Vol. 21 - n. 1 - 2018
SPECIALE NUTRIZIONE
Cop 1_2018 nutrizione.qxp_Colof. Index 03/12/18 09:27 Pagina II
è orgogliosa di annunciare la pubblicazione di RIVISTA PER LA SALA D’ASPETTO
SALUTE PERTUTTI.IT
VOL. 1 - N. 1 - NOVEMBRE - 2018
TISANE e SALUTE MAL DI GOLA INFIAMMAZIONE DI NASO E ORECCHIE Vitiello G, Rossi O.
PROBLEMI DI PESO Della Seta D.
AMICI DEI DENTI Meggiboschi P.
CINEMA E IPOCONDRIA MARESCA J.
co UC mp LA ren de re
Perticone M.
,
CIOCCOLATO lo so n è o n .M no M a n z re e i Sc ta della a aiu m Scopo
ti
Periodico quadrimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - 70% - LO/MI/3009 In caso di mancata consegna restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa.
Cicero A.F.G.
LA RIVISTA PER LA SALA D’ASPETTO DELL’AMBULATORIO MEDICO
Ed/Indice.qxp_Colof. Index 23/11/18 12:03 Pagina 1
Vol. 21, n. 1, 2018
Editoriale Cari Lettori, con nutrizione si definisce il complesso dei processi biologici che consentono o condizionano la conservazione, l’accrescimento, lo sviluppo dell’organismo vivente e la reintegrazione delle perdite materiali ed energetiche che accompagnano le diverse attività funzionali. Ma spesso con i nutrienti vengono introdotti nell’organismo abnormi quantità di sostanze tossiche e contaminanti batterici che alterano gravemente lo stato di salute. La letteratura medica e la rete tracimano di notizie correlate alla nutrizione: alcune sono vere e proprie fake news, altre importanti indicazioni sul comportamento da tenere a livello individuale e sociale. In questo fascicolo Scripta Medica raccoglie articoli che riteniamo utili per il medico, che non necessariamente deve utilizzare devices per aggiornarsi. La carta, infatti, tramanda da secoli le conoscenze di ogni tipo, senza la necessità di una presa di corrente elettrica o di un caricabatterie. Noi crediamo in questo “device naturale” e con esso operiamo principalmente. Tuttavia la natura va anche rispettata e protetta per cui abbiamo deciso di rendere disponibile la rivista su una piattaforma online con la possibilità, per coloro che sono interessati, di scaricarla e di stampare solo le parti ritenute più utili. Gli articoli più strettamente scientifici sono alternati da contributi più leggeri, ma non meno interessanti, con lo scopo di rendere più piacevole la lettura. Il mio personale consiglio è il seguente: rosam cape, spinam cave (“cogli la rosa, evita le spine...”). Pietro Cazzola
1
Direttore Responsabile
Pietro Cazzola
PR e Marketing Donatella Tedeschi Comunicazione e Media Ruben Cazzola Grafica e Impaginazione
Cinzia Levati
Affari Legali Avv. Loredana Talia Redazione e Amministrazione Edizioni Scripta Manent s.n.c. Via Melchiorre Gioia, 41/A - 20124 Milano Tel. 0270608060 E-mail: info@edizioniscriptamanent.eu Web site: www.edizioniscriptamanent.eu Stampa
Lalitotipo S.r.l. Settimo Milanese (MI)
Registrazione
Tribunale di Milano n. 383 del 28/05/1998 Iscrizione al Registro Nazionale della Stampa n.10.000
Vol. 21, n. 1, 2018
INDICE E N O I RIZ T tà NU chi i t E go? e l'an AL I nel lun ’igien a C a ll iv iù S PE i ol feroni o p ee ne d n a n v io ian .3 pag .8 pag
EDIZIONI SCRIPTA MANENT pubblica inoltre: ARCHIVIO ITALIANO DI UROLOGIA E ANDROLOGIA RIVISTA ITALIANA DI MEDICINA DELL’ADOLESCENZA ADVANCES IN UROLOGICAL DIAGNOSIS AND IMAGING ADO’ - LABORATORIO ADOLESCENZA
. pag
9
. 11 pag . pag
12
. pag
14
SALUTEPERTUTTI.IT
. 16 pag
. pag
18
. 19 pag È vietata la riproduzione totale o parziale, con qualsiasi mezzo, di articoli, illustrazioni e fotografie pubblicati su Scripta MEDICA senza autorizzazione scritta dell’Editore. L’Editore non risponde dell’opinione espressa dagli Autori degli articoli. Diffusione gratuita. Ai sensi della legge 675/96 è possibile, in qualsiasi momento, opporsi all’invio della rivista comunicando per iscritto la propria decisione a: Edizioni Scripta Manent s.n.c. - Via M. Gioia, 41/A - 20124 Milano
. pag
20
. 21 pag
e io viv ntaz i r G. C pla ime em ell’al T i n chè eto è r e r P eg Il s avola la a t o Cazzo r Piet è! ute aff Sa l c = i d fè ici ndi Caf ed o f i ot i M b b u o a P vi pr on a te c t t da ge la gie gui ller Nonen Cazzo a e e le in Rub del ion le L l e e t n io id niza enzgy Orga tes ne v n i e Pr ld Aller :s tio lica a ges o Wor c al el tia nosi a a p chi to diag a i a l p E r la ola ce ellaperti pe en Cazz n i to Es e Rub i esdagli uor d c l e i ur a t e per mis and hi o i e h L com desc c ris rac atella Te n u di Don va: za itti n r e t es ist -res ta Rzzola o e i c D en Ca ti ibiori t Rub n vo e a ylo nti ant ter p e v m c re ar All licobadeschi lo pa C o e u in He atella T :r ori vitam l y Don la rp cte o del a b c ico uti . te” Helerape in, et al alu s a t s s i e ar Hu d rso Azh o s “ : unta a i nc ciu Araeppe Pas l L'o arlotta C
s Giu
Olio Oliva Antichità.qxp_Stesura D’Alessandro 04/12/18 11:12 Pagina 3
Vol. 21, n. 1, 2018
3
L'olio di oliva nell'antichità
G. Carlotta Cianferoni Tratto da: http://www.beniculturali.it/mibac/multimedia/MiBAC/minisiti/alimentazione/sezioni/origini/articoli/olio.html
L’olivo coltivato o domestico deriva dall’olivo selvatico o oleastro che cresce nei luoghi rupestri, isolato o in forma boschiva, e dai cui minuscoli frutti si trae un olio amaro il cui uso è, però, sempre stato limitato. I Greci conoscevano diverse varietà di olivi selvatici cui davano nomi diversi, agrielaìa, kòtinos, phulìa; i Romani invece, le riunivano tutte sotto la denominazione oleaster, che è poi quella passata nel vocabolario botanico moderno. La patria di origine dell’olivo va con ogni probabilità ricercata in Asia Minore: infatti, mentre in sanscrito non esiste la parola olivo e gli Assiri ed i Babilonesi, che evidentemente ignoravano questa pianta e i suoi frutti, usavano solo olio di sesamo, l’olivo era viceversa conosciuto da popoli semitici come gli Armeni e gli Egiziani. Non solo, anche nei libri dell’Antico Testamento l’olivo e l’olio di oliva sono spesso nominati: basti pensare che la colomba dell’arca porta a Noè un ramo d’olivo colto sul monte Ararat, montagna dell’Armenia. La trasformazione dell’oleaster in olivo domestico pare sia stata opera di popolazioni della Siria. Molto presto l’uso di coltivare l’olivo passò dall’Asia minore alle isole dell’arcipelago, e quindi in Grecia: lo Schlieman riferisce di aver raccolto noccioli d’oliva sia negli scavi del palazzo di Tirino sia in quelli delle case e delle tombe di Micene e, nell’Odissea, troviamo scritto che Ulisse aveva intagliato il suo letto nuziale in un enorme tronco di olivo. In Grecia esistevano molti e fiorenti oliveti; particolarmente ricca ne era l’Attica e soprattutto la pianura vicina ad Atene. D’altra parte l’olivo era la pianta sacra alla dea Atena ed era stata lei che, in gara con Posidone per il possesso dell’Attica, aveva vinto facendo nascere Soprintendenza per i beni archeologici della Toscana
l’ulivo dalla sua asta vibrata nel terreno. In suo onore si celebravano le feste dette Panatenee, durante le quali gli atleti vincitori delle gare ricevevano anfore contenenti olio raffinato: si tratta di anfore di una forma molto particolare, con corpo assai panciuto, collo breve, fondo stretto e piccole anse “a maniglia”, dette per questo loro particolare uso, panatenaiche.
