15,2 mm
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Questioni
Una collana indispensabile sulle diverse questioni, attuali e scottanti, che riguardano la famiglia, nata dalla collaborazione tra il Gruppo Editoriale San Paolo, l’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Famiglia della CEI e il Centro Internazionale Studi Famiglia (CISF) di Milano.
La famiglia, nel nostro ordinamento giuridico, è un’istituzione che possiede caratteristiche naturali, che l’ordinamento mutua dalla realtà e che non possono essere diversamente create o manipolate. Nel quadro di questo sistema definito dalla Costituzione, non sembra legittimo
Matrimonio, famiglia e legge naturale
Questioni di Famiglia
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dovi un’univoca scelta dell’ordinamento. Da questa stabile certezza, il presente volume esplora il territorio dei diritti e dei doveri legati al matrimonio e alla famiglia: i rapporti di convivenza e il loro valore giuridico, i doveri di fedeltà e assistenza morale e materiale, la genitorialità biologica e la responsabilità genitoriale, la crisi del rapporto coniu-
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identificare una molteplicità di modelli familiari, essen-
di Famiglia
ALBERTO GAMBINO
Matrimonio, famiglia e legge naturale Uno sguardo ai diritti e ai doveri
gale, il ricorso alla procreazione medicalmente assistita.
€ 8,90 UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLA FAMIGLIA Conferenza Episcopale Italiana
Alberto Gambino
MATRIMONIO, FAMIGLIA E LEGGE NATURALE Uno sguardo ai diritti e ai doveri
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INTRODUZIONE
L’idea di fondo del modello costituzionale di famiglia quale “società naturale” si spiega nella convinzione dei Costituenti che ci si trovi di fronte a una realtà che non è creata dal legislatore, ma, anzi, che il legislatore è tenuto a osservare per comprenderne la struttura e le funzioni. Come ci ricordava Arturo Carlo Jemolo, la famiglia è un «dato che viene prima» e che l’ordinamento non può regolare o manipolare, ma solo tutelare. Eppure, alcune recenti tendenze culturali, tributarie di un riformismo “ideologico”, che da azione politica di tutela e protezione delle fasce deboli della società sposta il tiro sull’annullamento della «dimensione naturale» delle relazioni umane, hanno reso il significato di famiglia permeabile ai mutamenti 5
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sociali, postulando che il diritto debba farsi “mite” e non possa “intralciare” orientamenti che competono all’autodeterminazione del singolo. L’adesione richiesta al credente nei confronti del dato sociale in continua evoluzione è però, per dirla con un’efficace e fortunata espressione di Philipp Heck, un’adesione (non cieca, ma) «pensosa», «riflessiva», e cioè costantemente attenta a cogliere le opzioni di ordine valutativo e tenerne adeguatamente conto anche nella soluzione dei casi non espressamente regolati. L’idea che va respinta è quella secondo cui la complessità sociale e il pluralismo dei valori abbiano messo ormai definitivamente in crisi qualsiasi aspirazione a cercare il senso del “giusto”. Perché proprio qui – e forse solo qui – si misura il contributo del laico credente impegnato nella costruzione di un “bene” che da personale si fa comune. Il tema del riconoscimento di diversi modelli di famiglia coinvolge un quesito che interessa nel vivo l’ordinamento italiano: esiste davvero un diritto progressivo senza barriere nazionali che a colpi di maggioranze comporterà che l’ordinamento interno 6
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dovrà cedere all’azzeramento del criterio della distinzione di sesso in maschile e femminile ai fini della legittimazione a contrarre matrimonio e subito dopo ad adottare minori? Complementari al quesito si rivelano altre tre vicende che incidono sull’istituto familiare. La prima riguarda l’esatto inquadramento della scelta legislativa dell’abbandono dell’istituto della «potestà genitoriale», che descriveva in senso giuridico il rapporto genitore-figlio, a favore di quello della «responsabilità genitoriale», a testimonianza di un ormai recepito cambiamento di prospettiva nel rapporto dei genitori con i figli: non più riconducibile alla dimensione “autoritaria” della potestà, ma improntata sulla figura del diritto e del dovere del figlio. Una prospettiva, cioè, in cui l’oggetto primario di tutela per l’ordinamento è il superiore interesse della prole. La seconda concerne la fase della crisi della famiglia e del matrimonio, dove l’istituto della separazione non era mai stato pensato dal legislatore quale passaggio procedimentale per giungere ineluttabilmente al divorzio, ma come fase temporanea che può dar 7
