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Luigi Maria Epicoco
La stella il cammino il bambino Il natale del viandante
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Editing e ricerca iconografica di Valentina Rapino Progetto grafico di Giuseppe Oggioni
Š EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2016 Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) www.edizionisanpaolo.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) ISBN 978-88-215-9914-9
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Alla mia comunità , che in questi anni è stata per me un cielo stellato, un cammino meraviglioso, un bambino bellissimo.
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Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: «Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo». All’udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele». Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: «Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, 7
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essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese. Mt 2,1-12
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PROLOGO
Tu ce l’hai una stella? Non è una domanda qualunque, questa, perché per avere una stella devi accorgerti che esiste un cielo sopra la tua testa. Per accorgerti di questo cielo devi imparare ad alzare lo sguardo. Per alzare lo sguardo devi smettere di pensare che la vita è solo un andare avanti, a volte bisogna andare in alto, perché dall’alto le cose si vedono meglio. Tu ce l’hai un viaggio? Tutti siamo nati per andare da qualche parte. Non siamo nati fermi. Ci sono strade che aspettano solo noi. Cammini fatti a misura delle nostre scarpe. Sarà questo il motivo per cui ci siamo inventati i pellegrinaggi o i viaggi epici. Sapevamo, in fondo, che per trovare qualcosa dentro di noi dovevamo camminare fuori di noi, verso qualche parte. Tu ce l’hai un bambino? Forse sì. È tuo figlio. O forse è quel bambino che eri tu e che non trovi più. Bambino è attesa di vita. 9
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È vita affidata a te. Vita che aspetta te per essere possibile. Non avere un bambino significa non avere vita che ti aspetta. E la vita che ti aspetta non è per forza un figlio, ma è sicuramente qualcuno che ti è affidato affinché tu ne abbia cura. Per un professore, vita che aspetta sono i suoi studenti. Per un medico i suoi pazienti. Per un prete la gente che gli è affidata. Per Giovanna è il fratello handicappato che vive con lei da trent’anni. Per Antonio è il compagno di banco che fa fatica a stare al passo con la classe. Per Gemma è il gruppo dei suoi bambini di catechismo. Per Riccardo è la squadra di calcio che allena ogni fine settimana. E per te? Qual è la vita che aspetta te? Non so rispondere a queste domande, ma per mestiere so ripetere bene le domande. So come si fa a scavare dentro una domanda, perché ogni domanda ha già in sé la direzione di una risposta. Bisogna solo avere un po’ di pazienza e cercare bene. E per cercare bene non bisogna pensare da soli, bisogna pensare con qualcuno. Bisogna imparare ad ascoltare le medesime domande negli altri. Delle volte le nostre domande diventano chiare quando le ascoltiamo nella vita degli altri. Gli altri sono quasi sempre la chiave di volta delle nostre ricerche. Così ho pensato che dovevo cercare qualcuno. Il Vangelo di Luca accenna fugacemente a tre misteriosi personaggi su cui si è costruita tanta narrativa. Sono i tre Re Magi che entrano ed escono velocemente nel Vangelo senza che si riesca a capire molto di chi fossero davvero. Non è mio il mestiere dell’esegeta, ma ho un innato istinto a fare il segugio. E il mio istinto da 10
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PRO L O G O
segugio mi dice di mettermi alla ricerca di questi Magi. Non abbiamo carte, documenti, indicazioni, ma abbiamo un racconto che è carico di ingredienti preziosi. Una stella appunto, un viaggio, e un bambino particolarissimo: Gesù, il Verbo fatto carne. Una certa tradizione ha anche dato un nome proprio a ciascuno di questi personaggi. Molti magari sono convinti che Gaspare, Melchiorre e Baldassarre siano nomi citati dal Vangelo, ma il testo sacro non dà nomi, rispetta la privacy di questi viandanti/pellegrini. Non vorrei che qualcuno restasse male da questa scoperta, ma visto che ci troviamo in vena di delusioni, vorrei anche aggiungere che Adamo ed Eva non mangiarono nessuna mela, perché nel racconto della Genesi si parla solo del “frutto dell’albero proibito” (Cfr. Gen 3,3). Se l’operazione legata alla mela era un depistaggio messo in atto dai coltivatori di agrumi, vorrei chiarire che poteva tranquillamente essere un’arancia il frutto del peccato originale, magari un’arancia rossa. Ma il racconto della Genesi non fornisce argomenti per screditare questo o quest’altro frutto. Mettiamoci dunque l’anima in pace. Tuttavia, visto che ormai Gaspare, Melchiorre e Baldassarre sono entrati nel nostro immaginario, facciamo in modo di legare una domanda a ognuno di questi personaggi e mettiamoci alla loro ricerca.
