Tesi_e su tutto la torre

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e su tutto la torre

progetto di riqualificazione urbana e paesaggistica del paese di Umbriano

elena farinelli



universitĂ degli studi di firenze DiDA scuola di architettura corso di laurea magistrale in architettura anno accademico 2015_2016

e su tutto la torre

Progetto di riqualificazione urbana e paesaggistica del paese di Umbriano

elena farinelli relatore fabrizio f.v. arrigoni correlatori alberto bove gianluca darvo



a sandro, carla, nicola


indice


introduzione il paese abbandonato come tema progettuale

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1. la tradizione 16 1.1 la topografia e il sistema insediativo 18 1.2 storia di ferentillo e della sua frazione umbriano 26 1.3 la tipologia 30 2. la distanza tra passato e presente 2.1 l’area di progetto. una narrazione interrotta 2.2 forma e stato di fatto 2.3 i giorni dell’abbandono

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3. delle pietre e delle opere 3.1 il progetto come restauro 3.2 intenzioni 3.3 suggestioni materiche 3.4 impianto generale ed elementi puntuali 3.5 la struttura

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conclusioni

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1 veduta del monte sant’angelo dall’abbazia di san pietro in valle, foto e. farinelli

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Introduzione

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2 rudere, umbriano, foto e. farinelli

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“Un paese è un luogo in cui non si può barare” arminio f. La storia ci racconta innumerevoli episodi di abbandono e oblio. Tanti frammenti più o meno urbanizzati, più o meno moderni, hanno vissuto alterne vicende fino a venire svuotati di senso e di relazione con il loro tempo. Da sempre, i cicli migratori o quelli degli eventi naturali definiscono ondate di appropriazione o resa degli insediamenti. La maggiore consapevolezza dell’uomo moderno dei luoghi geografici tanto vicini quanto lontani, unita alla responsabilità derivante dalla paternità di tanto costruito, solleva un’istanza urgente, ovvero quella di riconsiderare questo enorme corpus di episodi inconclusi o interrotti, dare una ragione ai fortunati o sfortunati eventi che ne hanno deciso le sorti, e provare a riprenderne la narrazione. Ciò che rappresenta il caso dei paesi abbandonati, differentemente, per esempio, da quanto accade per la dismissione di impianti industriali, cattedrali nel deserto o agglomerati urbani devastati da calamità naturali, è piuttosto l’allontanamento e la rinuncia a ciò che quel luogo rappresenta, il tempo, la vita che definisce, il suo carico simbolico, la memoria. Durante ogni ciclico ritorno alla ricerca di centralità dell’uomo “di natura”, assistiamo alla rioccupazione di brani di territorio dimenticati, alla rivalorizzazione di certe tradizioni e patrimoni culturali, un eterno ritorno sui primi 11


passi dell’abitare umano. Il dibattito attuale concentra la sua analisi sui piccoli comuni di cui l’Italia è disseminata che hanno visto diradarsi la propria popolazione in favore di centri più grandi, comodi e moderni e che restano a monito e ricordo, come nel caso in analisi, di una vita rurale e contadina al giorno d’oggi tanto desueta quanto poco auspicabile. Nello specifico, i borghi presentano questa criticità, ovvero l’essere poco connessi, fare parte di una rete a maglie troppo larghe per essere efficace, e risentire dunque dell’isolamento ancor più nel momento in cui nuova linfa vitale deve passare intenzionalmente in quei territori. I borghi abbandonati rappresentano il dato di fatto delle nostre scelte, della direzione presa dalla civiltà, della negazione di un’intera tradizione contadina, a vantaggio di insediamenti ed esistenze più connessi e più efficienti. Per questo motivo, ed infiniti altri, l’iniziativa lodevole di riconoscere l’esistente, attribuire ad esso un valore non retorico e confrontarsi con l’istanza di riattivazione, deve avvenire coscientemente, agendo diffusamente sul territorio, integrando l’intervento sul singolo borgo con quello sul paesaggio, fisico e culturale. Il rischio della ridefinizione di questi episodi isolati e sparuti, è di imporre una veste nuova ma altrettanto priva di senso, creare un episodio gratuito e patetico, cercare un’identità altra ed aliena, piuttosto che dialogare con le molteplici realtà e i paesaggi già contenuti e già validi. Gli interventi di reinsediamento nel contesto di fatto hanno dovuto tener conto della dicotomia recupero/sostituzione, estesa anche al significato non meramente architettonico, 12


3 mappa della dismissione dei paesi in italia, aavv 2009

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completamente abbandonati parzialmente abbandonati borgo abbandonato con fondazione di un nuovo centro

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4 postignano nel comune di sellano, foto b. sperandio, 1984, chiuini p. 39

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confrontandosi con l’eventualità di degenerare e, da un lato, musealizzare la preesistenza facendone una sorta di “parco archeologico” o, dall’altro, di manipolare l’esistente al punto da renderlo irriconoscibile e “irriconosciuto”. L’attualità conferma questo rischio riportandoci le realtà di intervento più note, i riusi più consueti. Eccoci allora messi di fronte agli innumerevoli musei di popolazioni e tradizioni obsolete, villaggi più o meno artistici, alberghi diffusi. Tra gli esempi più noti: Eco villaggio Torri Superiore, vicino a Ventimiglia. Aperto all’ecoturismo; percorsi, incontri e programmi di educazione ambientale con struttura ricettiva. Cittadella telematica a Colletta di Castelbianco, Savona. Il borgo è un nodo internet ad alta velocità. Recuperato da Giancarlo de Carlo. Azione Matese, Urban node, villaggio dell’arte e centro didattica ambientale. Si trova nell’alto Lazio. Progetto seguito da Paesaggio Workgroup è stato un intervento, poi il villaggio è stato abbandonato lasciando le istallazioni. Santo Stefano di Sessanio L’Aquila, Sextantio. Primo borgo ad essere trasformato in albergo diffuso. Recuperato da un facoltoso svedese. Hanno fatto un restauro conservativo. Cercano partner per espandere il progetto. Matera, Sextantio ha proposto anche qui albergo diffuso con parte dedicato a sistemazione museale. Bussana Vecchia, San Remo, villaggio degli artisti. Il ceramista Clizia voleva fondare una comunità internazionale di artisti dotata di statuto dopo gli anni 50 –quando scoprì il paese-. Assolutamente auto gestito hanno fatto loro il restauro. Negli ultimi anni è abitato per la maggior parte 14


5 casa in rovina, umbriano, foto e. farinelli

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da turisti. Borgo di Calcata, Viterbo, rivive grazie ad associazioni di artisti e commercianti che hanno creduto allo sviluppo turistico. Ci sono iniziative culturali ed artistiche. Paraloup, piccolo villaggio a 1360 m slm. C’è un museo del Racconto. Era un rifugio dei partigiani. Presenta biblioteca, sala convegni, rifugio e ristorante. Sede della prima banda di giustizia e libertà del cuneese. Million Donkey Hotel, Prata Sannita, Caserta. Progetto villaggio d’arte. Riqualificazione con oggetti trovati sul posto. Scopo del progetto era creare centro turistico non convenzionale. Favara, Sicilia. Centro culturale. Sette corti collegate che ospitano centri espositivi, biblioteca e laboratori artigiani.

(1)  flora 2013

Questo studio si concentra sulla possibilità di tenere insieme le due contingenze riconnettendo l’abitato e il contesto paesaggistico rurale rinunciando a sacralizzare il borgo1 ma cercando piuttosto di cucire la continuità fisica spezzata dall’abbandono intervenuto negli anni sessanta sul paese in esame rispettando la vocazione del territorio. Ciò tenuto conto che quanto accade nei centri minori umbri –tema di cui trattiamo- è peculiare e fortemente tipizzato: si intuisce che il modellarsi degli spazi abitativi nel tempo obbedisce a regole interne alla comunità, non codificate per iscritto ma fatte proprie attraverso l’esperienza secolare e comunque rispettate fedelmente, anche se la loro traduzione non è facile né immediata poiché a comporre il meccanismo entrano in gioco non solo le esigenze funzionali e i modi costruttivi locali, ma anche il regime della proprietà, la struttura del 15


nucleo familiare e le relazioni tra i nuclei stessi2. Ed è proprio riconoscendo queste diverse influenze, così come l’importanza di operare secondo un progetto definito dal rapporto Barca “place-based”, che il lavoro qui presentato prende le mosse ed opera. Malgrado “Ora non sia più così ovvio né immediato riprendere il filo spezzato, e tantomeno sperare che l’architettura, la pianificazione e le scienze economiche di per se stesse abbiano gli strumenti per far fluire di nuovo vita ed energie dentro queste comunità e queste terre”3, crediamo che il borgo scelto sia sede di grande memoria, e per questo emotivamente estremamente riconoscibile ed eleggibile. Riteniamo inoltre che si tratti di un luogo con una forte carica identitaria e ad essa, grazie alla sua qualità e bellezza, capace di tornare.

(2)  chiuini 2004, pag 13 (3)  flora 2013

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6 vista del paese di umbriano, foto e. farinelli

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1. la tradizione

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“Lo scognuro se dicea verso Marzo Aprile de sti tempi. Se dicea contro l tempo cattivo, contro la grandine per scongiurà i campi dal pericolo. Dopo lavoro s’annava sull’aia, se faceva n’artarino se mettevano du’ candele e se dicevano le preghiere […] Lu prete colla croce benediceva. Questo se faceva una vorta alla settimana e se ripeteva per tre o quattro volte. Lu prete cantava una canzone e noi rispondevamo […] dicea: -Fructu stere dare conservare multiplicare dineri-Liberamus domine-A fulgore e tempestate-De rogamus audine-”4

(4)  testimonianza di uno ‘scognuro’, insieme dei rituali contadini proprio dell’area montana umbra, chiuini 2004

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7 Il castello di miranda in: p. montier, terni ville de l’etat de l’eglise, amsterdam 1704, egizi p. 135

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1.1 la topografia e il sistema insediativo L’Umbria storica, più che una regione dai confini etnici e fisici ben definiti, è un mosaico eterogeneo di territori indipendenti5. Tracciare le linee della formazione dei centri minori di questo territorio significa, in qualche modo, ricostruire il quadro della topografia medievale. È in quest’epoca, infatti, che si definiscono e si cristallizzano le dinamiche che conducono alla formazione della maggior parte di questi insediamenti6. Benché l’organizzazione territoriale si fondi già nell’antichità su un sistema stabile di città-stato, l’impronta della parcellizzazione e la mappa dei confini è stata disegnata dai comuni, veri stati che hanno organizzato le campagne controllandone le risorse territoriali, riequilibrando il sistema degli insediamenti, compilando statuti e coniando monete, istituzionalizzando divisioni che sono riuscite a mantenersi nella maggioranza dei casi fino al secolo scorso. Ma la frantumazione non è segnata dai soli confini comunali, poiché entro queste unità, a volte minime, si distribuisce una miriade di agglomerati, piccoli e piccolissimi: il carattere originale dell’insediamento umbro non è l’alta densità ma la quantità numerica – unita all’esiguità – dei nuclei che sono andati a colonizzare le aree più impervie della regione, infiltrandosi capillarmente tra le pieghe del territorio7. (5)  flora 2013 (6)  egizi 1992, p. 19 (7)  chiuini 2004

I caratteri originali dei nuclei rurali e urbani si plasmano nell’alto medioevo, pur continuando ad utilizzare molte

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8 carta storica della provincia dell’umbria datata 1712, archivio di stato, terni

