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L’ITALIAN SOUNDING CI RUBA 120 MILIARDI DI EURO

È il valore del falso made in Italy agroalimentare nel mondo

Sale a 120 miliardi di euro il valore del falso made in Italy agroalimentare nel mondo. È questo l’allarme lanciato da COLDIRETTI durante la recente edizione di Tuttofood Milano (8-11 maggio 2023), anche attraverso l’esposizione in un’area del Padiglione 1 della top ten del made in Italy tarocco a tavola, con tanto di classifica delle più grottesche imitazioni delle specialità nazionali scovate in tutto il mondo che tolgono spazio e valore sui mercati ai veri pro- dotti tricolori. Sia chiaro: l’industria del falso made in Italy a tavola è diventata un problema planetario. Per colpa del cosiddetto Italian sounding nel mondo oltre due prodotti agroalimentari tricolori su tre sono falsi, senza alcun legame produttivo e occupazionale con il nostro Paese. In testa alla classifica dei prodotti più taroccati secondo Coldiretti ci sarebbero i formaggi, a partire da Parmigiano Reggiano e Grana Padano, con la produzione delle copie che ha superato quella degli originali.

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Russia regina del made in Italy tarocco

La vera novità del made in Italy tarocco, secondo Coldiretti, è oggi rappresentata dalla Russia: con la guerra in Ucraina e l’embargo agli scambi commerciali che ha vietato l’esportazione a Mosca di un’importante lista di prodotti agroalimentari, si è diffusa nel Paese una fiorente produzione di imitazioni del made in Italy a tavola. Il risultato è che in molti territori sono sorte fabbriche specializzate nella produzione di imi- tazione dei formaggi e salumi italiani per sostituire quello originali. Il sindacato russo dei produttori lattiero-caseari, Soyuzmoloko, ha stimato che la produzione di formaggio russo è quadruplicata, raggiungendo 47 miliardi di rubli, pari a oltre 553 milioni di euro, di cui una discreta fetta è rappresentata proprio dai prodotti “simil italiani” come il Parmesan. Addirittura i produttori di formaggio russi hanno espresso fiducia che la Russia possa iniziare a produrre Parmigiano di alta qualità da esportare attivamente in 5-7 anni. All’interno delle stesse aziende, informa Coldiretti, si producono anche Montasio, Pecorino, mozzarella e ricotta e sui mercati si trovano mascarpone, robiola made in Russia, diversi tipi di salame Milano, scamorze e pizza Sono Bello “Quatro” formaggi, con tanto di errore grammaticale.

Italian sounding anche in USA

Se la Russia è il Paese dove il falso made in Italy è cresciuto di più, la leadership produttiva di questa (poco onorevole) classifica è nelle mani degli Stati Uniti dove, secondo Coldiretti e Filiera Italia, il fenomeno delle imitazioni di cibo tricolore è arrivato a rappresentare oltre 40 miliardi di euro, un terzo in valore dell’intero mercato dai tarocchi. Basti pensare che il 90% dei formaggi di tipo italiano in USA sono, in realtà, realizzati in Wisconsin, California e New York: dal Parmesan al Romano senza latte di pecora, dall’Asiago al gorgonzola fino al Fontiago, un improbabile mix tra Asiago e Fontina. Secondo Coldiretti, la produzione di imitazioni dei formaggi italiani nel 2022 ha raggiunto negli USA il quantitativo record di oltre 2,7 miliardi di chili, con una crescita esponenziale negli ultimi 30 anni, tanto da aver superato addirittura la stessa produzione di formaggi americani come Cheddar, Colby, Monterrey e Jack, che è risultata nello stesso anno pari a 2,5 milioni di chili. Il problema riguarda però tutte le categorie merceologiche come l’olio Pompeian made in USA e i salumi più prestigiosi, dalle imitazioni di Parma e San Daniele alla mortadella Bologna o al salame Milano venduto in tutti gli Stati Uniti.

Il Sudamerica tarocca soprattutto i formaggi Anche in Sudamerica il fenomeno, già diffuso, rischia di essere ulteriormente spinto dall’accordo di libero scambio MERCOSUR, che obbliga di fatto prodotti come Parmigiano e Grana a convivere per sempre con le “brutte copie” sui mercati locali, dal Parmesan al Parmesano, dal Parmesao al Reggianito fino al Grana.

Prosecco tarocco

Tra gli “orrori a tavola” rilevati da Coldiretti non mancano i vini: dal Chianti al Prosecco, che non è solo la DOP al primo posto per valore alla produzione, ma anche la più imitata. Ne sono un esempio il Meer-secco, il Kressecco, il Semisecco, il Consecco e il Perisecco tedeschi, il Whitesecco austriaco, il Prosecco russo e il Crisecco della Moldova, mentre in Brasile, nella zona del Rio Grande, diversi produttori rivendicano il diritto di continuare a usare la denominazione Prosecco nell’ambito dell’accordo tra Unione Europea e Paesi del MERCOSUR (fonte: EFA News – European Food Agency).