L’olio attico era considerato tra i migliori; ma si apprezzavano molto anche gli olii di Sicione, dell’Eubea, di Samo, di Cirene, di Cipro e di alcune regioni della Focile. Le olive costituivano inoltre la ricchezza della pianura di Delfi sacra ad Apollo. Le zone della Magna Grecia dove più florida era la coltura dell’olivo erano quelle di Sibari e di Taranto; nell’Italia centrale, si segnalavano
Olio Oliva Antichità.qxp_Stesura D’Alessandro 04/12/18 11:12 Pagina 4
Vol. 21, n. 1, 2018
4
in primo luogo il territorio di Venafro, quindi la Sabina e il Piceno, mentre nell’Italia del nord erano famose le coste della Liguria. L’olivo esigeva molte cure, che potevano risultare anche costose, ma i proprietari degli oliveti erano ben ripagati dei loro disagi: non solo la cucina, ma anche i bagni, i giochi, i ginnasi e persino i funerali, esigevano l’impiego di grandi quantità di olio. Le olive venivano raccolte, a seconda dell’uso cui erano destinate, in periodi diversi: ancora acerbe (olive albae o acerbae), non del tutto mature (olive variae o fuscae), mature (olive nigrae). Si raccomandava di staccarle dal ramo con le mani ad una ad una; quelle che non si potevano cogliere salendo sugli alberi, venivano fatte cadere servendosi di lunghi bastoni flessibili (in greco ractriai), sempre ponendo la massima attenzione a non danneggiarle. Alcuni aiutanti raccattavano e riunivano le olive battute che, solitamente venivano macinate il più presto possibile. In Grecia l’olio era generalmente prodotto dai proprietari stessi degli oliveti che spesso procedevano anche alla sua vendita; il mercante di olio si chiamava elaiopòles o elaiokàpelos. La vendita al dettaglio non si praticava solo in campagna o nelle botteghe; era ugualmente attiva nell’agorà, dove venivano trattate le merci più diverse. I mercanti erano installati in baracche, sotto umili tende o, più comune-
mente, all’aperto, ma questa situazione migliorò ben presto quando furono edificati i primi portici. Per quanto riguarda l’Italia, è importante sottolineare che la presenza di noccioli di oliva in contesti archeologici e documentata fino al Mesolitico. Tali attestazioni non significano necessariamente che già in epoca preistorica l’olivo venisse coltivato, anche perché all’esame dei noccioli non è possibile stabilire se si trattasse di olivastri oppure di olivi domestici. Sono comunque evidenze significative, soprattutto se inquadrate nel più generale panorama archeologico e vegetazionale della penisola italiana, che fanno ragionevolmente presumere un precoce riferimento all’olivo coltivato. Certamente il passaggio da una fase di semplice conoscenza della pianta a quella del suo sfruttamento agricolo avrà richiesto un lungo periodo, ciò nonostante, quanto esposto sembra sufficiente per sollevare almeno qualche perplessità sulle teorie che sostengono che l’olivo sia stato introdotto in Italia dai primi coloni greci; pur senza dimenticare che dal greco derivano sia la parola olivo (elaìa), sia il termine etrusco amurca che, nella sua forma greca amòrghe, indica quel liquido amaro ottenuto dalla prima spremitura delle olive, che veniva scartato ed utilizzato come concime, nella concia delle pelli e nell’essiccazione del legno.
Olio Oliva Antichità.qxp_Stesura D’Alessandro 04/12/18 11:12 Pagina 5
Vol. 21, n. 1, 2018
5
Il vero problema, dunque, non è stabilire a quando risalga la presenza dei primi olivi in Italia, dato che certamente si trattava di piante che esistevano da molto tempo, almeno in forme selvatiche, quanto piuttosto definire il periodo in cui è cominciata la loro coltivazione in età storica, momento importante che segna l’inizio dello sfruttamento razionale delle campagne, tipico della civiltà urbana. Le evidenze linguistiche, letterarie ed archeologiche permettono di affermare che, già fra l’VIII e il VII sec. a.C. non solo la coltivazione dell’olivo era praticata, ma esistevano colture organizzate che, grazie al clima mediterraneo, ben presto permisero la formazione di un surplus destinato agli scambi. Per quanto riguarda l’età storica esistono anche evidenze paleobotaniche: sono da ricordare il relitto della nave del Giglio, del 600 a.C. circa, con le sue anfore estrusche piene di olive conservate e la cosiddetta “Tomba delle Olive” di Cerveteri, databile al 575-550 a.C., contenente, oltre ad un servizio di vasi bronzei per il banchetto, anche una sorta di caldaia piena di noccioli di olive. Non è facile ricostruire il paesaggio agrario dell’Etruria antica: le trasformazioni subite nel corso del tempo, e soprattutto l’impoverimento e l’abbandono delle campagne, iniziato in età romana, impediscono di cogliere, in tutti i suoi dettagli, una situazione che doveva essere comunque piuttosto fiorente. Anche il panorama offerto dalle fonti antiche va letto con prudenza, tenendo conto del contesto storiografico di appartenenza in cui dominavano la memoria di un passato felice e i riscontri di un realtà contemporanea, quella della prima età imperiale, in cui i caratteri del paesaggio etrusco e i metodi di conduzione agricola erano senz’altro strutturati in modo diverso. Per quanto riguarda i riscontri forniti dall’archeologia, le ricerche condotte in questi ultimi anni sui vasi-contenitori hanno permesso di analizzare, negli aspetti complementari di produzione, consumo e smercio, tipi di agricoltura intensiva quali le coltivazioni dell’olivo e della vite. Dopo una prima fase in cui i contenitori di olio deposti nelle tombe principesche del Lazio e dell’Etruria risultano essere in massima parte di importazione, nel corso del terzo quarto del VII sec. a.C. inizia una produzione in loco di questi vasi, destinata nel tempo ad intensificarsi: si tratta non solo di contenitori di essenze odorose a base di olio, ma anche di
recipienti destinati a contenere olio alimentare. È il momento in cui l’olio e il vino da beni preziosi di marca esotica, inclusi nel commercio di beni di lusso, diventano in Etruria prodotti di largo uso come attestano appunto i loro contenitori che diventano frequentissimi nei corredi tombali in età alto e medio-arcaica: particolarmente diffusi sono i piccoli balsamari in bucchero e in ceramica figulina, che imitano gli aryballoy e gli alabastra corinzi di importazione. Per quanto riguarda l’ambito alimentare l’olio è sempre stato uno dei prodotti principali dell’antichità classica. Nel mondo romano non si usava altro condimento per cucinare, e per condire le insalate si utilizzava l’olio migliore: particolarmente rinomati erano l’olio verde di Venafro, come attestano Marrone, Plinio, Orazio e Stradone, e quello della Liburnia in Istria; pessimo era considerato l’olio africano che veniva usato esclusivamente per l’illuminazione. Non mancavano allora, come oggi, le contraffazioni, se dobbiamo credere ad una ricetta di Apicio che insegnava a contraffare l’olio della Liburnia utilizzando un prodotto spagnolo. Essendo poco raffinato e dato che non si adottavano trattamenti particolari atti a conservarlo, l’olio diveniva rancido molto rapidamente; l’unica soluzione era dunque salarlo. Per questo motivo si consigliava anche di conservare il più a lungo possibile le olive, in maniera da poter fare, sul momento, olio fresco da offrire nelle oliere ai convitati in ogni periodo dell’anno. Si rendeva quindi necessario cogliere le olive quando erano ancora verdi sull’albero e riporle sott’olio. In epoca imperiale le olive si servivano in tutte le cene, anche in quelle più importanti: come diceva Marziale, esse costituivano sia l’inizio che la fine del pasto, venivano cioè, sia portate come antipasti, sia offerte quando, finito di mangiare, ci si intratteneva a bere. Solitamente erano conservate in salamoia, ben coperte dal liquido, fino al momento di usarle, poi si scolavano e si snocciolavano tritandole con vari aromi e miele. Le olive bianche venivano anche marinate in aceto e, condite in questo modo, erano pronte all’uso. Inoltre, con le olive più pregiate e più grosse, si facevano ottime conserve che duravano tutto l’anno e fornivano un nutriente ed economico companatico.Con le olive verdi si facevano le colymbadas (letteralmente “le affiorate”), così dette perché galleggiavano in
Olio Oliva Antichità.qxp_Stesura D’Alessandro 04/12/18 11:12 Pagina 6
Vol. 21, n. 1, 2018
6
un liquido fatto di una parte di salamoia satura e due parti di aceto. La preparazione consisteva nel praticare alle olive, dopo la salagione, due o tre incisioni con un pezzo di canna, e quindi tenerle immerse per tre giorni in aceto; poi le olive venivano scolate e sistemate con prezzemolo e ruta, in vasi da conserve che erano poi riempiti con salamoia e aceto facendo in modo che restassero ben coperte. Dopo venti giorni erano pronte per essere portate in tavola. Un altro tipo di conserva era l’epityrum che si faceva sempre con le olive migliori, di solito le orcite e le pausiane: era una salsa molto saporita che si otteneva da frutti colti quando cominciavano appena ad ingiallire, scartando quelli con qualche difetto. Dopo aver fatto asciugare le olive sulle stuoie per un giorno, si mettevano in un fiscolo nuovo, cioè in una di quelle ceste di fibra vegetale fatte a forma di tasca, con un foro superiore e uno inferiore, in cui si racchiudevano le olive frantumate per poi spremere l’olio; quindi si lasciavano una notte intera sotto la pressa. Dopo di che venivano sminuzzate e condite con sale e aromi e, dopo aver messo l’impasto così ottenuto in un vaso lo ricopriva d’olio. Vi erano poi le conserve di olive nere, che si potevano fare sia con le pausiane mature che con le orcite ed in alcuni casi anche con le olive della qualità Nevia: la preparazione consisteva nel tenerle per 30-40 giorni sotto sale, poi, una volta scosso via tutto il sale, metterle sotto sapa defrutum. Altre volte, più semplicemente, si mettevano le olive sotto sale con bacche di lentisco e con semi di finocchio selvatico. Catone, Plinio e Columella e tutti gli scrittori latini di agricoltura più famosi hanno lasciato insegnamenti sulla coltivazione dell’olivo e sulla produzione dell’olio.
