà, ancora una volta, hub internazionale di interscambio e facilitatore di occasioni di incontro e di opportunità di business tra le fi liere».
>> Link: www.tuttofood.it
di Dario Dongo, Carmela Mele e Alfonso Piscopo
La Peste Suina Africana (PSA o ASF, African Swine Fever) ha ripreso a dilagare anche in Europa continentale. Si tratta di una malattia innocua per l’uomo ma altamente contagiosa nei suini, ove è causa di elevata mortalità. Il continente asiatico ha subito enormi perdite, con un impatto terribile sul mercato globale. Le carni suine rappresentano infatti la seconda fonte di proteine animali a livello globale, dopo il pollame e le uova. I recenti focolai in Germania, primo produttore di carni suine nel vecchio continente, hanno fatto scattare l’allerta massima anche in Europa. A fronte del rischio di crisi dell’intera fi liera zootecnica suina, con danni irreparabili anche per l’industria dei salumi, è utile un approfondimento.
Corsi e ricorsi storici
La PSA, originaria dell’Africa subequatoriale, venne segnalata per la prima volta in Europa a metà del secolo scorso. Di seguito una breve cronistoria: • 1957 – ASF registrata a Lisbona.
Di lì a breve si diffonde nella penisola iberica, ove in 5 anni viene eradicata; • 1978 – Sardegna. La peste suina è dichiarata endemica, ancora in attesa di eradicazione (si veda, paragrafo specifi co); • 2007 – Un focolaio in Georgia dilaga in Armenia, Azerbaigian,
Iran, Russia e Bielorussia; • 2012 – Un nuovo contagio, dall’Ucraina alle repubbliche baltiche, Romania, Repubblica
Ceca e dintorni; • 2014 – La peste suina compare in Polonia, ove riappare nel 2019 e tuttora persiste; • 2016 – Moldavia. • 2017 – Repubblica Ceca e Romania. • 2018 – Ungheria, Bulgaria,
Belgio. • 2019 – Slovacchia. • 2020 – Serbia, Grecia e Germania. Dopo il primo caso tra i cinghiali nello stato di Brandeburgo, confermato l’11/09/2020, altri 13 suidi selvatici infetti sono identifi cati a Neuzelle, vicino al confi ne con la Polonia.
Mappa degli attuali focolai di Peste Suina Africana in Europa.
Il disastro asiatico
La PSA è endemica nell’Africa sub-sahariana e si è diffusa negli ultimi decenni in Europa, America Latina e Caraibi. Ma è l’Asia il continente ove essa ha registrato una vera ecatombe di suini, stimata dall’Organizzazione mondiale per la salute animale (OIE) dell’82% delle perdite totali tra il 2016 e il 2020. Il 2018 ha segnato il principio del disastro in Cina, ove la malattia è dilagata in tutte le 31 province. A seguire Mongolia, Vietnam, Cambogia, Hong Kong, Repubblica Democratica Popolare di Corea, Laos, Birmania, Filippine, Corea del Sud, Timor-Est e Indonesia, nel 2019. Papua Nuova Guinea e India, nel 2020.
Il contagio
L’infezione da PSA si trasmette per contatto diretto (per via delle feci) e indiretto, attraverso rifi uti di cucina contaminati ovvero per ingestione di carni di animali infetti (più raramente tramite materiali e attrezzature contaminati). La malattia può anche venire trasmessa dalle zecche molli del genere Ornithodoros. Alcuni autori ipotizzano un ruolo secondario nella trasmissione della malattia da parte di vettori meccanici quali le mosche volatrici. Maiali bradi e cinghiali hanno avuto e tuttora hanno un ruolo importante nel contagio, in vari territori, quali serbatoi e fonti della peste suina. Il virus dalla popolazione brada si diffonde infatti agli ungulati domestici e ai cinghiali, i quali a loro volta possono reinfettare i bradi, determinando così l’endemicità della malattia. La principale modalità di contagio è orofecale, sebbene il virus possa diffondersi anche per altre vie (respiratorie e cutanee, più raramente genitali).
La malattia
La malattia si può manifestare con quadri clinici iperacuti, acuti, subacuti, cronici e inapparenti. Le forme più tipiche sono quelle iperacute o acute, che provocano la morte degli animali malati entro 3-10 giorni, a volte prima ancora dell’appalesarsi di sintomi clinici evidenti. Nella forma acuta e subacuta si ammalano inizialmente solo pochi animali dell’allevamento, presentando febbre come sintomo principale. L’infezione poi si estende a tutti i capi, con perdita dell’appetito e diffi coltà deambulatorie (sintomi aspecifi ci)1. Nell’ultima fase della malattia l’animale può manifestare sintomi neurologici (atassia e paraparesi), con paralisi degli arti posteriori e crisi convulsive, oltre a emorragie cutanee, in genere sotto forma di petecchie ovvero di chiazze e soffusioni su orecchie, faccia interna ed estremità degli arti, ventre e coda (sintomi specifi ci). Nelle scrofe gravide si ha la sindrome SMEDIA. Possono inoltre comparire sintomi di natura digestiva (vomito e diarrea), congiuntiviti e sintomi respiratori.
Forme croniche e inapparenti
Nella forma cronica di malattia i sintomi sono estremamente variabili: gli animali colpiti possono dimagrire senza una causa apparente o avere febbre che può oscillare su valori di 39-40 °C. I capi colpiti possono venire a morte dopo molte settimane di malattia. Tra le forme cliniche di peste suina africana si segnala anche la forma inapparente, in cui gli animali possono infettarsi e non manifestare nessun sintomo. Tuttavia, possono rimanere infetti, asintomatici e portatori sani, costituendo un pericolo di diffusione del virus nell’ambiente.
Lesioni
Le lesioni anatomopatologiche in seguito a forme acute e subacute di peste suina africana sono emorragie diffuse a vari organi quali milza, reni, cuore e gangli linfatici. All’apertura della carcassa si possono evidenziare spandimenti emorragici soprattutto nella cavità toracica e addominale. La milza si presenta aumentata di volume ed emorragica con cambiamenti di colore e di consistenza. I reni presentano un aspetto caratteristico
con emorragie puntiformi diffuse su tutta la superfi cie e variabili nella forma e nelle dimensioni (a uovo di tacchino). I linfonodi (renali, epigastrici, meseraici e i mediastinici) a loro volta presentano lesioni emorragiche simili a coaguli di sangue. A carico dell’intestino si può riscontrare un’enterite emorragica con petecchie ed emorragie diffuse in tutta la superfi cie.
Diagnosi ardua, cure e vaccini assenti
La diagnosi di peste suina africana può presentare notevoli diffi coltà in quanto gli stessi sintomi si possono riscontrare in altre malattie del suino quali PSC (peste suina classica), intossicazioni alimentari, avvelenamenti da anticoagulanti, sindromi respiratorie, malattia di Aujeszky, mal Rosso, salmonellosi. Le peculiarità immunologiche del virus PSA/ASF sono molto importanti al fi ne di determinarne il controllo, poiché esso non induce nell’organismo la produzione di anticorpi neutralizzanti. Non è stato di conseguenza fi nora possibile realizzare un vaccino (come invece per la peste suina classica, c.d. hog cholera, e altre virosi), né altri strumenti di cura. La prevenzione
rimane perciò a tutt’oggi l’unico
strumento disponibile.
Prevenzione
In assenza di vaccini e/o farmaci veterinari in grado di arrestare la moria epidemica dei suidi, l’attenzione si focalizza sulla prevenzione: 1) Veterinari – Massima allerta e attenzione a segnalazioni di allevamenti sospetti o di ingressi al macello di animali anche solo minimamente sospetti; 2) Trasportatori – Disinfettare i mezzi di trasporto prima e dopo il carico. Non foraggiare gli animali durante gli spostamenti con avanzi di cibo; 3) Cacciatori – A esito delle battute di caccia le la carcasse catturate devono venire doverosamente sottoposte a visita sanitaria. In-
formarsi sull’esistenza di zone a rischio e soprattutto adottare le misure igienico-sanitarie per scarpe, vestiti, attrezzature e mezzi di trasporto; 4) Cittadini – In caso di avvistamento di carcasse di suidi, avvisare immediatamente i Servizi Veterinari dell’Azienda Sanitaria
Locale o quantomeno le forze dell’ordine, i carabinieri forestali, i vigili urbani, ecc…; 5) Turisti e viaggiatori – Evitare sempre di mangiare carni e salumi di ignota provenienza ovvero comunque non certifi cati2 e, soprattutto, astenersi nel modo più assoluto dal portare con sé souvenir di origine animale.
