ISSN 2704-5633
Volume 3 - Numero 3
2020 DOSSIER
MEDICINA
La pillola “d’emergenza” anche alle minorenni
INTERNET
I genitori possono “tracciare” i figli?
La scuola che ci aspetta
www.adoweb.org
Adò
Quadrimestrale
2020 Volume 3 - Numero 3
Chi
siamo - Laboratorio Adolescenza è una Associazione libera, apolitica ed aconfessionale, senza fini di lucro che ha come obiettivo quello di promuovere e diffondere lo studio e la ricerca sugli adolescenti, sotto il profilo sociale, psicologico e medico. L’Associazione nasce dall’idea di creare un punto di riferimento scientifico e culturale, per chi si occupa di adolescenza, che avesse nella multidisciplinarietà il proprio connotato distintivo. Ne fanno parte psicologi, sociologi, pediatri, insegnati, giornalisti, esperti di comunicazione, genitori che a vario titolo, professionale o personale, sono a stretto contatto con l’adolescenza. L’associazione è aperta al contributo di idee e impegno di chiunque abbia interesse - condividendone finalità e statuto - sia a livello individuale che associativo, allo studio e alla ricerca sull’adolescenza.
Sito internet: www.laboratorioadolescenza.org
e-mail: laboratorio.adolescenza@gmail.com
L’INDICE L’EDITORIALE ORGANO UFFICIALE di
Direttore Editoriale Riccardo Renzi Comitato di Redazione Gianni Bona Carlo Buzzi Rocco Cafarelli Teresa Caputo Francesco Dell’Oro Alessandra Marazzani Roberto Marinello Gianluigi Marseglia Simona Mazzolini Marina Picca Roberta Quagliuolo Gian Paolo Salvioli Fulvio Scaparro Maurizio Tucci
MEDICINA
SOCIETÀ
IL DOSSIER
Tutti i diritti di riproduzione in qualsiasi forma avvenga, sono di proprietà dell’Editore. Registrazione Tribunale di Milano n. 01 del 04.01.2018
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Chiara Vendramini
PILLOLA SENZA RICETTA ANCHE ALLE MINORENNI Simona Mazzolini
PARENTAL CONTROL: È GIUSTO “TRACCIARE” I FIGLI MINORENNI? Roberta Quagliuolo
LA SCUOLA CHE VORREMMO
La dura lezione della pandemia e le suggestioni di Netflix La nuova voglia di presenza Alessandra Condito
La scuola in trincea Daniela Faraone
Chiusa, aperta, richiusa Claudia Porcu
Gli anni migliori della nostra vita? Carolina Sinelli
SCUOLA CHE PIACE ADOLESCENTI e PANDEMIA
15 LE RAGAZZE DI BARBIANA 16 L’UTOPIA DELL’APARTHEID GENERAZIONALE Laboratorio Adolescenza Riccardo Renzi
L’ANGOSCIA DI VIVERE DA “UNTORI” Alessandra Marazzani
INTERCULTURA L’AGENDA
magazineado@gmail.com
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LA CRISI DEL COVID É ENTRATA IN FAMIGLIA
Maurizio Tucci
Redazione Junior Carolina Sinelli Staff Editoriale Direttore Responsabile Pietro Cazzola Direzione Marketing e PR Donatella Tedeschi Comunicazione e Media Ruben Cazzola Grafica e Impaginazione Cinzia Levati Affari Legali Avv. Loredana Talia (Milano) Stampa ÀNCORA s.r.l. - Milano
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18 TRE BUONI MOTIVI PER STUDIARE ALL’ESTERO 20 L’ATTIVITÀ DEL NOSTRO LABORATORIO Maurizio Tucci
Laboratorio Adolescenza
Perché una rivista online? sfogliabile e scaricabile su: www.adoweb.org - Perché rappresenta la rivoluzione del concetto di rivista, di aggiornamento, di letteratura, accelera la diffusione di idee ed esperienze e sostiene in tempo reale l’evoluzione del pensiero; - Perché fornisce un accesso facilitato ed immediato ad articoli, argomenti, approfondimenti sui temi più vari, a portata di mano senza alcun pagamento; - Perché condivide la conoscenza, attraverso un nuovo approccio alla lettura: la rivista diventa uno strumento fondamentale, che migliora l’innovazione, l’efficienza e l’interazione culturale tra lettori ed Autori; - Perché realizza l’espansione oltre misura della conoscenza, ne permette condivisione e diffusione, attraverso i dispositivi palmari e portatili che ormai appartengono a tutti.
L’EDITORIALE
Chiara Vendramini Presidente Associazione GeA Genitori Ancora. Socio Fondatore di MEDEFitalia, Mediatori della famiglia – Italia
LA CRISI DEL COVID È ENTRATA IN FAMIGLIA A
virus hanno avuto un impatto su quelle coppie già separate che chiedevano garanzie sul loro diritto di visita, dove il rispetto dei tempi da trascorrere con i figli è diventato terreno di accese battaglie, ma anche sulle coppie ancora conviventi che, in una fase iniziale di separazione coniugale o di fatto, erano in attesa dell’udienza presidenziale e si sono trovate così a dover prolungare la convivenza in un clima di ostilità e guerra sovraesponendo i figli a tensioni, litigi e in alcuni casi veri e propri episodi di violenza verbale e fisica. Fondamento del nostro lavoro di mediatori familiari è la tutela dell’infanzia e dell’adolescenza dalle guerre familiari, non lavorando direttamente con i figli ma, ogni volta che è possibile, con i loro genitori nella convinzione che un maggiore accordo tra padre e madre porti a figli e figlie soltanto benefici, potendo crescere in un clima non caratterizzato da intolleranza e dalla ricerca di soluzioni di forza. Sono per questo molti i genitori che stanno cercando faticosamente, con il supporto di noi mediatori familiari, nuove organizzazioni e nuovi equilibri.Viene chiesto loro di riuscire a non farsi travolgere dagli eventi, dall’ostilità nei confronti dell’ex partner e dalle rivendicazioni, ma di trovare come genitori, insieme, vie di uscita. Noi mediatori, come molti colleghi professionisti che a vario titolo lavorano a stretto contatto con genitori in conflitto, riteniamo fermamente che agli adulti debba essere affidato il compito e la responsabilità di negoziare tra loro con creatività affinché venga mantenuta quella comunicazione nella coppia genitoriale base di sicurezza e stabilità per i figli. E forse uno degli insegnamenti che questa severa esperienza sta imponendo alle nostre vite potrà essere anche questo: l’importanza di assumerci la nostra responsabilità al di là degli obblighi, al di là dei decreti del giudice. Ci sono scelte che funzionano soltanto se siamo noi a farle. Non è una strada facile, specie se quelle scelte devono essere condivise con la persona con cui si è in conflitto e con cui è venuto meno un progetto di vita condiviso. Ma nessuno ha mai detto che la strada giusta sia facile.
i tempi del coronavirus la parola d’ordine per tutti noi è stata ed è in buona parte ancora oggi con il protrarsi dello stato di emergenza sanitaria, l’hashtag #iorestoacasa. Ma quali ne sono state le conseguenze in termini di conflittualità familiare? Se da una parte il lockdown è stato causa di sofferenza per la distanza obbligata dagli affetti lontani, dalle nostre routine, dalle relazioni sociali, amicali e professionali, dall’altra ha provocato un aumento della conflittualità all’interno delle famiglie e delle coppie che il lockdown lo hanno invece vissuto a stretto contatto. Il condividere forzatamente gli spazi e il tempo, le angosce legate ad una economia anche familiare che rischia il tracollo, le preoccupazioni per la salute fisica e l’equilibrio mentale e il timore di come i nostri figli, descritti dai più come “vittime silenziose della pandemia” usciranno da questo periodo claustrofobico, sono alcuni dei fattori che hanno messo a dura prova le relazioni familiari. La tensione in casa, superata la novità e l’eventuale ebbrezza dell’uso del tempo dedicato alle mille piccole cose trascurate fino a poco tempo prima, ha in alcuni casi preso il sopravvento portando a dirsi “il mai detto”, creando una maggiore insofferenza a qualsiasi percepita “invasione di campo”. Alcuni adulti faticano nel trovare una linea comune sulle regole educative, sui nuovi stili di vita, sul rispetto delle restrizioni, variamente interpretate, necessarie affinché la salute loro, dei loro figli e dei loro cari sia tutelata. Il più delle volte riescono autonomamente e responsabilmente a trovare un accordo e un compromesso accettabile per entrambi. Nel mese di marzo si è diffusa su tutti i giornali europei la notizia dell’aumento dei casi di divorzio in Cina a seguito del lockdown, proprio nel mese in cui l’emergenza sanitaria in Italia era alle sue prime battute di diffusione. Anche l’Italia ha dovuto fare i conti in questi ultimi mesi con una consistente impennata delle richieste di separazioni, una prima stima indica un aumento del 30% dei ricorsi presentati in tribunale. Le limitazioni imposte per contenere la diffusione del corona-
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MEDICINA
PILLOLA SENZA RICETTA ANCHE ALLE MINORENNI L’AIFA ha autorizzato la vendita del farmaco per la contraccezione d’emergenza senza limiti di età: perché ha dimostrato di ridurre il ricorso all’aborto da parte delle adolescenti Simona Mazzolini Giornalista
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all’8 ottobre 2020 non è più necessario l’obbligo della prescrizione medica per vendere alle minorenni l’EllaOne (ulipistral acetato), il farmaco utilizzato per la contraccezione di emergenza fino a cinque giorni dopo il rapporto. Lo ha stabilito l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), sottolineando che l’abolizione dell’obbligo di ricetta anche per chi non ha ancora compiuto 18 anni rappresenta «una svolta per la tutela della salute fisica e psicologica delle adolescenti». Adò ha sentito in proposito il parere di tre professioniste che operano sul campo, da punti di osservazione differenti e complementari: Laura Giambanco, direttore dell’Unità Operativa Complessa Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale Sant’Antonio Abate di Trapani; Ilaria Brambilla, pediatra, Responsabile dell’Ambulatorio di Auxo-
