Rivista Italiana di Medicina dell'Adolescenza - Vol. 20 - n. 3 - 2022 - Vol. 21 - n. 1 - 2023

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R i V i S T A ITALIANA d d ii M M E E D D

ii C C ii N N A A

dell’ADOLESCENZA

Indexed in EMBASE/SCOPUS

EDITOR IN CHIEF Armando Grossi

Emma Acampora

Carlo Alfaro

Vittoria Berveglieri

Giulia Cafiero

Serenella Castronuovo

Manlio Converti

AUTORI

Sarah Dalben

Valentina Folgheraiter

Rossella Gaudino

Ugo Giordano

Armando Grossi

Marina Macchiaiolo

Agnese Suppiej

Eliana Tranchita

Attilio Turchetta

Davide Vecchio

Silvia Ventresca

Graziamaria Ubertini

ORGANO UFFICIALE

Vol. 20 - n. 3 - 2022 - Vol. 21 - n. 1 - 2023
ISSN 2035-0678

Questo Trattato nasce dall’esigenza di offrire evidenze scientifiche della letteratura in diversi àmbiti clinici, riguardo alla Nutraceutica in Pediatria, in un contesto attuale dove è molto forte da parte della società la propensione a ricorrere a “prodotti naturali”.

I temi trattati sono a sostegno di scelte mirate da parte del Pediatra, che possono essere di supporto dal punto di vista preventivo e terapeutico, per la salute di bambini e adolescenti.

25 Capitoli

64 Autori

480 Pagine a cura di Gianvincenzo Zuccotti

Enza D’Auria

Elvira Verduci

Prezzo di copertina € 100,00

Per l’acquisto inviare una e-mail a: info@edizioniscriptamanent.eu

R i V i S T A ITALIANA d d ii M M E E D D ii C C ii N N A A

dell’ADOLESCENZA

ORGANO UFFICIALE Vol. 20 - n. 3 - 2022 e Vol. 21 - n. 1 - 2023

Sommario

EDITOR IN CHIEF

Armando Grossi (Roma)

E-mail: arma.gro59@gmail.com

EDITORIAL BOARD

Carlo Alfaro (Napoli)

Silvano Bertelloni (Pisa)

Camilla Cerizza (Milano)

Salvatore Chiavetta (Palermo)

Luca De Franciscis (Salerno)

Teresa De Toni (Genova)

Salvatore Di Maio (Napoli)

Giovanni Farello (L’Aquila)

Susanna Filippis (Milano)

Piernicola Garofalo (Palermo)

Rossella Gaudino (Verona)

Ugo Giordano (Roma)

Graziano Grugni (Piancavallo)

Simonetta Marucci (Todi)

Valentina Nanni (L’Aquila)

Gabriella Pozzobon (Milano)

Leopoldo Ruggiero (Lecce)

Rosalba Trabalzini (Roma)

Andrea Vania (Roma)

EDITORIAL STAFF

Direttore Responsabile Pietro Cazzola

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Grafica e Impaginazione Cinzia Levati

Affari Legali Avv. Loredana Talia (MI)

Scripta Manent s.n.c. Via M. Gioia, 41/A - 20124 Milano

Tel. 0270608060

E-mail: info@edizioniscriptamanent.eu

Registrazione Tribunale di Milano n. 404 del 23/06/2003

Quando Morris non è: il caso di una adolescente con virilizzazione alla pubertà e breve revisione della letteratura pag. 1

Vittoria Berveglieri, Valentina Folgheraiter, Sarah Dalben, Rossella Gaudino

Il rischio suicidario negli adolescenti Lesbian Gay Bisexual Transgender Intersexual (LGBTI) pag. 5

Carlo Alfaro, Emma Acampora, Manlio Converti

La scelta della terapia estroprogestinica nell’età dell’adolescenza: cosa deve sapere il pediatra pag. 11

Silvia Ventresca, Graziamaria Ubertini, Agnese Suppiej, Armando Grossi

I protocolli di “Return to Play” all’attività sportiva agonistica dopo infezione da SARS-CoV-2. Che importanza hanno avuto nella salute della popolazione pediatrica? pag. 18

Ugo Giordano, Giulia Cafiero, Attilio Turchetta, Eliana Tranchita

L'adolescente e il consenso informato pag. 21

Serenella Castronuovo

ESPERIENZE SUL CAMPO

La scuola come luogo di prevenzione primaria in adolescenza: un progetto SIMA di “peer education” pag. 24

Carlo Alfaro

FRONT LINE

Malattie Rare e transizione: quale road map per una concreta realizzazione? pag. 31

Marina Macchiaiolo, Davide Vecchio

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Quando Morris non è: il caso di una adolescente con virilizzazione alla pubertà e breve revisione della letteratura

Vittoria Berveglieri, Valentina Folgheraiter, Sarah Dalben, Rossella Gaudino

AOUI Verona, Scuola di Specializzazione di Pediatria, Clinica Pediatrica, Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Odontostomatologiche e Materno-Infantili Università degli Studi di Verona, Verona.

Riassunto

Mutazioni del gene HSD17B3, localizzato sul cromosoma 9q22, determinano un deficit dell’isoenzima 17β-idrossisteroide deidrogenasi tipo 3 (17β-HSD3), associato ad un disordine dello sviluppo sessuale (DSD) con cariotipo 46,XY e fenotipo femminile. Spesso questa patologia non viene diagnosticata alla nascita, ma all’adolescenza per amenorrea primaria e virilizzazione. Il caso che presentiamo di diagnosi tardiva di deficit di 17β-HSD3 è emblematico per ricordare che questa patologia deve essere presa in considerazione nei casi di 46,XY DSD non definiti geneticamente. La corretta diagnosi differenziale è mandatoria per una adeguata presa in carico, per l’accompagnamento alla scelta dell’identità di genere e per il timing chirurgico, argomenti che rimangono tutt’oggi non chiari in letteratura.

Parole chiave: Adolescenza, virilizzazione, DSD, malattie rare.

Summary

Pathogenetic mutations in the HSD17B3, located on chromosome 9q22, lead to 17β-hydroxysteroid dehydrogenase type 3 (17β-HSD3) isoenzyme deficiency, etiopathogenetic for a disorder of sex development (DSD) with 46 XY karyotype and female phenotype at birth. Often at birth this condition is not diagnosed, seeking medical treatment during adolescence for primary amenorrhea and virilization. This case report of late diagnosis shows us that 17β-HSD3 deficiency should always be taken into account in patients with DSD and 46 XY karyotype for a correct management. Still an open question is the timing of the choice of gender identity and the consequent surgical intervention in adolescent age.

Key words: Adolescence, virilization, DSD, rare disease.

Presentazione del caso clinico

Descriviamo il caso di una ragazza di 13 anni portata all’attenzione del Centro di Endocrinologia Pediatrica di Verona per virilizzazione. La nostra paziente è nata da una gravidanza normo-decorsa caratterizzata dal riscontro di cariotipo 46 XY all’amniocentesi.

Alla nascita si evidenziano genitali esterni femminili e viene eseguita un’ecografia pelvica che mostra testicoli ritenuti ad eco-

struttura omogenea. Viene perciò posta diagnosi di sindrome di insensibilità completa agli androgeni (CAIS, sindrome di Morris) in accordo con le linee guida internazionali.

Cresciuta come femmina, i genitori hanno ricercato di nuovo le cure mediche durante l’adolescenza per insorgenza di virilizzazione ed assenza di sviluppo della ghiandola mammaria, segni che hanno messo in discussione la precedente diagnosi clinica di Morris. Dopo aver ripetuto il cariotipo, che confermava essere

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When it’s not Morris syndrome: a case of virilization during the adolescent age and brief review of literature

Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza

Volume 20, n. 3, 2022 e Volume 21, n. 1, 2023

46 XY, sono state effettuate le indagini genetiche per CAIS, non rivelando varianti di significato patologico. Oltre alla valutazione ginecologica, che ha riportato segni di virilizzazione con importante peluria pubica ed ipertrofia clitoridea, è stata eseguita una RMN addominale, che ha mostrato testicoli in canale inguinale, una agenesia uterina, assenza di annessi ovarici, vagina a fondo cieco e canale uretrale singolo.

Gli approfondimenti genetici ed ormonali hanno dapprima scartato l’ipotesi di sindrome di insensibilità parziale agli androgeni (PAIS), poi escluso anche il deficit di 5 alfa reduttasi di tipo 2, grazie ad un rapporto in range di normalità tra testosterone e diidrotestosterone (pari a 8.41). La diagnosi è stata indirizzata dal riscontro di un alto dosaggio di Δ4-androstenedione e basso rapporto testosterone/androstenedione (0.41) suggerendo il coinvolgimento dell’enzima 17 b -HSD3. L’analisi del gene HSD17B3 ha rivelato la presenza di due varianti patogenetiche in eterozigosi: la missenso c.221A>C, p. (Asn74Thr) nell’esone 3 frequente nella popolazione di origine olandese e la variante intronica c.227+4A>T che distrugge il sito di splicing. Sono stati perciò sequenziati anche i loci dei genitori, mostrando la variante c.221A>C, p.Asn74Thr nella linea materna e la variante c.227+4A>T nella linea paterna. La paziente è stata trattata con GnRH analogo per interrompere lo sviluppo puberale e ridurre la virilizzazione maschile, con buon risultato. Inoltre è stato prontamente avviato un supporto psicologico che ha confermato la sua identità femminile tramite l’utilizzo di specifici test psicologici. Attualmente è seguita da un gruppo multidisciplinare in attesa di esecuzione di gonadectomia e ricostruzione chirurgica vaginale.

Background

I 46 XY DSD, ossia “Disorder of Sex Development”, comprendono patologie dello sviluppo gonadico, della sintesi e dell’azione degli androgeni, della persistenza di strutture mulleriane e altri disordini inclassificabili. Sono caratterizzati da un genotipo 46 XY e un fenotipo con spettro variabile da femminile a completamente virilizzato, passando per genitali ambigui (atipici) (1).

Pertanto è assolutamente necessario porre una corretta diagnosi alla nascita di fronte a genitali ambigui o al riscontro casuale all’amniocentesi di un cariotipo differente dal fenotipo genitale. Una misdiagnosi potrebbe portare all’incorretta assegnazione del sesso e a scelte terapeutiche non raccomandabili, se non dannose per il paziente. In particolare pazienti con genitali femminili e cariotipo 46 XY possono erroneamente essere inquadrati come completa insensibilità agli androgeni (CAIS), essendo la più frequente patologia dei 46 XY DSD, con una incidenza stimata di 1/20.000 individui geneticamente maschi.

La CAIS ha trasmissione X linked e prevede una mutazione del gene per il recettore degli androgeni che induce un fenotipo femminile seppur geneticamente maschile. Anatomicamente si

Quando Morris non è: il caso di una adolescente con virilizzazione alla pubertà e breve revisione della letteratura

riscontra una vagina a fondo cieco senza la presenza di utero e ovaie, con testicoli ritenuti in addome o in canale inguinale. Agli esami di laboratorio si apprezzano testosterone ed LH elevati.

Alla pubertà vi è un normale sviluppo della ghiandola mammaria, con peli pubici assenti. Spesso la diagnosi può essere prepubere per la presenza di ernie inguinali sospette oppure durante la pubertà per amenorrea primaria.

La virilizzazione alla pubertà nel nostro caso mette perciò in discussione la diagnosi precedente, aprendo un ventaglio di altre patologie in diagnosi differenziale: la sindrome da parziale insensibilità agli androgeni (PAIS), il difetto di 5 alfa reduttasi di tipo II, il difetto di 17-b-idrossisteroido deidrogenasi tipo 3 (2).

La PAIS ha trasmissione X linked e consiste in una mutazione parziale del gene per il recettore degli androgeni. Il genotipo è maschile, ma il fenotipo è spesso variabile (ipospadia, scroto bifido o criptorchidismo con clitoridomegalia). Questi individui possono perciò essere allevati come maschi o come femmine in base alla differenziazione dei genitali esterni.

A livello laboratoristico si riscontrano testosterone ed LH elevati o in range di normalità. Alla pubertà vi è un normale sviluppo della ghiandola mammaria, peli pubici, assenza di barba e cambiamenti nella voce (2).

Il deficit di 5areduttasi di tipo II a trasmissione autosomica sia recessiva che dominante, consiste in un deficit della biosintesi del di-idrotestosterone periferico, ottenuto grazie all’azione della 5 alfa reduttasi sul testosterone. Il fenotipo è variabile: pene piccolo, scroto bifido, seno urogenitale con ipospadia, vagina a fondo cieco; i testicoli sono spesso in canale inguinale senza strutture mulleriane (assenza di utero e tube). Alla pubertà vi è una virilizzazione con aumento delle dimensioni del fallo, discesa dei testicoli e spermatogenesi. Tipicamente si assiste ad assenza di ginecomastia e crescita della barba, con altezza maschile. Questa mutazione è contraddistinta agli esami ematochimici da un rapporto testosterone/di-idrotestoterone aumentato (valori normali -VN- <15) (3).

Il deficit di 17bHSD III ha eredità autosomica recessiva con una incidenza di 1:147.000 neonati. L’enzima 17 beta idrossisteroido deidrogenasi è coinvolto negli step finali della sintesi del testosterone, di cui l’isoenzima III è espresso a livello testicolare. Per l’assenza di produzione di testosterone durante la vita fetale, questo deficit è caratterizzato fenotipicamente da genitali esterni femminili con vagina fondo cieco e completa assenza anatomica di strutture mulleriane. La diagnosi è basata sul rapporto testosterone/delta 4 androstenedione ridotto (VN > 0.8) e spesso avviene alla pubertà a causa della virilizzazione (causata dall’azione dell’isoenzima surrenalico) e dell’amenorrea. Il testosterone, ridotto in età pre-pubere, alla pubertà potrebbe apparire normale grazie alla conversione periferica dell’androstenedione in testosterone (4).

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Quando Morris non è: il caso di una adolescente con virilizzazione alla pubertà e breve revisione della letteratura

Approccio al paziente con 46 XY DSD con virilizzazione alla pubertà

Anamnesi ed esame obiettivo

Di fronte a una paziente con virilizzazione alla pubertà una corretta e approfondita anamnesi spesso permette un adeguato inquadramento clinico. In particolare è necessario raccogliere un'adeguata anamnesi familiare, ricercando una storia simile in altri membri della famiglia, in quanto spesso in letteratura sono descritti cluster familiari e alcune delle patologie più frequenti sono a trasmissione X linked (1). Inoltre risulta particolarmente importante la valutazione degli esami laboratoristici ed ematochimici precedenti, in quanto il quadro ormonale pre-pubere valutato dopo la stimolazione con hCG potrebbe essere dirimente sulla produzione testicolare di testosterone e diidrotestosterone, utile ai fini diagnostici. La raccolta dell’anamnesi patologica prossima, con particolare attenzione al timing di comparsa e di progressione dei segni di virilizzazione (peli pubici, cambiamento del tono di voce, crescita o meno della ghiandola mammaria, aumento delle dimensioni del clitoride), amenorrea e l’inizio della pubertà può anch’essa risultare utile ai fini diagnostici. L’esame obiettivo è necessario per la valutazione dei segni di virilizzazione e la valutazione dei genitali esterni. In particolare è raccomandata una adeguata descrizione dei genitali, se simmetrici o asimmetrici. la descrizione della rafe labio-scrotale (pigmentazione, ruvidità, simmetria, grado di fusione), dimensione del clitoride in lunghezza e larghezza, presenza di meato urogenitale, presenza di gonadi palpabili. Particolare attenzione va alla valutazione delle vie urinarie ed eventuali fusioni con meato urogenitale unico. Inoltre è sempre bene riportare lo stadio di Tanner e possibilmente il punteggio di Ferriman e Gallwey per la quantificazione dell’irsutismo (5).

Esami di laboratorio e strumentali

In un paziente con virilizzazione alla pubertà e storia di 46 XY DSD sono suggeriti esami di primo livello che comprendono il cariotipo, dosaggio basale di FSH, LH, testosterone, diidrotestosterone,

Tabella 1.

delta 4 adrostenedione, ACTH, DHEAS, 17OHP, ormone antiMulleriano e Inibina B. A seguire esami di secondo livello come test da stimolo con Triptorelina ed eventuale test al hCG (5). Questi esami hanno il fine di escludere eventuali difetti di biosintesi degli androgeni o dei loro precursori. Il test al decapeptyl è utile per valutare l’asse ipotalamo/ipofisi/gonadi con il dosaggio delle gonadotropine per determinare l'inizio della pubertà. In caso di condizione pre-pubere potrebbe essere utile valutare la funzionalità del tessuto testicolare tramite test con hCG come stimolo nella produzione di testosterone e DHT (6). In particolare per la CAIS testosterone ed LH sono elevati, segno di una adeguata produzione ma mancanza del recettore per l’espressione fenotipica (2). Nel deficit di 17bHSD III si riscontra un rapporto testosterone/delta 4 androstenedione ridotto (VN > 0.8) (4) e nel deficit di 5areduttasi di tipo II un rapporto testosterone/di-idrotestoterone aumentato (VN <15) (3). Spesso lo screening per la sindrome adrenogenitale congenita, causa del 50% dei casi di genitali ambigui alla nascita, viene eseguito per virilizzazione già in epoca neonatale in soggetti con cariotipo 46 XX, per cui non viene trattata in questo articolo, rimanendo comunque una delle cause di virilizzazione sempre da escludere attraverso il dosaggio di ACTH e DEAH e 17OHP (5). Gli studi di diagnostica per immagini sono necessari per una valutazione anatomica, in particolare inizialmente con una ecografia pelvica, al fine di visualizzare eventuali gonadi in canale inguinale o in pelvi. La risonanza (RMN) pelvica permette di valutare la presenza di strutture mulleriane e delle vie urogenitali, utile ai fini diagnostici, ma anche per eventuali trattamenti chirurgici successivi (6). Fondamentale per la diagnosi è il sequenziamento dei principali geni coinvolti, suggeriti dai risultati di laboratorio e di imaging. In particolare è possibile un sequenziamento mirato oppure il whole exome sequencing nei casi di difficile diagnosi. Nonostante gli sforzi diagnostici, ancora circa il 50% dei 46 XY DSD rimangono senza una chiara diagnosi (1). In particolare la Tabella 1 mostra la diagnosi differenziale dei pazienti con 46 XY DSD basata sui livelli ormonali e studi di imaging (6).

Diagnosi differenziale dei pazienti con DSD 46 XY in base ai livelli ormonali e studi di imaging (T: testosterone; AIS: amdrogen insensitivity syndrome; DHT: diidrotestosterone; AMH: antimullerian hormone).