EFSA, campagna di informazione nei Balcani
L’EFSA (European Food Safety Authority) ha avviato ad agosto 2020 una campagna d’informazione sulla peste suina africana, nei Balcani, col supporto di CLITRAVI (The Liaison Centre for the Meat Processing Industry in the European Union). La campagna d’informazione è rivolta ai Paesi della penisola balcanica. Albania, Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Grecia, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord, Serbia e Slovenia. I suoi destinatari sono anzitutto allevatori, cacciatori e persone che entrino in contatto con gli ungulati, domestici e non (cinghiali, maiali bradi), nonché organizzazioni veterinarie, autorità di controllo e polizia di frontiera, governi locali, operatori turistici e viaggiatori. Le
parole-chiave della campagna di
EFSA sono Detect, Prevent, Report, ovvero Rilevare, Prevenire e Segnalare possibili focolai sono attività essenziali a mitigare l’espansione di questa malattia. Schede informative, infografi che, post sui social network e altri materiali sono disponibili sul sito web dedicato da EFSA alla PSA (www.efsa.europa.eu/StopASF).
PSA in Sardegna
In Italia la PSA è presente solo nel territorio della regione Sardegna dal 1978. La regionalizzazione e le misure di contenimento a tal uopo stabilite hanno consentito di attuare
il Piano nazionale di eradicazione della PSA mediante provvedimenti regionali, sotto il controllo del Ministero della Salute, in modo da garantire, nei quattro decenni trascorsi, la libera circolazione di animali e carni provenienti dalle altre regioni e province autonome. Allo stato attuale la Sardegna è a un passo dal risultato storico dell’eradicazione della PSA grazie all’istituzione dell’Unità di progetto regionale (UDP) e all’applicazione dell’apposito programma straordinario3. L’ultimo focolaio tra gli animali domestici, a Mamoiada (NU), si è spento nel settembre 2018, mentre a Baunei (NU), a novembre 2019, si è registrata l’ultimo caso di sieropositività. Tra i cinghiali l’ultimo riscontro di positività al virus risale all’aprile 2019 su due cinghiali trovati morti nel comune di Bultei (SS). Carni suine e insaccati rimangono soggetti a divieto di trasporto e vendita fuori dall’isola.
Conclusioni provvisorie
L’OIE ha defi nito apposite precauzioni e standard da seguire per controllare la peste suina africana, a partire da sorveglianza e segnalazione tempestiva dei nuovi focolai. Il rigoroso rispetto degli standard OIE è cruciale per mitigare gli impatti della ASF sulla sanità animale e le economie dei Paesi coinvolti. E deve perciò venire considerato una priorità fondamentale nella politica commerciale — oltreché nelle politiche sanitarie e della sanità animale — dell’Unione Europea.
Dario Dongo
Avvocato e giornalista PhD in diritto alimentare internazionale Fondatore di WIISE (FARE-GIFT-Food Times) ed Égalité
Carmela Mele
Dirigente Veterinario
Sanità Animale, ASSL di Cagliari Medico veterinario specializzato nel settore suinicolo
Alfonso Piscopo
Dirigente veterinario dell’ASP di Agrigento e membro del comitato scientifi co della rivista EUROCARNI Autore e coautore di centinaia di articoli scientifi ci e non su riviste di settore nazionali e internazionali
Note
1. Anche se alcuni soggetti possono superare la malattia, essi tuttavia rimangono portatori del virus e contagiare successivamente suini sani. 2. Si vedano le precauzioni generali indicate nell’articolo www.
greatitalianfoodtrade.it/sicurezza/alimenti-crudi-e-freschibuone-prassi-anti-covid 3. L’Unità di progetto regionale (UDP) è stata istituita con delibera della Giunta regionale sarda 25/11/14 n. 47/3. Le sue competenze sono state defi nite con la Legge regionale 34/2014.
* L’articolo originale è stato pubblicato su www.greatitalianfoodtrade.it
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A Tel Aviv apre il primo ristorante che propone carne coltivata in laboratorio
Il primo ristorante al mondo che propone carne coltivata in laboratorio è stato aperto a fi ne 2020 nel sobborgo Ness Ziona di Tel Aviv. Il ristorante, il cui nome è “The Chicken”, si trova vicino allo stabilimento della sua società madre, la start-up israeliana SuperMeat (supermeat.com). L’agenzia di stampa israeliana Walla riferisce che i tavoli, da prenotare obbligatoriamente con largo anticipo, si aff acciano sull’impianto pilota e gli ospiti possono osservare il processo di produzione. I clienti al momento non pagano perché il ristorante è ancora in fase sperimentale. Per contro, devono compilare un questionario di valutazione o fornire feedback per permettere ai ristoratori di raccogliere più pareri possibili al fi ne di migliorare l’off erta. Il menù attuale comprende due hamburger fatti con un “croccante fi letto di pollo coltivato” prodotto da cellule staminali animali, senza la morte dell’animale, nel laboratorio-cucina dislocato nel locale adiacente. «L’hamburger di pollo, croccante all’esterno e tenero all’interno, è davvero succulento», ha dichiarato l’AD della SuperMeat. Secondo i responsabili del ristorante, il gusto dell’hamburger sarebbe indistinguibile da quello di “carne vera”. SuperMeat è stata fondata nel 2015 per off rire un’alternativa alla carne, la cui produzione comporta la soff erenza degli animali: SuperMeat’s mission is to bring the world the highest quality chicken meat, grown directly from cells, in a sustainable and animal-friendly process si legge nel sito della start-up. Alcuni rabbini sostengono che la carne coltivata in laboratorio sarebbe esente dai requisiti della carne kosher, mentre altri aff ermano che si applicano gli stessi divieti, compresi quelli concernenti la salatura e la separazione dai prodotti lattiero caseari (fonti: Agrapress, Accademia dei Georgofi li).
La qualità della carne confezionata in Atmosfera Protettiva (MAP) o Vacuum Skin Packaging (VSP) ed esposta in punto vendita
Introduzione
Il colore è percepito dai consumatori come l’indicatore più importante di qualità e di freschezza della carne (KENNEDY et al., 2004). Il colore rosso vivace brillante nella carne di bovino e il rosa chiaro nella carne di suino giocano infatti il ruolo più importante nella scelta di acquisto (O’ SULLIVAN e KERRY, 2009). L’effetto della perdita di colore sulla carne fresca confezionata e il relativo deprezzamento legato alla perdita di accettabilità è stato stimato in più di un miliardo di dollari di perdite all’anno nell’intera industria della carne negli Stati Uniti (SMITH et al., 2000). La molecola principale responsabile del colore rosso e delle sue sfumature è la mioglobina, composta da un gruppo eme costituito da quattro nuclei pirrolici con al centro un atomo di ferro, legato ad un composto globulinico. In ambiente riducente e in presenza di ossigeno, il ferro (Fe2+) trasforma la mioglobina in ossimioglobina, responsabile del colore rosso brillante della carne. La capacità di legarsi
all’ossigeno viene persa al diminuire della pressione parziale di ossigeno e all’aumentare dell’ossidazione, creando la metamioglobina, con il ferro Fe3+ al centro del nucleo tetrapirrolico responsabile del colore rosso bruno della carne (CORNFORTH e JAYASINGH, 2004). Tale modifi cazione può comunque essere rallentata sia da un pH fi nale al di sopra del valore di 5,5 (WATTS, 1954), sia dalla presenza nel muscolo di elevata densità dei mitocondri e da alte concentrazioni di succinato (TANG et al., 2005).