E noto, ad esempio, che l’olio che si otteneva dalla torchiatura era piuttosto denso e che, per farlo diventare più fluido, occorreva riscaldare l’ambiente in cui veniva preparato per evitare che si rapprendesse: è per questo che l’olio aveva spesso odore di fumo. In qualche occasione, e naturalmente a seconda della temperatura esterna, era sufficiente che il locale dei torchi (torcular) fosse rivolto a sud ed esposto ai raggi del sole, anzi, gli esperti ritenevano che questa fosse la soluzione migliore per garantire la buona qualità del prodotto. E infatti, nella villa della Pisanella a Poggioreale, dove è venuto alla luce un interessante esemplare di torchio da olio, la cella olearia era intiepidita naturalmente, in virtù della sua esposizione al sole. Gli autori antichi descrivono minuziosamente le macchine impiegate dai Greci e dai Romani per la torchiatura delle olive; le scoperte archeologiche hanno poi permesso di controllare e di completare le loro testimonianze. La prima fase della preparazione dell’olio d’oliva consisteva nello schiacciamento dei frutti. La mola olearia assomigliava a quella granaria, essendo anch’essa costituita da due pietre cilindriche, una fissa, il bacino o sottomola, l’altra mobile, la mola verticale: l’operazione di schiacciamento era seguita in modo assai semplice, facendo rotolare una pietra cilindrica avanti e indietro sopra le olive poste in un contenitore. Il “frantoio” romano, puntualmente descritto da Columella (I sec. d.C.) era di un tipo assai simile a quelli usati anche in età moderna. Sulla base dei dati disponibili è possibile proporne una ricostruzione più che plausibile. In dettaglio, gli elementi componenti la macchina dovevano essere i seguenti: 1. Base in muratura, superiormente concava, per meglio alloggiare la sottomola; 2. Sottomola; 3. Sostegno verticale in legno dove è infilata la stanga. L’inserzione di questa nel sostegno doveva prevedere la possibilità di regolare l’altezza della mola per non schiacciare i noccioli delle olive; 4. Disco della mola, costituito da una pietra cilindrica che l’uso deforma leggermente in senso troncoconico. Il disco è inserito nella stanga in modo da poter girare sia intorno al sostegno centrale, sia attorno al proprio asse. Il disco della mola era man-
Olio Oliva Antichità.qxp_Stesura D’Alessandro 04/12/18 11:12 Pagina 7
Vol. 21, n. 1, 2018
7
tenuto nella posizione corretta per mezzo di cunei in legno (clavi); 5. Stanga, la cui estremità è collegata ai finimenti che imbrigliano l’asino sottoposto alla mola. Quando il perno centrale veniva fatto ruotare, i rulli giravano rapidamente a una distanza regolabile sopra il recipiente che conteneva le olive era così possibile separare la polpa senza schiacciare i noccioli. Dopo la frangitura, le olive venivano pressate. Per questo secondo passaggio in antico venivano usate presse a trave, simili a quelle usate per il vino. Sembra che la pressa a trave abbia avuto origine e si sia sviluppata nella civiltà egea, dove la coltivazione delle olive era già diffusa agli inizi dell’età del bronzo, ma non si sa con certezza a quale epoca risalga. I resti più antichi conosciuti di una pressa e di un bacino per schiacciare le olive sono quelli rinvenuti a Creta che appartengono al periodo minoico (1880-1500 a.C. ca.): sono però insufficienti per una ricostruzione dettagliata dello strumento. Un’altra pressa a trave per olive, risalente al tardo periodo elladico (1600-1250 a.C. ca.) fu trovata in una delle isole Cicladi. Dopo il 1000 a.C. circa, le presse di questo tipo divennero più frequenti e ne esistono alcune rappresentazioni, in particolare su vasi attici a figure nere del VI sec. a.C. La pressa a trave applica il principio della leva: un’estremità della trave era appoggiata in un incavo del muro, o fra due pilastri di pietra, l’altra veniva tirata giù o spesso caricata con pesi (uomini e pietre). Le olive, sistemate in sacchi o tra tavole di legno, venivano schiacciate sotto la parte centrale della trave e il succo era raccolto in un recipiente sistemato sotto il piano della pressa. Plinio descrive con molta chiarezza quattro tipi di presse. La prima è la vecchia pressa trave di cui parla anche Catone (234-149 a.C.) il cui funzionamento è stato però nel frattempo alquanto meccanizzato. Un’estremità della trave, spesso lunga fino a 15 metri, era fissata sotto una sbarra trasversale posta tra due pali di legno. Le olive schiacciate erano ammucchiate sotto questa pesante trave e la pressione veniva esercitata facendo abbassare l’altra estremità della trave che era tirata in basso da una fune arrotolata intorno ad un tamburo del diametro di 40-50 centimetri. Un secondo miglioramento che permetteva una pressione regolare e
prolungata, era attuato nella pressa descritta da Erone (I sec. d.C.), ma gia nota da molto tempo e probabilmente inventata in Grecia. Tale pressa era costituita da un peso di pietra, una trave e un tamburo girevole, Partendo dalla base, una corda passava sotto una puleggia collocata sul peso e sopra un’altra puleggia situata sulla trave, raggiungendo il tamburo. Quando la corda era avvolta al tamburo la trave riceveva l’intero peso della pietra. La massa da pressare era racchiusa in vari modi: dentro fiscoli di corda, giunchi intrecciati, o cesti. Oppure: “le olive venivano schiacciate dentro cesti di vimini o mettendo la pasta tra due asticelle” (Plinio). Le presse a trave erano particolarmente adatte per operazioni su larga scala, quando invece si trattava di quantità limitate, come anche nel caso di semi oleosi, si preferivano altri metodi come la pressa a vite. Di quest’ultima Plinio dice che sembra sia stata introdotta a Roma verso la fine del I secolo a.C., ma che era stata probabilmente inventata in Grecia nel II o I secolo a.C. In una versione perfezionata di questo tipo di pressa, descritta sia da Erone sia da Plinio, la vite solleva un peso di pietra. Questo tipo, chiamato anche “pressa greca”, era senz’altro in uso a Roma ai tempi di Vetruvio (I sec. a.C.). Quindi l’olio veniva messo a decantare in vasche che precedevano il lacus destinato alla raccolta finale del prodotto.
Cazzola P..qxp_Stesura D’Alessandro 04/12/18 11:12 Pagina 8
Vol. 21, n. 1, 2018
8
Perchè i Templari vivevano più a lungo? Il segreto è nell’alimentazione e nell’igiene a tavola A cura di Pietro Cazzola
Nel Basso Medioevo (XI – XIV secolo) l’aspettativa di vita era compresa tra i 25 e i 40 anni, ma è stato accertato che gli appartenenti all’ordine dei Cavalieri Templari vivevano frequentemente più del doppio e spesso superavano i 70 anni. Ad esempio, basti ricordare Jaques de Molay (1243-18 marzo 1314), ultimo Gran Maestro dell’Ordine, morto sul rogo all’età di 71 anni. Alcuni studiosi, prevalentemente italiani, hanno attribuito questa longevità al peculiare stile di vita dei Templari e, in particolare alla loro alimentazione. Infatti, riguardo a quest’ultima, la “Regola templare latina” vietava di mangiare carne più di tre volte la settimana. La carne era sostituita con pesce, verdure e soprattutto legumi, che rappresentano i più potenti probiotici presenti in natura e sono il nutrimento ottimale del microbiota intestinale. In confronto all’alimentazione classica di quel tempo, prevalentemente a base di carne, i Templari preferivano cibo a basso contenuto
di grassi, con riduzione del rischio tumorale e delle malattie cardiovascolari. Anche il loro modo di bere era migliore: al vino classico preferivano il vino di palma con l’aggiunta della polpa di canapa e aloe vera. Questa bevanda è caratterizzata da un basso grado alcolico (proprietà antiaggregante piastrinica). l’acqua era insaporita con agrumi, che, oltre a fungere da disinfettanti, sono fonte di vitamina C e licopene, sostanze utili nella prevenzione di numerose patologie. Tra le altre motivazioni, che possono spiegare la più lunga vita dei Templari, sono da ricordare: lo stretto controllo di tutta la filiera del cibo, che doveva essere di qualità; l’obbligo di lavarsi le mani prima di mangiare; la pulizia dei refettori e delle tovaglie; il divieto a chi svolgeva lavori manuali (es. maniscalchi e contadini) di servire il cibo a tavola.
Lettura consigliata Franceschi F, Bernabei R, Malfertheiner P, Gasbarrini G. The diet of Templar Knights: their secret to longevity? Dig Liver Dis. 2014; 46(7):577-8.