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9 san mamiliano, comune di ferentillo. slargo con pozzo nella parte alta del paese, foto g. chiuini 1981, chiuini p. 30

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(8)  egizi 1992 (9)  chiuini 2004 (10)  ivi

strutture ereditate dal passato; in età precomunale gli abitati agricoli nascono e vivono nell’indipendenza dalla città8, e sono molte le comunità locali che hanno vissuto per secoli in condizione di autarchia, staccate dai centri principali pur facendo parte dei loro ambiti. Ancora in età comunale, tutte le frazioni, ville e castelli che compongono il sistema insediativo sono potenzialmente altrettanto comuni rurali con un proprio territorio ed alcune lo sono effettivamente diventate rimanendo ai margini dell’espansione degli stati più influenti; le frazioni di montagna si sono generalmente strutturate come organismi indipendenti, comunanze agrarie che hanno amministrato un vasto patrimonio di beni collettivi9. A costituire il modello delle prime aggregazioni sono le frazioni rurali e cioè quei gruppi di case contadine generalmente trainate dalla presenza di una cella monastica, di un eremo, di una pieve o una cappella e basate su una struttura elementare di poche abitazioni dotate di servizi comuni, come il forno, il pozzo, la fonte, con recinti e capanne all’intorno. Vi si aggiungono alcuni elementi difensivi, torri o palizzate, spesso ad opera dei monaci che hanno dato l’avvio alla colonizzazione delle terre10. La successiva pianificazione comunale, che riesce ad estendersi alle aree estreme del territorio, va a sovrapporsi ad un tessuto già capillarmente strutturato e funzionante, così da non poter ignorare quanto appartenente alla cultura urbanistica locale e fondendosi inevitabilmente con i dettami di questa. Accanto ad abitati agglomeratisi durante un lungo periodo di tempo, senza rispondere a nessun principio insediativo 22


10 caso, comune di sant’anatolia di narco, vicolo con cavalcavia nel paese, foto b. sperandìo, chiuini p. 27 11 castel san felice nel comune di sant’anatolia di narco, foto f.turchi 1973, chiuini p. 34

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se non quello del massimo sfruttamento delle potenzialità del sito, si riscontrano insediamenti o porzioni di insediamento strutturati secondo precise regole di urbanizzazione. È chiaro, infatti, che ogni centro abitato medievale fosse subordinato all’autorità ammnistrativa del territorio di appartenenza anche in occasione della costruzione di edifici, tanto più se in funzione difensiva. Tale stato di fatto, verificabile già per i secoli IX e X, si afferma dal XII e XIII secolo , quando le nuove organizzazioni comunali di Terni, Narni e Spoleto programmarono lo sfruttamento del territorio, predisponendone i criteri attraverso norme statutarie o deliberazioni consiliari. Numerosi sono gli esempi di insediamento coatto, soprattutto nei punti strategici11.

(11)  egizi 1992 (12)  chiuini 2004

Nel periodo di massima espansione territoriale e demografica tutti i territori comunali umbri intervengono nel precisare e completare il sistema insediativo, fondato su una fitta trama di piccoli agglomerati che perlopiù continuano a ricalcare le tracce dell’habitat preesistente. Alcune nuove fondazioni e l’ampliamento di molti nuclei agricoli sono rivolti a rafforzare il disegno strategico del territorio, seguendo inoltre la mappa delle gravitazioni economiche. La popolazione è complessivamente raccolta entro i castelli – agglomerati rurali cinti da mura – e le ville; pochi in percentuale i primi, rispetto ai molti nuclei non murati, che nella loro grande diffusione si legano alle ragioni del capillare sfruttamento agricolo del territorio12. Lungo le vie di grande comunicazione, i castelli hanno origine dalla fortificazione di agglomerati più antichi, quan23


(13)  chiuini 2004, pag 7-10 (14)  favetti 2010, pag 42

do non appartengono già al sistema strategico degli stati feudali, e sono posti a dominare visivamente gli accessi delle valli e i piani circostanti dove i nuclei rurali, isolati o in gruppi, si organizzano secondo una distribuzione che è strettamente collegata ai caratteri del territorio agricolo13. Per quanto attiene alla nostra area di interesse, si riscontra la reiterazione dell’impianto di matrice difensiva. Il territorio si colloca infatti in una zona esposta tanto alle incursioni saracene quanto alla pericolosa prossimità al Regno di Napoli. Sono quindi riconoscibili diversi insediamenti che ricadono all’interno di un più ampio sistema di forti, in cui la comunicazione e la diffusione –benché a maglie rade- garantivano protezione dei punti chiave, per valore strategico o simbolico. Appartenenti a questo circuito le frazioni di Nicciano, Loreno, Matterella, Precetto, Monterivoso, Umbriano, Terria. Anche Ferentillo, comune al quale appartiene la frazione in esame, presenta Rocche alto medievali, che ne sono l’emblema e che si ergono maestose in cima ai due nuclei di Matterella e Precetto. Queste, come anticipato, erano in comunicazione con altre presenti nella zona come, ad esempio, la Rocca di Monterivoso. Sorte nel 1100, furono edificate come baluardo di difesa facenti parte di un anello strategico e di protezione, insieme al castello di Umbriano, della potente abbazia di San Pietro in valle, mentre la rocca di Monterivoso controllava la strada e il versante montagnoso del territorio verso il Salto del Cieco e l’Alto Lazio14. Sul monte Gabbio, i presidi di Nicciano, Loreno e Matterella, infine, Terria chiudeva l’anello.

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12 carta storica della dell’umbria con i suoi ducati e comuni,datata 1812, archivio di stato, terni

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13 carta territoriale del circondario di umbriano, sono messi in evidenza i paesi che fanno parte del sistema difensivo dell’abbazia 1. nicciano 2. loreno 3. mattarella 4. precetto 5. monterivoso 6. umbriano 7. abbazia s. pietro in valle 8. terria

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PG

TR

1.2 storia di ferentillo e della sua frazione umbriano

Il mondo contadino, dopo circa quattordicimila anni di vita, è finito praticamente di colpo pasolini p.p.

(15)  favetti 2010

Le origini di Ferentillo sono suggellate da avvenimenti e mistero, fatti che si tingono di tramandate leggende e che ruotano attorno all’Abbazia, protagonista in assoluto della storia. La tradizione vuole che i primi abitanti fossero coloni dedotti dal Re Liutprando nel VIII secolo, dall’antica cittadina di Ferentum o Ferento (a tre chilometri da Viterbo) che si stabilirono ai margini di malsane paludi nella Valle Suppegna. Il nome del paese, Ferentillo, sembra che derivi dal latino Ferentum-illi (quelli di Ferentum), nome imposto dai quei profughi in ricordo della loro patria abbandonata15. Parallelamente, in questo periodo, con l’affermarsi della potente Abbazia di San Piero in Valle, da sempre “beniamina” di Spoleto, il territorio ha subito un forte interesse e sviluppo economico anche in conseguenza della continua bonifica della valle paludosa e il restringimento del corso del fiume Nera. Gli insediamenti a Monte, primi nuclei di villaggi e castelli, ce ne danno la conferma. Un periodo che dal IX secolo porterà al sorgere di fortezze munite di guarnigioni, in primis Umbriano, la cui torre risale all’epoca delle invasioni saracene è situata a dominare e controllare la valle allo scopo di difendere proprio la vicina Abbazia. Il cassero, al quale si accede attraverso un’alta posterla, è circondato da 28


14 il territorio ternani in: umbria overo ducato di spoleto, amsterdam, apud henricum hondium, secolo XVII, archivio di stato, terni

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15 veduta dell’abbazia di san pietro da l paese di umbriano, foto e. farinelli

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un gruppo di edifici del XV secolo16. Nella ricostruzione della viabilità antica, l’Abbazia, da precetto, seguiva la via Francigena e Umbriano era tappa di passaggio. La sua floridezza decadde quando Spoleto, nei secoli XIII e XIV, modificò la viabilità principale attestandola a ridosso del fiume.

(16)  favetti 2010

Successivamente furono edificate le rocche e il nucleo di San Mamiliano. L’ambizione soprattutto da parte di personaggi potenti con sete di espansione e l’impotenza degli abati di San Pietro, con poca destrezza nelle armi, permette a Spoleto di prendere in mano il feudo, mettendo sotto la sua protezione l’abbazia, le ville, rocche e tutto il territorio che si estendeva a nord verso la Valmalpana. Nel 1212 Precetto rinnova la sottomissione a Spoleto tramite il feudatario Ottaviano Gentilini. Nel suo complesso, il feudo costituiva un insieme omogeneo, chiuso intorno a limiti naturali che legittimavano il diritto di sovranità. Tutti riacquistarono la loro indipendenza con la decadenza del feudo abbaziale nel periodo dal XII al XIII secolo. Nel XIV secolo, a causa della pessima condotta dei monaci dell’abbazia, il territorio passa sotto la giurisdizione del Capitolo Lateranense con bolla pontificia di Papa Bonifacio VIII. Nel 1414, il feudo passa a Ugolino Trinci, compresa l’abbazia. È in questo periodo che il feudo di San Pietro in Valle subisce un ulteriore arricchimento con il sorgere di nuove ville agricole poste in punti strategici del territorio a sud della valle. Intanto, il governo dell’abbazia è retto e amministrato da abati Commendatari, in special modo, della famiglia de30


16 disegno che rappresenta la relazione tra l’abbazia di san pietro in valle e umbriano posti nel territorio, anonimo

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gli Ancaianj, nobili spoletini. Il feudo consolida sempre di più il suo legame con Spoleto finché, nel 1513, con la nomina pontificia a Papa Innocenzo VIII Giovanbattista Cybo, entrano nella storia del territorio ferentillese i Cybo con Franceschetto, il quale assume la nomina di Governatore di Spoleto e nel 1515 Conte di Ferentillo. Con i Cybo e successivamente Cybo-Malaspina, il feudo diventa un Principato con proprie leggi e statuti. Il vasto territorio era diviso in tre terzieri. Il principato durò fino al 1730 quando Alderano Cybo lo vendette ai Benedetti e ai Montevecchi di Fano. Il primo ottobre del 1847, la contea è governata dal Principe Luigi Desiderato Duca di Montholon francese, generale napoleonico che aveva combattuto a Saint Amant, al quale fu dato il titolo di Principe di Umbriano e Precetto. Con l’unità d’Italia, Ferentillo diventa comune17.

(17)  favetti 2010, pag 41 (18)  ivi

Venendo alle vicende dei giorni nostri, fino ad alcuni anni fa, il paese gravitava attorno a Terni ed era collegato alla città industriale tramite una tramvia ma, con la realizzazione della statale 209Valnerina, questa linea è stata dismessa18. In questi ultimi vent’anni, il comune di Ferentillo ha registrato un grande sviluppo edilizio, estendendosi verso la parte pianeggiante. Ma anche il centro storico, soprattutto le frazioni, stanno subendo un forte recupero, grazie anche ai contributi regionali sulla ricostruzione post sismica. Diverse le sorti della frazione di Umbriano, completamente abbandonato dal 1950. A soluzione di questo stato di fatto così problematico, nel 2007 ne è stata proposta la vendita in blocco, senza esito. 31


17 biselli, l’insediamento sorge nel XIII secolo sopra uno sperone sovrastante la valle del corno, a controllo della strada che dalla valnerina raggiunge norcia. biselli ripete uno schema molto diffuso con la torre di avvistamento nella parte più alta e l’abitato che si allarga a ventaglio digradando, foto b. sperandìo, chiuini p. 31

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1.3 la tipologia L’insediamento umbro non crea stacchi netti tra un’epoca e l’altra e si sviluppa saldando le preesistenze agli interventi originali dell’epoca di mezzo; le eredità urbanistiche si fondono e le esperienze costruttive si modellano senza capovolgimenti, connaturandosi perciò alla cultura del territorio e in aderenza con i caratteri profondamente rurali della regione intera19. La dinamica di formazione dell’insediamento è sottoposta ad una serie di fattori di natura geografica, ma anche politica ed economica: determinanti furono la necessità di controllo delle vie di comunicazione e dei corsi d’acqua del Nera e del Velino, ma anche la politica di sfruttamento del territorio da parte dei governi locali20. Analizzando la struttura degli abitati tuttora esistenti è possibile verificare nella maggior parte di essi l’esistenza di un elemento funzionale che ne ha costituito il polo di attrazione: una torre di avvistamento o un edificio di culto. In altri casi, si assiste allo sviluppo dell’abitato lungo un percorso stradale e, successivamente all’urbanizzazione, si verifica la costruzione o il collegamento dell’apparato difensivo di insediamento. Tutti i castelli e le ville si pongono in posizione elevata rispetto ai corsi d’acqua, sulla sommità di un poggio, oppure a mezza costa21.

