Adò - Laboratorio Adolescenza - Vol. 1 - n. 1 - 2018

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Volume 1 - Numero 1

2018

DOSSIER

Gli ADOLESCENTI nella RETE

GIOVANI E AMBIENTE SOCIAL NETWORK

I nativi sostenibili

SCUOLA LAVORO

Le alternative dell’alternanza

MAL DI TESTA

Non è colpa solo dei libri



Adò

Quadrimestrale Volume 1 - Numero 1

2018

CHI SIAMO - Laboratorio Adolescenza è una Associazione libera, apolitica ed aconfessionale, senza fini di lucro che ha come obiettivo quello di promuovere e diffondere lo studio e la ricerca sugli adolescenti, sotto il profilo sociale, psicologico e medico. L’Associazione nasce dall’idea di creare un punto di riferimento scientifico e culturale, per chi si occupa di adolescenza, che avesse nella multidisciplinarietà il proprio connotato distintivo. Ne fanno parte psicologi, sociologi, pediatri, insegnati, giornalisti, esperti di comunicazione, genitori che a vario titolo, professionale o personale, sono a stretto contatto con l’adolescenza. L’associazione è aperta al contributo di idee e impegno di chiunque abbia interesse - condividendone finalità e statuto - sia a livello individuale che associativo, allo studio e alla ricerca sull’adolescenza. Sito Internet: www.laboratorioadolescenza.org

e-mail: laboratorio.adolescenza@gmail.com L’INDICE

L’EDITORIALE ORGANO UFFICIALE di

LA RICERCA

MEDICINA Direttore Editoriale Riccardo Renzi Comitato di Redazione Gianni Bona Carlo Buzzi Rocco Cafarelli Teresa Caputo Roberta Consoli Francesco Dell’Oro Alessandra Marazzani Roberto Marinello Gianluigi Marseglia Marina Picca Roberta Quagliuolo Gian Paolo Salvioli Fulvio Scaparro Maurizio Tucci Staff Editoriale Direttore Responsabile Pietro Cazzola PR e Marketing Donatella Tedeschi Comunicazione e Media Ruben Cazzola Grafica e Impaginazione Cinzia Levati Fumettista Valeria Vitale Rimoldi Affari Legali Avv. Loredana Talia Stampa Lalitotipo s.r.l. - Settimo Milanese

L’AGENDA

Tutti i diritti di riproduzione in qualsiasi forma avvenga, sono di proprietà dell’Editore. Registrazione Tribunale di Milano n. 01 del 04.01.2018

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LA SALA D’ATTESA DELLA MATURITÀ Fulvio Scaparro

I NUOVI “NATIVI SOSTENIBILI” Maurizio Tucci

MAL DI TESTA? NON È COLPA DEI LIBRI Alberto Verrotti

TENSIONI TROPPO DOLOROSE Alessandra Marazzani

2018: L’ATTIVITÀ DEL NOSTRO LABORATORIO Laboratorio Adolescenza

ADOLESCENTI NELLA RETE Maurizio Tucci

QUANTO È DOLCE NAVIGARE Maurizio Tucci

IL RISCHIO DEL TROPPO SOCIAL

IL DOSSIER

Alessandra Marazzani

BELLA QUELLA TUA FOTO! MA NON È PIÙ TUA. PER SEMPRE Roberta Quagliuolo

GLI INARRESTABILI CELLULARI IN CLASSE IL LIBRO

SCUOLA LAVORO

VOLONTARIATO MEDICINA DICONO DI NOI

magazineado@gmail.com

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Rocco Raffaele Cafarelli

I NUOVI NOMADI METROPOLITANI Pierangelo Barone

LE ALTERNATIVE DELL’ALTERNANZA Rocco Raffaele Cafarelli

ALLA RICERCA DEL PROPRIO TALENTO Simona Mazzolini

RAGAZZI SPECIALI, ANZI SUPEREROI Andrea Ferrari

MA QUANTO DURA L’ADOLESCENZA? Roberto Marinello

CHE COSA NE PENSA EINSTEIN Redazione Scripta Restant

PERCHÉ UNA RIVISTA ONLINE? Sfogliabile e scaricabile su: www.issuu.com - Perché rappresenta la rivoluzione del concetto di rivista, di aggiornamento, di letteratura, accelera la diffusione di idee ed esperienze e sostiene in tempo reale l’evoluzione del pensiero; - Perché fornisce un accesso facilitato ed immediato ad articoli, argomenti, approfondimenti sui temi più vari, a portata di mano senza alcun pagamento; - Perché condivide la conoscenza, attraverso un nuovo approccio alla lettura: la rivista diventa uno strumento fondamentale, che migliora l'innovazione, l'efficienza e l'interazione culturale tra lettori ed Autori; - Perché realizza l’espansione oltre misura della conoscenza, ne permette condivisione e diffusione, attraverso i dispositivi palmari e portatili che ormai appartengono a tutti.

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L’EDITORIALE

Fulvio Scaparro

Psicoterapeuta e scrittore, fondatore dell’Associazione GeA Genitori Ancòra.

LA SALA D'ATTESA DELLA MATURITÀ F

stando almeno ai documenti di cui disponiamo. A titolo di esempio, è noto il testo della tavoletta di un dignitario del tempo di Hammurabi, il sesto re di Babilonia, risalente a più di 1700 anni avanti Cristo:“non se ne può più dei giovani d’oggi, perché si picchiano tra loro, ingravidano le ragazze e disprezzano i vecchi”. Nel Racconto d’inverno di Shakespeare, un vecchio pastore fa gli stessi commenti sui giovani che continuano a picchiarsi tra loro, a correre dietro alle ragazze e a non rispettare gli anziani. Dobbiamo aspettare il XIX secolo per leggere qualche variazione. Oscar Wilde scrive “non se ne può più dei giovani d’oggi, non rispettano più i capelli tinti”. Sono convinto che il distacco tra mondo adulto e adolescenziale comporti un’alta probabilità di relazioni non del tutto pacifiche, ma che molto si possa fare per entrare in maggiore sintonia se i bisogni dei più giovani saranno meglio conosciuti e riconosciuti. Che le difficoltà tra adolescenti e adulti ci siano sempre state non significa che tutto si ripeta senza variazioni. Gli apporti scientifici e le testimonianze di vita presenti in Adò dimostreranno quanto il funzionamento del nostro cervello si stia modificando sotto la pressione dello sviluppo tecnologico rapido, al limite del frenetico, e quanto le relazioni sociali risentano di questi cambiamenti. È fondato, dunque, ritenere che quando pensiamo alla nostra adolescenza o a quella dei nostri padri e nonni e la confrontiamo con quella dei nostri giorni, tutto ci sembra cambiato (di solito in peggio, vista la nostra tendenza a enfatizzare le presunte virtù del tempo andato). Tuttavia, attenzione a ritenere che i ragazzi di oggi siano snaturati, non nel senso peggiorativo del termine ovviamente, ma in quello di “sradicati dalla natura”. Non possiamo ragionevolmente pensare che in trenta, cinquanta o settant’anni vi sia stata, nell’essere umano, una mutazione, cioè un’alterazione, spontanea o indotta, del patrimonio genetico. Non confondiamo la cronaca della nostra specie con la sua storia. La cronaca manifesta variazioni spettacolari, ma nel profondo la specie si muove lentamente come le correnti profonde del mare.

erma restando la libertà di parola e di opinione, chi ha davvero voce in capitolo per parlare di adolescenti e tantomeno a nome loro? Tutti e nessuno. Nemmeno gli adolescenti stessi e tantomeno i loro genitori, gli insegnanti, i medici, gli psicologi, gli psichiatri, gli studiosi del ramo, i ricercatori, gli artisti, i legislatori. Ciascuno, sulla base della memoria delle proprie esperienze di vita, di convinzioni teoriche, spesso di pregiudizi e stereotipi, non può che presentare una visione necessariamente parziale. Una buona ragione perché Laboratorio Adolescenza abbia deciso di realizzare questa nuova rivista – Adò – che si configurerà proprio come un mosaico di punti di vista che il lettore comporrà, integrerà e modificherà come crede. Fino a circa tre secoli fa, l’adolescenza come stagione della vita con un inizio e una fine, non esisteva. Si era prima infanti, poi bambini e bambine fino a quando si era pronti per riprodursi, lavorare, combattere. Si entrava allora nel mondo come apprendisti della vita, a cura e agli ordini dei più vecchi e, pur restando ragazzi e giovani con i pregi e i difetti che conosciamo, non c’era interesse, soprattutto economico, a inventare lunghissime soste in una sorta di camera di decompressione o, se preferite, in una sorta di sala d’attesa della maturazione, come quelle che oggi conosciamo e alle quali abbiamo dato il nome di ‘adolescenza’. La permanenza in sala d’attesa sta diventando sempre più lunga, tanto che di recente un acuto giornalista ha ironicamente profetizzato che tra poco l’adolescenza sfocerà direttamente nella vecchiaia. Per natura, bambini e ragazzi non amano le lunghe attese, soprattutto se non ne capiscono il senso e non intravedono sbocchi appetibili. Si innervosiscono, scalpitano, vorrebbero stringere i tempi e spesso entrano in rotta di collisione con gli adulti che, immemori dei propri anni giovanili ed essi stessi ex adolescenti pentiti, si irritano per il comportamento, talvolta davvero riprovevole, dei ragazzi. Il fenomeno non è nuovo perché la potente spinta alla crescita e alla ricerca dell’identità dei più giovani, li ha portati a frequenti contrasti con gli adulti attraverso tutto il corso della nostra storia,

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LA RICERCA

I NUOVI “NATIVI SOSTENIBILI” Un po’ per educazione, un po’ per istinto: gli studenti si dimostrano sensibili alle tematiche ambientali. E sanno fare la raccolta differenziata Maurizio Tucci Presidente Laboratorio Adolescenza

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ggi, riferendoci agli adolescenti, li indichiamo spesso con il termine “nativi digitali”, ovvero individui che essendo nati in piena era digitale hanno un rapporto con le nuove tecnologie (in particolare quelle legate alla comunicazione) del tutto naturale e non le vivono – come invece noi adulti – con le difficoltà che una qualunque transizione, da un “prima” ad un “dopo”, comporta. Seguendo lo stesso principio sarebbe auspicabile che i bambini e gli adolescenti delle generazioni venture potessero esser considerati un giorno (il più vicino possibile), anche “nativi sostenibili”. E cioè che potessero considerare i comportamenti “sostenibili” non un obbligo imposto dalle leggi e

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nemmeno una scelta virtuosa, ma un dato di fatto naturale per loro. Ma quanto può essere lontano questo momento? Laboratorio Adolescenza e Legambiente hanno realizzato lo scorso anno (i risultati sono stati presentati a Novembre 2017), un’indagine nazionale su un campione di 2000 studenti di terza media, proprio per tastare il polso degli adolescenti riguardo il loro livello di informazione e conoscenza delle problematiche ambientali, e la loro sensibilità individuale verso l’adozione di comportamenti sostenibili. I risultati emersi dall’indagine appaiono confortanti. Non tanto per quel consistente 70% che afferma di essere genericamente interes-

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sato ai problemi dell’ambiente, ma perché, al di là della risposta “politicamente corretta”, sono molti gli adolescenti che dimostrano di essere effettivamente informati su alcune delle più importanti e attuali emergenze ambientali. Il 40% dei teenager intervistati è a conoscenza degli “Accordi di Parigi” sul clima, argomento di cui hanno avuto notizia attraverso tv, giornali e Internet (49%), per averne parlato a scuola (32%) o in famiglia (14,5%). I ragazzi appaiono adeguatamente informati anche sui cambiamenti climatici e sul fatto che riguardano tutto il mondo (86,2%) e non solo zone limitate (13,1%). Conoscono, in larga maggioranza, i principali effetti che producono – dal