Abstract PubMed 2018.qxp_Stesura D’Alessandro 03/12/18 10:02 Pagina 9
Vol. 21, n. 1, 2018
9
Caffè = Salute Annu Rev Nutr. 2017; 37:131-156.
Coffee, Caffeine, and Health Outcomes: An Umbrella Review Grosso G
1,2,
Godos J
1,3,
Galvano F 3, Giovannucci EL
4,5,6.
1
Integrated Cancer Registry of Catania-Messina-Siracusa-Enna, Catania 95123, Italy;
2
NNEdPro Global Centre for Nutrition and Health, St. John's Innovation Centre, Cambridge CB4 0WS, United Kingdom.
3
Biomedical and Biotechnological Sciences, University of Catania, Catania 95124, Italy;
4
Department of Epidemiology, Harvard T.H. Chan School of Public Health, Boston, Massachusetts 02115;
5
Department of Nutrition, Harvard T.H. Chan School of Public Health, Boston, Massachusetts 02115.
6
Channing Division of Network Medicine, Department of Medicine, Brigham and Women's Hospital and Harvard Medical
School, Boston, Massachusetts 02115.
To evaluate the associations between coffee and caffeine consumption and various health outcomes, we performed an umbrella review of the evidence from meta-analyses of observational studies and randomized controlled trials (RCTs). Of the 59 unique outcomes examined in the selected 112 meta-analyses of observational studies, coffee was associated with a probable decreased risk of breast, colorectal, colon, endometrial, and prostate cancers; cardiovascular disease and mortality; Parkinson's disease; and type-2 diabetes. Of the 14 unique outcomes examined in the 20 selected meta-analyses of observational studies, caffeine was associated with a probable decreased risk of Parkinson's disease and type-2 diabetes and an increased risk of pregnancy loss. Of the 12 unique acute outcomes examined in the selected 9 meta-analyses of RCTs, coffee was associated with a rise in serum lipids, but this result was affected by significant heterogeneity, and caffeine was associated with a rise in blood pressure. Given the spectrum of conditions studied and the robustness of many of the results, these findings indicate that coffee can be part of a healthful diet.
ABSTRACT
Int J Cancer. 2017;141(1):72-82.
Reduction by coffee consumption of prostate cancer risk: Evidence from the Moli-sani cohort and cellular models Pounis G 1, Tabolacci C 2, Costanzo S 1, Cordella M 2, Bonaccio M 1, Rago L 3, D'Arcangelo D 4, Filippo Di Castelnuovo A 1, de Gaetano G 1, Donati MB 1, Iacoviello L 1,5, Facchiano F 2; Moli-sani study investigators 6. 1
Department of Epidemiology and Prevention, IRCCS Istituto Neurologico Mediterraneo - NEUROMED, Pozzilli, (IS), Italy.
2
Department of Oncology and Molecular Medicine, Istituto Superiore di Sanità, ISS, Rome, Italy.
3
Epicomed Research Srl. Campobasso, Italy.
4
Laboratory of Vascular Pathology. Istituto Dermopatico dell'Immacolata-IRCCS, FLMM, Rome, Italy.
5
Department of Medicine and Surgery, University of Insubria, Varese, Italy.
6
The Moli-sani study investigators are listed in the appendix.
Abstract PubMed 2018.qxp_Stesura D’Alessandro 03/12/18 10:02 Pagina 10
Vol. 21, n. 1, 2018
10
Meta-analytic data on the effect of coffee in prostate cancer risk are controversial. Caffeine as a bioactive compound of coffee has not yet been studied in deep in vitro. Our study aimed at evaluating in a population cohort the effect of Italian-style coffee consumption on prostate cancer risk and at investigating in vitro the potential antiproliferative and antimetastatic activity of caffeine on prostate cancer cell lines. 6,989 men of the Moli-sani cohort aged ≥50 years were followed for a mean of 4.24±1.35 years and 100 new prostate cancer cases were identified. The European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition-Food Frequency Questionnaire was used for the dietary assessment and the evaluation of Italian-style coffee consumption. Two human prostate cancer cell lines, PC-3 and DU145, were tested with increasing concentrations of caffeine, and their proliferative/metastatic features were evaluated. The newly diagnosed prostate cancer participants presented lower coffee consumption (60.1±51.3 g/day) compared to the disease-free population (74.0±51.7 g/day) (p<0.05). Multiadjusted analysis showed that the subjects at highest consumption (>3 cups/day) had 53% lower prostate cancer risk as compared to participants at the lowest consumption (0-2 cups/day) (p=0.02). Both human prostate cancer cell lines treated with caffeine showed a significant reduction in their proliferative and metastatic behaviors (p<0.05). In conclusion, reduction by Italian-style coffee consumption of prostate cancer risk (>3 cups/day) was observed in epidemiological level. Caffeine appeared to exert both antiproliferative and antimetastatic activity on two prostate cancer cell lines, thus providing a cellular confirmation for the cohort study results.
ABSTRACT
Caffè.qxp_Stesura D’Alessandro 03/12/18 10:03 Pagina 11
Vol. 21, n. 1, 2018
11
Non gettate via i fondi di caffè! A cura di Ruben Cazzola La maggior parte delle persone, una volta preparato il proprio caffè, getta i fondi nella spazzatura. Parte di questo comportamento è dovuto all’errato senso comune che siano un rifiuto di cui liberarsi. Di seguito sono elencati dieci motivi per cui invece sarebbe meglio considerare anche il fondo del caffè come una risorsa.
1. In frigorifero neutralizza i cattivi odori: Supponiamo conserviate in frigo un formaggio con odore deciso. Nel momento in cui aprite il frigorifero tutto l’ambiente odora di formaggio e può essere una situazione spiacevole. La soluzione si presenta mettendo una ciotola di polvere di fondo di caffè in frigo per almeno un giorno. L’aroma del caffè coprirà il cattivo odore e vi eviterà una potenziale brutta figura. 2. Fertilizzante per piante: Se avete il pollice verde sicuramente tenete molto alle vostre piante. Potete farle stare ancora meglio versando due cucchiaini di fondo caffè macinato nel terriccio delle piante. Ok, loro non possono confermarvelo, ma apprezzeranno le sostanze nutritive. 3. Protezione contro le formiche: Gli amanti del giardinaggio più esperti sanno sicuramente che le formiche sono il nemico numero uno di piante e fiori e che possono distruggere il duro lavoro di cura del giardino. Ancora una volta, i fondi di caffè vengono in aiuto. Versandoli nelle piante, non solo ne beneficiano, ma servono anche da repellente contro le formiche, che non sopportano l’odore del caffè e non si avvicineranno più a piante e fiori. 4. Cura dei mobili: A causa del tempo e del continuo utilizzo dei mobili e degli scaffali di casa, eventuali graffi sulla superficie diventano difficili da eliminare con un semplice panno. Il problema può essere risolto usando alcuni fondi di caffè con cui viene bagnato un tampone che, una volta passato sulla superficie dei mobili, li rivitalizza e riduce di molto graffi e segni dovuti all’usura. 5. Pulizia del barbecue: Un buon sistema per pulire il barbecue durante la stagione estiva, che notoriamente favorisce le grigliate con amici, è quello di utilizzare parte dei fondi di caffè su una spugna e grattare bene il barbecue una volta raffreddato. Attenzione a non bagnare la spugna, altrimenti il procedimento non funziona. 6. Repellente per gatti: I gatti non hanno mai rappresentato un problema (rispetto alle formiche…), ma i nostri pelosi amici possono infilarsi in posti della casa o del giardino, dove non vorremmo vederli. Qualche fondo di caffè in luoghi chiave serve a tenerli a bada. 7. Azione anticellulite: Come è noto, la caffeina ha proprietà anticellulite. Per beneficiare di queste proprietà basta riscaldare un fondo di caffè e cospargere un asciugamano da bagno, poi è sufficiente applicare l’asciugamano e stringerlo come un bendaggio lasciando agire la caffeina per almeno quindici minuti. 8. Capelli luminosi: L’idea di lavare i propri capelli con i fondi di caffè non entusiasma nessuno, ma se si supera l’imbarazzo iniziale si può godere di ottimi benefici sciacquando i capelli con del residuo di fondi di caffè. Una volta sciacquati, i vostri capelli saranno più luminosi e in salute. 9. Polvere nel camino: Mettere un sottile strato di fondo di caffè inumidito nel camino, spegne completamente la cenere e permette di pulire tutto il camino più rapidamente senza attendere la cenere si spenga del tutto da sola. 10. Scarico del lavandino: Versare i fondi di caffè nello scarico del lavandino della cucina dove si lavano i piatti, aiuta a conservarlo libero da intasature. Tratto da: http://healthnutritionstips.blogspot.com/2016/01/must-not-be-thrown-away-what-good-is.html
Probiotici.qxp_Stesura D’Alessandro 03/12/18 10:03 Pagina 12
Vol. 21, n. 1, 2018
12
Prevenzione delle allergie con probiotici https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4772464/
La prevalenza delle malattie allergiche nei neonati varia dal 10%, nei bambini che non hanno genitori e fratelli allergici, al 20-30%, in quelli con parenti di primo grado con allergia. Il microbiota intestinale può modulare le risposte immunitarie ed infiammatorie sistemiche e, in questo modo, influenzare la sensibilizzazione e lo sviluppo di allergia. I prebiotici, oligosaccaridi non digeribili che stimolano la crescita dei batteri probiotici, sono stati indicati capaci di modulare la risposta immunitaria ed è stata quindi proposta la loro supplementazione come intervento preventivo. La World Allergy Organization ha elaborato delle raccomandazioni basate sulle evidenze scientifiche aventi come oggetto l’uso dei prebiotici nella prevenzione dell’allergia.