(19)  chiuini 2004, p. 3 (20)  egizi 1992, p. 31 (21)  chiuini 2004

Nel caso di alcune realtà umbre, accanto alle norme che regolano la struttura urbana, l’insediamento rivela anche omogeneità nelle tipologie, nelle dimensioni e nei materiali

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18 acquaforte su carta che mostra le la rete serrata di paesi fortificati e il sistema della viabilitĂ a mezzacosta, archivio di stato, terni

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17 vista di umbriano dall’abbazia, foto e. farinelli

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(22)  chiuini 2004

dei singoli edifici22; in riferimento a Umbriano, trattiamo un insediamento di natura difensiva, caratterizzato da torri di avvistamento e rocche. Queste ultime erano soltanto una ultima parte del cosiddetto castello, quella fortificata; i castelli stessi erano un insieme omogeneo di villaggi fortificati, non sede del feudatario. Erano divisi in tre cerchi concentrici: la Terra (Casareni posti dentro le mura), Contado (una serie di ville situate nelle adiacenze), Distretto (se erano presenti altre rocche nel comprensorio, nel nostro caso il distretto era assai vasto). I castelli, data la loro posizione aggrappata sulla collina o a picco su dirupi, come nel caso di Umbriano, erano adatti più per difesa morale che per quella militare, una sorta di dissuasore per coloro che transitavano. Questi nuclei, come i “castra stativa” -termine ereditato dai Romani- erano per lo più centri di raccolta di soldati, delle loro famiglie, oltre a magazzini di derrate e ricovero per animali. La Planimetria segue l’andamento del terreno su cui sono stati edificati. Le mura -anche se oggi per la maggior parte scomparse- si estendevano in forma di cortina a forma triangolare o trapezoidale, rafforzata da antemurali, avancorpi, casseri più o meno ad altezza contenuta, bastioni quadrati ad angoli retti e semicilindrici ad angoli ottusi. Il Mastio era per la maggior parte a base quadrata ed era munito di possenti mensoloni dove si aprivano le caditoie a difesa piombate. I Merli Ghibellini, non presenti nel nostro caso, a forma di coda di rondine, erano più adatti all’appostamento con balestre, mentre quelli Guelfi erano più adatti per le Bertesche di legno, girevoli. Le porte ogivali dei bastioni erano aperte ad angolo rientrante, per dare ai soldati 34


18 umbriano, foto m. bellati cti 1944

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(23)  fonte: catasto gregoriano del 1820 (24)  favetti 2010 p. 45

che difendevano il perimetro delle mura, l’azione offensiva a sorpresa dell’attaccante. All’estremità, come detto, era collocato il Mastio, al quale si accedeva attraverso la cosiddetta Posterla con una scala in legno mobile che veniva ritirata al momento opportuno. I castelli, spesso, avevano un cunicolo che, dall’interno del Mastio, comunicava con l’esterno, in aperta campagna. La torre era scandita, al suo interno, da più piani con ballatoi e scale in legno. All’estremità era collocata la vedetta che, attraverso un sistema di segnalazioni, era in corrispondenza con le altre torri. I castelli formavano, quindi, con le rupi rocciose, un omogeneo baluardo di poderosa difesa. Nel suo interno, il nucleo edilizio, raccolto dentro le mura, era composto da Casareni -derivazione romana di insulae- edificati a mo’ di ventaglio con viottoli e strette viuzze disposte a ragnatela. La tipologia delle case seguiva uno schema regolare, al piano seminterrato c’erano le stalle o la bottega artigiana, al piano primo le abitazioni e, nel caso di edifici a due piani, il secondo era di diversa proprietà ma sempre destinato ad uso abitativo23. Di fronte alla Torre o Porta di Ingresso alla parte fortificata, era disposta la chiesa di Juspatronato della comunità. Di fronte ad essa era un piccolo portico dove si riunivano i consigli comunali. […] nel periodo rinascimentale, con l’evolversi e il miglioramento delle armi, le torri persero la loro importanza e funzione di difesa. Alcune furono abbassate, altre trasformate in colombaie, le pietre riutilizzate per l’edificazione di altri edifici sia civici che di culto. (nel nostro caso, nulla di tutto ciò)24. 35


19 veduta del monte gabbio dal paese di umbriano, possiamo notare l’abitato fortificato, foto e. farinelli

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L’impianto di Umbriano rispecchia le caratteristiche tipologiche del forte e presenta una torre di avvistamento e una chiesa che conserva affreschi del pittore Lo Spagna. Inoltre, nessuna modifica è intervenuta a modificare né l’assetto urbano, né la tipologia edilizia, nelle sue caratteristiche morfologiche come materiche.

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20 umbriano che affaccia sulla valle del nera, foto e. farinelli

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2. la distanza tra passato e presente

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21 veduta sulla strada tra i primi due anelli di case, umbriano, foto e. farinelli 22 foto dal cassero verso il monte gabbio, ivi

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2.1 l’area di progetto. una narrazione interrotta

Pensiamo alla piazza di Gubbio affacciata sul paesaggio, con il quale instaura un intenso dialogo: in essa si fa evidente la dipendenza della città dal suo territorio. Gli elementi geografici contengono la spiegazione dell’origine della città, costituiscono la radice etimologica dei fatti urbani. martì arìs c.

Nessuna realtà territoriale è svincolabile dal contesto in cui si inserisce, contesto ancora più rilevante nel nostro caso, trattandosi di un elemento parte di un sistema, dunque comunicante coi suoi corrispettivi e con l’intorno. Così come avvenuto per le ragioni della sua fondazione, le caratteristiche topografiche e di conformazione territoriale su più ampia scala sono intervenute altrettanto fortemente a determinare l’abbandono di alcuni di questi luoghi. Attualmente, i luoghi disabitati facenti parte del comune di Ferentillo, possono essere rintracciati nelle frazioni di Gabbio e Umbriano. Entrambi i nuclei datano alla fondazione del comune e recano le tracce della tradizione insediativa –facendo parte del sistema difensivo presente nell’area già ampiamente descritto- tanto quanto della tradizione rurale, culturale, contadina. Oggi entrambi sono disabitati, a seguito di eventi naturali avversi nonché di un generale fenomeno di emigrazione di metà novecento e, soprattutto nel caso di Umbriano, in ragione della posizione sfavorevole e difficilmente raggiungibile.

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23 veduta prospiciente il paese di umbriano in prossimità delle rive del fiume nera, foto e. farinelli

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(25)  egizi 1992

Lungo l’antica strada che costeggia il fiume Nera, Umbriano, nella valle Suppegna, di fronte all’Abbazia, è raggiungibile tramite una mulattiera che si inerpica tra il bosco e gli ulivi. Un tratto di percorso suggestivo e ricco di fascino in un pezzo di natura incontaminata. A pochi passi dal castello, su una radura, nascosta tra le alte querce e frassini, una carbonaia. In una goletta, alcune insenature sulla roccia testimoniano la presenza, forse, delle prime popolazioni Umbre che popolarono il territorio, scesi dai monti, attratti dalla fertile valli adatte per le coltivazioni. Il paesaggio è celato lungo tutta la prima fascia di edificato, si mostra solo nel vuoto generata dalla piccola piazza su cui affacciano gli edifici principali. E’ presente uno schema diffuso, con la torre di avvistamento posto nella parte più alta e l’abitato che si allarga a ventaglio digradando. E’ una soluzione frequente la scala su arco rampante in quanto l’insediamento si articola in una sequenza continua di rampe e gradonate sostenute o coperte da volte in pietra. Le abitazioni hanno tutte la stessa caratteristica, al piano terra i granai e le stalle, vasche per pigiare l’uva, al primo piano le cucine e i saloni e, al piano sovrastante, stanze a tetto in legno dove immancabilmente sono presenti camini in pietra finemente lavorati. Questo tipo di architettura, come ad esempio le finestre abbellite dai davanzali e da davanzali in pietra, fanno arricchire il prestigio del castello, dove gli abitanti erano soprattutto dediti al commercio e all’allevamento soggetti all’abbazia ed al potere ecclesiastico25. L’ultima famiglia che vi soggiornò rimonta agli anni ’50. 40


24 veduta all’interno del paese di umbriano, ivi

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2.2 forma e stato di fatto

Non si tratta soltanto di dominare la configurazione spaziale in se, ma di sapersi formare un’immagine delle variazioni di scala quando ci si muove fisicamente nello spazio. siza a.

Considerati fin qui gli elementi che hanno portato alla nascita e al consolidamento tipologico di Umbriano, è importante ora tener conto di quanto, in egual misura, i terremoti e il graduale abbandono abbiano conformato il paese per come si presenta attualmente. Gli edifici sono tutti in rovina, ogni particella classificata da catasto come “edificio diruto”, presenta crepe e danni strutturali. Il paese è stato abbandonato dal 45/50; dalla prima campagna di foto aeree del ’42 la chiesa risulta evidentemente scoperchiata. Allo stato attuale quasi tutti gli edifici non hanno la copertura e se ce l’hanno ne manca quasi la metà o hanno grossi buchi. La torre presenta una importante crepa strutturale che taglia in due uno dei prospetti e corre all’altezza dell’incrocio del muro. Gli edifici della prima fascia (quella più in basso) sono completamente ricoperti da piante rampicanti, la via tra le prime due fasce di case è piena di rovi. La seconda fascia inizia ora a ricoprirsi di rampicanti. La terza fascia, quella di più

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antica costruzione è completamente in rovina. Le mura a protezione della torre che danno le spalle al monte S. Angelo sono parzialmente crollate mentre I muri di contenimento del terreno e la via sulla seconda fascia di edifici sono ricoperti da vegetazione spontanea, coì come la muratura in rovina della terza fascia di edifici. L’edificio meglio conservato è quello del priore che, infatti, è quello la cui realizzazione ha visto dedicata più attenzione alla qualità costruttiva.

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25 vista interna della chiesa verso il portale di ingresso, ivi 26 vista esterna della chiesa verso il portale di ingresso, ivi

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2.3 i giorni dell’abbandono

“Amo soprattutto la vista della vegetazione che copre vecchie rovine, questo abbraccio della natura che viene a seppellire rapidamente le opere dell’uomo nel momento in cui la sua mano non riesce a difenderle.” flaubert g.