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endocrinologia e Ginecologia Pediatrica della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia; Cinzia Marroccoli, psicologa e presidentessa dell’Associazione Telefono Donna di Potenza. Tutt’e tre d’accordo con l’affermazione dell’AIFA, specie tenendo conto del fatto che la maggior parte delle gravidanze delle adolescenti è indesiderata. «Qualunque gravidanza indesiderata», evidenzia Laura Giambanco, «è un indicatore di fallimento del sistema, sia dal punto di vista sanitario, sia dal punto di vista sociale. Ben venga, quindi, tutto ciò che concorre a prevenire una gravidanza indesiderata in una età fragile come l’adolescenza». Tanto più che «la possibilità di accedere senza prescrizione medica alla contraccezione di emergenza attraverso il farmaco in questione», commenta Ilaria Brambilla,
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«alleggerisce l’adolescente dal punto di vista psicologico, perché riesce a stemperare l’inquietudine derivante da un rapporto non protetto o da un utilizzo del profilattico in cui qualcosa è andato storto». L’intervento dell’AIFA si inserisce in uno scenario nel quale i dati del Ministero della Salute sulle interruzioni volontarie di gravidanza in relazione alle diverse fasce di età evidenziano una progressiva riduzione del ricorso a questa pratica da parte delle adolescenti e, in parallelo, un’impennata del ricorso alla contraccezione d’emergenza. Se la combinazione di questi due trend indica una situazione in complessivo miglioramento, in Italia resta evidente una lacuna ancora a monte: «Ben venga la scelta di AIFA, ma la prevenzione delle gravidanze indesiderate delle adolescenti dovrebbe fondarsi prima di
tutto su un’educazione sessuale adeguata», ribadisce Cinzia Marroccoli. «Se, come spesso accade, di sessualità e prevenzione non si parla né a scuola né in famiglia, gli adolescenti finiscono per cercare informazioni in rete e in molti casi ne traggono un quadro confuso». Quanto le idee siano confuse e la lacuna sia profonda lo conferma lo scenario più generale: «La dice lunga», fa presente Laura Giambanco, «che nel 2020, e non solo tra adolescenti, in Italia sia ancora diffuso come metodica anticoncezionale il coito interrotto, che oltre a non proteggere altera l’esperienza sessuale. E la dice ancora più lunga il fatto che nel nostro Paese solo l’8-10% delle donne fa uso di contraccezione ormonale (pillola, cerotto, anello vaginale) e che tra le adolescenti la percentuale è ancora più bassa». «Soprattutto», segnala Ilaria Brambilla, «né le ragazze né i coetanei maschi conoscono le caratteristiche e l’efficacia dei diversi strumenti, e sanno distinguere tra finalità contraccettive e di protezione dalle malattie sessualmente trasmesse». E i consultori dislocati sul territorio? «La maggior parte delle adolescenti», prosegue ancora Brambilla, «li conosce e li riconosce come interlocutori, ma la tendenza è ad associare queste strutture all’urgenza, mentre servirebbe un percorso di informazione che garantisca continuità nel tempo. Un esempio interessante arriva dal mondo anglosassone, dove centri dedicati agli adolescenti si occupano non solo della contraccezione, ma anche di tutto ciò che riguarda la sfera sessuale, dalle irregolarità del ciclo mestruale alle vaccinazioni come quella contro il papilloma virus, a tutte quelle “cose normali” che l’adolescente dovrebbe conoscere e saper gestire». Più che opportune, quindi, le azioni previste da AIFA a supporto dell’abolizione dell’obbligo di ricetta per i minorenni: al momento dell’acquisto
in farmacia, la “pillola dei cinque giorni dopo” sarà accompagnata da un foglio informativo che ha lo scopo di promuovere una contraccezione informata ed efficace ed evitare un uso inappropriato della contraccezione di emergenza. La stessa Agenzia, inoltre, prevede di sviluppare a breve un sito ad hoc, con informazioni e indicazioni approfondite sulla contraccezione. AIFA ricorda infatti che «la contraccezione, di cui la pillola anticoncezionale rappresenta una possibile opzione, consente a tutte le donne di programmare una gravidanza e, più in generale, la propria vita». «Diversamente, i risvolti “problematici” finiscono per gravare soprattutto sulle ragazze», commenta Marroccoli: «risvolti che, qualora si arrivi all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), diventano traumi psicologici veri e propri». Concorda Laura Giambanco che aggiunge: «Proprio perché il primo obiettivo è preservare le adolescenti dal trauma di una IGV, l’educazione ad una sessualità consapevole deve prevedere le indicazioni per il ricorso a una contraccezione stabile, ma anche – sia pure come estrema ratio – diffondere la conoscenza della possibilità della contraccezione di emergenza».
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CONTRACCETTIVA E NON ABORTIVA La pillola dei 5 giorni è così chiamata non solo perché per essere efficace deve essere assunta entro 120 ore da un rapporto, ma anche perché agisce “bloccando” l’ovulazione per tale periodo di tempo., che corrisponde al periodo massimo di vitalità dello sperma eventualmente depositato. Il farmaco (ulipristal) è un antiprogestinico, cioè una sostanza in grado di contrastare l’effetto del progesterone, l’ormone fondamentale per creare le condizioni adatte alla fecondazione e all’annidamento. Poiché secondo la definizione dell’Oms la gravidanza ha inizio quando l’ovulo fecondato si impianta nell’utero, la pillola dei 5 giorni è definita “contraccezione d’emergenza” e non pillola abortiva, come la RU-486, che agisce invece nell’utero sull’uovo già fecondato bloccando lo sviluppo dell’embrione. Anche per questo motivo, oltre alla dimostrata sicurezza e all’efficacia (98%), l’AIFA ne ha approvato la vendita libera.
R.R.
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SOCIETÀ
PARENTAL CONTROL: È GIUSTO “TRACCIARE” I FIGLI MINORENNI? Una sentenza ha stabilito che i genitori hanno il diritto e il dovere di supervisionare l’attività internet e social. Ma sarebbe meglio costruire un rapporto di fiducia Roberta Quagliuolo Avvocato
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on una recente sentenza (698 del 5 agosto 2020) il Tribunale di Parma, chiamato a decidere sull’affidamento e il mantenimento di due figli minori in una causa di divorzio altamente conflittuale tra i coniugi, ha stabilito che “i contenuti presenti sui telefoni cellulari dei minori andranno costantemente supervisionati da entrambi i genitori, evitando la comparsa di materiali non adatti all’età ed alla formazione educativa dei minori. La stessa regola vale per l’utilizzo eventuale del computer, al quale andranno applicati i necessari dispositivi di filtro”. Tale decisione è stata motivata dalla circostanza che uno dei minori fosse rimasto vittima di un reato informatico perpetrato da terzi tramite l’invio di materiale pedopornografico sul suo cellulare in un gruppo WhatsApp. Nel caso in questione, tra i motivi di conflitto tra i coniugi vi era proprio la modalità di utilizzo dei dispositivi elettronici da parte dei minori, ragione per la quale la madre aveva attivato il filtro di parental control sul computer dei figli, lasciando invece piena libertà di azione sullo smartphone tramite l’utilizzo dell’applicazione WhatsApp. Questa sentenza è stata la prima pronuncia giudiziale che ha sdoganato in
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maniera eclatante il controllo dei genitori sui dati in uscita ed in entrata sul cellulare e sul computer dei figli, a maggior ragione quando vi siano situazioni tali da far temere la possibilità di condotte illecite o trasgressive ed inconsapevoli da parte dei minorenni. Come era prevedibile, la sentenza in questione ha sollevato un grande polverone ed ha creato due linee di pensiero contrapposte: la prima che plaude a un illimitato diritto di vigilanza dei genitori a fini educativi e di protezione, la seconda che si indigna di fronte al riconoscimento di un sostanziale diritto di intrusione genitoriale, con conseguente grave violazione della privacy dei figli minorenni. Affrontando tale scottante argomento da un punto di vista strettamente giuridico, occorre individuare quando il controllo dei genitori può essere considerato legittimo e non un abuso vero e proprio. Va prima di tutto precisato che, per legge, i minori sono soggetti privi di capacità di agire e soggiacciono quindi alla responsabilità genitoriale fino al raggiungimento della maggiore età; per tale motivo, i genitori hanno l’obbligo di vigilare sul comportamento dei minori e sono responsabili anche di ogni eventuale condotta illecita dei figli, per
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la quale sono tenuti al risarcimento dei danni nei confronti dei terzi. In questo tipo di cause, infatti, i genitori possono sottrarsi all’obbligo risarcitorio solo ove riescano a fornire la prova di aver educato in maniera adeguata i propri figli e di non essere, quindi, incorsi nella cosiddetta culpa in educando. Ma fino a che punto i genitori devono esercitare questo obbligo? Per valutare la liceità degli atti di vigilanza genitoriale viene in soccorso una sentenza non proprio recentissima della Suprema Corte di Cassazione (n. 41192 del 17.07.2014), nella quale si afferma che occorre prendere in considerazione ogni singolo caso, con riguardo all’età del minore, al contesto in cui vive ed all’effettiva necessità di tutelarlo. Pertanto, non è considerato lecito ogni comportamento intrusivo del genitore nella privacy del minore, ma solo quello dettato da un’effettiva necessità per fini educativi e di protezione, comunque sempre nel pieno rispetto dell’interesse prioritario del minore. Esistono, quindi, dei paletti giuridici per contenere il desiderio di controllo che alberga in molti genitori soprattutto durante un’età particolarmente complessa come quella dell’adolescenza, in cui i minori vogliono sperimentare e