Le domande a cui un Panel di esperti ha dato risposta sono le seguenti: 1. I prebiotici dovrebbero essere impiegati nelle donne gravide? Nessuna raccomandazione dal momento che non esistono studi osservazionali e sperimentali. 2. I prebiotici dovrebbero essere impiegati nelle donne che allattano? Nessuna raccomandazione dal momento che non esistono studi osservazionali e sperimentali. 3. I prebiotici dovrebbero essere impiegati nei neonati sani? Il Panel ha suggerito la supplementazione con prebiotici in neonati non esclusivamente allattati al seno. I latti supplementati con prebiotici non dovrebbero essere considerati sostitutivi del latte materno.
World Allergy Organ J. 2016; 9:10.
World Allergy Organization-McMaster University Guidelines for Allergic Disease Prevention (GLAD-P): Prebiotics. Cuello-Garcia CA, Fiocchi A, Pawankar R, Yepes-Nuñez JJ, Morgano GP, Zhang Y, Ahn K, Al-Hammadi S, Agarwal A, Gandhi S, Beyer K, Burks W, Canonica GW, Ebisawa M, Kamenwa R, Lee BW, Li H, Prescott S, Riva JJ, Rosenwasser L, Sampson H, Spigler M, Terracciano L, Vereda A, Waserman S, Schünemann HJ, Bro!ek JL. BACKGROUND: The prevalence of allergic diseases in infants, whose parents and siblings do not have allergy, is approximately 10 % and reaches 20-30 % in those with an allergic first-degree relative. Intestinal microbiota may modulate immunologic and inflammatory systemic responses and, thus, influence development of sensitization and allergy. Prebiotics - non-digestible oligosaccharides that stimulate growth of probiotic bacteria - have been reported to modulate immune responses and their supplementation has been proposed as a preventive intervention.
ABSTRACT
Probiotici.qxp_Stesura Dâ&#x20AC;&#x2122;Alessandro 03/12/18 10:03 Pagina 13
Vol. 21, n. 1, 2018
13
OBJECTIVE: The World Allergy Organization (WAO) convened a guideline panel to develop evidence-based recommendations about the use of prebiotics in the prevention of allergy. METHODS: The WAO guideline panel identified the most relevant clinical questions about the use of prebiotics for the prevention of allergy. We performed a systematic review of randomized controlled trials of prebiotics, and reviewed the evidence about patient values and preferences, and resource requirements (up to January 2015, with an update on July 29, 2015). We followed the Grading of Recommendations Assessment, Development and Evaluation (GRADE) approach to develop recommendations. RESULTS: Based on GRADE evidence to decision frameworks, the WAO guideline panel suggests using prebiotic supplementation in not-exclusively breastfed infants and not using prebiotic supplementation in exclusively breastfed infants. Both recommendations are conditional and based on very low certainty of the evidence. We found no experimental or observational study of prebiotic supplementation in pregnant women or in breastfeeding mothers. Thus, the WAO guideline panel chose not to provide a recommendation about prebiotic supplementation in pregnancy or during breastfeeding, at this time. CONCLUSIONS: WAO recommendations about prebiotic supplementation for the prevention of allergy are intended to support parents, clinicians and other health care professionals in their decisions whether or not to use prebiotics for the purpose of preventing allergies in healthy, term infants.
Alcool.qxp_Stesura D’Alessandro 03/12/18 10:09 Pagina 14
Vol. 21, n. 1, 2018
14
Epatopatia alcolica: sintesi delle Linee guida per la diagnosi e la gestione A cura di Ruben Cazzola
L’abuso di alcol causa ogni anno 3,3 milioni di morti ed è responsabile del 6 per cento di tutti i decessi. L’identificazione e il trattamento dell’epatopatia alcolica è quindi una emergenza di salute pubblica. Per questo la European Association for the Study of the Liver (EASL) ha messo a punto delle linee guida dedicate, di cui vengono qui riassunte le indicazioni più strettamente legate alla Medicina Generale.
Policy L’eccessivo consumo di alcolici dovrebbe essere contrastato con l’aumento della tassazione e le restrizioni nella disponibilità. Le pubblicità dirette o indirette dovrebbero essere vietate.
Screening Bisognerebbe creare ambulatori di primo livello per la presa in carico dei disturbi alcol-correlati. Lo screening per l’eccessivo consumo di alcolici dovrebbe far parte della valutazione di routine in medicina generale e nei reparti di emergenza. Lo screening per le patologie epatiche alcol-correlate dovrebbe essere condotto in popolazioni ad alto rischio come i pazienti in riabilitazione per dipendenze o in soggetti precedentemente identificati come abusatori di alcol. I pazienti identificati con lo screening dovrebbero essere indirizzati a un gruppo di presa in carico multidisciplinare. Il termine disturbo da uso di alcol (definito secondo i criteri del DSM V) dovrebbe essere usato di preferenza al posto di
alcolismo, abuso alcolico, dipendenza da alcol o forte bevitore. Per lo screening dei pazienti dovrebbe essere utilizzato l’Alcohol Use Disorders Inventory Test (AUDIT e AUDIT-C) I pazienti con disturbo da uso di alcol dovrebbero essere valutati anche per concomitanti disturbi psichiatrici e altre dipendenze.
Trattamento Le benzodiazepine dovrebbero essere usate per trattare la sindrome da astinenza da alcol ma non dovrebbero essere prescritte per più di 10-14 giorni per evitare l’abuso e il rischio di encefalopatia. I centri di Gastroenterologia ed Epatologia dovrebbero essere dotati di servizi in grado di offrire adeguate terapie psicosociali. È necessario considerare la prescrizione di farmaci in pazienti con disturbo del consumo di alcol ed epatopatia alcolica. La biopsia epatica è necessaria in caso di incertezza diagnostica, quando è necessaria una stadiazione precisa e nei trial clinici. Lo screening dei pazienti con disturbo da uso di alcol dovrebbe includere i test di funzionalità epatica e la valutazione della fibrosi epatica. L’astinenza deve essere accuratamente monitorata misurando l’etilglucuronide nelle urine e nei capelli. La comparsa di ittero in pazienti con un consumo eccessivo di alcol dovrebbe far sospettare una epatite alcolica. Le scale prognostiche validate devono essere utilizzate per identificare le forme gravi di epatite alcolica, a rischio di decesso precoce. In assenza di infezioni attive, in pazienti
Alcool.qxp_Stesura D’Alessandro 03/12/18 10:09 Pagina 15
Vol. 21, n. 1, 2018
15
con epatite alcolica grave, devono essere considerati i corticosteroidi (prednisolone 40 mg die o metilprednisolone 31 mg die) per ridurre la mortalità a breve termine. Bisogna però tenere presente che i corticosteroidi non influenzano la mortalità a medio e lungo termine. In pazienti con epatite alcolica grave gli steroidi vanno associati a N-acetilcisteina e.v. per cinque giorni. In tutti i casi va valutato lo stato nutrizionale. Il paziente deve introdurre almeno 35-40 Kcal/die per Kg di peso corporeo e 1,2-1,5 g di proteine per os pro Kg. Lo screening sistematico per possibili infezioni deve essere condotto prima di inizio della terapia, durante il trattamento con steroidi e durante il periodo di follow-up. In caso di mancata risposta ai corticosteroidi entro sette giorni, è necessario applicare un protocollo rigoroso per la cessazione graduale della terapia e in un gruppo altamente selezionato di pazienti dovrebbe essere preso in considerazione il trapianto di fegato. I pazienti con cirrosi alcol-correlata devono essere incoraggiati alla completa astinenza dall’alcol per ridurre il rischio di complicazioni epatiche e di mortalità. È raccomandata l’identificazione e la gestione dei cofattori di rischio (obesità, resistenza all’insulina, malnutrizione, fumo di sigarette, sovraccarico di ferro ed epatite virale).
Trapianto Il trapianto di fegato conferisce un vantaggio in termini di sopravvivenza e
dovrebbe essere preso in considerazione in pazienti con disturbo epatico alcolcorrelato grave. La durata dell’astinenza prima di essere considerati eligibili per il trapianto dovrebbe dipendere dal grado di insufficienza epatica. I pazienti con disturbo da uso di alcol in lista per il trapianto dovrebbero essere valutati periodicamente con interviste cliniche e test di laboratorio che confermino l’astinenza. Un approccio multidisciplinare che valuti non solo gli aspetti medici ma anche quelli psicologici dovrebbe essere obbligatorio prima di un trapianto di fegato (in Italia lo è). La presenza di un esperto di dipendenze nel gruppo di cura può diminuire il rischio di ricaduta tra i forti bevitori. Il trapianto di fegato precoce deve essere proposto a una minoranza di pazienti con epatite alcolica grave dopo un processo di selezione accurato. Prima e dopo il trapianto, i pazienti devono essere valutati regolarmente per la presenza di malattie cardiovascolari, neurologiche, psichiatriche e oncologiche. I fattori di rischio cardiovascolari e oncologici, come il fumo di sigaretta, devono essere tenuti accuratamente sotto controllo.
