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VITE ESAGER ATE
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VITE ESAGER ATE
«L’uomo con la giubba lisa da marinaio alza il viso da vecchio cane, osserva il ragazzo come se stesse dicendo una cosa ovvia. Sa benissimo cosa c’è scritto su quella nuda lapide: “Qui giacciono la cenere e le ossa del peggior uomo che il mondo ha avuto”»
IL BACIO DI SIVIGLIA
Storie di chi ha mosso ben più che montagne, donne e uomini rapiti in un amore per Dio capace di generare vita e speranza.
DAVIDE RONDONI
Davide Rondoni ha pubblicato alcuni volumi di poesia, tra i quali Si tira avanti solo con lo schianto (Whyfly, 2013), Rimbambimenti (Raffaelli, 2010), Apocalisse amore (Mondadori, 2008), Avrebbe amato chiunque (Guanda, 2003), Compianto, vita (Marietti, 2001), Il bar del tempo (Guanda, 1999), con i quali ha vinto alcuni dei maggiori premi di poesia. Realizza e collabora a programmi di poesia in tv e ad alcuni quotidiani come editorialista. Ha fondato e fa parte del Centro di poesia contemporanea dell’Università di Bologna. Dirige le collane di poesia per Marietti e CartaCanta e “Il piccolo festival dell’essenziale” a Roma. È autore di teatro e di traduzioni da Baudelaire, Rimbaud, Péguy e altri. Per la prosa ha pubblicato E se brucia anche il cielo, romanzo di Francesco Baracca (Frassinelli, 2014), Se tu fossi qui (San Paolo, 2014), Premio Andersen per narrativa ragazzi, Gesù, un racconto sempre nuovo (Piemme, 2013), Hermann (Rizzoli, 2010), I santi scemi (Guaraldi, 2003). Ha scritto diversi saggi tra cui L’amore non è giusto (CartaCanta, 2014).
Miguel Mañara, l ’uomo che fu
DON GIOVANNI
Progetto grafico: Luca Dentale / studio pym Foto copertina: Isabelle Lafrance / Arcangel
€ 12,00
9 788821 598340
A Siviglia c’è un segreto. Chi era l’uomo che fu don Giovanni? Cosa cercava il collezionista di amori, di baci, di appuntamenti? È esistita veramente la figura che ha ispirato nei secoli tante opere, da Tirso de Molina a Mozart, a tanti autori recenti? Il protagonista del romanzo – un giovane uomo dei nostri giorni – si mette sulla strada di don Giovanni per comprendere e per vedere cosa ha da dire quella figura misteriosa alla sua vita e al suo amore. È mosso da una ferita, da un trauma e da una domanda. Un viaggio che ci porta nella storia e nei personaggi di quella grande capitale nobile e commerciale dell’immenso Regno di Spagna, in un teatro fastoso e oscuro di amore e morte. Al centro la figura di Miguel Mañara, cavaliere focoso e protagonista di una vicenda speciale, di una vita esagerata. Intorno a lui una scena di personaggi pieni di luce e di ombre, modernissimi e antichi. Una storia ricca di colpi di scena, di una umanità profonda e appassionata, attraversata dal dramma di sempre: cosa è amare?
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IL BACIO DI SIVIGLIA Miguel Mañara, l’uomo che fu don Giovanni
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© 2016 EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) www.edizionisanpaolo.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) © 2016 PERIODICI SAN PAOLO s.r.l. Via Giotto, 36 - 20145 Milano www.famigliacristiana.it Allegato a Famiglia Cristiana di questa settimana Direttore responsabile: Antonio Sciortino Settimanale registrato presso il Tribunale di Alba il 7/9/1949 n. 5 P.I. SPA - S.A.P. - D.L. 353/2003 L. 27/02/04 N. 46 - a.1 c.1 DCB/CN Progetto grafico e realizzazione editoriale: studio pym / Milano Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo volume potrà essere pubblicata, riprodotta, archiviata su supporto elettronico, né trasmessa con alcuna forma o alcun mezzo meccanico o elettronico, né fotocopiata o registrata, o in altro modo divulgata, senza il permesso scritto della casa editrice. ISBN 978-88-215-9834-0
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A Marina Sangiorgi che doveva far parte di questa collana e ora fa parte di una piÚ alta corona. E a mio figlio Bartolomeo per i suoi vent’anni.
