STORIE DI DONNE PARTIGIANe a cura del collettivo femminista donn(ol)a LAB
... Dopo la liberazione queste donne sembrano essere dimenticate,
taciute, vita pubblica e vita privata precipitano nella dimenticanza... “Alle staffette, nelle sfilate, mettevano la fascia da infermiera� Pag 1
Pag 2
STORIE DI DONNE PARTIGIANE tratto dalla mostra autoprodotta da: donn(ol)a LAB Firenze
Questa mostra nasce dalla lettura di un libro, “La resistenza taciuta, dodici vite di partigiane piemontesi”, di Bruzzone e Farina. Il libro, uscito nel 1975 e ripubblicato nel 2004, fu un “cult” del movimento femminista degli anni '70, che rintracciava nell'esperienza di queste donne un antecedente, una linea di discendenza femminile a cui riallacciarsi e con cui confrontarsi. Partendo da questo libro siamo andate alla ricerca di altre testimonianze e narrazioni di donne attive in quegli anni, per cercare di dare voce a chi ne ha sempre avuta poca: donne, donne che si oppongono, donne del popolo, operaie e contadine. Se dobbiamo sceglierci delle madri ci piace che siano donne ribelli. Ci sembra importante e necessario parlare oggi di resistenza. Infatti qui ci troviamo, ancora a resistere, a combattere contro poteri forti, reali e materiali. Le risposte che vanno cercate sono metodi per destrutturare e distruggere questi poteri, metodi che possono essere diversi tra loro ma devono essere efficaci: in questo senso la contrapposizione violenza-non violenza ci appare essere un falso problema. Si sente dire spesso che utilizzare metodi violenti significa diventare come il potere che si combatte. Le storie, i destini, le parole e il sentimento di queste donne sembrano smentirlo: per loro agire è stata semplicemente una necessità. Forse è invece il ricercare potere quello che può rendere simili al potere e far ritornare la ruota al punto di partenza. E tocca purtroppo ancora ribadire che una cosa è la violenza del carnefice e un'altra quella di chi si ribella alla carneficina. Le donne parteciparono in molti modi alla resistenza, dalle partigiane combattenti alle operaie che organizzavano scioperi nelle fabbriche, dalle staffette alle donne che preparavano calzini e cibo per chi combatteva in montagna, da quelle che nascondevano i renitenti a quelle che facevano azioni di sabotaggio e informazione. Partecipare alla lotta collettiva significò per queste donne la possibilità di rompere esplicitamente con i modelli femminili imposti dal regime (ma che riproducevano una realtà di lunga durata, di passare alla rivolta aperta, di essere alla pari con gli uomini nella ricerca di una vita nuova. Godere di autonomia di spostamento e azione rappresentò per loro il raggiungimento di uno spazio di libertà impensabile poco tempo prima. L'esperienza della resistenza, pur tragica, fece scoprire loro la possibilità di uscire da quei ruoli e spazi in cui le donne erano chiuse, fu l'occasione per instaurare relazioni nuove tra uomini e donne, tra donne e donne. Le donne furono certamente spinte all'azione dall'odio per l'ingiustizia e il fascismo, dalla lotta di classe, dalla volontà di farla finita con l'invasione straniera, ma c'era in più un profondo impulso alla liberazione personale. In quel breve periodo tutto cambiava velocemente e la vita si inventava giorno per giorno. La scelta era una scelta di vita, che comportava un capovolgimento di valori. Si poteva credere che quella libertà femminile avrebbe segnato la nuova società nata dalla lotta. E invece no, l'incontro dei generi che pareva possibile durante la guerra di liberazione sembra svanire subito dopo. Nel dopoguerra si assiste a una pesante normalizzazione. Da parte delle forze moderate, ma anche da parte della sinistra, partito comunista compreso. La risposta, unitaria, fu l'invito a sacrificarsi, a tirarsi indietro. In realtà per tutti, ma ancor più per le donne. Dopo la liberazione queste donne sembrano essere dimenticate, taciute, vita pubblica e vita privata precipitano nella dimenticanza. “Alle staffette, nelle sfilate, mettevano la fascia da infermiera”. donnola.noblogs.org Pag 3
Pag 4
Pag 5
Pag 6
Pag 7
Pag 8
Pag 9
Pag 10
Pag 11
Pag 12
Pag 13
Pag 14
Pag 15
Pag 16
Pag 17
Pag 18
Pag 19
Pag 20
Pag 21
Pag 22
storie di donne partigiane
gli anni 20
Le squadracce fasciste
Facevano le squadracce, camminavano su e giù per la strada principale, per provocare la gente...Me li ricordo benissimo, faccia per faccia. Specialmente nelle case operaie venivano, dove abitavo io.
Ci hanno sparato anche addosso a noi che eravamo al corteo del primo maggio nel '20, in via Cernaia. Io avevo una bella camicetta rossa, me l'aveva regalata al mè Carlin.
E prendono mio padre che viene una sera e gli hanno dato due litri d'olio e lo hanno buttato dentro una buca di calce, lo hanno buttato giù, solo più con la testa fuori...Mio padre gli è venuto mal di cuore, un po' una cosa un po' un'altra ha finito per morire per il cuore. E poi un'altra volta che mio padre è venuto a casa tutto insanguinato... Lui cantava Bandiera Rossa perchè sai com'erano gli operai allora, al sabato bevevano qualche bicchiere...e due lo hanno picchiato. Mio padre era socialisra, parlava sempre di rivoluzione.
Pag 23
storie di donne partigiane
gli anni 20
Avevamo tirato su una bella casa del popolo. Verso il 1920 i fascisti hanno bruciato la casa del popolo. A Ronsecco i vecchi se ne ricordano ancora. Io ero una bambina e per tutta la notte anch’io ho portato i secchi d’acqua per spengere il fuoco Alla mattina hanno bruciato la cooperativa di Volpiano. Alla notte sono entrati, il podestà fascista in testa, hanno cominciato a bruciare tutto sulla piazza...tutti i documenti della cooperativa hanno bruciato, e poi hanno dato fuoco alla cooperativa.
In quei periodi lì ricordo che una sera eravamo andati al circolo, poi erano arrivati i fascisti e avevano spaccato tutto. Sono arrivati con i camion sulla piazza, noi eravamo dentro, hanno gettato anche delle bombe. Siamo scappati da una cinta. Un disastro! Del '21 mi ricordo sempre, sono andata al paese, avevo una bella vestina nera con un nastro rosso intorno, e vado per andare in chiesa perchè quando si va al paese bisognava andare in chiesa. Vado per andare in chiesa e mi circonda un gruppo di ragazzi e mi levano quel nastro rosso lì e lo legano alla finestra e non volevano darmelo e mi fa: -Tra te e tu fratello qualche volta vedete cosa vedete.
Pag 24
storie di donne partigiane
gli anni 20
Parma ago sto 1922 gli A rdit i de l popolo difendono la città da 20.000 fascist i guidat i da Italo Balbo
Il 16 dicembre del '26 mi sono sposata. Nell'agosto del '27 hanno arrestato mio marito. Io ero incinta di Isotta, ero già di sette mesi. Era un comunista...fatto sta che mio marito ha fatto sette anni. A Volterra.