LA PEDIATRA: SONO LORO I PIÙ ESPOSTI

progressivo surriscaldamento della Terra (l’88,3%) all’innalzamento dei livelli del mare (64,7%) – e l’84% è consapevole che la causa Proteggere l’ambiente dipende anche principale dei cambiamenti climatici è l’inquinamento prodotto dall’uomo. Quasi il 50% da piccole scelte quotidiane degli intervistati, inoltre, ha le idee chiare su “ roteggere l’ambiente è innanzitutto un investimento a favore cosa siano le “polveri sottili”. delle nuove generazioni, perché bambini e adolescenti sono i Così come ci sono altri due aspetti, evidensoggetti che risentono maggiormente degli effetti prodotti dal proziati dall’indagine, che appaiono molto congressivo degrado ambientale, dall’inquinamento dell’aria alla contafortanti per un futuro più “green”: l’85,3% minazione degli alimenti. Questo accade perché gli “interferenti delle ragazze e dei ragazzi intervistati ritiene endocrini” (contaminanti persistenti che interferiscono con il norche ogni singola persona (adolescenti commale funzionamento del sistema endocrino) presenti nell’ambiente presi) con il proprio comportamento può in seguito ai diversi tipi di inquinamento, causano effetti dannosi fare qualcosa di utile per l'ambiente (come ad particolarmente accentuati proprio nei soggetti in età evolutiva. esempio usare meno mezzi inquinanti e fare Che gli adolescenti – come emerge dall’importante ricerca di Launa corretta raccolta differenziata) e, sopratboratorio Adolescenza – abbiano una coscienza civica anche nei tutto, oltre l’82% si dice disponibile a impieconfronti della salvaguardia dell’ambiente è un prezioso patrimonio gare parte del proprio tempo libero per fare culturale da valorizzare. È incoraggiante soprattutto la loro consaqualcosa di utile e concreto per l’ambiente. pevolezza che la protezione dell’ambiente dipende anche da piccole Ma proprio su questo ultimo punto è imporscelte quotidiane che ciascuno, anche da ragazzo, può adottare”. tante fare una riflessione. Dell’82% di “volontari” per l’ambiente, oltre la metà afferma Rossella Gaudino che, pur volendo, non saprebbe cosa fare o a Ospedale della donna e del Bambino chi rivolgersi per offrire la propria disponibi(Azienda Ospedaliera Universitaria integrata di Verona). Vice presidente della Società italiana di Medicina dell’Adolescenza lità di tempo. Una “dispersione di risorse” grave, anche perché non dar loro la possibilità di impegnarsi in qualcosa di concreto li allontana inesorabilmente dal desiderio di partecipazione attiva. E se un’abitudine virtuosa non si radica fin dall’adolescenza è molto più difficile che si acquisisca in età adulta. Il primo pensiero, quando si tratta di canaliz- Merito anche della scuola, quando sa proporre zare energie in questa fascia di età, va natu- tematiche ralmente alla scuola che ha, anche in questo ambito, meriti e lacune. Tante lodevoli inizia- “ al sondaggio realizzato da Laboratorio Adolescenza in tive (molte delle quali proprio in collaboracollaborazione con Legambiente emerge un dato zione con Legambiente), ma anche un deficit molto importante: i ragazzi sono molto attenti e informati di programmazione di ampio respiro e, so- sui temi ambientali, consapevoli dell’importanza di adotprattutto, uniforme su tutto il territorio. tare uno stile di vita più sostenibile e sono i primi a voler Ma la scuola – anche questo va affermato con fare un’esperienza di volontariato ambientale e di cittadidecisione - non può essere lasciata sola a fare nanza attiva. Una sensibilità sviluppata anche grazie alle da “parafulmine” per tutto. La scuola potrà (e scuole, che si confermano importanti agenzie formative e dovrà) essere il naturale centro di aggrega- presidi territoriali. zione e motore, ma deve esserci, a supporto, Ad esse si devono affiancare con sempre maggior un impegno istituzionale e collettivo (in par- frequenza progetti di educazione alla cittaditicolare di chi ha cultura e competenza di la- nanza attiva, coinvolgendo i ragazzi che chievoro con gli adolescenti) per assicurare dono proprio questa esperienza e risorse, idee e progetti. È l’unica strada per diffondendo così una maggiore consapevocostruire nelle nuove generazioni quella co- lezza di impegno civico, responsabilità e tuscienza ambientalista e sostenibile che la no- tela ambientale. stra generazione non ha avuto, con tutte le Legambiente da anni promuove e sostiene conseguenza che oggi vediamo. percorsi di questo tipo avviando un rapporto di interscambio scuola-territorio”.

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LEGAMBIENTE:

UNA NUOVA CONSAPEVOLEZZA

queste

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Maurizio Tucci e-mail maurizio.tucci@gmail.com

Vanessa Pallucchi

Responsabile scuola e formazione di Legambiente

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MEDICINA

MAL DI TESTA? NON È COLPA DEI LIBRI Più della metà degli studenti soffre di cefalea. Che non è causata dallo studio intenso ma, casomai, dallo stress. E dai problemi nascosti della vista. Alberto Verrotti Clinica pediatrica dell'Università dell'Aquila

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ual è il disturbo fisico più frequente tra gli adolescenti? È il mal di testa. In un’indagine condotta dalla Clinica Pediatrica dell’Università di Pavia, dalla Clinica Pediatrica dell’Università dell’Aquila e dall’Associazione Laboratorio Adole-

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scenza su un campione nazionale di duemila studenti di terza media (12-14 anni), è emerso che la metà degli studenti soffre di mal di testa almeno una volta al mese, soprattutto le ragazze. I mal di testa hanno un’intensità da moderata a severa nel 53% degli adolescenti

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intervistati. Per i due terzi del campione la durata massima è di 60 minuti, mentre per il restante terzo la durata è superiore a 60 minuti. Nel 20 % degli intervistati il dolore tende a peggiorare fino a costringerli ad alterare il normale livello di attività e a cercare sollievo nel riposo a letto, lontano dagli stimoli luminosi o sonori fino alla risoluzione della crisi. Nel 44% invece la condizione non è aggravata dall’attività fisica di routine. Questa indagine dunque conferma che la cefalea è un disturbo comune nei bambini e negli adolescenti. Una recente review, cioè un’analisi che raccoglie gli studi scientifici pubblicati su questo argomento, sostiene che la prevalenza, cioè la frequenza del disturbo, nei bambini e negli adolescenti è del 54.4% (range: 43,1-65,8) ed è più comune nelle pazienti di sesso femminile. Esistono diversi tipi di mal di testa, che possono essere un problema primario oppure un sintomo di un’altra patologia, quindi una cosiddetta cefalea secondaria. Le forme più comuni di cefalee primarie nell’infanzia sono l’emicrania e le cefalee tensive. Ma quali sono le cause scatenanti? Nella nostra indagine, i fattori che possono provocare il mal di testa risultano nell’ordine: studio-scuola (63,7%); stress emotivi (42,1% delle adolescenti); stress fisici (33,6% degli adolescenti); vista; rumori forti; cambiamenti metereologici; odori; digestione; particolari alimenti; ciclo mestruale, infine, nel 47,4% delle ragazze. In questa graduatoria (superiore al 100% perché l’indagine prevedeva la possibilità di risposte multiple) dobbiamo sottolineare due aspetti. In primo luogo non esiste un rapporto clinico


causa-effetto tra scuola-studio e cefalea, tale collegamento è soltanto una coincidenza temporale, che però deve essere indagata dal momento che spesso rappresenta una somatizzazione di altre problematiche che è necessario far emergere. La seconda annotazione riguarda il fatto che la vista è al quarto posto, Nella Classificazione internazionale delle Cefalee è appunto prevista la cefalea attribuita a disturbi oculari, compresi i vizi di rifrazione come miopia, presbiopia, ipermetropia. Il mal di testa, infatti, può rappresentare il sintomo d’esordio di un vizio di rifrazione perché, purtroppo, sono ancora troppi gli adolescenti che non hanno mai effettuato una visita oculistica. Come viene affrontato il mal di testa? Solo il 30% degli adolescenti intervistati sopporta il dolore, il restante 70% assume farmaci. Il 5% ricorre al farmaco sistematicamente non appena compare il dolore, la maggioranza attende, sperando che il dolore si attenui, o vi ricorre se di forte intensità. Il 30% afferma di prendere meno antidolorifici per evitare gli effetti collaterali, il 43% non ha timori ad assumerli ed il 16% non si è mai posto il problema. Tutto ciò sta determinando, tra gli adolescenti, l’aumento dei casi di mal di testa cronici come conseguenza di un abuso (più di 15 dosi al mese) di antidolorifici, che vengono usati impropriamente come terapia. Solo il 16,8% dei ragazzi assume il farmaco prescritto dal medico, mentre nella maggioranza dei casi chiedono consiglio ai genitori. E una piccola percentuale per fortuna, il 4,5%, assume il primo antidolorifico trovato in casa. È importante comunque avere la consapevolezza che quando gli episodi di cefalea non sono occasionali, ma si ripetono con una certa regolarità, può esserci un impatto importante sulla vita dell’adolescente. È necessario pertanto, in questi casi, rivolgersi al pediatra di famiglia e/o ai diversi specialisti (dal neuro-pediatra allo psicologo) per intraprendere un percorso diagnostico-terapeutico adeguato al fine di evitare una serie crescente di conseguenze: le assenze da scuola, il calo nel rendimento scolastico, l’isolamento sociale e i cambiamenti nelle relazioni familiari. Questa ricerca è stata realizzata da AlbertoVerrotti, AgneseTamborino,, Federica Patrizi (Univesità dell’Aquila) Gianluigi Marseglia (direttore della Clinica Pediatrica Università di Pavia) e MaurizioTucci (Laboratorio Adolescenza)

TENSIONI TROPPO DOLOROSE Quando la sofferenza viene dalla psiche

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er comprendere quali possono essere le cause del mal di testa negli adolescenti dobbiamo pensare che questo periodo della loro vita è caratterizzato da forti tensioni interne contrastanti: da una parte il desiderio di crescere ed essere indipendenti, dall’altra la nostalgia dell'infanzia come luogo di protezione famigliare. E ancora: da una parte il forte bisogno di affermarsi e di essere riconosciuti sui social dagli amici dall’altra la paura di essere lasciati soli, abbandonati. Il sentire bisogni nuovi così contrastanti porta gli adolescenti a vivere intensi e ricorrenti tumulti emotivi in una fase della vita in cui non vi è ancora alcuna consapevolezza razionale dei propri desideri evolutivi e proprio per questo tutto ciò sfocia in una sofferenza somatizzata che può diventare “mal di testa”. Il “mal di testa” crea disagio, viene vissuto come una malattia vera e propria, rende difficile la concentrazione nello studio, induce la necessità di una cura e facilita l’apertura di un

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dialogo sul tema della salute con i genitori. La modalità con cui i ragazzi affrontano le proprie malattie è in parte legato a come i genitori li hanno curati durante la prima infanzia e a come hanno trasmesso fiducia nella guarigione. Spesso i genitori di oggi stabiliscono una relazione stretta con i ragazzi rispetto a ciò che essi provano e vivono. Questo legame senza forti contrasti o distanze è basato su una nuova sensibilità emotiva che, figlia del nostro tempo, punta a stabilire rapporti affettivi intimi, volti a ridurre o eliminare in fretta ogni sentimento di frustrazione. Ma se da una parte questa sensibilità facilita il riconoscimento di ogni tipo di sofferenza vissuta dagli adolescenti, dall’altra non sempre è sufficiente e funzionale a trasmettere la fiducia nella loro capacità di crescita e di riuscita nell’affrontare le difficoltà. È quindi la fiducia uno degli antidoti migliori per limitare qualsiasi somatizzazione.

Alessandra Marazzani

Psicologa

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L’AGENDA CONVEGNO

COME PRENDERSI

CURA DEGLI ADOLESCENTI

“Prendersi cura dell’adolescente: partiamo dalla comunicazione” è il titolo del primo congresso medico di Laboratorio Adolescenza, svoltosi sabato 3 marzo, presso l’aula magna dell’IISS Verri di Milano. Il convegno ha affrontato importanti problematiche riguardanti la salute ed il benessere psicofisico dell’adolescente, in un’ottica nuova, tesa all’affermazione del concetto di “prendersi cura dell’adolescente”, i cui problemi medici sono spesso interconnessi con aspetti relazionali e psicologici. Una comunicazione efficace, unita ad una competenza professionale sempre aggiornata, sono la garanzia di poter essere d’aiuto, dal punto di vista medico, psicologico e umano, a questa fascia di età particolarmente a rischio. In questa chiave, nella prima parte dell’incontro, sono stati affrontati tre temi delicati. Momcilo Jankovich, notissimo ematologo pediatra, ci ha mostrato come sia decisiva la relazione di fiducia tra medico e paziente adolescente in campo, Pier Luigi Lo Palco, igienista presso l’Ospedale di Pisa, ci ha illustrato come la comunicazione sul difficile tema delle vaccinazioni viaggi. Raffaella Romeo, specialista epatologa, ci ha mostrato un breve trailer di un cortometraggio realizzato a cura del Rotary Club Milano Sempione, dal titolo “Bersi la vita”, sull’uso e abuso dell’alcol da parte degli adolescenti. A questo proposito Roberto Marinello, pediatra di famiglia a Milano, ha illustrato i dati di una ricerca, realizzata da L.A. assieme all’Osservatorio Nazionale sui giovani e l’alcol e alla Società italiana di medicina dell’adolescenza. Nella seconda parte del convegno, si è svolta una tavola rotonda del tema dell’“Identità di genere” e sulle problematiche delle “disfonie di genere”, che si presentano in età adolescenziale. Hanno partecipato Carmen Leccardi, sociologa, Alessandro Albizzati, neuropsichiatra infantile, Antonio Prunas, psicologo e Giovanni Bona, pediatra. A questo tema e agli spunti emersi nella discussione sarà dedicato un ampio servizio nel prossimo numero di Adò.

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2018: L’ATTIVITÀ DEL NOSTRO LABORATORIO RICERCA

cati: il cyberbullismo e la comunicazione con gli adolescenti.

Come tutti gli anni l’appuntamento con la ricerca rappresenta il fulcro dell’attività di Laboratorio Adolescenza, ma il 2018 si caratterizza per due importanti novità: l’avvio della collaborazione con il prestigioso Istituto di ricerca IARD (che si aggiunge alla tradizionale collaborazione con la Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza) e la realizzazione, per la prima volta, della nostra indagine annuale sugli stili di vita, su un campione di adolescenti delle scuole superiori. I temi principali dell’indagine 2018 sono: l’alimentazione, la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, l’impegno sociale e il rapporto con l’ambiente, il mal di testa. Argomenti che erano già stati affrontati, negli anni scorsi, nelle indagini rivolte agli studenti delle scuole medie e che ci consentiranno di analizzare se e come si modificano comportamenti ed atteggiamenti adolescenziali con l’aumentare dell’età. I risultati dell’indagine, come di consueto, saranno disponibili a partire da settembre 2018.