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Antefatto
Il mare oggi sembra una distesa viscida. Stiamo scivolando lentissimi tra le squame di un grosso serpente. Sono giorni che abbiamo visioni maledette. Risate beffarde nell’aria. Io ogni tanto sento mio fratello chiamare, siamo nel cortile, ho cinque anni. A volte una testa di drago esce da un mucchio di corde. Anche stanotte uno di noi si è alzato atterrito e voleva uscire sul ponte, nel vento. Lo abbiamo dovuto trattenere con la forza. Gli ho gridato in faccia a lungo, ma lui mi guardava e non mi vedeva. Muoveva le labbra e non diceva niente. Voleva farsi risucchiare dalla notte. Prima di addormentarci ci fissiamo l’uno con l’altro, tra i tonfi delle onde sullo scafo, a chi tocca stanotte? Le labbra sono screpolate, gli occhi acquosi e spenti dalle febbri. Ci dobbiamo tenere tra noi, è un patto non detto. Come condannati, come bambini. È giunta voce che su un’altra nave un marinaio è uscito in preda al delirio e al mattino di lui hanno trovato sul ponte solo i vestiti e alcuni denti. Stanotte mi sono accorto io di quello che voleva 7
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uscire. Tutti gli altri dormivano, sulle brande sudice o buttati per terra. Si è tirato su d’improvviso dritto e silenzioso. Come a un comando. Ho provato a bloccarlo per le braccia. Mi sono messo di fronte a lui. Ho detto il suo nome, ma è come se non avessi detto niente. Per fortuna, altri due si sono svegliati per il piccolo trambusto nella stiva dove dormiamo e lo hanno trattenuto. Mi avrebbe ucciso forse pur di andarsene fuori, a rispondere al nulla. A volte penso: ora tocca a me. E anche: forse la morte non è peggio di questo mare immobile. Se guardo gli occhi allucinati dei miei compagni penso che abbiamo pensieri simili, molto simili. Ma ho promesso a Luz che tornerò. E il ricordo del suo viso è più forte di tutta questa morte e di tutta la follia. Un essere a tratti vola o nuota a pelo d’acqua, argento e grigio. Qualcuno dice che è il demonio che ci segue. La regina sembrava una dea greca quando ha detto all’Ammiraglio: «Andate». La città era in festa, molti esultavano. E molti si rodevano per l’invidia. Io lo sapevo, ci stavamo cacciando in un guaio, in questo guaio. Il mare immobile, che fa impazzire gli uomini. I cavalieri della corte fecero ala all’Ammiraglio. Alcuni lo salutavano come si saluta un uomo fortunato, altri come un condannato a morte. Luz ci guardava passare, e quando raggiungemmo l’imbarco sul Guadalquivir non ebbe la forza di abbracciarmi. Non poteva, restò immobile come una freccia piantata. Tremava. L’Ammiraglio fu l’ultimo a salire. 8
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A volte guardiamo il mare insieme. Accade che mi possa avvicinare a lui mentre scruta l’orizzonte e abbassa la carta di navigazione. Siamo come due amanti che non disperano. Lui è un italiano, ma lo chiamano alla spagnola ormai, Cristóbal Colón. Il mio nome? Non importa. Non comparirò più in questo racconto. Portiamo qualcosa da Siviglia, una croce, un bacio, ma dove andiamo non lo sappiamo bene…
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PRIMA PARTE