Il fascismo trionfante ci ha fatto perdere ogni contatto. Non era più facile trovarsi, mantenere in piedi un'organizzazione politica... Non si poteva nemmeno cantare. Perchè mi ricordo che quando è venuta fuori quella canzone: “Ma non vedete che dalla fame quaggiù si muore...”, sai era famosa, la cantavo, me l'hanno impedito. Pag 25
storie di donne partigiane
la donna fascista
la patria si serve anche spazzando la casa Pag 26
storie di donne partigiane Con la Grande Guerra le donne vengono mobilitate in maniera prima sconosciuta. Lo stato ha bisogno del loro lavoro e del loro volontariato per il successo del fronte interno. Le donne della classe operaia entrano a migliaia nelle fabbriche: mezzo milione di donne pronte ad organizzarsi in cooperative o in leghe. Al termine del conflitto cresce la protesta sociale e la rivendicazione del diritto di voto. Il fascismo segna uno dei momenti di massima oppressione femminile, ma le posizioni sulle donne assunte dal regime in Italia erano presenti anche negli stati non autoritari. La politica sessuale di Mussolini esprime in modo accentuato una comune resistenza a introdurre nella condizione femminile quei cambiamenti che si erano resi necessari con la crisi del vecchio modello di accumulazione capitalistica. La perfetta donna fascista segue tutti gli obblighi della famiglia e insieme si fa carico dell'interesse dello stato. Il fascismo ricaccia le donne dentro le case come procreatrici e nutrici, e nello stesso tempo le chiama al compimento di nuovi doveri “civili”. Le donne dovevano incarnare ruoli tradizionali, ma essere anche presenti sulla scena pubblica, pronte alla chiamata. Il fascismo ha bisogno di mano d'opera a buon mercato e di uomini per l'espansione imperialista: “DITE ALLE DONNE CHE HO BISOGNO DI NASCITE, MOLTE NASCITE” (MUSSOLINI, 1928) 1926- tassa sul celibato 1926 “pogrom delle prostitute”, i bordelli vengono controllati direttamente dallo stato. 1931- gli atti omosessuali divengono reato NON È UOMO CHI NON È PADRE SPARGETE I SEMI DI UNA PROLE NUMEROSA
la donna fascista
1930- Nuovo codice penale, “Delitti contro l’integrità e la sanità della stirpe: pene severe per contraccezione e aborto, creare impedimento alla fertilità è crimine contro lo stato. Le sanzioni dello Stato furono rinforzate dal diritto canonico (“Casti connubi”, 1930) 1931- il 24 dicembre viene istituita la “giornata della madre e del fanciullo” 1933- convocazione annuale delle coppie prolifiche. 1937- “Unione delle famiglie numerose” IL LAVORO DISTRAE DALLA GENERAZIONE, FOMENTA UN’INDIPENDENZA E CONSEGUENTI MODE FISICHE CONTRARIE AL PARTO. 1928- preferenza nelle assunzioni negli uffici pubblici ai capifamiglia e ai veterani di guerra celibi. Limitazione delle donne ammesse ai concorsi. 1934istituzione delle “massaie rurali”; legislazione protettiva per le madri lavoratrici; limitazione del 5% delle donne ai livelli direttivi e al 20% negli altri livelli. 1938- Limite del 10% di donne in tutte le aziende, esclusione completa nelle imprese con meno di 10 dipendenti. UNA SCUOLA PER I PADRONI UNA PER I SERVI UNA PER I MASCHI UNA PER LE FEMMINE NOI NON VOGLIAMO DONNE ALL’UNIVERSITÀ, MA LE VOGLIAMO NUDE, DISTESE SUL SOFÀ 1022-24 -Gentile ministro dell’educazione: si ha accesso all’Università solo dal liceo-ginnasio; si aboliscono i corsi supplementari per accedere all’Università dalle altre scuole; le scuole tecniche vengono sostituite dalle complementari, che non danno sbocco ai corsi superiori. 1924 -creazione del liceo Pag 27
femminile, che offre un’infarinatura di materie umanistiche e di arti e attività per “signorine”. 1926- le donne vengono escluse dai concorsi per le cattedre di la tino, greco, storia e filosofia nei licei, e di italiano e storia negli istituti tecnici. 1928- le donne non possono essere nominate presidi di scuole medie 1940- le donne non possono essere presidi di istituti tecnici. LA PATRIA SI SERVE ANCHE SPAZZANDO LA CASA 1926- “Opera nazionale Balilla”: per i ragazzi sport competitivi, escursioni di tipo militare, esercitazioni con armi finte; per le ragazze soccorso, carità, ritmica, puericultura, floricultura, economia domesticaCodice Rocco, 1926-31 un’adultera può essere condannata a due anni, il marito donnaiolo a uno al massimo e solo se colto in flagrante. Art.587, “delitto d’onore”: “chiunque cagioni la morte del coniuge, della figlia o della sorella nell’atto in cui ne scopra la illegittima relazione carnale e nello stato dell’ira determinato dall’offesa all’onore suo e della famiglia” rischia solo da tre a sette anni. La violenza carnale è considerata reato d’onore. Chi violenta una minorenne non è punibile se sposa la ragazza o dimostra che lei era già stata “corrotta”. La donna-madre: patriottica, rurale, florida, forte e prolifica LE VERE DONNE, CON LE LORO MUTANDE DI GHINEA, PROFUMATE DI SPIGO La donna-crisi: magra, urbana, decadente e sterile IN STRETTO BACINO MAL SI COVA IL PULCINO, IN RAZIONALE ALCOVA UOVA NON SI FA
storie di donne partigiane
la donna fascista
non è uomo chi non è padre spargete i semi di una prole numerosa “dite alle donne che ho bisogno di nascite, molte nascite”(Mussolini 1928)
la disciplina civile comincia dalla disciplina familiare
IL LAVORO DISTRAE DALLA GENERAZIONE, FOMENTA UN’INDIPENDENZA E CONSEGUENTI MODE FISICHE CONTRARIE AL PARTO Pag 28
storie di donne partigiane
la donna fascista
UNA SCUOLA PER I PADRONI UNA PER I SERVI UNA PER I MASCHI UNA PER LE FEMMINE
Noi non vogliamo donne all’Università, ma le vogliamo nude, distese sul sofà
Pag 29
storie di donne partigiane
scioperi
Pag 30
storie di donne partigiane
scioperi
Pag 31
storie di donne partigiane
scioperi
Noi eravamo già un gruppo forte di donne e uomini, tutti ci siamo messi insieme. Arriva Mussolini, sale su quel palco, tutti i suoi gerarchi là, i capiofficina intorno tutti vestiti in divisa gli hanno fatto il saluto e noi niente, noi non abbiamo salutato. I suoi si mettono a cantare Giovinezza e noi abbiamo cantato “vento portami via con te”...Mussolini inizia il suo discorso e dice: “Ricordate operai il discorso fatto nel 1935?” e il nostro gruppo tutti insieme: NOOOOOOOO!
E lui, il Duce, dice che aveva fatto la Fiat Mirafiori e che all'operaio gli dava la vita, la civiltà e il tavolo per mangiare compresi i fiori sopra il tavolino...Poi a ciascuno è arrivata una foto...Allora questo duce dovevamo attaccarlo dentro casa perchè sarebbero venuti a controllare. Io mi era talmente antipatico che non l'avrei messo in casa mia. Hai visto che c'è il lavandino nel corridoio. Io questo duce l'ho attaccato sul lavandino con quattro chiodi e tutte le volte che venivo a casa dalla Fiat che non avevo da mangiare, i bombardamenti , eccetera, gridavo: “Duce cosa ci metto dentro la pentola?” Pag 32
storie di donne partigiane
scioperi
SCIOPERI DEL MARZO
1943 e ‘44
Per gli scioperi del '43 è venuta Vittoria a dire di organizzare lo sciopero. Allora un po' per volta, e dai e dai, l'abbiamo organizzato...Io ho detto: “Il duce dice: unitevi e andate e io vi dico no, facciamo sciopero. Vado io avanti con la bandiera, vado avanti io, non ho paura, io non ho figli; poi non c'è bisogno di avere paura, lo fanno in tutta Torino”. Con le buone, con le cattive, non abbiamo lavorato e così è riuscito lo sciopero.