In autunno riprenderanno gli appuntamenti di “adolescentando”, ciclo di incontri pomeridiani e serali, monotematici, con esperti su argomenti di particolare interesse per l’adolescenza. http://www.laboratorioadolescenza.org/adolescentando_5204638.html

FORMAZIONE NELLE SCUOLE

LA PARITÀ E IL RISPETTO TRA I GENERI

Prosegue per il terzo anno l’attività di orientamento al lavoro rivolta agli studenti delle scuole superiori che devono svolgere il percorso di alternanza scuola lavoro. Il pacchetto formativo si va via via modulando ed arricchendo, anche sulla base dell’esperienza sul campo che ci ha già portato ad incontrare oltre 1000 studenti di scuole superiori milanesi. La novità per il 2018 è rappresentata la messa a punto di un pacchetto formativo rivolto agli insegnanti su due temi particolarmente deli-

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CONVEGNI

Il successo del convegno su “comunicazione e l’identità di genere” che si è tenuto a Milano i primi di marzo (resoconto in altra parte del giornale) ci conferma la bontà dell’idea di realizzare un appuntamento annuale specificatamente dedicato ai medici (pediatri e medici di medicina generale) ed agli psicologi che si occupano di adolescenza. Nelle prossime settimane sarà scelto il tema per il 2019. A questo si aggiungono seminari tematici destinati alle scuole su argomenti scelti dagli studenti. Già in calendario per il 2018 incontri sull’addiction, sulla social reputation, sulla sessualità.

ADOLESCENTANDO

Un tema sul quale Laboratorio Adolescenza ha già iniziato a lavorare. Tra qualche settimana avremo i risultati di un’indagine, realizzata su un campione di 800 studenti delle scuole superiori di Milano, finalizzata ad analizzare quale sia la percezione dei giovani su questo delicato aspetto della convivenza sociale. Da qui avvieremo un progetto per realizzare una campagna di comunicazione interamente realizzata da adolescenti – per sensibilizzare i giovani al rispetto tra i generi.


IL DOSSIER

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Adolescenti nella

Internet e i social network sono per i giovani una normale estensione della realtà. Ci sono rischi e insidie? Certo, ma per aiutarli ad affrontarli occorre conoscere questi nuovi strumenti e capire i comportamenti

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onsiderare Internet, la rete, i social come un “luogo-spazio” in cui gli adolescenti trascorrono più o meno tempo al giorno, in alternativa ad altri spazi-luoghi, e immaginare di quantificare (in base a cosa, non si sa) una soglia di tempo massima oltre la quale sarebbe opportuno non andare (stile: non più di due ore di televisione al giorno), significa non avere nemmeno la percezione di cosa siano, per gli adolescenti di oggi (e per quelli che verranno), Internet, la rete, i social. La differenzazione reale-virtuale, mantra intorno al quale abbiamo scritto e detto fiumi di parole, spesso inutili, è solo nostra, ovvero di una generazione nella quale è esplosa tra le mani una filosofia della comunicazione atavicamente estranea agli uomini. Per gli adolescenti non è così. Per loro questa distinzione non esiste, perché Internet è una normale estensione del mondo nel quale vivono ed i social, che permettono di comunicare indifferentemente sia con una persona dall’altra parte del mondo sia con l’amica seduta vicino, sulla panchina del parco (altro incubo della nostra generazione: “ma perché si scrivono e non si parlano?”), sono un naturale strumento di comunicazione. Chi di noi pensava di vivere nel virtuale quando trascorrevamo, da adolescenti, interi pomeriggi al telefono o al “baracchino” da baby-radioamatore? Sdrammatizzare la paura del “virtuale” non è negazionismo riguardo i problemi e i rischi della rete, ma il tentativo di affrontarli avendo una cognizione concreta della situazione. Quando le strade sono diventate più pericolose, perché le automobili hanno sostituito le carrozze, a nessuno è venuto in mente di risolvere il problema tenendo i giovani in casa o razionando le uscite, ma si è imparato – e insegnato – a muoversi con prudenza. Ecco; gran parte del problema è qui: non conoscendo “la rete” non sappiamo aiutare i nostri figli a governarla senza esserne fagocitati, a utilizzarla senza diventarne dipendenti; a riconoscere i pericoli e a difendersi in modo corretto. Lo sforzo che da genitori, da educatori, da adulti, dovremmo fare è, prima, quello “imparare”, anche dai nostri figli, e poi utilizzare la nostra maggior esperienza, il nostro maggiore buonsenso (si spera) e la nostra etica comportamentale, per supportare, anche nella gestione dei nuovi potentissimi strumenti di comunicazione, le normali fragilità e ingenuità di un adolescente. Maurizio Tucci


IL DOSSIER

Quanto è dolce navigare Un utilizzo massiccio della rete, un forte desiderio di popolarità, una certa sottovalutazione dei rischi. È quanto emerge da un'indagine realizzata da Laboratorio Adolescenza. Maurizio Tucci Presidente Laboratorio Adolescenza

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na volta si diceva “i numeri parlano da soli” quando si voleva evidenziare l’inequivocabilità di un fenomeno. Oggi, per quanto concerne l’utilizzo della rete da parte degli adolescenti, i numeri e le statistiche non parlano più. Sarebbe come chiedersi quanti adolescenti respirano: tutti. Ed anche l’assiduità con cui li frequentano cresce significativamente di anno in anno. La discussione – alla quale Laboratorio Adolescenza cerca di dare il suo contributo, specialmente attraverso l’attività di ricerca che svolge – deve quindi vertere su “come” utilizzano la rete e su cosa sia possibile fare per evitare che essa si trasformi in una sorta di “zona franca” senza regole e senza alcuna etica comportamentale. E qui i “numeri” dell’indagine che abbiamo realizzato nel 2016 (in attesa dei dati dell’indagine 2018 in fase di realizzazione) ci possono essere d’aiuto. Il primo riguarda la “volatilità” dei social nelle preferenze degli adolescenti. Emblematica la parabola di Ask.fm che nel 2015 quasi non esisteva, nel 2016 appariva un “must”, nel

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2017 ha cominciato a cedere sotto i colpi di SnapChat e oggi i più giovani di loro (che ormai vivono su Instagram Disclosure – pressoché sconosciuto due anni fa) lo ricorda come reperto del passato, per averne sentito parlare. Tutto questo mentre ancora ci sono genitori che sono convinti di poter controllare la vita social dei loro figli, perché sono riusciti a strappare loro l’amicizia su un Facebook che ha un’età media di utenti sempre più vicina alla terza età che alla scuola. All’inefficacia del controllo da parte dei geni-

Più di 3 ore al giorno sui social network

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tori si associa la sempre maggiore precocità di utilizzo da parte dei ragazzi. La grande maggioranza ha avuto lo smartphone dagli 11 anni in giù e le cose non vanno molto diversamente per quanto concerne l’utilizzo dei social. E l’esordio, per gli adolescenti che vivono nelle grandi città, risulta essere ancora più precoce. Un esordio in età pressoché infantile, quando non si ha assolutamente la necessaria maturità psicologica per poter utilizzare strumenti di comunicazione così potenti e insidiosi anche ad età ben più mature. Ma quali sono (o dovrebbero essere) i “supporti” per fornire agli adolescenti le informazioni adeguate per riconoscere i rischi e le insidie della rete e utilizzare Internet e social in modo prudente? Dai risultati dell’indagine emerge che le figure considerate più appropriate per svolgere questo compito siano – secondo gli stessi adolescenti – “esperti della materia” o “forze dell’ordine” (48,5%). Più dei genitori (indicati dal 35%) e, soprattutto, più degli insegnanti, indicati da una esigua minoranza (7,6%), superati anche dagli “amici” (7,8%).


ETÀ ALLA QUALE HANNO AVUTO LO SMARTPHONE

ETÀ ALLA QUALE HANNO INIZIATO AD UTILIZZARE I SOCIAL NETWORK Totale nazionale

Maschi

Femmine

14

0,7

0,4

1,1

13

11,6

10,7

12,4

16,7

12

31,5

30,4

32,6

35,6

11

32,2

29,6

34,7

21,1

23,5

10

13,0

15,3

10,9

18,6

18,6

Meno di 10

7,5

9,1

5,7

1,9

1,6

Non utilizzo social network

3,5

4,1

2,6

Totale nazionale

Maschi

Femmine

14

0,6

0,6

0,6

13

3,3

3,6

3,0

12

17,2

17,7

11

34,8

33,9

10

22,3

Meno di 10

18,6

Non ho smartphone

1,7

Una chiave di lettura – condivisa anche da molti insegnanti – sul perché i ragazzi non considerino i loro “prof” adeguati a fornire informazioni sull’utilizzo della rete, è che su questo argomento il docente viene percepito dai ragazzi unicamente come un censore rispetto all’utilizzo tout-court del telefonino e dei social (considerati spesso elementi di disturbo a scuola) e non rappresenta quindi un interlocutore per fornire indicazioni oggettive di buone pratiche. A questo si deve aggiungere che non è diffusissima tra gli insegnanti (come non lo è tra i genitori) un’approfondita conoscenza di questi strumenti e, più complessivamente, di come si sviluppa la socialità in rete. In ogni caso, la quasi totalità degli adolescenti intervistati (95%) afferma di essere stato in qualche modo e da qualcuno informato dei rischi legati alla navigazione in Internet e all’utilizzo dei social network, e tre adolescenti su quattro dichiarano di conoscere gli strumenti che i social mettono a disposizione per tutelare la propria privacy. Li conoscono ma, all’atto pratico, il 60% di loro non li utilizza o li utilizza poco. Non è solo pigrizia, ma deriva dalla loro visione “filosofica” dei social network. I social non servono per co-

municare in modo veloce e collettivo con gli amici (per quello ci sono i gruppi Whatsapp, facilissimi da creare e cancellare), ma per accrescere la propria “popolarità” all’esterno. Operazione impossibile se si circoscrive il profilo agli amici. Il like-founding (e qualunque espediente va bene) è volutamente destinato all’esterno. Anche passare da adulti quando non lo si è. Il 25% tra le ragazze e i ragazzi intervistati ha dichiarato di aver indicato nel proprio profilo un’età over 18 anni. E non è certo un caso che dall’indagine emerge che sono proprio i “finti maggiorenni” a utilizzare meno gli strumenti per tutelare la privacy (64% vs 56%). Tra i possibili rischi che un adolescente può correre utilizzando Internet e social network, quello maggiormente indicato da ragazzi e ragazze è stato il “fidarsi di qualcuno che non si conosce e che possa, in seguito, farmi del male” (40%). Al secondo posto il rischio di imbattersi in un pedofilo (36%). Meno sentito il timore di essere vittima di cyberbullismo (14%) o di imbattersi in immagini scioccanti (8%). Sulla pericolosità di Internet, in generale, il 60% considera che sia equivalente per i maschi e per le femmine, il 39% ritiene che siano più a rischio le ragazze e solo l’1% più i maschi.

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Per quanto riguarda il cyberbullismo, il 10% degli intervistati ha ammesso di essersi (in una o più occasioni) comportato da cyberbullo e il 17% (20% delle femmine) di esserne stato vittima. Dall’indagine emerge, inoltre, anche un collegamento stretto tra i comportamenti riguardanti la socialità reale e quella in rete. I ragazzi e le ragazze che mostrano maggiori criticità nei rapporti con il gruppo dei pari risultano anche essere quelli più esposti ad essere vittime di episodi di cyberbullismo (30,6% vs 17,1%). Se “tecnicamente” non sorprende che siano i soggetti complessivamente più deboli a essere bersaglio privilegiato, questa evidenza può essere utile per capire verso chi vanno indirizzati un’attenzione e un controllo maggiori. Ma nei confronti del cyberbullismo appare esserci (correlando i dati quantitativi dell’indagine e ciò che emerge nei focus group che realizziamo con i ragazzi) una sostanziale sottovalutazione degli effetti che può produrre, almeno finché non ci si trova direttamente coinvolti. Nell’identificarsi come bulli prevale il concetto di “scherzo”, nell’identificarsi come vittime la presunzione che non sarebbero turbati più di tanto: “al massimo mi cancello”.

Adò - Laboratorio Adolescenza - 2018; 1,1.


Ma adesso mi piaccio un po’ meno Un “effetto collaterale” non trascurabile dell’utilizzo dei social network è che il continuo “essere in vetrina” con foto e selfie costantemente postati, contribuisce a peggiorare la percezione che gli adolescenti hanno del proprio aspetto fisico. Che in adolescenza il rapporto con la propria fisicità non sia facile è normale, ma questa insoddisfazione, che osserviamo cresce negli anni, è particolarmente

accentuata proprio tra le ragazze (prevalentemente) e i ragazzi che utilizzano i social. Partendo da queste evidenze apparirebbe ragionevole che la prevenzione si facesse non tanto sui tempi di utilizzo (battaglia di retroguardia destinata al fallimento), quanto sui “modi”. Ma non pretendendo che gli adolescenti utilizzino i social come li utilizziamo noi (che spesso non siamo nemmeno un esempio

SE POTESSI, COSA TI PIACEREBBE MIGLIORARE DEL TUO ASPETTO FISICO? Totale generale

Più di 3 ore al giorno sui social

Altezza

35,7

40,6

Peso

58,2

63,3

Pelle

39,1

44,8

Capelli

40,6

47,3

Peli

38,5

47,3

Occhi

23,1

25,1

Naso

37,9

42,3

Bocca

12,2

25,9

Denti

40,3

47,3

Seno (per le ragazze)

48,9

54,2

Fianchi (per le ragazze) 53,4

56,8

Muscolatura

45,0

44,8

Gambe

55,6

59,8

Adò - Laboratorio Adolescenza - 2018; 1,1.

molto edificante), ma essendo consapevoli della differenza strutturale di approccio. Per far questo, il primo passo non è neanche conoscere la rete, ma è conoscere gli adolescenti. E su questo abbiamo tutti molta strada da fare.