Rivista
Volume 20, n. 3, 2022 e Volume 21, n. 1, 2023 3
Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Diagnosi Disgenesia Gonadica Difetti di steroidogenesi AIS Deficit di 5areduttasi II Difetto produzione T produzione T azione T/DHT metabolismo T Livello di T baseline ↓ ↓ Normale o ↑ Normale o ↑ e dopo hCG Livelli precursori T ↓ 17 HSD III → ↑ A/T Normale Normale 3 HSD II → ↑ 17OHP DHT ↓ ↓ Normale ↓ con ↑ T/DHT AMH ↓ Normale Normale Normale LH ↑ ↑ ↑↑ Normale FSH ↑↑ Normale Normale/↑ Normale Utero in pelvi Presente o assente Assente Assente Assente

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Volume 20, n. 3, 2022 e Volume 21, n. 1, 2023

Terapia

La terapia dipende dalla patologia sottostante al 46 XY DSD ma può comprendere interventi farmacologici e l’eventuale chirurgia correttiva considerando sia la possibile fertilità residua che il genere in cui si identifica il paziente.

Per quanto riguarda il trattamento farmacologico è possibile individuare un trattamento sostitutivo (androgenico o estrogenico), che dipende dal tipo di DSD, e un trattamento frenante la pubertà per limitare il processo di virilizzazione (6). Quest’ultimo viene intrapreso con GnRh analoghi, dando la possibilità al paziente di identificare il proprio genere attraverso un percorso psicologico e un supporto multidisciplinare.

Attualmente la scelta chirurgica è ancora dibattuta con plurimi interrogativi non ancora risolti, come il timing e la gestione della fertilità residua. La necessità di una scelta chirurgica che possa armonizzare l’identità di genere con il fenotipo genitale è spesso una richiesta sentita dai pazienti con 46 XY DSD, soprattutto in un periodo di cambiamento come l’adolescenza. Nel caso del deficit di 17bHSD III si stima che, nel caso di pazienti allevate come femmine non orchiectomizzati (come nel nostro case report), il 69% mantiene l’identità di genere femminile, mentre il 39% decide di cambiare in maschile (4).

Rimane ancora dibattuto il giusto timing dell’intervento: sebbene l'American Academy of Pediatrics raccomandi la chirurgia genitale attorno ai 18 mesi, membri dell’organizzazione per i diritti umani ed esperti di etica sono fermamente contrari a tali pratiche illustrando studi retrospettivi che riportano scarsi risultati estetici e funzionali associati all'irreversibilità di queste procedure. Fino a quando non sarà risolta questa controversia, rimangono ai care givers e ai professionisti scelte chirurgiche da personalizzare caso per caso attraverso un supporto multidisciplinare (6).

Gli individui con 46 XY DSD spesso affrontano l'infertilità a causa

Quando Morris non è: il caso di una adolescente con virilizzazione alla pubertà e breve revisione della letteratura

di uno sviluppo anormale delle gonadi e insufficienza gonadica progressiva, gonadectomia profilattica per il rischio di malignità, produzione ormonale anormale che altera la formazione dei gameti o le barriere anatomiche. Alcuni tipi di DSD non comportano completa infertilità, per cui la corretta informazione e l'uso delle tecniche di conservazione della fertilità potrebbe essere ampliato anche in questi individui al momento della chirurgia (7).

Bibliografia

1. Kliegman, St Geme, Blumeì, Shah, Tasker, Wilmon; Nelson Textbook of pediatrics; 21st edition; Elsevier

2. Tyutyusheva N, Mancini I, Baroncelli GI, et al. Complete Androgen Insensitivity Syndrome: From Bench to Bed. Int J Mol Sci. 2021; 22(3):1264.

3. Cheon CK. Practical approach to steroid 5alpha-reductase type 2 deficiency. Eur J Pediatr. 2011; 170(1):1-8.

4. Mendonca BB, Gomes NL, Costa EM, et al. 46,XY disorder of sex development (DSD) due to 17β-hydroxysteroid dehydrogenase type 3 deficiency. J Steroid Biochem Mol Biol. 2017; 165(Pt A):79-85.

5. Santi M, Graf S, Zeino M, et al. Approach to the Virilizing Girl at Puberty. J Clin Endocrinol Metab. 2021; 106(5):1530-1539.

6. Wisniewski AB, Batista RL, Costa EMF, et al. Management of 46,XY Differences/Disorders of Sex Development (DSD) Throughout Life. Endocr Rev. 2019; 40(6):1547-1572.

7. Islam R, Lane S, Williams SA, et al. Establishing reproductive potential and advances in fertility preservation techniques for XY individuals with differences in sex development. Clin Endocrinol (Oxf). 2019; 91(2):237-244.

Conflitto d'interesse ed eticità: Gli Autori dichiarano l'assenza di conflitto d'interesse. Il contenuto del caso clinico è conforme alla legislazione vigente in materia di etica dello studio.

Corrispondenza:

Rossella Gaudino

AOUI Verona, Scuola di Specializzazione di Pediatria, Clinica Pediatrica, Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Odontostomatologiche e Materno-Infantili Università degli Studi di Verona

Piazzale Aristide Stefani, 1 - 37126 Verona

E-mail: rossella.gaudino@univr.it

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Il rischio suicidario negli adolescenti Lesbian Gay Bisexual Transgender Intersexual (LGBTI)

Carlo Alfaro 1, Emma Acampora 2, Manlio Converti 3

1 U.O.C. di Pediatria, Ospedali Riuniti Penisola sorrentina, Vico Equense, Napoli; 2 Pediatria libera scelta, Asl Napoli 3 sud; 3 Psichiatra, Asl Napoli 2 Nord, Presidente Amigay.

Riassunto

La suicidalità rappresenta un grave problema di salute pubblica globale, i cui tassi sono in crescita, anche nei minorenni e soprattutto a seguito della pandemia da COVID-19. Le persone LGBTI presentano un rischio suicidario superiore alla media. L’adolescenza rappresenta una fase cruciale per lo sviluppo del rischio suicidario che nella comunità LGBTI appare fortemente correlato all’omofobia e al Minority stress che ne consegue. Per la prevenzione, appaiono fondamentali il Coming out e il suo sostegno in ambito familiare, scolastico, sociale e per le persone transgender, la terapia affermativa di genere.

Parole chiave: Suicidio, Adolescenza, LGBTI, Omofobia, Minority stress, Coming out, Prevenzione

Suicidal risk in lesbian gay bisexual transgender intersexual (LGBTI) adolescents

Summary

Suicidality is an important global public health problem. Unfortunately, the rates of suicides are increasing, even among minors and especially following the COVID-19 pandemic. LGBTI people show an increased suicidal risk. Adolescence is a critical phase for the development of suicidal risk. In the LGBTI community suicidality appears strongly correlated with homophobia and her resut, the Minority stress. For prevention, are fundamental Coming out and its support, in the family, school and social sphere, and, for transgender people, gender affirmative therapy.

Key words: Suicide, Adolescence, LGBTI, Homophobia, Minority stress, Coming out, Prevention.

Suicidio e adolescenza

Il suicidio o il suo tentativo, o gli atti di autolesionismo suicidario che spesso ne sono i precursori, non esprimono solitamente o sempre la volontà di morire, ma piuttosto il disperato bisogno di porre fine a una sofferenza percepita come talmente immane, travolgente, indesiderata e intollerabile, senza alternative o possibilità di controllo, da aver bisogno di una risposta urgente per fermarla, una risposta che la deriva emotiva del momento non riesce a individuare con razionalità in una soluzione alternativa all’attacco al corpo (“tunnel vision”) (1). Secondo i dati dell’OMS,

a livello globale si verificano 800.000 decessi ogni anno per suicidio, 1 persona ogni 40 secondi, con un tasso di 11,4 casi per 100.000 abitanti. In Europa, ci sono 56.200 suicidi/anno e in Italia

4.000 casi all’anno, pari a 5 casi per 100.000 residenti, di cui circa 200 sono giovani sotto i 25 anni. Per ogni suicidio realizzato, ci sono dai 10 ai 25 tentativi di suicidio (“evento sentinella”), fino a 1 ogni 3 secondi, compresi i “para-suicidi” (forme gravi di autolesionismo) e i tentativi di suicidio inconsci (es. guida pericolosa). La prevalenza aumenta con l’età, da 0,7 casi per 100.000 nei giovani entro i 19 anni a 10,5 negli anziani. Tuttavia, mentre per gli ultrasettantenni a livello mondiale il suicidio rappresenta

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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza

Volume 20, n. 3, 2022 e Volume 21, n. 1, 2023

Il rischio suicidario negli adolescenti Lesbian Gay Bisexual Transgender Intersexual (LGBTI)

solo lo 0,2% dei decessi, tra i giovani con età compresa tra i 15 e i 29 anni arriva al 13%. Riguardo alla fascia adolescenziale (1019 anni) i dati globali OMS 2010-2016 riferiscono un tasso di suicidio di 3,77/100.000 persone. Il suicidio è la seconda causa di morte nel mondo tra le ragazze (dopo la maternità) e la terza nei ragazzi (dopo lesioni stradali e violenza interpersonale) (2). Tra i morti per suicidio i maschi sono 3 su 4, ma i tentativi sono prevalenti tra le donne (“paradosso di genere”), anche perché i maschi fanno maggior uso di armi letali e hanno più fattori di rischio come uso di sostanze e comportamenti aggressivi e pericolosi (3). Negli USA, la percentuale annuale di pre-adolescenti e adolescenti ricoverati negli ospedali pediatrici statunitensi per ideazione suicidaria o tentativo di suicidio è raddoppiata dal 2008 al 2015, soprattutto nella fascia 15-17 anni (4). Il Focus sull’Europa del Rapporto annuale Unicef “La condizione dell’infanzia nel mondo: Nella mia mente” (dati 2019) riferisce che circa 1.200 ragazzi di 10-19 anni muoiono di suicidio ogni anno (3 al giorno), di cui 69% maschi e 31% femmine; la fascia più colpita è 15-19 anni (5). Sia per il suicidio che per l’autolesionismo, l’adolescenza rappresenta una fascia di età ad alto rischio, per diversi motivi: fragilità psichica legata al difficile compito evolutivo di costruzione della propria identità, investimento mentale enfatizzato sul corpo, prevalenza delle aree cerebrali che portano a impulsività e scarsa valutazione delle conseguenze a lungo termine delle proprie azioni (6). L’autolesionismo costituirebbe un processo di assuefazione alla paura e al dolore, rendendo così la persona “capace” di suicidio. L’indice di mortalità per autolesionismo è circa del 9-10% (morti non premeditate), mentre il tasso a 1 anno di rischio di suicidio in giovani autolesionisti di 1224 anni è 26,7 volte più alto rispetto alla popolazione generale; fattori di rischio suicidario per gli autolesionisti sono l’essere adolescenti, di sesso maschile, con ricorso a metodi violenti (7). Campanelli di allarme per rischio suicidario negli adolescenti possono essere molteplici: malessere, stanchezza, abbattimento, umore basso/tristezza, ansia, agitazione, attacchi di panico, irritabilità, aggressività, difficoltà di concentrazione/distraibilità, disturbi del sonno, chiusura in se stessi, distacco dalla famiglia e dagli amici, abbandono degli interessi e delle attività consuete, cambiamento brusco delle abitudini, scarso rendimento a scuola o sul lavoro, facilità al pianto, senso di colpa, perdita di autostima, auto-svalutazione, isolamento sociale, apatia, pessimismo, sensazione di essere un peso per gli altri, senso di inutilità e fallimento, disturbi alimentari, fluttuazioni del peso, disturbi psicosomatici, comportamenti autodistruttivi o pericolosi, pensieri o enunciati di morte o di disperazione o atteggiamenti fortemente negativi, rinuncia a oggetti personali o cose care, deposito di testamento (8). La presenza a 6-12 anni di irritabilità (frustrazione e rabbia) o ansia o depressione, raddoppia il rischio di ideazioni e tendenze suicidarie all’età di 13-17 anni, soprattutto tra le bambine (rischio aumentato di 3 volte) (9). Fattori di rischio per ideazione suicidaria sono tutti gli eventi che mettono in crisi la sicurezza individuale: perdita di figure di riferimento, deprivazione

affettiva, qualità conflittuale delle relazioni familiari ed extra-familiari, violenze, abusi o traumi infantili, marginalità socioeconomica, fallimenti lavorativi e scolastici, discriminazione, bullismo, violenza, abusi, guai giudiziari, malattie, dolore cronico, disastri, conflitti o altre emergenze, appartenenza a minoranze vessate (“minority stress”) ad es. rifugiati e migranti o adolescenti LGBTI (10), oltre ad una ipotizzata predisposizione genetica (11).

Suicidio negli adolescenti LGBTI: prevalenza

I soggetti della comunità LGBTI di ogni età appaiono più esposti al rischio suicidario, sebbene i tassi possano essere sottovalutati perché non sempre la propria appartenenza a una minoranza sessuale viene dichiarata o indagata; il rischio appare particolarmente elevato in adolescenza (12). Uno studio su ideazione suicidaria e autolesionismo nei giovani LGB (quindi, con esclusione della popolazione transgender/intersex) nella Svizzera urbana a 15, 17 e 20 anni, ha mostrato ad esempio percentuali significativamente più elevate di entrambe le condizioni all’età di 17 e 20 anni rispetto ai loro coetanei eterosessuali (13). Il National Youth Risk Behavior Survey, la più grande indagine sulla salute degli adolescenti americani, condotta su 15.624 studenti delle scuole superiori con anagrafica inclusiva, nel rapporto 2017 riferisce che, tra i giovani LGBTI, il 40% aveva seriamente preso in considerazione il suicidio, il 35% lo aveva pianificato e il 25% lo aveva tentato, rispetto al 15%, 12% e 6%, rispettivamente, tra i giovani cisgender/eterosessuali. Anche dopo l’aggiustamento per fattori confondenti quali le differenze di età, sesso, razza, livello di voti accademici e conoscenza della lingua inglese, i giovani appartenenti a minoranze sessuali manifestavano una probabilità di 2,45 volte superiore di prendere in considerazione il suicidio, 3,59 volte superiore di pianificarlo e 3,37 volte di tentarlo rispetto a giovani con caratteristiche simili non LGBTI (14). In un altro studio statunitense, il rischio suicidario in adolescenti appartenenti a minoranze sessuali tra il 2009 e il 2017 è rimasto sempre 3 volte maggiore rispetto agli studenti cisgender/eterosessuali (15). Una metanalisi dell’Università di Milano Bicocca su 35 studi per un totale di 2,5 milioni di adolescenti (12-20 anni) di tutto il mondo conclude che il suicidio è la seconda causa di morte tra gli adolescenti, ma negli adolescenti LGBTI il tasso di rischio è tre volte e mezzo maggiore (OR=3.50) rispetto ai loro coetanei cisgender ed eterosessuali, e nell’ambito di questa popolazione il rischio è maggiore per gli adolescenti transgender (OR=5.77) (16). I dati del 2019 del gruppo di ricercatori del Trevor Project, associazione che si occupa specificamente del suicidio negli adolescenti LGBTI, mostrano che in questo gruppo la suicidalità è 4 volte più frequente, al punto che, dopo la depressione, l’orientamento sessuale rappresenta il predittore più forte di ideazione suicidaria. Le persone transgender hanno il maggior rischio, seguite dai bisessuali (17). Questi dati hanno subito un ulteriore peggiora-

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mento con la pandemia da COVID-19. La pandemia da COVID19 ha aumentato a livello globale molti dei fattori di rischio per ideazione suicidaria: stato di “paura generalizzata”, cambiamenti repentini delle abitudini, insicurezza sulla salute, scarsa possibilità di accesso alle strutture sanitarie, malattie dei propri cari, instabilità economica, disconnessione sociale, conflitti e violenza familiare, aggravamento di disturbi psichiatrici preesistenti (18). Per gli adolescenti LGBTI, si sono aggiunti come fattori di rischio l’aumento di isolamento dal gruppo di appartenenza alla stessa minoranza sessuale e la violenza domestica quando la famiglia non è solidale. L’ultimo sondaggio online 2021 del Trevor Project basato su quasi 35.000 interviste online ha rilevato che il 42% degli intervistati ha seriamente preso in considerazione il tentativo di suicidio nell’ultimo anno (19).

I fattori di rischio: l’omofobia

Per comprendere i motivi del documentato aumento di suicidalità per gli adolescenti appartenenti a minoranze sessuali la letteratura si è concentrata sull’individuazione dei fattori di rischio; sono emersi in particolare: isolamento sociale; bassa autostima; abuso di sostanze; depressione, ansia e altri problemi di salute mentale; esperienze di stigma e discriminazione, tra cui rifiuto familiare, bullismo, cyberbullismo, molestie e maltrattamenti; leggi e politiche pubbliche che incoraggiano lo stigma e la discriminazione, nonché la mancanza di leggi e politiche che tutelino dalle discriminazioni (20). I tentativi di terapia riparativa per cambiare l’orientamento e il genere delle persone LGBTI hanno un forte impatto sul loro rischio suicidario, al punto da rappresentare il maggior predittore di suicidalità, seguito dal vivere in un ambiente omofobo/transfobo; chi invece ha fatto Coming out vive il minor rischio in assoluto (16). In pratica, dagli studi emerge chiaramente come sia lo stigma omofobo ad aumentare il rischio suicidario negli adolescenti LGBTI (21). L’omofobia, resa possibile dalle rigide norme socialmente accettate circa genere e sessualità, viene percepita dai giovani appartenenti a minoranze sessuali non come un semplice rifiuto del genere o dell’orientamento sessuale che esprimono, ma come rifiuto dell’intero sé, cui possono rispondere col suicidio come un modo per fuggire o paradossalmente per incarnare il rifiuto degli altri (22). Per omofobia (o omo-transfobia) si intende l’insieme di sentimenti e atteggiamenti negativi contro le persone LGBTI: disagio, svalutazione, disprezzo, disgusto, avversione, odio, ostilità, ostracismo, rifiuto, conflitto, pregiudizio, discriminazione, disconoscimento, persecuzione, bullismo, stigmatizzazione, esclusione, marginalizzazione, aggressione fisica e verbale (23). Si distingue una forma “istituzionalizzata”, che si basa sull’eterocentrismo/ciscentrismo e sull’eteronormatività/cisnormatività (la cultura eterocentrica, o eterosessismo, rende l’ambiente non accogliente per una persona LGBTI in modo da farla sentire non a suo agio nella comunità o nella società) e una “interiorizzata”, che si riferisce al

complesso di emozioni e percezioni negative che una persona prova più o meno consapevolmente nei confronti della propria identità sessuale e verso le persone LGBTI (24). L’omofobia si può tradurre in atti di bullismo (omofobico) che può essere manifestato in modo attivo (diretto) o indiretto. Le persone LGBTI subiscono l’omofobia fin dalla nascita nel contesto familiare, scolastico, sociale, sanitario. La violenza è particolarmente accentuata sulle persone transgender, e nel loro ambito contro le persone MtF, causa la “femofobia” della società sessista (25). In crescita anche la violenza in rete: una revisione sistematica della letteratura ha esaminato 27 studi empirici che esplorano gli effetti del cyberbullismo sui giovani LGBTI, trovando percentuali tra il 10,5% e il 71,3% e tassi maggiori rispetto ai coetanei eterosessuali (26).