Agli scioperi del marzo '43 circolava la voce in officina, non potevi dire tu, io, un altro, perchè parlare su queste cose era pericolosissimo per noi. Io lavoravo all'aeronautica, buste paga non ho di quel tempo, ma era scritto: “Taci!” e non si poteva parlare. E allora nel '43 circolava la voce che si doveva fare questo sciopero.
Come siamo uscite, io ero proprio tra le prime e c'era una che si chiamava Maria Olivetti. Era grande e grossa, sembrava un carabiniere. Aveva già perduto il marito, era vedova, aveva due bambini, aveva dei fastidi grossi come lei. Lavorava all'officina 4 della Lingotto e diceva: “La più bella soddisfazione prima di morire sarebbe che me ne venisse uno tra le unghie, lo disfo”: Allora eravamo tutte in fila: c'ero io, c'era l'Olivetti, c'era la Calliero, la Portigliatti...le attiviste...
Pag 33
storie di donne partigiane
scioperi
Nel '43 quando abbiamo fatto quel grande sciopero siamo uscite due o tre dalla fabbrica e siamo andate direttamente in Piazza Vittorio e abbiamo portato via le manovelle per non far andare i tram e le abbiamo scaraventate giù nel Po, perchè i tram non potessero proseguire. Poi siamo scappate.
Arriviamo nel ‘43. le donne non avevano le idee molto chiare. Erano scontente per la guerra, il freddo. I disagi. L’opera di propaganda si poteva far meglio nelle file davanti ai negozi. Qui parlavamo, discutevamo, cercavamo di far capire che era stato il fascismo a volere le guerre e che ora dovevamo farla finita. Era tempo che le donne si organizzassero perchè su noi c’era forse il peso maggiore. Noi, sotto ai bombardamenti, dovevamo pensare a tirare avanti, al vitto, alla famiglia. Non c’era legna, non c’era carbone e le donne soffrivano per sé e per i loro cari. Pag 34
storie di donne partigiane
scioperi
sabotava discorsi, poi si tribuiva Si faceva questi sai com'è, si dis davo , ro vo la il ' o p i an un davo presto, po i volantini...Io an ni sotto il banco degli nti a mettere i vola evano, non hanno mai p operai. E non sa , perchè si stava ben io o er fatta saputo che anda l'abbiamo . ag p ro p la i o N rio zitti. mo presa sul se sempre, l'abbia
el sciopero d lo a v a r a p i, e z E poi si pr , per i prez o a r r e u g la '43. contro i individuali, contr , im per i cott erchè mancava tutto p a , v e e ne ave le 12 or amo stufi rmati alle v a r e è h c r fe pe ...Ci siamo ti mo a basta iamo usciti dai repar s ti 10 del '43. ati nel cortile davan r d e n p a i r e siamo lla Mirafio e d a in z z . alla pala protestare
non n organizzato e so be to ol m o at st È a ma ci va un plau perchè io sia donn lo sciopero. Penso el alle donne per qu state le donne ad ero che se non foss ie in quella occarb pa e essere così ca bbe riuscito com re sa n no e rs fo o sione gli uomini avevan è riuscito. Perchè lle donne. E dire de molta più paura rtati poi erano tutti po che ad essere de avvicinavo qualcuio e due. Quando rebbe l'indomani ci sa e ch o nd ce di no devo dei volti im ve ro pe io sc lo non stato mini, mentre ciò . tà pallidire negli uo ri ve nne. Proprio accadeva nelle do
Le donne sono state le che bisognava uscire prime a capire , andare al comune pe che bisognava r poter protestare che si voleva il pane . Gli uomini erano un po' più restii, e de vecchi in modo parti l resto c'erano colare e giovanissimi, perchè gli altri erano quasi tutti a fare il militare. I vecchi un po' più restii e i giovani...tr op siamo usciti, come di po giovani. E co, gli uomini un po' meno, le donne un po' di più.
Pag 35
storie di donne partigiane
scioperi
Pag 36
storie di donne partigiane
scioperi
È arrivata la polizia a cavallo...davanti a noi c'erano tutti i figli dei dipendenti che frequentavano la scuola Riv che si schieravano davanti. Vedendo dei giovani la polizia è entrata, sotto il portone...Una parte erano a cavallo con quel vestito blu. Gli altri sono entrati dentro a piedi e allora botte. Li abbiamo cacciati fuori, però ne abbiamo portato qualcuno dei nostri all'ospedale. Sono restata dentro un mese dopo gli scioperi di marzo, poi mi hanno arrestata una seconda volta, come sobillatrice.
C'era un crumiro che lavorava con la pistola, che ci dava dentro, e gli dico: “Disgraziato, sei tu uno di quelli che mangia pane bianco! Vergognati schifoso, non vedi che sono tutti quanti che si fermano?” E quello mi guarda e resta lì come uno stupido, forse aveva paura, come tanti. Nel mentre mi piomba dietro il caporeparto e il capofficina: “Lei cosa vuol fare?”-”Io niente, faccio sciopero come quelli lì, eh, scusi” - “Ma si può sapere il perchè?” - “Perchè io sono stufa della guerra, che non ho da mangiare e non ho soldi abbastanza per comprare alla borsa nera” - “Ma non poteva dirmelo? Le facevo fare qualche ora in più” - “Ma cosa vuole? Che portassi dentro il letto?”. Facevo dalle sette alle sette di sera e quando avevo lavoro da finire magari stavo fino alle nove. Allora hanno staccato la corrente e hanno tolto l'aria e sono stati tutti obbligati a fermarsi.
E il giorno stesso dello sciopero...che cos'era la città quella mattina! È stata una manifestazione formidabile. Tutte le volte che c'è uno sciopero mi viene sempre in mente quella mattina. Che per strada, chi nei negozi, il popolo proprio. Una cosa magnifica. Non che sia stato, come qualcuno dice, una cosa spontanea: è stata preparata mediante la propaganda e le riunioni.
Pag 37
storie di donne partigiane
l’8 SETTEMBRE
Parma 8 settembre 1943
Dal 25 luglio all’8 settembre abbiamo fatto una propaganda molto forte. Già in quel periodo ho provato a formare dei gruppi di donne, ma erano compagne con cui mi trovavo sporadicamente, non c’era niente di organizzato. Pag 38
storie di donne partigiane
l’8 SETTEMBRE
Arriva l’8 settembre. C’è lo sbandamento...mia madre, poveretta, da tutti i vestiti civili che aveva in casa, pur non avendo da mangiare per noi, a chi gli dava un pagnotta di pane, a chi qualche altra cosa. Intanto comincio a sentire che su da Barge ci sono le prime bande, dei “ribelli” dicono. Ribelli che non vogliono andare a fare il militare. “Fanno bene! Se potessi ci andrei anch’io!” e tutti dicevano che ero matta. Allora di donne non se ne parlava ancora. L'8 settembre è la fine del mondo. C'era la IV armata, quella che doveva essere in Francia, che s'era sbandata. Io vivevo con mia madre, mio padre era già morto, e, si capisce, tutti 'sti ragazzi arrivavano, venivano, tutti avevano paura, volevano vestiti borghesi. Li abbiamo aiutati tanto, proprio tanto, io mi davo molto da fare. Andavamo da mio cognato a farsi dare pantaloni, scarpe, non so...roba.
Sul treno di Ventimiglia c'erano tutti i nostri ragazzi abbandonati a se stessi, avevano ancora armi, che non sapevano che cosa fare. Poi alla stazione di Torino c'erano già i tedeschi. Allora ho aiutato uno a uscire dalla stazione: gli ho dato la mia valigia, l'ho preso sotto braccio, l'ho accompagnato alla fermata del tram.
Pag 39
storie di donne partigiane
l’8 SETTEMBRE
L'8 settembre, quando ci fu l'armistizio, eravamo sul portone in due, che guardavamo quello che stava succedendo. Nel frattempo sono venuti giù tutti i cavalli che avevano liberato alla caserma Cernaia. Avevano liberato tutti i cavalli ed era pauroso vedere tutti i cavalli che correvano come pazzi, quello me lo ricordo. Vediamo un militare, lo braccammo di brutto e lo nascondemmo in casa per una settimana, poi volle andar via e se n'è andato così.
