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Biologico: il modello danese
Biologico: il modello danese
di Gaia Borghi
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In occasione della prima edizione di B/Open — la nuova rassegna di Veronafiere dedicata al biologico, svoltasi gli scorsi 23 e 24 novembre in versione digitale come tutte le fiere e gli eventi organizzati negli ultimi lunghissimi mesi —, ho assistito al convegno dal titolo “Biologico. Il Modello Danese”, che ha visto la partecipazione di METTE GAMMICCHIA, Direttore Market Relation del Danish Agriculture & Food Council. La Danimarca è unanimemente riconosciuta a livello internazionale per la sua leadership e la sua esperienza ultradecennale nella produzione biologica: non a caso, infatti, il Paese è stato il primo al mondo a dotarsi di una regolamentazione ad hoc sul bio (1987), a sviluppare standard biologici nazionali e a lanciare un’etichetta biologica (1989). Oggi i prodotti biologici danesi arrivano nei mercati di tutto il mondo, dai grandi mercati vicini come Germania e Svezia, fino alla Cina.
L’ottima reputazione dei prodotti biologici danesi, in un mercato globale che richiede sempre più alimenti sostenibili, si basa sul successo del settore agricolo nazionale, che garantisce elevati standard di sicurezza, tracciabilità e qualità. «Nel 1987 la Danimarca è stata il primo Paese a regolamentare la produzione biologica basando le normative sulla legislazione agricola e alimentare generale nazionale. Ciò significa che, oltre a rispettare le norme sul bio, gli agricoltori e le aziende produttrici di mangimi biologici si attengono anche a tutte le altre normative riguardanti l’ambiente, la natura, il benessere degli animali, la tracciabilità, l’igiene e la sicurezza alimentare» racconta Mette Gammicchia.
Guai a cullarsi sugli allori quindi: le caratteristiche del sistema biologico danese nel suo complesso sono infatti dinamiche, nel senso di volte al raggiungimento di sempre nuovi traguardi, obiettivi migliori, al fine di innalzare gli standard in materia di benessere degli animali, di tutela dell’ambiente e del clima e di etica produttiva e sociale. Come richiedono gli stessi consumatori!
Una nazione BIO
Da dove nasce e quali sono le caratteristiche di questo modello da primato ce lo spiega con esattezza Mette Gammicchia. «Il modello all’origine del primato del Paese nel settore biologico si fonda sulla collaborazione, anzi, meglio, sulla condivisione di un obiettivo comune da parte di tutti gli attori della filiera, pubblici e privati. Partendo dalla politica, innanzitutto, strumento primario per raggiungere determinati successi, alla ricerca, con centri all’avanguardia sostenuti con importanti finanziamenti, alle aziende di produzione e distribuzione, fino ai consumatori: tutti hanno unito le forze e hanno reso possibile l’affermazione del biologico in Danimarca».
Un esempio? La certificazione biologica unica, statale e gratuita a tutti i livelli. «Le imprese che intendono convertire la propria produzione al bio vengono guidate dall’amministrazione veterinaria e alimentare danese in ogni singolo passaggio. E dal momento che l’etichettatura è rilasciata dalle autorità governative, non vi sono costi connessi al processo. Ispettori del Ministero dell’Ambiente e dell’Alimentazione verificano che la produzione biologica sia condotta in conformità delle norme. Tutti gli allevamenti biologici, i fornitori e le aziende alimentari biologiche sono ispezionate dagli ispettori governativi almeno una volta all’anno».
Anche per quanto riguarda i consumi, la Danimarca è da anni al vertice, con una spesa media pro capite che nel 2019 ha toccato i 402 euro all’anno, contro i 54 dell’Italia. «Oltre l’80% dei Danesi compra biologico: conosce perfettamente l’etichettatura distintiva e ne riconosce il valore aggiunto, soprattutto in termini di rispetto e tutela ambientale e di benessere animale» continua Mette Gammicchia. «In Danimarca si registra una crescita di tutte le categorie di prodotti biologici: i consumatori di solito iniziano con gli alimenti di base come il latte, le uova e gli ortaggi, prima di passare ad altri gruppi di prodotti più costosi. Oggi il totale delle vendite bio si aggira intorno ai 2,3 miliardi di euro».