trasgredire le regole. Ma poiché la sentenza della Cassazione richiede una valutazione di ogni singolo caso, non è semplice stabilire delle regole valide per tutti. Gli strumenti meno invasivi attraverso i quali i genitori possono esercitare il diritto di vigilanza sono i filtri di parental control, ovvero dei software in grado di selezionare le pagine di ricerca su Internet per garantire una navigazione “sicura” bloccando l’accesso a determinati siti, per lo più a sfondo pornografico e violento. Su questo punto peraltro è recentemente entrata in vigore una legge (n. 70 del 25 giugno 2020) che all’articolo 7bis istituisce al primo comma l’obbligo per i soggetti che somministrano comunicazioni elettroniche di “prevedere tra i servizi preattivati, sistemi di parental control o di filtro di contenuti inappropriati per i minori e di blocco dei contenuti riservati a un pubblico di età superiore agli anni diciotto”. Si potrebbe quindi sostenere che se la legge prevede in determinati casi l’obbligo dei filtri di parental control, a maggior ragione per i genitori dovrebbe essere lecito utilizzarli. Ma esistono anche strumenti più invasivi di family tracking (tra i più usati Family time, Northon Parental Control e Cerberus) che consentono non solo di controllare foto, video e chat, ma anche di geolocalizzare i figli per
conoscerne la loro posizione in ogni momento. Questi ultimi appaiono decisamente più efficaci nel consentire la vigilanza genitoriale, ma sono anche decisamente meno tollerati da parte dei ragazzi che non possono di certo gradire un’intrusione così evidente e importante nella loro vita. Come capita spesso, le leggi tardano ad adeguarsi alle nuove tecnologie.Al momento attuale, quindi, non esiste ancora una normativa specifica sull’uso di questi strumenti, che pone certamente anche dei problemi in materia di privacy. Secondo il mio parere tuttavia l’utilizzo delle tecniche di parental control può essere ritenuto lecito certamente in presenza di un’evidente necessità di tutela del minore oppure, quando non si verifichi tale necessità, in presenza di un consenso informato per chi abbia compiuto i 14 anni. Oltre agli aspetti meramente giuridici, di cui si è fornita una veloce panoramica, occorre però tenere in considerazione che il diritto/dovere di vigilanza dei genitori sui minori, se esercitato in maniera ossessiva e opprimente, può risultare addirittura controproducente. È noto, infatti, che nell’età adolescenziale l’istinto dei ragazzi sia quello di ribellarsi a priori alle regole, tanto più se le stesse sono imposte senza fornire una giustificazione e un motivo valido e ciò potrebbe spingerli più agevolmente ad aggirare i controlli,
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CHE COSA NE PENSA LABORATORIO ADOLESCENZA La sentenza del tribunale di Parma (698 del 5 agosto scorso) che, in un provvedimento riguardante una causa di divorzio, impone ai genitori, tra le misure rivolte ad esercitare una miglior tutela dei figli, anche il monitoraggio di tutti i dispositivi digitali usati dai figli ed il controllo dei dati in entrata e in uscita dal cellulare, riapre la discussa questione dell’opportunità e delle modalità del controllo parentale degli adolescenti. Non volendo entrare nel merito della sentenza, il timore è che possa “passare il messaggio” – al di là del caso specifico - che sia buona norma esercitare un monitoraggio sistematico del “privato” informatico dei loro figli. Ecco il parere di alcuni dei soci di Laboratorio Adolescenza. Fulvio Scaparro - psicologo Niente di nuovo sotto il sole. Fanno bene i genitori a forzare il lucchetto del diario dei loro figli adolescenti o a spiare dal buco della serratura? A nostro avviso la risposta era e rimane no! Prima di tutto perché oggi, molto più di allora, gli adolescenti hanno infiniti modi di aggirare controlli e filtri, per cui sapersi sotto osservazione o, peggio, scoprirlo, rischierebbe solo di aggiungere un ulteriore piacere trasgressivo a ciò che fanno. Secondo, perché questo toglierebbe un ulteriore spazio ad un dialogo genitori-figli già particolarmente complesso durante l’adolescenza. segue a pagina 6 →
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← continua da pagina 5 Maurizio Tucci - sociologo Ci sono genitori che non hanno alcuna percezione della vita sociale (anche in rete) dei loro figli, il che non significa che dovrebbero spiare le loro chat e quello che dicono, ma significa conoscere le dinamiche dei social che frequentano. Non hanno idea dei video e delle “serie” cult che seguono sulle piattaforme, non sanno quali siano i loro riferimenti culturali ed ideali. Ciò al di là di trasgressioni o comportamenti a rischio (che per fortuna non è obbligatorio che ci siano). Semplicemente non li conoscono, perché non hanno tempo/voglia capacità di farlo. E questa mancanza di dialogo derivante dal fatto che non c’è un terreno condiviso sul quale dialogare – vero scoglio perché si riesca ad esercitare una tutela efficace - non si surroga con controlli e filtri informatici.
Alessandra Marazzani - psicologa Non possiamo immaginare degli adolescenti completamente sotto controllo dei genitori fino addirittura ad arrivare (purtroppo situazione frequente) al “tracciamento” tramite smartphone di dove sono. Esiste un ambito di riservatezza sui pensieri e sugli interessi che deve essere tutelato anche con la consapevolezza che può esporre a qualche rischio. L’eccessiva invadenza, che non può essere giustificata dal “farlo per il suo bene”, crea un rapporto distorto e non proficuo per lo sviluppo psicologico di una ragazza o di un ragazzo. Il controllo dovrebbe avvenire attraverso il dialogo e la fiducia reciproca che si instaura tra genitori e figli.
Teresa Caputo - insegnante I genitori sempre più spesso utilizzano il telefo-
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nino come arma di ricatto o punizione nei confronti dei figli: se i ragazzi ”vanno male” a scuola o ricevono valutazioni negative, ecco che viene sottratto loro il telefonino, salvo poi vederselo restituire immancabilmente non appena gli adulti pensano di aver perso il controllo sui ragazzi. Gli adolescenti a scuola sono più controllati che in passato, poiché con il registro elettronico i genitori conoscono in tempo reale se i propri figli sono presenti in classe e che voto hanno avuto nelle verifiche. Non è un bene: ciò non aiuta né la crescita dei ragazzi, né il rapporto di fiducia tra genitori e figli. Madri e padri si illudono di conoscere i propri figli e di sapere chi frequentano e cosa fanno controllando periodicamente i loro smartphone, ma così non è. Molte, troppe volte, durante i colloqui coi genitori, siamo noi insegnanti a rivelare alle famiglie certi comportamenti a rischio, a consigliare maggior attenzione verso i figli attraverso il dialogo e la condivisione, riducendo i controlli e le punizioni.
Riccardo Renzi - giornalista Secondo un’indagine di Save the children, la metà dei bambini inizia ad accedere ad Internet tra i 6 e 10 anni, dal momento cioè in cui dispone di un telefonino. A quell’età mi sembra onestamente appropriato un parental control, in qualsiasi forma. Diverso è il caso degli adolescenti, la cui privacy non è adeguatamente protetta da una normativa, come sempre in ritardo sulle nuove tecnologie, che si riferisce ai “minori” in generale e alla quale i giudici non possono che aderire. Appare certamente stridente il fatto che una ragazza di 16 anni (citando due articoli di questo numero di Adò) possa liberamente acquistare una pillola per la contraccezione d’emergenza, ma non possa difendersi dal “tracciamento” dei genitori.
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magari utilizzando i cellulari e i dispositivi elettronici degli amici sottoposti a controlli genitoriali più blandi. Sarebbe più utile, prima di ricorrere all’intrusione nella sfera privata dei figli minori, insegnare loro un uso appropriato e corretto dei mezzi tecnologici spiegando quali sono i rischi del web e quali sono i comportamenti da evitare per non esporsi a situazioni di pericolo o penalmente rilevanti. Negli ultimi anni nell’ambito scolastico sono state intraprese numerose iniziative in questa direzione tramite l’intervento di funzionari di polizia postale, avvocati ed esperti che nelle scuole medie e superiori hanno tenuto dei corsi soprattutto in materia di cyberbullismo e di legalità per sensibilizzare l’attenzione degli adolescenti su problematiche di grande attualità. Naturalmente, si tratta di iniziative molto lodevoli e utili che non possono e non devono, però, sostituire il primario compito educativo e di protezione spettante ai genitori nei confronti dei figli non solo dal punto di vista giuridico (l’art. 30 della Costituzione e l’art. 147 del codice civile espressamente sanciscono il dovere e diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli), ma anche e soprattutto morale. Quindi, il controllo dei genitori sui contenuti dei cellulari e dei computer dei figli è ammissibile ed auspicabile purché venga esercitato senza travalicare certi limiti e nel rispetto delle esigenze esistenziali degli adolescenti.
IL DOSSIER
La scuola che vorremmo T
utti dicono che non sarà più come prima della pandemia. Ma come cambierà? Ecco quali sono le aspettative degli studenti, secondo una nostra ricerca. E che cosa ha insegnato, a insegnanti e alunni, la dura esperienza di quest’anno.