Dall’omofobia al Minority stress al suicidio

La persona colpita da omo-transfobia è fortemente esposta al rischio di andare incontro al Minority stress, per cui si intende l’insieme degli effetti negativi sul benessere psicologico e sulla salute mentale delle minoranze sottoposte in maniera sistematica e continuativa a vessazioni in virtù della loro condizione (27). Le persone esposte al Minority stress sperimentano una serie di sentimenti negativi, che impattano sulla loro salute mentale: paura, ansia, vissuto paranoideo di continuo pericolo, isolamento, vergogna, colpa, insicurezza, scarsa autostima, scarsa accettazione di sé, senso di inferiorità, autosvalutazione. Ne possono conseguire difficoltà relazionali, comportamenti di evitamento, autodistruttività, strategie difensive per evitare/diminuire il rifiuto sociale, alienazione sociale e “passing” (“scomparsa sociale”), interruzione del percorso scolastico e difficoltà di iniziare quello lavorativo, povertà, prostituzione, delinquenza, barbonismo (28). I meccanismi del Minority stress iniziano ad operare sin dall’infanzia. Si è trovato che gli eventi avversi nell’infanzia di tipo traumatico, compresi i maltrattamenti subiti da minori con diversità sessuale, causano direttamente modifiche dell’espressione genetica dei neurotrasmettitori come la metilazione del trasportatore della serotonina, implicato nel rischio di depressione (29). Nelle persone LGBTI, il Minority stress rappresenta il principale percorso di retroazione negativa che sostiene il malessere, il bisogno di conforto nel cibo, nelle sostanze di abuso, nel sesso promiscuo, compulsivo e non protetto, i comportamenti autodistruttivi e aumenta la loro mortalità globale per tutte le cause, riducendone l’aspettativa di vita. Una ricerca statunitense, utilizzando i dati dello studio General Social Survey/National Death Index, ha esaminato la relazione tra lo stigma contro l’omosessualità e la mortalità per tutte le cause tra uomini gay/donne lesbiche, trovando una relazione tra il vivere in contesti con livelli più alti di omofobia e stigma e maggior rischio di mortalità, mentre l’ambiente omofobo aumenta molto meno la mortalità delle coppie omosessuali

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stabili o sposate (30). Sono descritti con maggior frequenza nella popolazione LGBTI che in quella cis ed etero: ansia e depressione, disregolazione emotiva, abbandono scolastico, sindrome amotivazionale, disturbi del sonno, disturbi del comportamento alimentare, malattie psico-somatiche, sindrome da abuso di alcol o sostanze, disturbo bipolare, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo post- traumatico da stress, autolesionismo e suicidio, ADHD, demenza (31). Il Minority stress rappresenta l’anello di congiunzione tra stigma sociale nei confronti delle minoranze sessuali e i loro comportamenti suicidari (32). Il nucleo psicopatologico della suicidalità nella popolazione LGBTI è rappresentato dalla depressione, dalla percezione di essere un peso per gli altri per cui la propria auto-eliminazione sarebbe meglio per tutti e dalla sensazione di “intrappolamento” da cui non si intravede una via di uscita (33). La pressione al cambiamento della propria natura per uniformarsi alle aspettative etero e cis-normate è quello che “uccide” di più i minori LGBTI (34).

La prevenzione: il ruolo del Coming out

La letteratura ha identificato diversi fattori protettivi nei confronti del suicidio degli adolescenti LGBTI: consentire e sostenere l’affermazione della propria identità sessuale; aumentare l’accettazione della famiglia; ridurre stigma e pregiudizio; promuovere l’inclusione sociale; ridurre il bullismo e altre forme di vittimizzazione; favorire il rinforzo positivo attraverso modelli sociali positivi di riferimento; aumentare l’accesso alle cure sanitarie; aumentare le protezioni legali contro le discriminazioni (35). Le persone LGBTI che vivono in aree con un maggior grado di stigma sociale verso l’omosessualità tendono ad eseguire il suicidio in età più giovane, mentre le persone LGBTI che dichiarano pubblicamente la propria condizione vedono ridurre il rischio suicidario (36). In pratica, il Coming Out, ma soprattutto il suo supporto inteso come sostegno alla visibilità LGBTI in famiglia, a scuola, in società e in ambiente sanitario, rappresenta il primo e principale strumento di prevenzione del Minority stress e delle sue conseguenze devastanti (37). Il Coming Out è costituito da una dimensione interna e una esterna. L’intero processo può impiegare anni e richiede diversi passaggi (non necessariamente sempre nello stesso ordine): smettere di identificarsi come eteronormato, sviluppare un’identità LGBTI individuale, sociale, familiare, creare una intimità sessuale/affettiva LGBTI, entrare in relazione con altre persone LGBTI. Il mancato Coming Out produce viceversa una serie di effetti negativi: aumento delle attese eteronormate dei familiari e maggiore reazione di sorpresa/rifiuto in seguito, assenza di supporto emotivo dei genitori verso le esperienze adolescenziali, con maggior rischio di adozione di stili di vita pericolosi e vissuti di stress, paura/paranoia di essere scoperti o subire Outing (rivelazione non voluta della propria condizione sessuale), minore accesso alla vita sociale e relazionale e al sup-

porto efficace dei coetanei, di altre persone LGBTI, di partner, di comunità LGBTI, maggiore esposizione alla “propaganda” familiare eterosessista e maggiore omofobia interiorizzata (38).

L’accettazione della famiglia

Il ruolo della famiglia appare essenziale per il benessere del minore LGBTI. Spesso la famiglia rifiuta i minori LGBTI e li maltratta con svalutazione, punizioni, violenza fisica e verbale, induzione di senso di colpa e vergogna con l’obiettivo di cercare di modificarne il comportamento e costringerli ad adeguarsi al genere assegnato o all’orientamento eterosessuale (39). La prima reazione dei genitori è in genere la sorpresa, che potrebbe essere limitata se già dai Corsi di Accompagnamento alla Nascita, e poi in ambito di Pediatria e Medicina di Base, si facesse passare il concetto che il 10% dei figli nasce LGBTI. Le emozioni più comuni riferite dai genitori comprendono compassione, colpa, confusione, immobilità, paura, ansia, tristezza, rabbia, disgusto.

Tranne il disgusto, che è più pericoloso perché espone al rischio di violenza o espulsione, le altre emozioni possono cambiare nel tempo attraverso il fenomeno dell’adattamento o del lutto se si mantiene il dialogo e si dà tempo di elaborare (2-6 mesi).

Un rapporto positivo dalla prima infanzia con i genitori facilita il Coming out e il suo esito felice. Se si verificano l’accettazione e il supporto dei genitori al Coming out, anche dopo un periodo di lutto o adattamento, si riduce in modo significativo il Minority stress con tutti i rischi connessi, oltre a garantire al figlio: una risorsa per il supporto futuro agli effetti di eventi di vita negativi, un consolidato senso del sé e della propria identità che offre capacità di resilienza alle esperienze di omofobia sociale, una lente per rilevare con precisione le intenzioni positive e negative degli altri, una capacità di elaborare positivamente le esperienze. Negli USA gli studi retrospettivi dimostrano che, anche se occorre tempo e dopo una reazione di sorpresa anche negativa, la maggior parte delle relazioni genitori/figli LGBTI è sana e positiva (40). Il “Clinical social worker Caitlin Ryan’s Family Acceptance Project” della San Francisco State University ha condotto uno studio sugli effetti dell’accettazione da parte della famiglia sulla salute e il benessere dei giovani LGBTI, riscontrando che coloro che sperimentano alti livelli di rifiuto da parte delle loro famiglie durante l’adolescenza, ai 20 anni di età sono: più di 8 volte esposti al rischio di suicidio, più di 6 volte propensi alla depressione, più di 3 a rischio di utilizzo di droghe illegali, più di 3 volte a rischio HIV o altre malattie sessualmente trasmissibili (41).

L’accettazione da parte dei genitori, o anche solo la loro neutralità, può far scendere drasticamente il tasso di tentativi di suicidio. L’accettazione dei genitori è un processo che deve essere ben sostenuto e che spesso richiede una psicoterapia familiare specifica (42).

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Il ruolo della scuola

Anche l’ambiente scolastico è fonte generalmente di enorme stress per i minori LGBTI. Spesso gli studenti che non si conformano ai ruoli sessuali tradizionali possono essere ingiustamente trattati come se si comportassero male o disobbedissero alle regole (43). Uno studio brasiliano dello Stato del Pernambucò su 2.500 adolescenti ha diviso le Scuole in quattro fasce in base alla visibilità degli alunni LGBTI (dal 1% al 15%): nelle scuole con maggiori restrizioni maschiliste ed eterosessiste c’era minore visibilità LGBTI e maggiore frequenza di DCA e disturbi della salute mentale in tutti gli studenti della Scuola, anche se soprattutto in quelli LGBTI (44). I tassi di suicidio sembrano maggiori quando lo stigma viene dagli insegnanti. Le scuole dovrebbero essere educate al rispetto di politiche inclusive (45). Le Scuole friendly nei confronti di studenti LGBTI aumentano il benessere e la salute mentale di tutti gli studenti: si riducono, non solo per quelli appartenenti a minoranze sessuali, rischio suicidario, abuso di stupefacenti, discriminazioni e bullismo, ansia e depressione. Sono risultati efficaci strumenti quali: creare gruppi misti di lavoro e cooperazione tra adolescenti etero- e cis- e quelli appartenenti a minoranze sessuali, bagni differenziati per gli studenti intersex e transgender, norme specifiche contro il bullismo omo-transfobico, formazione degli insegnanti sulle esigenze relazionali degli studenti LGBTI a partire dal supporto alla visibilità, utilizzo di testi e temi scolastici su questioni o personaggi storici LGBTI, supporto psicologico specifico per gli studenti LGBTI con difficoltà psicologiche da Minority stress (46).

L’affermazione di genere

Per gli adolescenti transgender, l’uso di triptorelina o ancor di più di ormoni cross-sex, consentendo l’affermazione del genere desiderato, diverso da quello assegnato alla nascita, ha mostrato di influire positivamente sul benessere mentale e di abbassare il rischio suicidario, mentre il rifiuto o la procrastinazione della terapia ormonale, quando i giovani la richiedono, aumenta significativamente depressione e rischio suicidario (47).

Conclusioni

I giovani LGBTI devono essere messi in grado di esercitare il loro diritto di partecipare a tutti gli aspetti della vita comunitaria e vedersi garantito il diritto di essere protetti da violenza e molestie.

È necessario che i Governi e le Istituzioni Sanitarie col supporto dei media e di tutta la società civile adottino misure sistematiche per aumentare l’accettazione della famiglia e della scuola, garantire l’affermazione dell’identità sessuale, promuovere l’inclusione sociale, ridurre stigma e pregiudizio, contrastare bullismo e altre forme di vittimizzazione, aumentare l'accesso alle cure sanitarie,

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migliorare la sicurezza, assicurare parità di trattamento, punire le discriminazioni. Solo così si eviterebbe di condannare a morte attraverso il suicidio e altre condotte a rischio adolescenti che hanno l’unica colpa di essere fedeli a se stessi.

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Corrispondenza:

Carlo Alfaro

U.O.C. di Pediatria - OO.RR. Penisola sorrentina.

Vico Equense, Napoli

Tel. 0818729199

e-mail: carloalfaro@tiscali.it

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Il rischio suicidario negli adolescenti Lesbian Gay Bisexual Transgender Intersexual (LGBTI)

La scelta della terapia estroprogestinica nell’età dell’adolescenza:

cosa deve sapere il pediatra

Riassunto

L’utilizzo della terapia estroprogestinica in età adolescenziale deve essere il più possibile personalizzato al fine di garantire il minor numero di effetti collaterali raggiungendo il massimo del beneficio. Questo lavoro, riprendendo alcuni princìpi fisiologici e farmacologici degli estroprogestinici, si propone di indirizzare nella scelta del più adatto estroprogestinico, di individuare i casi in cui tale terapia è controindicata e/o in quali condizioni sia necessaria maggiore attenzione prima della prescrizione e durante il follow-up

Parole chiave: Estroprogestinici, adolescenza, alterazioni del ciclo mestruale.

Prescribing oestrogen-progestogen therapy in adolescents: what the pediatrician should know

Summary

The use of estroprogestinic therapy in adolescents must be adapted in order to guarantee the lowest number of side effects and the maximum desirable benefits. This work aims to provide some simple indications on the fundamental physiological and pharmacological principles of estroprogestinic drugs in order to identify in which patients the prescription of this therapy is contraindicated and/or in which conditions more attention is needed before the prescription and during follow-up.

Key words: Estroprogestins, adolescence, menstrual disorders.

Introduzione

La terapia con estroprogestinici (EP) nell’età dell’adolescenza è sempre stata dibattuta, in particolare in considerazione dell’instabilità dei cicli mestruali nei primi 2 anni dopo il menarca e nelle ragazze con cicli anovulatori, per la fisiologica immaturita neuroendocrina e la possibile interferenza con la maturazione scheletrica finale e lo sviluppo genitale. Tuttavia ad oggi sono molteplici le indicazioni all’uso degli estroprogestinici al di fuori dello scopo contraccettivo; tali indicazioni comprendono:

• casi di ipoestrogenismo da insufficienza ovarica primaria o secondaria;

• necessità di induzione puberale nei ritardi costituzionali di crescita;

• dismenorree e sanguinamenti uterini anomali;

• casi di iperandrogenismo (al fine di sopprimere la funzione riproduttiva per interrompere il ciclo vizioso che tende verso la irreversibilità nella sindrome dell'ovaio policistica);

Scopo del lavoro è fornire una guida sui fondamentali princìpi fisiologici e farmacologici degli EP al fine di precisare le controindicazioni, gli effetti collaterali e il rapporto rischio/beneficio di tale terapia e, inoltre, precisare in quali condizioni sia necessaria maggiore attenzione prima della prescrizione e durante il follow-up

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Silvia Ventresca 1, Graziamaria Ubertini 2, Agnese Suppiej 1, Armando Grossi 3 1 Scuola di Specializzazione in Pediatria, Dipartimento di Pediatria, Arcispedale Sant’Anna, Università degli Studi di Ferrara; 2 U.O.C Endocrinologia Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù, Roma; 3 UOS Patologia endocrina delle malattie croniche e post-tumorali, Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù Roma.

Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza

Volume 20, n. 3, 2022 e Volume 21, n. 1, 2023

Gli estroprogestinici

Gli EP sono costituiti da una componente estrogenica (etinilestradiolo, disponibile in vari dosaggi) associata ad un progestinico (drospirenone, levonorgestrel, noretisterone, noretindrone acetato, norgestrel, desogestrel, dienogest).

Il meccanismo della pillola combinata estroprogestinica si estrinseca mediante l’inibizione della secrezione delle gonadotropine FSH ed LH con conseguente blocco dell’ovulazione. La componente estrogenica inibisce la secrezione dell’FSH, sopprimendo così lo sviluppo del follicolo ovarico, mentre la componente progestinica inibisce la secrezione dell’LH, prevenendo così il rilascio della cellula uovo matura. Oltre all’azione inibitoria nei confronti delle gonadotropine la combinazione ormonale della pillola estroprogestinica è capace di impedire il concepimento provvedendo all’aumento della densità del muco della cervice uterina, alterando la struttura dell’endometrio uterino che assumerà caratteristiche sfavorevoli all’impianto dell’ovulo, e inibendo le contrazioni muscolari coordinate della cervice, dell’utero e delle tube uterine che giocano un ruolo fondamentale durante il processo di fecondazione (1).

In linea generale, nella maggior parte dei casi l’utilizzo della pillola anticoncezionale combinata prevede l’assunzione giornaliera dell’EP per 21 giorni consecutivi, seguiti da 7 giorni di pausa (21/7). Durante i giorni di pausa, a seconda del prodotto commerciale, o non si assumerà nessuna pillola o si continuerà ad assumere la quotidiana pillola, al cui interno non sarà però presente alcun principio attivo. Nel corso del periodo di sospensione, la paziente andrà incontro a perdite ematiche vaginali paragonabili alle mestruazioni, in genere meno abbondanti. Terminato il periodo di pausa, verrà ripresa l’assunzione giornaliera di un blister successivo, e così via.

Esistono in commercio anche formulazioni 24/4 che, in particolare nelle donne obese, sono state valutate come più fisiologiche, con riscontro di una riduzione degli effetti collaterali da sospensione durante l'intervallo libero da ormone (2).

Componente estrogenica

L’etinilestradiolo è il principale componente degli EP. Questo si associa ad un aumento dei livelli di sex hormone-binding globulin (SHBG), corticosteroid binding globulin (CBG), testosterone-binding globulin (TeBG), trigliceridi, angiotensinogeno, markers della coagulazione e colesterolo HDL.

Da tempo anche gli estrogeni naturali sono stati introdotti nelle associazioni EP, in particolare l’Estradiolo Valerato (E2V) che viene rapidamente idrolizzato ad estradiolo (E2) con successiva rapida e massiva trasformazione a estrone ed estrone solfato nel tratto intestinale e nel fegato.

Nella Tabella 1 sono riportate le principali formulazioni di estrogeni disponibili in commercio in Italia.

La scelta della terapia estroprogestinica nell’età dell’adolescenza: cosa deve sapere il pediatra

Estradiolo transdermico 25-50-100 mcg/24 ore Etinilestradiolo (EE) 10-50-100 mcg

Estradiolo esterificato valerato (E2V) 2 mg

Componente progestinica

I progestinici sono prodotti di sintesi in grado di trasformare l’endometrio preparato dagli estrogeni, inducendovi modificazioni strutturali che, alla sospensione del trattamento, ne permettono lo sfaldamento (flusso mestruale).