Ricordo tutto e poi...i tedeschi, l’occupazione, l’8 settembre. Lì comincia la storia delle donne; abbiamo visto arrivare nei paesi tutti i soldati che cercavano di vestirsi in borghese per poter raggiungere le loro case. Ed allora ecco, lì proprio si può dire che è cominciata la mia attività, casa per casa ho chiesto dappertutto, dove sapevo...Abbiamo iniziato in cinque o sei donne questa raccolta di indumenti, non ti dico quanta gente abbiamo vestito. Andavamo ai mulini a chiedere il pane, alle macellerie a farci dar la carne per far mangiare questi giovani...Intanto si è cominciato a costruire le formazioni partigiane. Pag 40
storie di donne partigiane
l’8 SETTEMBRE
Abbiamo nascosto tre uomini e poi li abbiamo riforniti di abiti civili un po' racimolando di qua e di là perchè erano corporature diverse e dopo una settimana se ne sono andati per conto loro.
Sono arrivata a 19 anni la prima volta che ho sentito parlare di partigiani, è stato appunto nel '43, dopo l'8 settembre. Ho sentito che dei nostri amici, delle nostre conoscenze, invece di partire per il militare andavano in montagna. Io mi sono interessata delle loro esperienze, perchè qualcuno è rientrato, è stato sbandato. Tra questi c'erano i miei fratelli, perchè io avevo due fratelli di leva. A Bolzano i nostri soldati, prigionieri, erano stati radunati come animali in un campo di concentramento, in attesa di essere caricati sulle tradotte e traspostoti in Germania. Con un compagno, sono riuscita a farne scappare parecchi.
Nelle giornate dopo l'armistizio noi siamo andate in fabbrica e abbiamo aiutato gli sbandati. Noi donne ci preoccupavamo di procurare indumenti civili, oppure tingevamo le loro divise, togliendo i bottoni e le stellette. Pag 41
storie di donne partigiane
l’8 SETTEMBRE
Piani piano ho preso contatti con altri partigiani e sono andata con loro, nelle valli di lanzo, reclutavo partigiani e li portavo su. Andavo anche a prendere i partigiani prigionieri ai piedi del Superga, con un camioncino li portavo in stazione e li facevo sedere con il berretto giÚ perchè c'erano i tedeschi che andavano e venivano, poi li caricavo sul carro bestiame e quando arrivavamo a Sant'Antonio scendevano.
Pag 42
continua... (Gruppi di difesa della donna) Pag 43
storie di donne partigiane
GRUPPI DI DIFESA DELLA DONNA
Pag 44
storie di donne partigiane
GRUPPI DI DIFESA DELLA DONNA Alla fine del ‘43 e agli inizi del ‘44 conobbi Nella Bandini, Ilva Babboni e Renata Bacciols che facevano parte dei Gruppi di Difesa della Donna sorti a Carrara agli inizi del ‘44. entrai nel gruppo e così conobbi altre donne che mi divennero compagne. Non so se noi donne avessimo a quei tempi la consapevolezza del contributo che davamo alla Resistenza. Sapevamo una cosa però: che per noi era più facile compiere azioni che gli uomini più sorvegliati non potevano fare. Per noi era facile attraversare la città e portare le borse a destinazione. Come era più semplice per noi portare a monte i viveri per i partigiani, viveri che avevano procurato le stesse donne andando con mezzi di fortuna fino a parma.
Ah, ti assicuro che i tedeschi ne han trasportata via poca roba di lì! Perchè queste donne si mettevano lungo gli argini, fischiavano, saltavano fuori i partigiani, fermavano tutta la roba che cercavano di trasportare: le bestie, il vino. Glie la sequestravano ai tedeschi e poi la distribuivano alla popolazione. Nella maggior parte di queste postazioni, per segnalare, andavano le donne. Cambiavano le frecce, le direzioni, per farli sbagliare. Procuravano anche le armi. no. no...è stato proprio...un grande lavoro! Altre manifestazioni di piazza non me le ricordo, mi ricordo quello che facevamo per arrivare alle carceri, per portare le valige di pane, i pacchi...Nelle code non potevi gridare, ma in cambio facevi la propaganda capillare perchè se sentivi qualcuno che diceva: “Che vitaccia!”, rispondevi:” Va ben, in fondo ce la siamo voluti, lo abbiamo sopportato, è ora dis cuoterci”, così, a bassa voce, perchè non potevi certo gridare. Pag 45
storie di donne partigiane
GRUPPI DI DIFESA DELLA DONNA Tra le attività dei GDD c’erano delle cose che apparentemente erano piccole, ma in realtà erano grandi. Una di queste era di manomettere la segnaletica tedesca verticale...le donne giravano i cartelli in modo che i tedeschi andavano dalla parte opposta. Una mattina trovammo dei manifesti del manifesto che invitavano i renitenti ad arruolarsi. Noi sotto scrivevamo: “Vieni c’è una strada nel bosco...”, le parole di una canzonetta in voga, che poi non sentii più alla radio.
Eravamo quasi un centinaio di donne, forse anche meno...se non mi sbaglio. Abbiamo dato l’assalto ai docks. Ci siamo date l’appuntamento un mattino, lì vicino ai docks per poter andare a protestare per i viveri, che erano pochi, scarsi, che la gente aveva fame. Il latte soprattutto, per i bambini, e tutte queste cose.
Quando abbiamo organizzato i Gruppi di Difesa della Donna all’Ambra, nel mio gruppo saremo state in 15, 20. tre o quattro scrivevano a macchina, venivano a casa mia e andavano sotto il letto a scrivere a macchina perchè non sentissero nelle altre parti, non c’era fascisti, però non si sa mai. Due e tre ed io anche insieme: si andava di notte ad appendere i manifesti. Pag 46
storie di donne partigiane
GRUPPI DI DIFESA DELLA DONNA
Mi ricordo che siamo andate nel più grande magazzino che c’era qui di alimentari e abbiamo fatto diminuire i prezzi. Siamo entrate e abbiamo parlamentato col gestore: “Guardate che noi facciamo la fame e voi vendete a borsa nera, lo sappiamo, e se non ci aiutate noi vi freghiamo tutto”. Saremo state una ventina di donne. Non eravamo tutte dei gruppi. No, no, c’erano anche delle amiche di casa. Perchè all’inizio eravamo una decina di donne, poi ci siamo rafforzate, abbiamo trovato delle amiche che ci aiutavano, che venivano con noi anche se con la paura. Del resto anche noi l’avevamo! Quindi abbiamo fatto diminuire i prezzi, tirar fuori l’olio che non c’era, lo zucchero, il caffè, tutte queste cose...però ce l’hanno date.
Avevo impostato il lavoro con le responsabili di fabbrica, ci si dava appuntamento fuori, passeggiando, o si andava in qualche osteria. Spiegavo loro come si dovevano formare i gruppi dando ad ognuna una responsabilità; quella diffusione della stampa, per l’assistenza, per la raccolta fondi, di medicinali...Spiegavo quella che doveva essere l’Italia dopo la liberazione e l’importanza che avrebbero dovuto avere le donne in un prossimo futuro. Io non sono mai stata un’oratrice che ero timida, ma in queste riunioni così, alla buona, me la cavavo abbastanza.