Ad oggi, il principale metodo di confezionamento per mantenere la stabilità del colore della carne è quello in atmosfera protettiva (MAP) con alti valori (fi no a 80%) di ossigeno (O’ SULLIVAN e KERRY, 2009), che permettono il “blooming”, ovvero la transizione della deossimioglobina in ossimioglobina, con conseguente sviluppo del colore rosso brillante. Lo svantaggio di questa tipologia di atmosfera ad alto contenuto di ossigeno è però il potenziale sviluppo di fenomeni di ossidazione e di irrancidimento mentre il colore è ancora accettabile (MANCINI e HUNT, 2005).
Un’altra tipologia di confezionamento utilizzata nell’industria è il confezionamento in sottovuoto e in particolare il confezionamento in Vacuum Skin Packaging (VSP), nel quale è stato visto che i bassi valori di pressione relativa dell’ossigeno nella confezione non permettono però lo sviluppo del colore rosso brillante. A valori di pressione dell’ossigeno tra 1,4 mmHg e 25 mmHg si crea infatti la metamioglobina, responsabile del colore bruno, con un picco che si verifi ca alla pressione di 4 mmHg (KROPF, 2004).
Con valori di pressione dell’ossigeno di 1,4 mmHg la mioglobina rimane nella forma deossigenata e sviluppa nella carne un colore rosso porpora, caratteristica che viene favorita da ambienti riducenti (KROPF, 2004).
I materiali di confezionamento utilizzati per il sottovuoto, dovendo mantenere una pressione parziale dell’ossigeno molto bassa, devono Figura 1 – Schema concettuale del progetto.
avere delle caratteristiche di barriera all’ossigeno <30 mL per 24 h per m2 (KROPF, 2004).
Per quanto riguarda la carne di bovino, il confezionamento sottovuoto è sconsigliabile anche se in alcuni mercati come quello americano e inglese sono state poste in vendita confezioni di carne confezionate in skin packaging che hanno dato risposte positive all’acquisto, ma solo dopo un certo tempo di adattamento e familiarità da parte dei consumatori con il pigmento porpora (HERMANSEN, 1983).
Tale confezionamento è invece utilizzabile con la carne di suino in quanto ha valori di mioglobina nel muscolo più bassi (2 mg/g) rispetto al bovino (nel vitellone: 8 mg/g), il che rende meno visibile la colorazione anomala della deossimioglobina (KROPF, 2004).
Una delle azioni più importanti per il confezionamento della carne in sottovuoto è la riduzione del tempo di esposizione all’ossigeno dopo la porzionatura, in quanto così si evita l’ossidazione e l’eccessivo spostamento del potenziale redox verso valori troppo bassi che causerebbero la perdita della capacità dei pigmenti di ritornare al loro stato
deossidato (KROPF, 2004).
L’analisi del colore, centrale in questo studio, è stata defi nita perché sul piano di marketing è il driver principale di scelta di acquisto da parte dei consumatori, quindi riuscire a mantenere un corretto confezionamento, oltre a garantire la sicurezza alimentare, permette anche di avere un colore della carne accattivante per il consumatore.
L’attenzione ad un’alimentazione sana e al consumo consapevole della carne da parte della nostra società ci indica che la carne deve essere di qualità così come il suo confezionamento. Quindi serve un concetto integrato di tutela della qualità del prodotto-confezione che si fonde in un connubio tecnologico atto a preservare le caratteristiche positive quanto più possibile inalterate nel tempo (Figura 1).
Obiettivi e metodi
Questo studio ha avuto lo scopo di indagare e comparare l’evoluzione di alcune caratteristiche fi siche e chimiche della carne di bovino e suino confezionata in atmosfera protettiva (MAP) e in Vacuum Skin Packaging (VSP), durante la conservazione a basse temperature positive (+4 °C), dallo stabilimento di produzione alla catena di distribuzione. Nello specifi co, sono state
Figura 2 – a) Calo peso (CP, %) dei carpacci di bovino durante la conservazione; b) Umidità (%) dei carpacci di bovino (valori espressi come media ± SEM). *: p<0,05; ns: p>0,05.
Figura 3 – a) Calo peso (CP, %) delle fette sottili di suino durante la conservazione; b) Umidità (%) delle fette sottili di suino (valori espressi come media ± SEM). ***: 0,0001; ns: p>0,05.
considerati due prodotti, i carpacci di girello di bovino adulto (muscolo Semitendinosus) e le fette sottili di suino pesante (muscolo Longissimus dorsi), confezionati in MAP e VSP e conservati per sei giorni.
Sono stati analizzati 48 campioni di carne suina e 48 campioni di carne bovina, per un totale di 96
campioni, così suddivisi: 9 campioni per categoria confezionati in MAP (bovino: al tempo 0 in media circa 70% O2, 20% CO2, 10% N2; suino: al tempo 0 in media circa 60% O2, 20% CO2, 20% N2) e 7 campioni confezionati VSP.
Ogni settimana sono state alternate le specie per tre lotti/repliche per un totale di 6 settimane complessive di analisi. Sono stati fatti campionamenti al giorno 0 (t0), ovvero al momento della produzione, quindi i campioni sono stati inviati al reparto macelleria del supermercato di un’azienda leader del settore della GDO dove sono stati collocati con etichetta riservata sul banco frigo espositivo. I campioni sono stati prodotti dal centro lavorazione carne dell’azienda medesima.
Le porzioni di carne da tagliare hanno subito un trattamento di crostatura criogenico con CO2 che porta la temperatura della superfi cie esterna a –2 °C e la temperatura al cuore a 0 °C. Questo processo è servito per poter tagliare con effi cienza la carne con l’affettatrice automatica. È stato valutato l’effetto della conservazione al giorno 3 (t3) e al giorno 6 (t6).
I campioni sono stati inseriti in una borsa frigo e prelevati dal luogo di produzione e dal punto vendita e analizzati presso i laboratori della Sezione di Scienze Animali del Dipartimento DAGRI dell’Università degli Studi di Firenze.
Sui campioni, una volta codifi cati, sono state fatte le seguenti analisi: misura della percentuale di CO2 e O2 all’interno della confezione con misuratore distruttivo O2/CO2 (Checkpoint Dansensor, Ametek Mocon Europe, Danimarca), la capacità di ritenzione idrica e il peso del campione di carne al tempo 0, al tempo 3 e al tempo 6. È stata fatta la misura dello stato ossidativo, mediante quantifi cazione dei TBARS secondo la metodica adattata da VYNCKE (1970), del pH con pH-metro e del colore con colorimetro (Chroma Meter CR-200, Konica Minolta, Giappone), secondo i parametri CIELab (L*: luminosità, a*: indice del rosso, b*: indice del giallo).
Sono state infi ne scattate le foto dei campioni durante la conservazione ed è stata fatta la misura del colore mediante analisi di immagini col software gratuito ImageJ (USDA, USA).
L’elemento innovativo di questo studio risiede nel fatto che questi prodotti sono stati esposti nel banco refrigerato del negozio al dettaglio e quindi sottoposti alle condizioni
reali di acquisto.
È stata data comunicazione di questa sperimentazione per far comprendere ai soci e ai consumatori che l’azienda in questione presta notevole attenzione alla tutela della salute del consumatore, monitorando l’evoluzione della conservazione della carne fresca nelle condizioni reali di vendita.
Questa iniziativa è stata accolta con curiosità e notevole interesse dei clienti del punto vendita e con soddisfazione quando apprendevano che l’azienda metteva in atto una strategia di controllo di questo tipo,
ad alto valore scientifi co.
Risultati e discussione
Il mantenimento dei corretti livelli di pressione e quantità dei gas dell’atmosfera protettiva è indice di un corretto contenimento delle caratteristiche di sicurezza, genuinità nonché sensoriali della carne fresca (KROPF, 2000). Le confezioni di carpaccio di vitellone non hanno registrato un calo dell’atmosfera protettiva nel tempo e questo è stato generalmente vero anche per le confezioni di suino.
La perdita di essudato nelle confezioni di bovino in MAP, seppur di modesta entità (circa il 4,5% di calo peso in media dopo 6 giorni
di conservazione), non ha compromesso l’estetica delle confezioni (Figura 2). La perdita di essudato nelle con fezioni di carne di suino in MAP si è dimostrata maggiore, pari a circa il 6,4% del peso iniziale (Figura 3).