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Il teatro alla Scala, le luci sulla piazza. E il suo senso di disgusto. La punta di amaro che conosce bene. Il palazzotto chiaro risulta squadrato e modesto rispetto ad altri grandi palazzi sulla stessa piazza e nei paraggi. È illuminato. Gabriele lo fissa. Sa, o meglio immagina, che il suo fascino sta dentro, nel vuoto che è al tempo stesso pieno del teatro, nelle poltrone rosse, nel sipario. Ma lo inquieta il fatto che “il tempio della musica”, come trova scritto spesso, sia quella cosa lì. Un palazzotto grazioso, ok, ma nulla di più. I suoi pensieri in quella sera vagano come i turisti sulla piazza, con la faccia inespressiva. La punta di disgusto che gli tocca la mente o il cuore li rende ancora più imprecisi e vaghi. Svogliati. Chissà se ha fatto bene a invitare Linda. Ha immaginato che questo potesse essere un buon modo per farle un regalo. Lei compie trentun anni, uno in più di lui. Si sente ancora un ragazzo. E li chiamano così lui e i suoi amici: ragazzi. Non ha mai assistito a un’opera lirica. Non è roba 13
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per lui quel genere di musica. Lui va avanti a rap e ogni tanto qualcosa di rock. Ultimamente ci sono dei gruppi svedesi e di paesi nordici che gli paiono forti. Ma a Linda, che non ascolta musica svedese, a lei forse una serata all’opera andava. Ha studiato pianoforte, e gli ha raccontato con una certa emozione che suo padre da ragazzina l’aveva portata in quel teatro “mitico”. Lo aveva sussurrato. Gli era parsa davvero emozionata. Non è sicuro, lui in quel momento stava per sputare un nocciolo d’oliva durante un party in un bar discoteca del centro e sì, gli era parso che una lacrima brillasse negli occhi della ragazza mentre parlava di padri e pianoforti. Con lei ci stava uscendo da un paio di mesi, forse era un po’ brillo. Comunque, dopo averla sentita parlare di una zia che suonava il piano e che tutti i pomeriggi veniva a suonare con lei, aveva deciso di fare ciò che non aveva mai fatto. Invitare una donna alla Scala. Aveva guardato cosa c’era in programma il giorno di primavera in cui cadeva il compleanno di Linda e aveva comprato due buoni biglietti. In una “ottima posizione”, aveva detto il tizio che glieli aveva venduti con la faccia di uno che ti ha appena fregato un sacco di soldi. Le conosce, quelle facce. Sono il suo lavoro. Ed eccolo, dunque, davanti al palazzotto chiaro. – Ci vediamo lì, – ha detto lei al telefono durante la pausa pranzo. Linda ha preso a telefonargli ogni giorno, durante 14
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la pausa pranzo. Si sono conosciuti per motivi di lavoro. Entrambi dipendenti di una grande banca. Ma lei doveva essere in carriera, ufficio legale o cose del genere. Mentre lui se ne andava in giro a cercare soldi dalla gente per investire in prodotti finanziari di “sicuro rendimento”, come diceva sempre, con la stessa espressione del tizio che gli ha venduto i biglietti. La sua specialità è un’altra. Linda non lo sa. Lei è così delicata. Ama la musica classica, il pianoforte, si commuove per la zia. Porta pure felpe con gli orsetti la notte, sul divano con lui, mentre guardano la tv. E non sa, molto meglio che non sappia, che lui è un collezionista di donne. Quel pomeriggio, prima di prepararsi per uscire con lei, Gabriele ha invitato nel monolocale dove vive una sua collega. Non ha fatto in tempo a stappare la seconda birra che erano già sul letto. Esattamente, non sa spiegarsi perché le ragazze e anche le donne più grandi si sentano così attratte da lui. Gli basta poco. Le cerca