M. T. Maurizio Tucci e-mail maurizio.tucci@gmail.com

LO SPECCHIO DEL SELFIE La facilità di forografarsi, il cosiddetto selfie, da soli o in gruppo, accentua inevitabilmente l’attenzione sul proprio aspetto fisico e rende più agevoli i confronti, diventando il vero e proprio specchio di una generazione. Questo comporta che spesso i “non mi piaccio” prevalgano sui “mi piaccio” tra i membri della tribù che una canzone di successo dello scorso anno ha definito “l’esercito del selfie”. Il cui testo, apparentemente banale ma che tocca le corde giuste, non è solo dedicato al selfie, emblema narcisistico non sol-

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tanto giovanile, ma anche alla nostalgia di un contatto più diretto, più umano e non mediato dalle tecnologie. (L’esercito del selfie, di Paradiso, Tagaci, Ketra)

“Siamo l’esercito del selfie Di chi si abbronza con l’iPhone Ma non abbiamo più contatti Soltanto like a un altro post Ma tu mi manchi Mi manchi Mi manchi in carne ed ossa Mi manchi nella lista Delle cose che non ho”


IL DOSSIER

Alessandra Marazzani Psicologa

I rischi del troppo social Una rapida e improvvisa rivoluzione, un nuovo potere. Con tre possibili insidie: superficialità, isolamento, illusione

L

’interesse verso i social network si sviluppa nei giovani nella fase della pre-adolescenza. Nasce per tutti in modo dirompente. Le motivazioni psicologiche che generano questo fenomeno sono da ricondurre innanzitutto a una possibilità di esercizio del controllo e del potere del tutto nuova per gli adolescenti: nessun’altra attività si presta a essere così personalizzata e gestita sotto il proprio esclusivo dominio. Che tipo di foto pubblicare, quali commenti postare, a quali gruppi aggiungersi, di chi essere follower eccetera sono scelte nelle mani dei ragazzi. Nessun pari o adulto può interferire. I social, infatti, possono essere utilizzati a fronte di un’iscrizione personale che dà la libertà a ciascuno di raccontare ciò che vuole, senza limiti di tempo (h.24), potendo raggiungere qualsiasi persona e potendo accedere in modo pressoché illimitato a qualunque contenuto di interesse. In pochissimi anni l’utilizzo di Internet è cambiato in modo radicale poiché ha aperto ai ragazzi la possibilità di navigare nel web, attraverso diversi devices senza nessun insegnamento, permesso o controllo preliminare da parte degli adulti. Una prima considerazione è che questa evoluzione radicale delle modalità di accesso, è avvenuta troppo rapidamente per favorire una maggiore consapevolezza dei limiti e dei rischi a cui i ragazzi possono andare incontro. Per i ragazzi, che a questa età sono in una fase di crescita, accedere ai social, venendo a contatto con gli stili di vita, le idee, i gusti degli altri attraverso un fiume di parole e immagini se da un lato può costituire uno stimolo ed un’occasione per uscire dall’orizzonte ristretto del proprio mondo famigliare, dall’altro può diventare un fattore ostacolante allo sviluppo equilibrato della personalità. Le tre parole che rappresentano i rischi capitali connessi all’abuso dei social e in linea di massima all’utilizzo non consapevole del web sono: superficialità, isolamento, illusione.

Partiamo dalla prima: nella maggior parte delle situazioni i ragazzi che eccedono con l’uso dei social passano da un profilo all’altro, da un video all’altro, da un sito all’altro mantenendosi a distanza da tutto, senza alcun approfondimento. C’è un “surfare” tra stimoli e informazioni e il valore è dato proprio dal non soffermarsi, dal mantenere un movimento orizzontale. Il secondo rischio, quello più riconosciuto e preoccupante è quello dell’isolamento, anche nella relazione con gli altri. L’appagamento maggiore sembra essere dato più da un cono-

scersi superficialmente a distanza che dal vivere momenti intensi di condivisione reale dell’esperienza, che dall’avere momenti di autentico scambio di opinioni ed emozioni. Il fattore dell’isolamento, seppur importante, è solo in parte una delle cause dell’uso eccessivo dei social, ma ne è soprattutto una conseguenza. L’assenza di condivisione reale con gli altri porta a una visione della realtà mistificata, dove si ricerca principalmente ciò che non crea disagio. Ed è qui che entra in gioco l’illusione. Essa viene alimentata attraverso l’attivazione “dell’onnipotenza infantile” che invece in questa fase della vita dovrebbe progressivamente essere superata. Viene attivato una sorta di pensiero magico che porta a credere, come quando si è bambini, che “tutto ciò che si desidera potrà succedere”. Ciò significa che se

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come ragazzo posso permettermi in ogni momento e in qualsiasi situazione (“any time, any where”) attraverso Internet di entrare in relazione con chiunque, con qualunque luogo, virtualmente con ogni attività o realtà, nel modo che meglio mi si confà e mi rappresenta, ciò alimenta una parte di personalità insicura. Quella parte che si rifugia in una dimensione gratificante dove il mondo può essere come lo si desidera e lo si dipinge. Mi basta apparire sui social come “vorrei essere” perché ”io sia cosi”, per sentirmi come vorrei. Il confronto con la realtà diviene superfluo, evitabile. Nella realtà il desiderio è la spinta iniziale che determina ogni azione, ogni progetto ma nella realtà per realizzare un cambiamento significativo i ragazzi devono impegnarsi concretamente nel gestire l’attesa, applicarsi e agire con una certa disciplina, accettare di differire il raggiungimento del piacere e attendere per ottenere il risultato ambito. Internet ed i social invece, possono diventare luoghi in cui gli adolescenti postano i loro desideri e virtualmente li soddisfano, possono pensare, ad esempio, che avere tanti like ed essere molto seguiti su Facebook o Instagram equivalga a essere effettivamente importanti. Questa, dell’adolescenza, è l’età delicata e decisiva per la strutturazione della personalità adulta che si forma principalmente attraverso esperienze cognitive, emotive e relazionali fatte di frustrazioni, sacrifici, paure, forti passioni che vengono vissute sia da soli sia con gli altri. Il timore è di fallire e questo timore è sempre presente insieme al rischio di non reggere alla frustrazione che ne può derivare. La tentazione di isolarsi, creare rapporti cristallizzati, immobili può alimentare l’abuso di Internet e dei social, perché essi sono funzionali a evitare di mettersi in gioco e affrontare il cambiamento. Alessandra Marazzani e-mail alessandra.marazzani@gmail.com

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IL DOSSIER

ELOGIO dell’ANONIMATO Può sembrare strano che un giornalista, il cui capitale più importante è la firma, e che costruisce la sua carriera sul valorizzare il proprio nome, prenda posizione a favore dell’Anonimato. Siamo abituati a pensare all’anonimo in modo negativo, ai “corvi” di lettere minatorie, subdole o diffamatorie, al ghigno di un Anonymous nato proprio con la rete, che altro non è che un gruppo di hacker che propone rivelazioni tutt’altro che trasparenti, agli insulti e alle minacce senza nome che avvelenano il web. In tutti questi casi l’Anonimato è semplicemente vigliaccheria. Ma l’invasività di internet, l’ambigua ingombrante presenza di App e Social network che letteralmente si nutrono di dati, i nostri dati, e che si arricchiscono grazie alla nostre scelte, alle nostre biografie, alle nostre passioni ci inducono a prendere in considerazione un Anonimato diverso. Un Anonimato che sia prima di tutto una difesa dai tentacoli della rete e, di conseguenza, un diritto che sta assumendo un valore primario. Esiste un apparato giuridico che difende i cittadini da noi giornalisti invadenti, soprattutto i minori sono giustamente molto protetti. E queste regole valgono anche per la rete, sono appunto diritti dei cittadini. Ma la rete si avvale di una subdola ambiguità: il fatto che non ci si renda conto che un social network non è uno spazio privato, ma una piazza pubblica e che ciò che compare su una pagina di Facebook non appartiene al titolare della pagina, ma a Facebook. Ben venga dunque l’Anonimato, come difesa e come diritto. Se volete scrivere o commentare qualcosa, se volete pubblicare una foto o un video, che bisogno c’è di usare il vostro vero nome e di allegare i vostri dati biografici? Un bel nickname, uno pseudonimo, vale lo stesso. Chi ne soffrirà sarà solo il Narciso che c’è in tutti noi. E potrete sempre rivelare agli amici di cui vi fidate qual è il vostro “nom de plume”. Non è certo un anonimato assoluto. Se avete intenzione di usare male il vostro nickname, come gli anonimi vecchio stile, il provider (o la polizia), lo sapete, potrà sempre risalire al vostro computer o al vostro telefonino. Ma intanto vi difenderete dai bulli e dalle balle, dagli affaristi e dai male intenzionati di qualsiasi tipo. I più famosi writer e pittori stradali conservano gelosamente il loro anonimato, anche quando sono ormai considerati artisti di valore. E stranamente le loro opere diventano più riconoscibili senza il loro vero nome. Scrive la più famosa anonima, Elena Ferrante, che è la scrittrice italiana più venduta nel mondo e di cui non si conosce l’identità: “Sono contenta di aver scelto di non comparire con il mio nome: perché così sono sicura che sarò valutata per quello che scrivo e non per quello che sono”. Provate a vederla anche da questo punto di vista. Forse i vostri “post” saranno più ricchi e interessanti, perché il vostro “successo” dipenderà solo da quello. E chi vi guarderà o leggerà lo farà con più attenzione. Riccardo Renzi

Adò - Laboratorio Adolescenza - 2018; 1,1.

Roberta Quagliuolo Avvocato

Bella quella tua foto! Ma non è più tua. Per sempre Le regole che tutti (anche gli adulti) dovrebbero conoscere.

A

ttualmente viviamo in un’era digitale dove l’utilizzo della rete in generale e dei social network in particolare è diventato imprescindibile per la maggior parte della popolazione ed ha una larghissima diffusione soprattutto tra coloro che appartengono alle fasce di età della preadolescenza (tra i 9 e i 13 anni) e dell’adolescenza vera e propria e che sono stati definiti i cosiddetti “nativi digitali”. Il web e i social network, infatti, costituiscono attualmente lo strumento principale di comunicazione, conoscenza e contatto per quanto riguarda gli adolescenti di tutto il mondo. Questo fenomeno ha certamente dei risvolti positivi che sono sotto gli occhi di tutti – primo tra i quali la vastità delle informazioni reperibili in rete inerenti tutti gli ambiti possibili ed immaginabili della vita umana – ma come rovescio della medaglia presenta anche degli aspetti di potenziale pericolo per gli utilizzatori poco attenti ed inesperti come quelli appartenenti alla categoria di cui ci occupiamo. O forse sarebbe più corretto affermare che tali rischi sussistono in realtà anche per una foltissima moltitudine di soggetti adulti che, conseguentemente, non sono in grado di mettere in guardia adeguatamente i giovani sui pericoli insiti nell’utilizzo dei social network. Per tale ragione, ormai da tempo le scuole e alcune associazioni si sono organizzate per spiegare ai preadolescenti ed agli adolescenti quali rischi si corrono e quali comportamenti è meglio evitare per non incorrere in situazioni critiche che potrebbero presentare profili di responsabilità penale e/o civile. Prima di tutto, occorre evidenziare che, nel momento in cui si inseriscono dei dati di natura personale su un social network, se ne perde automaticamente il controllo, anche se