Dal momento che le fette di suino pesavano mediamente 133,23 g in più dei carpacci di vitellone (285,95 vs 152,72 g), nelle confezioni dopo 6 giorni di conservazione sono stati rilasciati mediamente 17,2 g di essudato. Il drip loss in questo caso è risultato visibile nella confezione già dopo il terzo giorno (quando i valori di essudato risultavano maggiori di 15 g) e i pozzetti raccogli liquido della confezione in PET sono riusciti a trattenere solo parzialmente l’essudato, che si è accumulato ai lati della confezione creando un impatto visivo con possibili effetti negativi in termini di accettabilità.
La percentuale di essudato rilasciato dalla carne di entrambe le specie dopo sei giorni di conservazione a 4 °C rientra nei valori percentuali massimi (>10%) per le carni rosse, compatte e non essudative RFN (Red Firm and Nonexudative meats) che sono state sottoposte a criocongelamento parziale (WARRISS e BROWN, 1987; HONIKEL et al., 1986; HONIKEL, 2004).
Il valore di drip loss dei carpacci di girello dopo 6 giorni di conservazione è risultato paragonabile ai valori ottenuti da DEN HERTOG-MEISCHKE et al. (1997) e LAWLOR et al. (1999).
Le confezioni in VSP delle carni di entrambe le specie prese in esame hanno presentato valori molto bassi di essudato rilasciato durante la conservazione rispetto alle confezioni in MAP, confermando i risultati ottenuti da TAYLOR (1990), da LAGERSTED et al. (2011) e da KAMENÍK et al. (2014). Questo perché il confezionamento in VSP annulla lo spazio di testa della confezione e crea una resistenza meccanica con la pellicola a diretto contatto con la superfi cie della carne, di fatto rallentando signifi cativamente il rilascio dei liquidi (TAYLOR et al., 1990; Kropf, 2004). Al 6o giorno di esposizione sul banco refrigerato il colore delle fette di carpaccio di vitellone confezionate in VSP è risultato più scuro e tendente al marrone rispetto alle fette confezionate in MAP, come evidenziato dalla diminuzione significativa dell’indice del rosso (a*). Tale an damento è risultato in accordo (r=0,7) coi risultati dell’analisi di immagine delle fotografi e e con i valori della media e della moda del rosso RGB.
L’aumento della deviazione standard della media ha permesso anche di evidenziare la presenza di chiazze di colore diverso, comparse dopo 6 giorni di conservazione (Figura 4). L’ispezione visiva delle foto digitalizzate delle fette può confermare quanto descritto dai risultati ottenuti (Figure 5 e 6).
I valori dell’indice del rosso (a*) che sono stati ottenuti sono paragonabili a quelli ottenuti da KAMENIK et al. (2014) e i valori del parametro del rosso RGB sono paragonabili ai valori riscontrati da NASSU et al. (2012), sempre su fette di Longissimus lomborum di bovino confezionate in MAP e in VSP e conservate per 6 giorni a 4 °C.
La diminuzione del colore rosso durante il periodo di conservazione è dovuta all’aumento del rapporto metamioglobina/ossimioglobina (MANCINI e HUNT, 2005).
La modificazione del colore risulta già visibile con la presenza di metamioglobina in percentuale superiore al 20% sul totale e la perdita di accettabilità è conclamata con un rapporto metamioglobi-
Figura 4 – Valori del rosso RGB nella carne bovina. Interazione (C×S) tra tipo di confezionamento (C) × durata della conservazione (S) per l’indice del rosso (valori medi ± SEM). a. Media dei valori dell’indice del rosso; b. Moda dei valori dell’indice del rosso; c. Deviazione standard dei valori della media. Valori espressi come media ± SEM. a, b, c: lettere diverse indicano medie signifi cativamente diverse entro tempo di conservazione; ***: p<0,0001; **: p<0,002.
Figura 5 – Valori del rosso RGB nella carne suina. Interazione (C×S) tra tipo di confezionamento (C) × durata della conservazione (S) per l’indice del rosso. a. Media dei valori dell’indice del rosso; b. Moda dei valori dell’indice del rosso; c. Deviazione standard dei valori della media. Valori espressi come media ± SEM. ns: p>0,05.
Figura 6 – Foto digitalizzate delle fette di carne di bovino confezionate in MAP e in VSP a 0, 3 e 6 giorni di conservazione a temperatura di refrigerazione.
na/ossimioglobina di 2:1 (CARPENTER et al., 2001).
Il confezionamento in VSP in questo caso ha compromesso l’estetica del colore nel caso delle fette di bovino. D’altro canto, molti studi dimostrano che il confezionamento VSP può mantenere stabile il colore rosso porpora per più di 15 giorni (TAYLOR, 1990; LAGERSTED et al., 2011; LI et al., 2012; KAMENIK et al., 2014). Tale colorazione è tipica della mioglobina allo stato deossidato e si ritrova nella carne confezionata in VSP a patto che la pressione parziale dell’ossigeno all’interno della confezione sia inferiore a 1,4 mmHg (KROPF, 2004).
Nel caso della carne bovina, questo tipo di colorazione non ha però riscontrato un’accettabilità suffi ciente da parte dei consumatori (TAYLOR, 1990; CARPENTER et al., 2001; JEREMIAH, 2001; KROPF, 2004).
Dall’esame della Figura 5 si evidenzia chiaramente che i due sistemi di confezionamento durante il periodo di conservazione non hanno prodotto risultati signifi cativamente diversi per il valore del rosso RGB.
Per quanto riguarda l’indice del rosso (a*) ottenuto strumentalmente col colorimetro, nel caso della carne suina non sono state riscontrate variazioni signifi cative in relazione a nessuno dei due fattori oggetto di studio né è stata riscontrata un’interazione signifi cativa tra di essi, evidenziando la maggiore stabilità della colorazione della carne suina rispetto a quella bovina, come del resto evidenziato anche da una prova simile condotta da KAMENIK et al. (2014).
SUMAN e JOSEPH (2013) hanno evidenziato che la stabilità della colorazione dovuta alla mioglobina è maggiore nella carne suina rispetto a quella bovina, in quanto in quest’ultima la mioglobina risulta più suscettibile all’autossidazione rispetto alla mioglobina della carne suina.
In primo luogo, la maggiore stabilità della mioglobina durante la conservazione a temperatura costante di refrigerazione dipende dal pH e dall’energia di attivazione (Ea) dell’autossidazione (GUTZE e TROUT, 2002).
La costante di velocità di autossidazione della mioglobina si riduce del 50% per ogni variazione di 0,5 punti di pH. Nel caso di questa sperimentazione la variazione del pH non è stata signifi cativamente rilevante, attestandosi in differenza massima di valori tra la carne bovina e quella suina pari a 0,1. L’Ea dell’autossidazione della mioglobina in vitro risulta il 20% più bassa nella carne suina rispetto a quella bovina (GUTZE e TROUT, 2002).
Il muscolo Longissimus dorsi è un muscolo con un quantitativo più alto di fi bre rosse (ossidative) ri spetto al muscolo Semitendinosus (nel bovino fi no al 10% in più) e questa peculiarità fa sì che ci sia un maggior quantitativo di mitocondri nel L. dorsi e un mantenimento più stabile della riduzione del nucleo ematinico della mioglobina, con conseguente stabilizzazione del colore (TAYLOR, 2004;
FAUSTMAN et al., 2010; RAMANATHAN e MANCINI, 2018).
La luminosità (L*) delle fette sottili di suino ha risentito signifi cativamente della durata della conservazione, sia nel caso delle fette esposte alla luce che nel caso di quelle non esposte in quanto sovrapposte all’interno della confezione, con valori più elevati a t6. L’aumento della luminosità è
associato all’aumento del colore
pallido della carne (OTTO et al., 2004). Questa tendenza negativa è direttamente correlata all’aumento della quantità di liquido essudato sulla superfi cie della carne cui si assiste durante la conservazione (LEE et al., 2000; HUFF-LONERGAN et al., 2002).