Il carattere positivo di incitamento che presenta l’architettura storica è qualcosa che è incluso nella forma stessa, ma che è altrettanto prima e dopo la forma e che dalla forma si distacca, mostrandocene la portata: che appartiene cioè più che alla forma stessa alle relazioni che alla forma stabilisce con la sua presenza26. Sono queste le caratteristiche tuttora presenti nell’architettura del nostro borgo. Lo spopolamento di questi luoghi e l’incuria hanno reso questa capacità espressiva più celata ma non certamente ridotta all’impotenza. Per poter partire da queste qualità intrinseche al luogo al fine di proporre un intervento efficace su più livelli, è necessario indagare le ragioni dello stato di fatto e le iniziative al riguardo.

(26)  grassi 2006

Il degrado violento di Umbriano così come della complessiva rete dei centri storici minori è dovuto alla scarsa qualità dei collegamenti e alla nuova urbanizzazione delle città causata dal boom economico post bellico e dalla frenetica emigrazione le realtà urbane. All’abbandono e al degrado si è aggiunta una penetrazione 43


27 vista interna di una casa in rovina, umbriano, ivi

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strisciante e pervasiva di una “modernità” che ne ha spesso manomesso e deturpato l’aspetto estetico e tipologico. Oggi sembra determinarsi un’inversione di tendenza che oltre a far leva sull’azione costante di salvaguardia e di promozione delle diverse comunità locali, si basa su un diffuso atteggiamento di interesse verso le testimonianze materiali della storia, che spesso racchiudono il meglio della qualità insediativa e ambientale. La presenza dei cosiddetti contenitori da riutilizzare e recuperare, l’accessibilità, la collocazione territoriale, le attività e le caratteristiche di ogni centro avevano suggerito l’elaborazione di una proposta vocazionale al fine di orientare le singole scelte, per e all’interno di ogni centro, verso un obiettivo territoriale coordinato27. A livello amministrativo, su questo tema sono stati compiuti approfondimenti interessanti nell’ambito del Piano urbanistico comprensoriale. Purtroppo, come troppo spesso accade agli studi e alle proposte urbanistiche, anche il PUC non è riuscito a passare dallo studio all’operatività. Scelte significative hanno riguardato invece sistemi territoriali complessi tale quale quelli relativi al sistema ambientale (parco Nera – Velino) ed il sistema infrastrutturale ovvero la destinazione di risorse pubbliche al recupero del sistema insediativo dei centri storici minori. Gli strumenti attuativi, oltre ad essere orientati a garantire la qualità architettonica e tipologica degli interventi di recupero sono intesi dalle amministrazioni locali al fine di evidenziare il valore culturale e di memoria incorporati nel nucleo storico28. Di fronte a una situazione di stallo riguardante fenomeni di occupazione spontanea e a una risposta delle autorità (27)  egizi 1992 (28)  ivi

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28 veduta sulla strada tra i primi due anelli di case, umbriano, ivi

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locali non del tutto adeguata alle istanze contingenti, già dal 2007 è stata più volte proposta la vendita in blocco dell’intero paese. Nel 2009 un privato ha acquistato tutto il paese, fatta eccezione della torre, della chiesa e un’altra parcella catastale. Si tratta della ditta ternana Costruzioni Struzzi Mauro s.r.l. Lo stesso privato ha incaricato l’architetto Sergio Giorgini di studiare un progetto di restauro già approvato dall’ufficio tecnico del comune di Ferentillo. Il Progetto prevede il restauro di tutto il paese al fine di ospitare un albergo diffuso, quindi ogni edificio è stato diviso in mini appartamenti. Per risolvere il problema dell’accesso accidentato al paese è stato presentato il progetto di una strada carrabile ad una sola corsia, con piazzole di scambio al quale si fa riferimento anche nella nostra proposta di progetto.

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3. delle pietre e delle opere

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3.1 il progetto come restauro

Laddove alle masse della pietra che dormono un sonno mortale nella terra vanno sostituiti edifici o parti di edifici ridotti dal tempo alla geografia, ma animati per sempre da relazioni già trasferite dall’ordine delle cose naturali a quello dell’architettura […] il materiale di spolio resterà sempre in un nuovo edificio come una cifra misteriosa a lato dentro il corpo di versi scritti in una lingua familiare..29 venezia f. Nel luogo si sovrappongono e convivono i diversi momenti storici che il tempo ha fatto sedimentare nello spazio. Il concetto di luogo ci permette quindi di sperimentare contemporaneamente la presenza di questi frammenti. Il progetto di architettura consiste, allora, nell’aggiungere altre componenti a questa struttura formatasi in precedenza, in modo tale che gli elementi preesistenti, anziché essere annullati o trasfigurati, entrino a far parte della nuova composizione. martí arís c.

Ruolo chiave assume, all’interno del nostro intervento, l’interferenza della storia ed il continuo rimando ad essa. Bisogna confrontarsi con uno stato di cose che parlano un linguaggio dell’architettura reale e perentorio. (29)  venezia 2006

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Il progetto qui presentato intende integrare il piano di restauro già approvato cercando, nell’interazione sia con gli oggetti riutilizzati che con quelli lasciati a simulacro, di completare attraverso nuovi inserimenti questo quadro apparentemente rimasto incompleto. L’ostacolo con cui misurarsi consiste tanto nel riutilizzo –ovvero nella rifunzionalizzazione- quanto nella rielaborazione: delle forme, del linguaggio, del paesaggio –modificato dalle costruzioni ex novo-. Il “nuovo” a questo punto è tenuto a tenere le fila di innumerevoli significati; alludere alla preesistenza e non contraddirla, esplicitare la relazione diretta tra funzione e forma, ribadire la natura del paese e dei materiali che lo costruiscono. La costruzione ex novo è l’artificio estremo volto a rendere comprensibile ed efficace il sistema di restauro. Tramite il nuovo inserimento si vuole ricercare unità e coerenza attraverso una proposta che, nel rispetto dei confini, dei tracciati, delle gerarchie tra le parti, sia espressione mimetica del genius loci e dichiarazione di ordine. I muri del nuovo si impostano sulle fondamenta del vecchio e le differenze, le gerarchie, gli equilibri delicati che l’interazione con un’architettura di spoglio comporta, rafforzano la coesione tra le parti. Se una buona risposta contiene sempre il problema, starà allora all’intervento non andare a negare il dato di fatto problematico, svuotandolo di significato e riducendo il progetto alla creazione di un parco archeologico; al contrario, 48


rifuggendo la tentazione del pittoresco, il recupero dei resti del passato non sarà tanto per una mera rappresentazione distratta e sentimentale ma per la riutilizzazione del materiale storico in un edificio logico, attuale e permanente. L’intervento in località ed edifici storici ha la propria base non nella differenza ma nella somiglianza e nel principio di coerenza che deve guidare l’azione dell’architetto, non nel contrasto ma nell’imitazione. Imitazione dell’essenziale naturalmente. Essenziale che si ritrova nella morfologia del luogo nel rispetto del quale il progetto ritorna più volte sulla correlazione tra spazio e memoria. Il senso del luogo viene chiarito dagli interventi sullo spazio ad ogni scala: viene ricreata l’unità nel paese con una rete di connessione molto permeabile e passaggi e vicoli che definiscano dinamiche urbane medievali. L’interpretazione museografica dell’intervento sarà rintracciabile non solo nella valorizzazione degli elementi totemici come la chiesa e la torre, ma anche nelle nuove architetture di muri che completeranno le architetture di simboli.

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1. copertura .lastra . di rivestimento in acciaio zincato trattato con acido 8 mm .isolante . termico 11 mm .listelli . legnei 50/30 mm .tavolato . legno di quercia 30 mm .travi . in legno 300/150 mm .trave . in legno lamellare di sostegno trasversale 360/100mm .travetto . di acciao modello HEB 100 imbullonato alla muratura esistente

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2. solaio controterra .pietra . calcarea locale, riquadrata con superficie pianocava e a spacco 80 mm .massetto . di allettamento 40 mm .massetto . porta impianti 70 mm .barriera . al vapore 10 mm .soletta . in calcestruzzo con rete elettrosaldata 12o mm .vespaio . areato 300 mm .strato . di ghiaia 200 mm

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2


1

2

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3.2 intenzioni

Ungaretti dice una cosa: la rovina conquista all’architettura un valore universale. L’architettura ha sempre una doppia componente: una attuale, contingente, immersa nella contemporaneità; l’altra universale, eterna. Questa è la condizione perché l’architettura sia degna di portare questo nome30. venezia f.

Partendo dalla natura permanente insita in ogni buona architettura riteniamo che non esista una sola funzione atta ad accompagnare la transizione da rovina a parte attiva del tessuto urbano. Si è dibattuto a lungo circa le funzioni di riattivazione dei borghi abbandonati ma riteniamo che non si sia ancora raggiunto un compromesso valido tra la speculazione economica –alberghi diffusi- e la sacralizzazione del borgo. Per quanto attiene alla nostra area, la prima opzione è ancora meno percorribile in quanto l’abbazia, cui ruotava attorno tutto il sistema di forti sopra citato, è stata trasformata in residenza d’epoca, ovverosia residenza di lusso. Abbiamo voluto inoltre rimandare a un senso di pubblicità del borgo, sottolineando una diversa vocazione di accoglienza, rispetto alla ricettività tradizionale. Quanto poi alla museificazione del borgo, sono le caratteristiche stesse della cultura contadina e rurale tipiche di questi luoghi a esigere una trasposizione funzionale in chiave altrettanto naturale e fattiva. (30)  venezia 2011

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Partendo da questi presupposti, questo lavoro si prefigge di realizzare un centro di ricerca per lo sviluppo agrario e dell’allevamento, integrando all’esistente dei nuovi volumi che permettano la fattibilità e la vivibilità del centro di ricerca. Il centro vuole essere spazio aperto, flessibile prevedendo anche spazi per conferenze e corsi, e locali per la ricezione e l’accoglienza: segreteria, foresteria, bar mensa/ ristorante. Le costruzioni esistenti –per il cui restauro si rimanda al progetto esistente-, per rispettare le norme strutturali e impiantistiche, andranno ad ospitare la foresteria –strutturata in piccoli appartamenti - e gli uffici amministrativi del complesso. La “casa del Priore” -che è la casa più grande del paese da catasto era di pertinenza della chiesa di San Rocco- andrà ad ospitare un piccolo bar, nel suo livello più basso, una piccola mensa/ristorante a livello superiore ed ancora sopra un mini appartamento. Le funzioni più tecniche, che implicano uno studio tecnologico e progettuale più attento sono state previste in due volumi di nuova edificazione nei quali sarà presente lo stesso principio delle case esistenti, cioè spazi contenuti con variazioni in altezza più che in profondità e illuminazione calibrata da piccole aperture e fori per far entrare la luce. Questi volumi saranno successivamente oggetto di indagine più diffusa. L’intervento, nelle sue caratteristiche globali, è volto a instaurare dialogo tra nuovo e vecchio, così come tra edificio e paesaggio. Il rispetto dell’intorno si estrinseca nella volontà del progetto di confondersi nel paesaggio: non si 54


29 fotoinserimento del progetto nel paese

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nasconde completamente, ma neanche si afferma con prepotenza. A questo contribuisce anche l’attuale conformazione del verde: un tempo tutto coltivato a cereali, il colle presentava vegetazione molto bassa e cambiava colore con le stagioni. Ora il paese è immerso nel bosco, la vegetazione è medio alta, a tratti alberi ad alto fusto prospicienti al paese ci sono alberi a basso fusto (che non superano i 3m di altezza) e sottobosco, quindi arbusti. Inoltre la vegetazione è sempreverde per la maggior parte, quindi il cambio di stagione nei colori è meno evidente, lasciando immutato nell’arco dell’anno il rapporto di cromie tra paesaggio naturale e paesaggio costruito. Dal punto di vista tipologico, il dialogo tra nuovo e vecchio, evocato in maniera esplicita ma non invasiva nell’esistente, è ribadito anche da scansione e volumetria dei corpi aggiunti, che rievocano la conformazione arroccata del borgo, tipica di questi insediamenti. Il tutto viene declinato in chiave moderna; i nuovi inserimenti sono chiaramente dichiarati, così come la tecnologia, la concezione degli spazi e le tutte declinazioni possibili dei materiali.