Approfondimento European Association for the Study of the Liver. EASL Clinical Practice Guidelines: Management of alcoholrelated liver disease. Journal of Hepatology. 2018; 69j:154-181.
Celiachia.qxp_Stesura D’Alessandro 03/12/18 10:12 Pagina 16
Vol. 21, n. 1, 2018
16
Le misure di esito nella celiachia raccomandate dagli Esperti A cura di Donatella Tedeschi La celiachia è una patologia immuno-mediata legata all’esposizione al glutine. Essa è causata da una reazione alla gliadina, una prolammina (proteina del glutine) presente nel grano e in altri cereali comuni, come orzo e segale. L'esposizione alla gliadina causa una reazione infiammatoria che determina una progressiva riduzione dei villi che rivestono l'intestino tenue (atrofia dei villi) fino alla loro completa scomparsa. Ciò interferisce con l'assorbimento delle sostanze nutritive. Attualmente l’unica terapia efficace è rappresentata da una dieta priva di glutine, ma sono in corso numerosi studi che valutano strategie terapeutiche alternative. In questi nuovi studi sarà importante valutare quali misure di esito utilizzare. A questo proposito, recentemente, una task force composta da 17 ricercatori e 2 rappresentanze dei pazienti di 10 diversi paesi ha effettuato una revisione della letteratura. Dopo aver valutato 10.062 referenze sull’uso e l’applicabilità di misure di esito cliniche e non cliniche, sono state stilate raccomandazioni per l’utilizzo di tali misure di esito negli studi sulla malattia celiaca. Le raccomandazioni sono state classificate in base al metodo suggerito dall’Oxford Centre for Evidence-based Medicine (Oxford Centre for Evidence-based Medicine - Levels of Evidence. Oxford university, 2009).
DESCRIZIONE
DELLO STUDIO
• Sono state valutate 10.062 referenze sull’uso e l’applicabilità di misure di esito cliniche e non cliniche. • Sono state in seguito generate raccomandazioni per l’utilizzo di tali misure di esito negli studi sulla malattia celiaca. • Le raccomandazioni sono state classificate in base al metodo suggerito dall’Oxford Centre for Evidence-based Medicine (Oxford Centre for Evidence-based Medicine - Levels of Evidence. Oxford university, 2009). • Raccomandazione di Grado A: basata direttamente su prove di categoria I (da revisioni sistematiche o studi randomizzati e controllati). • Raccomandazione di Grado B: basata direttamente su prove di categoria II o III o estrapolata da prove di categoria I (include prove da studi controllati non randomizzati o time series o prove indirette da revisioni sistematiche o studi randomizzati e controllati). • Raccomandazione di Grado C: basata direttamente su prove di categoria IV o estrapolata da prove di categoria II o III (include anche prove da studi non sperimentali come studi di coorte o caso-controllo). • Raccomandazione di Grado D: basata direttamente su prove di categoria V o studi non conclusivi di qualunque livello (include prove da comitati di esperti).
PRINCIPALI
RISULTATI
Di seguito sono riportate alcune delle raccomandazioni relative alle diverse misure di esito analizzate per gli studi sulla malattia celiaca. • Istologia: è una misura di esito essenziale in qualunque studio sulla celiachia (Grado B). Dovrebbe essere effettuata prima e al termine dello studio quanto la misura di esito primaria è la guarigione o la recidiva istologica (Grado B). • Sierologia: gli auto-anticorpi IgA contro transglutaminasi tissutale (TG2) e gli anticorpi IgG contro i peptidi deamidati di gliadina (DGP) dovrebbero essere misurati almeno all’ingresso e al completamento dello studio (Grado B). • Tool immunologici: allo stato attuale delle conoscenze dovrebbero essere utilizzati solo come esiti esplorativi in studi di fase II e III (grado D).
Celiachia.qxp_Stesura D’Alessandro 03/12/18 10:12 Pagina 17
Vol. 21, n. 1, 2018
17
• Peptidi immunogenici del glutine (GIP) come misura di compliance: la valutazione dei GIP rappresenta uno strumento promettente per valutare e selezionare i pazienti per studi che mirano a ridurre la tossicità legata all’esposizione al glutine (Grado D). • End point clinici: devono essere inclusi negli studi sulla malattia celiaca e i patient reported outcomes (PRO) dovrebbero rappresentare un esito primario negli studi sul trattamento della celiachia attiva, in genere di fase II e III (Grado D). • Valutazione della HR-QoL: negli studi mirati a migliorare il controllo della celiachia, la valutazione della HR-QoL dovrebbe rappresentare un end point critico, potenzialmente utile anche per determinare il valore della terapia sia per i pazienti che per i finanziatori (Grado D).
MESSAGGI
CHIAVE
• Istologia, sierologia, tool immunologici, end point clinici e sulla qualità di vita legata alla salute (HR-QoL) sono importanti misure di esito negli studi sulla malattia celiaca. • Ciascuno di questi parametri ha un significato e un’utilità specifica e dev’essere impiegato nel giusto contesto. • La valutazione e il report accurati delle misure di esito sono importanti per aumentare la comparabilità degli studi sulla celiachia, con benefici per i pazienti, i professionisti sanitari e l’industria farmaceutica.
Bibliografia Ludvigsson JF, Ciacci C, Green PH, et al. Outcome measures in coeliac disease trials: the Tampere recommendations. Gut. 2018; 67(8):1410-1424.
Gut. 2018 Aug;67(8):1410-1424.
Outcome measures in coeliac disease trials: The Tampere recommendations. Ludvigsson JF, et al. Department of Medical Epidemiology and Biostatistics, Karolinska Institutet, Stockholm, Sweden. Department of Pediatrics, Örebro University Hospital, Örebro, Sweden.
OBJECTIVE: A gluten-free diet is the only treatment option of coeliac disease, but recently an increasing number of trials have begun to explore alternative treatment strategies. We aimed to review the literature on coeliac disease therapeutic trials and issue recommendations for outcome measures. DESIGN: Based on a literature review of 10 062 references, we (17 researchers and 2 patient representatives from 10 countries) reviewed the use and suitability of both clinical and non-clinical outcome measures. We then made expert-based recommendations for use of these outcomes in coeliac disease trials and identified areas where research is needed. RESULTS: We comment on the use of histology, serology, clinical outcome assessment (including patient-reported outcomes), quality of life and immunological tools including gluten immunogenic peptides for trials in coeliac disease. CONCLUSION: Careful evaluation and reporting of outcome measures will increase transparency and comparability of coeliac disease therapeutic trials, and will benefit patients, healthcare and the pharmaceutical industry.
ABSTRACT
Cazzola R..qxp_Stesura D’Alessandro 03/12/18 10:14 Pagina 18
Vol. 21, n. 1, 2018
18
Dieta Restrittiva: un rischio per il cuore
A cura di Ruben Cazzola
La dieta ipocalorica o restrittiva, è un regime alimentare che prevede un apporto calorico/energetico quotidiano inferiore a quello richiesto dall'organismo nell'arco della giornata. L'etimologia del termine è a dir poco essenziale, ovvero: dieta: regole di alimentazione o regime alimentare controllato, frutto di un'indicazione terapeutica; dal greco "dìaita" che significa "stile di vita" ipo-: particella diminutiva calorica: che ha o apporta calorie/energia. Un recente studio dei ricercatori dell’Università di Oxford ha evidenziato con grande chiarezza una delle possibili conseguenze negative di un regime troppo restrittivo sotto il profilo calorico, documentando con i controlli effettuati presso il Centro di Risonanza Magnetica con cui collaborano ciò che di spiacevole può capitare a livello cardiaco. Consumare meno di 800 calorie al giorno fa “ingrassare” il cuore. Se da una parte il peso diminuisce, una quota notevole di grassi si muove verso il miocardio, generando così un rischio per il cuore.
Questo accade in maniera del tutto naturale, poiché è l’organismo stesso che reagisce allo squilibrio calorico: quando viene avvertito un drastico calo degli apporti nutritivi, quelli che fungono da veri e propri depositi di energia, i grassi, vengono prioritariamente destinati all’organo che non può permettersi di restare senza rifornimenti. Lo studio si è avvalso della risonanza magnetica per verificare l’impatto di una dieta molto restrittiva sul miocardio e la distribuzione del grasso a livello di addome, fegato e miocardio. Sono state prese in esame 21 persone obese, che hanno seguito una dieta di 600-800 calorie al giorno per due mesi, la risonanza è stata eseguita all’inizio e dopo una e otto settimane. Dopo una settimana il grasso corporeo totale, viscerale e del fegato si sono ridotti in maniera significativa, contemporaneamente è stato registrato un miglioramento dell’insulino-resistenza e un calo del colesterolo totale, dei trigliceridi, del glucosio e della pressione arteriosa. Tuttavia, dopo una settimana il grasso del miocardio è aumentato del 44% con un deterioramento delle funzioni cardiache.
