Adò - Laboratorio Adolescenza - Vol. 1 - n. 2 - 2018

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Volume 1 - Numero 2

2018

DOSSIER

Le TRASFORMAZIONI del CORPO

PARITÀ DI GENERE?

Nostra ricerca tra gli studenti

CHI CURA GLI ADOLESCENTI

Il passaggio dal pediatra al medico di base

GITA D-ISTRUZIONE

La crisi dei viaggi con la classe


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Adò

Quadrimestrale Volume 1 - Numero 2

2018

CHI SIAMO - Laboratorio Adolescenza è una Associazione libera, apolitica ed aconfessionale, senza fini di lucro che ha come obiettivo quello di promuovere e diffondere lo studio e la ricerca sugli adolescenti, sotto il profilo sociale, psicologico e medico. L’Associazione nasce dall’idea di creare un punto di riferimento scientifico e culturale, per chi si occupa di adolescenza, che avesse nella multidisciplinarietà il proprio connotato distintivo. Ne fanno parte psicologi, sociologi, pediatri, insegnati, giornalisti, esperti di comunicazione, genitori che a vario titolo, professionale o personale, sono a stretto contatto con l’adolescenza. L’associazione è aperta al contributo di idee e impegno di chiunque abbia interesse - condividendone finalità e statuto - sia a livello individuale che associativo, allo studio e alla ricerca sull’adolescenza. Sito Internet: www.laboratorioadolescenza.org

e-mail: laboratorio.adolescenza@gmail.com L’INDICE

L’EDITORIALE ORGANO UFFICIALE di

LA RICERCA

PEDIATRIA

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Direttore Editoriale Riccardo Renzi Comitato di Redazione Gianni Bona Carlo Buzzi Rocco Cafarelli Teresa Caputo Roberta Consoli Francesco Dell’Oro Alessandra Marazzani Roberto Marinello Gianluigi Marseglia Marina Picca Roberta Quagliuolo Gian Paolo Salvioli Fulvio Scaparro Maurizio Tucci Staff Editoriale Direttore Responsabile Pietro Cazzola PR e Marketing Donatella Tedeschi Comunicazione e Media Ruben Cazzola Grafica e Impaginazione Cinzia Levati Affari Legali Avv. Loredana Talia Stampa Lalitotipo s.r.l. - Settimo Milanese

Tutti i diritti di riproduzione in qualsiasi forma avvenga, sono di proprietà dell’Editore. Registrazione Tribunale di Milano n. 01 del 04.01.2018

GENITORI A RISCHIO BOCCIATURA Francesco Dell’Oro

IN GENERE SIAMO RISPETTOSI Maurizio Tucci

DIABETE NELL’ADOLESCENZA UN DIFFICILE EQUILIBRIO Gianni Bona e Silvia Savastio

LE TRASFORMAZIONI DEL CORPO IL CORPO FERITO Alessandra Marazzani

IL CORPO ILLUSTRATO

IL DOSSIER

Simona Mazzolini

IL CORPO CRISTALLIZZATO Alessandra Marazzani

IL CORPO CONTESTATO

MEDICINA

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ADOLESCENZA: È TEMPO DI FARE IL BILANCIO Marina Picca e Roberto Marinello

UN NUOVO PASSAPORTO DI SALUTE Patrizia Tagliabue

LA SCIENZA DELLA“TERRA DI MEZZO” SCUOLA SERIE TELEVISIVE DICONO DI NOI L’AGENDA

magazineado@gmail.com

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Gabriella Pozzobon

LA GITA D-ISTRUZIONE Maurizio Tucci

I TREDICI FALLIMENTI Riccardo Renzi

CHE COSA NE PENSA EINSTEIN Redazione Scripta Restant

L’ATTIVITÀ DEL NOSTRO LABORATORIO Laboratorio Adolescenza

PERCHÉ UNA RIVISTA ONLINE? Sfogliabile e scaricabile su: www.issuu.com - Perché rappresenta la rivoluzione del concetto di rivista, di aggiornamento, di letteratura, accelera la diffusione di idee ed esperienze e sostiene in tempo reale l’evoluzione del pensiero; - Perché fornisce un accesso facilitato ed immediato ad articoli, argomenti, approfondimenti sui temi più vari, a portata di mano senza alcun pagamento; - Perché condivide la conoscenza, attraverso un nuovo approccio alla lettura: la rivista diventa uno strumento fondamentale, che migliora l'innovazione, l'efficienza e l'interazione culturale tra lettori ed Autori; - Perché realizza l’espansione oltre misura della conoscenza, ne permette condivisione e diffusione, attraverso i dispositivi palmari e portatili che ormai appartengono a tutti.

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L’EDITORIALE

Francesco Dell’Oro

Insegnante, scrittore, esperto di formazione.

GENITORI A RISCHIO BOCCIATURA N

Si delinea una assurda contraddizione. Siamo talmente presenti nella loro vita scolastica da non riuscire a cogliere e valorizzare un dato fondamentale: il loro benessere. Come vivono la scuola. La qualità delle relazioni con i compagni e con gli insegnanti. Il malessere dei nostri adolescenti è evidente eppure, paradossalmente, non potrebbero essere i testimoni privilegiati di una scuola vecchia e di una generazione di genitori in difficoltà? La nostra scuola, in alcuni casi più simile a una discarica del sapere che a un laboratorio di ricerca, presenta ancora contesti, relazioni e un sistema di valutazione assurdi. Inadeguatezze e limiti che, non a caso nel confronto con i paesi europei, ci collocano agli ultimi posti per numero di laureati e di abbandoni scolastici. In tre anni scolastici ho ricevuto 1008 richieste di aiuto dagli studenti delle scuole secondarie di secondo grado: 665 (66%) i ragazzi. 343 (34%) le ragazze. Ciò che sorprende è anche una marcata differenza di genere. I principali protagonisti delle preoccupazioni genitoriali, eccezioni a parte, sono i maschi. Hanno la capacità di lasciarti senza parole. Simpatici, intelligenti, con ottime potenzialità, ma impegnati in una lotta furibonda, non sempre consapevole, fra responsabilità, organizzazione e resistenza alle regole. Più in generale, lo dobbiamo riconoscere, i nostri adolescenti rappresentano un costante riferimento critico per noi genitori. Li giudichiamo severamente dimenticando che sono figli nostri. Dobbiamo recuperare autorevolezza, buon senso e capacità di direzione. Ho una certezza: con una rinnovata sensibilità pedagogica, anche le distanze generazionali (e di genere) potrebbero essere in buona parte ridotte. Alzando, ad esempio, l'asticella della nostra capacità di ascolto. A volte, semplicemente ricordando che esiste un esperto straordinario che, con qualche nostra attenzione, potrebbe diventare il compagno di viaggio più qualificato: il professor Tempo".

oi adulti, imbottiti di regole, valori e di tutto ciò che la nostra esperienza di vita ha offerto, rappresentiamo una generazione davvero strana. Culturalmente preparati, con idee chiare, obiettivi precisi e con una buona dose di autorevolezza, siamo convinti di avere le carte in regola per poter esercitare il nostro ruolo al meglio. E tutto funziona o sembra funzionare almeno fino a quando i nostri ragazzi, diventando adolescenti, intraprendono il loro percorso scolastico nella scuola secondaria di primo e di secondo grado. È in questa fase che le nostre certezze cominciano a vacillare. Diventiamo fragili e preoccupati. Vogliamo trasmettere esperienze, regole e valori ma verifichiamo, giorno dopo giorno, come questo messaggio, molte volte, non arrivi a destinazione. Si perde. Volendo garantire ai nostri figli un futuro importante e sicuro, non ci rendiamo conto di quanto siamo esageratamente presenti, ad esempio, nella loro esperienza scolastica.Trovo una simpatica conferma nella mia mail personale: "Prof, stiamo studiando... siamo preparati!". Anche il percorso adolescenziale diventa accidentato. Siamo in difficoltà a presidiare aspettative, emozioni, delusioni e insuccessi. Diventiamo, inconsapevolmente, ingombranti. Vorremmo aiutare i nostri figli ma, molte volte, li travolgiamo con continui giudizi, rendendoli sempre più fragili e oppositivi. Mi scrive una mamma di Modena: "Come mai la nostra generazione, figlia per lo più di operai che vantavano al massimo la terza media, ha così tanta paura a far vivere gli adolescenti, a farli sbagliare? ... Sottoponendoli a continue pressioni, giudizi… per ogni risultato, scolastico, sportivo, relazionale... In quale momento preciso abbiamo subito la trasformazione?... Che amarezza che il pensiero collettivo sia veramente questo".

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LA RICERCA

IN GENERE SIAMO RISPETTOSI Che cosa ne pensano gli adolescenti sulla parità dei sessi, sul ruolo di maschi e femmine, sulla gestione della famiglia, su l’omosessualità? Sono ottimisti, forse anche troppo. Maurizio Tucci Presidente Laboratorio Adolescenza

seguente: “Beh… è normale” (maschio) “È normale???? Perché dovrebbe essere normale?” (femmina). E da qui si apre la querelle.Va detto che nella maggior parte dei casi l’“è normale” dei maschi non sembra derivare da pregiudizi sessisti, ma da considerazioni apparentemente anche ragionevoli (le donne devono gestire i figli, la famiglia, la casa e hanno meno tempo da dedicare al lavoro). Si riflette poco o nulla sul fatto che - se si esclude la gravidanza e il parto - nessuna delle altre incombenze spetta “geneticamente” alle donne. È la mamma a mettere fisicamente al mondo un figlio, ma dal pediatra o al corso di musica può accompagnare un figlio anche il papà.

DOVE FINISCE L’OTTIMISMO E INIZIA L’ILLUSIONE?

L

aboratorio Adolescenza ha realizzato, nel corso dell’anno scolastico 2017-2018, un’indagine su un campione di 800 studenti e studentesse frequentanti le scuole superiori di Milano (fascia d’età 15-18 anni) per analizzare, in senso lato, il tema del rapporto tra i generi. C’è parità (non solo formale) tra uomini e donne? La vita, per quello che concerne il lavoro, la famiglia, le relazioni sociali sarà – secondo loro – condizionata dal genere di appartenenza? Per il 67% dei maschi e, addirittura, per il 98% delle ragazze in Italia ancora oggi ci sono pregiudizi che penalizzano le donne, soprattutto nel lavoro e nei rapporti sociali. Ma al di là di questo dato, per altro prevedibile, quello che incuriosisce è il riscontrare come tra maschi e femmine ci sia una percezione differente dei due ambiti. Sono molte di più le ragazze che riferiscono queste penalizzazioni all’ambito lavorativo (73% vs 59%), ma sono di più i ragazzi che pensano che le donne siano particolarmente penalizzate nei rapporti sociali (26% vs 15%).

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Trattandosi di studenti è evidente che di esperienze dirette di lavoro ne abbiano avute poche o nessuna, e che quindi rispondono in base al “percepito” o al “visto”, mente le esperienze sociali le vivono quotidianamente. Come spiegare, allora, la differente percezione? Una chiave di lettura, ma sarebbe interessante confrontare differenti interpretazioni, è che il mondo del lavoro è ancora talmente declinato al maschile che per i maschi è molto più difficile leggere come penalizzazioni di genere situazioni e atteggiamenti che interpretano come assolutamente normali. Ci vengono in aiuto i focus group che Laboratorio Adolescenza realizza a corredo delle indagini quantitative. Domanda classica: “Se consideriamo la maggior parte dei contesti lavorativi in cui ci sia una presenza equilibrata tra uomini e donne, nei ruoli dirigenziali e di vertice troviamo generalmente una percentuale di uomini molto maggiore. Secondo voi come mai?” La sintesi efficacissima delle risposte che normalmente seguono questa domanda è la

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E qui veniamo ad un altro ambito analizzato dall’indagine, ma strettamente collegato al primo. Domanda: “Come sono distribuiti, tra i vostri genitori, i lavori attinenti la gestione della casa e della famiglia?” Escludendo chi non vive con entrambi i genitori, nel 76% dei casi ad occuparsene è esclusivamente o prevalentemente la mamma, mentre le famiglie in cui se ne occupa esclusivamente o prevalentemente il papà sono il 5,5%. Nel rimanente 18,5% vengono svolti in maniera equilibrata da entrambi i genitori. Dove finisce l’ottimismo che questa in cantiere sia finalmente la generazione in cui, almeno in ambito familiare, si sancisca l’effettiva parità uomo/donna (le risposte dei maschi sono del tutto in linea con quelle delle femmine) e dove inizia l’illusione che si sgretolerà alla prova dei fatti se/quando le nuove famiglie somiglieranno molto alle “vecchie”? Naturalmente è una di quelle domande che potrà avere una risposta sensata solo “a consuntivo”, ma alcuni segnali su come si sta complessivamente muovendo la società (ed in parte anche le nuove generazioni) non inducono all’ottimismo.


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Come immagini la gestione di una tua futura famiglia?

LA VIOLENZA SULLE DONNE

OMOSESSUALITÀ

L’indagine ha trattato anche la spinosa questione della violenza (fisica, sessuale, economica, psicologica) sulle donne.Tra una serie di possibili cause proposte, quella maggiormente indicata dai maschi (46%) è stata “Problemi psichici e/o abuso di alcol o di sostanze da parte dell’uomo che esercita la violenza”. Un modo “sofisticato”, quant’anche non doloso, di “deresponsabilizzazione”, lì dove è l’introduzione di un elemento terzo (la malattia psichica o l’addiction) a determinare la violenza. Per le ragazze la ragione principale è ‘La presunzione dell’uomo che la donna sia di sua “proprietà”‘ (57,6%). La riflessione da fare rispetto a questa risposta, apparentemente più che ragionevole, la sollecitano ancora una volta i focus group. Il “delitto” secondo molte ragazze (ovviamente i focus group non fanno statistica) non è la presunzione di possesso, ma quando questa sfocia in violenza. In altre parole, sentirsi “del proprio ragazzo” (o del proprio uomo) e avallare questi atteggiamenti non paritetici (dalla assoluta gelosia, al controllo del cellulare e dei propri account social) è – specie all’inizio di un rapporto – una via sdrucciolevole che a troppe ragazze non dispiace percorrere. I problemi li scoprono successivamente, sulla loro pelle, quando cercano di uscirne (e i casi di cronaca che descrivono le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti). Supera il 45% di condivisioni (39% maschi, 51% femmine) la risposta “La scarsa tutela che viene assicurata ad una donna che denuncia una situazione critica”. E questa mette in evidenza un problema serio e reale al quale politica, magistratura, forze dell’ordine, strutture sociali, ciascuno per il suo ruolo, dovrebbero dare risposta adeguata.