Pag 47
storie di donne partigiane
GRUPPI DI DIFESA DELLA DONNA
Al 14 e 15 gennaio ho organizzato un’altra manifestazione. Qui nel settore c’era il deposito di carbone del gruppo Fiat della zona. Il deposito era in via Cecchi, dove c’era anche la sede della famose squadre di punizione fasciste, quindi era una cosa abbastanza pericolosa...Vado lì alle 5, e non vedo neanche un gatto! Dopo cinque minuti, non so dov’erano nascoste, sono arrivate tutte, tante. Sono venuti anche i sappisti, due hanno immobilizzato le guardie. Abbaimo rotto i cancelli e abbiamo dato l’assalto al carbone. Sono poi arrivati i rinforzi delle guardie bianche. Ho fatto subito scappare i sappisti e altre donne. Siamo rimaste solo una trentina, perchè non volevamo solo una manifestazione, solo rubare il carbone, era ben altro quello che volevamo fare! Cominciamo a parlare a queste guardie fasciste, anzi a questi operai, perchè erano operai. Cominciamo a dirgli che non si devono mettere a guardia di quel poco carbone che c’era lì ammucchiato...perchè il carbone serviva a fabbricare le armi...e noi non dovevamo continuare così. In guerra si moriva, morivano anche loro. Prima o poi sarebbero andati. Sarebbero morti i parenti e i figli...E c’era Maria, questa donna meravigliosa, robusta, del popolo, con uno scialle in testa, con un’aria da rivoluzionaria, lei che politica non ne aveva mai fatta: “Ma è per voi, io ho una bambina a casa: potete ammazzarmi anche qui, ma è per voi. Volete sapere? Io del vostro carbone me ne frego! Sto al freddo! Buttate giù i fucili, cosa state lì coi fucili spianati, puntati sulle vostre madri, sulle vostre sorelle!
Pag 48
storie di donne partigiane
GRUPPI DI DIFESA DELLA DONNA Sia mia mamma che io si prendeva parte ai Gruppi di Difesa della Donna.. lei andava a raccogliere, lei più di me, perchè io ero via con il bambino sfollato...Mia mamma faceva la raccolta della lana, la raccolta delle medicine, la raccolta dei soldi, tutto quanto possibile per i partgiani...Alla sera nell’oscuramento cercando di guardarsi l’una con l’altra si andava ad attaccare i manifestini...insomma un sacco di cose...tutto non si ricorda.
I primi manifesti: “Ragazze di Dronero, non uno sguardo, non una parola ai tedeschi, ai fascisti”, tutte ‘ste cose, li abbiamo attaccati noi.
Di particolare era portare il sussidio alle famiglie dei partigiani. Di stampa ne abbiamo data via! Stampa ne abbiamo data via tanta in fabbrica.
Come ci organizzavamo, cosa facevamo noi donne? Dunque la nostra propaganda era quella di insistere perchè aderissero il più possibile agli scioperi e poi soprattutto che sabotassero la lavorazione, perchè tutto quello che la Fiat produceva andava ai tedeschi, conseguentemente andava contro di noi...non solo lo dicevo agli altri ma lo facevo io: sabotavo a più non posso. Ero addetta al collaudo dei pezzi di raccordo dei treni. Non mi davo la briga di controllare niente: come erano, erano. Più andavano male meglio era.
Pag 49
storie di donne partigiane
GRUPPI DI DIFESA DELLA DONNA
Io volevo organizzare manifestazioni di massa delle donne. In quel tempo mi sembrava di fare molto poco. Dicevo: “Questa resistenza passiva, questo sabotaggio, questo malcontento, questo aiuto ai partigiani di calze, di guanti, di cosette che si preparano, non bastano. Le donne devono dare un contributo più decisivo. Facciamo...”. Gli uomini erano un po’ restii: avevano paura che noi ci si buttasse troppo nella lotta, che ci facessimo prendere e potessimo parlare. Invece le donne non hanno parlato.
Mi ricordo adesso, parlando dei tram, che con Edera facevamo sul tram il lancio dei volantini, sul 6 in via Garibaldi...L’ho fatto 4 o 5 volte. Eravamo sempre in due, io e Edera. E mi diceva: “Corri!”. E a me mi faceva ridere. Si scendeva dal tram e giù a ridere e lei a urlare: “Ma corri, corri!”. Perchè sul tram c’era qualche fascista.
Pag 50
continua... (Staffette) Pag 51
storie di donne partigiane
staffette
Pag 52
storie di donne partigiane
staffette Portavo i rapporti. Facevo TorinoMilano e MilanoGenova. Quando non c’era la possibilità di andare in treno prendevo i camion...una volta ho preso il trenino fino a Chivasso, avevano gettato giù tutti i ponti...c’era una neve che non ti dico...Allora ho preso i campi, in mezzo alla neve, e arrivo alla strada provinciale. C’era un posto di blocco dei repubblichini. Sono arrivata lì con la mia valigia, ho detto che avevo dei parenti a Milano, che dovevo proprio andare, e così, e cosi’...Mi han fatto andare dentro e mi han fatto sedere e mi ricordo che con la chitarra cantavano “Rosamunda”.
In quel periodo ho conosciuto tante ragazze, tante staffette. Anche donne di una certa età. E lo so che era un lavoro molto rischioso. Rischioso il nostro, che andavamo a fare le azioni, ma molto più rischioso quello della staffetta, perchè poteva essere presa in qualsiasi momento. Quindi io ho ammirazione anche per queste, che sono state qualificate patriote, anziché partigiane combattenti; ma in realtà tutto il lavoro fatto da noi aveva alla base il lavoro di queste donne. Pag 53
Un’altra volta, eravamo io e Antonio, e portavamo dei dischi di tritolo. Scendiamo e, come passiamo, c’è l’Annonaria che ferma tutti. Io avevo ‘sta borsa con la roba in fondo; sopra avevo castagne, un litro di latte. Ormai ero in coda. “Signora cos’ha nella borsa?”-”Un po’ di castagne, un litro di latte, lo faccio per mia suocera il burro”-”Eh, ben vada!”. Ma vedi, bisognava esser sicuri.
storie di donne partigiane
staffette
Due o tre volte alla settimana andavo a portare armi, materiali, a Villafranca Piemonte...Mi servivo sempre col camion del latte... Portavano i bidoni del latte nei vari paesi e io usufruivo di questo fatto...Arrivando andavo in un bar nella piazza, mi portavo in un locale del retro e lì c’erano dei compagni che aspettavano che io portassi tutto il materiale e quando riuscivi ad averne, le armi. Quanti sorrisi ho distribuito per uscire dalle difficoltà! E quanti parenti mi son morti in quel periodo non posso dire! In tutti i posti dove andavo mi doveva morire qualcuno perchè mi lasciassero passare! Pag 54
Non so se noi donne avessimo a quei tempi la consapevolezza del contributo che davamo alla Resistenza. Sapevamo una cosa però: che per noi era più facile compiere azioni che gli uomini più sorvegliati non potevano fare...per noi era facile attraversare la città e portare le borse a destinazione. Come era più semplice per noi portare a monte i viveri per i partigiani, viveri che avevano procurato le stesse donne andando con mezzi di fortuna fino a Parma.
storie di donne partigiane
staffette
Portavamo le munizioni e poi si veniva a casa. Si stava lì, chiacchieravamo con loro, si scherzava, si scherzava, poi c’erano i castagni, s’andava sotto i castagni, e si scherzava; eravamo giovani. Mangiavamo due castagne, se c’erano. Poi venivamo a casa tutte felici e contente, cantare, per i boschi, venendo giù a piedi; eppure si faceva volentieri. Non si sentiva il sacrificio, la stanchezza, niente. Mi son divertita, oddio, quei momenti brutti dei rastrellamenti no, eh! Quelli erano tristi...poi, dopo, passava tutto, allora poi s’andava a ballare, c’erano dei festini, si facevano ai monti.
Siamo andate per la foce con dei mitra e altre cose avvolti nelle fasce dei neonati, nelle borse; si chiacchierava, si discuteva con la gente... Non è che volevamo fare l’eroe, perchè non si può fare l’eroe a quell’età lì; solo che eravamo tanto sfiduciate, convinte che si moriva tutti, che tanto era morire per un verso che per un altro, e sicchè andavamo via.