Sitografia https://www.sciencedaily.com/releases/2018/02/1802 02123836.htm https://www.sportwork.net/la-pagina-del-doc-dieta-restrittiva-cuore-puo-un-problema/
Antibiotico.qxp_Stesura D’Alessandro 03/12/18 10:16 Pagina 19
Vol. 21, n. 1, 2018
19
Allarmante antibiotico-resistenza di Helicobacter pylori A cura di Donatella Tedeschi
Una revisione sistematica della letteratura ha identificato 178 studi in cui sono stati richiamati i dati sull’antibiotico-resistenza in 65 nazioni di H. pylori nei confronti di claritromicina, metronidazolo, levofloxacina, amoxicillina, tetraciclina.
I risultati indicano che: La resistenza primaria e secondaria a claritromicina, metronidazolo e levofloxacina era ≥15% in tutte le regioni dell’OMS, a eccezione delle Americhe e del Sud-Est Asiatico per la resistenza primaria alla claritromicina (10% per entrambe) e dell’Europa per la resistenza primaria alla levofloxacina (11%).
La resistenza primaria e secondaria all’amoxicillina e alla tetraciclina è inferiore a 10% in tutte le regioni a parte che nel Mediterraneo Orientale, dove la resistenza primaria è 14%. In Italia i valori di prevalenza dell’antibioticoresistenza sono stati: claritromicina 15% (IC95% 11-20%), metronidazolo 26% (22-31%), levofloxacina 5% (3-7%), claritromicina+metronidazolo 8% (4-12). Non si è osservata resistenza ad amoxicillina e tetraciclina.
Conclusioni Importanti: Questi dati inducono a raccomandare, nelle aree in cui la resistenza antibiotica supera il 15-20%, l’uso di un regime alternativo per l’eradicazione di H. pylori.
Bibliografia Savoldi A, Carrara E, et al. Prevalence of antibiotic resistance in Helicobacter pylori: A systematic review and meta-analysis in World Health Organization regions. Gastroenterology 2018; 155:1372-1382. doi:10.1053/j.gastro.2018.07.007
Vitamina C.qxp_Stesura D’Alessandro 03/12/18 10:16 Pagina 20
Vol. 21, n. 1, 2018
20
Helicobacter pylori: ruolo preventivo e terapeutico della vitamina C Azhar Hussain, et al.
Il trattamento delle infezioni da H. pylori mediante terapie antibiotiche è ben accettato a livello clinico, ma l’impiego di un approccio non invasivo con l’implementazione di agenti terapeutici come la vitamina C non è stato sinora ben investigato. La vitamina C possiede alcune caratteristiche che le consentono di essere considerata come una potenziale opzione terapeutica per i pazienti con infezione da H. pylori. Il suo meccanismo d’azione nei confronti di questo patogeno nel contesto dell’ulcera peptica consente alla vitamina C di essere considerata come agente terapeutico oppure anche come agente preventivo. A livello preventivo, la vitamina C agisce come antiossidante biologico e come fattore di potenziamento della risposta immunitaria,
Medicine, Xavier University School of Medicine, Oranjestad, ABW
mentre a livello terapeutico essa agisce come inibitore dell’ureasi, un potenziale agente sintetizzante del collagene, e come stimolante nella sintesi delle prostaglandine. Ne deriva che il dosaggio della vitamina C dovrebbe essere regolato con molta attenzione. Numerosi studi hanno inoltre dimostrato che l’integrazione della vitamina C in associazione con gli antibiotici incrementa l’efficacia del trattamento, il che porta ad una maggiore probabilità di eradicazione di H. pylori nei soggetti infetti (Cureus. 2018; 10: e3062).
Bibliografia Hussain A, Tabrez E, Peela J, et al. (July 30, 2018) Vitamin C: A Preventative, Therapeutic Agent Against Helicobacter pylori. Cureus 10(7): e3062. DOI 10.7759/cureus.3062
Arance.qxp_Stesura D’Alessandro 04/12/18 10:38 Pagina 21
Vol. 21, n. 1, 2018
21
Arancia: un “sorso di salute”
Giuseppe Pasciuta
L'arancia è considerata sinonimo di salute. Un consumo regolare produce molti benefici sull'organismo umano, sia come azione preventiva che terapeutica. Fonte naturale di vitamine (C, A e parte del gruppo B) indispensabili per regolare buona parte delle reazioni chimiche che avvengono nel nostro organismo, comprese quelle energetiche. L’arancia, in quanto ricca di vitamina C, è efficace nel: contrastare i radicali liberi e gli effetti deleteri dell'invecchiamento; ridurre i danni da fumo; proteggere il sistema cardiovascolare (per le sue proprietà antinfiammatorie). Un adeguato consumo di arance nei mesi invernali può essere un ottimo coadiuvante anche nella prevenzione delle malattie da raffreddamento.
L’ARANCIA DI RIBERA DOP CLASSIFICAZIONE Denominazione: Arancia di Ribera DOP Famiglia: Rutaceae Genere: Citrus Specie: Citrus sinesis L’arancia di Ribera è l’unica arancia europea a marchio DOP (Denominazione di Origine Protetta, conferimento registrato a livello europeo con regolamento UE n. 95 del 03.02.2011, pubblicato sulla GUUE L. 30 del 04.02.2011). è l’unico agrume al mondo a fregiarsi del riconoscimento DOP.
Presidente del Consorzio di Tutela Arancia di Ribera DOP
L’appellativo “Arancia di Ribera” identifica una produzione che non è esclusiva del paese agrigentino, ma riguarda il più ampio ed omogeneo territorio dei Comuni di: Sciacca Caltabellotta Villafranca Sicula Burgio Calamonaci Lucca Sicula Cattolica Eraclea Cianciana Montallegro Siculiana Bivona e Menti Chiusa Sclafani Palermo
Agrigento
L’arancia di Ribera si distingue per il gusto gradevolissimo, la polpa bionda e senza semi. Contiene le vitamine A, B1, B2, C (60 mg/100g), oltre a sali minerali e zuccheri. Possiede componenti nutrizionali ben equilibrati, di pronta assimilazione e di facile digeribilità. Basta una sola arancia per soddisfare il fabbisogno quotidiano di vitamina C che, per l’elevata capacità antiossidante, permette il consumo dell’agrume allo stato fresco, come frutta o spremuta, e contribuisce al potenziamento del sistema immunitario.
Arance.qxp_Stesura D’Alessandro 04/12/18 10:38 Pagina 22
Vol. 21, n. 1, 2018
22
L’ARANCIA “NAVELINA”
E
“BRASILIANO” “WASHINGTON NAVEL”
Appartiene al gruppo delle arance bionde ombelicate, per il caratteristico ombelico (navel) all’estremità inferiore, che la caratterizza e identifica in tutto il mondo come arancia di qualità, ottima sia come frutta che spremuta. I frutti, di forma sferica, colore arancio e pezzatura medio-grossa, hanno la polpa fine e soda, di straordinaria qualità e senza semi. Il contenuto in succo è intorno al 40%, con equilibrato rapporto tra zuccheri e acidi, che ne caratterizza l'ottima qualità organolettica. Dall’analisi dei profili sensoriali, l’arancia di Ribera si caratterizza quindi fondamentalmente per: Buona croccantezza e persistenza gustativa, con dissolvenza delle membrane delle vescicole che racchiudono il succo, rendendola particolarmente indicata per il consumo come frutta fresca; Elevata dolcezza ed assenza di amaro; Equilibrio nei sentori degli aromi e dei flavour (agrume, frutta esotica e vaniglia).
Varietà bionda ombelicata, ma con ombelico meno pronunciato della Washington, si differenzia da questa per la sua precocità, che consente di anticiparne la commercializzazione sin dai primi di Novembre. I frutti, di forma sferica o obvoidi, hanno un colore arancio molto intenso e una pezzatura media grossa. La polpa, senza semi, è con grana media e soda e più dolce della varietà Washington. Il contenuto in succo è intorno al 38%, con equilibrato rapporto tra zuccheri e acidi. Dall’analisi dei profili sensoriali, anche la Navelina di Ribera si caratterizza fondamentalmente per: Buona croccantezza e persistenza gustativa, con dissolvenza delle membrane delle vescicole che racchiudono il succo, che la rende particolarmente indicata per il consumo come frutta fresca; Maggiore dolcezza ed assenza di amaro; Equilibrio nei sentori degli aromi e dei flavour (agrume, fragola e vaniglia).
“VANIGLIA APIRENO DI RIBERA” È una cultivar bionda senza ombelico, originata da una mutazione gemmaria della Vaniglia con seme, avvenuta nel territorio di Ribera e, in seguito, diffusasi nell’intero comprensorio con la denominazione di “Vaniglia Apireno di Ribera”. Si tratta dell’unica varietà di Vaniglia Apireno al mondo a bassissima acidità (acid-less 0,06 - 0,15%), con ridotto spessore delle pellicole degli spicchi. Il frutto può essere raccolto da Dicembre a Maggio. Proprio per queste caratteristiche, l’arancia Vaniglia Apireno è raccomandata a coloro che soffrono di disturbi gastrici e intestinali. Il frutto, di forma sferoidale, è di pezzatura media, con una buccia di colore arancio chiaro e superficie mediamente papillata, di medio spessore, facile da asportare. La polpa è senza semi, di colore arancio chiaro, tenera e al contempo consistente, di un gusto dolce e delicato, non acido. L’analisi dei profili sensoriali conferma: Dominanza del flavour della vaniglia Media croccantezza Persistenza gustativa.