Il valore dell’indice del giallo (b*) delle fette di suino confezionate in VSP e non esposte alla luce ha risentito signifi cativamente della durata della conservazione, presentando un aumento signifi cativo del suo valore a t3 e poi un decremento a t6, acquisendo nel tempo nuances tendenti al blu. I colori tendenti al verde e al blu sono correlati alla perdita di accettabilità da parte dei consumatori (MANCINI e HUNT, 2005).
La variazione del pH durante i sei giorni di esposizione sul banco refrigerato è risultata stabile e non signifi cativa, come confermato da altri studi condotti su carne bovina e suina confezionata in MAP e in VSP (VÁZQUEZ et al., 2004; KAMENIK et al., 2014).
L’ossidazione dei lipidi nella carne di bovino durante la conservazione, espressa in relazione al contenuto in TBARS, è risultata maggiore nella carne confezionata in MAP rispetto a quella confeziona-
Figura 7 – Foto digitalizzate delle fette di carne di suino confezionate in MAP e in VSP a 0, 3 e 6 giorni di conservazione a temperatura di refrigerazione.
ta in VSP. In particolare, il tenore di TBARS della carne confezionata in MAP è risultato maggiore rispetto a quello della carne confezionata in VSP già dal terzo giorno e molto maggiore al sesto giorno di conservazione, con valori rispettivamente di 1,18 mg MDA-eq/kg e 0,49 mg MDA-eq/kg.
La maggiore ossidazione è certamente conseguenza dell’alta percentuale di ossigeno presente nello spazio di testa della confezione in MAP (KROPF, 2000). Questi risultati sono in linea con quelli ottenuti da KIM et al. (2010).
I valori di TBARS della carne suina, pur diversi per le due modalità di confezionamento, in generale non sono associabili a variazioni signifi cative, rimanendo stabili nel tempo e non crescenti durante l’esposizione in punto vendita. KAMENIK et al. (2014) hanno riscontrato che la carne di suino resiste bene all’ossidazione lipidica, ottenendo risultati paragonabili a quelli ottenuti nella presente sperimentazione.
Conclusioni
In conclusione, durante i sei giorni di esposizione sul banco refrigerato del punto vendita le confezioni in MAP delle fette di carne bovina e suina hanno generalmente permesso di mantenere la stabilità del colore rosso, anche se per quanto riguarda la carne bovina confezionata in MAP i risultati dell’analisi mediante colorimetro e dell’analisi del colore effettuata sulle foto digitalizzate hanno dato risultati contrastanti, avendo quest’ultima evidenziato una diminuzione (p<0,05) del colore rosso nei giorni successivi al primo giorno di conservazione. Per quanto riguarda invece la confezione in VSP, la carne bovina al sesto giorno di esposizione è risultata scura e con chiazze, aspetto che non si è però verifi cato nel caso della carne suina.
La confezione in VSP per tutte e due le tipologie di carne ha ridotto sensibilmente la quota di liquidi rilasciati, mentre nel caso della carne suina confezionata in MAP l’essudato in eccesso è risultato visibile già dal terzo giorno di esposizione.
L’ossidazione, quantifi cata mediante il contenuto in TBARS, è risultata estremamente bassa nelle carni confezionate in VSP mentre, al contrario, nella carne bovina confezionata in MAP la quota di TBARS è aumentata durante la conservazione, evidenziando un’ossidazione significativa come conseguenza dell’atmosfera protettiva ricca di ossigeno.
Valori di TBARS pari a 0,68 e a 0,29 mg MDA-eq/kg per le carni confezionate in MAP e pari a 0,37 e 0,32 mg MDA-eq/kg per quelle confezionate in VSP, rispettivamente per il bovino e il suino, ottenuti nel corso di questo studio sono as sociabili, comunque, a carni di eccellente qualità sensoriale, in quanto i valori riscontrati risultano molto al di sotto del valore soglia associato alla percezione di rancidità, pari a 2,0 mg MDA-eq./ kg (GREEN e CUMUZE, 1982; CAMPO et al., 2006).
Federico Santantoni Giulia Secci Lina Fernanda Pulido Rodriguez Lorenzo Guerrini Giuliana Parisi
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali (DAGRI) Università degli Studi di Firenze
Ringraziamenti
Un sentito ringraziamento va alla
DOTT.SSA ROSELLA ROCCHI, al DOTT. FRANCESCO TAMBERI e alla DOTT.SSA MARINA DOMENICI per aver diretto e coordinato la produzione dei campioni oggetto di studio. Grazie anche a UNICOOP FIRENZE che ha fi nanziato la ricerca.
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Rintracciabilità senza lacune in cinque punti
Batteri nel latte, fi pronil nelle uova, parti in plastica nella carne macinata: sono casi limite, certo, ma se un richiamo è inevitabile, le aziende devono
sapere esattamente quali prodotti
hanno consegnato e a chi. Queste cinque raccomandazioni aiutano a raggiungere una rintracciabilità senza lacune indipendentemente dalle dimensioni aziendali.
1. Fissare gli obiettivi
Solo un buon concetto di traccia-
bilità con obiettivi chiaramente
defi niti porta al successo. Innanzitutto va analizzato lo stato attuale dell’azienda per individuarne i punti deboli. Poi va chiarito quali sono gli obiettivi da raggiungere tramite la tracciabilità: maggiore sicurezza alimentare e richiami più rapidi? Standard qualitativi più alti? Adempimento di nuove leggi o linee guida? Oppure, come spesso accade, una combinazione di più obiettivi? Le esigenze e i desideri individuali delle aziende sono però molto diversi: il quadro giuridico di un produttore italiano di formaggi e salumi, per esempio, è diverso da quello di un produttore di carne americano; un’azione di richiamo in Italia deve essere completata in tempi diversi rispetto ad un altro Paese. Poi ci sono le tendenze guidate dal commercio o dai consumatori, come i nuovi sigilli di qualità. Tutto questo va valutato strategicamente e considerato dal punto di vista concettuale. È consigliabile, quindi, formare un team di progetto ben assortito con diverse competenze e conoscenze operative, possibilmente composto dal personale dell’IT, dei reparti di produzione e del controllo qualità, e infi ne dalla direzione. Sarebbe inoltre opportuno coinvolgere il fornitore del software per la tracciabilità già in questa fase.
2. Defi nire le dimensioni dei lotti
La qualità della tracciabilità dipende dalla defi nizione del lotto e dalle sue dimensioni. Chiaramente lotti più piccoli e omogenei consentono una tracciabilità più mirata. Con piccoli lotti, però, aumenta lo sforzo per l’acquisizione dei dati e crescono i costi. Nella defi nizione o delimitazione dei lotti, gli esperti raccomandano un compromesso tra la gestione del rischio aziendale da un lato e l’effi cienza economica dall’altro. Una pratica spesso utile e comprovata a livello internazionale è la formazione di lotti giornalieri o lotti ancora più piccoli. Raccomandazioni più ampie che possano essere valide per qualsiasi azienda hanno poco senso perché qui le differenze strutturali e organizzative sono troppo grandi. Ad esempio, il latte da bere proveniente da grandi aziende agricole, che viene lavorato e distribuito da un’unica industria lattiero casearia, è più facile da rintracciare, nonostante le grandi dimensioni dei lotti, rispetto a un formaggio biologico prodotto in piccoli lotti e commercializzato attraverso appositi negozi biologici. Anche nel caso delle barbabietole da zucchero, che ogni autunno giac-
Il modulo CSB-Traceability garantisce una rintracciabilità effi ciente e senza lacune.
ciono nei campi in grandi quantità, per esempio, i grandi lotti di materie prime non sono critici: la formazione di piccoli lotti in questo caso non è necessaria semplicemente perché vi è un basso rischio. Tutt’altro concetto deve essere applicato per la carne bio di bovini provenienti da allevamenti biologici. In questo caso la rintracciabilità deve essere seguita e dettagliata lungo tutto la fi liera di trasformazione con molteplici informazioni che devono anche essere stampate sulle etichette di prodotto.