Ultimo tema trattato è quello della percezione che si ha dell’omosessualità. Qui la differenza di atteggiamento mentale tra maschi e femmine è netta. Lì dove tra le ragazze la completa accettazione sociale dell’omosessualità è largamente maggioritaria (pur senza disconoscere i problemi che può causare a chi la vive), tra i maschi le resistenze mentali sono ancora forti. La tabella di seguito riporta tutte le risposte, ma vale la pena commentarne alcune. Se l’85,5% dei maschi (96,9% delle femmine) concorda con il fatto che “Ognuno dovrebbe poter essere libero di seguire le proprie tendenze sessuali senza subire condizionamenti”, troviamo poi che oltre il 40% sostiene che “Nell'intimità ognuno è libero di fare ciò che vuole, ma in pubblico sarebbero da evitare le manifestazioni

di affetto tra omosessuali”, mandando così a farsi benedire la libertà di seguire le proprie tendenze sessuali senza subire condizionamenti, precedentemente invocata. A ritenere che le coppie omosessuali debbano avere gli stessi diritti e gli stessi doveri delle coppie eterosessuali è l’85,8% delle femmine e il 59,8% dei maschi. Così come il 75% della ragazze è d’accordo che le coppie omosessuali abbiano il diritto di adottare un figlio, contro uno sconfortante 47% dei maschi (12% in meno di quanti avessero concordato con la parità di diritti tra coppie etero e omosessuali). Ovvio constatare che su questo tema c’è ancora moltissima strada da fare. Volendo concludere con una sintesi complessiva dei risultati dell’indagine, appare evidente che ci troviamo davanti ad una generazione in bilico tra un futuro auspicato (e in alcuni casi idealizzato) e le zavorre del passato. Che l’adolescenza sia “in bilico” non è né una sorpresa né una criticità, ma l’essenza stessa di un’età in divenire. Il rischio sotteso è rappresentato da “noi”, in senso anagrafico. Non rappresentiamo più né una generazione da superare e combattere, né una generazione da emulare. Siamo tutto e il contrario di tutto in cui appaiono messi in discussione addirittura dei principi fondanti del nostro vivere sociale. Speriamo davvero che – mai come in questo caso – che i nostri adolescenti sappiano fare senza di noi: ne va del loro futuro. Maurizio Tucci e-mail maurizio.tucci@gmail.com

Con quale delle seguenti affermazioni sei d'accordo MASCHI

FEMMINE

L'omosessualità non mi crea alcun problema

77,2

97,8

Ognuno dovrebbe poter essere libero di seguire le proprie tendenze sessuali senza subire condizionamenti

85,5

96,9

Sono un po' a disagio nei rapporti con una persona del mio stesso sesso se so che è omosessuale

34,6

12,3

Nell'intimità ognuno è libero di fare ciò che vuole, ma in pubblico sarebbero da evitare le manifestazioni di affetto tra omosessuali

41,2

18,5

Una persona omosessuale fa bene a dichiararlo apertamente

74,3

90,5

I pregiudizi nei confronti degli omosessuali sono ancora molto forti

81,1

92,0

Le coppie omosessuali dovrebbero avere gli stessi diritti e gli stessi doveri delle coppie eterosessuali

59,8

85,8

Ancora oggi per un ragazzo/una ragazza non è facile dichiarare la propria

84,1

95,4

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PEDIATRIA

DIABETE NELL’ADOLESCENZA UN DIFFICILE EQUILIBRIO È la più comune malattia cronica dei ragazzi. Per gestirla richiede autocontrollo e massima attenzione. Ma qualche volta prevale la tendenza a “ribellarsi”. Gianni Bona e Silvia Savastio Clinica Pediatrica, Università del Piemonte Orientale, Novara

genetici che ambientali, che causa la distruzione di particolari cellule del pancreas, le cellule Beta, che producono un ormone detto insulina. L’insulina ha il compito di favorire l’assorbimento del glucosio e di regolare quindi il livello di zuccheri (la glicemia) nel sangue. L’aumento della glicemia provoca col tempo danni e problemi in tutto il corpo, ma può essere contrastato con la somministrazione di insulina esogena, cioè farmacologica, con un piano alimentare adeguato e con una corretta attività fisica. Si tratta quindi di gestire un delicato equilibrio metabolico, gestione che comporta controlli frequenti della glicemia, iniezioni di insulina e attenzione continua alla dieta.

I

l diabete mellito, tecnicamente un disordine endocrino-metabolico, è la più comune malattia cronica dell’infanzia e dell’adolescenza. Nella stragrande maggioranza dei casi (95%) si tratta del cosiddetto diabete di tipo I, detto anche appunto diabete giovanile.

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In Italia sono circa 20mila i bambini con diabete di tipo 1, 5mila gli adolescenti con la malattia che spesso, peraltro, si manifesta proprio quando si arriva alle soglie della pubertà. La malattia è provocata da un processo autoimmunitario, al quale concorrono fattori sia

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E proprio per questo, sia che la malattia venga scoperta nell’infanzia, sia che insorga dopo la pubertà, l’adolescenza resta il momento più critico nell’affrontare questa malattia. La sua corretta gestione infatti non sempre trova una adeguata collocazione nella vita del


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LA MALATTIA E LE SUE CONSEGUENZE Causa

Multifattoriale (cause genetiche, ambientali, immunitarie)

Sintomi classici

Sete anomala Diuresi abbondante e frequente Dimagrimento

Terapia

Insulina esogena (iniezioni sottocutanee) Alimentazione equilibrata Attività fisica controllata

Possibili complicanze

Acute: chetoacidosi (all’esordio o in seguito interruzione di terapia); sintomi da ipoglicemia Croniche: danno renale, danno retinico, danno coronarico, danno vascolare a carico degli arti inferiori (piede diabetico)

ragazzo, rischiando di essere “dimenticata”, negata o combattuta. La motivazione alla cura e ad uno stile di vita corretto, prima sostenuta in maniera importante dai genitori, diminuisce o cambia o entra in conflitto con la consueta gestione genitoriale. La tendenza adolescenziale alla ribellione, può diventare pericolosa se è volta contro la malattia, l’alimentazione disordinata fuori pasto e spesso squilibrata, tipica dell’età, diventa un rischio grave. A ciò si aggiunge che il diabete irrompe e amplifica i problemi propri dell’adolescenza: lo sviluppo sessuale (dal primo ciclo mestruale ai primi rapporti), il consumo di alcool, fumo o sostanze, i disturbi del comportamento alimentare, i tatuaggi e i piercing, l’attività scolastica sempre più impegnativa.

È importante fornire una corretta informazione ai ragazzi con diabete sulle differenti tematiche per far conoscere i possibili rischi a cui vanno incontro in caso di comportamenti scorretti. In particolare, l’alcol può causare una riduzione dei livelli di glucosio nel sangue anche alcune ore dopo averlo ingerito, con rischio di ipoglicemia durante la notte o nelle prime ore del mattino successivo all’ingestione; può alterare la risposta degli ormoni che controllano l’ipoglicemia e ridurre il senso di responsabilità ed i freni inibitori, aumentando la difficoltà a riconoscere e gestire un’ipoglicemia. Conoscendo i problemi, si trovano soluzioni efficaci, come controllare la glicemia prima e

dopo l’assunzione di alcolici, non bere mai a stomaco vuoto, ma assumere insieme dei carboidrati complessi. Anche i rischi del fumo o della cannabis devono essere sottolineati. Il tabacco causa insulino-resistenza e infiammazione cronica, favorendo le complicanze micro e macrovascolari, in particolare quando associato a una patologia cronica come il diabete. La cannabis, induce euforia e rilassamento, può alterare il senso della fame e determinare iperglicemia, facilitando la chetoacidosi che è la conseguenza più pericolosa del non assorbimento degli zuccheri. Anche il rischio di disturbi del comportamento alimentare è elevato in età adolescenziale. Il rischio più frequente, quando la terapia diventa autogestita, è una volontaria riduzione dei dosaggi di insulina terapeutica, se non addirittura la sua omissione, con il proposito errato di perdere peso, soprattutto nelle ragazze. Altri problemi più gravi come anoressia e bulimia possono insorgere in questa fascia di età. I disturbi alimentari possono a loro volta accelerare le complicanze microvascolari, oltre a predisporre allo sviluppo di ipoglicemia o chetoacidosi. Uno dei temi dibattuti in adolescenza è la richiesta di effettuare tatuaggi o piercing. Il diabete non impedisce questa esigenza, ma è consigliabile effettuarli quando il controllo glicemico è ottimale, per ridurre il rischio di infezioni.

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Meglio, inoltre, non tatuare zone di possibile neuropatia periferica o cattiva circolazione (per esempio gambe e piedi), o aree con lesioni della pelle o zone dove normalmente si effettuano le iniezioni di insulina. L’attività scolastica diventa sempre più impegnativa, aumentano i problemi relazionali coi coetanei e spesso vi è il problema del partecipare a gite scolastiche di più giorni o di viaggi studio all’estero. È importante informare gli insegnanti e i compagni di camera della malattia, per avere aiuto in caso di necessità e condividere le abitudini quotidiane, per non sentirsi diversi. Il bullismo o il cyberbullismo sono fenomeni che si presentano non di rado in età adolescenziale e la tematica del diabete può essere al centro dello scherno. I microinfusori di insulina e i sensori glicemici stanno assumendo un ruolo importante nella gestione del diabete e possono essere di aiuto in età adolescenziale, in giovani selezionati e motivati. I sensori in particolare permettono una rilevazione continua della glicemia, al fine di ridurre l’instabilità glicemica e migliorare la gestione quotidiana della malattia. Non vi è dubbio però che il trapianto di insule pancreatiche secernenti insulina, insieme al tentativo di “amplificare” la loro rigenerazione con cellule staminali, costituiscano la più avvincente sfida della diabetologia e rappresentino la nuova frontiera della cura e della gestione ottimale della malattia in adolescenti e adulti con diabete mellito tipo 1.

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IL DOSSIER

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Le TRASFORMAZIONI del CORPO

dolescente, in senso etimologico, è un participio presente che indica colui che si sta nutrendo. Adulto è un participio passato, colui che si è già nutrito. O almeno così crede. Perché naturalmente il nutrimento non è solo fisico, non è solo cibo per crescere il corpo, ma è anche culturale, per sviluppare la mente. Ma è certamente il corpo, in questo periodo, al centro della trasformazione e più che mai anche la psiche lascia su di esso profonde tracce. È una metamorfosi, come quella della farfalla che abbiamo messo in copertina, che non è priva di difficoltà, di dolori. Perché c’è anche la fase del bruco. Questo dossier è dedicato a questo aspetto dell’adolescenza: la normale trasformazione, ma anche le deformazioni, del corpo.


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IL DOSSIER

Il corpo ferito Gioie e dolori si esprimono all’esterno, diventano “questioni di pelle”. E i disagi più profondi possono lasciare il segno. Alessandra Marazzani Psicologa

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er i ragazzi il corpo è lo strumento principale per raccontare agli altri come si sentono e in che fase si trovano della loro crescita affettiva e relazionale. Ciò avviene perché a differenza degli adulti l’uso delle parole è ancora incerto e spesso le emozioni sono così dirompenti da non trovare una via facile di espressione attraverso il linguaggio. Vi e poi un altro importante fattore da considerare: il corpo attraversa un periodo di enormi cambiamenti fisici e i ragazzi sono portati a farne un uso poco accurato e attento, poiché

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lo vivono ancora con un senso di estraneità. È lo stesso senso di inconsapevolezza che hanno per le ansie e i turbamenti di origine affettiva. Pertanto, a fronte di uno stato di angoscia o di una condizione di sofferenza forte i ragazzi inconsciamente scaricano sul fisico il proprio disagio per eliminare o attenuare ciò che provano. Le modalità con le quali avviene questo spostamento sul corpo della sofferenza affettiva dipende anche dall’età e dal sesso oltre che dalle caratteristiche personali e dai vissuti del momento.