Poiché il progesterone naturale è poco attivo se somministrato per os per via dell’inattivazione epatica, la ricerca farmacologica si è da sempre indirizzata sullo sviluppo di progestinici di sintesi con adeguata potenza progestinica e adeguata biodisponibilità orale. Negli anni Sessanta e Settanta, la sintesi dei progestinici era focalizzata sulla sicurezza contraccettiva e, pertanto, l’obiettivo principale era conferire una spiccata azione antigonadotropa. Per i progestinici di più recente sintesi l’obiettivo principale da raggiungere è stato quello di ottenere un progestinico “ideale” dotato di spiccata attività progestinica e antiestrogenica sull’endometrio, non disgiunta da un’importante azione antigonadotropa, in assenza di attività androgenica o glucocorticoide.

Oltre all'azione sull'endometrio, i progestinici presentano una serie di altri effetti da tenere bene in considerazione. I vecchi derivati del 19-nortestosterone (noretisterone acetato e norgestrel) presentano una residua azione androgenica. Risultano invece praticamente privi di azioni androgenica i derivati del 17OHprogesterone (ciproterone acetato, medrogestone), i derivati del progesterone (didrogesterone) e quelli del 19-norprogesterone (nomegestrolo acetato).

La residua azione androgenica di un progestinico si manifesta soprattutto quando questo sia somministrato per os (a causa del primo passaggio epatico), con effetti (acne, irsutismo, alterato metabolismo carboidrati e lipidi) che contrastano quelli determinati dagli estrogeni.

Orientare la scelta del progestinico più adatto

Poiché i progestinici sono dotati di diverse attività, la decisione su quale progestinico prediligere dipende dall’obiettivo che si voglia raggiungere a seconda della paziente.

I progestinici attualmente più utilizzati in età adolescenziale sono sicuramente il medrossiprogesterone, il drospirenone e il dienogest, disponibili in varie formulazioni, da soli o in associazione ad un estrogenico.

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Tabella 1. Formulazioni di estrogeni in commercio.

La scelta della terapia estroprogestinica nell’età dell’adolescenza: cosa deve sapere il pediatra

Il medrossiprogesterone si caratterizza per una lunga durata d'azione (tra le 20 e le 30 ore) al termine delle quali, dopo un metabolismo epatico, viene escreto prevalentemente per via urinaria. Come il progesterone endogeno, il medrossiprogesterone è in grado di interagire prevalentemente con le cellule endometriali riprogrammando l'espressione genica e mediando la transizione dall'assetto proliferativo a quello secretivo. Questo principio attivo mantiene anche l'attività androgenica, mentre è sprovvisto di attività estrogenica e di attività modulatoria sull'asse ipotalamo-ipofisiario quando assunto oralmente in singola dose (non inibisce né la follicologenesi né l'ovogenesi).

Il drospirenone possiede proprietà antiandrogeniche e deboli proprietà antimineralcorticoidi (pertanto è anche dotato di effetto diuretico blando); è privo di attività estrogenica, glucocorticoide e antiglucocorticoide. Queste sue caratteristiche rendono il suo profilo farmacologico simile a quello del progesterone naturale.

Il dienogest invece, strutturalmente simile al testosterone, ha un'intensa attività antiandrogenica. Viene pertanto preferito agli altri progestinici nei casi di marcata virilizzazione e/o dismenorrea associata a profusa menorragia. Talvolta viene inoltre impiegato nel controllo della sintomatologia dolorosa nell’endometriosi. Nella Tabella 2 sono riportati i principali effetti metabolici dei diversi progestinici.

Effetti collaterali degli EP

Prima di intraprendere una terapia con EP è necessario tenere conto dei principali possibili effetti collaterali secondari all’utilizzo di questi farmaci (Tabella 3).

Tra i principali ricordiamo gonfiore, dismenorrea, aumento della pressione arteriosa (sisto-diastolica), malattia fibroso-cistica,

tensione mammaria e cefalea (secondari alla componente estrogenica) e depressione, aumento dell’appetito, stanchezza, acne, irsutismo e alopecia (dovuti all’effetto del progestinico). La nausea è il più frequente effetto collaterale riportato in assoluto e può essere controllato consigliando l’assunzione dell’EP in occasione al pasto. Gli EP contenenti bassa quota estrogenica (20 mcg) sembrano avere migliore maneggevolezza nelle pazienti con sintomi gastrointestinali (4).

EP e metabolismo lipidico

Etinilestradiolo (sia in formulazione per os che transdermica) ed estradiolo (prevalentemente se somministrato per os) riducono l’attività della lipasi epatica, rallentando il trasporto al fegato delle HDL, con incremento dei livelli di HDL circolanti e contestuale variabile riduzione di LDL. L’effetto degli estrogeni sul colesterolo HDL è prevalente. È inoltre riportato l’incremento dei trigliceridi, anch’esso estrogeno-dipendente (5-7).

Effetti collaterali legati all’uso degli EP orali.

Comuni

- spotting intermestruale

- amenorrea intermittente

- nausea

- tensione mammaria

- cefalea

(3)].

Non comuni

- trombosi venosa profonda

- embolia polmonare

- infarto miocardico acuto

- stroke

- ipertensione arteriosa sisto-diastolica

- colelitiasi

- ittero colestatico

- neoplasie epatiche benigne

Volume
Volume
1, 2023 13
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
20, n. 3, 2022 e
21, n.
Tabella 2.
Progestinico Antiestrogenico Estrogenico Antiandrogenico Androgenico Antimineralcorticoide Glucocorticoide CMA + - + - - + Ciproterone + - ++ - -
+/- +/- + - - -
+ - + -
Etonogestrel + - - + -Gestodene + - - + + + LNG + - - + -MPA + - - +/- - + Nomac + - +/- - -Noretisterone + + - - -Norgestimate + - - + -Progesterone + - +/- - + +
Effetti metabolici dei progestinici [Mod. da Schindler
+ Dienogest
Drospirenone
+
Tabella 3.

Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza

I progestinici con attività androgenica residua invece, aumentano l’attività della lipasi epatica con conseguente riduzione del colesterolo HDL e dei trigliceridi e incremento dell’LDL. Il rapporto ApoB/ApoAI come espressione di rapporto LDL/HDL è maggiore con progestinici di vecchia generazione (ad es. Levonorgestrel).

Questo effetto è minore con gli estroprogestinici di ultima generazione low-dose (7, 8).

Il profilo lipidico complessivo, risultante dall’assunzione di un EP dipenderà pertanto dal rapporto tra la potenza della componente estrogenica e di quella progestinica.

Nelle pazienti affette da dislipidemia, in assenza di altri rischi cardiovascolari noti, è possibile utilizzare EP orali o transdermici senza peggioramento del profilo lipidico e pertanto non aumentando il rischio cardiovascolare. Lo screening routinario in queste pazienti non è indicato. Se i disordini genetici del profilo lipidico sono severi sono tuttavia necessari ulteriori approfondimenti (9).

EP e metabolismo glucidico

Gli estrogeni hanno tendenzialmente un’azione modulante e protettiva sulle cellule di Langerhans pancreatiche. La ridotta tolleranza glicemica e la resistenza insulinica sono attenuate dall’estradiolo. Alcuni progestinici tuttavia possono - mediante riduzione della sensibilità all’insulina - aumentarne la resistenza periferica provocando iperinsulinemia.

Di contro, progestinici di nuova generazione quali etonogestrel, clormadinone, dienogest e drospirenone, associati ad etinilestradiolo, e dienogest e nomegestrolo associati a valerato di estradiolo ed estradiolo avrebbero mostrato un’azione più favorevole sulla sensibilità all’insulina (10-13).

Se l’adolescente è affetta da diabete mellito, è consigliata la contraccezione ormonale a base di solo progestinico o combinata con estradiolo a basso dosaggio (9).

EP e sistema emostatico

Il rischio basale di tromboembolismo venoso (TEV) nelle adolescenti (14) è molto basso (1 su 10.000). L’utilizzo di EP nelle adolescenti aumenta di circa 3 volte il rischio di TEV (3-4 su 10.000) (15). Le modificazioni del sistema emostatico indotte dalle formulazioni di EP contenenti etinilestradiolo +/- progestinico sono rappresentate da:

• aumento dei fattori protrombotici: fibrinogeno, protrombina, fattori VII, VIII, IX, X, XII;

• diminuzione dei fattori anti-trombotici: AT III, proteina S, proteina C, α1-antitripsina, plasminogeno.

Il tipo di estrogeno (etinilestradiolo o estrogeni naturali), il suo dosaggio e la componente progestinica associata, influiscono in maniera importante sull’attivazione del sistema emostatico.

I dati attualmente a disposizione con le associazioni contenenti estradiolo valerato ed estradiolo mettono in evidenza modificazioni del sistema emostatico significativamente ridotte rispetto alle associazioni con etinilestradiolo (6, 16). Tuttavia, ad oggi, in

letteratura non sono riportati dati sufficienti ad indicare una terapia da preferire relativamente al rischio di TEV sulla base del progestinico o della dose di etinilestradiolo (17).

Dal punto di vista coagulativo, l’etinilestradiolo è un attivatore emostatico. I progestinici invece, provocando un aumento della proteina S e dei fattori fibrinolitici e non attivano la cascata della coagulazione (9, 18).

In letteratura alcuni studi prospettici di coorte analizzati, sembrerebbero non mettere in evidenza differenze sul rischio di TEV tra i diversi tipi di progestinico, (18, 19) altri evidenziano una differenza del rischio di TEV in base al progestinico in uso (20) (Tabella 4). I dati riportati riguardo il rischio tromboembolico nell’età adolescenziale sono ad oggi contrastanti ma sembrerebbe che, sebbene tromboembolismo venoso e infarto del miocardio siano complicanze note della terapia con EP, queste nel gruppo delle adolescenti non sarebbero significative.

In una review condotta da Rott (14) è stato analizzato nel dettaglio il rischio di tromboembolismo venoso nelle adolescenti che risulterebbe più alto nel primo anno di utilizzo degli EP, in particolare nei primi 3 mesi, e nelle ragazze che non abbiano mai utilizzato in precedenza una terapia con EP. Tale rischio si ridurrebbe dopo un anno, rimanendo comunque significativamente più alto rispetto al gruppo di adolescenti non in terapia con EP.

Dopo 8-12 settimane dalla sospensione della terapia con EP, il rischio di tromboembolismo venoso ritornerebbe uguale a quello della popolazione generale. Per tale motivo non è indicata la sospensione della terapia con EP subito prima di un intervento chirurgico, quanto piuttosto sarebbe opportuno che le pazienti in terapia con EP ricevessero una adeguata trombo-profilassi dopo un intervento chirurgico.

Anche l’utilizzo di etinilestradiolo transdermico sembrerebbe condurre alla stessa attivazione dell’emostasi degli EP orali (21). I principali cofattori di rischio sono l’obesità e il fumo di sigaretta. Il fumo, se considerato singolarmente, incrementa il rischio di tromboembolismo venoso di 1,4-3,3 volte. L’associazione fumocontraccettivi orali aumenta questo rischio fino a 8,8 volte.

Ad oggi non è raccomandata l’esecuzione routinaria di uno screening trombofilico in tutte le donne che devono intraprendere una terapia con EP (16).

RISCHIO ALTO EP antiandrogenici contenenti ciproterone acetato o dienogest

RISCHIO INTERMEDIO EP contenenti di 3° o 4° generazione

RISCHIO BASSO EP contenenti di 2° generazione, nuovi EP contenenti estradiolo valerato (invece dell’etinilestradiolo) + dienogest

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e Volume
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Volume 20, n. 3, 2022
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La scelta della terapia estroprogestinica nell’età dell’adolescenza: cosa deve sapere il pediatra
Tabella 4. Stratificazione di rischio Tromboembolico.

La scelta della terapia estroprogestinica nell’età dell’adolescenza: cosa deve sapere il pediatra

Tabella 5. Situazioni ereditarie associate a un aumentato rischio di trombosi.

• Difetto di Antitrombina III

• Difetto di Proteina C

• Difetto di Proteina S

• Resistenza all’azione della Proteina C

• Alterazioni ereditarie della via fibrinolitica:

- Alterazioni Fibrinogeno

- Alterazioni Plasminogeno

- Difettoso rilascio dell’Attivatore del plasminogeno

• Fattore V Leiden

È d’altro canto fortemente necessario eseguire esami specifici prima della prescrizione dell’EP in tutte le pazienti con:

• storia personale di TEV (Tabella 5)

• familiarità nei parenti di 1° grado di TEV prima dei 45 anni

• associazione di fattori di rischio severi per TEV come obesità, fumo di sigaretta (> 15 sigarette/die) o diabete mellito.

Nelle pazienti trombofiliche l’utilizzo di EP è controindicato (9). In queste pazienti si potrebbe eventualmente ricorrere ad una terapia con solo progestinico. Gli effetti collaterali classici di una terapia con solo progestinico sono:

• tendenza a spotting e sanguinamenti mestruali irregolari (soprattutto in pazienti con fattore di Von-Willebrand molto basso)

• peggioramento dell’acne

• aumento di peso

EP e metabolismo osseo

Le manifestazioni di osteopenia nelle pazienti con cicli anovulatori hanno indotto a pensare ad un verosimile ruolo cardine svolto dal progesterone nella patologia osteoporotica. Tale ruolo si estrinseca prevalentemente nella formazione di nuovo tessuto osseo attraverso l’attivazione sia della proliferazione che della differenziazione degli osteoblasti, nonché con un’azione antagonista sui recettori degli osteoblasti per i glucocorticoidi. Grazie a queste sue proprietà, il progesterone è in grado di ricostruire realmente il tessuto osseo.

Gli estrogeni invece intervengono prevalentemente ostacolando il riassorbimento osseo da parte degli osteoclasti. Inoltre, una parte di progesterone endogeno si trasforma perifericamente in estrogeno potendo quindi esercitare i suoi effetti a livello degli osteoclasti.

Alte dosi di progestinico (drospirenone e desogestrel) agiscono a livello dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi causando ipoestrogenismo, accelerando il rimodellamento osseo e la rapida perdita di massa ossea. Inoltre stimolano i recettori per progesterone ed androgeni, aumentando l’attività osteoblastica e riducendo il riassorbimento osseo.

I dati sull’impatto della terapia con EP sull’osso, nelle adolescen-

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Volume 20, n. 3, 2022 e Volume 21, n. 1, 2023

ti, non sono univoci (22, 23). La terapia con EP è stata associata ad una riduzione della densità minerale ossea (BMD) valutata mediante densitometria, anche nelle formulazioni contenenti dosi molto basse di componente estrogenica (etinilestradiolo < 30 mcg). Questo però, dal punto di vista pratico, non risulterebbe comunque indicativo di aumentato rischio di fratture nelle adolescenti poiché la BMD è un marker surrogato di rischio di fratture, non risultando valido per donne in età pre-menopausale e non predice l’attuale (pre-menopausale) o futuro (post-menopausale) rischio di fratture (2, 23, 24).

Tuttavia, essendoci una perdita della BMD nelle pazienti che fanno uso di EP in età dell’adolescenza, sembrerebbe non raggiungersi un adeguato picco di mineralizzazione ossea necessario come “banca ossea” per l’età adulta-anziana (22).

Effetti benefici della terapia con EP nelle adolescenti

I benefici nelle adolescenti della terapia con EP (23) sono vari: attenuazione della dismenorrea e dei dolori pelvici legati all’endometriosi, regolarizzazione dei cicli mestruali, attenuazione della sindrome premestruale e della disforia, riduzione del rischio di neoplasie ovarica, endometriale e del colon-retto, tali benefici sono sintetizzato nella Tabella 6

Conclusioni

La scelta dell’estroprogestinico deve essere modulata sempre a seconda della paziente da trattare. La raccolta anamnestica ci

Tabella 6. Benefici della terapia EP nelle adolescenti

Riduzione dei dolori mestruali crampiformi

Riduzione del dolore pelvico associato ad endometriosi

Riduzione della menorragia, con miglioramento dell’anemia

sideropenica secondaria alle perdite ematiche

Ridotto rischio di gravidanza ectopica

Riduzione dei sintomi da sindrome premestruale

Ridotto rischio di sviluppare patologie benigne della mammella

Ridotta formazione di nuove cisti ovariche (se pillola esclusivamente ad alte dosi di estrogeni) ma NON ha effetti sulle cisti già esistenti

Ridotto rischio di cancro ovarico

Ridotto rischio di cancro endometriale (effetto progestinico)

Ridotto rischio di cancro colon-retto

Riduzione moderata dell’acne

Riduzione dell’irsutismo

Regolarizzazione dei cicli mestruali

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guiderà, prima di ogni prescrizione, all’avvio di un’indagine sulla storia clinica e sulla presenza di uno o più fattori di rischio (personali o familiari) che ne condizionino particolari precauzioni d’uso. Uno dei fattori da non sottovalutare è l’ipertensione, per cui è sempre necessario procedere alla misurazione della pressione arteriosa.

La pillola è controindicata in particolare per le donne che hanno avuto un tumore ormono-sensibile (mammella, ovaio, fegato), di rado con esordio in età adolescenziale, oppure che sono soggette ad emicrania, a disturbi cardiovascolari con episodi di trombosi e tromboembolia. Un altro elemento chiave da ricercare al momento dell’anamnesi è la presenza di un parente di I grado con evento cardiovascolare maggiore (infarto del miocardio, ictus ischemico, TEV) prima dei 45 anni (24).

Inoltre è importante tenere presente che l’uso di alcuni farmaci, come antibiotici o antiepilettici, può interferire a livelli differenti con l’utilizzo della pillola estroprogestinica (14).

Ricercare sempre la presenza di lupus eritematoso sistemico (LES) o positività per anticorpi antifosfolipidi, talassemia major o drepanocitosi, epatite cronica attiva o cirrosi epatica, emicrania con aura.

Vi sono 3 controindicazioni assolute alla prescrizione di EP per rischio tromboembolico (20):

• anamnesi personale positiva per TEV o stroke

• pazienti con trombofilia (in particolare deficit ereditari di Proteina C, Proteina S e antitrombina) (14)

• ipertensione arteriosa severa

Invece, tra le controindicazioni relative per rischio tromboembolico troviamo la presenza di 2 o più tra le seguenti:

• obesità grave

• fumo di sigaretta (>15 sigarette/die)

• familiarità nei parenti di 1° grado di TEV prima dei 45 anni

• familiarità per dislipidemia

• diabete mellito

• ipertensione arteriosa

Non esistono controindicazioni ad avviare una terapia con EP nei casi di anamnesi positiva per trombosi venose superficiali. Nelle pazienti ad alto rischio tromboembolico (storia personale di TEV, familiarità nei parenti di 1° grado di TEV prima dei 45 anni, obesità, fumo, diabete mellito) sarà necessario eseguire per screening, prima di iniziare la terapia con EP funzionalità epatica completa, assetto lipidico, attività coagulativa con screening fattore II- V Leiden.