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vengono cancellati immediatamente dopo. Tali dati o immagini inoltre possono essere stati visualizzati e memorizzati da uno dei contatti di chi li ha immessi, che a sua volta può diffonderli ad un numero illimitato di propri contatti e così via. Ma in ogni caso occorre essere consapevoli che i dati immessi nei social network diventano di dominio pubblico, in quanto presuppongono il consenso del diretto interessato in tal senso, consenso che viene concesso (pochi se ne rendono conto) nel momento dell’iscrizione. Poiché molto spesso però i dati diffusi appartengono anche alla sfera strettamente personale di altri soggetti, ne consegue che - così come accade per il mondo reale - anche nel mondo virtuale possono essere violate le regole giuridiche e si possono configurare dei reati; tra le fattispecie penali più frequenti in questo ambito vi sono la diffamazione a mezzo Internet, gli atti persecutori di stalking, la lesione della reputazione altrui e il furto di identità, che implicano tutti un’assunzione di responsabilità diretta. Tale responsabilità nel


caso dei minori di età ricade sui genitori spesso – e aggiungerei, colpevolmente - del tutto inconsapevoli dell’utilizzo “sconsiderato e inappropriato” che i propri figli fanno della rete e dei social. E, infatti, ormai impensabile ed anacronistico che gli adulti si disinteressino di questo aspetto assolutamente rilevante e incombente nella vita dei loro figli, che può averei risvolti giuridici molto importanti. Così come un genitore è responsabile per i danni materiali causati dal figlio nel contesto di una rissa, allo stesso modo lo è - almeno dal punto di vista civilistico - per i danni che il minore può aver causato in seguito alla pubblicazione e diffusione di informazioni diffamatorie ed immagini private e lesive della reputazione di altri soggetti. Lo strumento più efficace, pertanto, per non incorrere nei rischi legali connessi alla navigazione in Internet e all’uso dei social network non può prescindere da una formazione mirata e specifica degli adolescenti che li renda edotti sulle conseguenze e sulle responsabilità giuridiche riconducibili a determinati comportamenti illeciti che possono compiere anche inconsapevolmente. Tenendo presente che dal punto di vista penale l’imputabilità si configura al compimento del 14esimo anno di età e che la responsabilità civile dei minorenni ricade invece, inevitabilmente, sui soggetti adulti che ne hanno la tutela legale ovvero i genitori. L’educazione degli adolescenti ad un uso corretto e appropriato dei social network e della rete in generale dovrebbe, inoltre, riguardare anche gli strumenti di tutela che la normativa

vigente offre e che sono ancora poco conosciuti ai più. Mi riferisco, in particolar modo, al cosiddetto diritto all’oblio, che rappresenta il diritto di ogni individuo ad essere dimenticato in relazione a fatti di cronaca che in passato lo abbiano riguardato, nonché il diritto di chiedere la cancellazione dei dati personali forniti ad esempio quando era minorenne e non perfettamente consapevole dei rischi derivanti dal trattamento di tali dati. In tal senso, i requisiti principali individuati dal Regolamento Europeo sulla Protezione dei dati personali n. 679 del 27.04.2016 per la cancellazione dei medesimi riguardano, tra gli altri, il ritiro del consenso a suo tempo prestato per il trattamento dei dati, l’illecito trattamento degli stessi e la non necessarietà dei dati rispetto alle finalità per le quali erano stati forniti. Rimane, comunque, aperto allo stato attuale il problema che riguarda l’immensità delle informazioni e delle immagini inserite volontariamente nella rete dai minorenni (problema peraltro comune agli adulti) che attualmente “fluttuano” nel web in una dimensione virtuale parallela a quella reale e di cui un giorno si vorrà ottenere la cancellazione: sarà possibile dare un colpo di spugna o si rimarrà “prigionieri” a vita di questa realtà parallela ed ingombrante? Data la facilità dei contatti e la rapidità di diffusione di dati e immagini, sarà molto difficili nonostante le norme di protezione.

Roberta Quagliuolo e-mail r.quagliuolo.law@gmail.com

POLIZIA POSTALE

TANTE VITTIME,

MA SANNO REAGIRE Gli allarmi sono giustificati, ma, senza accontentarsi di parlare di “mal comune”, l’Italia che naviga in Internet non è tra i Paesi dove si rischia di più. Una ricerca di Microsoft, che ha analizzato le attitudini e le percezioni degli adolescenti dai 13 ai 17 anni, e degli adulti dai 18 ai 74 riguardo all’educazione civica digitale e alla sicurezza online in 23 Paesi, ha posto l’Italia al decimo posto nel 2017 per l’esposizione ai rischi della rete. Siamo insomma nella “fascia alta”, ma non tra i peggiori . Il 63% del campione intervistato ha dichiarato di essere stato vittima di almeno uno dei principali rischi online, in particolare di contatti indesiderati (45%) e di fake news, truffe e frodi online (28%). Il 53% ha dichiarato di aver subito molestie (contatti indesiderati, sexting, cyberbullismo). In tutte le categorie, comunque, e questa è una buona notizia, sono gli adulti i più colpiti. E in generale, sia gli adulti sia gli adolescenti italiani hanno dimostrato di avere una buona capacità di “risposta”: il 64% degli italiani sa a chi rivolgersi per chiedere aiuto (+19% rispetto alla media globale) a dimostrazione dell’efficacia delle campagne di sensibilizzazione da parte delle istituzioni e aziende sul tema. E si dimostrano abbastanza in grado di reagire agli attacchi di bulli e molestatori.

LA RAGAZZA INVISIBILE

Ecco il video di uno dei centinaia di incontri con esponenti della Polizia postale, che si sono tenuti in tutta Italia. Questo si è svolto all’ITCS “G. Salvemini” di Casalecchio di Reno. https://www.youtube.com/watch?v=0I3LBiV-dtw

Realizzato da Safer Internet Centre Italia - Generazioni Connesse, dedicato in particolare al tema del cyberbullismo. https://www.youtube.com/watch?v=CH4Vz4dDeD8&index=9&list=PL 43P0iKGmv1egRLRMZ4pkjlcLjOyqgqin

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IL DOSSIER

Gli inarrestabili cellulari in classe Una scuola che cavalchi le nuove tecnologie e che insegni a vivere “disconnessi”? Rocco Raffaele Cafarelli Dirigente scolastico

I

l problema dell’uso dei cellulari a scuola non nasce con la recente decisione della ministra dell’istruzione Fedeli d’istituire la Commissione che ha elaborato il “Decalogo per l’utilizzo dello smartphone in classe”.

Già nel 2007, infatti, l’allora ministro Fioroni aveva emanato le “Linee di indirizzo in materia di utilizzo dei cellulari durante l’attività didattica”, che prevedono per gli studenti il divieto dell’uso durante le lezioni, che può essere sanzionato come infrazione disciplinare. Tale divieto resta tuttora in vigore, anche dopo la pubblicazione del nuovo “Decalogo”. Che prevede però l’autorizzazione del cellulare in classe nel caso venga proposto e guidato dai docenti a fini didattici. Resta il fatto che gli episodi di uso improprio del cellulare che si verificano nelle scuole italiane sono innumerevoli e così pure i problemi per insegnanti, dirigenti scolastici e studenti, con gli inevitabili contenziosi che ne derivano. I numerosi episodi, che talvolta arrivano alle cronache dei giornali (circolazione di immagini improprie, casi di cyberbullismo eccetera), pur di natura e con responsabilità diverse, indicano l’effetto dirompente che questo strumento può avere all’interno di un contesto particolare e molto delicato qual è la scuola. Per non parlare dei molteplici problemi legati alle continue distrazioni degli studenti, alla loro mancanza di concentrazione, causata dalla continua “consultazione” del telefonino. Cos’è successo allora in questi dieci anni da indurre il ministro del-

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l’istruzione e far sì che lo smartphone passasse da oggetto demonizzato al rango di strumento didattico? E perché, invece, il presidente francese Macron lo ha proibito, così come avviene in Gran Bretagna e negli USA? La diffusione esponenziale e pervasiva degli smartphone, in ogni momento della nostra vita “iperconnessa”, ci interroga profondamente, in primo luogo come educatori, sulle risposte da dare alle nuove sfide tecnologiche, ai rischi e alle opportunità che ne derivano. Il dibattito in corso continua ad essere molto acceso. Da un lato, i fan dell’utilizzo del cellulare in classe, convinti dell’assoluta bontà della didattica digitale, sostengono che una conoscenza guidata delle nuove tecnologie e una diffusione della cultura digitale, trasversale nelle discipline, permetterebbe ai “nativi digitali” di rimanere al passo con le trasformazioni, facendo loro cogliere le opportunità che l’evoluzione della tecnologia determina sul lavoro e nella società. Propongono persino l’istituzione di uno specifico liceo tutto incentrato e strutturato sulla cultura digitale. Sull’altro versante, i numerosi critici considerano l’uso continuo del cellulare e di altri dispositivi elettronici un rischio per la salute dei bambini e dei ragazzi, convinti che essi possano indurre una nuova forma di dipendenza e che il loro uso sia da limitare, soprattutto a scuola. Sulla base della mia lunga esperienza da dirigente di diversi istituti scolastici penso non si possa separare il mondo dei ragazzi fuori dall’aula da quello della scuola. Stiamo attraversando una vera rivoluzione antropologica che la scuola deve affrontare in primo luogo attraverso un’educazione all’uso corretto dei nuovi media e dei dispositivi che ne consenta una fruizione critica e consapevole. Occorre impedire che i ragazzi restino vittime sia in tema di cyberbullismo, che di fake news, favorendo invece l’accesso a fonti attendibili. Non aiuta però ad affrontare seriamente il problema nemmeno l’assumere una visione acritica, edulcorata delle nuove tecnologie, un

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atteggiamento che si limita semplicemente a rincorrere le novità quali esse siano. La scuola, l’ambiente educativo per eccellenza che ha come compito quello di formare cittadini attivi, dovrebbe essere allora il luogo dove i ragazzi, proprio perché sempre connessi, imparino anche a rimanere “disconnessi”. Uno spazio e un tempo liberato dall’onnipresenza digitale e dei social media, dei quali siamo tutti, compresi noi adulti, un po’ vittime. Una zona franca in cui “disintossicarsi”, fatta di esperienze vere e di relazioni significative guardandosi negli occhi. Una scuola che insegni che occorre riflettere prima di decidere, e pensare criticamente prima di credere, dove la conoscenza si costruisce attraverso lo scambio e il confronto con altri esseri umani presenti nell’interezza delle loro dimensioni. Per concludere, dovrebbe farci riflettere il fatto che alcune delle più grandi figure del mondo tecnologico contemporaneo – Bill Gates, Steve Jobs, l’attuale amministratore di Apple Tim Cook e il manager di Facebook Sean Parker – raramente abbiano permesso a figli e nipoti di usare gli stessi prodotti che hanno contribuito a creare e con i quali è stato inondato il pianeta. Cosa li ha spinti a volerli in qualche modo “tutelare” dall’uso di cellulari e tablet? Forse qualcosa di cui noi semplici consumatori non siamo pienamente consapevoli: il fatto che le tecnologie digitali creano dipendenza, che non possono essere l’unico mezzo con cui interagire o esplorare il mondo e che favorendo un loro uso univoco o troppo precoce, si finisce coll’impoverire lo sviluppo e le potenzialità dei ragazzi. Esistono altre modalità di conoscenza e di relazione che i giovani, proprio a garanzia del loro futuro, devono continuare a sperimentare e sviluppare in un luogo specifico come la scuola, l’unica agenzia educativa che intenzionalmente ha il compito di istruire e formare cittadini consapevoli, attraverso esperienze di apprendimento significative ed arricchenti.


IL LIBRO

Pierangelo Barone Riccardo Renzi

Professore di Pedagogia generale e sociale. Giornalista

I NUOVI NOMADI METROPOLITANI C’erano una volta i “gruppi” e le bande. Ma oggi questo tipo di socialità giovanile è cambiato radicalmente. Come lo spazio-tempo nel quale vivono gli adolescenti.

É

innegabile che la fruizione del territorio urbano da parte delle zione. Le traiettorie di cui sono protagonisti i ragazzi e le ragazze di nuove generazioni si differenzia dalle modalità descritte dagli studi questo inizio di millennio, risultano somigliare straordinariamente ai sociologici, relative alle abitudini dei gruppi di adolescenti e giovani, legami di rete dei network sociali. Le aggregazioni si sviluppano sulla nel secolo scorso, per almeno 2 caratteristiche sostanziali: la prima base di “emergenze” attrattive nel territorio, che fungono da punti relativa al legame e il senso di appartenenza ad un territorio; la senodali per la realizzazione di esperienze “fugaci”, caratterizzate da conda relativa alla stanzialità e l’identificazione forte da parte del forme evenemenziali di intrattenimento, in cui prevalgono i tratti gruppo ad uno spazio-luogo. Se infatti il gruppo dei pari, nell’espedella temporaneità e della transitorietà. Sempre più l’esperienza nel rienza adolescenziale, mantiene intatta la propria valenza di contesto gruppo dei pari tratteggiata dagli studi psico-sociali – la “compagnia” entro il quale esercitarsi e mettere alla prova le proprie abilità in informale composta da 8-10 adolescenti omo-genere che condivifunzione sociale, un aspetto sempre più emergente dall’osservatorio devano forti interessi “culturali” e temi generazionali esclusivi e dif“educativo” sulle fenomenologie dei gruppi adolescenziali lascia creferenziati rispetto all’altro sesso – risulta non essere più dere che questi siano andati progressivamente svincolandosi da dirappresentativa di un tratto tipico adolescenziale. L’esperienza del namiche di appartenenza a spazi-luoghi che, non più di due decenni gruppo si distingue per una rarefazione delle relazioni in presenza, indietro, definivano precisi legami sociali e culturali. Un senso di apin favore di nuclei ristretti di amicizie con le quali si condividono paspartenenza e di legame sociale sioni e desideri; inoltre è molto che si traduceva in meccanismi di più evidente la tendenza di tali nuIl brano pubblicato in questa pagina identificazione, al punto da far clei amicali ad includere soggetti è tratto da “Vite di flusso – Fare especorrispondere il riconoscimento di entrambi i sessi, nei quali le rienza di adolescenza oggi”, una raccolta di saggi basati su un’indagine sociale di un gruppo in funzione contaminazioni di interessi e tepedagogica qualitativa che analizza le dello spazio-luogo scelto come matiche generazionali appaiono trasformazioni del mondo adolescen“territorio” esclusivo. Siamo cioè decisamente marcate (si pensi ziale negli ultimi anni, con l’obbiettivo di fronte ad una trasformazione tanto all’impatto del mondo di “ripensare una pedagogia dell’adoche pian piano sembra sgretolare video-ludico, quanto ai generi di lescenza all’altezza del difficile esercizio di suggerire nuovi sguardi e nuovi il mito del “gruppo” e della intrattenimento culturale in amcompiti per gli adulti”. II libro è curato “banda” giovanile identificata atbito letterario, musicale, fumettida Pierangelo Barone, professore di traverso le coordinate di un terstico, cinematografico) oltrepasPedagogia generale e sociale presso il ritorio o di uno spazio-luogo da sando il vecchio vincolo culturale Dipartimento di Scienze Umane per cui derivava persino l’attributo e sociale di attribuzione di ruoli la Formazione “Riccardo Massa”, dell’Università degli Studi di Milano nominale del gruppo. sulla base del genere. Bicocca, socio fondatore del Centro (Franco Angeli, € 26) Quel mito occidentale, ampiaLa vita urbana degli adolescenti studi Riccardo Massa. mente celebrato dalla letteratura contemporanei segna dunque uno della seconda metà del Novescarto importante con l’immagicento (da “I Ragazzi della via Pal” di Ferenc Molnàr, passando da nario sociale del Novecento e al contempo mostra fenomeni di di“I ragazzi della 56a strada” di Susan Hinton, fino a “Noi i ragazzi dello sagio e di sofferenza nuovi e significativi. Le forme di esperienza rese Zoo di Berlino” di Christiane F., Kai Hermann e Horst Rieck), risulta possibili da un tessuto urbano ridisegnato in funzione della “metroinadeguato per comprendere le specifiche dinamiche che segnano il poli da consumare”, definiscono un rapporto problematico con i luorapporto dei gruppi di adolescenti con i luoghi territoriali. ghi della città: l’indebolimento dei processi di identificazione e di Le traiettorie adolescenziali oggi sembrano portare verso fenomeni appartenenza dei soggetti a luoghi significativi, se indubbiamente fadi transitorietà e di “dispersione”, di attraversamenti che generano vorisce un desiderio di mobilità e corrisponde a un bisogno di flescostantemente movimenti e flussi, difficilmente ancorabili a luoghi sibilità e di trasformazione continua nei rapporti sociali che significativi di identificazione e appartenenza. contraddistinguono l’epoca attuale, produce effetti di fragilità relaLe modalità di fruizione dei luoghi educativi, formali e informali, nel zionali e di solitudini sociali violente, intensificate e aggravate dal geterritorio urbano, risultano sempre più connotate da una sorta di nerale contesto di crisi del mondo occidentale. “nomadismo” metropolitano in cui si esprime un bisogno di moviIn tutto questo, l’ingresso sulla scena della società post-moderna mento continuo, in scansioni temporali veloci. Le aggregazioni hanno delle nuove tecnologie di comunicazione costituisce una svolta di asperso la caratteristica della sedentarietà e del riconoscimento locasoluta rilevanza per cercare di comprendere i caratteri attuali del lizzato, e delineano modalità fluide di appartenenza e di identifica“fare esperienza di adolescenza”.