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Quali sono le esigenze psicologiche a cui gli adolescenti rispondono intervenendo sul proprio corpo? La prima e la più consueta e tollerata è quella di riconoscere e familiarizzare con un corpo divenuto estraneo: ecco la ragione delle eccessive e maniacali cure di cui il corpo diviene oggetto (lavaggi molti frequenti, trucco super ricercato, abbigliamento eccessivo ecc.). Una seconda esigenza avvertita da tutti è quella di sentirsi capaci o addirittura, tornando a vissuto più infantili, onnipotenti e padroni del proprio destino, certi che nessun male o fallimento potrà influenzarlo. Questo porta a vari tipi di eccessi e a forzare i propri limiti: eccedere nello sport o nella fatica, dormire pochissimo, infilarsi in risse o in situazioni rischiose di violenza, abusare di alcol ripetutamente, ecc... Queste pratiche che implicano eccessi e rischi vengono scelte per provare a se stessi e al mondo che la propria esistenza e la propria capacità non è solo definita dallo studio, dalla scuola o dai compiti richiesti dai genitori, ma anche da desideri di auto-affermazione personali. Un esempio di comportamento particolarmente significativo è quello del trattamento riservato alla propria pelle. Quest’ultima definisce il perimetro esterno della persona e ne influenza la sua percezione visiva e tattile. Se in generale la pelle è per gli adulti “il luogo” che rappresenta lo scorrere del tempo o lo stato della propria salute, nell’adolescenza viene anche usata con altri fini: sfogare le proprie emozioni, chiedere aiuto, ma anche per mettersi alla prova. I numerosi usi e abusi talvolta fortemente inappropriati della pelle e in generale del corpo devono, per poter essere compresi, essere ricondotti alle difficoltà di crescita, a questo passaggio straordinariamente stretto che porta i giovani a transitare dall’infanzia all’età adulta. Questo passaggio inevitabilmente si caratterizza con stati di grande insicurezza, di ansie che a volte sconfinano in stati depressivi, di perdita del senso di se’ e di paura del fallimento. Vi sono poi condizioni psicologiche che investono l’adolescente che esprimono un disagio maggiore e che nuovamente vedono il corpo diventare strumento di espressione di tale disagio in forma più preoccupante. Si tratta di stati psicologici che hanno in varie forme a che vedere con la depressione: senso di inutilità e di inadeguatezza, vuoto e disinteresse per ciò che li circonda; angoscia, tristezza,


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PICCOLI INCIDENTI, FORSE UNA RICHIESTA DI AIUTO. Quando si parla di adolescenti che attaccano il proprio corpo si tende a pensare ai ragazzi che si procurano volontariamente ferite o, nei casi più estremi e drammatici, a quelli che tentano il suicidio. Ma anche gli incidenti che si ripetono possono e devono, in alcuni casi, essere considerati attacchi al corpo. Un ragazzo che si fa spesso male attraverso cadute, piccoli incidenti stradali, risse potrebbe voler comunicare agli adulti qualcosa che non è in grado di esprimere a parole. Quello che singolarmente è un incidente, messo insieme a condotte simili dipinge un quadro ben diverso in cui il corpo ferito può dare un senso di momentaneo sollievo e dare voce al bisogno di essere ascoltato e aiutato. Quella che può essere scambiata per sbadataggine, goffaggine o, in molti casi, mancanza di senso del pericolo, in realtà è una richiesta di aiuto. Il non preoccuparsi del proprio corpo, mettere a rischio la propria vita e la propria salute diventa un modo per ripensare il proprio corpo e riappropriarsene dopo che, durante l’infanzia, sono stati i genitori a conoscerlo e a prendersene cura. “Il corpo è mio e ne faccio quello che voglio” sembrano dire i ragazzi, peccato che, attraverso i piccoli incidenti non fanno altro che alimentare una falsa autonomia nella quale i genitori, dai quali vorrebbero allontanarsi, diventano i destinatari del messaggio di aiuto e coloro che continuano a curarli. L’unico modo per uscire da questa spirale di auto-rinforzo è di tradurre la richiesta di aiuto pratico in una richiesta di aiuto psichico, di interpretare il farsi male come una fatica a diventare grandi. Questo è un compito che spetta agli adulti di riferimento (genitori, insegnanti, allenatori e altre figure significative), i quali, attraverso un proficuo scambio e confronto tra loro, possono costituire un fronte comune che, nel rispetto dei propri ruoli, favorisca un clima di ascolto comprensivo e di comunicazione autentica con il ragazzo. In alcuni casi un professionista psicoterapeuta può favorire questo scambio, intervenendo sul nucleo famigliare o direttamente sul ragazzo, nell’ottica di aiutarlo a far emergere il proprio disagio psichico e di rimettere in moto il processo di crescita e di definizione della propria identità. Giorgia Pierangeli

smarrimento e perdita di contatto con la realtà. Tutti questi stati possono essere rintracciati, come fossero disegnati su una mappa, attraverso l’uso che gli adolescenti fanno del loro corpo. Per esempio: la pelle che è esposta allo sguardo valutativo degli altri può essere coperta anche d’estate con felpe giganti, o incisa con enormi tatuaggi scuri o colorati per comunicare ciò che non si riesce ad esprimere con le parole. I tagli sulle braccia e gambe inferti a se stessi, (prevalentemente dalle ragazze), possono essere semplici aggressioni al

corpo per comunicare la propria rabbia, ma diventano spesso anche un modo per uscire dallo stordimento e dalla confusione mentale. Il dolore, la vista del sangue richiama la persona alla realtà, “un ritorno a casa” che riattiva un pensiero razionale. Immersi in un profondo senso di inadeguatezza alcuni ragazzi fanno uso e abuso di droghe per stordirsi e non percepire il dolore della depressione, evitando una disperazione più profonda che potrebbe portarli ad atti autolesionisti estremi. Questa fase della vita così piena di incognite, turbamenti e dolori esistenziali che si esprime attraverso il corpo in un caleidoscopio di forme e comportamenti oltre che transitoria è tuttavia indispensabile per costruire la personalità unica e irripetibile che ogni adulto avrà. Ciò che i genitori possono fare per facilitare questo cammino, evitando che sia troppo doloroso e minacciato dall’insuccesso è quello di aiutare i ragazzi a credere in loro stessi e al contempo dare loro, principalmente attraverso l’esempio, cornici valoriali solide. Una vicinanza, di più, una presenza psicologica al loro fianco che diventi un ancoraggio mentale, prima ancora che fisico, un senso del limite e della norma che via via verranno interiorizzati diventando parte della loro personalità da adulti. Alessandra Marazzani e-mail alessandra.marazzani@gmail.com

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MOMO CHALLENGE: SOLO UNO SCHERZO DI CATTIVO GUSTO?

Catena di Sant’Antonio o potenziale successore del fenomeno Blue Whale, il nuovo gioco-sfida che viaggia su WhatsApp. Che cos’è Momo? I media italiani ne hanno parlato a luglio, liquidandolo come l’ennesima catena di Sant’Antonio via WhatsApp che minaccia di lanciare il malocchio a chi riceve un messaggio e non lo diffonde. L’immagine del contatto che invia il messaggio è una donna-uccello con due occhioni enormi. Il fenomeno, che pare essere nato in Messico, ha già preso piede in diversi paesi, soprattutto ispanici, e non sembra destinato a fermarsi. Né tantomeno appare così innocuo. Tra gli adolescenti francesi, ad esempio, si sta diffondendo il Momo Challenge, un nuovo ‘gioco virtuale’ che secondo alcuni incoraggerebbe i suoi interlocutori a compiere gesti pericolosi e potrebbe avere conseguenze significative. In Francia la diffusione del Momo Challenge tra gli adolescenti ha già destato una certa allerta, tanto che ne è stato interessato il Ministero dell’Interno. Secondo diversi esperti, potrebbe trattarsi ‘solo’ dell’ennesimo sistema per impadronirsi illegalmente di dati personali; ma i possibili collegamenti tra il gioco-sfida e fatti di cronaca che hanno coinvolto adolescenti – come il suicidio di una ragazza argentina di 12 anni che si sarebbe tolta la vita dopo essersi filmata con uno smartphone dove compaiono tracce di conversazione con Momo, o le gravi ustioni subite da una coetanea di Detroit dopo una sfida finita male – suggeriscono di tenere comunque le antenne alzate. S. M.

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IL DOSSIER

Il corpo illustrato Tatuaggio o piercing? Piuttosto che gli amici “esperti”, è meglio consultare un dermatologo. Per avere le informazioni utili “prima”.

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n Italia, i tatuaggi sono sempre più diffusi anche tra gli adolescenti: non a caso le indagini dell’Istituto Superiore della Sanità sulla diffusione del fenomeno prendono in considerazione un campione dai 12 anni in su. Ma quanto ne sappiamo davvero? Abbiamo chiesto a Lucrezia Frasin, specialista in dermatologia, di aiutarci a comporre un quadro di informazioni utili su tattoo e piercing sia per gli adolescenti che si accingono ad affrontare sia per chi, se sono minori, li autorizza e li accompagna.

FARSI UN TATUAGGIO Le prime verifiche riguardano il tatuatore: deve essere abilitato e deve curare la propria igiene e quella dei locali in cui è eseguito il tatuaggio. “Di solito, abilitazioni e certificazioni sono esposte - spiega Frasin - altrimenti è bene chiedere di poterle consultare. Ma l’osservazione ‘sul campo’ è altrettanto importante”. Pensiamo a strumenti e materiali: le parole d’ordine sono ‘sterile’, ‘sigillato’ e ‘monouso’. Valgono per aghi, apparecchi e strumenti; valgono per inchiostri e pigmenti che, oltre a essere rigorosamente sterili e atossici, devono essere in contenitori monouso; e anche guanti, maschera e camice del tatuatore devono essere ‘usa e getta’. Infine, il consenso informato: prima di sottoscriverlo, che sia il diretto interessato o il ge-

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nitore a farlo, vanno acquisite tutte le informazioni su materiali e prodotti che saranno utilizzati e sui possibili rischi: “Al di là di possibili infezioni, comunque sempre più rare, al momento possono verificarsi allergie da contatto dovute ai pigmenti per il tatuaggio, ai metalli per il piercing e ai prodotti per disinfettare, mentre alcune sostanze – come la parafenilendiamina, addizionata per ottenere colori più intensi – sono allergizzanti a distanza di tempo”.

COME CANCELLARLI Per quanto l’adolescente possa considerare tatuaggi e piercing atti definitivi (pensiamo, per le ragazze, al ‘make-up permanente’ di labbra e sopracciglia) i dati lo smentiscono: la rimozione dei tatuaggi è un fenomeno in crescita. Normalmente, la si fa in ambulatorio. “La tecnica più utilizzata è un trattamento laser specifico, il cosiddetto laser q-switchato; solo per i tatuaggi più piccoli può aver senso un intervento chirurgico”. La rimozione è meno dolorosa che in passato, anche grazie a creme a effetto anestetico locale, ma non è del tutto indolore. “In ogni caso - sottolinea Lucrezia Frasin - si tratta di un percorso lungo e costoso”. Altre cose da sapere ‘prima’? È più complesso rimuovere un tatuaggio multi cromatico rispetto a uno monocolore. E alcuni pigmenti sono particolarmente difficili da asportare completamente: ad esempio,

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il rosso e il giallo e, ancor più, gli inchiostri fluorescenti che s’illuminano al buio (come in discoteca) e che vanno per la maggiore tra gli adolescenti. Non sempre, inoltre, la rimozione è totale e definitiva: può restare una traccia e, a lungo termine, possono comparire cheloidi, cicatrici ipertrofiche e ispessimenti del tessuto cutaneo.

UNA QUESTIONE MOLTO… PERSONALE Le ultime informazioni da acquisire prima di tatuarsi o farsi un piercing riguardano... se stessi. Ed è qui che il dermatologo è più prezioso. Potrà indicarci le parti del corpo più sensibili (tutte quelle dove ci sono mucose o dove la pelle è più sottile) e quelle dove le infezioni da piercing sono in agguato (come l’ombelico o il lobo dell’orecchio). Potrà darci un’idea, a seconda del nostro fototipo, di quanto dovremo ‘soffrire’ per un piercing o un tattoo. Potrà aiutarci a scegliere una zona della pelle davvero integra e priva di nevi, anche piccolissimi. Inoltre, potrà rilevare se ci sono condizioni che rendono sconsigliabili o controindicati, per noi, tatuaggi e piercing. Se siamo diabetici, ad esempio, scordiamoceli. Se abbiamo problemi di coagulazione o soffriamo di emorragie, evitiamo. Dubbio gravidanza? Verifichiamo prima e, nel caso, soprassediamo. Soffriamo di allergie, anche in forma leggera? Potremmo avere brutte sorprese dopo un po’ di tempo. Abbiamo un po’ di influenza? Meglio spostare l’appuntamento. Tutte cose che è meglio sapere, sia in generale, sia riguardo alla propria situazione personale. A chiunque spetti la decisione finale – genitore o diretto interessato se ha già varcato la soglia dei 18 – una maggiore consapevolezza la renderà comunque una scelta migliore.

Simona Mazzolini


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Foto di Carlo Alfaro

LE REGOLE PER I MINORI

UN RITO DI PASSAGGIO

VERSO UNA NUOVA IDENTITÀ I 3 impulsi che portano al tattoo: mostrarsi trasgressivi, originali, coraggiosi

In adolescenza il tatuaggio è visto come un “documento d’identità” sociale perché offre la possibilità di far vedere che si esiste attraverso un segno di riconoscimento sulla pelle. Spesso è un disegno con significati precisi, definiti, che serve a far sentire i ragazzi appartenenti ad un gruppo di riferimento. Come sappiamo, la personalità in adolescenza è in via di definizione continua e il tatuaggio è una di quelle pratiche che consente di sentire almeno il proprio corpo come certo, con caratteristiche peculiari attraverso un disegno indelebile. Il tatuaggio è pertanto uno dei riti moderni di passaggio alla maturità; per poterlo fare, come ogni rito, si richiede il coraggio di reggere la sofferenza fisica dell'ago nella carne. E come ogni rito, ha bisogno di un pubblico amicale che assiste all'evento e di una condivisione per decidere quale disegno sia più adatto da tatuarsi. Le scelte sulla dimensione e sulla porzione di corpo che verrà tatuata variano a seconda dell'età, del sesso e del gruppo sociale di appartenenza. I ragazzi sembrano più facilmente preferire tatuaggi grandi, in posti visibili (braccia, polpacci, cosce, collo, etc...) mentre, le ragazze cercano porzioni di corpo più nascoste e tendenzialmente disegni più piccoli (caviglie, polso, piedi, dietro le orecchie e fondo schiena). Vi sono anche altre caratteristiche peculiari del tatuaggio adolescenziale che aiutano a comprendere come mai questo fenomeno sia così in espansione tra i ragazzi. Sono motiva-

zioni profonde, che hanno a che fare con: la trasgressione, l’originalità e l’eterna ricerca di vivere esperienze forti. L’aspetto trasgressivo è quello dominante poiché sancisce la separazione dai genitori e fa sentire l’adolescente più forte nell’aver compiuto un atto fuori dalle regole. Infatti, farsi un tatuaggio contiene una dose di rischio perché viene fatto spesso impulsivamente ed in zone del corpo delicate che possono produrre irritazioni all'epidermide. In tali situazioni il corpo è vissuto come parte da usare senza cura e attenzione e la pelle è il foglio su cui descrivere chi si è ed anche un luogo per esprimere il proprio malessere. Un altro aspetto fondamentale del tatuaggio è dato dalla necessità di sentirsi originali: i ragazzi si sentono unici, più sicuri nel distinguersi dalla massa dei coetanei, nella speranza di diventare “popolari” e quindi meno invisibili. La terza motivazione che spinge gli adolescenti a tatuarsi riguarda la possibilità di fare un'esperienza forte poiché avviene in piena autonomia, è fuori dagli interessi degli adulti e può essere anche raccontata con motivo di orgoglio. In ultimo, tatuarsi è un’esperienza anche dolorosa che crea però diversi stati emotivi spesso ricercati dai ragazzi: l’eccitazione dell’attesa nel compiere un atto originale, la paura nel sapere che si proverà dolore e il desiderio di poter fare qualcosa per se, di speciale, che rimarrà per sempre.