un po’, sa che vogliono essere corteggiate. Qualche uscita, un regalo, e loro ci stanno. A volte, non fa nemmeno in tempo a corteggiarle che se le trova già spettinate nel letto. In genere i problemi iniziano dopo. Si fanno pesanti, insoddisfatte. E alcune pressanti. Allora lui si sfila. Senza troppe chiacchiere. Ha imparato presto due cose: 1) le ragazze vogliono darsi, possibilmente a qualcuno che le faccia sentire regine; 2) il viso delle ragazze, quando le molli, non puoi fissarlo più di tre secondi. 15
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Ne ha conosciute di vario tipo. Una volta un amico, con un’espressione indecifrabile e la cravatta slacciata, gli aveva soffiato in viso, con il fumo di sigaretta: – Ognuna è come una partita di calcio, o di basket. O una corrida… Ognuna diversa, nessuna te la puoi giocare due volte. – Poi aveva riso, tirando indietro le braccia come ali rattrappite nello smoking sullo schienale del divanetto basso, seduto di fronte a lui. Anche Gabriele aveva riso, ma non aveva capito bene. Una partita, ogni volta diversa. Ok, questo sì. Di certo Gemma con le sue sfuriate potenti e inebrianti non era come Monica, con i suoi dentini sottili e desiderosi, con le mani veloci come una ricamatrice. Entrambe gli sono piaciute per qualche settimana, forse nelle stesse settimane, ora non ricorda bene, ed entrambe lo lasciavano stordito verso l’alba quando se ne uscivano dal suo monolocale, fuggendo chissà dove, chissà da chi, chissenefrega… Ma: «Non giocare due volte la partita». Cosa voleva dire esattamente il suo amico? I pensieri in piazza della Scala sciamano, come i turisti con la faccia in su, con quell’espressione a metà tra lo stanco, il leggermente interessato e l’annoiato. Gabriele ha conosciuto Linda a un ricevimento della banca offerto per un importante ospite arabo. Per fare bella figura, l’Ufficio Relazioni Interne dell’Istituto aveva diramato l’invito a tutti i quadri e i dirigenti: una festa in un bel locale del centro. C’era 16
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pure un giardino. Lui l’aveva adocchiata lì… Il resto si era svolto più o meno come al solito. Pure lei non aveva fatto tante moine prima di finire a letto con lui. Ma era successo che, mentre si stavano spogliando, lui, nel silenzio impacciato con cui si stavano accostando – lei non era una che beveva e i silenzi dunque si sentivano –, aveva detto: – Che belle mani… Mani, mani da… – ma non aveva saputo continuare, restando nudo e sospeso con il polso di lei sollevato con le dita, tra la luce bianca e l’ombra, come una coppia ritratta in una lapide chiara, in piedi vicino al letto. Linda, immobile, aveva aggiunto: – Da pianista. Ed eccolo dunque, un po’ stanco ma ben profumato ed elegante con un tocco casual in attesa davanti al palazzotto. In realtà, quelle telefonate tutti i giorni all’ora della pausa pranzo hanno iniziato a infastidirlo. Spesso va in palestra a quell’ora. O da amici o si trova con un’amica. E avere Linda che lo chiama cinque, sei volte se non lo trova, inizia a essere un fastidio. Conosce esattamente, come un chimico o un cuoco sanno riconoscere certe sostanze con un’occhiata al microscopio o un tocco sulla punta della lingua, il sentore di nausea che segnala il declino della passione per una donna. Inconfondibile. Eccola che arriva, fine, splendente. In cartellone il Don Giovanni di Mozart.