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PRIMA PARTE
Beato chi trova in te la sua forza e decide nel suo cuore il santo viaggio. Sal 83,6
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Gaspare
Capitolo 1
LA STELLA
(o del desiderio fondamentale)
A volte è benedetta questa notte, perchÊ mi costringe ad alzare lo sguardo e a cercar stelle. 15
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Ho dovuto viaggiare parecchio per trovare questa sperduta città costruita all’estremità dell’Oriente conosciuto. In questa città dal nome impronunciabile si respira un’aria tutta particolare. I vicoli, le case, gli archi, le piazze sembrano trasudare una bellezza estrema. C’è proporzione nelle cose. Chi ha costruito qui conosceva bene i numeri, e sapeva quanta bellezza può venir fuori quando intravedi spazi lì dove gli altri vedono solo calcoli. Le terrazze si affacciano anche al di sopra delle mura di cinta. Sembra che non ci siano troppe precauzioni per l’incursione di nemici, forse perché un nemico non dovrebbe avere troppa voglia di vivere così lontano. Domando a qualcuno di indicarmi la casa di Gaspare, l’esperto di stelle. Mi indicano un bel palazzo poco più avanti. È già sera, ma l’autunno ha ancora strascichi d’estate, specie la sera. C’è un venticello piacevole, ma la sabbia battuta delle strade emana ancora il calore del sole del giorno. Mi avvicino piano alla porta. Busso. Mi apre un uomo minuto, credo che sia uno degli inservienti. Deve essere ricco, questo Gaspare. La casa ha un cortile interno, e tutto sembra arredato con gusto. Le fiaccole sono accese nel cortile e vengo invitato con cortesia ad accomodarmi nell’atrio. Poco dopo si avvicina una figura elegante. Un uomo di circa qua17
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rant’anni. Il taglio degli occhi, la carnagione e il colore dei capelli dicono chiaramente che è un persiano. Non lo so se ci troviamo nell’antica Persia o meno, ma lui certamente me la ricorda tanto. Porta addosso una tunica blu, e le mani sono riccamente piene di anelli. Mi si avvicina e mi domanda il perché della mia visita. Gli dico che sono un tipo curioso e che avrei piacere che mi spiegasse il significato delle stelle. In fondo lui pare abbia una fama tutta speciale riguardo ad esse. Lascio la parola a lui.