I tatuaggi – ormai diventati a furor di popolo elementi decorativi del nostro corpo – esercitano un notevole fascino a tutte le età, fascino al quale naturalmente non si sottraggono neppure i minorenni. Poiché però questa pratica può comportare dei seri rischi per la salute dovuti a possibili reazioni allergiche ai pigmenti utilizzati, alle infezioni ed alla possibilità di contrarre gravi malattie come l’HIV e l’epatite, i tatuaggi non possono essere eseguiti sui soggetti minori di anni 18, in quanto per la legge italiana agli stessi manca la capacità giuridica (cosiddetta “capacità di agire”) di concludere il contratto con cui il tatuatore assume l’obbligo di realizzare un tatuaggio a fronte del pagamento di un corrispettivo. Il minore di anni 18 può, pertanto, sottoporsi ad un tatuaggio solo se i propri genitori in qualità di tutori legali prestano personalmente il consenso informato a tale intervento sostituendosi alla volontà del minorenne. In difetto di tale consenso, che deve necessariamente essere prestato in presenza del tatuatore onde evitare facili e scontate falsificazioni di firma, il contratto concluso tra il minorenne ed il tatuatore è per legge annullabile su istanza di chi vi abbia interesse. In materia, si segnala una proposta di legge attualmente “dispersa” nei meandri del Parlamento che prevede il divieto di tatuaggi e piercing sui minori di anni 16 e l’introduzione di nuove misure igieniche e di educazione sanitaria.

Roberta Quagliuolo

Alessandra Marazzani

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IL DOSSIER

È VERA EPIDEMIA?

Alessandra Marazzani

Anoressia e bulimia sono i più gravi disturbi dell’alimentazione. Sono tipiche del mondo occidentale, dove, non a caso, l’ideale di bellezza è legato alla magrezza, riguardano per il 90% dei casi il sesso femminile e soprattutto gli adolescenti. Si parla oggi di una vera e propria epidemia: le cronache parlano di 3 milioni di persone colpite in Italia, più di due milioni di adolescenti. Ma forse si esagera. “Parliamo del 3% della popolazione, quindi di cifre più basse – dice Gianni Bona, direttore della clinica pediatrica dell’Università del Piemonte orientale, a Novara. “Certo è che si tratta di un disturbo sempre più diffuso, che riguarda soprattutto gli adolescenti e soprattutto le ragazze. Aumentano i pazienti e va notato che aumentano di più percentualmente i maschi”. È un aumento reale o è cresciuta soltanto la capacità di diagnosi? “Difficile dirlo. Sono certamente aumentate anche le possibili diagnosi, perché c’è maggior attenzione al problema. D’altra parte riconoscere l’anoressia non è difficile: il dimagrimento e l’alimentazione ridotta sono evidenti e, una volta escluse altre cause organiche, la diagnosi è chiara. In passato l’anoressia era nettamente più frequente, oggi c’è un certo equilibrio fra i due disturbi e la bulimia nervosa è più difficile da diagnosticare, perché evidentemente l’obesità può avere diverse origini e non soltanto psichiatriche”. Ma voi medici, lei è un endocrinologo, che cosa potete fare? “Anoressia e bulimia sono disturbi psichici che derivano da problemi relazionali. Noi cerchiamo di curare gli effetti della malattia, le conseguenze. I casi più gravi devono essere affidati al neuropsichiatrica, noi cerchiamo di ridare un equilibrio al metabolismo e all’alimentazione. Purtroppo le forme più avanzate di anoressia sono molto resistenti” È stato istituito nei Pronto soccorso il Codice lilla, per i pazienti affetti da disturbi alimentari. È utile? “Lo sarà certamente, perché in ospedale sarà d’aiuto nell’individuare il giusto percorso terapeutico. Ma dobbiamo parlare al futuro. Per ora ci sono solo rari esempi di Pronto Soccorso attrezzati per i codici lilla”. E le scuole svolgono qualche ruolo? Vi giungono segnalazioni da questa fonte? “Molto poco, in verità. Qui si potrebbe fare di più. Questi disturbi alimentari sono associati spesso, nei ragazzi, con un basso rendimento scolastico. Questi casi, a fronte di alunni eccessivamente magri o improvvisamente grassi dovrebbero mettere sull’avviso”. Riccardo Renzi

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Psicologa.

Il corpo cristallizzato L’anoressia rappresenta una “protesta” contro la propria crescita e le trasformazioni. Ma nasce soprattutto da difficoltà relazionali.

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ei disturbi alimentari ed in particolare nell’anoressia, il corpo viene ferito in quanto strumento fondamentale di relazione. Questi disturbi colpiscono in particolare durante la preadolescenza e l’adolescenza per la difficoltà dei ragazzi a maturare una propria autonomia nelle relazioni affettive e nella costruzione dell’identità individuale. Questo processo di cambiamento e maturazione può essere vissuto come impossibile da affrontare e quindi è il corpo a pagarne le conseguenze e l’unica salvezza è entrare in una dimensione di isolamento. L’anoressia è un disturbo che riguarda all’80% le ragazze per diversi fattori: l’immagine e la cura del proprio corpo è al centro dell’interesse delle adolescenti femmine ed è considerato determinante per avere maggiori e migliori opportunità di relazioni con gli altri. Ciò è anche influenzato dal bombardamento di immagini mediatiche che sfruttano l’attrattività del corpo femminile per pubblicizzare i prodotti di consumo di vario genere. Oltre a ciò stiamo assistendo in questi ultimi anni, attraverso i social media, a una crescita fuori controllo del valore espositivo della propria immagine corporea che dev’essere gradevole, attraente ma anche seduttiva. Si aggiunga infine, che la trasformazione delle forme femminili (seno, fianchi e fondo schiena), costituiscono un cambiamento assai più rilevante e visibile sulla relazione rispetto ai cambiamenti fisiologici dei maschi nella stesso periodo di età. E l’anoressia sembra essere un’opposizione a tale cambiamento: come se prevalesse l’istinto di conservare (e “cristallizzare”) il corpo infantile e la sua magrezza. Succede quasi sempre allo stesso modo: quando le ragazze sviluppano un disturbo alimentare o addirittura un principio di anoressia il loro comportamento viene connotato da

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un atteggiamento generale di rifiuto e opposizione, che si esprime con dei “No” davanti a qualsiasi proposta collegata al mangiare e a respingere anche verso lo stare in compagnia con gli altri durante i pasti. Inizialmente, quando il disagio è ai suoi esordi, i divieti posti sono più blandi. Ad esempio: “se vengo a tavola mangio quello che mi sento...”. Oppure, “ora non ho fame ma arrivo dopo...”. o ancora, “non mangio quello che hai preparato e assaggio qualcosa, voglio solo verdura e non pasta”. Poi mano a mano il rifiuto diventa più’ radicale, vengono posti vincoli invalicabili: “mangio solo qualche spicchio di mela...non mangio mai più carboidrati... se mangio ho la pancia gonfia e quindi decido io cosa prepararmi...”. Il cibo diventa pertanto una barriera che rende difficile o impossibile la comunicazione, prima con i genitori, poi con gli amici e poi con chiunque altro, a scuola, nello sport o nel lavoro si trovi in relazione con le persone che


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GLI EFFETTI SU BOCCA E DENTI I disturbi dell’alimentazione si associano ad una serie di disordini orali e dentari favoriti dall’abitudine dei pazienti di indursi ripetutamente il vomito, che provoca un’erosione dentaria con conseguente carie. Un altro fenomeno correlato all’abitudine del vomito ripetuto è la parotite, ovvero il rigonfiamento talvolta dolente di una ghiandola parotide o di entrambe che genera stato di apprensione sia nel paziente sia soprattutto nei genitori che rilevano una deformità estetica (si dice volgarmente “mi sono gonfiata come un criceto”). Esiste da alcuni anni la possibilità di esplorare le ghiandole salivari attraverso i piccoli dotti mediante la tecnica di scialoendoscopia; questa è una metodica non invasiva che ha un ruolo sia diagnostico sia riabilitativo consentendo poi una migliore attività funzionale della ghiandola. Prof Pasquale Capaccio pasquale.capaccio@unimi.it

soffrono di questo disagio psicologico. L’anoressia è definita la malattia della relazione perché il sintomo del non riuscire più a condividere lo stare a pranzo o a cena mette progressivamente in crisi i rapporti sia famigliari che amicali. Rifiutando le abitudini alimentari della famiglia fino a poco tempo prima accettate di buon grado, le adolescenti inviano inconsapevolmente un messaggio di forte rottura delle regole che governano l’armonia famigliare. Infatti, non si tratta di piccole richieste di cambiamento dei comportamenti alimentari che i membri della famiglia possono decidere di adottare, ma rappresentano atteggiamenti e scelte radicali verso il cibo che escludono gli altri e confinano l’anoressica in una condizione di solitudine. A ciò si aggiungono anche altri modi con cui le ragazze involontariamente entrano in uno stato di isolamento rispetto alle relazioni famigliari: i tempi dei pasti, che si dilatano e possono raggiungere le due ore per consumare un piatto, nonché le pratiche di sminuzzamento dei cibi e separazione dei medesimi gli uni dagli altri. Questi rituali possono essere accompagnati anche da una difficoltà a inghiottire il cibo e da un conseguente consumo eccessivo di acqua per favorire la deglutizione. Avere il pensiero fisso sul cibo, preoccuparsi di come “la pancia” possa digerire quello che si mangia e quindi essere costantemente concentrati sulle proprie sensazioni fisiche di-

venta un’ulteriore ostacolo alla relazione con le persone. Questo tipo di pensieri finiscono per dominare l’intero arco della giornata e non solo i momenti precedenti allo stare a tavola. Il traguardo inconscio di queste ragazze è pertanto il fuggire dalle relazioni, un togliersi di mezzo e scomparire dalla scena dei rapporti con gli altri. È una ricerca dolorosa di autonomia affettiva per non dipendere più da nessuno, cercando di poter vivere la propria esistenza il più possibile al riparo dalle emozioni. Per i genitori è importante saper comprendere i segnali di cui abbiamo parlato attribuendo loro il corretto significato. Si tratta di capire, e non è facile, che comportamenti di rifiuto del cibo o di particolari rituali inusuali e bizzarri nella gestione della propria alimentazione sono il sintomo di un disturbo alimentare e non di un atteggiamento provocatorio e conflittuale volto ad arrecare fastidio o peggio dispiacere. Il rifiutare il cibo o assentarsi dalla tavola, può generare infatti, ansia,

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angoscia e rabbia nei famigliari costretti a confrontarsi con questi comportamenti, che vengono vissuti come forme di misconoscimento e disistima. In realtà, queste manifestazioni non esprimono un conflitto interpersonale bensì un conflitto interiore. In tal senso è fondamentale che i genitori, nell’affrontare queste situazioni, non antepongano il loro bisogno di essere amati e apprezzati dalle figlie ma ne sappiano cogliere il significato più complesso: il tentativo, seppure difficile e tortuoso, di separarsi dal legame e dalla dipendenza genitoriale per trovare una propria identità distinta.

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IL DOSSIER

Il corpo contestato Dopo il convegno, organizzato da laboratorio Adolescenza su “Comunicazione e identità di genere” tenutosi a Milano lo scorso marzo, è giunta alla nostra segreteria la lettera di uno studente che aveva assistito all’incontro. Ci è parsa particolarmente interessante e significativa di un’esperienza che riguarda una percentuale non irrilevante di ragazzi e ragazze, in cui la trasformazione coinvolge non tanto il corpo quanto l’identità sessuale, e abbiamo ritenuto utile pubblicarla. Abbiamo incontrato il protagonista e ricevuto il suo permesso alla pubblicazione: lui avrebbe voluto firmare il suo intervento, ma noi abbiamo l’obbligo legale, trattandosi ancora di un minorenne, di mantenere l’anonimato.