Pag 55
storie di donne partigiane
staffette
Andavo in montagna da mio marito Nicola settimanalmente, ho accompagnato in montagna proprio tanti, tanti compagni. Ma io ero sempre presa; avevo tre bambini piccoli, tra la montagna, tra l’Istituto...ero molto presa. Tra queste cose di famiglia e quello che capitava in montagna...che tante volte c’era il rastrellamento ed avevamo gran paura...Io ho portato tante robe in montagna, ho portato delle armi, delle pallottole, portavo su, per esempio, le stellette per i garibaldini, i manifesti, tante cose...Non sono mai stata fermata, ho avuto una fortuna che non ti so dire. Sovente io mi prendevo una delle mie bambine insieme e sai cosa facevo? Dentro una borsa mettevo per esempio degli stivali delle bambine, mettevo ‘ste cose delle bambine. Avevo sei o sette bombe a mano “balilla”, le avevo in una specie di valigetta. “Dove andate?” Gli ho detto: “Dobbiamo andare a Villafranca. Da una zia”. Allora io, non avevo neanche 17 anni e questo ne avrà avuto 20... cercavo di scherzare, ma avevo un magone...Lui mi prende ‘sta valigia e mi dice: “Ah, qui ci sarà del sale” - perchè il sale era tesserato- “E’ pesante, ci sarà del sale, dovete ammazzare i maiali”. E io così, facevo la tonta. Basta, ci ha accompagnati un pezzo, ci ha salutati.
Col tempo ci siamo organizzate, sono venute tante persone, perchè da soli è inutile...Era gente fidata, ragazze bravissime del posto...Si allargava a macchia d’olio. Chi andava da una parte, chi dall’altra, eravamo sempre in movimento. Andavamo a piedi, se avevamo sete tutti ci davano da bere, tutti se avevano un pezzo di pane se lo levavano anche dalla bocca, per darcelo...Si andava a cercare il latte nei campi, dalla
gente che aveva le mucche, per darlo ai bambini. Si doveva andare a prendere e a riferire notizie. Poi c’era chi andava alle formazioni, alla Partaccia, al distaccamento Petacchi, anche dal “Memo”, ci mettevano i biglietti nelle trecce a me, alle mie amiche, a mia sorella. È cominciata così...fino al punto di andare proprio a portare armi. Dopo mio fratello lo cercavano i fascisti, doveva stare proprio nascosto; io scendevo la mattina, andavo a cercare giù in campagna delle munizioni, con le mie ceste; c’era un’altra ragazza con me, che si chiamava Ernestina...E queste ceste di munizioni...tante volte si trovava i tedeschi- che ci fermavamo a rubare i peschi, i peri- e una volta gli dissi se mi aiuta a metter su la cesta, che c’avevo tutte quelle pallottole, munizioni; c’era da tremare! C’avevo un bambino, no?! Il primo, Giovannino, è nato nel ‘40.
Per il collegamento con il Monferrato il lavoro era rischioso, faticoso e lungo. Facevo questo viaggio tre volte al mese. Portavo gran buste, gran buste. Le tenevo in una borsa a rete, in una cartella o in tasca. Ho sempre voluto ignorare che cosa contenevano le buste che portavo. Non so se avrei cantato, comunque volevo ignorare tutto. Un’altra volta sono dovuta andare ad Almese per prendere delle armi, perchè c’era sempre questo problema. E nel ritorno siccome la corriera si fermava a Rivoli scendo e mi vedo proprio lì davanti un partigiano fucilato, lungo e disteso per terra. Aveva appeso un cartello: “Chi viene trovato con armi subirà la stessa sorte”: io ho pensato che nella borsa avevo qualcosa...E subito subito ho pensato: con quello che ho addosso...Dovevo andare decisa, ecco. Difatti sono scesa, sono andata al magazzino, ho posato la roba. Quando l’ho raccontato ai compagni mi hanno detto: “Ti è andata bene”:
Pag 56
storie di donne partigiane
staffette Finchè un giorno sono partita per andare a Torino...Vado all’appuntamento delle due. E si vede che loro hanno ritardato un po’. Io avevo l’ordine di aspettare solo 5 minuti e poi di andare via. Come ho fatto per andare via invece i tedeschi mi piombano addosso. Erano in due. Prima mi han preso in braccio. Io ho dato un urlo...Mi divincolavo. Ho fatto per scappare. E invece loro mi hanno buttato addosso una rete, quelle reti che coprono i camion. Mi han portata al Nazionale legata come un salame. Quando andavo su, per esempio, e portavo la
“cinquina”, mi mettevo un fazzoletto rosso. Allora mi vedevano da lontano e mi salutavano. Delle volte si faceva tanta strada. D’inverno magari quando c’era il ghiaccio, poi si arrivava là...e non si trovava niente.
Oltre a me, che ero dei gruppi di Difesa, le due figlie erano staffette partigiane; avevo tre figlie, ma una era piccola, quelle di 14 e 16 anni erano staffette partigiane. Una nella Val Sangone e l’altra invece per la 19ma brigata in Val di Lanzo. Andavamo a Bedinazzo e si portavano le munizioni a questi poveri ragazzi, diciamo poveri perchè poverini facevano la fame e una brutta vita, una vitaccia; freddo quand’era freddo, caldo quand’era troppo caldo...Li ho conosciuti tanti ragazzi, quali sono morti e quali sono vivi: e quando andavo lassù era un’avventura per me, davvero, eh! Eravamo incoscienti, a quell’età siamo incoscienti, non si capiva il pericolo, sia passava davanti ai tedeschi. Noi avevamo più paura dei fascisti che dei tedeschi. Loro ci spaventavano, molto, perchè capivano gli italiani, dove si nascondevano, ecco...gli italiani erano terribili, ci terrorizzavano. Nascondevo i volantini sotto la gonna, dentro una guaina elastica. Li distribuivo nei bar, posandoli sulle sedie quando nessuno mi vedeva, ai crocicchi, nei gabinetti, nei vespasiani, e anche in caserma. Una paura folle! Pag 57
storie di donne partigiane
staffette
2019 Chi entra a #Niguarda da via Majorana vede il murale dedicato alla #Resistenza, all #Antifascismo alla #Liberazione Le due donne in bicicletta sono le Partigiane Lalla e Lia, che il 24 aprile ricevettero il compito di portare l'ordine di insurrezione ai partigiani della zona Lia venne uccisa dal fuoco nazista sulla strada x l’ospedale, dove molti partigiani si trovavano nascosti Lalla si salvò e riuscÏ a dare l’ordine di insurrezione che permise a Niguarda di liberarsi con un giorno di anticipo rispetto al resto di Milano Pag 58
storie di donne partigiane
staffette
Pag 59
storie di donne partigiane
in montagnA
Avrei potuto benissimo servire la resistenza come informatrice, come staffetta, restando all'anagrafe. INVECE ho capito che volevo combattere con le armi in mano. Pag 60
storie di donne partigiane
in montagnA
Sono andata da un mio lontano parente: “Senti, le prendono le donne nei partigiani?”. “Come no!”, “Allora mi devi mettere in contatto...voglio andare proprio perchè ho perso 'sti fratelli, proprio perchè è tutta la vita che soffriamo, e tutto questo si sente dire che è ingiustizia del fascismo...Io voglio dare il mio contributo”. Questo parente mi ha fatto prendere contatto con la formazione che operava nella bassa valle, nella pianura, ma mi sembrava gente un po' all'acqua di rose. Invece sentivo parlare delle formazioni, del “battaglione arditi”, insomma degli uomini di Milan. Sono passata alla IV Garibaldi. Lì sono rimasta fino alla fine della guerra. Partii con i miei figli. Ci recammo ad Albugnano nella IXI Brigata Garibaldi, presso un distaccamento di una ventina di persone che operavano un po' per conto loro. Per un po' di giorni io e mia figlia abbiamo fatto un lavoro di pulizia facendo bollire tutta la roba di questi giovani che da soli non l'avevano mai saputo fare. Alcuni non stavano bene, bisognava curarli... Funzionavo un pò da commissario politico, ricevevo il materiale che poi facevo leggere e spiegavo.