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Il teatro è pieno. Prima dello spettacolo le persone, perlopiù in coppia, frusciano tra il foyer e i posti in sala, nei corridoi delle gallerie. Moine, salamelecchi. Eppure tutti lì. Con qualcosa sotto i doppiopetti o i vestiti lamé che vorrebbe tremare ancora, battere, confondersi, volare via. Qualcosa che avrebbe voluto donarsi. Gabriele cammina con Linda a fianco. Fanno la loro bella figura. Lei ha scelto un vestito blu cielo notturno. Gli occhi che hanno lampi di verde vagano nell’atrio con il grande lampadario. Lui invece ha voglia di andare velocemente al posto e scomparire nella poltroncina e nel buio della sala. Ha ricevuto un messaggio sul telefono mentre entravano. Era Susy, gli chiedeva se poteva raggiungerla in un locale a Brera. E ora mentre le luci si attenuano lui pensa che forse avrebbe voluto essere là, con una birra in mano. Linda, invece, con le dita sfiora la sua mano, segnale perché si arrestino un istante, poiché sta passando nel foyer un pezzo grosso della banca con signora e ci tiene a salutarlo. 18
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– Quel cretino, – sibila Gabriele aprendo il più bello dei suoi sorrisi e dirigendosi verso la coppia attempata ed elegante con il programma in mano. Poco dopo, sono finalmente seduti. Lei gli sfiora ancora una volta la mano, lui ha attivato l’opzione silenzioso sul telefonino. In una sera di quattrocento anni prima, appena spente le luci nel buio di un teatro viennese, alle prime battute della stessa opera, il volto di un uomo non più giovane si protendeva attento. Il suo profilo acuminato dal tratto nobile tagliava l’ombra della sala, come una spada tesa. Quell’uomo, conosciuto nei salotti letterari, era amico del compositore del libretto. Ma aveva raggiunto la fama per un suo libello autobiografico che si diffuse nonostante le censure delle cancellerie dei regnanti e delle curie. Un libertino, un avventuriero, dicevano. Gli occhi di Giacomo Casanova ardevano nel buio alla prima del Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart a Vienna. Cercava di non perderne una parola. Faceva fatica a restare seduto, una lieve artrosi all’anca destra lo stava avvisando da qualche tempo che era iniziata se non la vecchiaia, una specie di irrimediabile autunno. Lo sguardo febbrile seguiva le mosse dei cantanti, le bocche spalancate, i sussulti del petto. Ma lo spasmo della sua attenzione era tutto nell’ascolto. Come se in ogni nota, in ogni fuga di violini e in ogni sillaba sospesa si celasse un segreto. 19
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– Ci darem la manoooooo… Gli dirai di sì… Sì, sì… non era forse questo “sì” che aveva cercato sempre? Contro ogni convenzione, ogni moderazione, ogni potere… Quel letterato professionista, quel Da Ponte, suo amico e invidioso sodale, aveva trovato le parole che fanno tremare i semplici e sprofondare nei pensieri i malinconici. Casanova socchiuse gli occhi un istante. Il terzo movimento lo aveva sovrastato. L’altro, il musicista, era un pazzo. Una creatura inventata in chissà quale festino degli dèi o distrazione del demonio. Mozart ha voluto fare il suo Don Giovanni. Dopo secoli che questa storia si aggirava per teatri e biblioteche, e sulle bocche di monaci e signore di ogni genere. Il Convitato aveva alzato il suo indice di pietra. E il temerario Giovanni, Burlador de Sevilla, era stato nuovamente condannato a sprofondare. Il teatro, illuminato solo sul palco, come quattrocento anni prima, quella sera è immerso nella tenebra. «Ci vediamo dopo mezzanotte?» aveva digitato Gabriele rapidamente prima di mettere il telefono nella tasca della giacca. «Sì», brilla la risposta di Susy, nascosta.
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Il cigno nella pietra. Il cigno nella pietra…. Non veniva quasi mai a trovarla. Ma il giorno dell’anniversario della sua morte un salto veloce lo faceva. Quella mattina è andato, prima di salire al lavoro. Ha posato il palmo con l’anello di metallo al medio su quella lapide in stile semplice. Raffigura un bellissimo cigno. Che avrebbe voluto volare ed è rimasto bloccato, meraviglioso, nella pietra… – Ciao mamma. Poi è andato via veloce.
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