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ra il 2009, passavo la mia terza elementare tra guerriglie organizzate contro le maestre e lotta con le molliche di pane a mensa. Il mio primo bacio, tra le foglie autunnali nel giardino della scuola, mi rese felice come una pasqua per molto tempo. Io ero un ragazzino riccioluto ed arruffato, andavo benissimo a scuola, ma ogni pretesto era buono per organizzare scherzi alle insegnanti e farle imbestialire. Lei era prima in ogni gara sportiva, bellissima, alta, bionda con gli occhi verdi, magra, schiaffeggiava chiunque provasse a farle un dispetto. Penso che sia stato il miglior anno della mia vita. Nel 2010, però, quando mi trasferii a Milano, persi ogni contatto con quella classe. Passavo molto tempo in casa con la mia famiglia. Vivevo in una famiglia patriarcale e molto religiosa. Una famiglia conservatrice, convinta che l’omosessualità fosse una malattia e che le persone gay fossero figli del demonio e, addirittura, responsabili delle guerre e della fame nel mondo. Senza il condizionamento costante della mia famiglia forse avrei preso queste parole alla leggera e avrei capito, una volta cresciuto, quanto fossero assurde, ma così non fu. Sapevo di essere nato con i genitali femminili, e non avevo problemi per questo, perché ero convinto che con la pubertà il corpo si sarebbe plasmato da solo a quel che io sentivo di essere. Non mi biasimo per aver avuto quest’assurda convinzione da piccolo. Nelle scuole manca quasi totalmente l’educazione alla sessualità, soprattutto nelle scuole primarie, poiché alle medie alle volte è già tardi. Tra il 2010 e il 2011 il mio corpo iniziò a cambiare, ma non come immaginavo io. Capii che, presto o tardi, sarei diventato una donna e il fatto che mi piacessero le femmine (e ne fossi attratto) era un peccato gravissimo. Giunsi all’erronea conclusione che tutti i mali accaduti alla mia famiglia fossero causa mia: il senso di colpa era grandissimo. Mi costringevo a vestire in modo più femminile, anche se questo mi faceva sentire molto a disagio con me stesso e con gli altri. Per due anni andai avanti così, con l’aggravante del bullismo di cui ero vittima. Poi entrai alle medie. Lì trovai dei compagni fantastici. Ero sempre meno a disagio con le persone e forse più felice. Quell’anno ebbi la mia prima luna. Poco prima avevo iniziato anche a trovarmi bene con la mia figura femminile e i miei capelli lunghi, ma il disagio nel mio corpo non si era attenuato, anzi, stava crescendo, e con esso i problemi in famiglia. Arrivai al punto di chiedermi se davvero non avessero ragione i miei genitori. Successivamente ci fu un periodo di calma nella mia mente, una calma che, però, allo stesso tempo, faceva un frastuono incredibile. Era un frastuono fermo, ecco! Lo riuscivo a placare solo col contatto sociale o con la lettura. Un giorno volli dire a mia madre della ragazza con cui stavo uscendo. Non so con quale ingenuità cercai di parlarne

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a mia madre, ma non fu di certo una scelta felice. Si infuriò e si disperò, pianse, mi insultò in maniera pensante. Uscii in fretta di casa incavolato e triste, rimasi fuori per ore: per calmarmi e par dar modo a mia madre di calmarsi e poi rientrai rifiutandomi, però, di parlarle. Quell’episodio paradossalmente mi diede più forza, mi fece capire quanto fossero stupide le idee che mi avevano inculcato e che fino ad allora avevo preso per verità assoluta. Così iniziai a fare girare il mondo sempre più attorno a me, non dando importanza al giudizio altrui. Grazie anche agli amici, con i quali avevo un forte legame, trovai il coraggio necessario per fare coming-out a scuola. Ero rappresentante d’istituto, stavo scrivendo un libro e avevo sempre con me un album di disegni di cui ero molto orgoglioso. Ma ancora non capivo bene come definirmi: non ero a conoscenza dell’esistenza di un mondo LGBT+ (lesbian, gay, bisexual, transexual, etc) e di tutte le sfumature che poteva acquisire la sessualità; per tale ragione dicevo semplicemente di essere bisessuale. Eppure mi sentivo frustrato di non poter essere proprio come mi sentivo in ogni momento, ed iniziai a fare un po’ di ricerche sulla rete attraverso pagine, blog, esperienze e racconti di altri adolescenti in situazioni simili. E così trovai una vagonata di informazioni che mi aprì un mondo e una maniera di vedere le cose diversamente. Entrato al liceo, avevo ormai compiuto un itinerario interno, che mi ha permesso di esaminare me stesso introspettivamente e di non dover più dipendere obbligatoriamente dalle altre persone per star bene. Inoltre ero riuscito un po’ a definirmi e a ‘spiegarmi agli altri’. Non mi piace etichettare le persone – e tanto meno me stesso – ma, al contempo, lo sforzo di trovare un nome più specifico per quello che ero mi ha fatto sentire bene, mi ha fatto capire di più di me stesso. La conclusione a cui sono arrivato è che una persona riesce a definirsi tramite quattro aspetti: genere biologico, identità di genere, romanticismo e sessualità. In breve, il genere biologico è quello con cui si nasce, l’identità di genere è quella a cui sentiamo di appartenere, il romanticismo è l’amore platonico che si prova e la sessualità è l’attrazione fisica. Adesso sono a mio agio col mio aspetto, uso gli appellativi che mi sono scelto e riesco spesso anche a far rispettare agli altri la mia preferenza nell’uso di pronomi e terminazioni maschili per fare riferimento a me. Ho ancora tanto da lavorare per migliorare il mio aspetto esteriore, ma il mio disagio è notevolmente diminuito. Allora mi chiedo, perché è dovuto passare così tanto tempo prima che capissi di non essere sbagliato? Perché ho dovuto rischiare di danneggiarmi gravemente? Perché sono dovuto stare così male per così tanto tempo? Sarebbero bastate poche informazioni corrette sulla sessualità e sull’identità di genere, già alle scuole elementari, per evitare tanto malessere.

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BILANCI DI SALUTE.qxp_Layout 1 30/10/18 14:23 Pagina 1

MEDICINA

ADOLESCENZA: É TEMPO DI FARE IL BILANCIO Momento di rapidi cambiamenti fisici e psichici. Per il pediatra è importante fare il punto sulla situazione, in quello che chiama Bilancio di salute Marina Picca e Roberto Marinello Pediatri di famiglia

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’assistenza medica agli adolescenti è stato per molto tempo un terreno di scarso interesse, trattato spesso con un approccio eccessivamente specialistico o psicopatologico. Da qualche decennio si nota invece uno studio più attento delle problematiche mediche degli adolescenti, strettamente connesse al loro sviluppo psicofisico, relazionale e sociale. Si cerca oggi di affrontare l’assistenza all’adolescente in modo sistematico e dinamico, dando grande valore agli interventi di prevenzione e di educazione alla salute. Uno strumento fondamentale per meglio conoscere i bisogni di salute globali degli adolescenti, sono i bilanci di salute, cioè una serie di visite-filtro ad età programmate, in cui evidenziare particolari rischi sanitari e durante le quali dialogare con il paziente per sensibilizzarlo ai temi della prevenzione e della tutela della sua salute. Tali strumenti ormai perfettamente rodati da più di 20 anni sulla popolazione pediatrica, stanno oggi rivolgendosi anche all’età adolescenziale grazie all’opera dei pediatri di famiglia che assistono i ragazzi fino ai 14-16 anni. Ma è altrettanto importante che tali bilanci continuino fino al termine dell’età adolescenziale (attorno ai 20 anni) proprio per mantenere quella sorveglianza sanitaria periodica e quell’azione preventiva, informative ed educativa che costituiscono il cardine della moderna medicina delle cure primarie. In questa serie di articoli scritti da pediatri e medici di famiglia si può notare l’interesse, direi la passione, per l’approfondimento di queste problematiche in un’ottica di condivisione e di collaborazione trasversale tra pediatri di famiglia e medici di medicina.

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’adolescenza è un periodo di rapidi ed importanti cambiamenti fisici psicologici e sociali che segna la transizione dall’infanzia all’età adulta. È importante, quindi, seguire questa fase così e ricca di bisogni sanitari e psicologici (talora espressi ma molte volte inespressi), con controlli medici periodici che chiamiamo bilanci di salute (BDS). Sono visite eseguite dai pediatri di libera scelta a tutti i ragazzi fino al quattordicesimo anno di età per riconoscere precocemente patologie di tipo fisico ma anche psicologiche e relazionali, per sostenere la profilassi delle malattie infettive e per realizzare interventi di educazione sanitaria, di promozione della salute rispetto ai rischi più frequenti. Per il bambino affetto da patologia cronica la famiglia può richiedere il mantenimento della scelta a favore del pediatra fino al sedicesimo anno di età e questi due anni sono preziosi per consentire la continuità delle cure e della prevenzione in età adolescenziale. I BDS rappresentano inoltre momenti privilegiati per far crescere il rapporto di fiducia, il dialogo tra pediatra ragazzi e famiglia, per educare gli adolescenti a prendersi cura della propria salute. In genere i BDS per l’età preadolescenziale ed adolescenziale sono almeno due, in età variabili a seconda della programmazione sanitaria regionale. In Lombardia ne abbiamo uno previsto tra gli 8 e 10 anni ed uno tra gli 11 e 13 anni. Fondamentale per l'approccio ai ragazzi è la capacità relazionale del medico, che deve creare un clima rassicurante, una alleanza che garantisca comprensione e sostegno nelle situazioni che possono costituire fonte di disagio fisico (sofferenza da malattia organica

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acuta o cronica) o psicologico. Per fare ciò si chiederà all’adolescente se vuole parlare da solo o in presenza dei genitori, i quali verranno comunque informati e rassicurati sulla possibilità di un colloquio col pediatra al termine della visita: il protagonista principale è ormai il ragazzo non più il genitore! Cosa ricerchiamo in questi controlli? Nella tabella indichiamo molto sinteticamente le valutazioni e i controlli eseguiti dal pediatra durante i due bilanci di salute indicati e attualmente svolti dai pediatri della Regione Lombardia. Il nostro obiettivo sarà quello di effettuare una valutazione clinica completa per valutare lo stato di salute generale, l’evoluzione dei processi ormonali e metabolici, mentre l’osservazione psico-comportamentale sarà tesa ad individuare precocemente comportamenti a rischio, con indicazione di eventuali approfondimenti in caso di sospetto diagnostico.

VALUTAZIONE CLINICA Nell’esame clinico verranno misurate la statura e il peso, il rapporto peso altezza (BMI) per capire se la crescita procede in modo armonico, segnalando un aumento o una perdita eccessiva di peso; verrà misurata la pressione arteriosa; si eseguirà un esame obiettivo completo con particolare attenzione ad alcuni organi: alla ghiandola tiroidea (è una ghiandola particolarmente attivata in questa età), alla colonna vertebrale per valutare anomalie, ad esempio la scoliosi che spesso compare nella preadolescenza, alla persistenza di un piede piatto, all’apparato dentale per evidenziare malocclusioni e presenza di carie, alla comparsa di acne che spesso crea disagio sociale al ragazzo.

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Alcune linee guida raccomandano lo screening per il colesterolo, la glicemia e altri parametri già a partire dai 9-11 anni, ma non tutti sono d’accordo. Certamente il medico prescriverà indagini se sospetta qualche patologia e dovrà individuare i “lati deboli” del ragazzo che cresce, in base alla sua storia personale e familiare: ad esempio se c’è familiarità per o ipertensione o dislipidemie sarà opportuno seguire i valori di colesterolo e trigliceridi, se un familiare è celiaco e c’è qualche lieve sintomo sospetto, sarà bene fare i test per la celiachia. Bisognerà quindi valutare le singole situazioni.

OSSERVAZIONE

PSICO-COMPORTA-

MENTALE

Lo sviluppo puberale è certamente l’aspetto che caratterizza la fase adolescenziale: la valutazione dei caratteri sessuali deve avvenire con sensibilità, delicatezza e rapidità perché a questa età a volte è molto forte il pudore nel mostrare la propria identità sessuale. La pubertà, intesa come comparsa e sviluppo dei caratteri sessuali secondari inizia generalmente tra gli 8 e i 13 anni nella femmina (mammella e peluria al pube) anche se oggi non è infrequente osservare anticipazione di questi segni. Dalla comparsa del telarca (aumento del volume della mammella) alla comparsa del primo ciclo mestruale (menarca) trascorrono in media 2-3 anni con ampie oscillazioni individuali. Per le ragazze, dopo il menarca, potrebbe essere utile compilare un piccolo diario per seguire la regolarità o meno del ciclo: data di comparsa, caratteristiche (frequenza, durata, presenta di dolore ecc). Nel maschio il primo segnale è l’aumento dei testicoli che avviene normalmente tra i 9 e i 14 anni, in genere si raggiungerà la morfologia adulta in circa 3 anni con variazioni individuali. Un’attenzione particolare si porrà nel ricercare la presenza e la consistenza di entrambi i testicoli, l’individuazione di un eventuale varicocele (dilatazioni delle vene del testicolo), che dovrà essere seguito nel tempo per prevenire rischi sulla sterilità, la presenza di fimosi. Un problema, che spesso preoccupa ragazzo e famiglia è la ginecomastia (sviluppo eccessivo della mammella nel maschio): è un problema ormonale ma del tutto fisiologico che si risolve, quasi sempre, spontaneamente,

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molto raramente richiede un trattamento. Questi cambiamenti sono inoltre accompagnati da peluria ascellare e mutamenti dell’odore del sudore, che diventa talvolta davvero molto sgradevole. Le variabili di sviluppo (ritardo di comparsa o assenza) andranno monitorate nel tempo ed eventualmente indagate in modo approfondito. Nel corso delle visite mediche spesso le famiglie chiedono: facciamo qualche esame del sangue?

Si cercherà di conoscere l’interazione del ragazzo con i diversi membri della sua famiglia, la frequenza e il rendimento scolastico, la tipologia delle amicizie, le attività praticate, i passatempo, le abitudini alimentari (ricordiamo che sono in aumento le patologie legate ai disturbi del comportamento alimentare quali sovrappeso/obesità, anoressia, bulimia, ortoressia, cioè una ossessiva ricerca dei cibi sani che porta ad una dieta molto restrittiva e all’isolamento sociale). Sarà importante rassicurare il ragazzo sui dubbi e le preoccupazioni riguardo la propria salute ed il proprio sviluppo. Dovremo anche valutare eventuali segnali di allarme, molto im-

PIANO CLINICO DEI BILANCI DI SALUTE PER L’ADOLESCENTE (LOMBARDIA) TRA 8 E 10 ANNI controllo auxologico (peso, altezza, BMI) esame obiettivo generale (con attenzione particolare ad apparato genitale, igiene orale, vista) misurazione pressione arteriosa controllo della deambulazione, colonna vertebrale (scoliometria), valutazione relazionale e psico-comportamentale (famiglia, amici, rendimento e comportamento scolastico) valutazione schedula vaccinale e promozione delle vaccinazioni colloquio con il preadolescente (con/senza genitori) su temi di educazione sanitaria TRA 11 E 13 ANNI controllo auxologico (peso, altezza, BMI) esame obiettivo generale (in particolare sviluppo puberale, genitali, ciclo mestruale varicocele) misurazione pressione arteriosa valutazione relazionale e psico-comportamentale (famiglia, amici, rendimento e comportamento scolastico) informazione sui rischi prevalenti per l’età (droghe, alcool, fumo, bullismo,incidenti) valutazione schedula vaccinale e promozione ciclo vaccinale (anti HPV, antimeningite ) colloquio con l’adolescente (con/senza genitori) su temi di educazione sanitaria

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portanti a questa età. Un calo netto e repentino del rendimento scolastico, un isolamento marcato, l’abbandono dello sport, una variazione nel rapporto con il cibo sono tutti indici di un disagio da indagare con discrezione.