In follow-up, dopo la prima prescrizione di terapia EP, in ogni paziente andrebbero valutati a distanza di 3-4 mesi l’eventuale insorgenza di effetti collaterali, possibili errori di assunzione, misurazione di pressione arteriosa ed eventuale aumento di peso corporeo.

Non sono necessari esami ematochimici periodici di controllo. Si consigliano controlli successivi annuali. Non esistono dimo-

La scelta della terapia estroprogestinica nell’età dell’adolescenza: cosa deve sapere il pediatra

strazioni di evidenza che le sospensioni periodiche del contraccettivo ormonale siano di qualche utilità per la salute della donna, né è necessario sospendere il contraccettivo ormonale mesi prima della ricerca di una gravidanza (24).

Infine, riportiamo alcune condizioni in cui si suggerisce l’utilizzo del progestinico da solo, più sicuro delle combinazioni di EP per via orale o transdermica (24):

• Emicrania, in particolare con aura (sintomi neurologici focali)

• Fumo (> 15 sigarette/die)

• Obesità severa (BMI > 40 kg/m2)

• LES con vasculite, nefrite o presenza di anticorpi antifosfolipidi (in assenza di eventi trombotici nella storia clinica)

• Ipertensione con danno d’organo

• Dislipidemia associata ad altri rischi cardiovascolari

• Trombofilia nota, in assenza di eventi tromboembolici acuti

Alla luce degli innumerevoli effetti benefici della terapia estro –progestinica in adolescenza è importante, quindi, fornire al Pediatra gli strumenti fondamentali per potersi orientare nella scelta del prodotto più indicato per la specifica condizione.

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13. Villa P, Suriano R, Ricciardi L, et al. Low-dose estrogen and drospirenone combination: effects on glycoinsulinemic metabolism and other cardiovascular risk factors in healthy postmenopausal women. Fertil Steril. 2011; 95(1):158-63.

14. Rott H. Hormonal contraception in thrombophilic adolescents: risk of thrombosis and recommendations. Hamostaseologie. 2012; 32(1):15-21.

15. Todd N, Black A. Contraception for Adolescents. J Clin Res Pediatr Endocrinol. 2020; 12(Suppl 1):28-40.

16. Gaussem P , Alhenc-Gelas M, Thomas JL, et al. Haemostatic effects of a new combined oral contraceptive, nomegestrol acetate/17β-estradiol, compared with those of levonorgestrel/ethinyl estradiol. A double-blind, randomised study. Thromb Haemost. 2011; 105(3):560-7.

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18. Dinger JC, Heinemann LA, Kuhl-Habich D. The safety of a drospirenone- containing oral contraceptive: final results from the

Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza

Volume 20, n. 3, 2022 e Volume 21, n. 1, 2023

European Active Surveillance Study on oral contraceptives based on 142,475 women- years of observation. Contraception 2007; 75:344354.

19. Dinger J, Bardenheuer K, Heinemann K. Cardiovascular and general safety of a 24-day regimen of drospirenone-containing combined oral contraceptives: final results from the International Active Surveillance Study of Women Taking Oral Contraceptives. Contraception 2014; 89:253-263.

20. Vasilakis-Scaramozza C, Jick H. Risk of venous thromboembolism with cyproterone or levonorgestrel contraceptives. Lancet. 2001; 358: 1427-1429.

21. Jick SS, Kaye JA, Russmann S, et al. Risk of nonfatal venous thromboembolism in women using a contraceptive transdermal patch and oral contraceptives containing norgestimate and 35 microg of ethinyl estradiol. Contraception 2006; 73:223-228.

22. Rizzo AC, Goldberg TB, Biason TP, et al. One-year adolescent bone mineral density and bone formation marker changes through the use or lack of use of combined hormonal contraceptives. J Pediatr (Rio J). 2019; 95:567-74.

23. Cromer BA, Stager M, Bonny A, et al. Depot medroxyprogesterone acetate, oral contraceptives and bone mineral density in a cohort of adolescent girls. J Adolesc Health. 2004; 35:434-41.

24. OMS Selected Practice Recommendations for Contraceptive Use – 3rd Edition 2016.

Corrispondenza:

Silvia Ventresca

Dipartimento di Pediatria, Arcispedale "S. Anna", Università degli Studi di Ferrara via Aldo Moro 8, 44124 Ferrara

E-mail: silviaventresca@gmail.com

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Che importanza hanno avuto nella salute della popolazione pediatrica?

Riassunto

È stato condotto uno studio osservazionale retrospettivo su 180 giovani atleti agonisti. Questi bambini sono stati rivalutati dopo un'infezione da SARS-CoV-2 lieve/moderata attraverso 3 diversi tipi di protocollo volti a riconoscere eventuali complicanze cardiorespiratorie dovute all'infezione. Lo scopo dello studio è stato quello di valutare i risultati dei protocolli italiani di “return to play” per la riammissione alla pratica sportiva agonistica nella popolazione pediatrica. Tutti i soggetti analizzati sono stati riammessi allo sport agonistico dopo rivalutazione. Nessuno dei giovani atleti ha mostrato compromissioni cardiorespiratorie alla valutazione di primo e/o secondo livello, a conferma che nella popolazione giovane vi è un basso rischio di ospedalizzazione e complicanze potenzialmente letali dopo un'infezione lieve/moderata. Il protocollo italiano semplificato per la ripresa dell'attività sportiva si è rivelato uno strumento prezioso per la valutazione della salute sia negli atleti adulti che in quelli giovani consentendo loro di riprendere gli allenamenti in sicurezza.

Parole chiave: Sport, Atleti, Bambini, Infezione da SARS-CoV-2.

The "Return to Play" protocols for competitive sports after SARS-CoV-2 infection. What importance have they had in the health of the pediatric population?

Summary

An observational retrospective study was conducted on 180 young competitive athletes. These children were revaluated after a mild/moderate SARS-CoV-2 infection through 3 different kind of protocol aimed at recognizing any cardiorespiratory complications due to the infection. The aim of the present study was to evaluate the results of “return to play” Italian Protocols for readmission to competitive sport in pediatric population. All of the subjects analyzed were readmitted at competitive sport after revaluation. None of the young athletes showed cardiorespiratory compromises at first and/or second level evaluation, confirming that in young population there is low risk of hospitalization and life threatening complications after a mild/moderate infection. Italian simplified protocol for resuming sport have proved to be a valuable tool for health assessment both in adult and young athletes allowing them to resume their training in safety.

Key words: Sport, Athletes, Children, SARS-CoV-2 infection.

Nel marzo 2020 l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato una pandemia globale causata dal virus della Sindrome da distress respiratorio acuto Tipo 2 (SARS-CoV-2)

segnando un profondo cambiamento nelle nostre vite. L'Istituto Superiore di Sanità italiano, dopo due anni dall'inizio della pandemia COVID-19, ha registrato 17.546 casi di infezioni da SARS-

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I protocolli di “Return to Play” all’attività sportiva agonistica dopo infezione da SARS-CoV-2.
Ugo Giordano, Giulia Cafiero, Attilio Turchetta, Eliana Tranchita Unità Operativa Semplice di Medicina dello Sport. Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma.

I protocolli di “Return to Play” all’attività sportiva agonistica dopo infezione da SARS-CoV-2. Che importanza hanno avuto nella salute della popolazione pediatrica?

CoV-2 in Italia (fino al 31 maggio 2022).

La gravità della malattia variava in un ampio spettro, dall'infezione asintomatica alla grave disfunzione multiorgano e alla morte (1, 2). Era possibile inoltre un coinvolgimento cardiaco, anche in assenza di chiari sintomi cardiologici che poteva causare miocardite, pericardite, insufficienza cardiaca, aritmie e altre disfunzioni. Fortunatamente è stato osservato che la maggior parte dei pazienti in giovane età (<18 anni) aveva un'infezione lievemente sintomatica o completamente asintomatica quindi dopo un periodo di sospensione della scuola, dello sport e delle attività ricreative questi ragazzi manifestavano la necessità di tornare a giocare.

La Federazione Medico Sportiva Italiana (FMSI) ha proposto negli ultimi due anni, diversi protocolli per valutare le condizioni cardiologiche degli sportivi dopo l'infezione da COVID-19 che sono stati modulati sulla base delle nostre conoscenze scientifiche sul virus.

In un primo periodo da aprile 2020 a dicembre 2020 questi protocolli (3) hanno incluso una serie di test strumentali per consentire l'idoneità allo sport agonistico. In particolare per ottenere l’idoneità alla pratica sportiva agonistica, gli atleti dovevano sottoporsi ai seguenti esami: test da sforzo cardiopolmonare (CPET) con la valutazione della saturazione periferica di ossigeno prima, durante e dopo l'esercizio mediante l’utilizzo di un pulsossimetro, ecocardiogramma, monitoraggio elettrocardiografico delle 24 ore secondo Holter, test spirometrico completo, prelievi ematici per valutare condizioni infiammatorie generali. In casi particolari il medico dello sport poteva richiedere inoltre una TC polmonare e la valutazione specialistica di un infettivologo.

In una seconda fase, nel periodo compreso tra gennaio 2021 e dicembre 2021, questi protocolli sono stati semplificati e i test necessari per ottenere l'idoneità allo sport agonistico sono stati: test da sforzo incrementale massimale con valutazione della saturazione periferica di ossigeno prima, durante e dopo l'esercizio con un pulsossimetro, ecocardiogramma, monitoraggio elettrocardiografico delle 24 ore secondo Holter e test spirometrico completo. In caso di infezione moderata e grave era necessario richiedere ulteriori test di approfondimento (4).

I protocolli attuali (5) sono stati ulteriormente semplificati e comprendono test da sforzo incrementale che raggiunga almeno l'85% della frequenza cardiaca massima teorica sulla base dell'età (tramite ergometro o step test) e test spirometrico completo. Per l’infezione moderata e grave possono essere richiesti altri test di approfondimento (come accadeva in passato). In generale possiamo dire che i protocolli continuano a considerare la gravità del quadro caso per caso, considerando la durata dei sintomi, la presenza di condizioni mediche coesistenti e la presenza di complicanze correlate. Una differenza importante tra il secondo e il terzo protocollo è il tempo trascorso tra l'infezione e la valutazione cardiologica. Nel protocollo 2021 la valutazione non poteva essere eseguita prima di 30 giorni da un tampone nasale negativo mentre nel protocollo 2022 la valutazione può essere

anticipata a partire da 7 giorni dopo un tampone nasale negativo. Abbiamo recentemente condotto uno studio osservazionale retrospettivo su 180 giovani atleti agonisti che sono stati visitati presso i nostri ambulatori, i cui risultati sono stati pubblicati per la prima volta su una rivista specialistica del settore di medicina dello sport (6). I ragazzi analizzati in questo studio, sono stati rivalutati dopo un’infezione da SARS-CoV-2 lieve/moderata attraverso i 3 diversi tipi di protocollo che abbiamo precedentemente illustrato, volti a riconoscere eventuali complicanze cardiorespiratorie dovute all'infezione. Lo scopo del presente studio è stato quello di analizzare i risultati dei Protocolli Italiani di “Return to play” per la riammissione allo sport agonistico nella popolazione pediatrica.

Scendendo nei particolari dello studio, sul totale dei 180 giovani atleti sono stati selezionati 34 soggetti nella prima fase (apriledicembre 2020), 86 soggetti nella seconda fase (gennaio-dicembre 2021) e 60 soggetti nella terza fase (gennaio-maggio 2022) e sono stati valutati attraverso i 3 tipi di protocollo.

Complessivamente 114 soggetti erano maschi (80%) e la loro età media era (13,7 ± 2,5 anni). La maggior parte dei soggetti presentava un'infezione lievemente sintomatica (n.131/180), 45 soggetti erano totalmente asintomatici, solo 4 soggetti riportavano una forma moderata di infezione e avevano avuto la necessità di assumere corticosteroidi e antibiotici.

I risultati del nostro studio, mostrano che tutti i ragazzi analizzati sono stati riammessi allo sport agonistico dopo la rivalutazione. Nessuno dei giovani atleti ha mostrato compromissioni cardiorespiratorie alla valutazione di primo e/o secondo livello, confermando che nella popolazione giovane c'è un basso rischio di ospedalizzazione e complicanze pericolose per la vita dopo un’infezione lieve/moderata da COVID-19.

In questo studio non abbiamo osservato alcun caso di danno miocardico acuto, miocardite, aritmie gravi o cardiomiopatia dopo una recente infezione da SARS-CoV-2 in atleti molto giovani. Abbiamo osservato inoltre che le caratteristiche cliniche dell'infezione non erano cambiate nel tempo, anche se erano cambiati sia i protocolli di valutazione cardio-respiratoria che la variante del virus. Quindi anche se negli ultimi due anni sono cambiati i protocolli di “Return to play” così come le diverse varianti del virus, la presentazione clinica dell'infezione da SARSCoV-2 e i risultati della valutazione cardio-respiratoria sono rimasti sostanzialmente sovrapponibili. È importante notare che non sono stati osservati cambiamenti significativi nella presentazione clinica degli atleti, sebbene il tempo tra l'infezione e la valutazione sia diminuito da 30 a 7 giorni.

Le raccomandazioni sui protocolli di rivalutazione sono state modificate, adattandole alle nostre conoscenze sul virus e sulle conseguenze dell'infezione nei bambini, ma è importante sottolineare che la semplificazione dei protocolli ha permesso una più rapida rivalutazione e riammissione alla pratica sportiva dei giovani atleti senza sottovalutare le possibili complicanze legate all'infezione.

Rivista
Volume 20, n. 3, 2022 e Volume 21, n. 1, 2023 19
Italiana di Medicina dell’Adolescenza

Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza

Volume 20, n. 3, 2022 e Volume 21, n. 1, 2023

I protocolli di “Return to Play” all’attività sportiva agonistica dopo infezione da SARS-CoV-2. Che importanza hanno avuto nella salute della popolazione pediatrica?

Possiamo concludere dunque che i protocolli italiani per la ripresa dello sport, anche nella loro versione semplificata si sono rivelati un valido strumento per la valutazione dello stato di salute sia degli atleti adulti che di quelli più giovani consentendo loro di riprendere gli allenamenti in sicurezza. Lo specialista in medicina dello sport con le sue competenze, può essere la figura più appropriata per questa rivalutazione globale della salute dopo l'infezione e collaborando con altri specialisti oltre che con gli allenatori, può contribuire ad un ritorno alle normali attività sportive dei bambini in piena sicurezza.

Bibliografia

1. Tagarro A, Epalza C, Santos M, et al. Screening and severity of coronavirus disease 2019 (COVID-19) in children in Madrid, Spain. JAMA Pediatr. 2021, 175(3):316-317.

2. Shekerdemian LS, Mahmood NR, Wolfe KK, et al. Characteristics and Outcomes of Children With Coronavirus Disease 2019 (COVID-19) Infection Admitted to US and Canadian Pediatric Intensive Care Units. JAMA Pediatrics. 2020; 174(9),868–873.

3. Casasco M, Galli M, Memo M, et al. FMSI protocols for the resumption of sports activity in athletes. Italian Sports Medicine Federation. 2020; 30.

4. Eligibility for competitive sports activity in non-professional Covid-19 positive healed athletes and in athletes with symptoms suggestive of Covid-19 in the absence of SARS-CoV-2 diagnosis. Vol. DGPRE 0001269 P–13/01/2021.

5. Eligibility for competitive sports activity in non-professional Covid-19 positive healed athletes and in athletes with symptoms suggestive of Covid-19 in the absence of SARS-CoV-2 diagnosis. Vol. DGPRE 0015502 P-02/03/2022 (Up-dating Circular n.3566 of 18/01/2022).

6. Tranchita E, Cafiero G, Giordano U, et al. Return to Play in pediatric population after 2 years of COVID-19 Pandemic: what's new? [published online ahead of print, 2022 Oct 18]. Int J Sports Med. 2022; 10.1055/a-1962-7869.

Corrispondenza:

Eliana Tranchita, MD, PhD

Unità Operativa Semplice di Medicina dello Sport. Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma. e-mail: eliana.tranchita@opbg.net

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L'adolescente e il consenso informato

Pediatra di Libera Scelta ASL ROMA 1; Psicoterapeuta; Componente del Comitato Scientifico Tecnico e Organizzativo (STO) della FIMP; Responsabile Gruppo di Lavoro "Adolescenza e transizione"

Riassunto

Con la legge 219 del 22 dicembre 2017 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” è diventato perentorio che nel trattamento sanitario di un minore si tenga conto anche della sua volontà, pur dovendo il consenso informato essere autorizzato o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore.

Per cui il parere di un adolescente, che ha la capacità di comprendere quanto gli viene proposto, per un trattamento sanitario inerente la propria salute, deve essere preso in considerazione. Quindi dalla legge si evince che l’assenso del minore, pur non costituendo un elemento giuridico essenziale, è ritenuto elemento di fondamentale valenza etica e deontologica.

Parole chiave: Adolescenti, Consenso informato, Etica.

The adolescent and the informed consent

Summary

According to italian laws "Rules on informed consent and advanced health care dispositions" nr 219 of 22 december 2017, it is mandatory that in the health care treatment of a minor his/her own will is taken into account, disregarding the fact that anyway the informed consent has to be given or denied by legal parents or guardian. Therefore, the opinion of a teen ager, who has the capability to understand what he/she is being proposed, concerning a health care treatment about his/her state of health, must always be taken into account. It is thus clear from the law that the consent of the minor, even if it does not constitute an essential legal element, must be considered an element with an essential ethic and deontological value.

Key words: Adolescents, Informed Consent, Ethics.

Il consenso informato rappresenta un principio etico della professione sanitaria. Quando si parla di consenso informato si intende l'interlocuzione con il paziente o con chi lo rappresenta, come nel caso di pazienti minorenni. Con il consenso informato il medico prospetta al paziente una situazione, un’ipotesi di trattamento o di non trattamento. Questo comporta una risposta consapevole da parte del paziente. Oggigiorno il fatto che occorra ottenere il consenso a un trattamento medico sembra un fatto banale, in realtà non lo è sempre

stato perché per centinaia di anni la medicina non era basata su un modello interlocutorio ma su un modello paternalistico. Infatti chi, come il medico, conosceva lo stato di salute e le possibilità o meno di trattamento, prendeva le opportune decisioni e non richiedeva la partecipazione attiva del paziente, se non quella di essere presente al momento dell’atto medico.