Dopo un mesetto che eravamo a Corniglio io sono stata nominata vice-commissario della brigata. Anche lì io andavo in azione, con gli altri; e abbiamo avuto tanti episodi, dolorosi, sempre, perchè non mi è mai piaciuto vedere neanche gli altri cadere, anche se era il nemico. Quando potevamo, prendevamo i prigionieri; e una volta ci è capitato di prendere tanti ragazzi. Ragazzi, proprio, 14, 16 anni. Non gli stava neanche l'elmetto in testa. Tedeschi, andavano verso massa. E molte volte è capitato di vedere proprio bambini. E mi ricordo che, portati al campo, al nostro campo, io ho offerto delle sigarette: uno m'ha sputato in faccia, e un altro non voleva le sigarette, ma aveva paura; s'era aggrappato, e mi chiamava mamma: c'erano cinque o sei anni di differenza! Ma m'hanno fatto una pena, proprio, più di qualsiasi altro episodio. Pag 61
storie di donne partigiane
in montagnA
Dopo un paio di giorni che ero in formazione chiedo al Meloni di riunire gli uomini perchè gli avrei voluto dire una cosa. Avevo visto che c'era qualche giovane che mi usava dei riguardi diversi, che mi porgeva qualcosa, mi preveniva in qualche compito. Ho detto: “Non sono venuta qui a cercare un innamorato. Io sono qui per combattere e rimango solo se mi date un'arma e mi mettete nel quadro di quelli che devono fare la guardia e le azioni. In più farò l'infermiera. Se siete d'accordo resto, sennò me ne vado”. Al primo combattimento ho dimostrato che sapevo combattere come loro e che l'arma non la tenevo solo per bellezza, ma per mirare e per colpire. Curavo i miei compagni, ma non li servivo. Se uno voleva un panino, se lo faceva; se uno doveva lavare la gavetta o i calzini, se li lavava lui. Io non ero andata da loro per lavare i piatti, per rattoppargli i pantaloni, io ero andata per combattere. Negli ultimi mesi è sorto il problema della mia presenza in formazione. La “Valtoce” era una formazione autonoma, di estrazione cattolica. Penso che la questione l'avesse sollevata l'alto clero, che non vedeva una donna armata con funzioni di comando proprio in una formazione loro. Mi hanno offerto anche un posto nella organizzazione del CLN pur di togliermi di lì. Io non ho accettato nel modo più assoluto...tutti i compagni erano con me, e allora non hanno insistito. Sono ricominciati i combattimenti, i rastrellamenti, le marce. La giornata quasi sempre era sfibrante, però c'erano anche ore che trascorrevamo giocando. Quando c'era bel sole, quando c'erano prati accoglienti, non stavamo dentro le baite ma, ad esempio, giocavamo a saltare, a vedere chi saltava più lontano. Eravamo quasi tutti intorno ai vent'anni.. non bisogna dimenticare che la resistenza è stata fatta in maggioranza da ragazzi. A volte facevamo anche degli scherzi, giocavamo a calcio. Eravamo giovani e avevamo proprio la necessità di divertirci. Pag 62
storie di donne partigiane
in montagnA Le donne partigiane erano viste malissimo. Già prima della liberazione ci vedevano come uomini e donne, ai monti, capisci, e il cervello delle donne è così; se ti vedono con un uomo sei già la sua amica, ci vai a letto, questo è chiaro. E noi ce ne fregavamo, perchè tanto, guarda, eravamo proprio come fratelli e sorelle, ma veramente come fratelli e sorelle. Va detto però che te lo dicevano anche dopo, finita la guerra, si diceva che le donne erano tutte ladre, puttane, che hanno fatto i soldi. Non li stavo neanche ad ascoltare, io.
Dormire, non andavi mai a casa a dormire, perchè eri sempre sui monti. Quella volta che ti capitava da mangiare qualcosa, ai monti, che arrivava un po' di farina dolce, senza sale, senza niente, la mangiavi con le mani perchè la mangiavi con le mani, non avevamo piatti né niente, eravamo sprovvisti di tutto, no? Poi quando si sposò Linetto...C'è stato anche un matrimonio lassù, eh! Abbiamo fatto una festa lì, abbiamo mangiato quel che c'era, senza sale, senza niente, spostai li ha sposati il Memo... Questo riso, cotto in quest'acqua, capirai! Parev d'magnar chi lo sa che cosa. E insomma, poi, dopo una bevuta, avevano del vino, han fatto una bevuta lì e “ti dichiaro marito e moglie”: benissimo. Si son sposati, e basta.
Pag 63
storie di donne partigiane
in montagnA
Era stato preso dai tedeschi un partigiano, Mario lo Slavo...era stato preso, torturato: sotto la tortura ha promesso di portare i tedeschi al comando, e così ha fatto. Allora poi è stato processato, perchè il comando è stato assassinato quasi tutto... Mario lo Slavo diede la sua versione, cioè che era stato preso, torturato e che aveva incontrato dei carbonari, che lui aveva cercato di fargli capire...e infatti sono andati ma sono arrivati più o meno con i tedeschi. Allora fu condannato a morte. Io avrei dovuto presenziare a questa fucilazione...e ‘sto Mario lo Slavo, che tra l’altro era un saltimbanco, un girovago, è scappato. In cuor mio sono stata contenta...contenta, perchè prima di tutto veder morire uno è sempre terribile. Poi perchè io in un certo senso lo scusavo: lo scusavo perchè io non lo so come mi sarei comportata. Non è mica da tutti essere eroi. E si dice:”io non lo farò”, però, non si sa, nel momento che accade, che cosa gioca. Perchè l’amore alla vita-io lo vedo negli animali, io che amo gli animali e li seguo e ne studio il comportamento-io vedo che è forte, e che cercano in tutti i modi di salvarsi. Io avevo votato contro la morte. Però dopo l’han trovato e l’hanno fucilato. È una delle pagine amare, più amara che dolorosa. Ce n’è state. Però, anche tanto belle. La fratellanza, quel sentimento di fraternità, fra tutti noi, molto acuto, molto profondo.