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c

a b

d


30 pianta livello 0 a_edificio ovest segreteria b_edificio est ambienti multifunzionali di coworking servizi magazzino laboratori di analisi c_edifici esistenti sala riunioni servizi d_chiesa di San Rocco

31 pianta livello -1 a_edificio ovest servizi magazzino biblioteca b_edificio est servizi c_edifici esistenti servizi sala proiezioni sala lettura d_chiesa di San Rocco

33 pianta livello +1 a_edificio ovest aula informatica b_edificio est serra per la coltivazione di vegetali c_edifici esistenti uffici amministrativi appartamento bar casa torre

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c

a b

d

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32 sezione longitudinale

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3.3 suggestioni materiche

Palanghino: -de fèrro (U.), päl de fèro (C.), pälo de fèrro (P.),s.m., leva, piede di porco, arnese del cavatore di pietra: la piétra se caväa col piccòne, -, palétto, zéppe, mazze; adèsso co tutte ste mine, la piétra nn è più bona, noi altri murämo, gimo a toccalla col martèllo, se stéguela tutta, perch è tutta minäta (U.), la pietra cavata con il solo ausilio di piccone, mazza e piede di porco non perde la sua resistenza31.

(31)  Dal glossario di termini specialistici che si legano al lavoro dei muratori (ma non si creda che con questo si sia realmente isolata una fascia di cultura popolare all’interno di un territorio, che si sia definita una classe artigianale o un linguaggio tecnico nettamente separato dal linguaggio più genericamente comune; nel mondo popolare rare sono le specializzazioni assolute, comune all’esercizio di più di un mestiere, labili perciò sono i confini tra i ruoli e i campi di azione.) chiuini 2004, p. 99

La calcina ce ne mettéan poca, na vòlta, perché ji costäa […] I muri li facéan bucchi: ce métti le scajje, è d arcoje anche la robiccia, la scaje ch è fatto per conciä n sasso e buttalle drént al muro. I muri li facéan anche da mmétro, bucchi n sasso perlato e pu buttäan giù drénto co la päla sassi, scajje tutta roba mägra (riempivano la muratura a sacco con pietrisco e detriti praticamente a secco). chiuini g.

Il dato materico e tecnologico è stato uno spunto fondamentale della nostra proposta. Confrontandoci con un luogo in cui la tradizione popolare attraversa qualsiasi ambito sociale e culturale, compreso quello architettonico, che viene quindi semplificato e incluso nelle dinamiche rurali, è stato fondamentale reinterpretare le consuetudini costruttive e

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c

a

b


rielaborare in chiave contemporanea le basi delle stesse. È stato un passo obbligato, dunque, soffermare lo sguardo sul costruito, che in questo paesaggio specifico appare piuttosto come un ulteriore strato geologico sovrapposto e in comunicazione con quello naturale. Se la tecnica costruttiva attraversa nel tempo fasi di arricchimento o di semplificazione, un dato di fondo rimane costante nel cantiere popolare ed è l’uso della materia prima; la grande varietà di materiali da costruzione che caratterizza tutta la regione umbra porta così a comporre un quadro quanto mai ricco di risultati. Nei territori nell’Alta valle del Tevere calcari e arenarie affiorano ovunque e costituiscono la materia delle murature miste fatte di ciottoli e di pietre non lavorate, di scaglie e frammenti di mattoni; i paramenti murari mostrano una grana diversa in aree del fondovalle dove l’accurato montaggio dei ciottoli di fiume, talvolta legati con una calce scura prodotta dagli stessi sassi, è caratteristica della pianura alluvionale. I nitidi filari dai ricorsi regolari appartengono invece alle aree dove affiorano banchi di arenaria stratificata; i lisci piani di appoggio delle lastre di pietra permettono un montaggio a secco o con minime quantità di calce. Nell’area della valle tutti gli edifici utilizzano per le loro murature materiali litoidi reperibili in zona: il calcare massiccio, bianco o rosato, e la pietra sponga, concrezione travertinosa prodotta dalle acque calcaree del Velino e tipica dell’altopiano delle Marmore. Il laterizio, grande assente dell’età medievale, comincia ad essere utilizzato singolarmente o

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34 vista prospiciente l’auditorium

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1. parete porticato -rivestimento in pietra calcarea locale, riquadrata con superficie pianocava e a spacco 120 mm pannello di cemento armato 240 mm - rivestimento in pietra calcarea - locale, riquadrata con superficie pianocava e a spacco 120 mm 2. parete esterna - rivestimento in pietra calcarea locale, riquadrata con superficie pianocava e a spacco 120 mm - mensole di ferro agganciate alla parete di tamponamento pannelli isolanti tipo multipor 100 mm - tamponamento con blocchi di calcestruzzo cellulare ytong 300 mm - intonaco interno per ytong 15 mm

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3. parete esterna con finestra - rivestimento in pietra calcarea locale, riquadrata con superficie pianocava e a spacco 120 mm - mensole di ferro agganciate alla parete di tamponamento pannelli isolanti tipo multipor 100 mm - voltini prefabbricati in calcestruzzo aerato autoclavato armati 15 mm - finestra ES Zero Frame a triplo vetro con profilo in alluminio - intonaco interno per ytong 15 mm - finestra con triplo vetro ES zero frame

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1

2

4. solaio controterra - pavimento 20 mm - massetto alleggerito di livellamento 40 mm - massetto porta impianti 80 mm - isolamento termico 80 mm - barriera al vapore 10 mm soletta collaborante in c.a. 40 mm - lastre armate di calcestruzzo alveolare ytong 20o mm - trave in cemento armato

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4


- appoggio isolatore antisismicofondazione a platea 300mm - magrone di allettamento 100 mm 5. solaio loggia - pietra calcarea locale, riquadrata con superficie pianocava e a spacco 80 mm - strato di protezione 10 mm - guaina impermeabilizzante 10 mm - massetto di pendenza isolante termico 4o mm - solaio cemento armato 130 mm - isolante termico 4o mm - intonaco esterno 150 mm 6. solaio intermedio - pavimento 20 mm - massetto alleggerito di livellamento 40 mm - guaina per isolamento acustico 10 mm - massetto porta impianti 80 mm - soletta collaborante in c.a. 40 mm - lastre armate di calcestruzzo alveolare ytong 20o mm - controsoffitto 300 mm 7. solaio di copertura - strato di completamento in pietra calcarea locale fissato con staffe in acciaio 80 mm pannello di compensato a sostegno delle staffe montanti in acciaio 30x50 mm - guaina impermeabilizzante 16 mm - isolamento termico 120 mm - barriera al vapore 10 mm - solaio strutturale - in lastre armate di calcestruzzo alveolare ytong 20o mm - controsoffitto 300 mm

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associato ad altri materiali, soltanto a partire dal XVI secolo e non in modo uniforme e diffuso32. La sponga e il calcare si trovano accumunati fin dall’antichità, sia per quanto concerne i paramenti, che per i riempimenti delle murature; in quest’ultimo caso, il travertino viene tagliato in grandi blocchi squadrati. Durante il medioevo le dimensioni dei blocchi diminuiscono progressivamente, tendendo al quadrato. In alcuni territori si nota un’omogeneità quasi assoluta nell’uso dei materiali e nella tessitura delle cortine murarie che attraversa tutto il medioevo e l’età moderna, tanto che risulta quasi impossibile in alcuni casi, distinguere una costruzione antica da un rifacimento moderno. Il calcare bianco o rosato, appena sbozzato o quasi quadrato, viene posto in opera in modo irregolare. Soltanto le strutture più antiche degli edifici di culto utilizzano blocchetti quadrati di calcare posti in opera in filari rettilinei, con letti di posa bassi33.

(32)  egizi 1992 (33)  ivi

L’Umbria ha sempre mostrato una consolidata e diffusa tradizione costruttiva, materia ruvida e pesante. La costruzione stessa dell’organismo edilizio per secoli è stata segnata da scelte tipologiche condizionate prevalentemente da forme semplici e strutture continue che, seppur levitati nelle altezze e nelle luci, determinavano spessori e masse importanti. Le stesse case unifamiliari, a due o tre piani, disseminate nel territorio, richiedevano una struttura massiccia mentre le eccezioni, come le coperture di grosse luci, erano delegate a strutture complesse ad arco o con cupole o con sistemi voltati. Anche con l’avvento di nuove tecnologie e materiali, la forte 68


matrice conservatrice della cultura costruttiva locale, consolidata ormai da secoli, metabolizzò le istanze innovatrici dell’epoca moderna e, almeno nell’edilizia comune, unì tradizione e innovazione, usando la tecnica edilizia del cemento armato unito alla muratura. Una struttura mista che consentì nuove possibilità compositive senza che le vecchie strutture in muratura fossero soppiantate completamente inverando la concezione tradizionale dell’edificio come “scatola muraria”34. Da un’analisi complessiva del nostro borgo emerge una generale omogeneità sotto l’aspetto tipologico e materico. Le strutture portanti verticali sono in muratura di pietrame locale, in particolare scaglia calcarea rosa e bianca. Le strutte orizzontali sono in legno o in muratura voltata. Il manto di copertura è formato da coppi e contro coppi.

(34)  belardi 2011

Il progetto si inserisce in questo contesto riprendendo una pratica antica per cui l’atto di costruire era riconducibile al concetto di smontaggio e riassemblaggio di materia nel luogo stesso della fabbrica edilizia. L’origine stessa del borgo, infatti, deve la sua composizione materica alla “pulizia” del colle. Quest’ultimo era tradizionalmente coltivato a cereali e quando i contadini aravano i campi, rimuovevano i blocchi di calcare presenti e li utilizzavano per costruire. A questa logica si allude nella nostra proposta in quanto ogni movimento di terra necessario all’allocazione di un nuovo volume implica scavi, spostamenti di materiale calcareo, reperimento di materie necessarie alla costruzione. La pietra che troviamo nel progetto è una pietra locale ca69


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8. parete interrata - membrana bugnata in polietilene ad alta densitĂ 7 mm - menbrana di impermeabilizzazione 10 mm pannelli isolanti tipo multipor 100 mm - setto in cemento armato 300 mm - intonaco interno per ytong 15 mm 9. parete esterna - rivestimento in pietra calcarea locale, riquadrata con superficie pianocava e a spacco 120 mm - mensole di ferro agganciate alla parete di tamponamento pannelli isolanti tipo multipor 100 mm - tamponamento con blocchi di calcestruzzo cellulare ytong 300 mm - intonaco interno per ytong 15 mm

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10. parete esterna serra con ventilazione - vetrocamera 6/12/6 mm montanti con portalamelle in alluminio anodizzato verniciato di bianco tubolare in acciai0 di sostegno alla vetrata 150x50 mm - tensore in acciaio per controventatura tenda meccanica interna per controllo luce naturale di aggancio alla trave di irrigidimento 11. solaio controterra - pavimento 20 mm massetto alleggerito di livellamento 40 mm - massetto porta impianti 80 mm isolamento termico 80 mm - barriera al vapore 10 mm - soletta collaborante in c.a. 40 mm - lastre armate di calcestruzzo alveolare ytong 20o mm - trave in cemento armato appoggio isolatore antisismico fondazione a platea 300mm - magrone di allettamento 60 mm