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mico mio, perché mi domandi di stelle? Forse anche tu sei uno di quelli che muoiono dalla
voglia di leggere la propria vita scritta negli astri? Certamente ci rassicurerebbe tanto sapere che da qual-
che parte si parla di noi. Che la nostra vita ha già delle pagine scritte. Che il sentiero è già tracciato, ma le stelle non servono a ritagliare oroscopi a misura delle nostre paure o delle nostre aspettative. Le stelle servono a raccapezzarci, a farci capire dove ci troviamo. Le stelle servono a orientarci quando tutto quello che c’è sulla terra non ci dice più nulla di dove ci troviamo e di dove dovremmo andare. A te, amico mio, non capita mai di vivere delle cose che ti spaesano? Non ti capita mai di avere la tua bussola frantumata e la vaga sensazione di esserti perduto? Ecco, dalla tua faccia si capisce che sai bene di cosa sto parlando. Delle volte la vita intorno a noi, la vita orizzontale, la vita della terra, ci fa perdere le nostre coordinate. Noi non sappiamo
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più dove ci troviamo, a che punto ci troviamo della nostra vita, e forse anche chi fondamentalmente siamo. Senza queste coordinate è difficile vivere una vita degna di tale nome. È questo il motivo per cui alziamo gli occhi al cielo, esattamente come fa un navigante che nel mezzo della notte, mentre è al largo del mare, alza gli occhi al cielo per capire la strada da prendere per tornare a casa. Cerca nelle stelle il Nord per ritrovare la via di casa. L’ignoranza del cielo crea sempre tragedie sulla terra, ricordatelo. Ma c’è anche molto di più. Amico mio, dentro di noi ci sono cieli immensi. Le stelle che sono fissate lì nel cielo ci ricordano qualcosa di molto più profondo. Quelle stelle sono segno di un firmamento che facciamo fatica a contemplare: è il firmamento della nostra interiorità. A un occhio distratto la propria interiorità può apparire come un misterioso buio. Non è buio! È un cielo notturno. Se tu hai la pazienza di fissare quel buio, ti accorgerai che man mano riuscirai a vederci anche le stelle. Ti accorgerai che è cielo, e non un niente qualunque. Forse ti sembrerà una visione troppo sentimentalista della vita ma, amico mio, se tu mi conoscessi, sapresti che non c’è niente di più avulso a me che i discorsi sdolcinati e i ragionamenti strappalacrime. Quando ti parlo di questo cielo notturno dentro di noi, te lo dico con tutta l’esperienza e il dolore che ho provato nel calarmi dentro e imparare a decifrare quelle stelle. Ora se non hai molto sonno cercherò di spiegarti la strada e condividerò con te ciò che io vi ho imparato.
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Amico mio, molta parte della nostra vita la passiamo fuori di noi. Siamo un po’ come quei mariti che dopo essersi sbronzati tutta la notte temono di tornare a casa, e così si aggirano nei dintorni di quella porta senza mai trovare il coraggio di entrarvi. Siamo sempre un po’ fuori. Ci risulta più rassicurante non varcare la soglia di casa. Dentro ci immaginiamo che ci attenda un dito puntato, un giudizio, le urla di qualcuno che ci rinfaccerà tutti i nostri limiti, le nostre cadute, i nostri fallimenti. Temiamo sempre il giudizio degli altri, ma in casa, nel nostro cuore, c’è talvolta una voce più pericolosa delle altre che non ci permette di entrare. Dalle vostre parti lo chiamate senso di colpa, ma non dimenticare che il senso di colpa è la voce dell’Accusatore, di quel serpente antico che i più chiamano diavolo. Il male sa bene che tutto può cambiare se rientriamo in casa, se varchiamo di nuovo la soglia del cuore, per questo si impegna a spaventarci, a scoraggiarci. Fa di tutto affinché non troviamo il coraggio di fare questo passo. Io stesso ho passato tantissimo tempo tentando di aprire quella porta, ma molte volte ha vinto la paura. Ho letto in qualche mia pergamena che voi avete l’usanza di non stare mai in silenzio. Avete paura del silenzio. Meglio sempre il rumore di qualcosa, il chiacchierare di quelle piccole scatole magiche che vi portate sempre appresso come delle seducenti sirene portatili. Il silenzio mai.