3. Scegliere il tipo di identifi cazione
Prerequisiti per una tracciabilità completa sono l’etichettatura e l’i-
dentifi cazione univoca dei prodotti
interessati, meglio ancora se automatizzate. È possibile questo solo usando numeri di identifi cazione, codici a barre o RFID secondo gli standard GS1, numero dell’unità di spedizione SSCC e EPCIS. Nel caso ideale, le materie prime in entrata sono già contrassegnate dal fornitore: il ricevimento della merce è decisivo infatti per tutti gli ulteriori processi di identifi cazione. È qui che, supportati dalle giuste tecnologie informatiche, si gettano le basi per il trasferimento di informazioni al magazzino, alla produzione, all’imballaggio e all’etichettatura fi no al picking. In linea di principio, la tracciabilità può essere documentata anche su carta. Ma con l’aumento dei volumi di produzione, del numero di reparti e di persone coinvolte nel processo di documentazione e del numero di lotti di materie prime presenti nel prodotto, aumenta anche la complessità del processo di rintracciabilità. E al più tardi in caso di eventi sfavorevoli, la carta mostra tutti i suoi limiti rispetto all’elaborazione elettronica dei dati.
4. Raccogliere i dati giusti nei luoghi/punti giusti
Organizzare la tracciabilità diventa complicato ovunque si mescolino diversi lotti di materie prime per la produzione di un alimento. Qui vengono creati nuovi lotti, che possibilmente un gestionale
idoneo deve gestire e trasferire alle fasi successive di produzione e/o di confezionamento. È consigliabile avere delle postazioni IT per la raccolta dati in tutti i punti rilevanti del processo operativo (i cosiddetti Critical Control Points) al fi ne di raccogliere ed elaborare le informazioni on-line ed in tempo reale. Optare per l’utilizzo di terminali mobili o di un PC o di lettori fi ssi di codici a barre dipende dalle condizioni spaziali dell’azienda e dal concetto individuale di fl usso di materiale: importante è che i dati vengano registrati direttamente nel processo. Solo in questo modo diviene semplice provare quale lotto e quali ingredienti siano presenti nel prodotto alimentare fi nito. Ciò include anche la documentazione delle quantità di semilavorati che confl uiscono nel processo di produzione. Vi è anche un ulteriore vantaggio: registrando e controllando i dati nelle varie fasi di produzione, le criticità sono rilevate rapidamente o addirittura evitate.
5. Utilizzare i dati e creare valore aggiunto
Qualsiasi sistema di tracciabilità è valido solo se la qualità dei dati è valida. In più, la tecnologia informatica in uso deve consentire di analizzare e visualizzare questi dati in qualsiasi momento: solo così si possono organizzare e automatizzare i processi di richiamo, cosa che è già in parte richiesta da leggi, linee guida e audit. Grazie all’utilizzo di un gestionale è suffi ciente la semplice pressione di un tasto per adempiere all’obbligo di prova che le caratteristiche pubblicizzate di un prodotto siano state davvero rispettate; si pensi addirittura anche alle informazioni sulla quantità di emissioni di CO2 durante la produzione. L’importanza dei sistemi di tracciabilità continuerà quindi a crescere anche in futuro. In Europa, molte aziende stanno già fornendo i loro dati a banche dati per i consumatori come fTrace, mynetfair o ATC. Presumibilmente queste o sistemi simili avranno prima o poi un ruolo anche a livello internazionale. Allora una tracciabilità senza lacune non solo fornirà un valore aggiunto critico per le vendite, ma diventerà anche un requisito fondamentale per essere competitivi.
Per concludere
Ultimo ma non meno importante: i sistemi di tracciabilità offrono anche la grande opportunità di ottimizzare i processi e di trarne profi tto economico. Ottimizzazione degli
Tracciabilità con smartphone.
acquisti, informazioni aggiornate sulle giacenze di magazzino, basi di pianifi cazione affi dabili, valutazioni e statistiche signifi cative, calcoli esatti dei lotti sono tutti effetti positivi di una tracciabilità senza lacune.
Referente: • Dott. A. MUEHLBERGER
CSB-System Srl
Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (VR) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com
CSB Traceability
Gli esperti CSB conoscono nel dettaglio il settore alimentare e i suoi processi specifi ci e sono quindi in grado di supportare le aziende nella realizzazione di una soluzione personalizzata per la rintracciabilità. Già nella versione standard “chiavi in mano” il CSB-System soddisfa tutte le esigenze del settore e grazie alla totale integrazione dei suoi moduli operativi Acquisti, Magazzino, Produzione, Vendite, Logistica, Controllo Qualità, Contabilità generale e industriale, Cespiti, Archiviazione documentale, Rilevazione presenze, Business Intelligence. I clienti CSB-System hanno raggiunto notevoli eff etti di razionalizzazione dei processi, drastici tagli dei costi e veloci tempi di implementazione.
Dati Anas: classifi cazione carcasse
(*) Media ponderata dei pesi medi settimanali. I dati sono suscettibili di aggiornamenti. Elaborazione su dati del MIPAAF.
Carne allo spiedo nobile e popolare
L’antichissima e tradizionale tecnica di cottura delle carni allo spiedo che pareva scomparsa rimane oggi nelle rosticcerie e sta risorgendo attraverso il kebab
di Giovanni Ballarini
“G ira su’ ceppi accesi / lo spiedo scoppiettando” canta GIOSUÈ CARDUCCI in San Martino (Rime Nuove, 1883), una poesia che fi no alla prima metà del secolo scorso tutti i bambini italiani hanno imparato a memoria, quando le carni allo spiedo, soprattutto di selvaggina, erano ancora una consuetudine viva. Non è un caso che la poesia continui con la presenza del cacciatore che sta sull’uscio a rimirar stormi d’uccelli neri tra le rossastre nubi, mentre probabilmente aspetta di gustare una buona schidionata di carni allo spiedo.
Arrostire le carni direttamente sul fuoco è certamente la prima forma di cottura utilizzata dall’uo-
mo dopo che l’ebbe scoperto, il cui uso domestico risale, secondo l’antropologo RICHARD W. WRANGHAM, professore a Harvard, a circa due milioni di anni fa, mentre il primo focolare sinora individuato sembra posteriore di circa cinquecentomila anni.
Mentre gli animali interi e i grossi pezzi di carne sono cotti in buche e ricoperti interamente dalle braci, o disposti su pietre ollari, tenute costantemente calde dal fuoco, le piccole parti sono infi lzate su sottili ma resistenti bastoni, eventualmente avvolte in foglie per mantenerne gli umori, ed esposte direttamente al calore del fuoco mentre sono continuamente rigirate dall’uomo migratore. È solo la donna di società umane divenute stanziali che usa altri strumenti di cottura e soprattutto la pentola, avvalorando l’interpretazione che lo spiedo è il simbolo di una cucina maschile, delle carni rosse e selvatiche, mentre la pentola identifi ca una cucina femminile fatta di brodi, intingoli e sughi di carni e soprattutto di vegetali.
Spiedo dalla caccia alla cucina
Lo spiedo (Venabulum in latino) nel Medioevo e nel Rinascimento è un’arma per la caccia alla selvaggina pericolosa, cinghiale soprattutto, in Francia e Italia. Si compone di un lungo corpo metallico appuntito, a sezione quadrangolare, inastato su di un astile in legno. La differenza con la lancia da cinghiale in uso tra i Germani è forse, originariamente, solo etimologica. Per giungere allo spiedo di ferro da quest’arma primordiale passa molto tempo.
Nel tardo Medioevo sui rari trattati di cucina che ci sono pervenuti l’attrezzo è denominato spiedo, dalla parola latina medievale spetus, che a sua volta è di origine longobarda, riagganciandosi all’antico francese espiet e all’inglese spit.
In origine questi termini volevano tutti designare un’arma bianca costituita da un’asta di legno resistente e fl essibile, come il tasso o il frassino, della lunghezza di due metri circa, che ad un’estremità montava un’aguzza punta di metallo generalmente a forma di rombo o di foglia.
Nel parlare italiano corrente lo spiedo, o schidione, è anche un utensile in metallo o legno, in forma di astile sottile ed appuntito ad una delle estremità, sul quale si infi lzano le carni per la cottura alla fi amma o alla brace. Il passaggio da uno
strumento di guerra o di caccia ad attrezzo di cucina è stato abbastanza disinvolto e si suppone che derivi dall’uso che i soldati e i cacciatori ne facevano per arrostire la carne
da loro cacciata.