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SCUOLA LAVORO

LE ALTERNATIVE DELL’ALTERNANZA Un’esperienza che procede a fasi, appunto, alterne. Con molte insoddisfazioni, ma anche sviluppi interessanti. E qualche picco di eccellenza. Rocco Raffaele Cafarelli Laboratorio Adolescenza

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n Italia l’Alternanza scuola lavoro (Asl) – introdotta dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur) nel 2015 e divenuta obbligatoria per tutti gli studenti degli ultimi tre anni delle scuole superiori – è nata sulla scia di esperienze analoghe di altri Paesi europei. Si articola in periodi di formazione in aula e periodi di apprendimento attraverso esperienze di lavoro: la legge prevede un monte di almeno 200 ore per gli studenti dei licei e 400 ore per quelli degli istituti tecnici e professionali, distribuite nel triennio. Obiettivo dell’alternanza è raccordare la scuola al mondo del lavoro per ridurre lo scollamento esistente tra formazione scolastica e richieste del mercato del lavoro. Inoltre, la combinazione di cono-

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scenze acquisite tra i banchi ed esperienze maturate sul campo dovrebbe aiutare gli studenti a orientarsi anche rispetto al percorso di studio. Con il 2018 si chiudono i primi tre anni di questa esperienza: si può quindi tracciare un primo bilancio, per quanto non esaustivo.

LE DIMENSIONI DEL FENOMENO Scioperi degli studenti, problemi per le scuole nell’organizzare le attività di alternanza, forti difficoltà per i presidi nella ricerca di soggetti pronti a ospitare i ragazzi in un contesto lavorativo. Perché l’alternanza si è scontrata con questi e altri ostacoli? Una delle possibili spiegazioni sta nel fatto che nel 2015 la legge è stata ‘calata dall’alto’

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dall’allora ministra Stefania Giannini: senza una preparazione adeguata, senza predisporre opportuni passaggi attuativi e senza coinvolgere né i professori, né i dirigenti scolastici, né gli studenti. Eppure, per le scuole italiane si è trattato di un’innovazione didattica importante e di un cambiamento di proporzioni notevoli. In precedenza, infatti, l’alternanza era limitata solo agli istituti professionali e a pochi istituti tecnici: in totale, circa 273mila studenti. Con la riforma, sono saliti a un milione e mezzo: se si pensa che i licei e gli istituti tecnici, pari all’85% circa del totale delle scuole superiori italiane, non avevano mai attuato esperienze obbligatorie di Asl, si comprendono le difficoltà a cui il sistema scuola è andato incontro.


È vero che, dopo l’entrata in vigore dell’alternanza, il ministero ha istituito, anche se con ritardo, alcuni strumenti per la sua attuazione pratica. Ma, trattandosi di un profondo cambiamento culturale, oltre che metodologicodidattico, ci sarebbe stato bisogno di più tempo e più gradualità nell’attuazione, di aggiornare i presidi e i professori, di informare gli studenti, di motivarli e prepararli perché l’innovazione potesse essere condivisa e avere esito positivo. Soprattutto nel primo anno di entrata in vigore della legge, invece, governo e ministro hanno scelto di procedere con piglio decisionale e ambizioso, accompagnato a volte da approssimazione e disorganizzazione. Con due effetti: da un lato, alimentare l’opposizione degli studenti, che talvolta hanno considerato l’alternanza come una forma di sfruttamento da parte delle imprese, oltre che tempo sottratto agli studi; dall’altro, aumentare le difficoltà di gestione delle scuole e le proteste dei sindacati di categoria. Si aggiunga che i tagli applicati dalla ministra Gelmini alle scuole superiori con la riforma del 2010 avevano comportato la riduzione dell’orario settimanale di circa 3 ore, dei laboratori, degli indirizzi didattici e del numero di docenti. Con un orario già ridotto, quindi, e con il ridimensionamento degli stessi programmi di studio, i docenti si sono trovati a far fronte anche alle ore di alternanza.

VERSO LE PRIME BUONE PRATICHE A seguito dei problemi emersi, l’attuale ministra Valeria Fedeli ha introdotto diversi strumenti che hanno contribuito a migliorare l’attuazione dell’alternanza: dai “Principi generali” alla “Carta dei diritti e doveri degli studenti in alternanza”; dalla “Piattaforma dell’Alternanza” messa a disposizione di scuole, studenti e strutture ospitanti, all’istituzione di un “Osservatorio” con il compito di monitorare la qualità dell’alternanza scuola lavoro. Inoltre, il Miur ha indetto gli “Stati Generali dell’Alternanza”: finalmente, un primo confronto con i diversi soggetti coinvolti. Infine, grazie a un accordo con l’Agenzia nazionale per le Politiche Attive del Lavoro (Anpal), lo stesso ministero ha iniziato ad affiancare alle scuole una nuova figura di “tutor”, esperto del mercato del lavoro, per facilitare l’attuazione dell’Asl: finora vi hanno potuto contare circa 400 istituti.

Sul fronte dell’alternanza, quindi, cominciano a emergere buone pratiche da parte di numerose scuole, licei compresi, su tutto il territorio nazionale. Ed è auspicabile che, facendo tesoro delle esperienze dei primi tre anni, tutti i soggetti coinvolti – ministero, isti-

tuti scolastici, aziende, enti pubblici e privati, studenti e famiglie – procedano ora con maggiore convinzione nell’applicazione dell’alternanza scuola lavoro: una pratica che può avere ricadute positive sia sulla scuola superiore italiana, sia sul mondo del lavoro.

ORTI, BIOPARCHI E BIBLIOTECHE COMUNALI Sul sito del Ministero sono segnalate alcune delle esperienze significative fin qui realizzate nei doversi settori: arte, cultura, aziende, enti locali, storia, artigianato, musica, astronomia, professioni, ambiente. Ecco alcuni dei progetti segnalati: “Ortisti per caso” - coprogettato dall’Istituto Agrario di Firenze e la Confcooperative Toscana attraverso una simulazione d’impresa cooperativa, ha previsto l’ideazione e la gestione di un orto biologico in orario extra curricolare, anche con seminari e visite nelle realtà delle cooperative agricole. “A scuola di open-coesione: la biblioteca è casa nostra” - gli studenti dell’IIS “A. Castigliano” di Asti in collaborazione con il MIUR e la rappresentanza in Italia della Commissione Europea, attraverso un percorso innovativo di didattica sperimentale, hanno monitorato l’impiego dei fondi europei per una biblioteca comunale e il trasferimento della sua sede. “Alternanza al BioParco” - progetto integrato di ricerca scientifica e promozione turistica progettato da una rete di Licei scientifici-classici, linguistici e tecnici della Sicilia in collaborazione con il Giardino zoologico, impegnato in attività di educazione, conservazione e ricerca. I ragazzi dei diversi Istituti superiori partecipanti hanno effettuato studi zoologici sugli animali, sulle specie botaniche presenti nel parco, hanno supportato le attività di cura del giardino botanico, fornito ai visitatori indicazioni sulle specie zoologiche presenti, hanno accompagnato visitatori italiani e stranieri, realizzato aggiornamenti del sito web, manifesti e locandine pubblicitarie. Link: https://animoto.com/play/KEaIx0tWGGiwI6XqLjqpug “Mindfulness, la mente del corpo” - progettato dal Liceo Classico “J. Stellini” ed il Liceo Scientifico “N. Copernico” di Udine, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Biomediche dell'Università e il Comune, gli studenti di un liceo classico e uno scientifico hanno condotto una ricerca scientifica tesa a scoprire se attività quali la meditazione, l'allenamento motorio e l'ascolto di musica classica possano influenzare l’apprendimento. Questa pratica è risultata efficace per la gestione delle emozioni negli studenti, contribuendo ad incrementare l’attenzione e la flessibilità, intesa come abilità di adattamento ad una nuova situazione cognitiva e motoria. Importante è stata la scelta di far lavorare assieme i ragazzi dei due licei, dimostrando che non esiste una cultura umanistica ed una scientifica separate, ma che è necessario superare la contrapposizione a favore di una complementarietà tra i saperi.

CON L’AVIS UNA CAMPAGNA DI COMUNICAZIONE È un progetto pilota di AVIS e Laboratorio Adolescenza – utilizzabile come percorso di alternanza scuola-lavoro – che prevede il coinvolgimento degli studenti nella realizzazione di una campagna di comunicazione per avvicinare i neo maggiorenni alla donazione di sangue. Gli studenti, orientati da esperti di comunicazione, vivranno l’esperienza di come lavora il team di una agenzia di comunicazione chiamato a produrre un video ed un poster finalizzati agli obiettivi richiesti dal “committente”. Dai momenti di brainstorming iniziale (alla ricerca delle idee) fino alla realizzazione dei “definitivi” e di una efficace presentazione del lavoro svolto, passando per i momenti di verifica interna in cui si cerca di ridurre i punti di debolezza del progetto. Il progetto pilota – che nel prossimo anno scolastico sarà lanciato su larga scala – vede quest’anno coinvolti un liceo di Reggio Calabria (Liceo Scientifico Leonardo Da Vinci) e tre licei di Milano (il Liceo Agnesi, il Liceo Berchet ed il Liceo Marconi).

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ALLA RICERCA DEL PROPRIO TALENTO Il progetto di Laboratorio Adolescenza ovvero Tre passi di consapevolezza

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DA SCUOLA IL LAVORO È ONLINE Uno dei motivi per cui, specie nei licei, è molto consistente, specie tra le fila degli insegnanti, il “fronte del no” all’alternanza, è che sottrae ore di lezione. D’altra parte non si può immaginare di concentrarla tutta negli orari extrascolastici (in parte si fa), perché gli studenti, che il pomeriggio devono (o dovrebbero) dedicare tempo allo studio, avranno anche diritto ad un po’ di tempo libero. Proprio per questo appare particolarmente interessante, tra le “offerte formative”, il progetto di orientamento “Push To Open”, ideato dalla startup “JOINTLY – Il welfare condiviso”. Push To Open - come spiega la CEO di JOINTLY Francesca Rizzi, - offre ai ragazzi un percorso di orientamento basato sul confronto con professionisti ed esperti che raccontano cos’è il lavoro e come scegliere il percorso universitario in base alle prospettive occupazionali. Ma al di là dei contenuti, l’aspetto certamente più innovativo è che gli studenti possono accedere alla piattaforma con la stessa logica con cui tanti professionisti accedono alla formazione continua per l’acquisizione dei crediti ECM: quando vogliono e da dove vogliono. In pratica, la piattaforma registra e quantifica gli accessi e i percorsi effettivamente seguiti da ciascun utente (test, videointerviste, lettura di schede informative,…) dando agli studenti la possibilità di beneficiare fino a 50 ore di alternanza scuolalavoro sulla base della reale fruizione dei contenuti, presentando alla scuola la documentazione che attesta la partecipazione al programma. Il tutto senza avere impatto sull’attività scolastica, ma nemmeno su altre attività degli studenti, che possono scegliere il momento più opportuno per accedere. M.T.