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9 12

8 11


12. solaio intermedio pavimento 20 mm massetto alleggerito di livellamento 40 mm - guaina isolante fonoassorbente 10 mm - massetto porta impianti 80 mm - soletta collaborante in c.a. 40 mm - lastre armate di calcestruzzo alveolare ytong 20o mm - controsoffitto 300 mm 13. copertura vetrata - vetro float temperato h.s.t. 12mm tubolare in acciai0 di sostegno alla vetrata 150x50 mm - tenda meccanica interna per controllo luce naturale di aggancio a traversa tubolare tensore in acciaio per controventatura trave strutturale modello HEB 220

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vata con le ruspe e utilizzata con il tipo di taglio “a piano cava” e a “spacco”. Altro materiale presente a ribadire il contatto con il contesto locale è l’acciaio, elemento cardine di quella recente tradizione industriale di cui Terni è stata a lungo baluardo e simbolo nella zona. L’acciaio è qui usato per rivestire le strutture di legno che sostengono le coperture degli edifici esistenti scoperchiati, dichiarando apertamente, nel contrasto materico, la volontà del riuso. Queste coperture si presentano leggermente rialzate per guadagnare un po’ di altezza all’interno e rendere a norma gli spazi. Il rivestimento esterno è in lastra d’acciaio zincato che, trattate con acido, hanno assunto un colore nero antracite opaco. Negli edifici esistenti che presentano le coperture danneggiate solo parzialmente è previsto il ripristino della copertura un tempo esistente –coppi e tegole-. Da queste considerazioni appare chiaro come l’intento sia di far dialogare materiali locali tradizionali con altri il cui utilizzo apparirebbe a prima vista improprio. L’acciaio e il vetro riescono immediatamente a definire gli spazi delle serre; il legno unito all’acciaio e, come sempre, alla pietra, riesce a racchiudere nuovamente lo spazio della chiesa, dandole nuova atmosfera. I nuovi innesti materici, come quelli volumetrici, paiono venire fuori dal basamento lapideo, dalla terra su cui tutto appoggia; gli opposti e le contrapposizioni sono calibrate al fine di bilanciarsi, stabilire nuovi rapporti gerarchici, nuovi significati in un contesto anche materialmente familiare. 72


3.4 impianto generale ed elementi puntuali

Ogni elemento, nel mentre ordinato in sequenza geometriche e prospettiche con altri elementi, registrando in esse la ragione della propria posizione, diventa elemento generatore della sequenza delle proprie ombre34. venezia f.

L’impianto, come anticipato, ricalca ed integra la conformazione “a ventaglio” del borgo. Sono progettati due edifici che completano volumetricamente il profilo del costruito e si interviene sull’esistente sovrapponendo nuove funzioni agli edifici oggetto del restauro. Qui di seguito un programma funzionale schematico (al netto di scale e corridoi): Edificio ovest segreteria e sala accoglienza al pubblico 65 mq aula informatica 13 posti per altrettanti computer 65 mq biblioteca 204 mq Foyer 64 mq Sala conferenze (88 posti a sedere) 88 mq vani accessori e di servizio 51,9 mq Edificio est Serra per la propagazione/coltivazione di vegetali e per la (35)  venezia 2006

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casa torre

sala riunioni

serra

bar

appartamento servizi aula informatica

ambienti multifunzionali di co-working laboratorio di analisi

servizi

segreteria

ambienti attrezzati con celle frigo spogliatoi stanze climatizzate per l’allevamento di organismi laboratori di analisi

magazzino sala proiezioni chiesa di San Rocco

biblioteca sala lettura

sala conferenze servizi

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casa torre

appartamento appartamento

casa torre appartamento

uffici amministrativi mensa/ristorante

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conduzione di test in vivo in ambiente controllato 147 mq laboratori di analisi chimico/fisiche su matrici biologiche e non, per ricerche in ambito agroalimentare ed ambientale 85,5 mq ambienti multifunzionali di co-working per l’acquisizione, analisi ed elaborazione dei dati 51,83 stanze climatizzate per l’allevamento di organismi (micro e macroinvertebrati terrestri e acquatici) utilizzati nella conduzione di test analitici di laboratorio e in vivo 55,74 mq ambienti attrezzati con celle frigo per lo stoccaggio di materiali 62,66 mq celle climatiche per la crescita/allevamento degli organismi (vegetali/animali) 20,45 mq vani accessori e di servizio 35,2 mq Parcheggio di servizio al paese (28 posti macchina) 1000 mq Esistente (considerato in blocco, senza distinzione in singole particelle) uffici amministrativi 55 mq sala riunioni 53 mq vani accessori e di servizio 22,2 mq 5 mini abitazioni di cui una casa torre, principalmente bilocali di circa 40 mq l’uno ad eccezione della casa torre distribuita su tre piani di 26 mq l’uno bar 68 mq mensa/ristorante 67,7

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Il paese in generale è orientato verso ovest, in direzione assiale all’abbazia di S. Pietro, da le spalle all’est che è comunque riparato dal monte S. Angelo. È raggiungibile in macchina dal versante sud, cioè dal comune di Ferentillo, attraverso una strada per cui è stata approvata proposta per renderla carrabile, che corre lungo l’antica mulattiera (si chiama Strada vicinale da Precetto alla Valle). Sul versante nord verso Macenano troviamo l’accesso più veloce a piedi lungo un cammino di circa mezzora (si chiama Strada vicinale da Colleponte a Umbriano). Il parcheggio è previsto in prossimità del paese, ad una distanza tale da agevolare i portatori di handicap; è comunque stata prevista la possibilità di accesso per piccoli mezzi di soccorso o vetture di servizio nella piazza che si attesta sull’auditorium. Per quanto riguarda i percorsi e i volumi di nuova progettazione, si è cercato di ovviare alla scarsa accessibilità delle preesistenze - la viuzza tra le due fasce di case è larga 1,4 m ed ha un dislivello di 4 m in pochi metri di lunghezza- intervenendo con un sistema di rampe, pendenze e accessi a norma di legge. Considerando di approcciare il borgo da sud, il primo edificio che si incontra sulla sinistra è la chiesa di S. Rocco, si intravede soltanto in quanto si trova 4 m sotto il piano di calpestio. Sulla destra troviamo il volume dell’edificio Est che ospita la parte operativa del centro di ricerca, con i laboratori e la serra. Possiamo accedere a questo volume sia dal piano 0.00 –di riferimento del progetto, ovviamente- che dal livello +4.00 dove c’è una terrazza sopraelevata sulla quale si 77


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38 prospetto ovest

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affaccia anche il bar pensata come momento di sosta e connessione tra nuovo intervento e preesistenze nonché come filtro tra spazio di lavoro e di svago. Dopo di questi, una pausa urbana (come ce ne sono infinite nei paesi arroccati) ci introduce al livello superiore del paese dove si trova la mensa /ristorante per poi proseguire verso la torre. La torre si raggiunge attraverso un sistema di rampe e scale progressivo che si collega anche a dei terrazzamenti retrostanti la serra, dove troviamo un frutteto orientato, come la serra, a sud. Questo frutteto è allocato dietro la serra e su terrazzamenti per essere al contempo più esposto al sole e meno al vento - nel pomeriggio il sole è schermato dal colle vicino- e vi troviamo coltivate una piccola collezione botanica di esemplari di diverse varietà di meli, peri e susini che fanno parte della memoria agricola del territorio. Questo si propone come una vetrina di quello che il centro di ricerca si propone di fare sul territorio: lo scopo è il mantenimento delle risorse vegetali e culturali, conservando il patrimonio storico e paesaggistico, e incrementando la biodiversità. Il progetto dell’area sottostante la torre si pone in continuità con il contesto, proponendo la ricostruzione di un brano del paesaggio circostante: il prato rustico, gli arbusti e i piccoli alberi sono stati scelti fra quelli della vegetazione spontanea della Valnerina e la composizione riprende le forme spontanee del paesaggio; il manto erboso è quello selvatico con la particolare presenza della mentuccia, tanto comune in quest’area da avvolgere con il suo profumo l’intero paese. Questi due giardini diversi e dialoganti voglio80


giardino della torre tappeto erboso arbusti giardini terrazzati arbusti frutteto

Calvilla Bianca d’Inverno

meli Malus domestica Borkh.

Astracan Rosso

Piccolo albero che raggiunge i 10 m di altezza, ha una chioma densa ed espansa. Il fusto è liscio, le foglie sono ovali di colore verde scuro, mentre i fiori sono bianco-rosati. Il frutto varia considerevolmente in termini di dimensione e di colore a seconda della varietà. Centro di origine del melo è l’Asia centrale: si è diffuso dalle foreste di frutti del Tian Shan all’Occidente attraverso la Vie della Seta.

Annurca

Limoncella

Butirra d’Hardenpont

peri Pyrus L.

Decana d’inverno

Albero vigoroso, di forma piramidale nei primi anni e tendenzialmente globosa a muturità, raggiunge 18 m di altezza. Le foglie hanno una colorazione verde intensa, i fiori sono bianchi, mentre colore e dimensione del frutto cambiano a seconda della varietà. È una pianta di cui non si conoscono le esatte origini: il P. communis è ritenuto originario dell’Occidente, mentre il P.pyrifolia di origini cinesi.

Spadona

Anna Spath

susini Prunus domestica L.

Reine Claude verde

L’albero, dalla forma ad ombrello, arriva fino a 7-10 m. I fiori sono solitamente bianchi e i frutti si differenziano a seconda della varietà. La pianta deriva probabilmente dall’incrocio tra il Prunus cerasifera, utilizzato anche come ornamentale, e il Prunus spinosa, arbusto spontaneo che produce frutti blu dal gusto acido e astringente. Le varietà attuali hanno mantenuto caratteristiche di rusticità e adattabilità a terreni poveri.

Reine Claude d’Oullins

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Agazzino Pyracantha coccinea M.J. Roemer

Biancospino Crataegus monogyna Jacq.

pianta arbustiva sempreverde, molto ramificata e spinosa, con corteccia da giallastra a rosso cupo, alta fino a 2 m. Le folglie, brevemente picciolate, sono ovate, ottuse o acute, con margine finemente dentato, lucide e di colore verde scuro superiormente. I piccoli fiori, che formano densi corimbi terminali nei rami laterali hanno il calice tubolare, la corolla bianca e numerosi stami. I frutti, lungamente persistenti, piccoli,rossi o giallastri, contengono 5 semi legnosi.

Piccolo albero, ma più spesso arbusto a fogliame deciduo, chioma globosa o allungata; tronco sinuoso, spesso ramoso sin dalla base. I ramoscelli sono di colore bruno-rossastro, quelli laterali terminano frequentemente con spine aguzze e scure. Altezza generalmente fra 2 e i 5 m. Le gemme sono alterne, disposte a spirale, rossastre e brillanti. I fiori, profumati di colore bianco o leggeremente rosato, sono riuniti in corimbi eretti, semplici o composti.

Bosso Buxus sempervirens L.

Caprifoglio Lonicera xylosteum L.