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IL DOSSIER
La dura lezione della pandemia e le suggestioni di Netflix I problemi di ieri, le difficoltà di oggi e le speranze per il futuro, secondo le indagini condotte in questo difficile anno da Laboratorio Adolescenza, con l’Istituto Iard Maurizio Tucci Presidente di Laboratorio Adolescenza
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ome è la scuola superiore che gli studenti italiani vorrebbero? È stato un tema affrontato (con la consulenza della ANP- Associazione Nazionale Presidi) nell’indagine annuale sugli stili di vita degli adolescenti italiani realizzata da Laboratorio Adolescenza e Istituto di ricerca IARD. Indagine svolta su un campione nazionale rappresentativo di 2200 studenti delle scuole superiori nell’anno scolastico 2019-2020 e conclusa (è il caso di dire “miracolosamente”) prima che scoppiasse la pandemia COVID. Quattro anni, anziché cinque, un piano di studi base comune per tutti, ma ampiamente personalizzabile individualmente, con aule dedicate alle specifiche materie e quindi gruppi classe ad assetto variabile che si formano a seconda della materia. E, ancora, criterio formativo e valutativo non più basato sul succedersi delle classi, ma su corsi delle singole materie (un po’ come l’Università), in modo – tra l’altro – da poter ripetere, nel caso la preparazione non risultasse adeguata, solo i corsi in cui non si è raggiunta la sufficienza. E se sulla durata la maggioranza che
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preferirebbe i 4 anni non è schiacciante (43,5% i sì, 39% i no e 17% i non so), lo è invece sul superamento del “gruppo classe” (54,4% vs 44,9%), ma soprattutto sul criterio di valutazione e recupero basato sui singoli corsi piuttosto che sull’anno di appartenenza (72,3% vs 14%). E ancora di più sulla personalizzazione (parziale) del proprio piano di studi (86,5% vs 5,4). Interessante la riflessione che può seguirne. Si tratta di una sorprendente adesione naturale (perché è difficile immaginare che ne siano attenti conoscitori) al “modello finlandese”, che queste caratteriste le ha più o meno tutte, o è l’effetto prodotto dalle decine di serie televisive (con protagonisti studenti delle scuole superiori) che vedono sulle piattaforme Internet e che, essendo prevalentemente nordamericane, hanno come scenario questo tipo di scuola? Se la seconda ipotesi è la più verosimile, ciò non muta la considerazione che una scuola di questo tipo appare oggettivamente più accattivante. Se non altro perché rappresenta una novità in un ambito dove, purtroppo, di novità da quarant’anni a questa parte ce ne sono state davvero poche. Se confrontiamo l’adolescenza di “noi” over 50 e 60 (ad essere ottimisti) e l’adolescenza di oggi, tutto è cambiato fuorché la scuola. E quei risibili cambiamenti intervenuti sono stati poco più (o poco meno) che pannicelli caldi, totalmente inadeguati a dare risposte convincenti al delicatissimo ambi-
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to della formazione e dell’istruzione, in una società che in cinquant’anni è cambiata da cima a fondo. Naturalmente il modello finlandese e lo spaccato (nemmeno del tutto reale) dato su Netflix e dintorni della scuola made in USA sono due cose pro-
fondamente differenti nell’essenza. Da un lato una scuola rigorosamente pubblica, inclusiva, economicamente non selettiva, dall’altro una scuola “a tariffa”, già di per sé connotata per configurare il “dopo” professionale (e sociale), dove essere più o meno bravi a tirare quattro calci ad un palla (per di più nemmeno rotonda) ti colloca su piani diversi. Ma questo è un aspetto legato alla cultura dominante e non è certo il tema di questo articolo. In ogni caso delle analogie ci sono e sono proprio quelle che hanno attratto i nostri studenti. “La scuola che vorrei” che emerge dalla nostra indagine è certamente una scuola più responsabilizzante, più adulta, più interessante; dove ai fondamentali irrinunciabili per una formazione adeguata si possono abbinare scelte che maggiormente gratificano le curiosità e gli interessi personali. Nelle intenzioni, ed in alcuni ambiti, qualcosa – dobbiamo riconoscerlo – è stato fatto. Un esempio per tutti: il “liceo scientifico” di una volta era uno ed uno solo. Oggi ci sono un “tot” di licei scientifici orientati verso approfondimenti disciplinari differenti. Ciò che non è cambiato è il criterio con cui si formula la proposta formativa. Sono sempre “io-scuola” a decidere se, come, quanto e con che mix differenziare. Allo studente si offre una gamma di scelta maggiore ma si tratta sempre di piatti pronti e non gli si dà la possibilità di scegliere gli ingredienti (sia pure solo quelli di dettaglio). Così come il criterio “bocciato su tutta la linea” o “promosso su tutta la linea” (sia pure con debiti formativi da colmare) forse potrebbe essere ripensato. Nell’indagine abbiamo anche chiesto agli studenti intervistati quali argomenti (materie?) avrebbero voluto che la scuola trattasse in modo continuativo e non solo attraverso inter-
Quali argomenti ti piacerebbe che la scuola affrontasse sistematicamente (come una vera e propria materia curriculare e non occasionalmente)? Educazione sessuale Prevenzione dei comportamenti a rischio (alcol, droghe, fumo…) Educazione al rispetto tra i generi Lo studio della Costituzione italiana e dei suoi valori Utilizzo corretto dei social network Prevenzione del bullismo e del cyberbullismo Altro
Totale
Maschi
Femmine
46,6 31,9
45,6 31,0
47,6 32,8
26,8 26,1
21,1 28,2
32,8 25,1
20,6 23,8
23,5 20,7
17,6 27,2
10,8
13,2
8,2
venti spot di esperti venuti da fuori (vedi tabella). Probabilmente in tutte le scuole gli argomenti indicati dai ragazzi sono più o meno occasionalmente trattati, ma – appunto – occasionalmente. Oggi l’introduzione di 33 ore all’anno di educazione alla cittadinanza può rispondere, almeno in parte, alle esigenze espresse dagli studenti, ma l’educazione sessuale, proprio in un’età in cui la sessualità inizia ad esprimersi con fortissima intensità, appare ancora una nota dolente. Tanto più dolente alla luce dei recentissimi dati che descrivono un netto incremento delle gravidanze in età adolescenziale (ne parliamo in altra parte del giornale) e del fatto, – sottolineato da molti dirigenti scolastici – che sono proprio le famiglie a creare i maggiori ostacoli a che l’educazione sessuale sia diffusamente introdotta nelle scuole. Come già sottolineato in apertura, l’indagine riporta una fotografia della scuola ideale scattata prima dell’emergenza covid. Quanto l’esperienza della pandemia, del lockdown e di questo ritorno a scuola certamente condizionato dal
covid possa aver consolidato o modificato il pensiero dei giovani studenti potremo saperlo soltanto in futuro confrontando dati omogenei. Qualche informazione in più ce l’ha comunque fornita l’esito di due indagini online realizzate da Laboratorio Adolescenza durante il lockdown (di cui abbiamo dato riscontro nel numero 2/2020 di Adò). La drammatica esperienza vissuta ha messo gli adolescenti-studenti a confronto – volenti o nolenti – con un tipo di studio assolutamente innovativo, seppur inevitabilmente improvvisato. Un salto in avanti che mai si sarebbe fatto se non imposto da un’emergenza imprevista ed imprevedibile. Complessivamente il giudizio su questa sperimentazione forzata di scuola online, in cui è stato differente il modo di apprendere e studiare, ma anche il ruolo e la funzione dell’insegnate, non è risultato negativo. Il 42% ha affermato che anche una volta tornati alla normalità sarebbe interessante continuare a svolgere online alcune attività scolastiche, mentre un ulteriore 8% ha addirittura espresso preferenza per una attività scolastica online prevalente rispetto
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IL DOSSIER
LA SCUOLA DI DOMANI Sei d’accordo con l’ipotesi di ridurre di un anno (e portarlo a 4) il ciclo scolastico delle scuole mede superiori? (1 sola risposta) Totale
Maschi
Femmine
Licei
Altre
Si No
43,5 38,9
47,1 39,1
39,6 38,7
41,0
47,2
Non so
17,3
13,6
21,3
Ti piacerebbe che la scuola superiore non fosse più basata sul succedersi delle classi, ma su corsi delle singole materie (un po’ come l’Università), in modo - tra l’altro - da poter ripetere, nel caso la preparazione non risultasse adeguata, solo i corsi in cui non si è raggiunta la sufficienza? (1 sola risposta) Totale
Maschi
Femmine
Licei
Altre
Si No
72,3 14,0
68,8 15,9
75,9 12,1
75,6
67,8
Non so
12,5
14,0
10,9
La “classe” ha ancora una sua funzione o sarebbe preferibile avere aule e docenti dedicati a specifiche materie? Totale Maschi Femmine Meglio la classe Meglio aule e insegnanti dedicati alle differenti discipline
44,9 54,4
47,0 52,3
42,6 56,6
Licei
Altre
43,7
46,4
Sei favorevole alla possibilità di modificare/integrare il piano di studi con alcune materie di tua scelta? Totale
Maschi
Femmine
Licei
Altre
Si No
86,5 5,4
85,0 6,3
88,1 4,5
87,6
84,9
Non so
7,9
8,4
7,3
Preferiresti un orario scolastico più lungo – che includa anche il momento dello studio e dell’approfondimento – ma niente più “compiti a casa”? Si No
Totale
Maschi
Femmine
Licei
Altre
56,5 43,3
54,9 44,8
58,3 41,6
61,9
48,9
Adò - Laboratorio Adolescenza - 2020; 3, 3.
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alle lezioni impartite a scuola. La scuola è mancata – e tanto – essenzialmente come “luogo fisico” di confronto e socializzazione, innanzi tutto con i compagni, ma anche con gli insegnanti. D’altra parte nella fotografia pre-covid della scuola ideale gli studenti avevano già espresso una preferenza per un orario più lungo che includesse anche il momento dello studio e dell’approfondimento (gradito dal 56,5% del campione), piuttosto che i tradizionali “compiti a casa”. Interessante osservare – restando all’indagine nazionale “pre-covid” – come gli studenti dei licei siano apparsi nettamente più “innovativi” rispetto ai loro colleghi degli istituti tecnici e professionali, così come sono lo sono risultate le ragazze rispetto ai maschi. Le differenze territoriali sono risultate invece minime e non caratterizzanti.
Un’occasione per progettare il futuro La scuola oggi sta vivendo un momento di straordinaria emergenza.
N E S PRE
FUTU
Per alcuni versi ancora più grave di quella vissuta della prima fase del covid, perché è comunque più facile starsene tutti a casa, che decidere di giorno in giorno chi va e chi no ad un “fronte” che appare ogni giorno più insidioso. Con la consapevolezza, tra l’altro, che la scuola è oggi quella “linea Maginot” psicologica il cui cedimento può trascinare in rotta l’intero Paese. Per cui in queste settimane, forse mesi, la priorità non è studiare nuovi assetti e nuovi scenari, ma sopravvivere con quello che si ha e con quello che ci si inventa giorno per giorno. Ma quanto è successo da marzo ad oggi ha comunque introdotto delle straordinarie novità che non potranno (per fortuna) essere cancellate con la scomparsa (ci auguriamo il più presto possibile) della pandemia. Quando le acque si calmeranno sarà il momento migliore per ripensare ad una scuola che forse non sarà quella del modello finlandese o del modello Netflix, ma comunque non potrà mai più essere la stessa di cinquant’anni fa.