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all’anno scolastico 2016-2017, Laboratorio Adolescenza propone alle scuole secondarie di secondo grado un progetto di alternanza scuola lavoro per gli studenti del IV e V anno: un progetto adottabile da tutti i tipi di istituti superiori, ma studiato specificamente per i licei. È qui, infatti , la vera sfida per l’alternanza: essere utile a ragazzi che sono distanti anni dall’ingresso nel mercato del lavoro. Per questo, più che a una professionalizzazione generalista e ad alto rischio di obsolescenza, il progetto punta da un lato a far emergere la consapevolezza di elementi utili a prendere le decisioni sul proprio futuro universitario e professionale nel modo più efficace, dall’altro a far riconoscere le proprie competenze al di là della formazione scolastica. Il primo passo è, quindi, aiutare i ragazzi a scoprire il proprio atteggiamento nei confronti del concetto di lavoro, a comprendere che l’approccio individuale ha più sfaccettature, e che il mix potrà cambiare in tempi e contesti diversi: le scelte sono reversibili. Durante l’alternanza, qualcuno che considerava il lavoro un mezzo per rendersi autonomi economicamente, ma da conciliare con altri interessi e relazioni, si è reso conto che, almeno per una fase della propria vita, sarebbe disposto a sacrificare il ‘resto’ se il lavoro gli desse l’opportunità di realizzare sé stesso. Qualcun altro ha capito che – a dispetto della possibilità di soddisfare aspettative professionali forti – non se la sentirebbe di scendere a patti con i propri valori. E a tutti è divenuto più chiaro che ciascuno ha più sfaccettature, e che il mix potrà cambiare in tempi, situazioni e contesti diversi. Il secondo passo è sollecitarli a identificare le proprie competenze al netto di quelle acquisite tra i banchi di scuola: quelle competenze che, in un curriculum vitae (e non studiorum) interessano a un potenziale datore di lavoro per capire ‘chi è’ (e non ‘che cosa sa’ o ‘che cosa sa fare’) la persona che si candida per una specifica posizione. Alessia non si vergogna più di scrivere che ha fatto la babysitter, perché ormai sa che un genitore che ti affida i propri figli, agli occhi di un selezionatore, ti dà una patente di affidabilità. Marco, che nel suo primo cv aveva inserito solo i

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dati anagrafici, non pensa più che ‘non ha fatto niente d’interessante’ per un’azienda e ha scritto che è rappresentante di classe, che da anni fa basket a livello agonistico, che è in un gruppo scout e che è appassionato di fotografia. Ultimo passo, far toccare loro con mano che per un colloquio di lavoro non ci si prepara cercando di prevedere le domande, ma facendo tutto quel che serve per riuscire a sfruttare al massimo un’opportunità ogni volta unica: quella di scambiare il maggior numero di informazioni utili a capire se si è adatti a quel lavoro e se quel lavoro è adatto a sé. Mantenere l’attenzione e l’interesse degli adolescenti è difficile. Da qui, la scelta di Laboratorio Adolescenza, per l’alternanza, di ridurre al minimo i tempi di ‘lezione frontale’ e massimizzare il coinvolgimento diretto degli studenti, attraverso test individuali e di gruppo, giochi di ruolo, discussioni in plenaria, sessioni di domande e risposte con imprenditori ed esperti di ricerca e selezione del personale, fino alla simulazione di un processo di selezione e di veri e propri colloqui di lavoro. L’intero progetto è un percorso di avvicinamento al momento nel quale gli studenti ‘selezionati’ sostengono la prova vis-àvis, mentre i compagni affiancano in modo attivo i selezionatori: un’esperienza ad alto impatto emotivo che lascia il segno. Possiamo star sicuri, quindi, che nessuno cercherà più di spacciare interessi e competenze che non ha, perché, al di là del rischio di essere smascherati, tutti si sono resi conto che non gli servirebbe a niente; e nessuno sosterrà più un colloquio di lavoro stringendo in mano lo smartphone. Viceversa, hanno capito che manifestare una curiosità legittima sul lavoro per il quale ci si sta candidando o fare domande non è un atteggiamento maleducato, ma valutato positivamente. Per Laboratorio Adolescenza, il progetto di alternanza rivolto alle scuole è in divenire. Constatare che i ragazzi guardano al futuro pensando quasi solo a lavori tradizionali, molti dei quali non esisteranno più o saranno mutati profondamente tra pochi decenni, ad esempio, ha spinto l’associazione a progettare un modulo formativo integrativo dedicato alle nuove professioni e professionalità.

Simona Mazzolini


VOLONTARIATO

Andrea Ferrari

Pediatria Oncologica - Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.

RAGAZZI SPECIALI, ANZI SUPEREROI Ci si può ammalare di cancro anche a scuola. Ma i giovani dell’Istituto dei tumori di Milano progettano il futuro, scrivendo libri e canzoni. E inventando un fumetto.

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on c’è un perché” se ci si ammala di cancro mentre si va alle superiori. Non c’è un perché, ma succede. E ragazzi in attesa, magari, di un bacio, si trovano in sala d’attesa, nell’ambulatorio di oncologia, per sostituire gli esami di scuola con gli esami del sangue. In attesa del loro primo ciclo di chemioterapia.

GLI ADOLESCENTI SI AMMALANO DI CANCRO. Circa 800-1000 ogni anno in Italia. E sono pazienti speciali, che hanno bisogno di posti speciali, dove essere curati al meglio. Posti costruiti con mattoni colorati, dove ci sia posto per la musica e per l’amore, per il significato dell’esistere e la paura della morte. Posti dove ci si possa anche muovere con leggerezza – tra cose che leggere non lo possono proprio essere – e con speranza. Perché quando c’è spazio per i colori, per pensare alle cose belle, c’è spazio per la speranza. C’è spazio per la normalità della vita. Ma questi ragazzi hanno bisogno anche di spazi stabili rispetto alle intemperie prodotte dalla malattia – protezione per le loro fragilità e per i loro particolari bisogni legati all’impatto della malattia e delle cure su un’identità e una personalità in via di sviluppo – e giuste competenze professionali. Così, con queste idee in testa, è nato qualche anno fa all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano il Progetto Giovani, sostenuto dall’Associazione Bianca Garavaglia Onlus. Che è una specie di grande libro pieno di storie: è la canzone Nuvole di Ossigeno, dove i ragazzi cantano il loro desiderio di scappare via da tutto questo, ma anche che “la cosa più bella che si possa provare è la consapevolezza di avere un futuro ed esserne padrone”; è la canzone Palle di Natale, un incredibile successo con oltre 11 milioni di visualizzazioni sul web, dove i ragazzi cantano il loro bisogno di normalità (con il il rap di Sa-

muele che ammonisce che “la vera norma è la forma che diamo noi”), ma insegnano anche che insieme, con il sorriso, si può provare a superare anche gli ostacoli più duri che la vita ci pone di fronte; il Progetto Giovani è la mostra fotografica. La Ricerca della Felicità, immagini di lasagne della mamma alla domenica e di un pomeriggio ad ascoltare la musica con gli amici, ma anche gli autoscatti di Sefora

Giovani non raccontano solo le loro storie personali. Ci parlano anche di tutti gli altri ragazzi che si ammalano di tumore. Con precisa presa di coscienza e con coraggioso senso di responsabilità, diventano i preziosi testimoni di un progetto che ha dietro qualcosa di più grande di un romanzo o di una canzone: far sapere che ci si può ammalare di tumore anche nell’età dell’adolescenza; che si può guarire; ma solo se si riesce a ricevere le cure giuste, nei tempi giusti e nei luoghi giusti. Raccontare che gli adolescenti ammalati di tumore corrono spesso il rischio di finire in una “terra di nessuno” tra il mondo dell’oncologia pediatrica e quello dell’oncologia medica dell’adulto; corrono il rischio di non ricevere le terapie migliori, o riceverle in ritardo. Cercare di dire a tutti che, spesso a parità di malattia e stadio, un adolescente ha minori probabilità di guarigione di un bambino.

GLI OBBIETTIVI DEL PROGETTO GIOVANI

Il fumetto inventato dai ragazzi: eroi con superpoteri e superdebolezze.

e Martina, che si tolgono la parrucca e sfidano la malattia, per riappropriarsi della propria bellezza; e infine è il fumetto “Loop: indietro non si torna”, in cui i ragazzi inventano supereroi con superpoteri e superdebolezze, raccontando la loro capacità di guardare avanti, di dare un nuovo senso alla vita, tenendo conto del cambiamento e delle cicatrici. In tutti questi progetti, i ragazzi del Progetto

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Questa è l’essenza del Progetto Giovani: insieme, ragazzi e adulti, professionisti e non, per superare gli ostacoli che possono ridurre la qualità delle cure degli adolescenti malati di tumore e quindi le loro probabilità di guarigione. Insieme per proporre realmente un modello di organizzazione medica e di cura globale del paziente adolescente, ma anche e soprattutto una sfida culturale, con l’idea di occuparsi non solo della malattia, ma della vita dei ragazzi. Questa è l’essenza anche del progetto nazionale SIAMO (Società scientifiche italiane Insieme per gli Adolescenti con Malattie Onco-ematologiche) (www.progettosiamo.it), per cambiare davvero la storia dei ragazzi malati di tumore in Italia. Progetto giovani sito internet www.ilprogettogiovani.it

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MEDICINA

MA QUANTO DURA L’ADOLESCENZA? Secondo lo schema classico è nel periodo dai 10 ai 20 anni. Ma ora questi limiti sono in discussione. E c’è chi propone un prolungamento a 24 anni. Roberto Marinello Pediatra di famiglia

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n articolo pubblicato nel gennaio scorso sulla rivista scientifica Lancet (Sawyer SM, Patton GC) ha riproposto un tema antico. Ha riaperto cioè l’annoso problema di definire quali sono i limiti temporali dell’adolescenza, di stabilire cioè quando comincia e quando finisce. Il che non è soltanto un mero esercizio teorico, ma comporta una serie di conseguenze pratiche sul piano medico, dell’organizzazione sociale e scolastica e anche su quello legale. Non è facile identificare con precisione i limiti dell’adolescenza che, per definizione, rappresenta la delicata fase di evoluzione biologica, psicologica e sociale che segna il passaggio dall’infanzia all’età adulta.

L’attuale definizione di adolescenza dal punto di vista somatico, psicologico e sociale, secondo le Società scientifiche più accreditate a livello internazionale, risale a molti anni fa, ma in generale viene ritenuta ancora valida. Essa prevede un periodo compreso tra i 10 e i 20 anni di vita, con le caratteristiche indicate nella Tabella 1. Data la notevole estensione temporale del processo evolutivo, tale definizione molto generale non appare tuttavia sufficiente, perché è necessario individuare diversi gradi e sviluppi adolescenziali, ognuno dei quali è caratterizzato da problematiche specifiche, sia da un punto di vista sanitario che psicosociale.

Esiste allora una definizione più articolata che suddivide tale periodo in tre diverse fasi, come è riassunto per esempio nella Tabella 2 (Jaenneret e De Toni). Negli ultimi anni tuttavia sono state avanzate proposte diverse, come nel citato articolo di Lancet, perché si è notata una progressiva modificazione dei limiti dell’età adolescenziale, dovuta ad una serie di fattori che tenderebbe a dilatare tale periodo in modo sempre più significativo. Parlando di pubertà, cioè quel periodo della vita che porta gradualmente al raggiungimento della completa maturazione sessuale e della fertilità, è stata rilevato come negli ul-

Se fossi stato Dio, avrei posizionato l’adolescenza alla fine della vita. (dal manga giapponese Sakura Mail). Ci sono adolescenze che si innescano a novanta anni. (Alda Merini, poetessa).

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timi 40 anni l’inizio sia anticipato progressivamente di 12-18 mesi, portandosi a un età che nella femmina si pone tra gli 8 e 10 anni e nel maschio tra i 9 e 14. Tale anticipo sembra dovuto ad una serie di fattori ambientali quali lo stress, l’alimentazione più abbondante e ricca di grassi (che si trasformano in ormoni) e l’esposizione a contaminanti ambientali oggi definiti come “endocrine disruptors”, cioè sostanze chimiche che interferiscono sul sistema endocrino. La conseguenza è un ingresso sempre più precoce nell’età dell’adolescenza con comprensibili ansie genitoriali e preoccupazioni mediche sulla possibile presenza di problematiche endocrinologiche. Per quel che riguarda invece il termine del periodo adolescenziale, si è sempre pensato che l’aspetto biologico e la crescita psicofisica fossero poco collegati al prolungamento dell’età adolescenziale. Questo non è corretto, perché la crescita somatica e mentale dell’individuo continua anche nella terza decade di vita. Basti pensare alla crescita definitiva dei cosiddetti “denti del giudizio” (ottavi molari) e alla calcificazione finale di alcune ossa, mentre recenti acquisizioni riguardano lo sviluppo cerebrale e cognitivo: da un lato continuano a crescere le connessioni sinaptiche, dall’altro prosegue il rimodellamento funzionale chiamato “pruning”, cioè “potatura”, col quale vengono eliminate le connessioni inutili o immature. Il perfezionamento della struttura e delle funzioni cerebrali continua dunque anche nella terza decade di vita, parallelamente al processo cognitivo ed alla regolazione socio emozionale che porta l’individuo a maturare scelte di vita decisive per il suo benessere globale.