Arbusto sempreverde eretto e cespuglioso di altezza variabile tra i 2 e 4 m, longevo, dall’odore caratteristico. La corteccia dapprima liscia e verdognola, nel tempo assume una colorazione grigio-biancastra, ha proprietà medicinali. Foglioline opposte, di colore verde cupo lucente superiormente, più chiara inferiormente. Il frutto ha una caratteristica forma di deiscenza per il lancio a distanza dei semi bislunghi, brunastri, lucidi e ricchi di albume.

Arbusto caducifoglio cespuglioso, alto non più di 2 m , assai ramoso, con rami grigi e tomentosi, con corteccia dei rami più vecchi grigia e a fenditure longitudinali intrecciate a mo’ di fune. Foglie opposte, decisamente ellittiche, acute, di un verde grigiastro rispetto alla superiore più scura. Fiori eretti, disposti a 2 a 2 su una coppia di peduncoli pelosi, corolla bianco-giallastra a due lobi. Frutti a bacche sferiche un po’ schiacciate, rosso vivo, unite solo alla base.

Corbezzolo Arbutus unedo L.

Corniolo Cornus mas L.

Specie dal portamento variabile da cespuglio ad albero, sempreverde, con chioma densa, tondeggiante, irregolare, di colore verde carico, con il tronco corto, eretto, sinuoso e densamente ramificato, altezza che varia da 1 a 8 m. Le foglie alterne, semplici, brevemente picciolate, di color verde scuro. Fiori disposti in corimbi di 15/30 elementi, terminali ai rami e penduli, corolla urceolata biancocrema soffusa di rosa. I frutti sono bacche lungamente picciolate, sferiche, di color arancio-porpora.

Pianta rustica e resistente che può raggiungere i 6/8 metri di altezza; caratterisrica è la vistosa fioritura, prima della fogliazione. Le gemme sono avvolte da 4 squame acute e pubescenti. Le foglie, con breve picciolo peloso, sono ovali, opposte e acuminate, verde chiara e pelosetta la pagina inferiore, quasi glabra la pagina superiore. I piccoli fiori gialli emanano un lieve odore di miele. I frutti sono drupe ovoidali, pendule, eduli, carnose, di colore rosso scuro.

Dafne laurella Daphne laureola L.

Erica Erica multiflora L.

Pianta basso arbustiva sempreverde, alta fino a poco più di 1 m, poco ramificata, con rami eretti e con corteccia, di colore grigio roseo, incisa trasversalmente in evidenti cicatrici. Le foglie sono semplici, coriacee, di colore verde scuro lucido. I fiori sono verde-giallognoli e i frutti, di forma ovoidale, sono per lungo tempo verdi e diventano neri a maturità. È una pianta coltivata nei giardini perchè sempreverde e per il particolare profumo dei suoi fiori, ma si tratta di una specie molto tossica.

Arbusto sempreverde, alto fino a 1,5 m, ma può raggiungere anche 2,5 m, con fusti più o meno eretti e rigidi e corteccia grigio-brunastra. Le foglie sono semplici e coriacee. I fiori, piccoli e rosa, sono disposti in piccoli grappoli aggregati in pannocchie terminali. Sono utilizzate a scopo ornamentale nei giardini di aree mediterranee, mentre nella medicina popolare l’infuso delle sommità fiorite era impiegato come diuretico, antireumatico, sedativo e disinfettante.

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Fusaria Euonymus europaeus L.

Ginepro Juniperus communis L.

Arbusto caducifoglia, alto 2-5 m, con numerosi rami opposti, corteccia inizialmente verde, liscia e grigio-rossastra con macchie verdi con l’età. Le foglie sono semplici, opposte, con apice acuminato e margine dentellato, di colore verde scuro lucente. I frutti (capsule) sono quadrilobati e a maturità diventano di colore rosa scuro e si aprono in quattro lobi, ognuno dei quali contiene un seme avvolto in un arillo carnoso di colore arancione. Il nome volgare deriva probabilmente dall’uso del legno nella costruzione dei fusi.

Pianta arbustiva sempreverde, alta fino a 3-4 m, ramosa dalla base, assume portamento eretto ad alberello con chioma conico-piramidale tendente ad espandersi. La corteccia è bruno-rossastra nei rami giovani, grigio rossastra in quelli adulti. Le foglie sono pungenti, di color verde-glauco, scanalate e percorse da una stria bianca inferiormente. I frutti sono di colore blu-viola. Il legno è usato in ebanisteria e per la costruzione di piccoli utensili.

Ginestra Spartium junceum L.

Laurotino Viburnum tinus L.

Arbusto caducifoglio alto 2-3 m, ramificata fin dalla base, con fusti robusti, elastici e sottili, corteccia verde lucente nei rami giovani, grigiastra nelle parti più vecchie. I fiori, riuniti in racemi terminali, sono di colore giallo intenso. Viene impiegata per il consolidamento di scarpate e di pendii franosi per la sua capacità di colonizzare terreni privi di vegetazione. I suoi fusti venivano usati per la fabbricazione di scope rustiche, per legature o per fare cesti.

Arbusto sempreverde, alto 1-5 m, con fusto eretto e rami opposti, corteccia verde o rossiccia nei giovani rami pelosi e grigio-bruna sul fusto degli esemplari adulti. Le foglie sono semplici e coriacee, di colore verde scuro lucido. I fiori, precoci e duraturi, sono piccoli e bianchi con sfumature rosa, riuniti in ricchi corimbi terminali di 4-10 cm di diametro. Produce numerosi frutti di colore grigio-blu. Il legno è usato per lavori al tornio.

Ligustro Ligustrum vulgare L.

Prugnolo Prunus spinosa L.

Pianta arbustiva alta 1-3 m, con numerosi rami sottili e flessibili, con corteccia liscia di colore grigiastro. È caducifoglia nelle zone più fredde e con foglie semi-persistenti nelle aree a clima mediterraneo. Le foglie sono semplici, opposte e di colore verde scuro. I fiori, bianchi e profumati, sono portati a 20-30 in compatte pannocchie terminali lunghe fino a 10 cm. produce bacche nere e lucide. I rami flessibili sono usati per fare legacci in agricoltura e per produrre cestini, canestri, gabbie e altri lavori di intreccio.

Arbusto caducifoglio, alto fino a 2 m , con fusto spesso contorto, ramificato dalla base. Le foglie sono semplici, alterne, con margine seghettato, di colore verde scuro sulla pagina superiore e più chiare su quella inferiore. Produce numerosi fiori bianchi che compaiono prima delle foglie, solitari o riuniti in gruppi di 2-3. I frutti sono subsferici di colore nero-bluastro. È una pianta molto usata in vivaistica come portainnesto per il susino e per il pero, per le sue caratteristiche di rusticità.

Tasso Taxus baccata L.

Fienarola dei prati Poa pratensis

Arbusto sempreverde alto fino a 15-20 m, con tronco eretto e tozzo, ramoso fin dalla base e chioma di colore verde cupo, espansa e largamente piramidale. La corteccia è bruno-rossastra, squamosa e fessurata. Le foglie, lineari e appiattite, sono lucide e di colore verde scuro nella pagina superiore e più chiare in quella inferiore. I molti toponimi legati al tasso, come quello di “Tassinare”, testimoniano come in Umbria questa specie, in passato, fosse molto più diffusa di quanto lo sia attualmente.

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Nipitella Calamintha officinalis L.


39 veduta del monte gabbio dal paese di umbriano, possiamo vedere la finestra sul paesaggio, appena sotto la torre foto e. farinelli

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no, nelle intenzioni progettuali, integrare il centro di studi e ricerche e proporsi come una sorta di orto botanico delle biodiversità della Valnerina. Se invece di salire verso la torre si prosegue costeggiando il ristorante, sulla sinistra si troverà l’accesso a due case di servizio, continuando il cammino si incontrerà un altro momento di sosta con una finestra sul paesaggio (fig 39) e sulla destra la fontana del paese che sgorga su una piccola vasca, usata un tempo per abbeverare gli animali o lavare i panni. Andando ancora oltre, sulla sinistra si trova l’accesso superiore alla casa torre; oltrepassata questa, a ridosso del rudere di una vecchia abitazione, si trovano le scale che dal livello +9.00 riportano al livello +7.oo davanti all’ingresso di una piccola abitazione, una delle due a cui è stato ricostruito il tetto. Proseguendo a destra, si esce nuovamente dal paese in direzione nord verso Macenano incontrando sulla sinistra una piccola terrazza panoramica che dà accesso ad un locale voltato a botte per il quale non è stata prevista funzione, se non quella di sosta. Tornando verso il paese, si incontra la strada antica, fortemente in pendenza, di cui è prevista la ripavimentazione e dalla quale possiamo accedere a sinistra all’entrata inferiore della casa torre e a destra a tutti gli uffici amministrativi del centro di ricerca. Proseguendo verso il parcheggio, sulla destra c’è l’ultimo piccolo appartamento e la parte educativa del centro nell’e84


dificio ovest cui si accede ritornando al livello 0.00. Qui si trova, inoltre, un’altra piazzetta di sosta prospiciente la valle del Nera, da cui è chiaramente riconoscibile la valle che separa il monte Gabbio (quello di fronte) dal monte S. Angelo (quello dove si trova il paese). Prima di uscire dal paese passando dalle scale coperte dal vecchio forno a legna, è possibile raggiungere la chiesa e, scendendo ancora un po’, si arriva fino alla loggia esterna dell’auditorium che guarda a ovest. Proseguendo verso la facciata della chiesa, infine, un’altra rampa di scale sale verso il parcheggio. Il progetto dei percorsi del paese tenta di ricreare dinamiche medievali, connettendo tutto con un circuito circolare, attraverso un sistema di rampe e scale intrecciate con il costruito e con il verde. Anche i ritmi riprendono quelli medievali, con le soste e le accelerazioni (scale rispetto alle rampe) del caso, senza mai condurre a strade senza uscita. Il borgo è permeabile e gli attraversamenti fluidi e ininterrotti. nuova costruzione, i singoli interventi In entrambi gli edifici di nuova costruzione si è cercato di essere il più contenuti possibile con gli spazi per andare in continuità con la tipologia edilizia del paese senza però rinunciare a soddisfare il programma funzionale. L’edificio orientato ad ovest ha uno sviluppo su più piani. I 85


due piani fuori terra sono più contenuti, hanno una forma che segue le tracce di una preesistenza ormai perduta mentre i due piani interrati seguono sempre quelle tracce ma si insinuano nel terreno per raggiungere delle dimensioni sufficienti alle funzioni; inoltre, non sono presenti molti spazi di passaggio e collegamento, fatta eccezione per la sala conferenze, anticipata da un foyer. All’ingresso sul livello 0.00 è collocata la segreteria di servizio di tutto il centro di ricerca, che offre la stessa vista della piazza prospiciente e cioè la vista della valle con di fronte il monte Gabbio, al piano superiore la sala informatica, che può accogliere delle piccole classi di 12 persone per dei corsi di formazione. Su questo livello le aperture sono piccole e su due fronti: ovest e sud. Venendo a i piani più interrati, a metà strada tra la segreteria e il piano inferiore è presente un passaggio che permette di accedere ad una vecchia stalla, ora trasformata in sala proiezioni. Al di sotto, la biblioteca, con una grande sala lettura centrale illuminata da delle finestre sul prospetto ovest e un pozzo di luce dalla parte opposta della stanza posto sul lato est dell’edificio. Proseguendo nel percorso si accede ad un’altra sala lettura ricavata in un edificio preesistente e collegata al livello della biblioteca attraverso un portale appositamente ricavato nella parete, infine, celata alla vista diretta di chi entra troviamo la stanza dove sono i libri. La prima delle due sale è a tutta altezza e ci permette di uscire al livello della chiesa. L’auditorium si trova nel piano più interrato, dove lo spazio 86