Questo atteggiamento paternalistico è stato fortemente discusso e criticato, perché non vi può essere una decisione unilaterale, anche se presa in accordo ai presupposti del “buon padre di

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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza

Volume 20, n. 3, 2022 e Volume 21, n. 1, 2023 L'adolescente e il consenso informato

famiglia”. Con gli anni si è sempre più affermato il Principio di Autodeterminazione della persona.

Il percorso del “Consenso informato" così come delineato dalla legge in vigore (Legge 219 del 22 dicembre 2017 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”) è stato lungo ed elaborato. Alcuni momenti fondamentali di questo percorso sono i seguenti:

• Codice di Norimberga del 1947, in cui “Il consenso volontario diventa il presupposto essenziale della sperimentazione umana”.

• Costituzione Italiana, nella quale sono presenti delle norme basilari che hanno anticipato quello che attualmente viene espresso dalla legge del 2017. La Costituzione Italiana del 1947 recita:

Articolo 2 «La Repubblica riconosce i diritti inviolabili dell’uomo...»

Articolo 13 «La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge…»

Articolo 32 «…Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge…»

Nel caso di un minore condotto al Pronto Soccorso di un ospedale, il paziente viene visitato con il consenso dei genitori, ma anche in assenza di consenso nel caso di una emergenza-urgenza oppure se la valutazione medica sia disposta da un magistrato (Art. 54 del C.P.: stato di necessità).

• La Dichiarazione di Helsinki del 1964, in cui è scritto: «Solo il consenso espresso giustifica moralmente la ricerca su soggetti umani» e «nella ricerca medica gli interessi della scienza e quelli della società non devono mai prevalere sul benessere del soggetto».

• La legge di istituzione del nostro Sistema Sanitario Nazionale (Legge n. 833 del 23 dicembre 1978), in cui sono presenti articoli che trattano il consenso. In particolare l’art. 33, che tratta delle norme per gli accertamenti ed i trattamenti sanitari volontari e obbligatori: “Gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori di cui ai precedenti commi devono essere accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato".(1)

• Documento del Comitato Nazionale di Bioetica del 20 giugno 1992 “Informazione e consenso all’atto medico”. Questo documento, anche se di diversi anni fa, è molto importante perché mette in risalto le informazioni e la tipologia dei loro contenuti per ritenere valido il consenso informato, e cioè che il medico deve esprimersi in modo comprensibile e verificare che quello che trasmette in termini medici viene compreso dal paziente, tenendo in considerazione e usando una terminologia adeguata al livello di comprensione del suo interlocutore. Nel documento viene affrontata anche la questione del paziente minorenne. In particolare si mettono in evidenza:

- l'impossibilità di consenso autonomo prima dei 6-7 anni;

- la possibilità di ammettere un consenso tra i 7 e i 10-12 anni, ma sempre non del tutto autonomo e da considerare insieme a quello dei genitori;

- la capacità progressiva di un consenso autonomo nel corso dell'adolescenza;

- dalla pre-adolescenza in poi la decisione non può essere presa senza un diretto coinvolgimento del ragazzo;

- dopo i 14 anni, cioè dopo l’acquisizione consolidata dell’intelligenza logico-formale, ovvero dai 13-14 anni in poi (quarta fase dello sviluppo cognitivo o fase del pensiero logicoformale) in presenza di scelte significative è prioritario il consenso dell'adolescente (2)

• Codice Deontologico del 2014, alcuni articoli trattano dell’informazione e del consenso.

Art. 33 Informazione e comunicazione con la persona assistita

Art. 35 Consenso e dissenso informato

Art. 37 Consenso e dissenso del rappresentante legale

In particolare l’Articolo 35 recita, nell’ultimo rigo: "Il medico tiene in adeguata considerazione le opinioni espresse dal minore in tutti i processi decisionali che lo riguardano".

Oggi, finalmente, i principi sono disciplinati dal nostro ordinamento con la legge 219 del 22 dicembre 2017 che detta le norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento. Con questa legge una persona può decidere da subito di autodeterminarsi.

Le novità:

• Consenso o rifiuto del trattamento

• Pianificazione condivisa delle cure

• Dichiarazione anticipata

Di seguito vengono descritti l'Articolo 1 della legge che tratta del Consenso informato e l'Articolo 3 che tratta di minori e incapaci.

Articolo 1 (Consenso informato)

Comma 1. La legge tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all'autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge. Per cui oggi se qualcuno viola questa norma viola la legge.

Comma 2

Tratta della relazione di fiducia e di responsabilità. È promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato, nel quale si incontrano l'autonomia decisionale del paziente e la competenza, l'autonomia professionale e la responsabilità del medico. Nel caso di un adolescente in una condizione di malattia il supporto della famiglia è fondamentale. Fondamentale è anche la partecipazione di un'equipe medica che sostiene queste situazioni.

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Comma 3

Tratta della Pienezza dell’informazione.

Il paziente deve essere informato in modo completo e comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi del trattamento, alle conseguenze dell'eventuale rifiuto del trattamento e riguardo alle sue eventuali alternative.

Il rifiuto o la rinuncia alle informazioni e l'eventuale indicazione di un incaricato sono registrati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.

Comma 5

Il rifiuto di cura.

Ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, revocare il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l'interruzione del trattamento. Sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l'idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici. Fermo restando la possibilità per il paziente di modificare la propria volontà, l'accettazione, la revoca e il rifiuto sono annotati nella cartella clinica.

Comma 6

Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale.

Il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali; a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali.

Comma 7

L’emergenza/urgenza.

Nella situazione di emergenza o di urgenza il medico e i componenti dell'equipe sanitaria assicurano le cure necessarie, nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla, o possono agire senza l’acquisizione del consenso.

Il medico può agire senza l’acquisizione del consenso giustificato nel caso ci sia la necessità di salvare il paziente dal pericolo attuale di un danno grave alla salute o per la vita non altrimenti evitabili.

Il consenso quindi deve essere consapevole cioè libero da condizionamenti, specifico cioè riguardante in modo pertinente, esplicito cioè formule non equivoche – «forma scritta», personale e inderogabile.

L’acquisizione di un consenso scritto, oltre ai casi previsti dalla legge (es. trasfusioni, donazioni di organo, studi clinici, test genetici, ecc.), è prevista in tutte le altre circostanze in cui l'intervento medico (sia esso di natura diagnostica che terapeutica o non terapeutica) presenti rischi di cui il paziente debba essere reso edotto al fine di operare una scelta.

Il consenso scritto è necessario in quelle prestazioni che, in ragio-

Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 20, n. 3, 2022 e Volume 21, n. 1, 2023

ne della loro natura, sono tali da ritenere opportuna una manifestazione non equivoca e documentata della volontà del paziente. Art.3 (Minori e incapaci)

Tre eccezioni: minorenni, incapaci, stato di necessità

La persona minore di età o incapace ha diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione. Deve ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle sue capacità per essere messa nelle condizioni di esprimere la sua volontà.

Nella nuova legge non vi sono dei cambiamenti rispetto al passato: il consenso al trattamento sanitario del minore spetta a chi esercita la «potestà» genitoriale o dal tutore, ma l'Articolo 3 della legge dice che si deve tener conto della volontà della persona minore. Quindi dalla legge si evince che formalmente il consenso spetta agli adulti che hanno la rappresentanza legale del minore, però l’assenso del minore, pur non costituendo un elemento giuridico essenziale, è ritenuto elemento di fondamentale valenza etica e deontologica.

Un adolescente o in generale un minore può avere la capacità di comprendere quando gli viene proposto un trattamento sanitario, per cui il parere di un minore relativamente alla propria salute deve essere preso in considerazione in funzione della sua età e del suo grado di maturità.

Per l’adolescente la legge afferma la necessità del coinvolgimento del minore con la valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione.

Diventa quindi deontologicamente corretto che il medico che prescrive una determinata terapia o un determinato vaccino ad un adolescente lo coinvolga e lo renda partecipe sulla necessità e sulle motivazioni di tale prescrizione.

Bibliografia

1. Legge 23 dicembre 1978, n. 833 "Istituzione del servizio sanitario nazionale".

2. Comitato Nazionale per la Bioetica "Informazione e consenso all'atto medico" 20 giugno 1992.

Corrispondenza:

Serenella Castronuovo

Psicoterapeuta; Componente del Comitato Scientifico Tecnico e Organizzativo (STO) della FIMP;

Responsabile Gruppo di Lavoro "Adolescenza e transizione"

E-mail: serenella.castronuovo@gmail.com

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L'adolescente e il consenso informato

Esperienze sul Campo

LE ATTIVITÀ FORMATIVE ED INFORMATIVE DELLA SIMA A FAVORE DEGLI ADOLESCENTI

Struttura e svolgimento del progetto

Il progetto “L’avventura di crescere” è un’esperienza pilota che la SIMA ha condotto nell’anno scolastico 202122 presso il Liceo Scientifico Statale ‘Gaetano Salvemini’ di Sorrento, mirato a individuare la scuola come luogo ideale di prevenzione primaria del benessere e della salute, attraverso l’interazione diretta tra medici e adolescenti. Il progetto, che si è articolato nell’arco dell’intero anno scolastico, è consistito in un percorso per le competenze trasversali e per l’orientamento (PCTO) svolto da circa 50 studenti di tre classi, una di Scienze applicate e due dell’indirizzo Linguistico. Il percorso è stato strutturato in tre fasi. Una prima fase di 24 ore di formazione a distanza ha visto i medici della SIMA tenere le lezioni interattive on line agli studenti delle tre classi coinvolte su alcuni temi della salute adolescenziale, dispensando informazioni, materiali e spunti di riflessione e favorendo la discussione. La seconda fase ha previsto 18 ore di laboratorio, svolte in aula presso il Liceo, e ha visto gli studenti parte attiva dei processi di apprendimento e delle attività di elaborazione dei contenuti. Gli argomenti presentati dagli esperti sono stati approfonditi con l’aiuto dei loro docenti e i ragazzi hanno potuto aprirsi e raccontarsi, confrontando le nozioni scientifiche con vissuti ed esperienze. La terza fase, di 10 ore, è stata relativa alla realizzazione dell’evento finale, che si è tenuto il 28 maggio presso il teatro “Tasso” di Sorrento, in cui gli studenti coinvolti, sotto la guida dei tutor, hanno restituito, in veste di educatori dei loro pari (“peer education”), quanto imparato ai propri coetanei. Inoltre, gli studenti hanno predisposto dei questionari sugli argomenti trattati che sono stati sottoposti in forma anonima ai loro compagni del triennio (età 15-20 anni), con l’intento di raccogliere informazioni su conoscenze e abitudini. Hanno risposto ai sondaggi 120 studenti (68 femmine); i dati sono stati elaborati e presentati al pubblico dai giovani impegnati nel progetto formativo. Infine, gli studenti coinvolti hanno realizzato un divertente video in cui si sono cimentati nelle vesti di autori, attori e filmmaker, per veicolare messaggi educativi ai loro compagni.

Gli argomenti trattati

Il percorso formativo ha toccato un po’ tutto l’universo delle problematiche di salute che normalmente possono presentarsi in un ambulatorio di adolescentologia ed endocrinologia adolescenziale: Disturbi dell’alimentazione (tutor Simonetta Marucci/Anna Lucia Ogliari/Rosalba Trabalzini); Malattie sessualmente trasmissibili (tutor Andrea Vania/Carlo Alfaro); Dipendenze da alcool, droga, fumo (tutor Rossella Gaudino/Valentina Nanni); Malattie della pubertà (tutor Giovanni Farello/Armando Grossi) e della tiroide (tutor Luca de Franciscis); Sport in adolescenza (tutor Ugo Giordano/Gabriella Pozzobon).

Disturbi Alimentari

Nella sessione sui Disturbi Alimentari, gli studenti hanno lavorato sul concetto del rapporto talora esasperato degli adolescenti di oggi col corpo e l’immagine di sé, anche sotto la pressione del

web e degli influencer, focalizzando il punto cruciale che la Bellezza non è un dato di fatto, bensì frutto del contesto, della cultura e della costruzione interpersonale della realtà. Il concetto di bellezza attuale, amplificato dall’esplosione della digitalizzazione, implica la visione del corpo non più come realtà materiale

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La scuola come luogo di prevenzione primaria in adolescenza: un progetto SIMA di “peer education”
Pediatra, U.O.C. di Pediatria - OO.RR. Penisola sorrentina. Vico Equense, Napoli.

La scuola come luogo di prevenzione primaria in adolescenza: un progetto SIMA di “peer education”

ma piuttosto immagine, e come tale idealmente esente da segni, imperfezioni, alterazioni. Il corpo diventa un progetto personale, il luogo in cui esprimere il proprio potere e la propria autodeterminazione, la sede della costruzione del proprio sentimento identitario. Se in passato la bellezza era ritenuta un dono, nella cultura attuale, fondata sull’immagine, si è imposta l’idea che tutti “possono” essere belli (o almeno apparire tali), con la conseguenza che, quindi, tutti “devono” esserlo. Quando si parla di bellezza, per molti giovani al primo posto c’è la linea perfetta. Mentre chi è grasso viene percepito in maniera negativa e stigmatizzato. Le giovani donne interiorizzano ideali irrealistici di magrezza e li considerano il punto di riferimento per giudicare sé stesse, incrementando sensazioni di inadeguatezza e bassa autostima già proprie dell’età adolescenziale. Allo stesso modo, i modelli attuali di bellezza maschile enfatizzano il corpo giovane, magro e muscoloso, creando pressione per l’investimento narcisistico sull’aspetto esteriore. Dai social vengono rinforzati i messaggi disfunzionali, in cui l’attenzione alla forma fisica è centrata sull’immagine corporea piuttosto che sul benessere. Gli influencer, inoltre, tendono a plasmare i pensieri, i sentimenti e le azioni delle persone che li seguono.

Nei disturbi alimentari, la cultura dell’immagine consente all’individuo con disagio mentale di trovare un oggetto su cui focalizzare la sua sofferenza: il controllo rigido e ossessivo del peso e della forma. Pertanto, l’alimentazione, da “intuitiva” (mangiare quando si ha fame “fisica”) diventa “disordinata”, ossia slegata dal bisogno fisiologico e utilizzata per regolare le proprie emozioni (“fame emotiva”), con la presenza di pensieri intrusivi (riguardanti l’immagine corporea).

Dal sondaggio effettuato dagli studenti sul tema, sono emersi dati estremamente interessanti: il 33% degli interpellati ammette di non avere un rapporto sereno con il cibo e il peso, il 43% si crea problemi al riguardo dell’alimentazione e del peso-forma, all’11% è capitato di indursi il vomito quando si sente eccessivamente pieno, il 26% tiene sotto controllo le calorie che introduce giornalmente, il 28% è andato incontro a fluttuazioni di peso in poco tempo. Inoltre, il 25% delle femmine e il 14% dei maschi è insoddisfatto del suo peso attuale, il 40% pensa al cibo almeno 5 volte al giorno e il 25% più di 5 volte, il 48% ammette di aver molta paura di ingrassare, il 15% si sforza sempre a rinunciare a mangiare anche in caso di molta fame per rispettare la dieta (il 26% lo fa quando si sente in sovrappeso), al 37% è capitato qualche volta di mangiare con enorme voracità sentendosi incapace di smettere (percentuale che sale al 32% quando avvertono di sentirsi sotto pressione), il 38% qualche volta usa sminuzzare il cibo impiegando molto tempo a finire il piatto e il 7% lo fa sempre, solo il 3% riferisce di mangiare sempre liberamente ciò che piace senza rinunce, il 45% qualche volta cerca di evitare di consumare i cibi con elevato contenuto di carboidrati come pane, pasta, dolci e il 10% lo fa spesso, al 39% è capitato di sentirsi in colpa dopo aver mangiato male (al 24% spesso), al 37% è capitato qualche volta di sottoporsi a esercizi fisici intensi per brucia-

re calorie avendo ritenuto di aver mangiato troppo (al 14% spesso), al 32% è capitato qualche volta di avvertire il proprio peso diverso da quello che percepiscono gli altri, esempio sentirsi in sovrappeso anche se non confermato dagli altri (il 15% spesso e il 19% sempre), il 27% qualche volta quando pensa al peso lo fa con preoccupazione (il 12% spesso), il 20% qualche volta in casa subisce pressioni perché mangi, il 67% ha già seguito una dieta specifica per perdere o mettere peso, al 17% è capitato qualche volta di digiunare giorni interi. In definitiva, ritiene di avere un disturbo alimentare il 10% dei rispondenti, mentre ha avuto un amico con disturbi alimentari il 38%.

Riguardo al rapporto con la immagine corporea, il 14% non si sente mai a proprio agio col proprio corpo e il 37% qualche volta, il 14% spesso si preoccupa di come vestirsi in base alla forma fisica e il 38% qualche volta. Ha confrontato qualche volta il proprio corpo a quello di altri coetanei il 44% degli interpellati, il 22% spesso e il 21% sempre. Hanno cambiato abito più volte, perché non si sentivano a proprio agio a causa della forma fisica o per nascondere qualcosa del proprio corpo, rispettivamente il 37% ed il 33% degli intervistati. Ha provato vergogna di mostrare il corpo in costume il 36% dei ragazzi/e.

Malattie sessualmente trasmissibili (MST)

Nel modulo sulle malattie sessualmente trasmissibili (MST), gli studenti hanno lavorato sulle forme più frequenti e le conseguenze nel tempo sulla salute.

Le MST comprendono oltre 30 entità nosografiche sostenute da batteri, virus, protozoi, funghi, ectoparassiti. Sono malattie a diffusione ubiquitaria, presenti in tutto il mondo e a tutti i livelli socioeconomici. La fascia di età più esposta è quella tra 15 e i 24 anni, in corrispondenza dell’inizio dell’attività sessuale. Vengono trasmesse, per definizione, attraverso qualsiasi tipo di rapporto sessuale (vaginale, anale, orale), alcune di esse possono anche essere veicolate da contatto diretto con liquidi organici infetti (sperma, secrezioni vaginali, sangue, saliva), scambio di sangue (es. trasfusioni, aghi contaminati per droghe, strumenti infetti per piercing e tatuaggi, punture accidentali con aghi o bisturi, contatto con ferite), passaggio dalla madre al figlio (durante gravidanza, parto, allattamento), contatto indiretto tramite biancheria, indumenti e oggetti contaminati o luoghi promiscui e poco puliti. La maggior parte di tali malattie, almeno inizialmente, non presenta sintomi o è caratterizzata da una espressione clinica modesta e ciò si traduce in un maggior rischio di trasmissione. Dopo un periodo di incubazione variabile a seconda del patogeno, si possono sviluppare sintomi e/o segni, di tipo locale, quali dolore, bruciore o prurito a livello dell’area genitale o pubica, frequente stimolo alla minzione o minzione dolorosa, eruzioni o secrezioni o sanguinamento o cattivo odore a carico dei genitali, rapporti sessuali dolorosi, o sintomi e/o segni di tipo generale,

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come ingrossamento dei linfonodi, rash cutaneo, febbre, nausea, diarrea, malessere, cefalea, dolori articolari e muscolari.