IL MEDICO DI FAMIGLIA DI FRONTE AL NUOVO ARRIVATO

EDUCAZIONE SANITARIA

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Sono tante le tematiche che bisognerebbe affrontare con i ragazzi e i genitori per una corretta informazione ed educazione sanitaria, compito non facile! In particolare si parlerà di: • Promozione di una corretta alimentazione, dell’attività motoria e sportiva e monitoraggio dell’uso di sostanze dopanti spesso inconsapevole o inconfessato. • Abuso di sostanze: tematiche emergenti e più diffuse di quanto si pensi, delle quali sia i genitori sia i ragazzi hanno scarsa consapevolezza. Informazione sui danni dell’abuso di sostanze come fumo, alcool, droghe. • Abuso delle nuove tecnologie (internet, videogiochi, cellulare e televisione). • Incidenti: rinforzare l’importanza dell’uso del casco in bicicletta in moto e in alcuni sport • Vaccinazioni: è importante dedicare spazio al valore anche sociale di questo strumento efficace per la prevenzione delle malattie. In questa fascia di età ricorderemo la vaccinazione contro il papilloma virus (ora praticata anche per il maschio), contro le meningiti e i richiami di alcune delle vaccinazioni eseguite nella prima infanzia (es. morbillo, pertosse). • Infine un grande pericolo sono le malattie sessualmente trasmesse o le gravidanze indesiderate: una educazione al rispetto del proprio corpo e della propria sessualità sono indispensabili per ridurne il rischio. Sul piano medico, dobbiamo considerare, inoltre, la numerosità di soggetti con malattia cronica dovuta alle migliorate possibilità di diagnosi e cura, con aumentata sopravvivenza di patologie in precedenza a esito infausto in età infantile (diabete, fibrosi cistica, cardiopatie congenite, spina bifida). Proprio per affrontare con continuità e competenza tali problemi, il pediatra ha uno strumento assistenziale importante, rappresentato dei Bilanci di Salute al Cronico, che seguendo lo schema dei bilanci di salute, affronta periodicamente con il ragazzo e la sua famiglia gli aspetti clinici psicologici e relazionali della patologia cronica da cui è affetto. È evidente come questo strumento sia particolarmente importante tra i 14 e i 16 anni di età.

Maria Grazia Manfredi e Maria Teresa Zocchi Medici di Medicina Generale rrivati a 14 anni (o a 16 in presenza di vate le caratteristiche auxologiche e lo svipatologie croniche) si realizza un cambia- luppo sessuale e valutato lo stato vaccinale delmento fondamentale nell’assistenza dell’ado- l’adolescente, occasione ultima per il recupero lescente, cioè il passaggio dalla medicina di vaccinazioni mancanti o il completamento di pediatrica a quella degli adulti: l’adolescente cicli vaccinali. Inoltre dovrebbero essere sonnon si rivolge più al pediatra che ha imparato date tutte le aree che possono rappresentare a conoscere nel corso degli anni e il medico aspetti critici, quando non francamente patodi riferimento diventa il medico di medicina logici, dell’età adolescenziale: i rapporti intergenerale. Questo passaggio già di per sé deli- personali, problematiche legate alla scuola, cato, merita un’attenzione particolare. Il mo- l’alimentazione, il fumo, l’abuso alcolico, le didello di assistenza pediatrica prevede non pendenze, la sessualità, ansia, deflessione del solo visite legate all’insorgenza di patologie tono dell’umore, comportamenti autolesivi e acute o al controllo di ideazione suicidaria. Piccole grandi bugie malattie croniche, ma Non esiste attualanche momenti di inmente nel nostro G.,15 anni, si presenta in ambulatorio (per la prima volta) con la mamma al rientro dalle vacontro con lo scopo Paese un progetto ascanze al mare. È molto agitato, preoccupato per di “fare il punto” a sistenziale per questa la propria salute. La mamma racconta di un episcadenze prefissate, fascia di età, come insodio di malessere, con vertigine, nausea e vomito, occorso al ragazzo mentre partecipava a rispetto a parametri vece avviene per la peuna festa in barca, in uno dei primi pomeriggi di di crescita, fisica e psidiatria. In alcune realtà vacanza, sotto il sole. Accompagnato in albergo, chica, finalizzate a initaliane esistono acera stato visitato dal medico della C.A. che non aveva rilevato nulla di particolare e aveva considividuare problemi cordi regionali che gliato riposo al fresco e abbondante idratazione. propri o prevalenti prevedono “bilanci di A distanza di quaranta giorni dall’episodio vendell’età in cui sono efsalute” anche per gono riferiti ancora sintomi della stessa natura, accompagnati da insonnia, ansia, dolori addomifettuati; dal medico di l’adolescente, ma tali nali e inappetenza. Ora, dopo circa due mesi, medicina generale, inbilanci sono sempre viene in ambulatorio per lo stesso motivo. Dopo vece, più frequentesvolti dai pediatri di faaver parlato a lungo con lui e la mamma, non avendo rilevato nulla di obiettivo, ho indagato, mente si va quando miglia. Almeno uno di con molta cautela, un eventuale uso di “sogià il problema c’è. tali interventi persostanze”… Il ragazzo, molto sollevato, ha amNonostante si verifinalizzati dovrebbe avmesso di avere fumato in quella occasione la sua prima “canna”, accompagnata da una bevanda chi assai frequentevenire nella fascia di “energizzante”: è stato malissimo e si è molto mente che questo età 13-15 anni e uno spaventato. G. era però contento di averne pomedico abbia in cura potrebbe essere prevituto parlare con me, mi ha chiesto se poteva tornare, per parlare ancora. La mamma, che era a tutta la famiglia e che sto tra i 16 e i 20. In conoscenza della cosa, non se l’era sentita di quindi riceva informaquesto modo si po“confessarlo” al medico. zioni sullo stato di satrebbe pensare di rilute e sulle abitudini dell’adolescente anche durre la morbilità di alcune delle affezioni nei periodi nei quali non si rivolge a lui diret- tipiche dell’adolescenza citate, di agire sulle tamente, l’utilizzo del bilanci di salute nel- “Killer Diseases”, di individuare nuovi aspetti l’adolescente dai 14 ai 18 anni potrebbe socio-sanitari definendone l’epidemiologia, e rappresentare uno strumento utilissimo per comunque di migliorare lo stato di salute della seguire con maggiore attenzione tutti i ra- popolazione. Ma il passo fondamentale, perché gazzi e intercettare più precocemente non si realizzi una efficace presa in carico dell’adosolo patologie organiche, ma anche compor- lescente è la collaborazione tra pediatra e metamenti anomali e rischiosi. dico di medicina generale. Indispensabile a tal Nell’ambito del bilancio di salute, che sarà fine è la messa a punto di strumenti che facicomposto da una valutazione clinica e da un litino il passaggio di informazioni cliniche e colloquio, che naturalmente non deve avere le psico-socio-comportamentali, attualmente caratteristiche dell’interrogatorio, vanno rile- quasi esclusivamente affidata ai genitori.

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UN NUOVO PASSAPORTO DI SALUTE Un gruppo di pediatri e medici di famiglia sta studiando un nuovo documento sanitario che aiuti la transizione, cioè il passaggio del confine tra il dottore dei bambini a quello degli adulti. Patrizia Tagliabue Pediatri di famiglia

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l passaggio dell’assistenza dal Pediatra di libera al Medico di medicina generale avviene in una fase particolarmente delicata dello sviluppo evolutivo dell’individuo particolarmente delicata, perché avviene dai 13 ai 16 anni. Per questo una corretta TRANSIZIONE delle cure primarie è indispensabile, affinché l’adolescente acquisisca gradualmente l’importanza di prendersi cura di sé stesso e del proprio benessere psicofisico. Per questo motivo abbiamo costituito un Gruppo di lavoro, dedicato alla realizzazione di una SCHEDA SANITARIA che consenta una trasmissione sufficientemente sintetica ed esaustiva, dei dati anamnestici e clinici dall'adolescente, dal Pediatra di Famiglia al Medico di Medicina Generale, con annesse alcune note di Valutazione psico/comportamentale, per favorirne la migliore conoscenza, presa in carico e assistenza sanitaria. Il momento della compilazione della Scheda Sanitaria da parte del pediatra vuole essere anche un’ottima occasione per ribadire, ai ragazzi e alle loro famiglie, l’importanza di controlli sanitari periodici da eseguire nel tempo, per mantenere un buono stato di salute e prevenire l’insorgenza di affezioni dovute a stili di vita scorretti; è infine uno spunto di dialogo fra Pediatri e Medici che operano sul territorio a tutela e nell'esclusivo interesse della continuità assistenziale del paziente. Il Gruppo di lavoro che si è occupato di questo progetto (cinque Pediatri di libera scelta, due Medici di medicina generale una psicologa-psicoterapeuta specialista in problematiche adolescenziali) ha pertanto redatto questa Scheda Sanitaria in modo tale che contenga: • Dati anamnestici familiari e di patologia remota (solo se rilevanti per lo stato di salute attuale dei ragazzi). • Quadro vaccinale completo con note su

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eventuali reazioni avverse ai vaccini stessi. • Allergie (se presenti) ad alimenti, inalanti (stagionali o perenni) e/o farmaci. • Dati che riguardano l’alimentazione dei ragazzi, con attenzione a stili alimentari particolarmente scorretti o eccessivamente selettivi. • Dati di anamnesi patologica prossima (se presenti e rilevanti), con segnalazione di malattie infettive e interventi chirurgici eventualmente effettuati durante l’età infantile. • Malattie croniche (se presenti) di natura congenita ereditaria o acquisita, con indicazioni sulla terapia farmacologica e/o riabilitativa eventualmente associate, riferimenti del centro di follow-up di III livello e note che riguardano l’“adherence” terapeutica e il grado di autonomia dell’adolescente nella gestione della sua patologia. La scheda contiene, inoltre: • Dati antropometrici (peso, altezza, indice di massa corporea e valori di pressione arteriosa) calcolati al momento del passaggio, ed eventualmente corredati di curve di crescita, qualora risultassero patologici. • Esame obiettivo generale, contestuale alla compilazione della scheda stessa, con segnalazione di eventuali problemi salienti. • Valutazione del grado di sviluppo puberale. • Valutazione di eventuali anomalie dei caratteri sessuali secondari. • Problemi (se presenti) di natura ortopedica, odontoiatrica e /o oculistica. • Esami normali o strumentali eseguiti di recente, con motivazione della prescrizione ed esito degli stessi (compreso un Elettrocardiogramma recente generalmente fatto eseguire per certificazioni sportive non agonistiche). • Note sintetiche su comportamenti individuali e sociali dell’adolescente, con indica-

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zione di eventuali segnali di disagio psicologico e comportamenti a rischio, previa somministrazione al ragazzo/a di un questionario di valutazione psico-comportamentale (da noi stessi progettato e redatto con la consulenza di una Psicologa-psicoterapeuta specializzata in età adolescenziale); queste note verranno annesse alla scheda dopo aver ottenuto il consenso informato dei ragazzi. La scheda infine sarà completata con i contatti telefonici e di posta elettronica del pediatra che la compilerà, allo scopo di fornire al medico di famiglia, che prenderà in carico l’assistenza del ragazzo/a, la possibilità di un colloquio informativo, se lo riterrà opportuno. Verrà infine consegnata ai genitori o ai tutori legali dell’adolescente. Noi del Gruppo di lavoro per la redazione della Scheda Sanitaria, siamo inoltre convinti che il processo di TRANSIZIONE vada “accuratamente” preparato, introducendo l’argomento già durante il decimo Bilancio di Salute (dai 10 ai 12 anni) e “adeguatamente completato” con un ulteriore bilancio di salute, da effettuarsi dai 14 ai 16 anni di vita, (come le linee guida per la Medicina dell’Adolescenza suggeriscono in letteratura) da chi poi seguirà l’adolescente successivamente. Quest’ultimo Bilancio di salute potrà essere effettuato sia dal pediatra, qualora dovesse avere ancora in carico assistenziale l’adolescente per motivi di affezione cronica, oppure dal medico di medicina generale che ne assumerà l’assistenza in seguito: sarebbe auspicabile progettarlo insieme come esempio di vera continuità assistenziale e momento di collaborazione professionale e scambio scientifico culturale, di sensibile importanza per il futuro della medicina sul territorio.


