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PREMIATA SALUMERIA ITALIANA 5-2020
Vini dei Pitoti
La riscossa della viticoltura camuna
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di Riccardo Lagorio
Come in una fotografia scattata a fine Seicento, il padre minore riformato GREGORIO BRUNELLI affresca il fondovalle camuno che si incarna “prima nella pianura a verdeggiare prati e germogliare campi, poi nella costa e nei dossi a stendersi in alte pergolate e lunghe file le viti co’ pampini” (CURIOSJ TRATTENIMENTI, Venezia, 1698), chiarendo che le Schiave e i Moscati danno migliori risultati. Scavata dai ghiacciai e rimodellata dallo scorrere delle acque del fiume Oglio, la Valcamonica, in provincia di Brescia, rappresenta un territorio complesso per la sua storia e la sua geografia. Alla fi ne delle interminabili gallerie che infilano le montagne a picco sul lago d’Iseo, la Valcamonica si apre come per miracolo.
Il paesaggio, descritto da muretti a secco e da terrazzamenti che hanno reso possibile l’utilizzo dei pochi spazi disponibili, per secoli si è fondato su un sistema agricolo centrato sulla viticoltura e sulla castanicoltura.
Losine, Ono, Erbanno, Cerveno e Gorzone sono le località che più di altre vengono citate come migliori per la produzione di vino nei documenti tra Sette e Ottocento.
Nella seconda metà dell’Ottocento l’abbandono della vite si fece però evidente, a favore dell’introduzione di gelsi per l’allevamento dei bachi da seta e a causa di susseguenti attacchi di oidio, peronospora e filossera.
Altro aspetto che giocò a sfavore della viticoltura fu l’insediamento di aziende industriali e artigianali nella seconda metà del Novecento, tanto che dagli oltre 2600 ettari vitati del 1956 si passò agli 85 del 2001.
Durante quei 45 anni negli appezzamenti vitati si potevano trovare Uva rara (conosciuta in loco come Valcamonec o Balsamina), Schiava Lombarda (Ciass negher), Barbera d’Asti, Merlot, Ciliegiolo e Incrocio Terzi.
Il generale clima di riscoperta e recupero delle attività agricole a rischio di scomparsa ha funzionato da stimolo per l’Associazione Produttori Agricoli di Valle Camonica (APAV) nel 1999, dalla cui sensibilità nascerà nel 2003 la Cooperativa Rocche dei Vignali (rocchedeivignali.it).
Oggi la compongono 18 soci. Insieme coltivano una superficie di poco più di 10 ettari, «ma il loro ruolo è ben più importante dei numeri, poiché garantisce un presidio ambientale e sociale al territorio» spiega il presidente GIANLUIGI BONTEMPI. «La stella polare che ci guida è l’amore per la nostra valle e le nostre tradizioni».
Prova ne sono le etichette come Dess, il metodo classico da uve Chardonnay e Manzoni bianco che prende il nome dal substrato calcareo bianco tipico dei terreni sotto la Concarena, la montagna incantata degli antichi Camuni, e la punta di diamante della cantina, Camunnorum. Un vino ammaliante nel colore rosso rubino intenso, nei profumi di frutta matura ottenuti grazie al parziale appassimento di circa 2 mesi in cassetta dopo la vendemmia e nel gusto rotondo e sapido conferito dall’affinamento di botti di rovere.
Un’altra ventina di aziende agricole compongono il panorama viticolo camuno. Alcune di loro appartengono al Consorzio Vini IGT Valle Camonica (consorziovinivallecamonica.it). Vista l’impossibilità a citarle una per una, ne abbiamo scelte alcune tra le più significative.
Come quella di FAUSTO e ANTONIO LIGABUE, protetta sotto l’affascinante chiesa romanica dedicata a San Siro a Capo di Ponte (agricolaligabueantonio.com). «La mia famiglia ha sempre prodotto vino e dal 2004 abbiamo iniziato a imbottigliare. Il nostro impegno è recuperare la naturalità nella conduzione delle vigne, prive di pesticidi e tagli, e nell’ottenimento del vino, privo di solfiti aggiunti e lieviti selezionati» spiega il padre Fausto.
Tas 2006, Merlot, è probabilmente uno dei migliori vini assaggiati negli ultimi anni. Tenero e autorevole come un padre, carezzevole e didattico come una madre.
Una gioia all’occhio il suo profilo cardinale, una sferzata di bosco il naso, un viale alberato di cipressi senza fine la bocca. Dei quasi 2 ettari suddivisi in 5 diversi appezzamenti, Ligabue si distingue per avere impiantato anche vitigni di montagne lontane come Cornalin, Fumin e Petite Arvine.
Vinificate invece da ceppi di Barbera centenari ai piedi della Concarena, tra Cerveno e Losine, le bottiglie di Minègo, ogni anno uniche, possiedono irresistibili note di spezie e inattese chiusure di geranio al naso.
Le incisioni rupestri di Valcamonica sono state il primo sito in Italia riconosciuto dall’UNESCO come Patrimonio dell’Umanità. Ne sanno più di qualcosa SANDRO SORTENI e GIACOMO
LAIDELLI, i proprietari della Cantina Flonno (cantinaflonno.it), che come etichette hanno selezionato proprio le immagini più eloquenti dei pitoti, le figure antropomorfe scolpite nel Parco nazionale, all’interno del quale sono impiantati i vigneti. Grandimani, Merlot in purezza che rappresenta l’orante dalle mani spropositate, risulta equilibrato e fine, possiede buona struttura aromatica e persistenza.