IL RITARDO SOCIALE Accanto a questi aspetti fisiologici, appare sempre più decisivo il ritardo nella transizione a un ruolo sociale ed economico tipico dell’età adulta. In Cina negli ultimi 40 anni l’età media del matrimonio è passata da 20 a 24 anni. In Europa questa età ha superato i 30 anni. Pertanto il completamento dei percorsi educativi, familiari e genitoriali continua a spostare sempre più i limiti ma anche la percezione sull’inizio della vita adulta e dell’assunzione di scelte mature e responsabili. Il periodo che intercorre dall’infanzia all’età adulta occupa oggi una grossa porzione della vita dell’individuo e rappresenta una fase della vita molto delicata, sottoposta a pressione

mediatica, di marketing e caratterizzata da una instabilità psicologica ed emotiva che mette a rischio il benessere complessivo di questi giovani, se non correttamente assistiti e supportati dalla comunità. La legislazione, molto attenta e garante dei diritti dell’infanzia dovrà nel tempo estendere alcune protezioni e tutele anche a questa fascia d’età sempre più allargata, soprattutto laddove questi soggetti appaiano fragili e non autonomi da un punto di vista sociale ed economico. È pertanto raccomandabile modificare i limiti

per definire l’età adolescenziale, attualmente fissati dagli organismi scientifici internazionali. Mentre per quanto riguarda l’inizio dell’adolescenza, il limite iniziale di 10 anni può essere mantenuto, anche se con tendenza ad un lieve anticipo per i motivi prima descritti, il termine di tale periodo, attualmente fissato a 20, dovrebbe essere posticipato almeno ad un’età di 24 che corrisponde più verosimilmente al termine biologico dello sviluppo adolescenziale, alla acquisizione dei un’autonomia sociale ed alla percezione generale di questa età.

Tabella 1 DEFINIZIONE DI ADOLESCENZA Età dell’adolescenza

Periodo di vita compreso tra 10 e 20 anni

Adolescenza somatica (pubertà)

Passaggio dalla fase della prima apparizione dei caratteri sessuali secondari a quello della maturità

Adolescenza psicologica

Fine dei processi psicologici e di identificazione infantile e passaggio a quelli di tipo adulto

Adolescenza economica

Passaggio dalla condizione di dipendenza sociale ed economica allo stato di indipendenza

Tabella 2 PRIMA ADOLESCENZA (femmine 11-13 a., maschi 12,5-14,5) Accrescimento somatico e sviluppo sessuale rapidi Preoccupazioni riguardanti le modifiche somatiche e sessuali e le loro conseguenze A livello cognitivo appaiono le capacità di astrazione e la profondità di pensiero Ricerca iniziale di indipendenza dai genitori Ricerca iniziale della propria identità L'importanza del gruppo dei pari SECONDA ADOLESCENZA (femmine 13-15 a., maschi 14,5-16,5) Accrescimento somatico e sessuale più lenti e regolari Riduzione delle ansie maggiori che persistono però per aspetti concreti della salute (acne, irregolarità mestruali) e della scuola Ricerca di figure parentali valide come modelli di riferimento, intensificazione del conflitto con i familiari Ricerca di un più intenso rapporto con “il gruppo” Comparsa delle condotte a rischio (fumo alcol droghe DCA sesso occasionale e non protetto) TERZA ADOLESCENZA (femmine 15-18 a., maschi 16-19) Riduzione delle problematiche relative all’accrescimento ed allo sviluppo sessuale Aumento delle problematiche sociali e scolastiche (differenza tra quelli che continuano gli studi e quelli che li hanno interrotti) Maturazione comportamentale e maggior senso di responsabilità Ripresa del dialogo intra-familiare Consolidamento affettivo tramite il rapporto di coppia

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DICONO DI NOI

CHE COSA NE PENSA EINSTEIN A cura della redazione di Scripta Restant, giornale del Liceo Einstein di Milano

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nsieme informe di emozioni contrastanti

renza. È inutile che vi ostiniate a nascondere, dietro la figura di adulto perfetto, quello che siete stati, con orgoglio, in un ipotetico ieri. E il fatto che siamo accerchiati da social aggiornati in tempo reale (voi non avevate questo problema), non fa che aggravare la sensazione di non poter avere segreti. Lo sappiamo bene tutti che un tempo non si controllava ossessivamente l ultimo accesso su Whatsapp e l ultima foto postata su Facebook quel sabato sera in cui non si risponde all istante al messaggino della mamma. In un certo senso c era una fiducia cieca e non si poteva ricevere risposta alle preoccupazioni fino al rincaso del fanciullo, ora nei guai. Le liti c erano comunque, in altre forme rispetto alle classiche due battute urlate sbattendo la porta, ma ora è quasi del tutto assente il riconoscimento che qualche segreto da tenere oscuro ci debba essere per dei ragazzi nel fiore della propria crescita. Siamo convinti, pertanto, che ci sarebbe più apertura nel raccontare ciò che ci succede se fosse lasciato più lungo il ”guinzaglio’. Abbiamo il diritto di sbagliare, rialzarci e venire messi in guardia sulle avversità sul nostro cammino, ma ciò non deve essere sotto la legislatura del non puoi fare questo o quello .

Noi, giovani, sospinti dalla tenue corrente del golfo (o anche detta età infantile, in cui non ci curiamo di niente se non dell orario di inizio dei cartoni animati) imbocchiamo, o meglio, veniamo trascinati da potenti onde. Esse ci scuotono da dentro, facendo sviluppare nuovi aspetti di noi, che prima non eravamo stati in grado di vedere. Emergono a galla, come tappi di sughero, improvvisamente e perturbano tutto ciò che prima avevamo creduto stabile. I primi amori e le prime delusioni ci mettono in discussione in modo così profondo da farci cambiare incredibilmente nel giro di qualche anno. Imprescindibilità della domanda ed impossibilità della risposta, si direbbe in filosofia. Forse è questo l ambito così difficile da studiare del mondo adolescenziale: l'imprevedibilità. La maggior parte dei ragazzi non capisce davvero se stessa fino al raggiungimento dell età adulta, quando ci si guarda indietro e si verifica la strada che si è percorsa fino ad allora. La pretesa di studiare un fenomeno tanto volubile è, dunque, ardua da soddisfare.

V

ivere sotto la lente di ingrandimento

L

a dimensione dell’inclusione

La sensazione di essere osservati tramite la lente di ingrandimento di qualche specialista, suscita in noi un senso di imbarazzo e di oppressione. Non prendiamoci in giro! È solo l oblio che allontana l universo degli individui cresciuti da quello dei ragazzi. Quelli che una volta erano studiati rientrano nel metaforico laboratorio di ricerca con il camice per studiare a loro volta quello che rimpiangono essere stati o non essere stati (quanti padri e madri convincono con enfasi i figli ad intraprendere un certo percorso di studi). Troppo spesso, inoltre, i genitori si sentono eccessivamente responsabili per ciò che succede ai figli e sviluppano un senso di apprensione spropositato, tanto da volerli proteggere in una bolla senza lasciar sperimentare e concedere quell autonomia tanto agognata. Sappiamo tutti che, non troppo tempo fa, eravate voi, parenti petulanti, ad uscire la sera e fare le ragazzate che oggi è il nostro turno commettere e a cui urge rimediare all occor-

Spesso viene detto che il paese virtuale dei balocchi rappresenta un illusione fine a se stessa. Non siamo per nulla d accordo. Questa visione dallo schermo non fa altro che ampliare il campo visivo su tutto ciò che potremmo diventare. Succede ciò che i professori pretendono di fare facendoci imparare miriadi di paradigmi latini e tonnellate di regole grammaticali: aprire la mente. Quindi, ci illudono questi mezzi di comunicazione? Pensiamo che sia, invece, il contrario, ovvero che nasciamo in una condizione di forzata disillusione. Vi rendete conto di quante persone rinunciano alla carriera di scrittori perchè, a meno che non si allineino le costellazioni e non si venga scoperti da qualche talent scout in incognito, non porta la pagnotta a casa? Non s ha da fare, come direbbe Alessandro Manzoni. Un gruppo consistente di studenti ogni anno rinuncia a frequentare la facoltà universitaria di filosofia perchè con lo studio

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dell apeiron e del principio primo non si mangia ed i genitori e gli insegnanti non aiutano. Ci viene ripetuto ”ma cosa vuoi andare a fare dopo?’ e non ”cosa vorresti studiare ed approfondire?’; è questione di semantica. All università siamo abbastanza autonomi, dite? Allora facciamo l esempio della scelta del liceo, condizionata in parte dai nostri genitori. Su internet, invece, si scoprono le sfaccettature meno evidenti nel mondo e si impara a viaggiare con la fantasia da un capo all altro del globo, lontano da chi ci ripete che non ce la faremo. Invecchiando, dicono si perda il senso di libertà, la voglia di fare pazzie e di riempire la vita con emozioni ed esperienze. Se siamo costretti a troncare il sogno di spaccare il mondo ed assaporarlo in ogni sua essenza ora che abbiamo le capacità motorie per farlo, cosa ne sarà di noi, quando varcheremo la soglia dell età più avanzata? Inoltre, grazie ad internet si genera intorno a noi la dimensione dell inclusione. Non occorre molto tempo, ad esempio, per trovare su instagram pagine di fandom (famiglie di fan) che scherzano e condividono un qualcosa nonostante le differenze di nazionalità, cultura, religione e lingua. Ci piace pensare che per la legge statistica dei grandi numeri ci sarà sempre qualcuno che la pensa come noi, che condivide un ideologia con noi. Sotto questo punto di vista non saremo mai soli.

cappellino in testa e l orgoglio di costruire il castello più sabbioso nella storia. Evitate. Non c è nulla che ci faccia sudare freddo più del trovare nella bacheca qualche momento immortalato più di quindici anni fa a Marina di Ginosa.

O

mologati e trasgressivi

I social hanno sempre rappresentato un modo per evadere dalla realtà. L emozione inspiegabile di fingere di essere qualcun altro rispetto a quell immagine che gli altri scorgono di noi, è un qualcosa di affascinante. Riusciamo a riassumere in un applicazione diversi aspetti di noi che non emergono subito. Sui social un tenero fan di Albano e Romina entra in collisione con il ritmo incalzante del pop internazionale più sfegatato ed il grande intenditore di musica classica evade per un attimo dagli spartiti armonici per ascoltare del sano urlato death metal. Ciò non significa che siamo o l una o l altra cosa, ma è un tutt uno. Una cacofonia inspiegabile di interessi. Essi, però, sono di frequenza compromessi dai cosiddetti influencers , i quali lanciano sul mercato del consumismo nuove mode e gusti (più o meno opinabili). Dallo strumento che irradia informazioni, il Net si trasforma in uno di condivisione di omologazione. Due schieramenti si creano, ovvero: gli omologati (copie vuote di mille riassunti, come spiega Samuele Bersani nella sua canzone ”Giudizi Universali’) ed i trasgressivi controcorrente (i quali, ironia della sorte, finiscono per assomigliarsi tutti). L ipocrisia regna sovrana. Se ve lo state chiedendo “ affermativo - non siamo ancora in grado di sviluppare abbastanza inventiva da staccarci dai due suddetti insiemi, e l indolenza disincentiva dal fare una sintesi kantiana tra quello in cui pensiamo sia giusto credere e quello che ci viene porto per banale pubblicità o come transitoria tendenza modaiola. Tali considerazioni vengono fatte solo a posteriori, ma nel momento nel quale scrolliamo la home, non ci interroghiamo più di tanto; è il nostro ritaglio di tempo per svagarsi in fin dei conti. Proprio per questo, altra considerazione su cui vorremmo portare la vostra attenzione, è che sui social, ultimamente in modo più evidente, si verifica il fenomeno dell intrattenimento più che della riflessione.

S

e solo li sapessero usare…

Ci annoiamo? Passiamo del tempo sulla home di Youtube. Ci sentiamo giù? Basta un salto sull esplora di Instagram per leggere qualche vignetta divertente e spiritosa. L ordine di non smanettare con i ciafferi elettronici non rappresenta altro che l ennesimo tabù. E una volta che lo si mette via? La tavola attorno alla quale si cena si fa più silenziosa di una catacomba vuota e fredda. L arte della conversazione è finita tra le altre arti del trivio e quadrivio, scordata. Ed è su questo che la maggior parte degli adulti cade. Noi ragazzi abbiamo bisogno di sentirci parte di qualcosa anche se discutiamo dell argomento più insulso del secolo. E forse, in questa occasione, siamo noi a studiare il fenomeno dell adulto. Molti genitori, vedendoci spendere così tanto tempo attaccati ad uno schermo luminoso, il quale, occasionalmente, rilascia suoni e vibrazioni e trilli, vorrebbero prendere parte a quella fetta di tempo usato/sprecato (dipende dai punti di vista) ed avere dei mondi di intersezione con la nostra generazione. Sarebbe anche un ottimo modo per rimanere al passo coi tempi, se solo li sapessero usare. Mamme e papà alla lettura, ci appelliamo a voi, curiosi lettori di tale trafiletto, che pubblicate (in gergo, postate) sui social network nostre immagini in fasce, con la candela al nasino ed un secchiello da mare come compagno di avventure, le foto imbarazzanti che speravamo fossero state gettate in cantina insieme alla chiave; sì, le stesse che mostrate orgogliosi ai parenti in visita, così interessati a vedere i ricordi di quella volta sul bagnasciuga con solo un

Adò - Laboratorio Adolescenza - 2018; 1,1.

Sara Caneri, Ylenia Genovese, Adelina Marcu, Carolina Sole Panella, Giuseppe Reschigna.

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