Arance.qxp_Stesura D’Alessandro 04/12/18 10:38 Pagina 23
Vol. 21, n. 1, 2018
23
Medici e specialisti della nutrizione concordano nell’assegnare all’arancia bionda un ruolo molto importante nell’alimentazione quotidiana e per le sue eccezionali caratteristiche nutritive, la raccomandano nelle diete. L’arancia di Ribera è indicata inoltre per l’impiego in cucina nella preparazione di aperitivi, digestivi, primi e secondi piatti, contorni freschi, dolci e dessert. Va benissimo consumata anche alla sera, per la sua elevata digeribilità. La produzione inizia nella prima decade di Novembre con la varietà Navelina e prosegue, da Dicembre fino a fine Maggio, con le varietà Brasiliano e Washington navel.
L’ARANCIA DI RIBERA DOP: ORIGINI E STORIA 1635 - Periodo della dominazione spagnola: il Principe di Paterno Don Luigi Moncada fonda la cittadina e la battezza con il nome di Ribera, in omaggio alla moglie Maria Afan de Ribera. Secoli successivi - Sono avviate di volta in volta le piu diverse colture esotiche: il riso, il banano, l’arancio. I frutti prodotti, trasportati a Palermo, vengono commercializzati fino in America. Sono coltivate arance “ombelicate”, ovvero con ombelico interno, caratteristica tipica dell’Arancia di Ribera DOP. Anni Trenta del XX secolo - Giungono a Ribera le prime piante di varieta Brasiliano, grazie all’intuizione di alcuni agricoltori riberesi che le impiantano e propagano in sostituzione degli aranci piu antichi, sfruttando il perfetto adattamento alle condizioni climatiche del luogo, con abbondante produzione ed eccellente qualita del frutto. Viene coltivata la varietà Washington navel, che raggiunge uno standard qualitativo eccellente. 1940 - L’Arancia di Ribera occupa già 100 ettari di terreno. 1994 - Istituzione del Consorzio Arancia di Ribera 2000 -Gli ettari di terreno diventano 6.350. Sono sostituite le vecchie varietà, molto acide e con molti semi, attraverso una specializzazione che si è andata affinando nei decenni successivi, privilegiando tecniche di produzione innovative. Febbraio 2011 - Avviene il prestigioso riconoscimento della Denominazione di Origine Protetta (DOP), da parte della Comunità
Europea. Per la prima volta in Italia ed in Europa, è premiato un agrume con le tre tipologie di varietà: Brasiliano, Washington navel e Navelina.
IL TERRITORIO Il territorio di produzione dell’Arancia di Ribera si estende ai lati e sui versanti dei fiumi Verdura, Magazzolo, Platani e Carboj, dove il suolo e ricco di argilla e di minerali primari facilmente assimilabili dagli agrumi. L’elevata disponibilità di potassio, combinata con il clima mediterraneo, favorisce la migrazione degli zuccheri verso il frutto, contribuendo all’eccellente qualità gustativa dell’Arancia di Ribera DOP. I suoli, di origine alluvionale, sono caratterizzati da una tessitura equilibrata, legata all’alto contenuto di argilla mista a sabbia e ciottoli, che garantisce la libera circolazione dell’aria e dell’acqua, favorendo l’assimilazione di sostanze nutritive. Tutto ciò assicura ai frutti una spiccata succosità. Anche l’ottima qualità delle acque utilizzate per l’irrigazione, di composizione equilibrata e dal ridotto contenuto di elementi inquinanti, contribuisce all’eccellenza del prodotto. Infine, la presenza del mare rende il clima particolarmente mite e sono rari i danni provocati dalle calamità naturali come le gelate o i venti. L’ottimale equilibrio tra il terreno, il clima e la qualità delle acque, unito alla sapiente coltivazione degli agrumicoltori, conferisce all’arancia bionda di Ribera le caratteristiche di un vero dono della natura, un frutto che racchiude i raggi e il calore del sole di Sicilia, mitico pomo aureo del giardino delle Esperidi.
Arance.qxp_Stesura D’Alessandro 04/12/18 11:05 Pagina 24
Vol. 21, n. 1, 2018
24
IL CONSORZIO DI TUTELA Aziende aderenti alla DOP Arancia di Ribera: 292 singole e strutture associate; Aziende iscritte al Consorzio: 154 soci singoli e 6 strutture associate; Territorio di produzione: 6.500 ettari, con una resa media di 32 tonnellate per ettaro; Produzione 2017/18: 150.000 tonnellate di cui 7.400 Arancia di Ribera DOP, 28.000 Riberella e 2.400 biologico. Fin dalle fasi di avvio della propria attività, il Consorzio di Tutela Arancia Ribera di Sicilia ha intrapreso iniziative finalizzate all’innovazione, alla ricerca scientifica ed all’evoluzione tecnologica, consentendo in brevissimo tempo l’innalzamento dei livelli di produzione, con metodi di coltivazione a basso impatto ambientale, nel pieno rispetto dell’elevata qualità, della naturalità delle arance prodotte e della loro tutela e valorizzando un unico grande marchio, Riberella. Diverse linee produttive differenziano le arance per pezzatura e per confezione. Un’esperienza decennale di produttori che con successo commercializzano questo pregiato risultato della natura e della sapienza umana, sui mercati nazionali ed europei. Grazie al contributo del Mipaaf e della Regione Sicilia, il Consorzio di Tutela Arancia di Ribera DOP porta avanti una serie di iniziative finalizzate alla sua valorizzazione, al miglioramento della qualità ed alla presenza sui mercati, nonché azioni mirate ad accrescere la conoscenza dei consumatori sulle sue proprietà nutrizionali, salutistiche e gastronomiche del frutto.
L’ARANCIA DI RIBERA DOP Buona da bere, buona da mangiare L’arancia di Ribera rappresenta una ricchezza naturale capace di fornire sostanze importantissime per la crescita di bambini, lo sviluppo di giovani e per la dieta sana di tutti, ma è anche un ingrediente fondamentale di bevande e cocktail ed un protagonista di rango in raffinate preparazioni gastronomiche.
Per quali motivi? Anzitutto, per la polpa piacevolmente croccante, grazie al perfetto equilibrio tra parte morbida e parte fibrosa. In più, tutte le pellicole interne hanno la straordinaria qualità (unica tra tutti gli agrumi) di sciogliersi immediatamente in bocca subito dopo avere svolto il loro ruolo di sostegno. Poi, c’è la dolcezza, o meglio l’equilibrio ideale tra il dolce e l'aspro, dato da un residuo di zuccheri intorno ai 12 gradi brix. Il contenuto medio in succo del 40% e la tenerezza della fibra le conferiscono una grana ideale per la mangiabilità. La natura ha voluto regalarle un altro importante valore aggiunto, privandola dei semi con una mutazione spontanea. L’uomo, da parte sua, dà il suo contributo rispettandola: dopo la raccolta, non la sottopone a trattamenti con cere chimiche o naturali, ma si limita a lavarla semplicemente con acqua potabile. Questa attenzione particolare incoraggia l’uso della buccia, che ha uno spessore ideale per essere facilmente rimossa ed anche trasformata in cucina, dove le arance di Ribera vantano già una deliziosa, capillare presenza in pasticceria, in torte, creme, crèpe, canditi ed altre dolcezze, ma stanno occupando un posto di rilievo anche nella preparazione di antipasti, primi e secondi piatti, sia come guarnizione sia, soprattutto, come ingredienti di base. L'Arancia di Ribera DOP è già partita alla conquista di tutto il menu, mostrando una particolare affinità per l’olio extravergine di oliva e gli ortaggi come carciofi, finocchi, cipolla rossa, radicchio ed insalata. Si abbina deliziosamente ai volatili ed alla carne di maiale, aromatizza piacevolmente pesci pregiati come l’orata, ma frequenta con profitto anche i più umili pesci azzurri, come le sarde e la spatola. Ottima è l’intesa con molluschi bivalvi (cozze, capesante, vongole, ostriche, fasolari, ecc) ed i crostacei tutti: dai gamberetti agli scampi, all’astice, all’aragosta. Un’intesa tra conterranei.
Cop 1_2018 nutrizione.qxp_Colof. Index 03/12/18 09:27 Pagina III g q p
g
TRATTATO ITALIANO DI
NUTRACEUTICA CLINICA a cura di
Arrigo F. G. Cicero Società Italiana di Nutraceutica
coadiutori
Alessandro Colletti e Francesco Di Pierro 61 Autori e Co-Autori 616 Pagine, 38 Capitoli Bibliografia ricca ed attuale Immagini, tabelle e figure originali Highlights riassuntivi Prezzo: € 100,00 (IVA inclusa)
Per informazioni su costi e condizioni di acquisto, inviare un’e-mail a: trattato.nutraceutica@gmail.com o chiamare i numeri: 02 70608060 - 377 1785150.
Cop 1_2018 nutrizione.qxp_Colof. Index 03/12/18 09:27 Pagina IV