NTE
URO
LA SCUOLA DI OGGI Il tempo che trascorri a scuola (pensando allo studio, al rapporto con gli insegnanti e con i compagni) lo trovi: (1 sola risposta) Totale Maschi Femmine
Licei
Altre
Decisamente piacevole Moderatamente piacevole
18,1 62,5
20,0 61,7
16,0 63,3
Noioso
14,1
14,1
14,1
15,0
12,7
Un incubo
4,8
3,2
6,6
6,1
3,0
L’alternanza scuola lavoro secondo te è: (1 sola risposta) Totale Maschi Femmine
Licei
Altre
Interessante e utile Interessante ma poco utile
63,6 24,0
61,5 24,0
65,8 24,0
55,7 16,2
74,8 5,9
Inutile
11,8
13,6
9,9
27,7
18,5
Secondo te è giusto vietare il telefonino a scuola? (1 sola risposta) Totale Maschi Femmine Giusto averlo spento durante le lezioni, ma non divieto di portarlo a scuola Giusto averlo silenziato durante le lezioni, ma non divieto di portarlo a scuola Sì, giusto vietarlo
Totale MI
19,9
21,0
18,8
19,9
78,2
76,3
80,3
78,2
1,4
2,0
0,7
1,2
Come vai a scuola? (secondo il tuo giudizio) Totale Maschi Femmine
Totale MI
Molto bene Abbastanza bene
14,4 57,8
13,4 55,4
15,6 60,4
11,4 59,9
Così così
24,5
27,0
21,9
26,4
Male
2,6
3,2
2,1
1,9
I voti che prendi rispecchiano, secondo te, l’impegno che dedichi? Totale Maschi Femmine Si No
58,9 40,1
63,4 35,5
54,2 45,0
Totale MI 51,4 47,6
Durante le ore di studio hai interruzioni (telefono, social, atro)? Totale Maschi Femmine Molte Poche
40,8 58,2
11
40,0 58,7
41,7 57,6
Totale MI 58,2 41,0
Adò - Laboratorio Adolescenza - 2020; 3, 2.3
IL DOSSIER
La nuova voglia di presenza La lunga chiusura ha dimostrato che soltanto l’aula garantisce una reale formazione. E questo è vero per gli Ahmed e gli Alvarez, ma anche per i Rossi e i Bianchi Alessandra Condito Dirigente Liceo Einstein Milano
C’era una voglia di “presenza” che faceva luce! 1
I
nterrogarsi sui mesi di sospensione delle lezioni in presenza nello scorso anno scolastico, e provare a prefigurarsi l’anno appena iniziato, implica la necessità di definire un punto di osservazione e alcuni oggetti di indagine, essendo tanti e tutti interessanti i temi che si potrebbero affrontare. Il punto di osservazione di chi scrive è quello della direzione di un liceo pubblico milanese, con una utenza medio alta e una bassa percentuale di studenti stranieri. Ciò nonostante, è proprio dalla povertà educativa che vorrei partire, ritenendolo un tema se non trascurato, di certo offuscato dalla prevalente discussione sull’emergenza sanitaria ed economica in senso lato. Laddove il tema della povertà educativa sia stato affrontato, questo è stato per lo più messo in correlazione con l’analisi delle periferie urbane o di certe aree depresse del Paese, dove la povertà socioculturale di intere aree della popolazione, e quindi dell’infanzia/adolescenza, salta prepotentemente all’evidenza. Certamente queste aree hanno sofferto molto, e forse con danni permanenti, del lock-down e della chiusura
Adò - Laboratorio Adolescenza - 2020; 3, 3.
delle scuole, ma di contro queste zone sono ricche di “anticorpi” capaci se non di guarire, comunque di aumentare le difese della popolazione scolastica. Penso alle tante cooperative sociali che lavorano in quei territori in stretta sinergia con le scuole, penso ai progetti educativi di rete e all’esperienza di “maestri e maestre di strada” capaci di raggiungere anche le famiglie più difficili, portando loro beni di prima necessità, materiale didattico e, nello scorso anno, tablet o altro per la didattica a distanza. È indubbio che il gap sociale e la dispersione scolastica in queste zone del Paese siano aumentati ulteriormente in questi mesi, ma quanto meno vi erano attori (docenti, educatori, decisori locali) capaci di vedere e narrare questa povertà, perché da tempo abituati a trattarla. Cosa è successo invece nella mia scuola e nelle scuole simili al mio liceo? Pur senza la pretesa di generalizzare, oggi per onestà intellettuale non possiamo non interrogarci sui pochi casi di povertà educativa che hanno rischiato di rimanere, se non invisibili, di certo poco visti durante il ricorso esclusivo alla didattica a distanza. Sebbene apparentemente tutti gli studenti avessero un pc, un tablet o uno smartphone per seguire le lezioni, le ragazze e i ragazzi dietro lo schermo non erano e non sono tutti uguali. Dietro lo schermo ci sono nuclei familiari, storie, abitazioni estremamente diversi, che nell’urgenza dei docenti di fare presto e bene per organizzare il miglior servizio didattico possibile, hanno rischiato di rimanere schiac-
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ciati sotto il peso di una maggioranza in grado, per status socioculturale mediamente elevato, di seguire senza particolare affanno. Oggi è a quelle ragazze e a quei ragazzi che dobbiamo volgere lo sguardo, affinché la promozione d’ufficio di cui tutti gli studenti hanno beneficiato lo scorso anno diventi reale promozione formativa e possibilità concreta di recupero e potenziamento delle competenze di cittadinanza. Sarà così? Ne saremo capaci? Dipende, dipende da tante cose, in primis dalla tenuta del sistema paese in questo difficile momento storico. Ora si prospetta per il nuovo anno, dopo una lunga chiusura, un ritorno, seppur parziale, alle lezioni in presenza anche alle superiori. La scuola vuole tenere e tenere in presenza, nonostante l’enorme fatica che questo richiede a chiunque vi lavori, dirigenza, docenti, personale ATA. Ma è solo con la presenza che noi riusciremo a “fare scuola”, per gli Ahmed, gli Alvarez ma anche i tanti Rossi e Bianchi che la abitano. Scrivo questo non perché ritenga che la didattica a distanza non abbia funzionato e non ci siano state eccellenti pratiche di cui continuare a fare tesoro anche nella didattica ordinaria, ma perché sono fermamente convinta che solo la presenza garantisca reale “formazione”, ovvero quell’innesto virtuoso e intenzionale tra istruzione ed educazione che solo la Scuola è in grado di offrire. 1 Libera citazione di una famosa frase di Francesco Guccini (C’era una voglia di ballare che faceva luce) in una intervista rilasciata il 14 marzo 2020
IL DOSSIER
La scuola in trincea
Chiusa, aperta, richiusa
Un ambiente più garbato, ordinato, composto, responsabile. Ma con gel e mascherine
La piccola odissea verso la maturità
Daniela Faraone Insegnante
É
una scuola garbata ed educata questa scuola in mascherina. Una scuola fatta di occhi vispi di ragazzi smarriti, che cercano di capire, di essere rassicurati; chiedono di poter tornare ad una normalità nella quale ritrovare finalmente se stessi ed il loro ruolo di studenti. È una scuola ordinata questa scuola in mascherina, fatta di ascolto, attenzione, di silenzio composto e di rispetto delle regole. Fatta di distanze, di reciproca collaborazione, di solidarietà e di dimenticata complicità tra studenti e professori, perché il timore, la cautela, l’incertezza del futuro ci rende tutti un pochino più solidali. Una scuola con il sapone, il gel e i guanti, nella quale il personale ATA ci rincorre per cambiare la mascherina, disinfettarci, igienizzare i computer e la cattedra ad ogni puntuale cambio dell’ora, una scuola con il termoscanner ad indicarci che sì, possiamo entrare. I ragazzi che non
alzano la voce, con i più timidi che si sentono forse un pochino più protetti perché il loro viso è certamente più nascosto. Si è pochi in classe, perchè gli altri sono collegati da casa ad ascoltare con attenzione, quasi come fosse prezioso frequentare le aule della scuola così troppo a lungo rimasta chiusa. È una scuola composta, questa scuola in mascherina, senza soprusi e prepotenze, senza il bullo che spinge e accerchia perché il distanziamento è necessario e, in questo caso, anche prezioso. Una scuola nuova, ricca di banchi senza scritte, incisioni e parolacce. Con studenti responsabili, bravi e disciplinati, che forse non aspettavano altro per dimostrarlo. È una scuola inevitabilmente in trincea. É un tentativo disperato affinché la cultura non abbandoni la nostra vita e, prima di ogni altro luogo, la nostra scuola.
Claudia Porcu Studentessa
E
ravamo tutti preoccupati della sorte che avrebbe avuto la scuola, di come sarebbe ripartita. Sarebbe tornata a una sorta di normalità o avremmo continuato con le lezioni da casa? Ci tenevamo aggiornati sulle decisioni della ministra dell’istruzione, ma tutto era sempre in cambiamento. Personalmente sia io sia la mia classe temevamo di non riuscire a seguire le lezioni adeguatamente, un fatto essenziale per tutti gli studenti, ma in particolare per noi dell’ultimo anno che dovremo affrontare l’esame di maturità. Eravamo tutti ormai certi che il nostro ultimo anno sarebbe stato diverso, complicato e impegnativo. Inizialmente il mio istituto aveva deciso di consentire solo a tutte le “prime” di andare a scuola ogni giorno, mentre le altre si sarebbero dovute alternare tra presenza e lezioni online. Ma iniziare in questo modo è stato complicato, specie per i problemi di connessione causati dal numero troppo alto di classi, collegate alla rete scolastica. Qualche giorno dopo cambio di strategia: lezioni in presenza anche per tutte le classi quinte. Parallelamente sono stati risolti, per le altre classi i problemi di connessione. Due buone notizie da un lato, ma dall’altro cresceva la preoccupazione per il contagio, nonostante le tutte le precauzioni. Già a metà ottobre molte classi erano state messe in quarantena. A scuola i professori, ma anche molti studenti, si impegnavano al Continua a pag 14
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Adò - Laboratorio Adolescenza - 2020; 3, 2.3
IL DOSSIER
Segue da pag 13
Gli anni migliori della nostra vita?