Pietro D’Angeli è il nuovo presidente di ASS.I.CA.

Lotta al sommerso, riduzione dell’IVA sui prodotti di salumeria dal 10 al 4%, incremento dell’internazionalizzazione, interventi più efficaci per riuscire ad eradicare la PSA dal nostro Paese: il nuovo corso di ASS.I.CA. (Associazione Industriali Delle Carni e Dei Salumi) targato Pietro D’Angeli, neoeletto alla presidenza, riparte da questi capisaldi. Nel corso dell’assemblea annuale dell’associazione, svoltasi il 15 giugno scorso, il passaggio di consegne tra il presidente uscente, Ruggero Lenti, e il suo successore, è stata l’occasione per fare il punto sull’andamento del settore che dopo il periodo pandemico si è trovato subito a fare i conti con l’esplosione dei primi casi di PSA (Peste Suina Africana) registrati ad inizio 2022 tra la Liguria e il Piemonte, a cui si sono uniti gli aumenti dei costi delle materie prime e di quelli energetici oltre al rialzo dell’inflazione: un insieme di criticità che ha messo a dura prova il comparto, penalizzato anche dalla mancata esportazione di prodotti verso Paesi che all’indomani della scoperta dei primi casi di PSA rinvenuti su carcasse di cinghiale hanno deciso di bloccare le importazioni, determinando un danno economico che ASS.I.CA., da subito, ha stimato in 20 milioni di euro per ogni mese di mancate esportazioni.

Calo della redditività

«L’aumento dei costi produttivi ha superato il 25% — ha dichiarato D’Angeli nel suo primo intervento come presidente di ASS.I.CA. — a cui si deve aggiungere un tasso inflattivo che solo nel primo trimestre di quest’anno ha toccato quasi l’8%. Le nostre aziende, nel lodevole tentativo di calmierare i prezzi per non colpire i consumatori, hanno scaricato in maniera molto contenuta sul mercato questi aumenti, determinando però una contrazione dei margini di guadagno e quindi della redditività aziendale, causando a cascata problemi di liquidità con tutte le conseguenze che questo può voler dire per un’impresa. Oggi, poi, con l’aumento dei tassi di interesse, l’accesso al credito per le aziende medio-piccole sta rappresentando un’altra importante discriminante che mina la redditività. E senza redditività non c’è futuro».

Quali le vie da percorrere per trovare una soluzione efficace ai problemi che attanagliano le aziende?

Secondo Pietro D’Angeli si deve partire da azioni concrete perché il segnale, da parte del Governo, deve arrivare forte e chiaro. A iniziare dalla riduzione dell’IVA sui prodotti della salumeria italiana che dovrebbe passare dal 10 al 4%. «Questa misura sarebbe in grado di ridare ossigeno sia ai produttori che ai consumatori — ha sottolineato D’Angeli — i primi potrebbero registrare margini di guadagno meno risicati, i secondi non sarebbero penalizzati da un minor potere d’acquisto. Si tratta di un provvedimento che potrebbe essere adottato da subito equiparando il nostro settore ad altri dell’agroalimentare che già beneficiano di un’IVA al 4%. Subito dopo non posso che pensare all’internazionalizzazione, strumento che nel breve periodo potrebbe dare respiro alle aziende puntando sul grande appeal che l’agroalimentare made in Italy vanta a livello mondiale, a cui si uniscono come elemento di valore aggiunto l’ampliamento delle gamme di prodotti offerti indirizzati a rispondere a consumatori sempre più attenti all’autenticità, ad un regime alimentare equilibrato, alla sostenibilità nel rigoroso rispetto della nostra tradizione alimentare».

Durante il convegno svoltosi successivamente all’assemblea, sono state presentate in anteprima due ricerche che ASS.I.CA. ha commissionato a Ismea sulla distribuzione del valore lungo la filiera.

L’intervento di Fabio del Bravo, responsabile direzione servizi per lo sviluppo rurale di Ismea, ha puntualizzato gli obiettivi della ricerca, ricordando che «la pressione sul mercato suinicolo resta ancora piuttosto alta — ha dichiarato — e nonostante il progressivo ma parziale rientro dei prezzi delle materie prime energetiche e dei costi di alcuni dei principali componenti alimentari, la ridotta disponibilità di carne suina a livello europeo mantiene i listini su livelli elevati».

Anna Mossini

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