La maggior parte delle vendite di prodotti bio (l’81%) avviene attraverso il commercio al dettaglio e on-line, sempre più diffuso; il resto avviene nella ristorazione fuori casa (15%) e in fattoria (4%). La grande differenza rispetto all’Italia risiede nel fatto che non ci sono negozi specializzati biologici, poiché i prodotti bio si trovano da più di vent’anni nella Grande Distribuzione e nei Discount, con una differenza di prezzo minima per la stragrande maggioranza delle referenze.
I consumi nel segmento “fuori casa” sono un driver significativo nel modello danese. Nel 2019 la crescita è stata dell’11%, portando così il fatturato a 349 milioni di euro. A ottobre 2020, 3.340 locali hanno ottenuto l’Etichetta bio per la ristorazione (misura la quota di ingredienti biologici usati in cucina) e le mense pubbliche e private sono il motore dell’organic way of life. Il bio, inoltre, è sinonimo di alta qualità, tanto che il numero di ristoranti danesi premiati dalle stelle Michelin è passato dai 12 del 2010 ai 35 del 2020. «La Danimarca è da tempo una meta gourmet e anche i locali ai vertici della gastronomia internazionale si contraddistinguono per un menu a base di cibo locale e biologico» conclude Mette Gammicchia.
NaturSkånsom
“Esiste un intero Oceano di buone ragioni per mangiare il modo sostenibile, anche e soprattutto quando si tratta di prodotti della pesca”: nella sua campagna istituzionale di comunicazione del nuovo sistema di etichettatura NaturSkånsom, lanciato a fine 2020, il Ministero danese della Pesca spiega perché come consumatori dobbiamo scegliere di acquistare anche pesce pescato in maniera sostenibile. Perché il mare è “Natura, Cibo e Lavoro” da tutelare (qui il video: naturskånsom.dk). La nuova etichetta NaturSkånsom, che può essere tradotta come Amica della Natura, informerà infatti i consumatori su quali pesci siano stati catturati utilizzando metodi rispettosi della natura (Nature friendly, appunto) e della protezione dell’ambiente marino. «Questo programma di certificazione vuole essere un supporto sia per i consumatori che per i pescatori e, non da ultimo, per la vita nell’oceano» ha dichiarato in proposito il Ministro danese dell’Alimentazione, della Pesca e delle Pari opportunità
MOGENS JENSEN. Il pescato identificato dall’etichetta NaturSkånsom deve soddisfare diversi requisiti, ovvero essere stato catturato con attrezzi “passivi” (compresa la pesca a strascico di fondale) come palangari e reti da traino; da una nave di lunghezza inferiore a 17 metri; provenire da uno stock sano e da battute di pesca brevi (non superiori a 48 ore); infine, i pescatori coinvolti nel programma dovranno aver superato un corso che ha lo scopo di insegnare loro i criteri per garantire pesce fresco della massima qualità.
«La sostenibilità è un elemento essenziale nella pesca danese, su cui lavoriamo da anni» ha commentato ALLAN BUCH, presidente del comitato costiero dell’Associazione danese per la pesca. «Dagli anni ‘90 abbiamo ridotto le emissioni di CO 2 del 60% e oggi l’80% dei nostri sbarchi è già certificato con l’etichetta MSC, che ne garantisce la sostenibilità. Ci auguriamo che la pesca costiera possa trarre il meglio dal nuovo programma di etichettatura e in un futuro non troppo distante esso venga integrato con regimi di sostegno in grado di promuovere altri investimenti in nuove tecnologie verdi».
Gaia Borghi
>> Link: www.visitdenmark.it