Anche la Cantina Monchieri (cantinemonchieri.it) è stata fondata nei primi anni Duemila da SILVIA TORETTI e dal marito GIAN MARIO. Dai 3 ettari di proprietà la sfida, vinta, è stata ottenere un corposo rosso, Rosso Donna, da uve Marzemino e Merlot, e un Metodo Classico Pas Dosé di Chardonnay, brillante e ammandorlato.
Dalla Valle Camonica proviene anche il migliore spumante a livello mondiale realizzato con uve autoctone (del concorso diamo ampio spazio nell’articolo Euposia International Challenge sui vini spumanti a pagina 108 di PREMIATA SALUMERIA ITALIANA n. 3/2020) e lo produce ALEX BELINGHIERI (vinivallecamonica.com), in appezzamenti situati a Cividate Camuno, sede del Museo nazionale dove si conserva anche un pilastrino con Bacco fanciullo rinvenuto a Malegno.
Il suo Nautilus, di uve prevalentemente Ciass negher, trascorre 24 mesi nelle profondità del lago d’Iseo, a temperatura e pressione costanti. Bollicine incessanti e sottili, colore biondo scarico, profumi di ginestra e camomilla avvinti intorno a un retrogusto lavico rendono euritmico e sensuale questo vino versione JULES VERNE.
La storia di Alex Belinghieri è rivelatrice di un lungimirante approccio alla terra. Tra il 1999 e il 2007 gestisce il ristorante di famiglia, dove ha la possibilità di assaggiare e rifl ettere sul mondo del vino, che interpreta in maniera rigorosa. «I ceppi più antichi delle vigne di Ciass negher risalgono al 1890, quelli più recenti al 1940. In vigna combatto l’oidio esclusivamente con zolfo e la peronospora per mezzo del rame. In cantina la fermentazione dei mosti delle uve rosse è affidata ai lieviti autoctoni e limito moltissimo l’uso dei solfiti», spiega. Le vigne d’Incrocio Manzoni rivolte a sud a 700 metri di altitudine nei pressi del santuario dell’Annunciata restituiscono il Bianco dell’Annunciata, fruttato di pesca e con ricordi di menta al naso che si ripercuotono, lievi, in bocca.
Per conoscere l’attuale realtà vinicola camuna bisogna avvicinarsi a quei “collibus viniferis quae vinis optimis celebrantur… Orbanno praecipue Castello” secondo quanto richiamato da ANDREA BACCI nella sua Storia naturale dei vini (1595). È proprio ad Erbanno che ENRICO TOGNI nel 2003 decide di recuperare i vigneti impiantati dal nonno negli anni Sessanta. «Una scelta controcorrente, ma che mi dà sempre più soddisfazioni. Specie ora che ho trovato un equilibrio tra la coltura della vite e degli ortaggi e cereali tra le vigne, a filari alterni».
Tra queste l’Erbanno, il vitigno che meglio di altri resiste alle malattie e quindi permette un numero ridotto di trattamenti. Enrico Togni ottiene così il San Valentino, porpora di colore, profumo speziato, verticale e spigoloso. Note che si scorgono anche nella versione Metodo Classico rosato, il Martì Cuntrare.
Rispetto per l’ambiente, recupero dei muretti a secco che ripagano con vini luminosi e delicati, equilibrati e armonici come il 1703, di uve Nebbiolo (localmente, Barzemì). Nebbiolo, va rietà Michét, e Chiavennasca che anche STEFANO MATTI a Berzo Demo coltiva ai 600 metri di altitudine in località Conca d’Oro. Ne ottiene un bicchiere dal colore rosso granata e profumi intensi, caldi di lampone e ribes rosso, bocca alcolica e vellutata con ricordi balsamici.
Due altre interessanti realtà hanno messo a dimora Incrocio Manzoni. Ci hanno creduto TINO TEDESCHI, dell’Azienda Agricola Scraleca (scraleca.it) e La Muraca dei FRATELLI CHIAPPINI.
«Il particolare microclima che si trova sulle sponde del lago Moro, dove abbiamo i vigneti, ci permette di ottenere Griso, un vino corposo con buona vena acida secondo le norme della produzione agricola integrata della Regione Lombardia» spiega Tino Tedeschi, che da poco è stato eletto presidente del Consorzio Vini Valle Camonica.
MARIO e GIANPIETRO CHIAPPINI hanno infine disboscato ronchi utilizzati sino a qualche decennio prima, ripulendoli anche dai sassi ammonticchiati per l’utilizzo del terreno, detti in loco murache. Da questi terrazzamenti sotto la Concarena nasce un vino bianco ottenuto da fermentazioni spontanee, sulfureo, pieno di erbe e miele ma sostenuto da buona acidità, ideale per essere stappato trascorsi almeno cinque anni dalla vendemmia.
Messaggio lanciato dalla Valle Camonica a coloro che sono sostenitori dei vini bianchi consumati giovani.
Riccardo Lagorio