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Lenticchia di Santo Stefano di Sessanio: non una lenticchia qualsiasi!

Le lenticchie (Lens culinaris) sono una pianta annuale erbacea appartenente alla famiglia delle leguminose, originaria della Mesopotamia e coltivata ad oggi in tutto il mondo. I frutti sono dei baccelli contenenti due semi dalla caratteristica forma a lente (da cui il nome), la cui dimensione e colore varia molto a seconda della varietà. Quella coltivata nel comune di Santo Stefano di Sessanio e in alcune aree dei comuni limitrofi nel territorio della provincia de L’Aquila è una lenticchia speciale: piccola, dal diametro di pochi millimetri, globosa, saporita e con un colore scuro, marrone-violaceo, striato. Nasce oltre i 1.000 metri di altitudine, solo sulle pendici del Gran Sasso, zona in cui le coltivazioni di legumi sono attestate in documenti monastici del 998. L’habitat ideale, con inverni lunghi e rigidi e primavere brevi e molto fresche, permette alle piantine di maturare in tempi diversi, poiché, una volta sfalciate, se lasciate sul campo accumulate in piccoli covoni e poi ammassate sotto un telo, nutrono comunque i loro semi portandoli a maturazione. Crescendo su terreni brulli e aridi, la lenticchia non ha bisogno di particolari cure, ma diventa un legume impegnativo nel momento della raccolta che si fa sempre a mano, anche perché i campi sono impervi e la meccanizzazione comporterebbe una perdita del 30-40% del raccolto. È un processo che si effettua ancora come 1000 anni fa ed è molto faticoso. Le lenticchie arrivano a maturazione in momenti diversi, questo perché le altitudini sono variabili, di solito tra il taglio e la battitura a volte trascorrono 15 giorni compresi tra la fine di luglio e la fine di agosto. Il presidio Slow Food che tutela la lenticchia di Santo Stefano di Sessanio sposa un progetto avviato negli anni passati dal Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti e dalla Regione Abruzzo che ha permesso di riunire i produttori in un’associazione e di arrivare ad un’etichettatura e ad un controllo del raccolto, al fine di garantire il consumatore da eventuali frodi.

Una zuppa ci rifocillerà acque prima di proseguire, ancora in salita, fino a Penne, uno dei borghi più antichi d’Italia. E poi ancora Loreto Aprutino, città medievale conosciuta dai pellegrini di tutto il mondo, Castel del Monte, arroccato a 1345 metri, coi suoi tunnel sotterranei scavati nella roccia e con le sue tipiche case-torri, e Santo Stefano di Sessanio, borgo mediceo il cui centro storico è interamente costruito in pietra calcarea bianca. E così avanti, camminando, attraverso molti luoghi incantevoli, via via fino ad Anversa e infine a Scanno, con la sua atmosfera rarefatta nel tempo e le tipiche botteghe orafe, ad oggi ultima tappa dell’itinerario percorribile di questo cammino.

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La lenticchia di Santo Stefano non è una lenticchia qualsiasi, ma un biotipo preciso selezionato per questi territori da tempo immemore. Proprio per le piccole dimensioni, 2-5 mm, questo tipo di lenticchia non ha bisogno di essere messa in ammollo, è straordinariamente saporita e il modo migliore per apprezzarla è in zuppa. Basta coprirla con acqua, aggiungere spicchi d’aglio scamiciati, qualche foglia di alloro, sale, olio extravergine di oliva, e portare ad ebollizione, a pentola chiusa. Per festeggiare il raccolto di agosto, nella prima settimana di settembre viene organizzata ogni anno una sagra durante la quale è possibile degustare piatti tipici popolari, come, appunto, la zuppa di lenticchie con i crostini, una pietanza ideale al termine di una giornata di cammino per ritrovare forze e buonumore, soprattutto se accompagnata da un Cerasuolo d’Abruzzo Doc, ottimo vino rosato ottenuto da uve Montepulciano d’Abruzzo.

Insomma, tante avventure, e tutte diverse, dentro ad una sola, che è l’Abruzzo con il suo Cammino, nella sua peculiarissima varietà di paesaggi e borghi incorniciati da una immensa natura incontaminata e incontrastata. L’Abruzzo, un territorio piccolo ma grande, semplice e splendido al tempo stesso, caratterizzato da una bellezza stupefacente, quella che non ti aspetti e che, forse proprio per questo, resta indimenticabile agli occhi e al cuore.

Elena Simonini

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