Nel corso del tempo l’uso militare, venatorio e quello domestico favoriscono una sempre maggiore differenziazione, giungendo alla loro precisa defi nizione di forma di spiedo venatorio e di cucina.
Nelle grandi cucine nobiliari del Medioevo esistono spiedi di diversa lunghezza e forma e, come afferma T. SCULLY nel trattato L’arte della cucina nel Medioevo (Ed. Piemme, pagg. 106-108), la scelta da parte del cuoco dello spessore dello spiedo dipende dal peso del pezzo di carne che ci deve infi lare. Lo spiedo è in generale montato su anelli di un paio di pesanti sostegni di metallo disegnati per reggerlo ad altezza variabile davanti o direttamente sopra il fuoco.
Oltre agli spiedi di ferro vi sono anche quelli di legno e non solo per cucinare degli spiedini, ma vi è chi mette in guardia contro l’uso di questo materiale, come scelta di un’economia sbagliata che cerca di risparmiare col rischio di sprecare un costoso pezzo di carne. La carne è montata su uno spiedo di solito attraversata dallo spiedo stesso e già
La principale prerogativa della cottura allo spiedo sta nel sapore, perché è una delle tecniche che maggiormente esalta le qualità della carne (photo © Victoria Shes x unsplash).
Quasi scomparso dalle case degli Italiani, oggi lo spiedo si usa nei ristoranti e, soprattutto, nelle rosticcerie per cuocere carni miste di maiale, vitello, pollo e coniglio. Sullo spiedo la carne cuoce in un ambiente asciutto, al contrario del forno, dove è inevitabile un accumulo di vapore, e per questo è necessario bagnarla e ungerla di tanto in tanto, per evitare che si secchi eccessivamente e formi una crosta dura (photo © watman – stock.adobe.com).
nel Medioevo esistono ricette nelle quali diversi uccelli, pezzi grossi di carne e verdura sono alternati per tutta la lunghezza dello spiedo. La carne può essere anche legata allo spiedo con una corda, procedimento in uso per gli uccellini.
Girarrosti per gli spiedi
Nel passato gli spiedi erano girati a mano da sguatteri giraspiedi o girarrosto. Questi garzoni, nei grandi e fumosi antri in cui si approntano le vivande, giravano manualmente gli spiedi per ore e ore, restando esposti costantemente ad una forte fonte di calore e protetti solo da uno schermo di metallo leggero. Nei secoli XVI e XVII si inventarono spiedi che giravano meccanicamente, detti molinelli e oggi denominati girarrosti.
Le rappresentazioni che abbiamo, e alcuni esemplari ancora esistenti (nel Bresciano esiste un Museo dello Spiedo), dicono che sono macchine regolate col meccanismo dei contrappesi che ricordano il funzionamento degli orologi a pendolo con carica manuale. Ogni palazzo e casa signorile ne possedeva uno, perché l’arrosto girato era considerato il piatto che segnava i momenti culmine della vita civile e religiosa rappresentando uno status symbol.
Nelle campagne solo i ceti più fortunati avevano un più piccolo girarrosto, costituito da uno schidione centrale in ferro munito di un manico a manovella, rivestito con un tubo in metallo o in legno, sorretto da due alari in ferro battuto e con ganci di ferro posti ad altezze differenti per consentire di tenere la carne più o meno discosta dal fuoco e dalle braci e ottimizzare la cottura.
L’Enciclopedia Treccani defi nisce il girarrosto (voce composta da girare e arrosto) un apparecchio per uso domestico, generalmente a molla, che serve a far girare lentamente lo spiedo su cui sono infi lzati i cibi da arrostire sul focolare ma anche il dispositivo per ristoranti e rosticcerie, azionato da un motore elettrico nel quale numerosi spiedi sono presi fra due cerchi rotanti agli estremi di un asse ed è munito di un ingranaggio epicicloidale che imprime a ciascuno spiedo anche un moto di rotazione proprio.
Cucina allo spiedo
Lo spiedo vanta una storia gloriosa, ricca di sapori e d’immagini, racconta MASSIMO MONTANARI ne Il sugo della storia (Edizioni Laterza, 2016).
Montanari riferisce come l’arrosto allo spiedo per molto tempo magnifi casse il privilegio di pochi che potevano permettersi carne di qualità, una grande camino a pare-
te per cuocerla e, non da ultimo, abbondante buona legna.
Tutti i grandi del passato gradiscono la carne allo spiedo rispetto a quella bollita, iniziando da Carlo Magno, anche come segnale e ostentazione di potere. Ed è nei banchetti dei nobili che lo scalco trancia con
destrezza queste carni.
Ora lo spiedo è sempre meno gradito dalla cucina postmoderna, mantenendo invece la sua presenza nei locali dove si fanno cucine tradizionali, ma soprattutto ha un ruolo importante nella cucina delle rosticcerie o di strada, ad iniziare dalle esotiche kebaberie.
Spiedo in cucina
La cottura allo spiedo fa parte delle cotture per arrostimento o cottura arrosto, dove l’alimento è cotto ad alta temperatura, sotto l’azione diretta del calore e in atmosfera secca. È una cottura per concentrazione nella quale le alte temperature (il calore d’irraggiamento della fi amma e delle braci è di circa 600 ºC) provocano la colorazione bruna superfi ciale del cibo dovuta alla caramellizzazione degli zuccheri, reazioni di Maillard e abbrustolimento della parte superfi ciale del cibo.
Nella cottura allo spiedo, usata quasi esclusivamente per la carne, la trasmissione di calore avviene per irraggiamento. La carne è infi lata nello spiedo, che è fatto ruotare lentamente su una fonte di calore: un tempo fuoco e braci di legna, poi carbone, resistenza elettrica o a gas. In questo modo la superfi cie esterna dell’alimento si rosola uniformemente, i vapori fuoriescono, il grasso e i liquidi colano in una leccarda posta sotto lo spiedo. I liquidi, eventualmente sgrassati, sono spesso adoperati per preparare salse di accompagnamento o serviti insieme alla carne per mantenerla umida.
Sullo spiedo la carne cuoce in un ambiente asciutto, al contrario del forno, dove è inevitabile un accumulo di vapore e per questo motivo è necessario bagnarla e ungerla di tanto in tanto, per evitare che si secchi eccessivamente e formi una crosta dura. La cottura è più lenta di quella in forno (richiede circa il 20% di tempo in più), la distanza dalla fonte di calore deve essere proporzionale alla dimensione del taglio e il calo di peso medio è di circa un terzo.
Un tempo gli spiedi erano orizzontali, girati a mano ma anche da speciali macchine azionate da ingegnosi movimenti a orologeria. Ora gli spiedi più utilizzati, soprattutto per i kebab, sono verticali, con la fonte di calore posta a lato dell’alimento, e si possono vedere anche in tutte le rosticcerie ambulanti presenti nei mercati alimentari che propongono ogni genere di carne arrosto.
Gli spiedi verticali facilitano la raccolta del liquido nella leccarda, ma in Italia non è consuetudine servire il liquido di cottura insieme al pollo arrosto, mentre in Francia, dove il grasso non è demonizzato come da noi, il rosticciere chiede sempre se il cliente desidera il jus, il sugo, e ti guarda male se non lo vuoi!
Lo spiedo si presta bene per la cottura della carne anche di un animale di piccole o medie dimensioni intero. Quest’ultimo è il caso del maiale di diverse cucine regionali, come quella sarda con il porceddu.
La cottura allo spiedo è impiegata anche per alcuni pesci e la ricetta più tradizionale è il capitone, la femmina dell’anguilla, di dimensioni maggiori rispetto al maschio, un pesce particolarmente grasso, che si cucina allo spiedo tagliato a tocchetti, dopo una marinatura in succo di limone, sale e pepe. Anche i molluschi dalle carni coriacee, come seppie, totani, polpi, e calamari, possono essere marinati e cotti allo spiedo.