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luogo anche a una riconciliazione tra i coniugi. Ora, abbreviarne i tempi, in nome di una maggiore efficienza e di un presunto effetto deflattivo del contenzioso, diminuisce inesorabilmente le chances di equità e giustizia, e – perché no – di reversibilità della crisi. A fare da contraltare a quella che appare una sorta di precarizzazione del matrimonio, l’anelito alla stabilità anche giuridica delle convivenze tra persone dello stesso sesso, che tuttavia cela l’obiettivo reale: il diritto all’adozione dei figli dei compagni, anticamera di un diritto pieno all’adozione. La terza vicenda, che si cristallizza nella sentenza n. 162 del 2014 della Corte costituzionale, con l’illegittimità della disposizione che vieta il ricorso a un donatore esterno di gameti nei casi di infertilità assoluta, riguarda l’emersione di un modello di famiglia “artificiale” slegata da legami biologici e sempre più ancorata a una genitorialità sociale provocata dalla tecnologia riproduttiva. La dimensione istituzionale, e non meramente volontaristica, del matrimonio su cui si fonda la famiglia richiede che i “nuovi” percorsi normativo-giurispru8
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denziali vadano quantomeno rettificati. Con l’onestà, però, di riconoscere che la promozione dei caratteri propri del matrimonio civile e della famiglia costituzionale non discende dal retaggio di una derivazione dai contenuti del matrimonio “cattolico”, ma dalla piena consapevolezza che il matrimonio civile non sia paragonabile a un semplice contratto, finendo così per banalizzare il contributo sociale straordinario di un istituto che, pur nella sua complessità di relazioni, rappresenta il modello giuridico preposto alla stabilizzazione dei rapporti in vista di un’auspicata, possibile, ma non scontata, accoglienza dei figli.
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I LA FAMIGLIA COME VINCOLO GIURIDICO. ISTITUZIONE O CONTRATTO?
1. Breve storia di categorie e istituti familiari La Costituzione presenta un progetto sulla famiglia, con una visione complessiva, articolata in linee guida. Le norme costituzionali sono programmatiche e fissano i contorni entro i quali il legislatore è chiamato a operare per realizzare un progetto autenticamente costituzionale di famiglia. Un progetto in cui emerge chiara l’idea di un istituto fondato sulla funzione solidale e assistenziale da un lato, ed educativa dall’altro. Al ruolo costituzionale della famiglia appartiene anche la funzione educativa dei genitori, che non consiste nell’imposizione ai figli di valori, ma nell’educazione alla libertà. Funzioni differenti da quella affettiva, che 11
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caratterizza la famiglia sul piano sociale. Per il diritto, la famiglia non costituisce un contenitore di emozioni, in quanto una famiglia è tale se fondata sul matrimonio, pur se difetta sul piano emozionale un legame tra i suoi membri. Nell’ottica del diritto, il legame affettivo è solo un dato di fatto, peraltro di non agevole percezione. Nella storia, la famiglia si presenta sempre come nucleo aggregativo alla base di ogni società organizzata e dotato di un connotato essenziale, che va al di là di qualunque valutazione etica: la finalità procreativa. Secondo una concezione illuministica, la famiglia rappresenta un’associazione di individui, che si accordano per realizzare i propri interessi individuali. In tale prospettiva, il matrimonio è un “contratto libero”, con cui liberamente ci si obbliga, e da cui altrettanto liberamente ci si può svincolare. Con il matrimonio si crea una società particolare inserita nella ComunitàStato, al pari di questa fondata sulla libertà e uguaglianza dei suoi membri, e altresì sull’indipendenza dallo Stato. La famiglia non persegue interessi superiori della collettività, e la figura del “diritto” predomina su quella del “dovere”. 12
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Secondo l’altra tradizionale concezione della famiglia, istituzionalistica e organizzata in modo gerarchico, il matrimonio assurge a vincolo etico, capace di costituire una nuova entità, in cui l’interesse personale dei membri si fonde in quello superiore e preminente, costituito dall’unità familiare. Nella Carta fondamentale, il modello di famiglia si presenta alternativo ai modelli precedenti: si vuole conciliare la rigidità della visione istituzionale e la flessibilità dell’impostazione privatistica o contrattuale1. Tra le formazioni sociali che la Repubblica riconosce e garantisce nell’art. 2 della Carta costituzionale vi rientra la famiglia, intesa però dall’art. 29 come «società naturale fondata sul matrimonio». I Costituenti erano animati da una cultura profondamente solidaristica e personalistica, incentrata sui valori della responsabilità e del dovere, in cui il diritto era concepito come strumento per la protezione e la realizzazione della persona. È utile chiedersi, allora, 1 L. Violini, «Famiglia e Costituzione. Una o più società naturali?», in AA.VV, La costituzione repubblicana. Fondamenti, principi e valori, tra attualità e prospettive, Atti del convegno del 13-15 novembre 2008, Milano 2010, 163 ss.