La diagnosi delle MST si basa sugli esami di laboratorio, attraverso un prelievo di campioni di fluidi biologici, su cui effettuare la coltura o i test rapidi di amplificazione genica per rilevare direttamente il genoma del microbo, o la ricerca ove possibile di anticorpi sierici, come per sifilide e HIV.

La prevenzione di queste malattie rappresenta un obiettivo primario di sanità pubblica, dato le ripercussioni che hanno sul benessere del singolo individuo e della collettività e i costi economici e sociali. La prevenzione primaria, sul soggetto sano, si fonda su: limitare il numero di partner; rispetto delle norme igieniche; impiego corretto del profilattico; evitare la condivisione di tutti quegli oggetti che possano veicolare i germi entro la cute o le mucose (ad es. rasoi, forbici, aghi di siringhe, spazzolino da denti, cannucce per sniffare, sex toys, guanti o preservativi); controlli medici ai primi sintomi sospetti; vaccini contro i virus dell’epatite A e B e papilloma umano (HPV).

Nel caso di rischio di trasmissione di HIV, nella prevenzione primaria rientra la possibilità di sottoporre in emergenza le persone sieronegative esposte ad un rapporto a rischio ad un ciclo profilattico di farmaci antiretrovirali (Emtricitabina/Tenofovir), somministrati da 1-4 ore dopo il rapporto ed entro le 48 ore e proseguiti per 4 settimane (Profilassi Pre-Esposizione).

La prevenzione secondaria interviene su soggetti già ammalati, in uno stadio iniziale e in fase asintomatica, attraverso la diagnosi precoce (programmi di screening) prima che la condizione diventi clinicamente manifesta, ai fini di ottenere la guarigione e/o limitare la progressione e/o migliorare il decorso dellas malattia. Si fonda sul sottoporsi periodicamente ai test se sessualmente attivi, soprattutto per le “popolazioni-chiave” quali maschi che fanno sesso con maschi, migranti, donne, adolescenti e giovani adulti sessualmente attivi, persone che hanno condotte sessuali promiscue (ad es. partner multipli o sesso mercenario), persone che hanno avuto già una infezione sessuale, gravidanza. Un altro aspetto della prevenzione secondaria consiste nella gestione del o dei partner sessuali del paziente con diagnosi accertata (“partner notification”), allo scopo di mettere in atto interventi di screening e di trattamento. La tempestività di diagnosi e cura, estesa al/ai partner, è indispensabile per interrompere la catena dei contagi (“breaks the chain of transmission”).

La prevenzione terziaria consiste infine nel controllo clinico-terapeutico di malattie già conclamate, per evitare o limitare le complicazioni, favorire la riabilitazione e il recupero, evitare le recidive. Le infezioni causate da batteri come la sifilide, la gonorrea, la clamidia, sono curabili con antibiotici, mentre nelle infezioni virali vengono impiegate terapie antivirali (come nel caso dell’Herpes e dell’HIV) o trattamenti chirurgici locali (come nel caso dell’HPV). La resistenza agli antibiotici sta creando problemi per alcuni microorganismi, come nel caso della gonorrea, dove si sta osservando l’emergenza di casi di infezione da gonococco ampiamente resistente a tutti i farmaci.

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Dal sondaggio proposto al campione di studenti del Liceo è emerso che: il 42% degli interpellati ha già avuto un rapporto sessuale, ma solo il 30% con uso costante di sistemi di protezione, sebbene il 95,5% di tutto il campione ne dichiari la indispensabilità nei rapporti occasionali; solo il 49% conosce l’esistenza del vaccino per il Papilloma virus; il 67% ha tratto da internet le conoscenze che ha sulle malattie sessualmente trasmissibili; il 58% ritiene erroneamente che tali infezioni colpiscano per lo più determinate categorie di persone, es. omosessuali, persone con alterazione del sistema immunitario, persone con cattiva igiene, tossicodipendenti; il 56% si rivolgerebbe in prima battuta ad un medico se avesse un sospetto di avere una malattia sessualmente trasmissibile e il 28% ai genitori.

Dipendenze da tabacco, alcol e droghe

Nel modulo sulle dipendenze, i giovani hanno approfondito il tema dei rischi di abuso (consumo eccessivo ed improprio di una sostanza) e dipendenza (bisogno compulsivo di assumere la sostanza in modo continuativo) nei confronti di tabacco, alcol e droghe.

Le principali ripercussioni della dipendenza sono: la persistenza del comportamento nonostante la sua associazione con conseguenze negative, un forte senso di piacere o sollievo durante la messa in atto del comportamento, l’impossibilità di resistere alla compulsione. Nella dipendenza possono essere presenti i fenomeni di: “craving” (attrazione così forte verso una sostanza o un’esperienza da comportare la perdita del controllo e una serie di azioni obbligatorie tese alla soddisfazione del desiderio); “assuefazione” (sviluppo di resistenza nell’organismo all’azione della sostanza che causa il bisogno di dosi via via crescenti per ottenere gli effetti desiderati precedentemente ottenuti con dosi inferiori); “astinenza” (stato di sofferenza dovuto al venir meno dell’effetto fisiologico, farmacologico o tossico di una sostanza cui l’organismo si è abituato).

Il fumo di tabacco rappresenta la principale causa evitabile di morte nel mondo. Il tabacco contiene circa 4000 sostanze chimiche dannose per l’organismo: nicotina e derivati, monossido di carbonio, irritanti (es. fenoli, acidi organici, aldeidi, formaldeide ecc.), agenti cancerogeni (es. idrocarburi policiclici aromatici, nitrosammine). Sebbene nei Paesi industrializzati, grazie alle molteplici iniziative di controllo (quali divieto di pubblicità dei prodotti da tabacco, aumento dei prezzi, divieto di fumo nei luoghi pubblici e nei luoghi di lavoro, obbligo di inserire sulle confezioni di prodotti da tabacco messaggi e immagini a scopo informativo sui danni correlati al fumo), la prevalenza dei fumatori nella popolazione generale sia in costante diminuzione, nella fascia adolescenziale under 15 il trend appare in crescita. Ciò è particolarmente grave, data la particolare vulnerabilità di tale fascia di età agli effetti avversi del fumo e alla dipendenza da nicotina: si stima

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che l’80% degli individui che cominciano a fumare durante l’adolescenza manterrà la sua abitudine nell’età adulta, e un terzo di essi morirà prematuramente a causa di malattie fumo-correlate. Le motivazioni che spingono i giovani a fumare comprendono un intreccio di fattori ambientali, familiari (avere un fumatore nel nucleo familiare è un importante fattore predittivo di iniziazione tra gli adolescenti), sociali (influenza dei coetanei e dei social media) e comportamentali-individuali (suscettibilità personale, esperienze di vita negative, vulnerabilità psichica). La nicotina è un alcaloide che crea dipendenza fisica e psicologica. Tra le sostanze conosciute è quella che più velocemente provoca una dipendenza: in soli 7 secondi giunge al cervello e può provocare una dipendenza già dopo poche sigarette (1-2 mg). La dipendenza si instaura sia per gli effetti fisiologici della nicotina in seguito alla sua interazione con specifici recettori cerebrali che per gli aspetti psico-sociali legati alla pratica del fumare. La probabilità di sviluppare dipendenza è direttamente proporzionale alla quantità di sigarette fumate e alla durata dell’abitudine tabagica. Il fumo di tabacco aumenta il rischio di bronchite cronica ed enfisema polmonare (>20 volte), tumori del polmone (>10 volte), tumori di esofago, faringe, laringe (>5 volte), infarto e trombosi cerebrale (>2 volte). Mentre le patologie fumo-correlate sono ben note, i dati sugli effetti avversi legati al fumo di sigaretta elettronica, che contiene una quantità variabile di nicotina (in genere, tra 6 e 24 mg) in una miscela composta da acqua, glicole propilenico, glicerolo e altre sostanze, tra cui gli aromatizzanti, si stanno accumulando di recente.

Riguardo l’alcol, il suo impatto sulla salute dei giovani coinvolge molteplici aspetti, dai rischi acuti (fino al coma etilico per un’alcolemia > 3.5- 4gr/L) agli effetti tossici a lungo termine, ai rischi di incidentalità stradale: i decessi da incidente stradale rappresentano la causa più frequente di morte per i giovani in Europa e un quarto di essi è dovuto alla guida in stato di ebrezza. Anche l’abuso di energy drink espone a rischi importanti per la salute causa gli effetti di dosi elevate di caffeina.

Riguardo le droghe (sostanze psicoattive, naturali o sintetiche che, per le loro proprietà farmacologiche, agiscono sul sistema nervoso centrale e alterano l’equilibrio psicofisico dell’organismo generando il rischio di abuso e dipendenza, sia fisica che psichica) tutte interferiscono con i circuiti cerebrali dopaminergici, implicati nel meccanismo mentale della ricerca del piacere e del suo appagamento attraverso l’elaborazione della ricompensa. L’abuso di droghe in giovane età altera il normale sviluppo evolutivo delle funzioni della corteccia cerebrale con conseguenze profonde e durevoli sulla salute mentale dell’individuo. Tra le droghe, al primo posto per consumo tra i giovani la cannabis. Agli effetti acuti di tipo psico-stimolante si associano effetti fisiopatologici (tachicardia, ipotensione, aumento della temperatura corporea), fenomeni dispercettivi, cambiamenti di umore, calo della memoria, dell’attenzione e della capacità di coordinare i movimenti, rallentamento del tempo di reazione, sonnolenza non naturale, depressione, ansia, panico, fino ad allucinazioni, deliri e psicosi.

Nel sondaggio proposto ai loro coetanei, è emerso che la percentuale di consumo percepita dai giovani intervistati tra i loro pari sarebbe del 18% per il fumo, 30% per l’alcol e 20% per la cannabis. Per quanto attiene alle motivazioni del consumo, riguardo all’alcol il 48% ne fa uso per divertirsi, il 36% per moda, il 12% per alleviare lo stress ed evadere dai problemi e il 3% per il gusto; riguardo al fumo, il 52% per moda, il 38% per alleviare lo stress, il 9% per divertirsi; per le droghe, il 37% per moda, il 31% per alleviare lo stress, il 31% per divertirsi, l’1% per trasgressione. Riguardo alla pericolosità per la salute, in ordine decrescente i giovani considerano droga-fumo-alcol.

La Pubertà e la tiroide

Nella sessione endocrinologica, gli studenti hanno approfondito innanzitutto la tematica dello sviluppo puberale, periodo della vita caratterizzato, sotto la regia dei neuroni ipotalamici GnRH secernenti che attivano il complesso sistema ipotalamo-ipofisigonadi, da profondi cambiamenti somatici, dalla comparsa dei caratteri sessuali secondari, dall’acquisizione della completa maturità sessuale e capacità riproduttiva e dallo “spurt” di crescita che porta al raggiungimento della statura definitiva. Si manifesta fisiologicamente tra 8 e 13 anni nelle femmine e tra 9 e 14 anni nei maschi e viene monitorata attraverso il metodo di stadiazione di Tanner, che offre, in base a una valutazione di tipo ispettivo, una descrizione sistematica dello sviluppo del seno nelle femmine (B), dei testicoli nel maschio (G) e della peluria pubica in entrambi i sessi (PH). La stadiazione per ognuna di queste caratteristiche prevede cinque livelli, con lo stadio 1 che rappresenta la fase prepubere e lo stadio 5 che documenta il completamento dello sviluppo puberale. Il timing di attivazione ed evoluzione del processo puberale rappresenta un tratto altamente ereditabile, in quanto sotto regolazione genetica per almeno il 70-80%.

Gli eventi che portano al completamento dello sviluppo puberale usualmente si succedono in modo prevedibile seppure con alcune variazioni nel momento di insorgenza o nella durata. Nei maschi il primo segno è rappresentato dall’aumento del volume testicolare, seguono lo scatto di crescita staturale, la crescita del pene, lo sviluppo dei peli pubici e poi quella dei peli ascellari e al volto. Si verificano anche altre modificazioni fisiche come ad esempio spalle più larghe, modifiche nella struttura delle ossa facciali, allungamento e ispessimento delle corde vocali con abbassamento del tono della voce, aumento della massa e della forza muscolare. Nelle femmine l’inizio della pubertà è segnato dallo sviluppo della ghiandola mammaria. L’accrescimento staturale è in realtà spesso il primo segno di pubertà, prima dello sviluppo mammario, ma raramente viene colto. Nella femmina la massima velocità di accrescimento staturale viene raggiunta in una fase precoce della pubertà, nello stadio B3, circa 6-12 mesi prima del menarca, che si verifica circa 2 anni dopo l’inizio dello

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sviluppo della ghiandola mammaria. Nelle ragazze la velocità media al picco è di circa 8-9 cm/anno. Nei ragazzi lo spurt inizia allo stadio G2, ma generalmente con due anni di ritardo rispetto alle ragazze; la velocità media di crescita al picco è di 9.5-10 cm/anno; il picco si verifica allo stadio G3-G4. Sebbene in entrambi i sessi lo spurt duri circa due anni, queste differenze spiegano perché la statura definitiva dei maschi sia maggiore. La durata complessiva media dello spurt è di 4 anni.

Fattori che possono influenzare il Timing Puberale sono: condizioni intrauterine, fattori ambientali (clima, ciclo luce/buio, inquinanti), stato nutrizionale, condizioni di salute, stress. Un ritardo di sviluppo puberale viene definito dalla mancata comparsa dell’aumento del volume testicolare nel maschio e dello sviluppo del seno nella femmina a un’età di oltre 2 DS in ritardo rispetto alla età media della popolazione generale: in pratica, in un maschio di età > 14 anni e in una femmina di età > 13 anni. Cause di ritardo puberale possono essere diverse: ritardo costituzionale di crescita e di maturazione (variante normale della crescita, è la causa più frequente di ritardo della pubertà nel maschio: 63%, meno comune nelle femmine: 30%); ipogonadismo ipogonadotropo funzionale (disfunzione ipotalamica transitoria, comune in giovani atleti e persone con disturbi alimentari) o permanente; ipogonadismo ipergonadotropo.

La causa verrà accertata dal medico tramite: accurata anamnesi familiare (età della madre, delle nonne e di eventuali sorelle al momento del menarca, epoca della pubertà del padre e di eventuali fratelli e sorelle); curva di crescita; indagine su malattie croniche e problematiche psico-affettive; esame clinico; indagini ormonali e radiologiche.

Il focus sull’endocrinologia è poi proseguito con l’analisi delle malattie della tiroide in adolescenza. Un ipotiroidismo in un adolescente - la cui causa più frequente è la Tiroidite di Hashimotopuò manifestarsi con inspiegabile aumento di peso, stipsi, pelle secca, unghie fragili e capelli sottili, bradicardia, ridotta velocità di accrescimento, gozzo, mixedema (questi ultimi due segni sono appannaggio di età in genere più mature). Invece nel caso di una tireotossicosi giovanile (la causa principale è la Malattia di Flajani-Graves-Basedow) si possono manifestare: tremore, nervosismo, agitazione, difficoltà a mantenere l’attenzione, problemi ad addormentarsi, perdita di peso, accelerazione della maturazione ossea, ritardo puberale. Indagini utili per la diagnosi di primo livello contemplano dosaggi ormonali (fT3, fT4, TSH, Calcitonina), auto-anticorpi (anti-TPO e anti-Tg) ed ecografia tiroidea; il secondo livello può prevedere esame citologico su agoaspirato, scintigrafia tiroidea con radionuclide, anticorpi antirecettore del TSH, indagini molecolari e radiologiche.

Per la prevenzione delle malattie della tiroide è fondamentale il giusto apporto di iodio, componente essenziale degli ormoni tiroidei. Dato che questa sostanza è scarsamente presente negli alimenti e nell’ambiente in genere, la tiroide la concentra e la conserva al suo interno, per poi utilizzarla per la sintesi degli ormoni tiroidei. In natura la fonte principale di iodio è rappresen-

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tata dagli alimenti, soprattutto il pesce, mentre il latte, le uova, la carne e i cereali ne contengono quantità minori. L’utilizzo di sale iodato per cucinare è un’ottima opzione per il benessere della ghiandola. Va ricordato che il sale iodato grosso per la cottura non serve: evapora durante l’ebollizione. Per il sale fino, per condire gli alimenti, attenzione a non superare la dose massima giornaliera di sale consigliata (5 grammi), anche in considerazione del largo uso di sale che viene fatto in Italia. Il funzionamento della tiroide è minacciato dagli interferenti endocrini presenti nell’ambiente inquinato, soprattutto se agiscono durante lo sviluppo pre- e perinatale.

Attività sportiva nell’adolescente

Nel modulo sullo sport, gli studenti hanno approfondito l’importanza di uno stile di vita sano e attivo nel favorire sviluppo e crescita ottimali e nella prevenzione delle patologie dell’adulto.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) raccomanda per bambini e adolescenti dai 5 ai 17 anni, a tutela della loro salute e benessere psico-fisico, almeno 60 minuti di attività fisica moderata-intensa tutti i giorni.

L’attività fisica rappresenta la migliore prevenzione e la migliore terapia per la salute e il benessere a ogni età, sia nell’immediato che nel lungo termine. Nell’infanzia e adolescenza, l’attività fisica regolare è indispensabile sia per gli aspetti fisici e motori che per quelli psico-sociali della crescita. Inoltre, le buone abitudini relative al movimento apprese da giovani hanno buona probabilità di essere continuate per tutta la vita.