massimo per fare in modo che le regole venissero rispettate e si sforzavano per far passare a tutti il messaggio che, per superare questo lungo periodo di difficoltà, l’unico modo era quello di unirsi nel rispetto delle regole e nel rispetto degli altri. Qualche studente senza mascherina in giro per la scuola ogni tanto si vedeva, c’erano gruppetti che non rispettavano le distanze, ma i problemi maggiori, secondo me, si verificavano fuori dalla scuola. Tante, troppe persone sui mezzi pubblici e carenza di autobus per arrivare a scuola in orario e adeguatamente distanziati. Per molti la mattina è stata dura andare a scuola, soprattutto se si doveva affrontare la stanchezza di un tragitto lungo e complicato (nella nostra scuola sono molti gli studenti che vengono da fuori Milano) che può farti abbassare la guardia. E adesso stop a tutte le lezioni nelle scuole superiori e ritorno della scuola on-line. Certo, la didattica a distanza è senz’altro la soluzione migliore per evitare rischi e problematiche, ma ovviamente non potrà mai essere paragonata all’andare a scuola normalmente. Per alcuni aspetti la DAD ha anche qualche vantaggio: ci si stanca di meno per i tragitti casa-scuola, per alcuni può addirittura agevolare la concentrazione e lo studio, ed in più ci consente di avere le nostre comodità casalinghe tutto il giorno. Ma non basta per “essere scuola”, perché toglie un importantissimo “qualcosa” sia a noi alunni che ai nostri professori: il contatto umano, che in ambito scolastico è essenziale. Nonostante il rapporto tra amici e compagni di scuola continui grazie alle videochiamate, la sensazione di solitudine rimane, perché un’immagine su uno schermo non potrà mai sostituire la naturalezza del parlare dal vivo con qualcuno.
Non siano ancora tornati davvero a scuola. E chi ci restituirà quel che abbiamo perso?
Adò - Laboratorio Adolescenza - 2020; 3, 3.2.3
Carolina Sinelli Studentessa
I
l primo giorno di scuola, ogni anno, per me è sempre stato emozionante, ricco di aspettative e di belle sensazioni. Settembre, i soliti buoni propositi mai portati a termine, la voglia di tornare alla propria routine, di mettersi in gioco, di rivedere gli amici; e la vita, in pausa da tre mesi, che riprende. Quest’anno però è stato diverso; i mesi da lasciarsi alle spalle per un nuovo inizio non sono stati tre ma sei e il ritorno a scuola non ha segnato un vero ritorno alla normalità. Il solito entusiasmo è velocemente calato non appena ci siamo trovati di fronte a uno scenario che sembrava prevedere solamente mascherine, gel igienizzante e un freddo glaciale dovuto alle finestre costantemente aperte. Il vero problema però non è costituito dai cambiamenti pratici; ai banchi singoli e all’obbligo di rimanere in classe all’intervallo, per quanto triste e opprimente, ci adattiamo in fretta. La reale preoccupazione è il clima di incertezza che si respira. Basti pensare a quanti decreti diversi sono stati emanati in un solo mese. All’inizio tutti a scuola, poi lezioni in presenza alternate a lezioni svolte a distanza, poi chiusura. Torneremo a scuola? Se si, quando? Come? La maturità di noi studenti dell’ultimo anno come sarà? Ci verrà detto a un mese dalla data stabilita come è successo ai maturandi dell’anno scorso? Ma soprattutto, come staremo? Come riusciremo a superare il fatto di aver perso gli ultimi anni di liceo, quel-
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li che dovrebbero essere i migliori della nostra vita e che nessuno ci ridarà mai indietro? La risposta a tutte queste domande non la so, non la sappiamo. L’unica cosa che so è che io, come gran parte degli studenti, sarei disposta a molto pur di trovare una soluzione per continuare ad andare a scuola nel modo più vicino alla normalità possibile. Personalmente ritengo che la decisione del governo di chiudere le scuole superiori, prima in alcune regioni, poi dovunque, sia stata ben ponderata, visto l’andamento della prevista seconda ondata. Proprio perché prevista però, noi studenti ci aspettavamo un’organizzazione diversa. Ci aspettavamo un incremento nella frequenza dei mezzi pubblici per diminuire l’affluenza, lezioni al pomeriggio se necessarie, soprattutto per i più grandi, o altri provvedimenti. L’impressione che ho avuto è stata quella di una società che non sta dando abbastanza importanza all’impatto che la decisione di chiudere le scuole un’altra volta ha sulla formazione e sul futuro di ciascuno di noi. Dover seguire le lezioni attraverso uno schermo mentre il campionato di calcio va avanti suscita in me un forte senso di rabbia, di ingiustizia. La sensazione è quella di una società che ha deciso di porre in secondo piano la cultura e noi giovani, visti per altro da molti come causa della seconda ondata, rispetto a tutto il resto. Dunque alla domanda “Come è stato il rientro a scuola?” non mi resta che rispondere che non è stato un vero e proprio rientro. Resta solo la speranza che la situazione si risolva al più presto e che un rientro, degno di essere definito tale, non resti soltanto l’inseguimento di una chimera.
LA SCUOLA CHE CI PIACE
LE RAGAZZE DI BARBIANA Non ci sono scuole di serie A, di serie B o di serie C, ma scuole di tipo diverso che garantiscono percorsi formativi differenti. Così come, beninteso, non ci sono studenti di serie A, B e C..Questa premessa non sottende che le scuole siano tutte uguali tra di loro e questa nostra rubrica vuole proprio presentare quelle scuole che ci sentiamo di segnalare o raccomandare. In questo numero abbiamo scelto di parlare di una scuola che non esiste più, ma che ha ancora molto da insegnarci.
Chiunque si occupi di scuola conosce la figura di don Lorenzo Milani, l’esperienza della scuola di Barbiana, le tesi, tanto innovative quanto scomode, che l’hanno sorretta. Qui ci preme ricordare che la scuola di Barbiana, come quella di Calenzano che la precedette, non accoglieva solo maschi. A dispetto di un’ovvia disparità numerica, lo confermano la presenza delle bambine e delle ragazze nelle fotografie scattate allora a Barbiana, e soprattutto le testimonianze di donne che, negli anni ’50 e ’60, hanno avuto don Milani come maestro: le ha raccolte Sandra Passerotti nel volume “Le ragazze di Barbiana. La scuola al femminile di don Milani” (Libreria Editrice Fiorentina). È grazie a questa pubblicazione che possiamo ricostruire cosa accadde. Maresco Ballini, uno dei primi allievi di Don Milani a Calenzano, giovane sindacalista a Milano, conosce Eugenia Pravettoni, un’operaia tessile. I due si sposano a Barbiana. Nel 1959 Don Lorenzo coinvolge Eugenia in un progetto tutto al femminile: insegnare taglio e cucito alle bambine, alle ragazze e alle donne di Barbiana. “Voglio educarle in tutti i modi per farne delle figliole intelligenti, furbe, sveglie, capaci di difendersi, di guadagnarsi il pane, di mandare avanti la famiglia […]”, scrive don Milani a Eugenia in una lettera in cui spiega come l’apprendimento di un lavoro, in questo caso la sartoria, avrebbe permesso una vera emancipazione alle sue allieve, preparandole ad affrontare la loro vita di adulte consapevoli ed autonome. Dalla lettera emerge tutta l’importanza che don Milani attribuiva alla formazione e all’emancipazione delle ragazze. Nei programmi scolastici ministeriali di quegli anni la sartoria, l’economia domestica ecc. erano materie per le classi femminili finalizzate a educare le alunne a diventare buone madri di famiglia. Don Lorenzo Milani ispirava invece i suoi insegnamenti alle ragazze ai dettami della Costituzione della Repubblica Italiana: Art.34-
La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita, (...). Art.37- La donna lavoratrice ha gli stessi diritti (...) che spettano al lavoratore. Art.51- Tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici. Cose scontate? No, se guardiamo ai dati: le donne sono tuttora le migliori nel percorso scolastico ma nei luoghi di lavoro sono ancora discriminate e lo restano in tutto il percorso di carriera. No, se rileviamo come la mancanza di autostima e di fiducia in se stesse segni ancora molte donne, e come la scuola e gli ambienti di lavoro non aiutino a sufficienza a contrastare questo percepirsi. Ecco perché, nonostante siano passati più di sessant’anni, “La scuola delle ragazze” di don Lorenzo porta con se un messaggio attuale. Ed ecco perché invitiamo chi lo desideri a seguire Viviana Ballini, figlia di Maresco ed Eugenia Pravettoni, lungo i sentieri che portavano a scuola le “ragazze di Barbiana”. Per ‘toccare con mano’ (Facebook @ilcamminodidonmilani, ilcamminodidonmilani@gmail.com).
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Adò - Laboratorio Adolescenza - 2020; 3, 3.
ADOLESCENTI e PANDEMIA
L’UTOPIA DELL’APARTHEID GENERAZIONALE Sul piano delle relazioni sociali, i ragazzi pagano il prezzo più alto delle regole restrittive. Facendo riemergere il desiderio (e il mito) della separazione giovanile Riccardo Renzi Giornalista
S
ono assolutamente favorevole a tutte le misure, anche le più stringenti, prese per contenere la pandemia, anche in forza della mia competenza di giornalista medico-scientifico. Faccio questa premessa, perché, lo confesso, mi è venuto un dubbio. Proviamo a mettere in fila le proibizioni più forti, i luoghi vietati: le scuole medie e superiori, le aree della movida e i raduni nelle piazze, le discoteche e le feste private, le palestre e lo sport dilettantistico, i fast-food, i cinema e i concerti. Che cos’hanno in comune questi luoghi? Facile: costituiscono il mondo dei giovani, e in particolare degli adolescenti. Certo conosciamo bene le motivazioni di queste misure. Tuttavia il dubbio mi resta. Non è che queste sono leggi di un Grande Fratello vecchio, che per proteggere se stesso colpisce soprattutto i fratelli minori? Non è che le norme scientifiche antipandemia non risentano per caso del fatto che sono state concepite da anziani scienziati e da politici vecchi o invecchiati dalla politica? Scusate questo pensiero scorretto. È vero che i ragazzi hanno la fastidiosa abitudine di stare appiccicati gli uni agli altri, di mal tollerare il distanziamento, di voler divertirsi e incrociarsi il più possibile. Ma è anche vero che il loro mondo, di colpo, è stato cancellato.