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quale fosse l’idea di base dei Costituenti quando scrissero le norme sulla famiglia. E quale tipo di visione della libertà avessero in mente: se una libertà assoluta, priva di qualunque condizionamento, o meno. Il centro dell’architettura costituzionale sulla famiglia è la persona. Gli artt. 29, 30 e 31 sono ispirati da una logica personalistica e i diritti della famiglia sono riconosciuti e tutelati come “originari”, non determinati dallo Stato, che per definirli e regolarli deve guardare “ad altro”, non a se stesso. Il punto, allora, è stabilire se nel disegno costituzionale la famiglia sia una figura unitaria; oppure se esista una molteplicità di figure che siano tutte riconducibili al comune denominatore che prende il nome di famiglia. La modernità si fa portavoce di una concezione della famiglia di tipo individualistico, che si contrappone al modello solidaristico della Costituzione. Si fa sempre più pressante la richiesta di affiancare al matrimonio la convivenza more uxorio e di riconoscere giuridicamente le unioni tra omosessuali. Per la convivenza si chiede un trattamento simile a quello previsto per la famiglia fondata sul matrimonio, mentre, per altro verso, è possibile 14
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concepire il vincolo familiare composto da individui dello stesso sesso. Eppure la storia dell’istituto del matrimonio non è in linea con gli aneliti che vengono dalla società. Nel diritto moderno l’atto del matrimonio si differenzia dagli altri accordi che i privati pongono in essere perché la validità del legame dipende dal fatto che il consenso debba essere manifestato davanti a un rappresentante dell’ordinamento a ciò autorizzato. Non si tratta di un mero formalismo, e la disciplina del procedimento (della celebrazione, delle pubblicazioni e così via), che potrebbe sembrare ovvia, rappresenta un elemento essenziale, posto a garanzia della certezza del rapporto e della conoscibilità delle relazioni familiari. La pubblicità che riguarda la celebrazione vuole scongiurare vincoli incestuosi, clandestini, o il rischio che si diffonda la poligamia. La tendenza che vorrebbe l’istituzione di un vincolo a prescindere dalla forma dell’atto del matrimonio, per effetto di un mero consenso, non coglie la distinzione sussistente tra piano giuridico e piano sociale con l’attribuzione di diritti e doveri, che tendono ad affermare il valore 15
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fondamentale della persona umana, che costituisce la pietra angolare dell’edificio costituzionale. Se si vuole analizzare la disciplina della famiglia, il modello costituzionale di famiglia e le tutele ad essa riconosciute, il primo richiamo è all’art. 2 della Costituzione, che prevede la garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo come singolo e nelle formazioni sociali in cui esplica la sua individualità. Sono le formazioni sociali a dar vita alla complessa rete dei rapporti umani, che proiettano il singolo nella dimensione di “persona”, secondo una tradizione culturale intrisa di valori cristiani. La famiglia è la prima delle formazioni sociali in cui l’individuo si riconosce e si realizza come persona. Nell’ottica della Costituzione, la famiglia si presenta come sede naturale in cui l’individuo si fa persona. Il luogo in cui si definiscono i diritti inviolabili garantiti dagli artt. 2 e 29 della Costituzione. Nel chiedersi se l’assetto della Costituzione parli di famiglia o famiglie non si deve far riferimento alle analisi sociologiche o economiche, perché la realtà sociale ci mostra aggregazioni di diversa natura, struttura e funzione. Se l’analisi dei dati normativi resta 16
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circoscritta all’art. 2 della Costituzione nulla ostacolerebbe l’identificazione di diversi modelli di famiglia, perché la norma si riferisce alle forme di aggregazioni sociali. Ma l’art. 2 deve essere letto in correlazione all’art. 29, primo comma, della Costituzione. I Costituenti hanno operato una scelta univoca nella definizione della nozione di famiglia, perché nell’ambito della molteplicità delle formazioni sociali in cui un individuo diventa persona, la famiglia viene identificata come la società naturale fondata sul matrimonio. La famiglia, nel nostro ordinamento, è un’istituzione e non uno strumento privatistico. Un’istituzione con delle caratteristiche naturali, che l’ordinamento mutua dalla realtà e che non possono essere diversamente create o manipolate, come la monogamia, l’esogamia, cioè l’assenza di un vincolo di parentela, e l’eterosessualità. Nel quadro del sistema dell’ordinamento definito dalla Costituzione, non sembra legittimo identificare una molteplicità di modelli familiari, essendovi un’univoca scelta sancita dall’ordinamento. La finalità primaria che la Costituzione attribuisce alla famiglia è indicata dal primo comma dell’art. 30 17