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DAL DOTTORE ANCHE I MINORI HANNO DIRITTO ALLA PRIVACY

LA SCIENZA DELLA “TERRA DI MEZZO”

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orse non tutti sanno che gli adolescenti potrebbero avere un medico a loro dedicato, “l’adolescentologo” e che esiste una società scientifica nazionale, la Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (SIMA), che ha proprio l’obiettivo di migliorare le conoscenze e le competenze di chi si prende cura degli adolescenti. Ciò che rende necessario il “medico degli adolescenti”, è l’assoluta peculiarità di questa epoca della vita, una sorta di “terra di mezzo”, con bisogni di salute suoi propri che spesso non trovano adeguata possibilità di accoglienza e soluzione da parte di un medico non adeguatamente formato. L’adolescentologia è, quindi, una disciplina trasversale, alla quale può approcciarsi tanto il pediatra quanto il medico dell’adulto, per prendersi cura del paziente in questa fase di transizione. Ed avere come riferimento un medico altamente specializzato è ancora più importante per gli adolescenti affetti da malattia cronica, che sono sempre di più grazie alla maggiore sopravvivenza, in virtù dell’evoluzione delle conoscenze mediche. Oggi si stima che circa il 15% degli adolescenti tra 15 e 17 anni residenti in Italia soffrano di almeno una malattia cronica e l’efficace gestione dell’adolescente con malattia cronica è indispensabile per garantire la salute a lungo termine e per scongiurare la possibilità di abbandono delle cure, che in adolescenza raggiunge, secondo alcuni studi, addirittura il 50-55% dei casi. A questo si aggiungono le nuove emergenze che insidiano gli adolescenti: l’aumento della povertà, le diseguaglianze sociali, la crisi educativa, culturale e sociale, l’aumento della violenza, l’emergenza del bullismo e cyberbullismo, le vecchie e nuove dipendenze, lo sviluppo massiccio dell’uso di internet, la promiscuità sessuale con i rischi di malattie sessualmente trasmesse e gravidanze indesiderate, i problemi

di alimentazione con diffusione di obesità e disturbi del comportamento alimentare, le difficoltà di integrazione degli adolescenti stranieri. L’originalità della SIMA – rispetto ad altre società medico scientifiche – è che si rivolge e coordina non solo medici di qualunque specialità, ma anche altri professionisti, di area sanitaria e non, con competenze e/o esperienza nel campo della tutela della salute e del benessere dell’adolescente. Il nostro approccio è sempre quello di affrontare le varie tematiche con taglio pratico, favorendo lo scambio di opinioni tra i diversi operatori al fine di proporre modelli di intervento efficaci validi per tutti gli specialisti, sanitari e non solo, coinvolti nella cura e nell’assistenza dell'adolescente. Importante, inoltre, l’attività SIMA finalizzata ad elaborare e validare linee guida e documenti di consenso – oggi sempre più importanti nella pratica medica – che indichino ai medici il corretto comportamento da tenere nelle problematiche cui può incorrere l’adolescente e di promuovere, realizzare e coordinare studi clinici e ricerche scientifiche sull’adolescenza. Sempre con l’obiettivo di promuovere l’assistenza integrata e multidisciplinare per tutti i soggetti in età evolutiva, dalla nascita all’adolescenza, la SIMA coordina le proprie attività con quelle della Federazione delle Associazioni e Società Scientifiche dell’Area Pediatrica (FIARPED) e siede al tavolo dell’Istituto Superiore della Sanità sulle malattie sessualmente trasmissibili. Un invito a tutti coloro che si occupano di adolescenza ad entrare nel mondo SIMA. Per conoscere meglio SIMA: www.medicinadelladolescenza.com oppure visita la nostra pagina Facebook!

In un momento di delicata transizione quale è l’adolescenza, il medico (pediatra o dell'adulto che sia) potrebbe essere un prezioso riferimento per ragazzi e ragazze che si trovano spesso spaesati difronte ai tanti cambiamenti psicologici e somatici di questa età, specie considerando che di molti argomenti (non solo quelli legati alla sessualità) non è sempre facile parlarne con i genitori. Ma – come si chiedono i diretti interessati - “Che garanzia abbiamo che il medico non vada immediatamente a riferire tutto mamma e papà?” In sostanza: il “segreto professionale” vale anche se il paziente è minorenne? La risposta a questa domanda non di dettaglio è un “si e no” che può apparire non troppo rassicurante. Ma cerchiamo di capirne un po’ di più. Ci sono situazioni specifiche definite da leggi ad hoc in cui anche al minore è garantito il rispetto della privacy. È il caso, ad esempio, dell’interruzione volontaria di gravidanza (in cui la adolescente ha il diritto di autodeterminarsi senza che i genitori lo vengano necessariamente a sapere) o della prescrizione della pillola del giorno dopo. Anche la diagnosi di sieropositività è tutelata dalla privacy a meno che il medico non invochi la “giusta causa” (motivandola) qualora ritenesse indispensabile informare i genitori. Lì dove non c’è una normativa specifica il medico non è deontologicamente tenuto ad informare i genitori, ma può farlo. In altre parole, se il medico ritiene che il suo silenzio non sia pregiudizievole per la salute dell'adolescente ha la facoltà – e il dovere etico - di garantirgli assoluta riservatezza su quanto ha saputo e quanto eventualmente indicato o prescritto. Viceversa, nel caso in cui ritenga che tenere all’oscuro i genitori possa pregiudicare la salute del minore, può - e deve - informarli senza che ciò si configuri come violazione del segreto professionale”. Le “garanzie” di riservatezza - per dirla con i ragazzi - non sono quindi assolute, ma sono comunque buone, essendo l'interesse del medico quello di instaurare, anche col paziente adolescente, un rapporto fiduciario forte. Per cui, se è vero che l'ideale è sempre che tra genitori e figli ci sia dialogo - e quindi un loro coinvolgimento va sempre suggerito - il medico deve anche saper comprendere le esigenze di riservatezza del ragazzo o della ragazza, tanto più quanto è maggiore la loro età e il loro livello di maturità, e rispettarli. E il viceversa? Ovvero se sono i genitori a non volere che il figlio sappia di una patologia che lo riguarda? Su questo punto le indicazioni provenienti dai comitati etici sono convergenti: l’adolescente deve sempre essere informato e, per eventuali interventi o terapie alle quali deve essere sottoposto, gli si richiede se non un “consenso informato” (che spetta al genitore) un “assenso”.

Gabriella Pozzobon

Maurizio Tucci

Presidente Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza

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SCUOLA

LA GITA D-ISTRUZIONE Dovrebbe essere un momento importante di apprendimento e di socializzazione. Ma piace sempre meno, ai genitori, agli insegnanti e persino agli studenti. Maurizio Tucci Presidente Laboratorio Adolescenza

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na volta si chiamava “gita scolastica”, oggi, per renderla più coerente – almeno del punto di vista semantico – con il percorso scolastico, si chiama “gita d’istruzione” ma, leggendo le cronache e ascoltando studenti ed insegnanti chiamarla “gita distruzione” non sembrerebbe solo una provocatoria scelta grafica. Senza arrivare ai casi più drammatici (negli ultimi anni le cronache hanno riportato diversi casi di studenti deceduti in gita scolastica sempre a causa delle conseguenze di comportamenti a rischio), anche le gite dalle quali, alla fine, si torna tutti “felicemente” a casa sono spesso un campo di battaglia.

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Non sarà un caso che sono sempre di più gli insegnanti che si rifiutano di accompagnare i propri alunni in gita ed assumersi l’onere – senza alcuna contropartita, dicono - di una forte responsabilità e di una sorveglianza H24. Diciamolo senza ipocrisie: gli obiettivi che la scuola e gli studenti ripongono nella gita, scolastica o d’istruzione che sia, sono diametralmente opposti. Per la scuola c’è una finalità didattica (sulla carta le gite sono il completamento di un percorso avviato in aula), per i ragazzi la gita è vista come un momento di completa autonomia e libera condivisione di spazi e tempi con i compagni e gli amici a pre-

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scindere dalla destinazione che è spesso un dettaglio del tutto secondario. “Loro starebbero sempre in albergo” è lo sconsolato leitmotiv di decine di insegnanti-accompagnatori e da questo punto di vista che l’albergo sia a Montmartre o a Cinisello Balsamo cambia poco. Lo scenario classico è: tutto il giorno a visitare città, luoghi e musei con lo spirito dei deportati (ma anche momenti di inaspettate – per loro – emozioni) e la sera, la notte, in albergo a “fare” la vera gita, quella che per loro è contemporaneamente d’istruzione e distruzione con e senza apostrofo.


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Perché è straordinariamente istruttivo (ma anche potenzialmente distruttivo) vivere insieme, senza orari, senza tabù, dovendo contare solo sulle proprie “forze psicologiche” in una socialità che può essere affascinante e spietata. Il problema delle “gite”, come sono concepite oggi, è che mettono di fatto insieme due momenti di istruzione (uno “detto” e uno “non detto”) entrambi importanti, ma totalmente scorrelati uno con l’altro. E il rischio è che questa innaturale fusione, comprimendo spazi e tempi, amplifichi il rischio distruttivo. Ho partecipato, qualche anno fa, come “osservatore esterno” ad una gita di una scuola media. A parte – ma questo può capitare sempre – una piccola epidemia intestinale che colpì il gruppo: “Prof, io DEVO vomitare prima di andare all’acquario o posso vomitare dopo?” quasi fosse un obbligo, i momenti che i ragazzi dimostravano di gradire di più – e si percepiva il loro benessere – erano quelli che potevano passare da soli nel giardino della struttura che ci ospitava, a parlare, a programmare la serata, a “fidanzarsi” e “sfidanzarsi”. Ma questo non possono farlo in città tutto l’anno? Con gli amici non si vedono sempre? Ci si può chiedere. No, non è la stessa cosa. Li erano “soli”, vivevano la loro autonomia, che significa decidere come vestirsi, cosa mangiare, a che ora spegnere la luce. Ma non fanno sempre così anche a casa? Probabilmente sì, ma solo chi non ricorda la propria adolescenza può credere che sia la stessa cosa. Gli adolescenti hanno un bisogno vitale di misurarsi tra di loro in contesti e con tempi non cadenzati dalla routine quotidiana; di sperimentarsi e amministrarsi. Riusciamo a fornire loro spazi e tempi adeguati per questo tipo di “istruzione”? Qualche scuola lo fa, organiz-

zando momenti di convivenza tra i ragazzi senza bisogno di andare a Londra o a Barcellona, o, anche, organizzando la gita all’inizio dell’anno scolastico e non alla fine, proprio perché comprendono il valore “sociale” di un evento che può avere importanti effetti aggreganti per il “gruppo classe”. Ma la maggior parte non considerano questi aspetti e si continua a partire (sempre meno, per motivi eco-

nomici e, come abbiamo già accennato, per carenza di insegnanti volontari) per queste gite ibride nelle quali ognuno cerca qualcosa di diverso e, nel caos, l’istruzione rischia davvero di diventare distruzione. Maurizio Tucci e-mail maurizio.tucci@gmail.com

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uest’anno meno della metà (il 42%) degli studenti italiani ha partecipato a una gita scolastica, secondo un’indagine effettuata dal sito Skuola.net sui viaggi d’istruzione organizzati dalle scuole italiane. La crisi di questo tipo di attività scolastica è evidente. L’anno scorso allo stesso sondaggio il 56% degli studenti aveva risposto che sarebbe partito. Interessante poi è l’analisi delle motivazioni che hanno indotto tanti studenti a rinunciare. Mentre in passato il motivo economico era prevalente, ora le cose sono cambiate. Oggi le difficoltà economiche sono addotte dal 28% degli studenti, ai quali si aggiungono, tra i “motivi personali” la paura del terrorismo al 3% e la mancanza di fiducia dei genitori al 6%. Si tratta di viaggi che nella maggior parte dei casi vengono effettuati in pullman (48%), tra marzo e aprile (63%), e costano meno di 400 euro (70%). In un quarto dei casi poi, 25%, viene a mancare il permesso della scuola, il che significa in pratica che non si sono trovati professori disposti ad assumersi la responsabilità del viaggio, peraltro gratuitamente. Ma il dato più clamoroso e preoccupante è che la prima motivazione di rinuncia alla gita scolastica: uno studente su tre dichiara che “non ha voglia di stare con i compagni di classe”. Un vero fallimento per chi pensa che la scuola debba essere il momento fondamentale di socializzazione.

NON MI PIACCIONO I COMPAGNI…

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SERIE TELEVISIVE

I TREDICI FALLIMENTI È considerata la serie Tv migliore mai prodotta sull’adolescenza, racconta il suicidio di una liceale americana. Ma contiene riflessioni utili anche per noi. Riccardo Renzi Giornalista

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a seconda stagione della serie Tredici, andata in onda su Netflix, si apre in modo anomalo. Gli attori, che il pubblico fedele ha conosciuto nel corso della prima stagione, si rivolgono direttamente al pubblico, con un messaggio fuoriscena, in una specie di Pubblicità progresso: “Se stai combattendo con i problemi che qui vengono raccontati, dicono, forse questa serie non è adatta a te”. “Se, in ogni caso, sei in crisi o conosci ragazzi in crisi personale, parlane con un adulto, un istituzione, un consulente che possano darti una mano”. “È un’idiozia pensare che tenere segrete le cose, possa aiutarti”, concludono. Tredici infatti racconta il suicidio di un’adolescente e “tredici” non è l’età della protagonista, ma i tredici motivi per cui Hanna, questo è il suo nome, arriva alla decisione di togliersi la vita e tredici sono le audiocassette regi-

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strate lasciate a futura memoria, per spiegare l’estrema decisione. Una storia dura quindi, raccontata con adeguato realismo, senza troppi cedimenti a retorica o spettacolo. Il messaggio “educativo” non è soltanto una trovata di marketing o un’abile risposta alle polemiche che negli Stati Uniti ha suscitato la prima serie, accusata persino di istigare al suicidio. Lo stesso dibattito si è sviluppato anche in Italia. Perché Tredici nasce come serie educational. Nel libro da cui è tratta, 13 reasons why, scritto da un 42enne californiano, Jay Asher, ex maestro di scuola elementare dedicatosi poi alla letteratura per ragazzi, l’obbiettivo di affrontare i problemi più drammatici dell’adolescenza risulta molto chiaro. E la serie Tv non lo tradisce, nonostante l’intreccio quasi giallo e i necessari risvolti di suspense.

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Secondo molta critica, Tredici è, se non la più popolare, la miglior serie mai prodotta sul mondo degli adolescenti, un mondo al quale sono dedicate moltissime produzioni di cinema e Tv, i cosiddetti teen movie. Storie, intrecci e avventure, che possiamo grosso modo dividere in due grandi “generi”. Il primo topos prevede come scenario di fondo un mondo fantastico, fantascientifico o comunque distopico. In queste storie, la metafora dell’adolescenza è evidente: le “bande” di ragazzi devono affrontare un mondo ostile, una minaccia aliena o a un regime da Grande fratello. Oppure sono loro stessi i “diversi” perseguitati, perché vampiri (la saga Twilight) o licantropi (Teen wolf) o perché dotati di superpoteri. In ogni caso è una dura lotta per sopravvivere agli adulti ostili o alle “bande” rivali, l’identificazione è facile e immediata.