Nella cucina greca e mediorientale lo spiedo verticale (doner) serve per cuocere carni marinate e tagliate a fettine, infi lzate una sopra l’altra, che la cottura rende croccanti in superfi cie e sono poi essere tagliate in piccoli pezzi, con i quali si farciscono panini piatti con aggiunta salsa di yogurt, pomodori, cipolle e spesso anche patate fritte. Nel Gyros Pita greco vi sono carni di maiale e agnello, il Doner Kebab e lo Shawarma della cucina araba sono preparati carne di manzo, agnello, montone vitello ma anche pollo, evitando assolutamente carne di maiale, vietata per motivi religiosi.
Accorgimenti
Per una buona cottura allo spiedo bisogna iniziare con le carni molto vicine alla fonte di calore e, quando iniziano a colorirsi, arretrare e cuocere lentamente.
La salatura della carne va com-
piuta a metà cottura. Per evitare che la carne si secchi, occorrerà bagnarla e ungerla di tanto in tanto, ma non eccessivamente, rischiando che diventi quasi lessa, e perdendo di conseguenza gusto e sapore. I grassi di colatura che si depositano nella leccarda vanno bagnati con brodo e acqua per evitare che brucino, soprattutto se si intende riutilizzarli per condire la carne. Nella cottura dell’uccellame, è consigliata la tecnica del precot.
A fi ne cottura, per rendere le carni più morbide e saporite, è consigliabile avvolgere gli uccelli in sottili fette (barde) di lardo e dare un colpo di fuoco. Per il maiale, e per rendere la sua cotenna più croccante, a cottura quasi terminata si può invece bagnare con la birra, alzando il calore nel fi nale.
Vantaggi e svantaggi
La principale prerogativa della cottura allo spiedo sta nel sapore, perché è una delle tecniche che maggiormente esalta le qualità della carne.
Altra caratteristica è la possibilità di controllare la cottura e di modifi care la temperatura passo passo, rendendo questa tecnica un’arte che permette di seguire la preparazione costantemente in tutte le sue fasi. Uno svantaggio è l’aggiunta di grassi. Se buona parte di questi colano sulla leccarda, è altrettanto vero che per mantenere le carni morbide è necessario ungerle spesso. La cottura allo spiedo richiede molto tempo, uno svantaggio che fa però parte della sua preziosità.
Prof. Em. Giovanni Ballarini
Università degli Studi di Parma
Plancton, Alessandro Fiori
Mangia!
di Giovanni Papalato
“M angia, Alessandro, mangia! Non devi avanzare il pollo”. Nel primo singolo del quarto album di ALESSANDRO FIORI c’è il ricordo di una dinamica infantile comune a tanti se non a tutti. Mangiare tutto quello che c’era nel piatto, pensando a chi non aveva possibilità era un senso di colpa indotto, pesante, che voleva essere consapevolezza e poi coscienza. A me capitava con le verdure, soprattutto quelle verdi. Il pollo, invece, mi piaceva da matti. La sua pelle croccante... Ad un certo punto chiedevo sempre di poterlo mangiare con le mani alla Robin Hood.
Al mercato coperto della mia città c’è ancora un banco che vende esclusivamente polli e oltre alle parti più usate(petto, cosce, sovracosce, ali), ricordo che la zampe venivano usate per il brodo e le creste, i bargigli, il collo per il ragù.
Ma non è solo Mangia! a muoversi in acque scure, poco illuminate, perché “Plancton” è un disco che si immerge tra memorie e ricordi quasi a toccare il fondo per esorcizzare, purifi care e poi risalire.
In questo senso Aaron è davvero un tazebao (manifesto cinese affi sso in luoghi pubblici, generalmente di contenuto politico; per estensione, cartellone o striscione di contenuti analoghi, diffusosi anche in Occidente, NdR). Primo brano, estremamente rappresentativo, tra materia e sogno, mostra tutti gli elementi che poi ricorreranno nel corso del lavoro. Si comincia con la voce di AARON SWARTZ, il geniale programmatore morto suicida. Coautore della prima specifi ca del RSS e delle licenze Creative Commons, attivista fi nanziatore di Reddit, del
gruppo di attivismo on-line Demand Progress e creatore del Guerrilla Open Access Manifesto, denuncia con tono pacato ma deciso che internet è davvero senza controllo e che nessuno può rimanere passivo di fronte a questa realtà. Campionamenti, fratture elettroniche, la voce di Fiori che emerge raccontando di un nuovo giorno, dal canto di un gallo agli operai che vanno in fabbrica, tra beats e loops, in una serie di immagini che riconosciamo nella loro ordinarietà. Nel fi nale, quando il sole è rimasto dietro coperto dalle nuvole, come una coscienza che si vuole occultare, il brano si apre invece ancora a chitarre elettriche che si nutrono della ritmica.
Non c’è tempo di assorbire ed elaborare la forza di un brano come quello appena ascoltato perché lo strumentale che segue, e che dà titolo al disco, nuota esplorativo tra strati di suono prodotti assieme a Tasto Esc e FRNKBRT, ossessiva, densa e ipnotica.
Poi una luce atonale, come i fari di un’auto che passa e sezioni di archi copia incollati sono il preludio alla parata grottesca di Piazzale Michelangelo. Scale che salgono e scendono seguendo un ritmo circense e digitale mentre Fiori canta di vulnerabilità e selfi e, di comitive orientali e di una surreale rappresentazione dell’Arte in un fi nale di chitarre, tra beat e white noise che ricorda certi RADIOHEAD di “Ok Computer”.
Il parallelismo con la band di Oxford prosegue immediato e consequenziale con “Kid A” in Margine, dove la destrutturazione si fa concreta tra voce e spigoli di gomma a infi larsi per uscire da un labirinto di sottrazioni sonore.
Il lato A si conclude con Ho Paura e qui si ha forte la sensazione netta di essere estremamente lontani dalla superfi cie; non ci sono scossoni, correnti a mischiare. I suoni sono come permeati mentre si mette in scena un beffardo incontro con la morte. Una sorta di sogno cosciente, in cui si orienta il percorso onirico senza lasciare quella totale sensazione di altro da sé. Una forma canzone costruita come su sequenze che si sommano senza diventare mai convezione. Colpi esplosi nell’acqua, poi sembra di sentire scatole che meccanicamente si aprono per poi chiudersi in se stesse, una pianola che evoca il suono di un ambulanza, aprono al racconto dell’amore nella malattia di Ivo e Maria. In un continuo movimento tra avvicinarsi e allontanarsi, seguendo le due note della sirena, con empatia, Fiori ci porta nell’intimità di una commovente convivenza, senza scadere mai nel patetico.
Galluzzo è un ping pong di beat allucinato ma estremamente pop che gioca a nasconderlo, pur sapendo di non riuscirci. Compone un dittico perfetto in questo senso con la successiva Mangia!, un tango elettronico di bassi, un granchio che a ritroso si muove nella memoria, ipnotico e onirico. Magnetico, manda in corto circuito il disco. C’è un prima e un dopo.
Da questo reset emerge la preghiera crepuscolare di Madonna Con Bambino Rubato, che si anima di un tribalismo organico, fl usso di coscienza sonoro in cui abbandonarsi, la schiena sopra l’acqua in balia di un mare calmo.
Il “Sereno (...)” che chiude il disco si racconta nei puntini di sospensione, marziale e ambiguo strumentale che tra colpi d’incudine si tuffano in una lenta progressione che rimanda a echi trip hop.
Un viaggio tra acque profonde, muovendosi tra città sommerse, ma animate da storie quotidiane
in cui Alessandro Fiori riesce a rimanere in equilibrio tra racconto e rivelazione.
“Plancton” si manifesta a seconda della luce che lascia fi ltrare o che restituisce, rifrangendola. Da sempre la voce dell’artista casentinese ha la capacità di essere tangibile nel contemporaneo pur venendo da un tempo che è stato. È come se narrasse per immagini e da lì nascessero suggestioni che si svelano chiare e leggibili.
La commistione tra questo elemento così manifesto e il suo opposto rappresentato dal mondo sonoro di “Plancton” dà vita ad un’esperienza straniante ma mai ambigua. Un viaggio che mostra stimoli introspettivi mai banali.
Giovanni Papalato
Note
A pag. 126, photo © Lucio Pellacani.
Un’immagine del video del brano “Mangia!”, diretto da Francesco Faralli e interpretato dallo stesso Alessandro Fiori.