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nel diritto-dovere dei genitori di mantenere, educare e istruire la prole. Un ruolo primario che trova conferma nell’art. 31, che impone alla Repubblica il dovere di intervenire, con provvidenze anche di tipo economico, per consentire alla famiglia di adempiere ai doveri previsti dalla Costituzione. Le caratteristiche del modello di famiglia della Costituzione non sembrano dunque trasferibili alle altre forme di convivenza2. Dal progetto costituzionale emerge un filo conduttore tra famiglia, società naturale, società civile e istituzioni, che se alterato o distorto, può produrre disfunzioni sociali. Il tema delle unioni di fatto, ossia del riconoscimento di autonoma e piena dignità giuridica può ritenersi ammissibile nei limiti di uno stato di bisogno della persona, ma non richiede una “giuridificazione” come modello, pena l’automatica entrata in concorrenza con il modello di famiglia di cui all’art. 29 della Carta costituzionale. L’idea di fondo del modello costituzionale di “famiglia società naturale”, si spiega nella convinzione 2 A.M. Gambino, «Introduzione», in La Costituzione repubblicana. Fondamenti, princìpi e valori, tra attualità e prospettive. Atti del Convegno 13-15 novembre 2008, a cura di C. Mirabelli, Roma 2010, 87 ss.
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dei Costituenti che ci si trovi di fronte a una realtà che non è creata dal legislatore, ma, anzi, che il legislatore è tenuto a osservare, per comprenderne la struttura e le funzioni. Come sottolineava Jemolo, la famiglia è un «dato che viene prima» e che l’ordinamento non può regolare o manipolare, ma solo tutelare. L’espressione “società naturale” non si esaurisce certamente nell’idea di “famiglia tradizionale”. Se venisse meno infatti la spinta della tradizione, come per certi versi è riscontrabile nel contesto sociale odierno, la famiglia comunque non potrebbe essere ridotta a un mero fatto sociale. Il riconoscimento giuridico della dimensione sociale della famiglia è sempre necessario. L’ordinamento parte dal bisogno sociale, dalle necessità che mostra la società di dotarsi di uno strumento legale di tutela e promozione di valori. La dimensione legale non può, però, prescindere da una propria e autonoma valutazione. E non ci può allontanare dal bisogno di valutare ciò che sia giusto o non giusto, buono o cattivo, naturale o innaturale, perché si tratta di una responsabilità interpretativa del giurista rispetto al tema della famiglia di quanto è naturale o innaturale. 19
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Altro problema è se si possa aprire il matrimonio oltre la diversità dei sessi. Un’estensione dell’istituto matrimoniale alle unioni gay si è avuta in Spagna dal luglio 2005, in Olanda dal 2001, in Belgio dal 2002, in Canada dal 2005, in Inghilterra dal 2013, in tutti gli Stati degli USA (a partire dal 26 giugno 2015), e via discorrendo. In Francia è stato introdotto un modello contrattuale, il pact civil de solidarieté con la legge n. 99-944 del 1999. Le richieste di riconoscimento del valore giuridico delle unioni omosessuali si basano su una precisa visione antropologica: la diversità sessuale sarebbe una costruzione sociale e non un dato biologico. Le teorie del gender tendono a negare o a sminuire la rilevanza dell’identità sessuale, che prescinde dalla natura maschile o femminile. In tale prospettiva, in ottemperanza al principio di uguaglianza dell’uomo e della donna, il concetto di “persona” dovrebbe sostituire quello biologico di maschile e femminile. La fedeltà, ossia l’esclusività del vincolo, è l’unico elemento a perdurare, ma solo per consacrare il legame affettivo, non già per limitare il vincolo di filiazione alla famiglia legittima. 20
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La questione è se possa il diritto trascurare e disinteressarsi del fatto del maschile e del femminile e delle connesse conseguenze sul piano biologico, e se il diritto possa negare la realtà con un “artificio” per legittimare tutele giuridiche.
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