40 sezione trasversale che taglia l’edificio ovest

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viene definito dalla contrapposizione tra il volume puro della sala e l’irregolarità e asimmetria del foyer. Quest’ultimo è comunicante con una loggia esterna, a tutti gli effetti una terrazza belvedere, permettendo anche il deflusso di pubblico su una scala esterna che porta al livello -4.00 raggiungendo il sagrato della chiesa. L’edificio est è l’unico intervento generato completamente ex novo e pensato per una funzione nuova ma anche qui sono rintracciabili le direttrici della naturale espansione del borgo, le curve che definiscono i percorsi e l’impianto a ventaglio. Il volume non nega mai l’orografia né gli aspetti tipologici del contesto, la lettura in chiave moderna è data dalla dimensione e dal cambio di materiale ma rispettando la preesistenza e attestandosi in continuità con le preesistenze, contribuendo alla generale suggestione di cortina muraria. Si può accedere all’edificio sia dal livello 0.00 che dal livello +4.00. Al livello 0.00 entriamo nel vivo del centro di ricerca, dove ci sono tutti i laboratori di analisi ed elaborazione dati, questi ambienti hanno una distribuzione a pettine e sono collegati da un corridoio a sbalzo sul piano inferiore; quest’ultimo ha come illuminazione naturale un lucernario a soffitto in doppia altezza, gli ambienti al piano, infatti, non necessitano di troppa luce naturale in quanto ospiteranno le celle climatiche per la crescita/allevamento degli organismi - la luce artificiale consente di regolare le ore di sonnoveglia sia delle piante che degli insetti - e le celle frigorifere. Il ricambio d’aria e la climatizzazione sono consentiti da 88


40 sezione trasversale che taglia l’edificio est

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41 sezione longitudinaleprospiciente l’edificio est

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condotti per la ventilazione forzata; in testata sono stati previsti anche dei piccoli spogliatoi per il personale. Risalendo al piano +4.00 si ritrova la serra, orientata sul lato lungo a sud-ovest e schermata da un piccolo spazio di decompressione con dei totem informativi. La serra lavora per la propagazione/coltivazione di vegetali e per la conduzione di test in vivo in ambiente controllato; serve, quindi, per sviluppare le piante dal seme fino al livello arbustivo per essere poi impiantate nel territorio, ne consegue che gli spazi possono essere contenuti e necessitano al più di tavoli ausiliari dove appoggiare le piante. Pertanto è stato studiato un mobile continuo che percorre quasi tutta la serra e termina con una piccola stanza di ausilio a riporre l’attrezzatura; anche il tavolo è stato studiato per schermare cose di vario genere. Trattandosi di uno spazio dalle linee essenziali, la serra è pensata come spazio flessibile e multifunzionale volto ad accogliere –perché no?- eventi e mostre. La chiesa di S Rocco, da lungo tempo abbandonata, presentava nell’abside un affresco attribuito a Lo Spagna, oggi andato completamente perduto a causa dei decenni di intemperie subite e, per questo motivo, si è scelto di non intervenire con un restauro filo-storicistico. Dal momento che le foto aeree testimoniano la perdita del tetto almeno dal ’42, si è scelto di sostituirne la copertura con un materiale dichiaratamente estraneo a quelli usati anticamente ma molto utilizzato oggi, proprio a sottolineare i diversi momenti storici e tecnologici, giustapposti e comunicanti. Il colore nero antracite è in netta contrapposizione al cando92


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re della pietra bianca rosata, generando un forte contrasto tra i due senza però innescare squilibri nella composizione. Per permetterne di nuovo l’accesso, oltre alla copertura, è stata ripristinata la pavimentazione e integrato l’arredo, rispettando la funzione originale. L’arredamento è semplice ma ricercato in legno di quercia, albero molto presente nei boschi umbri, l’altare è dato da un impasto cementizio e ghiaia sempre della pietra locale per conferirle quei toni bianco rosati, grezza sul basamento e lucidata sul piano. Unico elemento che arricchisce questo tempio minimale è il crocifisso del Maestro della Croce di Gubbio, di cultura pregiottesca: una croce processionale bifacciale, per questo di ridotte dimensioni (55,8x38x3,2cm) dipinta tra il 1290 e il 1291 circa. Il progetto ha previsto l’ingrandimento del sagrato della chiesa e la possibilità di poter circolare intorno ad essa. Come precedentemente detto, gli edifici esistenti sono stati considerati come già restaurati, ma sono stati pensati due interventi di collegamento, cioè due scalinate in ferro con struttura autoportante che si innestano nell’esistente in maniera silenziosa ma decisa, una scala a pianta quadrata posta all’interno della torre permette di ricreare le connssioni con le feritoie di avvistamento. L’altra scala a forma elicoidale fa da cerniera tra i vari piani dell’edificio più lungo tra gli esistenti, quello che ospita gli uffici amministrativi. Ultimo elemento di progetto, il parcheggio, ospitato in un volume che si inserisce nella maniera più mimetica possibile nel paesaggio. È infatti interrato per la maggior parte della 94


sua estensione, presenta una facciata continua coerente col concetto di cortina prima evidenziato e il ricircolo dell’aria avviene da bocche aperte sulla montagna. L’accesso avviene al livello -3.00 dove sono previsti i posti necessari al servizio del centro; percorrendone l’intera lunghezza, si raggiunge la rampa che porta al livello superiore dove ci sono altrettanti posti auto (14) e, infine, attraversandolo nuovamente nella stessa direzione su questo piano, si incontra l’uscita al livello 0.00.

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3.5 la struttura Il progetto strutturale si concentra su tre temi principali: il completamento degli edifici scoperchiati, tra i quali è studiato in dettaglio quello della chiesa, e la costruzione –con tecniche diverse- dei due nuovi edifici. La copertura della chiesa appoggia su dei profili in acciaio HEB 100 incassati nella muratura che permettono di sopraelevare tutto il sistema composto dalle travi in legno lamellare sagomate a capriata e dalla trave unica -sempre in legno lamellare- su cui poggiano. Per chiudere alla vista l’isolante è stato messo un tavolato di legno di quercia. Tutto il pacchetto del tetto è rivestito in acciaio zincato acidato, materiale, questo, scelto per ribadire e rendere ulteriormente riconoscibile l’intervento sull’esistente, di completamento eterogeneo. All’interno della chiesa, è stato rifatto il manto di pavimentazione; si è tentato di intervenire in modo non definitivo, infatti la pavimentazione è appoggiata prima su uno strato di ghiaia a cui è stato sovrapposto un vespaio ad iglù che fa da base allo strato di calcestruzzo strutturale. La pavimentazione è in continuità con il materiale principale di progetto, cioè pietra calcarea locale a colorazione bianco rosata ed ha una finitura bocciardata che la rende più chiara e più liscia - visto che, trattandosi di una pietra calcarea, non si può trattarla lucidandola come il marmo-. Le pareti, originariamente in intonaco, -affrescato nell’ab-

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side- hanno subito negli anni un notevole deterioramento, ora non resta che qualche traccia di intonaco e pochissime zone pigmentate. Essendo impossibile un restauro dell’affresco de Lo Spagna, del quale non resta che un alone in pochi punti, si è data la precedenza alla conservazione delle mura: è stato quindi previsto un rinzaffo della malta tra le pietre della muratura a sacco con finitura ad intonaco a calce. Per quanto riguarda i volumi di nuova progettazione, priorità assoluta è stata data alla prevenzione dei danni sismici: attenzione alle norme antisismiche, previsione di appositi giunti in corrispondenza degli innesti con le preesistenze e uso di isolatori sismici. È stata inoltre evitata promiscuità tra i linguaggi strutturali di preesistenze e nuove previsioni; per esempio, laddove c’era possibilità di sovrapposizione, come nell’edificio ovest, il muro esistente non viene interessato dal sistema strutturale del volume in quanto tra i due è stata posta, a separazione, la scala che collega i vari livelli dell’edificio di nuova costruzione e che è strutturalmente sostenuta da questo. La progettazione dei due volumi è volutamente semplice e declinata in maniera coerente con la funzione ospitata: la struttura in cemento armato tamponato tra i pilastri con blocchi di cemento alveolare Ytong, è sostenuta da cordoli in cemento che puntualmente si agganciano alla fondazione a platea attraverso isolatori sismici. L’edificio ovest presenta un linguaggio più scarno e uniforme, la struttura è infatti rivestita in pietra sostenuta da 97


mensole d’acciaio in maniera continua, copertura compresa. L’edificio est, invece, presenta un arricchimento del lessico della pietra in quanto, all’ultimo piano, viene integrato da una serra in acciaio poggiante su cemento armato. All’interno della serra, il ricambio d’aria avviene attraverso ventilazione artificiale a lamelle basculanti; il controllo della luce avviene attraverso tende meccaniche interne.

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4. conclusioni

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Così nel caso dell’edificio scenico, una buona risposta conterrà sempre e comunque la rovina, il segno della rovina, da cui proviene, su cui si innalza. E conterrà sempre anche il segno della sua impossibilità, la sua dichiarazione di inefficacia. grassi g.

Tanto Arminio quanto Flora sostengono che si debbano progettare le riattivazioni partendo dal buon uso e non dall’abbandono o dalla museificazione filo-storicistica. Con il progetto qui presentato, riteniamo di aver diversificato le possibilità di intervento scongiurando queste eventualità. È stato inoltre tema cruciale di questo studio prendere le distanze dalle proposte attuali volte a sfruttare economicamente i borghi.

(36)  grassi 2006

Riteniamo che il nostro progetto renda centrale un aspetto inedito, ovvero la reinterpretazione moderna ma fedele dello spirito del luogo e del suo significato in quanto memoria, e la trasposizione di questa realtà in funzioni solo parzialmente nuove, in quanto di diretta derivazione della tradizione locale. Riteniamo che il cerchio del tempo si possa richiudere nel presente solo se le azioni sul territorio non sono posticce, se superano la tentazione di sacralizzare la rovina. Non sappiamo dire se la nostra proposta potrà essere efficace; trattandosi di una divagazione ideologica ed antieconomica, non sarà mai posta al vaglio dei fatti. Siamo convinti però delle ragioni che ci hanno portato ad interferire con coraggio nelle dinamiche di recupero attualmente consolidatesi e riconosciamo che il nostro principale

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intento, rintracciabile nelle scelte operate a livello di funzionalizzazione, era quello di smitizzare la rovina. Il borgo, e l’abbandono che lo rende immagine sintetica del Passato, non sono realtà intoccabili e immutabili. Interagire con questi dati di fatto cercando di dar loro senso nel tempo presente, significa accettare che il passato non è altro che la traccia del presente di un altro tempo, accettare che la rovina non è un’ostia benedetta, che il passato è pragmatico. Che la vita lo è.

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Ăˆ impossibile museificare interi territori, intere cittĂ , intere nazioni, con il terrore che nulla dopo di quello che è stato fatto prima, nel passato, possa essere ad esso comparabile. flora n.

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bibliografia

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ringraziamenti


per il gentile apporto nella raccolta dei documenti: a sergio giorgini, gianluigi mirabelli, mauro gramaccia per gli utili consigli: a alberto bove, gianluca darvo, marinella spagnoli

grazie alla mia famiglia per l’inesauribile sostegno ai compagni di merende a quelli di avventure e a quelli di charrettes per la passione e la pazienza grazie al prof. fabrizio arrigoni


universitĂ degli studi di firenze


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