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Il silenzio è pericoloso perché il silenzio è la soglia vera del cuore. Il silenzio è il passo decisivo per tornare a casa. Non so se tu sei allenato al silenzio, ma se può servirti ascoltami bene e ti dirò che cosa ho imparato io. Il silenzio di cui parlo è qualcosa che non ha niente a che fare con le cose esteriori. È un silenzio interiore, una capacità di fermarsi. Ma per entrare in questo silenzio interiore devi cominciare ad allenarti con quello esteriore. Devi prenderti ogni giorno un tempo, non necessariamente lungo, bastano anche dieci minuti delle vostre clessidre da polso. La cosa migliore sarebbe prenderseli sempre nella stessa parte della giornata. In questo modo comincerà a diventare qualcosa di familiare, e non di artificiale. Abbiamo bisogno di abitudini buone, non di emozioni passeggere. Le abitudini buone non fanno rumore ma sono decisive, esattamente come le abitudini sbagliate. Solo che con le abitudini sbagliate ci si accorge subito di quanto siano decisive perché ci fanno male, e il male, si sa, fa più rumore del bene. Nel vostro testo sacro c’è un Salmo, che può prestarti le parole per farti capire qual è l’intensità di preghiera e di ricerca che c’è in quel silenzio. Ascoltalo con attenzione, e se lo conosci pronuncialo con me, piano, gustandoti le parole: Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio.
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L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio? Le lacrime sono mio pane giorno e notte, mentre mi dicono sempre: «Dov’è il tuo Dio?». Questo io ricordo, e il mio cuore si strugge: attraverso la folla avanzavo tra i primi fino alla casa di Dio, in mezzo ai canti di gioia di una moltitudine in festa. Perché ti rattristi, anima mia, perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio. In me si abbatte l’anima mia; perciò di te mi ricordo dal paese del Giordano e dell’Ermon, dal monte Misar. Un abisso chiama l’abisso al fragore delle tue cascate; tutti i tuoi flutti e le tue onde sopra di me sono passati. Di giorno il Signore mi dona la sua grazia, di notte per lui innalzo il mio canto: la mia preghiera al Dio vivente. Dirò a Dio, mia difesa: «Perché mi hai dimenticato? Perché triste me ne vado, oppresso dal nemico?». Per l’insulto dei miei avversari sono infrante le mie ossa; essi dicono a me tutto il giorno: «Dov’è il tuo Dio?».
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Perché ti rattristi, anima mia, perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio. Sal 42 (41) Riesci a comprendere la portata di queste parole? Il silenzio inizia con il riconoscimento di un anelito dentro di noi. C’è in noi un bisogno di approdo, come una nave che cerca disperatamente un porto. Questo ti dice che non devi sforzarti eccessivamente, perché è nella nostra natura questo anelito, questa ricerca, questo bisogno. Per entrare nel silenzio in realtà bisogna lasciare che la nostra natura faccia il suo mestiere. Molto spesso imbrigliamo le cose semplici che ci portiamo dentro con i nostri ragionamenti. Facciamo diventare una paturnia cerebrale ciò che in noi è normalmente spontaneo. La ricerca di un posto giusto dentro di noi, che poi in realtà coincide con una Presenza, fa parte della nostra natura. Non è una questione di fede, è una questione di umanità. Siamo fatti per cercare questa Presenza. Anche le nostre lacrime lo raccontano «giorno e notte, mentre mi dicono sempre: “Dov’è il tuo Dio?”»! Amico mio, ti è mai capitato d’innamorarti? Hai mai provato un sentimento di gratitudine che ti trafiggeva il cuore davanti a uno struggente tramonto? A me capita spesso di sentirmi sopraffatto dalla quantità enorme di bellezza che vedo intorno a me. E me ne sento dolorante, perché tutta quella bellezza mi ricor-