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La ricetta catartica, in genere, è la solidarietà con i propri simili, l’amicizia e la capacità di fare gruppo. Quando invece lo scenario è realistico, il gruppo è composto da vicini di casa, o compagni di scuola e in qualche caso di cella, che devono affrontare semplicemente la complessità dei rapporti sentimentali e sessuali (il prototipo è il vecchio Dawson Creek) o anche le dure prove, modello talent, che impone la società competitiva nella scuola, nello sport, nell’espressione artistica. Tredici non ha nulla di fantastico, si muove in un mondo persino banale e si situa quindi in questo secondo gruppo, dove soprattutto la scuola è lo scenario di fondo, con gli inevitabili corollari di bullismo (cyber e non), di aggressività sessuale e non, di piccoli e grandi tradimenti, ma soprattutto di errori inconsapevoli e debolezze. Ma si eleva nella scrittura al di sopra di tutti questi modelli. Non è un caso che lo sceneggiatore della serie sia un signore che si chiama Brian Yorkey, che ha vinto un premio Pulitzer per la drammaturgia per aver scritto i testi di un musical, Next to normal, poco noto in Italia. A tempo di rock, questo musical racconta la storia di una famiglia normale, in cui la madre è bipolare. Come dire, un esperto di “quasi” normale, come il mondo di Tredici. E non mancano nobili ascendenti, a partire dal prototipo di tutte le serie televisive, quel Twin Peaks di David Lynch incentrata sulla ricostruzione della vita di una ragazza assassinata, Laura Palmer. O come Amabili resti, di Peter Jackson dove la voce narrante è una ragazza stuprata e uccisa. Mentre il coprotagonista di Tredici, il ragazzo che riceve le cassette-testamento ha spesso il capo coperto dal cappuccio come Donnie Darko, un cult dei film sull’adolescenza. Ma al di là degli aspetti formali e artistici, quel che ci interessa è naturalmente il contenuto, il “messaggio”, come si suol dire. E il messaggio è semplice: Tredici è la storia di una fallimento, il fallimento totale di una società e dei suoi valori. Proprio perché, per una società, non ci può essere peggiore debacle culturale del suicidio di un’adolescente sana e benestante, che dovrebbe essere felice. È inadeguata la scuola, prima di tutto, incapace di trasmettere valori che vadano al di là della prestazione e di fornire una qualsiasi educazione sentimentale. Anche se propone, su appuntamento, un distratto psychiatric help. È inadeguata la famiglia, che brilla per la sua assenza. È inadeguato il gruppo, che non sa

Guarda il trailer ufficiale della seconda stagione di Tredici https://www.youtube.com/watch?v=iSRjDDVLnCI prendersi cura di un proprio membro, perché il mondo degli adulti non gli ha insegnato a farlo. E che anzi si accanisce sui più deboli. Fallisce la pedagogia, fallisce la psicologia, fallisce la sociologia. Il dubbio che ci coglie, non so se fondato o semplicemente autoassolutorio, è che qui venga rappresentato un altro mondo. Lo scenario di Tredici è indubbiamente molto americano, è l’universo della scuola e della

middleclass statunitense che siamo abituati a vedere, appunto, nei teen movie, apparentemente diverso nelle abitudini e nei riti. Non è roba nostra, forse. Ma da qui vengono le domande più stimolanti per chi si occupa di adolescenza: la nostra scuola è migliore? Le nostre famiglie sono più presenti? I nostri ragazzi sono più “buoni”? I nostri valori sono più forti? O forse il nostro mondo non sta assomigliando sempre più a quello di Hanna?

LA CAOTICA DISCUSSIONE IN RETE La serie Tredici è stata ampiamente seguita e commentata sui social. In primo luogo ha spopolato in lungo ed in largo la malata moda del “suicidio”. In quel periodo, infatti, si è sviluppata prorompente la tendenza all’auto-celebrazione martellante del proprio dolore (non che prima non esistesse, si intende) e un’ostentazione piuttosto incosciente di esso. Ma la parte davvero preoccupante è stata la reazione: tutti quelli che hanno cercato di approfondire la discussione sono stati accusati di approfittare delle piattaforme virtuali per spiccare, per fare “gli intellettuali”. E in tal senso anche la stessa serie Tv è stata criticata: i motivi della crisi della protagonista sono stati giudicati esagerati, facendo così sembrare la seria e dolorosa catena di pensieri che portano al suicidio un atto di vittimismo; intorno al successo guadagnato si è creato un alone di scherzo e incredulità che ha sommerso la riflessione che gli autori della serie hanno proposto, narrando attraverso gli occhi di Hanna, per ottenere una maggior empatia da parte degli spettatori. Così ogni contenuto sincero è stato letto con scetticismo e le immagini volutamente forti sono state interpretate semplicemente come ricerca di audience. Chi nella discussione ha voluto trasmettere coraggio, è stato messo a tacere da commenti carichi di astio e superficialità. A questo punto, un dubbio sorge: quando un tema ha una grande esposizione, migliora o peggiora l’attitudine dei giovani nell’accettare e filtrare le critiche costruttive? Crediamo che le risposte possano variare da persona a persona, da caso a caso, anche secondo l’età: temiamo però che i più “piccoli” rischino di essere bombardati da stereotipi, che poi replicheranno attraverso gli stessi social. Redazione Scripta Restant

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DICONO DI NOI

CHE COSA NE PENSA EINSTEIN A cura della redazione di Scripta Restant, giornale del Liceo Einstein di Milano

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i interessa di più la psicologia

enitori: o troppo o troppo poco

Per noi adolescenti la frequenza con cui ci rechiamo dal medico dipende in tutto e per tutto dai nostri genitori e dal tipo di persone che questi sono. Le nostre madri e i nostri padri si dividono principalmente in due macro categorie e la via di mezzo è quasi inesistente. La prima categoria, di cui fanno parte soprattutto le madri, sfiora l’ipocondria. Appena vedono i loro figli con un’unghia fuori posto o semplicemente un colorito della pelle di un tono più chiaro, ecco che iniziano a portarci a fare visite su visite ed esami su esami. Alla fine il risultato è sempre negativo. La seconda categoria ha un odio viscerale sia per medici sia per qualsiasi tipo di medicinale. I genitori che fanno parte di questa categoria portano i figli dal medico solo in caso di vita o di morte. Un discorso a parte è invece costituito dall’ambito psicologico che per noi adolescenti, in particolare alle superiori, risulta essere fondamentale poiché è un periodo in cui affrontiamo tantissimi cambiamenti e ci confrontiamo con le prime difficoltà della vita. Spesso sono le scuole ad offrire questo supporto ai propri studenti. Peccato che per mancanza di soldi o per mancanza di ore questo servizio che ci viene offerto risulta essere inadeguato alle nostre esigenze. La poca disponibilità genera diversi problemi: il primo, piuttosto evidente, è che vengono privilegiati casi più gravi e non viene data la disponibilità a tutti di essere ascoltati. Il secondo problema riguarda la fascia oraria. Svolgendosi il servizio di consulto psicologico durante le ore scolastiche spesso i professori sono abbastanza restii a farci uscire dalla classe per incontrare lo psicologo. Il terzo ed ultimo problema è l’impossibilità di portare avanti un percorso lineare a causa della mancanza di ore. L’unico modo per svolgere un servizio efficiente e che davvero sia utile agli studenti sarebbe aumentare il numero degli psicologi presenti per scuola in base al numero degli studenti e allo stesso tempo aumentare le ore di disponibilità e spostare la fascia oraria da quella mattutina a quella pomeridiana.

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Un problema che accomuna tutti noi ragazzi è il rapporto che abbiamo con i nostri genitori. Nel corso dell’adolescenza il rapporto che abbiamo con loro cambia in modo significativo da un approccio tra adulto e bambino diventa un rapporto tra due adulti. Spesso però i nostri genitori non riescono ad accettare questo cambiamento e soprattutto il fatto che se da bambini loro erano i nostri maggiori confidenti e tra noi non c’erano segreti, diventando adulti iniziamo a fare le nostre prime esperienze individuali e a stringere forti rapporti con persone all’infuori del nostro nucleo familiare. Questo ovviamente ci porta a non rivolgerci più principalmente alla nostra famiglia e a costruirci una nostra vita privata da cui teniamo fuori i nostri genitori. Il problema è che quando i genitori si rendono conto che iniziamo ad avere altri punti di riferimento all’infuori di loro, iniziano ad entrare in modo invadente nella nostra sfera privata. Ma esistono anche genitori che hanno un approccio totalmente opposto. Quando loro vedono che i loro figli iniziano a crescere si fanno completamente da parte lasciando i figli senza alcun punto di riferimento familiare. Per il parere di noi ragazzi i genitori dovrebbero raggiungere una sorta di equilibrio tra questi due comportamenti. Da un lato non devono essere troppo oppressivi e impedirci di fare le nostre esperienze, dall’altro lato però ci devono sempre vigilare perché noi, rapportandoci per la prima volta con la vita reale, siamo privi di esperienza e quindi è importante avere una guida che ci consigli. Sara Caneri, Ylenia Genovese, Adelina Marcu, Carolina Sole Panella, Giuseppe Reschigna.

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ATTIVITA' LAB ADO.qxp_Layout 1 30/10/18 14:18 Pagina 1

L’AGENDA

L’ATTIVITÀ DEL NOSTRO LABORATORIO RICERCA

Nei mesi di ottobre e novembre verranno presentati i risultati dell’indagine nazionale “Adolescenti e Stili di Vita” realizzata da Laboratorio Adolescenza e Istituto di Ricerca IARD, in collaborazione con la Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza, su un campione nazionale rappresentativo di 2900 studenti delle scuole medie superiori. Alimentazione, prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, utilizzo dei social network, impegno sociale e rapporto con l’ambiente, sono i temi principali dell’indagine. Parallelamente è partita l’edizione 2018-2019 dell’indagine – questa volta su un target di studenti di terza media – che tratterà, in prevalenza, i temi della sicurezza in internet e del cyberbullismo, del consumo di alcol, del sonno, della prevenzione, della donazione di sangue. Partner di quest’anno – oltre IARD e SIMA – Osservatorio Permanente Giovani e Alcol, AVIS, Associazione Culturale Pediatri (ACP).

FORMAZIONE NELLE SCUOLE

Prosegue l’attività di orientamento al lavoro rivolta agli studenti delle scuole superiori che devono svolgere il percorso di alternanza scuola lavoro. Il pacchetto formativo si va via via modulando ed arricchendo, anche sulla base dell’esperienza sul campo che ci ha già portato ad incontrare oltre 2000 studenti di scuole superiori milanesi. Tra le scuole in cui lavoriamo i prestigiosi licei Einstein, Berchet e Marconi.

APPUNTAMENTI

Adolescenti e Lavoro Mercoledì 24 Ottobre alle ore 11,30 – presso il Liceo Einstein di Milano (Via Einstein, 8) verranno presentati i risultati dell’indagine “Adolescenti e Lavoro” realizzata da laboratorio Adolescenza e CGIL-Camera del Lavoro di Milano, su un campione di 800 studenti delle scuole superiori milanesi.

Donare il sangue – “Dillo con parole... nostre” Lunedì 12 Novembre alle ore 12,00 – presso il Liceo Marconi di Milano (via dei Narcisi, 5) - premiazione degli studenti che hanno partecipato al progetto di AVIS e Laboratorio Adolescenza, “Dillo con parole… nostre” (percorso di alternanza scuola-lavoro), finalizzato alla realizzazione di una campagna di comunicazione per avvicinare i neo maggiorenni alla donazione di sangue. Gli studenti, orientati da esperti di comunicazione, hanno vissuto l’esperienza di come lavora il team di una agenzia di comunicazione e hanno realizzato, in totale autonomia, un video ed un poster. Ottimi i risultati ottenuti da tutti i team partecipanti (provenienti da scuole di Milano e di Reggio Calabria) e non facile il lavoro della giuria (composta da esperti di comunica-

zione) per scegliere il vincitore. Il premio per la sezione “video” è andato agli studenti del Liceo Marconi di Milano e il premio per la sezione “poster“ agli studenti del liceo Berchet di Milano. “Dillo con parole… nostre” (malattie sessualmente trasmissibili e cyberbullismo) Alla luce del successo dell’iniziativa realizzata con AVIS, prosegue la realizzazione dei percorsi “Dillo con parole… nostre” ideati da Laboratorio Adolescenza. Sono già due quelli in cantiere: uno per la prevenzione dell’HPV - realizzato in collaborazione con AIMac (Associazione Italiana Malati Cancro) - e uno per la prevenzione dei fenomeni di cyberbullismo, promosso dall’azienda D-Link. I progetti coinvolgeranno scuole di Milano e di Potenza.

RIAPPROPRIARSI DELLA SALUTE NEGLI SPAZI URBANI

Il Presidente di Laboratorio Adolescenza, Maurizio Tucci, ha fatto parte della giuria del concorso fotografico “Riappropriarsi della salute negli spazi urbani”, promosso dalla sezione lombarda della SIPS (Società Italiana per la salute) e destinato agli “under 35”. L’obiettivo del concorso era quello di realizzare un’immagine che potesse essere identificativa di come gli spazi urbani possono essere anche un luogo per riappropriarsi della salute.

L’immagine vincitrice del primo premio.

PREMIATO FULVIO SCAPARRO

Fulvio Scaparro, referente per l’area psicologica di Laboratorio Adolescenza e nostro grande amico ha ricevuto il prestigioso Premio Internazionale per il Dialogo fra i Popoli e le loro Culture "San Francesco e Chiara d'Assisi". Questa la motivazione ufficiale per l’assegnazione dell’ambito riconoscimento:“Il prof. Scaparro è Maestro, capace di dare l’esempio di come si possano applicare i principi della propria disciplina alla relazione didattica, alla vita professionale e all’impegno civile. Il suo lavoro di questi anni è stato quello di costruire dispositivi psicopedagogici in grado di tutelare i diritti dei bambini e quelli dei loro genitori, soprattutto quando questi siano coinvolti nel compito doloroso di sciogliere il legame coniugale tentando di non danneggiare i figli. In altre parole è premiato per la sua coerenza tra ideali e vita.” A Fulvio i complimenti di Adò e di Laboratorio Adolescenza.

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