Adò - Laboratorio Adolescenza - 2020; 3, 3.
E per fortuna sono bravi ragazzi, visto che non hanno ancora preso d’assalto una prefettura o incendiato una Asl. Grazie al cielo hanno Internet, dove possono sfogarsi un po’. Ma ricordiamoci, in futuro, di non lamentarci più del fatto che ci passano troppo tempo. Non c’è alternativa, si potrebbe dire. Già. Anche se qualche idea diversa ha fatto capolino. Mi aveva colpito un articolo, pubblicato sul Foglio, di uno scrittore, Giacomo Papi, che in chiave paradossale e fantasociale avanzava una “modesta proposta” di Apartheid
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Generazionale, in cui “i giovani andranno a vivere con i giovani, gli adulti con gli adulti e i vecchi con i vecchi”. Mezzi di trasporto, ristoranti e tutti i luoghi di contatto sarebbero stati divisi secondo la fascia d’età. “Ai vantaggi sanitari della riforma, si aggiungerebbero quelli sociali, culturali ed economici. I più giovani sarebbero indotti a rendersi indipendenti o quasi, o almeno a concepirsi come tali, i genitori a concedergli libertà e fiducia”. E poi, a pandemia finita, “… le famiglie potranno ricongiungersi più forti e af-
fiatate di prima”. Pochi giorni dopo l’articolo, tre eminenti economisti (Carlo Favero, Andrea Ichino e Aldo Rustichini), avanzano la stessa proposta di separazione generazionale su base “scientifica”, a riprova che la fantasia è sempre anticipatoria. Nessuno evidentemente ha preso sul serio questa proposta, tanto meno i politici, tenendo conto che comunque gli adolescenti sono una minoranza. Inutile elencare i motivi per cui si tratta di una proposta irreale, irrealizzabile e anche concettualmente sbagliata. Le reazioni infatti sono andate dallo stizzito allo scandalizzato, e anch’io, che ho la mia età, ho provato un po’ di fastidio. Poi però ho frugato a fatica nella mia memoria e ho pensato agli anni del liceo, quando ogni occasione, ogni momento era buono per “separarmi” dagli adulti (allora li chiamavamo “matusa”), per creare una “bolla” con i miei amici e i miei compagni di scuola. E allora, se non altro ho colto la suggestione di quella proposta. Esiste un’utopia, più volte citata in questo periodo, che è il mondo del Decamerone di Boccaccio, dove un gruppo di ragazzi fiorentini si isolano, durante la peste, in una villa di campagna e, non avendo Internet, inventano il bellissimo gioco di raccontarsi novelle erotiche. È un’aspirazione, quella della separazione giovanile, che ha evidentemente una sua tradizione e una sua ragion d’essere. Che questa volta dobbiamo decisamente bocciare. Ma di cui sarà bene, dopo la pandemia, tener conto. Ricordiamoci almeno in futuro di smettere di pontificare sui giovani d’oggi, dicendo che per crescere devono imparare a fare sacrifici. Mi sembra che, grazie alle “nostre” leggi, stiano crescendo alla grande.
L’ANGOSCIA DI VIVERE DA “UNTORI” Stress, incertezza, un anomalo autocontrollo. Che rischia di destabilizzare l’ambiente familiare La natura senza precedenti della pandemia Covid 19 ha da tempo prodotto ripercussioni economiche, sociali e psicologiche importanti. Le conseguenze negative hanno colpito tutti ma qui in particolare ci occupiamo di cosa sta succedendo in tante famiglie che hanno figli adolescenti e pre-adolescenti. Il virus in questa seconda “ondata” si sta diffondendo in modo capillare e di conseguenza le persone si sono chieste quali potrebbero essere le cause di questa diffusione così massiccia. Tra le diverse opinioni si e’ diffusa l’idea che il comportamento disinvolto e superficiale di alcuni ragazzi sia in buona parte responsabile di questo aumento di persone risultate positive al Virus. Ad oggi, non ci sono ricerche specifiche che dimostrino questa tesi ma il convincimento generale è che le discoteche estive, gli aperitivi nei locali, le vacanze di gruppo, le uscite serali effettuate dai giovani (e meno giovani) siano direttamente collegate a un peggioramento della diffusione della malattia. Possiamo pensare che alcune immagini, che ritraevano orde di persone in giro durante il periodo estivo (abbondantemente pubblicate dai media e dai Social), abbiano amplificato questa percezione ma dobbiamo altresì riconoscere che i ragazzi, che vivono in famiglia tra gli 11 e i 20, non sono esattamente gli stessi di quelle immagini. Eppure, tra i genitori dei ragazzi di questa fascia d’età si è diffuso un certo pregiudizio, che ha generato un’ulteriore pesantezza in seno alle famiglie. Quello che stiamo rilevando è che, di fronte a una situazione di paura e stress così prolungata, i genitori lamentino spesso di sentirsi impreparati nel rispondere a domande, nel dare informazioni e rassicurazioni utili ai figli sul Covid e pertanto temono che questi ultimi si comportino fuori casa in modo poco responsabile. A ciò si aggiunga che le strategie di adattamento dei genitori di fronte a questa emergenza è ritenuta da loro stessi inadeguata e soprattutto poco efficace nel garantire una buona salute per tutti i componenti del nucleo. I genitori lamentano anche una grande stanchezza che li porta a dedicare poco tempo all’ascolto e al gioco con i figli. Ecco quindi che questa nuova condizione esistenziale sta generando un senso di sfiducia e di insicurezza su più fronti. Da parte degli adulti vi è la tendenza a iper proteggere i figli, chiedendo loro di non uscire di casa, facendoli sentire in colpa nel caso dovessero contravvenire a tale richiesta. Da parte dei ragazzi, si accentuano comportamenti di anomalo autocontrollo, che tolgono senso di desiderio e di iniziativa. Queste manifestazioni inducono atteggiamenti di isolamento, ma soprattutto attivano nei più giovani una iper responsabilizzazione che li fa vivere con forti sensi di colpa per il solo fatto di essere giovani: e infatti, per una buona parte dell’opinione pubblica comune sono percepiti come “diffusori” o peggio come i veri “untori” di questa malattia pandemica. Alessandra Marazzani Psicologa di Psichemilano
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Adò - Laboratorio Adolescenza - 2020; 3, 3.
LA RICERCA
TRE BUONI MOTIVI PER STUDIARE ALL’ESTERO Condivisone, cultura, curiosità: sono le idee associate ai soggiorni-studio per la maggioranza degli adolescenti italiani, secondo una nostra indagine Maurizio Tucci Sociologo
e frequentando una scuola del posto. Immedesimati in questa situazione e indica, per ciascuno dei seguenti gruppi di parole, concetti, simboli, quella/ quello che ti sembra più vicina/o al tuo modo di sentire e che più associ a questa possibile esperienza, rispetto al tuo punto di vista emozionale, ai tuoi sentimenti e alle tue impressioni”. Da qui le risposte:
Allegra e Maddalena nella loro nuova scuola islandese
C
ondivisione, cultura, curiosità: sono le tre “C” (coincidenza del tutto casuale) che connotano, per la maggioranza assoluta degli adolescenti italiani, l’idea di un soggiorno-studio all’estero di media lunga durata. E se il soggiorno-studio deve essere associato ad un simbolo matematico, questo è certamente il “+”, la “somma”, il simbolo naturale per rappresentare la “crescita”; un’altra “C”. L’interessante associazione emerge da un articolato lavoro di indagine realizzato da Intercultura, Laboratorio Adolescenza e Istituto di ricerca IARD nei
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primi mesi del 2020, (che ha coinvolto un campione nazionale rappresentativo di 2100 studenti delle scuole superiori), i cui risultati completi saranno presentati nelle prossime settimane. Nel questionario sottoposto agli studenti una delle “domande” non era una vera e propria “domanda” ma la richiesta – pensando all’opportunità di effettuare un soggiorno-studio all’estero – di associare l’idea ad una delle quattro sollecitazioni proposte. “Pensa all’ipotesi che ti capiti di trascorrere, per studio, un anno all’estero; vivendo in una famiglia del posto
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Cultura Informazione
51,1% 14,4%
Formazione Studio
28,6% 5,9%
Confrontare Giudicare
38,2% 4,7%
Condividere Distinguere
50,7% 6,4%
Euforia Timore
18,1% 7,8%
Curiosità Indecisione
56,7% 7,4%
“+” “-“
59,8% 2,9%
“x” “:”
33,1% 4,1%
Ed anche dove la maggioranza delle risposte non è stata così netta è confortante registrare che per i nostri ragazzi “imparare” sia più gettonato di “vedere” (46,6% vs 20,6%), e che “affinità” (33,6%) prevalga su “differenza” (26,2%). Il ritratto che emerge da questo piccolo test è quello di una adolescenza aperta e – per fortuna – intrinsecamente multiculturale. Tanto più perché a rispondere non è stato un manipolo di Indiana Jones in erba e nemmeno un campione di ragazze e ragazze già con la valigia in mano, perché di ritorno o in partenza per una simile esperienza, e quindi già in qualche modo “mentalizzati”. Hanno risposto tante ragazze e ragazzi che probabilmente, anche avendone la possibilità, non partirebbero e non partiranno per un soggiorno studio; vuoi per pigrizia, per timore, per altri interessi prevalenti. Ma nonostante questo nel loro immaginario l’esperienza è comunque arricchente, inclusiva, culturalmente valida. E l’incontro con culture altre è per loro prevalentemente un confronto tra affinità piuttosto che tra differenze. Ed è con la positiva consapevolezza che il terreno è fertile che dobbiamo – come fanno in modo differente e sinergico Intercultura e Laboratorio Adolescenza - seminare, per le nuove generazioni, un futuro senza confini. Certo, oggi il Covid, che rende incerto anche l’uscire di casa per andare in una scuola distante cinque fermate di autobus, rappresenta una battuta d’arresto senza precedenti nella storia recente, ma il Covid finirà. E quando finirà i “confini”, le distanze e le differenze culturali appariranno ancora di più retaggio di un passato e di una cultura da superare. Di una cultura che probabilmente, anche se non ce ne siamo accorti, le nuove generazioni hanno già superato.