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da questo anelito che mi porto dentro, questa mia natura che cerca un Senso, un posto dentro, la sua Presenza. E persino nei momenti di assenza c’è in me come una strutturata fiducia che dice: Perché ti rattristi, anima mia, perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio. Sal 42 (41),12 Vedi, amico mio, il silenzio non è una cosa difficile. Esso è il cammino di semplificazione che devi percorrere in te. Devi tornare all’essenzialità della tua natura umana. È lì il campo autentico della battaglia. Cosa accadrà in quei minuti? Praticamente una piccola fine del mondo. Sarà una lotta cruenta. Preparati a combattere. Innanzitutto sarai attaccato da un manipolo di pensieri ed emozioni. Il primo attacco sarà quello della tua testa, poi seguirà subito quello della tua pancia. Cercherai di stare in silenzio ma i pensieri cominceranno a tartassarti da tutte le parti e sarai attraversato da mille sensazioni contrastanti (noia, tristezza, irrequietezza, entusiasmo, eccitazione, voglia di scappare…). Hanno lo scopo di distrarti, di non farti fermare, di non farti varcare la soglia del silenzio. Più li vorrai combattere e più acquisteranno forza. Non puoi sgomberare la tua
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testa dai tuoi pensieri, né puoi bloccare le tue emozioni, ma puoi fare pace con loro. Ad esempio, puoi non arrabbiarti. Abbi pazienza. I pensieri, al pari delle emozioni, sono come dei figli piccoli irrequieti. Hanno tutto il diritto di essere irrequieti, perché sono piccoli, immaturi. Se tu che sei un adulto ti fermi, loro vorranno giocare. Se vai a sederti nel tempio della nostra città per pregare verran-
Le stelle che sono fissate lì nel cielo ci ricordano qualcosa di molto più profondo. Quelle stelle sono segno di un firmamento che facciamo fatica a contemplare: è il firmamento della nostra interiorità.
no con te certamente, e cominceranno a saltellare, ad arrampicarsi qua e là, a inventarsi giochi per ingannare il tempo. È sbagliato volerli costringere a stare fermi. Sono “bambini”, non
hanno la maturità necessaria. Una volta mi è capitato di andare a pregare al tempio, e proprio davanti a me c’era una donna minuta, piccola, giovane, con i suoi bambini. Cercava di raccogliersi in preghiera ma i suoi bambini la tiravano chi da una parte, chi dall’altra. Io stesso facevo fatica a concentrarmi pur essendomi
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messo a una distanza più che notevole. Volevo alzarmi e dare uno sculaccione a tutti e tre, ma proprio quando mi ero deciso a intervenire per rimproverarli, mi accorsi della tenerezza e della dolcezza con cui quella donna teneva gli occhi chiusi e allo stesso tempo accarezzava un figlio, l’altro le saltava sulle spalle, e l’altro ancora le tirava la veste per farle uno scherzo. Si lasciava molestare da quei tre figli e allo stesso tempo pregava. Capii che quella donna aveva raggiunto una capacità di silenzio di altissima qualità. Le distrazioni le trattava con tenerezza di madre, perché erano i suoi figli, ma non rinunciava a raccogliersi in se stessa e a pregare. Aveva un volto luminoso, un sorriso appena accennato e una dolcezza operosa nonostante il cuore fosse fisso in cielo. Capii quel giorno che non dovevo odiare le mie distrazioni, i miei mille pensieri, le mie emozioni, i miei stati d’animo, le cose che mi accadono intorno. Devo averne cura come una madre. Non devo combattere quei “bambini”, devo trovare il giusto equilibrio tra preghiera e accoglienza di ciò che mi tira altrove. Quando l’Altissimo vorrà ci penserà Egli stesso ad attirare quei bambini e a fare qualcosa per loro. Allora si metteranno in ginocchio anche i tuoi pensieri e le tue emozioni, e la cronaca di ciò che ti succede non sarà più un peso ma anch’essa diventerà preghiera. Tu pregherai anche con la tua storia. Molte delle cose che ci passano per la testa e per la pancia ci fanno stare male, ma in realtà non sono cose buone o brutte in sé, anche quando ci dicono o ci fanno provare cose disdicevoli. È importante, amico mio, capire che tu non sei ciò che pensi, e non sei ciò che provi.
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