Lo sport ha effetti preziosi sul metabolismo, mediati dall’attivazione di specifici circuiti neuronali e dagli ormoni stimolati durante l’esercizio e la fase di riposo, che, in caso di attività fisica moderata e costante, si traducono in riduzione di massa grassa e aumento della massa magra, controllo di dislipidemie e iperglicemia, riduzione del peso corporeo duraturo nel tempo. Sin dall’infanzia e adolescenza, l’esercizio fisico è un’arma fondamentale contro l’obesità, sia in prevenzione che in terapia. L’esercizio fisico durante la crescita influenza inoltre direttamente lo sviluppo di specifiche aree cerebrali importanti per la funzione esecutiva, correlata alla soluzione di problemi, per i processi di apprendimento, motori e visivi, e per il linguaggio, dato confermato dal miglior rendimento scolastico degli studenti sportivi. L’attività fisica, unitamente alla dieta adeguata e all’assunzione di un apporto corretto di calcio e vitamina D, ha un ruolo importante nella crescita e mineralizzazione dell’osso durante infanzia e adolescenza. Diverse ricerche suggeriscono che le persone che fanno più sport sono meno a rischio di sviluppare infezioni, stati infiammatori, malattie cardio-vascolari, diabete tipo 2, disturbi mentali e tumori in età adulta e avanzata.

Le statistiche mostrano che in molti Paesi con l’aumentare dell’età si registra una riduzione dell’attività fisica: pochi bambini

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restano attivi da adulti. Spesso il drop out sportivo avviene proprio in adolescenza. Tante le cause: percezione di obbligatorietà, costi eccessivi, poca incentivazione da parte degli adulti, mancanza di cultura dello sport, cattiva organizzazione del proprio tempo, bassa educazione al movimento, scarsa motivazione, disagi fisici ed emotivi collegati allo sport. Lo sport deve essere vissuto dai giovani come piacere, strumento sociale, scuola di vita e relazioni, non come campionismo e competitività esasperata. Dai quali nasce il ricorso al “doping”, per cui si intende l’uso di farmaci o sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’impiego di pratiche mediche non giustificati da condizioni patologiche ed idonei a modificare le condizioni psico-fisiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare la prestazione agonistica dell’atleta. Sono particolarmente a rischio di utilizzo di anabolizzanti o composti androgeni: maschi; atleti impegnati in discipline che richiedono un elevato livello di forza, potenza, velocità o che impongono magrezza; giovani di ambo i sessi ossessionati dalla loro immagine corporea, che si allenano intensamente per migliorare il loro aspetto fisico, ma che non praticano attività sportiva. Gli elementi che possono aiutare a identificare giovani che assumono steroidi anabolizzanti possono essere: virilizzazione nelle ragazze, atrofia testicolare nei maschi, cambiamenti nell’umore e nel comportamento.

Dal questionario rivolto dagli studenti ai loro coetanei, è emerso che: il 71% degli interpellati ha iniziato a praticare sport a 5-8 anni; attualmente pratica regolarmente sport il 69%, ma vorrebbe farlo l’89%; vorrebbe un maggior numero di ore di educazione fisica a scuola il 63%; sarebbe ideale dedicare allo sport durante la settimana almeno sei ore per il 52%; trova difficile conciliare studio e sport il 66%; il 67% pratica sport per trarne piacere e divertimento e il 51% per mantenersi in salute.

Discussione e conclusioni

L’assoluta peculiarità dell’adolescenza, quale epoca di tumultuose trasformazioni e cambiamenti alla conquista di abilità e competenze biologiche e psicologiche che definiscono la condizione di adulto, espone gli individui di questa età a rischi specifici per la salute che essi stessi devono conoscere per saper prevenire e identificare insidie e problemi, trovare soluzioni a sfide e crisi, risolvere disagi e conflitti che trovano proprio nel corpo in questa età spazio per la sperimentazione e campo di battaglia.

Intervenire precocemente con giuste informazioni può aiutare i giovani a sviluppare una sana consapevolezza e cultura su temi socio-sanitari che li riguardano, al fine di maturare atteggiamenti e comportamenti corretti da perpetuare anche nel loro futuro. Il nostro intervento rientra nella prevenzione primaria, attraverso promozione di conoscenze corrette e riduzione di informazioni fallaci e percezioni ingannevoli.

Il progetto della SIMA mira a fornire agli adolescenti gli strumenti

idonei allo sviluppo di competenze e risorse, mettendo in contatto diretto il mondo dei saperi medici con il mondo dei giovani che sono i diretti fruitori dei risultati di studi e ricerche. Questo progetto si inserisce nel modo moderno di vedere la scuola come luogo di benessere e salute. Un’esigenza diventata cogente con l’avvento della pandemia, ma già sentita da molti anni. La scuola rappresenta l’agenzia educativa nella quale la popolazione giovanile si trova a vivere gli anni decisivi per la propria formazione valoriale e le future scelte di vita. Essa può quindi farsi setting privilegiato di azioni mirate alla prevenzione primaria della salute, attraverso interventi informativi/ formativi utili ad aumentare la consapevolezza della comunità giovanile un ambiente sicuro e accogliente di apprendimento cooperativo e di attività positive comuni. Gli interventi effettuati in ambito scolastico hanno il vantaggio di raggiungere contemporaneamente un’ampia platea di giovani che condividono lo stesso contesto sociale in maniera quotidiana e continuativa. Riconoscere alla scuola il modello di promotrice di salute significa non solo inserire l’educazione alla salute fisica e psichica nell’offerta formativa, ma, in un approccio più ampio, riconoscere la promozione della salute come finalità sottesa a tutto il curricolum formativo. Attraverso il progetto proposto, si è inteso educare gli studenti alla costruzione di individualità solide nell’autostima, serene nei rapporti con i coetanei e con le figure di riferimento, dotate di abilità personali di autonomia ed emancipazione, capaci di maturare scelte consapevoli e responsabili per quanto concerne uno stile di vita sano. Tutto il percorso si è collegato alle normali attività curriculari, in modo da potenziare gli apprendimenti e ancorarli al processo di acquisizione delle competenze previste in esito al percorso scolastico. Le ricerche concordano tuttavia sul fatto che la classica lezione frontale, basata sull’adulto “tecnico” che va a scuola a insegnare agli studenti, è poco proficua ai fini dell’apprendimento e del cambiamento. Perché la comunicazione ai giovani sia efficace è opportuno che i percorsi formativi-informativi si sviluppino al contrario con il massimo coinvolgimento del target al quale gli stessi sono destinati, utilizzando linguaggi, metodi, percorsi semantici e attori appartenenti agli specifici codici comunicativi dei giovani stessi: è il principio cardine della “peer education”. Questa metodologia educativa consiste nello scegliere alcuni soggetti di un gruppo di studenti e formarli adeguatamente perché diventino “peer educators”, cioè portatori di informazioni e messaggi di salute nei confronti degli altri membri del gruppo, dai quali sono percepiti come loro simili. Il principio base del “peer learning” è che la conoscenza si trasmetta tra “pari grado”, cioè tra persone simili, per età, status e problematiche, il che le rende, agli occhi di chi impara, interlocutori credibili e affidabili, degni di rispetto e confidenza. I peer educators, attraverso un confronto tra pari fatto di sintonia e autenticità, senza le diffidenze e i timori riverenziali che si possono provare per un adulto, possono catalizzare un’efficace opera di diffusione e divulgazione di nozioni corrette e buone pratiche, acquisizione di conoscenze e competenze, modificazioni di atteggiamenti e comportamenti inadeguati.

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Pertanto, abbiamo puntato a creare una comunità di apprendimento, in cui docenti e studenti hanno cercato di contribuire in maniera cooperativa alla costruzione di conoscenza.

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Corrispondenza: Carlo Alfaro

U.O.C. di Pediatria - OO.RR. Penisola sorrentina, Vico Equense, Napoli. E-mail: carloalfaro@tiscali.it

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Volume 21, n. 1, 2023

Malattie Rare e transizione: quale road map per una concreta realizzazione?

In ambito medico si parla di transizione intendendo il passaggio, per età anagrafica, dallo specialista esperto in problematiche tipiche dell’infanzia (crescita, nutrizione, sviluppo neuromotorio, prevenzione e cura delle malattie infettive, sviluppo sessuale) a quello dell’età adulta (riproduzione, prevenzione dello sviluppo di patologie cardiovascolari e oncologiche, terapia sostitutiva con sostegno all’invecchiamento, prevenzione del decadimento senile e dei disturbi comportamentali). Un processo fisiologico che tiene conto della complessa serie di trasformazioni caratteristiche di questa fase di passaggio; in presenza di una patologia cronica questo processo assume delle complessità che non riguardano solo il paziente ma che riguardano anche altri elementi quali la famiglia, l’evolversi della malattia, la trasformazione dei bisogni, i contesti e gli ambienti di cura, le competenze e le esperienze dei professionisti e ognuno di questi passaggi è caratterizzato da specifiche difficoltà. Nell’ambito delle malattie rare (MR) la complessità aumenta ulteriormente per la difficoltà ad identificare professionisti con specifiche competenze e conoscenze.

Fino a poche decine di anni fa la sopravvivenza di bambini affetti da malattie rare complesse era condizionata da un’alta mortalità perinatale e nei primi anni di vita per cui la competenza era quasi esclusivamente dell’ambito pediatrico.

Tuttavia la disponibilità di nuovi strumenti diagnostici, trattamenti medici e chirurgici innovativi, la produzione di farmaci orfani, le migliorate competenze in ambito di nutrizione e respirazione hanno determinato che la sopravvivenza nell’età adulta sia oggi una realtà importante facendo emergere la necessità di coinvolgere la medicina dell’adulto; allo stesso tempo però l’evoluzione in termini di sopravvivenza non è andata di pari passo con l’adattamento dei sistemi sanitari ad accogliere ed accompagnare questa complessità, tanto che il problema della transizione è drammaticamente pressante e ancora irrisolto, non solo in Italia. Uno studio italiano del 2018 ha stimato che solo il 9,2% dei pazienti adulti affetti da MR erano stati trasferiti a centri per adulti. Sebbene si parli di malattie rare nel complesso la numerosità è molto rilevante.

Si stima che i pazienti di età inferiore a 16 anni, affetti da Malattia Rara, siano in Italia oltre 500mila e con numeri proporzionalmente simili in molte nazioni industrializzate, rendendo pertanto il pro-

blema della transizione un elemento centrale nelle politiche sanitarie di molti paesi.

Negli ultimi anni sono stati implementati vari programmi per facilitare il trasferimento dei pazienti dall'assistenza pediatrica a quella adulta per malattie croniche come il diabete, malattie reumatologiche, le cardiopatie congenite; questi modelli sono stati adattati nell’ambito delle malattie rare che presentano però delle specifiche difficoltà.

Difficoltà dovute a scarsità di informazioni: ogni malattia rara ha una sua storia clinica naturale che si cerca di modificare ma poiché il traguardo della sopravvivenza è un fenomeno recente, spesso non si hanno informazioni sufficienti sulla evoluzione.

Difficoltà legate alla disabilità e alla dipendenza dai caregivers. Il processo di acquisizione di indipendenza, che è un obiettivo importante, per alcune persone con malattia rara e disabilità intellettiva può non avvenire. Per le famiglie che sono state lungamente protagoniste dell’assistenza e che si sono assunte l’onere delle decisioni e dell’attuazione di molte attività di cura, è particolarmente difficile rinunciare a questo ruolo. Difficoltà relazionali. La transizione determina un cambiamento degli interlocutori; bisogna lasciare quelli con i quali in passato e per lungo tempo si era instaurato un rapporto di confidenza e, con il loro avvicendamento, bisogna ricostruire nuove relazioni. Spesso, inoltre, questi interlocutori non si trovano, poiché la medicina dell’adulto non ha acquisito adeguata esperienza nei confronti delle malattie rare.

Difficoltà ambientali: spesso i contesti di cura non sono adeguati per pazienti che anagraficamente sono adulti ma che fisicamente ed intellettualmente non lo sono.

I vari progetti di transizione adattati alle malattie rare sulla scorta dei modelli di transizione della patologia cronica hanno come elemento comune la necessità di programmare il processo precocemente. Il processo di transizione deve iniziare presto, già intorno ai 12 anni, ed essere graduale, progressivo e ben pianificato, coinvolgendo l’aspetto educativo dell’adolescente e della famiglia, gli aspetti organizzativi e quelli terapeutico-assistenziali. Servono idealmente degli spazi dedicati, che potrebbero essere

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UOC Malattie Rare e Genetica Medica, Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù” I.R.C.C.S. Roma.

Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza

Volume 20, n. 3, 2022 e Volume 21, n. 1, 2023

dei veri e propri ambulatori per la transizione, condotti assieme dal pediatra e dallo specialista degli adulti, ai fini della condivisione di informazioni cliniche e protocolli. Poiché l’assistenza dei pazienti affetti da malattie rare è spesso complessa è necessario coinvolgere nel processo i referenti territoriali come il pediatra di famiglia e il medico di medicina generale e tutti gli altri protagonisti della assistenza.

L’intero processo deve essere sottoposto a uno stretto monitoraggio: va verificata ogni variazione del livello della qualità di vita ottenuto, il grado di soddisfazione e il senso di sicurezza percepito dal paziente e dalla famiglia e il raggiungimento degli obiettivi posti in partenza. In assenza di una verifica longitudinale degli indicatori di benessere scelti, si mette a rischio la stessa sicurezza del paziente.

Questo processo, più facilmente realizzabile per gruppi omogenei di malattie rare, diventa estremamente complesso in patologie "ultra rare", meno conosciute per decorso e storia clinica.

Tuttavia, poiché le malattie rare sono spesso caratterizzate da disabilità la gestione del paziente può essere fatta capitalizzando sulle problematiche cliniche comuni caratteristiche dei pazienti fragili complessi.

Non bisogna inoltre dimenticare che spesso il paziente adulto con malattia rara e disabilità ha genitori anziani. Proprio per que-

sto il processo di transizione deve iniziare precocemente e con una pianificazione socio-sanitaria che sostenga la famiglia in un percorso complesso ed allo stesso tempo imprescindibile per sistemi socio sanitari moderni ed equi.

Bibliografia

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Corrispondenza:

Marina Macchiaiolo

UOC Malattie Rare e Genetica Medica, Ospedale Pediatrico

“Bambino Gesù” I.R.C.C.S. Roma

E-mail: marina.macchiaiolo@opbg.net

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Malattie Rare e transizione: quale road map per una concreta realizzazione?

Istruzioni agli Autori

Obiettivo della rivista

La Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza, organo ufficiale della Società Italiana di Medicina del l’Ado lescenza, si propone di favorire la cultura e la conoscenza degli aspetti medici, etici, educativi e psicosociali della età adolescenziale con l’obiettivo di migliorare l’approccio all’assistenza e alle problematiche dell’età evolutiva. La Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza, quadrimestrale, pubblica articoli di aggiornamento, articoli originali, casi clinici, esperienze sul campo, rassegne specialistiche di Esperti di diverse discipline mediche (pediatria, medicina legale, dermatologia, ginecologia, andrologia, odontoiatria, diagnostica di laboratorio e per immagini, medicina dello sport).

Front line accetta contributi, esperienze di medici e non medici che si occupano di adolescenti.

Per questa rubrica non sono necessari l’abstract e la bibliografia.

Endothal è l'organo ufficiale dell’International Network of Clinicians for Endocrinopathies in Thalassemia and Adolescent Medicine (ICET-A).

M.A.G.A.M. News pubblica i contributi scientifici del Mediterranean and Middle East Action Group for Adolescent Medicine.

Preparazione degli articoli

Il primo Autore deve dichiarare all’Editor in Chief che i contributi sono inediti ed il loro contenuto conforme alla legislazione vigente anche in materia di etica della ricerca (Vedi http://www.icmje.org/urm_main.html).

La redazione si riserva di modificare i testi nella forma per uniformarli alle caratteristiche della rivista.

Gli articoli devono essere dattiloscritti con doppio spazio su fogli A4 (210 x 297 mm), lasciando 20 mm per i margini superiore, inferiore e laterali.

La prima pagina deve contenere: titolo, nome e cognome (per esteso) degli Autori, istituzione di appartenenza e relativo indirizzo (telefono, fax, indirizzo di posta elettronica).

La seconda pagina deve contenere un riassunto in italiano ed in inglese, il titolo in inglese e 2-5 parole chiave in italiano ed in inglese

Per la bibliografia, che deve essere essenziale (limitata ad un massimo di 25 voci), attenersi agli “ Uniform Requirements for Manuscript submitted to Biomedical Journals” (New Eng J Med 1997; 336:309).

Le referenze bibliografiche devono essere numerate progressivamente nell’ordine in cui sono citate nel testo (in numeri arabi tra parentesi).

I titoli delle riviste devono essere abbreviate secondo lo stile utilizzato nell’ Index Medicus (la lista può essere eventualmente ottenuta al seguente sito web: http://www.nlm.nih.gov).

Per gli articoli con più Autori vanno riportati i primi tre seguiti da et al.

La lunghezza del testo deve essere compresa tra 1.500 e 2.500 parole.

1.I manoscritti devono essere preparati seguendo rigorosamente le norme per gli Autori.

2. Gli Autori, se necessario, devono indicare che lo studio è stato approvato dal Comitato Etico, che è stato ottenuto il consenso informato scritto per lo studio ed il permesso per la pubblicazione nel testo di eventuali fotografie del paziente.

3.L’Autore è tenuto a dichiarare l’eventuale presenza di conflitti di interesse, la quale sarà segnalata in caso di pubblicazione.

4.L'articolo verrà sottoposto al giudizio di due Referee ed eventualmente dell'Editor in Chief.

5.Gli Autori dovranno seguire le raccomandazioni riportate nel sito http://www.icmje.org/urm_main.html per la preparazione dei lavori scientifici e gli aspetti etici della ricerca.

La pubblicazione dei lavori scientifici è gratuita.

Articoli standard di riviste

Parkin MD, Clayton D, Black RJ et al. Childhood leukaemia in Europe after Chernobil: 5 year follow-up. Br J Cancer 1996; 73:1006-1010.

Articoli con organizzazioni come autore

The Cardiac Society of Australia and New Zealand. Clinical exercise stress testing. Safety and performance guidelines. Med J Aust 1996; 164:282-286.

Articoli in supplementi al fascicolo

Payne DK, Sullivan MD, Massie MJ. Women’s psychological reactions to breast cancer. Semin Oncol 1996; 23 (Suppl 2):89-92.

Libri

Ringsven MK, Bond D. Gerontology and leadership skill for nurses. 2nd ed. Albany (NY): Delmar Publisher; 1996.

Capitolo di un libro

Philips SJ, Whisnant JP. Hypertension and stroke. In: Laragh JH, Brenner BM, editors. Hypertension: pathophysiology, diagnosis, and management. 2nd ed. New York: Raven Press; 1995, p. 465-470.

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