ULISSE BATTE CRISTOFORO COLOMBO Una delle “associazioni” proposte nell’indagine Laboratorio Adolescenza-Intercultura era: Ulisse, Marco Polo, Cristoforo Colombo, Samantha Cristoloforetti. Questi i riC. Colombo 30,2% sultati: L’ultimo posto dell’astronauta italiana può avere Ulisse 40,5% delle facili spiegazioni: la priS. Cristoforetti 13,4% ma, certamente, è la minore Marco Polo 15,9% notorietà, anche se di lei nei mesi passati si è meritatamente parlato molto. La seconda è che, in effetti, se il “gioco” fosse stato “cerca l’intruso”, l’intruso sarebbe stata lei perché il suo “viaggiare” è di tipo completamente diverso rispetto a quello degli altri tre. La terza è che un viaggio-studio (almeno per ora) è confinato alla Terra (terreno su cui si sono misurati Colombo, Ulisse e Marco Polo) e non include altri pianeti o stazioni orbitali. Ciò che incuriosisce è il risultato degli altri tre che, ad un pubblico di studenti delle scuole superiori, dovrebbero essere ugualmente noti: nell’ordine Ulisse, Colombo e Marco Polo. Dal punto di vista razionale l’associazione ad un viaggio-soggiorno-studio all’estero dovrebbe ribaltare la classifica. Nei viaggi di Marco Polo, sebbene esistesse una forte componente mercantile, la componente culturale era comunque molto presente. Il conoscere “mondi” diversi era essenza dei suoi viaggi e ha creato straordinari contenuti per i suoi libri. Cristoforo Colombo, al di là dell’essersi trovato di mezzo un continente imprevisto, aveva l’obiettivo di dimostrare che la Terra fosse rotonda, non di arricchire le conoscenze tout court. Tanto meno Ulisse che probabilmente – semmai fosse davvero esistito – avrebbe ben volentieri evitato di girellare per mari per dieci anni sempre in bilico tra dei che lo proteggevano e dei che lo detestavano. E allora come ci spieghiamo questa classifica “bugiarda”? Ce la spieghiamo innanzi tutto perché l’associazione doveva essere “emozionale” e non “razionale” e così è stato. Ulisse “emoziona” certamente più di Marco Polo e anche di Colombo, ma non è solo questo. Ciò che affascina della figura mitologica di Ulisse non è tanto il coraggio e l’astuzia, ma la sua “curiosità”. Quella curiosità che accumuna l’Ulisse omerico, che vuole per forza sentire il canto delle sirene, all’Ulisse dantesco, che dà “ali al folle volo” superando le colonne d’Ercole. E se Colombo (che era molto meno imbecille dei terrapiattisti di allora e di oggi) prende il largo verso ovest volendo dimostrare una sua teoria, Ulisse lo fa senza un’idea di ciò che c’è oltre, ma per la curiosità di saperlo. Quella stessa curiosità che per i nostri adolescenti – ricollegata ad una esperienza all’estero – supera nettamente euforia, timore e indecisione (vedi tabella articolo precedente); quella curiosità che, associata al buonsenso, è il vero sale della vita. Ciò che la nostra società dovrebbe riuscire a fare è non spegnere, per i nostri timori, le nostre paure, i nostri pregiudizi, la curiosità delle nuove generazioni, ma alimentarla… con buonsenso.
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L’AGENDA
L’ATTIVITÀ DEL NOSTRO LABORATORIO DILLO CON PAROLE NOSTRE
I
“ l genere non è un limite, il pregiudizio sì”. È un po’ la sintesi della campagna di comunicazione per il rispetto di genere realizzata interamente da adolescenti, nell’ambito del format “Dillo con parole nostre” ideato da Laboratorio Adolescenza. Negli anni passati “Dillo con parole nostre” aveva toccato i temi del bullismo, della donazione di sangue e della prevenzione dell’HPV, ed anche quest’anno (fortunatamente prima che il Covid mandasse tutti a casa) si è affrontato – con il sostegno di Istituto Ganassini di Milano – un argomento delicato e di grande attualità come il rispetto di genere. In pista 12 gruppi di lavoro formati da adolescenti tra i 15 e i 19 anni, costituiti a scuola o presso altri centri di aggregazione, che dopo una serie di incontri con nostri esperti, finalizzati ad inquadrare bene la tematica, hanno realizzato, in totale autonomia, un video e un poster destinati a creare una vera e propria campagna di comunicazione rivolta certamente agli adolescenti, ma non solo. Analizzando i lavori prodotti appare evidente come siano gli stereotipi l’aspetto che ragazze e ragazzi considerano più fastidioso da subire. Stereotipi che attentano a quel rispetto di genere che in una società civile dovrebbe essere una condizione naturale e non qualcosa da conquistare volta per volta. Dai “se l’è cercata” ai “è un lavoro da uomo” o “è un hobby
da femmina”, l’elenco può essere lunghissimo. Nella narrazione di questi stereotipi si è riscontrata una straordinaria efficacia comunicativa grazie all’immediatezza e all’originalità di alcuni messaggi. Una conferma – arrivati alla quarta edizione di “Dillo con parole nostre” – che gli adolescenti dimostrano spesso di avere “una corda in più”, specie se il target a cui la comunicazione è rivolta sono altri adolescenti. Avendo tanto materiale a disposizione era “giusto”, da parte nostra, effettuare una selezione per evidenziare i lavori migliori – visibile sul canale YouTube di Laboratorio Adolescenza bit. ly/3pHOY3p - ma farlo è stato difficilissimo. Proprio perché in ogni video e in ogni poster abbiamo trovato interessantissimi frammenti che colgono un aspetto essenziale, che “vedono” dove non è facile o scontato vedere. “Dal punto di vista strettamente tecnico – segnala Massimo Tafi, responsabile della Comunicazione di Laboratorio Adolescenza e Fondatore di Mediatyche-Compagnia di comunicazione – balza all’occhio un’interessante evidenza: a parità di non-competenza professionale (che ovviamente non era richiesta ai ragazzi), mentre nei poster il “deficit” si riscontra, nei video molto meno. Questo perché lo strumento è diventato parte integrante del loro modo di comunicare ed esprimersi. Lo fanno con tale estrema naturalezza che il risultato, consi-
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derando età e skill, ha davvero dello straordinario. Ritengo che noi esperti di comunicazione abbiamo certamente molto da insegnare ai giovani che si avvicinano a questa professione, ma anche tanto da imparare da loro”. Ed è proprio questa sinergia, questa alleanza virtuosa tra generazioni che può forse creare le condizioni per quel “cambio di passo” di cui la nostra società dimostra sempre più di aver bisogno. E allora è confortante che Vittoria Ganassini indichi tra le mission della sua azienda “essere al centro delle relazioni umane, avere un ruolo proattivo nella formazione dei più giovani, nel miglioramento della società e fare scelte di responsabilità sociale”. “Le generazioni cambiano, ma i pregiudizi restano” è il messaggio con cui termina uno dei video realizzati dai ragazzi. Proprio così, e dobbiamo essere noi – generazione che i pregiudizi e gli stereotipi li ha creati – a smantellarli prima che le nuove generazioni li assorbano, li facciano propri e li tramandino. “Quegli stereotipi – come dice Carola Salvato presidente di GWPR ITALIA (Global Women in PR Italia), che ci ha dato una mano competente nella selezione dei lavori – che hanno l’abilità di bloccarci nella nostra capacità di rivelare appieno il talento, marchiandoci spesso a vita e consumando in proporzione tutta l’energia di cui abbiamo bisogno per dare vita ai nostri sogni”.
I poster e i video premiati
Laboratorio Adolescenza:
La campagna di comunicazione sarà proposta alle scuole, da utilizzare come momento di sensibilizzazione sul tema, con un supporto offerto da Laboratorio Adolescenza per approfondire il dibattito con gli studenti. I gruppi di lavoro sono stati realizzati in collaborazione con il Liceo Berchet di Milano, l’Istituto Tecnico-Liceo linguistico Claudio Varalli di Milano, la “Comunità Diana”, gestita dalla Cooperativa Sociale LULE e il “Circolo della Spada-Maestro Marcello Lodetti”. La scelta, differente da quella operata nelle precedenti edizioni di “Dillo con parole nostre”, è stata proprio di coinvolgere adolescenti anche in contesti aggregativi differenti dalla scuola. I video e i poster (qui sotto) selezionati sono visibili sul canale YouTube, digitando Laboratorio Adolescenza e sul logo di L.A., l’indirizzo è: bit.ly/3pHOY3p
la nuova squadra
per i prossimi
4 anni
Il 25 novembre si è svolta l’Assemblea dei Soci di Laboratorio Adolescenza nel corso della quale si è provveduto al quadriennale rinnovo delle cariche sociali e a rivedere l’intero assetto operativo dell’Associazione. Questo il nuovo organigramma: PRESIDENTE ONORARIO
Gianni Bona PRESIDENTE
Maurizio Tucci TESORIERE
Roberta Quagliuolo DIRETTIVO
Teresa Caputo Rocco Cafarelli Giampietro Farronato Alessandra Marazzani Gianluigi Marseglia Riccardo Renzi Marina Picca Patrizia Tagliabue Maria Teresa Zocchi Carolina Sinelli - Componente Junior COMITATO SCIENTIFICO
Carlo Buzzi - Area sociologica Francesco Dall’Oro - Area scuola Vincenzo Giambanco - Area ginecologica Gian Paolo Salvioli - Area pediatrica Fulvio Scaparro Area psicologica GRUPPI DI LAVORO
Eva Bonitatibus - Attività culturali e promozione alla lettura Margherita Caroli - Alimentazione Alberto Chiara - Adolescenti con patologie croniche Annunziata Marra e Ilaria Brambilla - Ginecologia Simona Mazzolini - Attività nelle scuole COMUNICAZIONE
Massimo Tafi SITO INTERNET
Antonella Volino
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