Pag 64
continua (Gap) Pag 65
storie di donne partigiane
gap
Pag 66
storie di donne partigiane
gap
Quando si è fatto saltare il cambio a Porta Nuova, il blocco del cambio, c’eravamo io, Pesce, Bravin...chi d’altri? Antonio mi pare. Porto la roba sul posto. Poi i due ragazzi, che si erano messi il berretto da ferroviere, dovevano posare quella roba, fingendo di fare una riparazione, e poi venire via. E noi, io e Pesce, intanto venivamo giù per telefonare. Perchè c’era della gente nella cabina dove c’è il blocco. Allora vado in un bar e telefono alla cabina, dove c’era il guardiano, telefono e dico che non avevamo niente con loro e che se volevano aver salva la vita di lasciar subito il posto, venirsene via, perchè tra pochi minuti il cambio saltava per aria. Davamo poi l’assalto ai carri che portavano la roba in Germania. Quando c’erano viveri o altre cose utili, si distribuivano magari in giro, alla popolazione. A volte c’erano le armi. Una sera, durante il coprifuoco, siamo andati a incendiare dei carri con bombe molotov. Ne facevamo in continuazione di queste azioni, era roba di ordinaria amministrazione, come i disarmi. Era la prima azione armata contro un uomo, poiché tale era colui che camminava di fronte a noi: portava la divisa da ufficiale nazista ed era armato, ma era pur sempre un uomo a cui avrei dovuto togliere la vita per strappargli la borsa dei documenti... Estratta la rivoltella, sparai ad altezza d’uomo contro il bersaglio, che crollò a terra gridando... Paolo e io avevamo tutti e due bisogno di un contatto umano per scaricare l’ansia e il senso di oppressione che ci dava ogni nostra azione, così estranea al nostro carattere e pur così necessaria. Pag 67
storie di donne partigiane
GAP
Dopo lo sbarco degli alleati ad Anzio, ripresero i grandi rastrellamenti di interi quartieri. Il comando tedesco aveva affisso manifesti su ogni muro della città: i lavoratori italiani erano invitati a presentarsi volontariamente per essere impiegati in lavori remunerati. A quegli inviti i romani non risposero, al che tedeschi e fascisti iniziarono i rastrellamenti in ogni casa, in ogni quartiere. Il primo marzo più di 700 uomini furono chiusi nelle caserme di viale Giulio Cesare per essere deportati in Germania. Il 3 marzo centinaia di donne erano ferme di fronte alla caserma, tenute a distanza da guardie nazionali...Erano in gran numero anche le donne appartenenti alle organizzazioni della Resistenza, né mancavano i Gap: anche noi eravamo lì per intervenire...Sulla mia sinistra fu lanciato un mazzo di volantini, e così avvenne poco più in là. Lancia in aria anche i miei. Una donna con un bambino giunse sotto il finestrone della caserma e lanciò in alto un pacchetto, certamente povere cose da mangiare, dalla grata si protesero molte braccia, ma il pacchetto cadde per terra. A un tratto vidi un tedesco giungere in moto, si fermò e raggiunse la donna. Il tedesco afferrò la donna per un braccio. Dalle finestre gridavano. Il bimbo si era chinato per raccogliere il pacco e in quel momento ci fu l’esplosione: il tedesco aveva colpito la donna. Avevo l’arma in pugno e mirai rapida, a braccio teso, incurante dei militi che mi trattenevano.
Pag 68
storie di donne partigiane
GAP
Sfilavano baldanzosi, ed erano gli stessi militi che avevano sparato contro le donne in sommossa per l’assassinio di Teresa, che si erano macchiati del delitto di un’altra donna sui gradini della chiesa a Piazza dei Quiriti. Erano gli allievi degli assassini di Don Minzoni, di Gobetti, dei fratelli Rosselli e di migliaia di contadini, di sindacalisti e operai e di donne. Lì, su quella via, loro, che erano più di un centinaio e armati, furono attaccati da quattro ragazzi e una ragazza, che li affrontarono e li fecero fuggire.
Lasciammo ruzzolare due ordigni oltre le sbarre del cancello fino all’ingresso della villa; erano a tempo e ci allontanammo di corsa. In quel momento un militare tedesco voltò da via Po, quasi scontrandosi con noi: non so quale istinto mi spinse ad afferrarlo per un braccio gridandogli: “Bada, stai attento”...non c’era spiegazione, c’era solo la conferma che era difficile accettare l’idea della morte e che in noi restava ancora vivo l’istinto della solidarietà.
Pag 69
storie di donne partigiane
GAP
Avevo bisogno di ritrovare tutte le ragioni che mi portavano a compiere quell’attacco. Ripensai ai bombardamenti di san Lorenzo, a quella guerra ingiusta e terribile, alle voci dei bambini del brefotrofio imprigionati dal crollo, allo strazio delle distruzioni che si vedevano ovunque e di cui avevamo notizia ogni giorno, ai nostri compagni fucilati, torturati in Via Tasso, a tutti i deportati, agli ebrei nei lager, a tutti i paesi oltralpe sconvolti dalla devastazione. A quanti tra i miei amici erano già morti: sul fronte russo, in Grecia, in Iugoslavia...malgrado questi pensieri il mio animo era distante e nel pensare a quei soldati non riuscivo a provare odio. I miei sentimenti erano come raggelati, sospesi, come se non potessi trovare tutta intera la ragione della mia scelta...ma a poco a poco mi convinci che non preparavo un agguato a innocenti...recuperai la visione esatta della realtà che stavo vivendo: per tutti coloro che avevano sofferto ed erano morti ingiustamente perseguitati, per loro dovevo battermi. Consideravo che in quello scontro, malgrado la potenza micidiale della bomba, ci misuravamo in modo impari: loro, centocinquantasei uomini superarmati,, contro undici ragazzi con una pistola in tasca e quattro bombe a mano artigianali, delle cui esplosioni ignoravano l’esito. Non solo, ma noi operavamo al di fuori di ogni legge, di ogni diritto, anche quello della pietà. Eravamo “Banditen” e non patrioti...eravamo giovani che nessuna legge difendeva e che chiunque avrebbe potuto ammazzare o consegnare al nemico per riscuotere la taglia.
sull’attentato di via Rasella l’intervento di Alessandro Barbero-Sarzana 2017: https://www.youtube.com/watch?v=BM62adfs3gQ Pag 70
storie di donne partigiane
GAP
Se avevo paura? Se devo dirti no, è una bugia. Però il coraggio ti viene proprio perchè lo sai per cosa lo fai, perchè è necessario di farlo. È inutile come tanti oggi dicono: “Eh, anche loro uccidevano la gente così!”. Ma per noi c’era uno scopo, noi dovevamo liberarci dagli occupanti tedeschi e dai fascisti, con tutto quello che avevano già fatto prima. Allora anche i ragazzi non è che avessero voglia di fare la guerra, di uccidere la gente, lo facevano perchè volevano che tutto finisse presto. Si era costretti a farlo, è lì il fatto. Certo le prime volte...le prime volte so che c’era la paura. Poi qualcosa ti dava coraggio. Pag 71
storie di donne partigiane
carcere e tortura
Pag 72
storie di donne partigiane
carcere e tortura
1943...Al secondo interrogatorio trovo nell’ufficio della Questura i miei due figli, mi dicono di salutarli che non li avrei più visti. Sentii allo stomaco uno spasimo che mi soffocava. Per alcuni minuti non potei parlare né fare un gesto, mi sentivo soffocare, ero come paralizzata. I figli piangevano e li abbracciai raccomandandoli di stare buoni e di ricordare sempre mamma e papà. Questo mio arresto aveva portato un po’ di scombussolamento perchè conoscevo molte persone e cose. Ma non successe niente malgrado che gli interrogatori furono duri e minacciosi. Mi portarono alle Nuove. So di essere uscita con lo scambio di un pezzo grosso fascista. Lo scambio avvenne nella casa littoria di Chieri. Quando il personaggio arrivò chiese ai camerati con chi avveniva lo scambio. E sprezzante mi dice: “Io per una donna!”.
Hanno incominciato a interrogarmi e quando io gli dicevo che non so niente, hanno cominciato a picchiarmi...A chiedermi come mai ero partigiana, che avevano trovato i documenti... Ho tutte le vene rotte del piede, ho ancora il segno...Poi sangue dalla bocca, dall’orecchio. Le mani poi, avevo gonfie così. Non potevo neanche più muoverle. Insomma è stato un brutto momento. Però di botte me ne sono salvate ricordando a quel tedesco sua moglie.
Era dritto vicino a me uno che sembrava Carnera: mi da un pugno in faccia e mi fa uscire il sangue dal naso. Allora hanno chiamato il dottore. Quando il sangue è cessato hanno ripreso a picchiarmi, ma non più sulla faccia, mi picchiavano sulla testa e sui polmoni.Sono rimasta all’hotel Sitea otto giorni. Mi picchiavano tre volte al giorno: alle 9 di mattina, alle 4 e alle 9 di sera. Mi picchiavano per un quarto d’ora.Quando mi interrogavano vedevo sul tavolino la macchinetta per strappare le unghie. Avevo paura di parlare.
Poi è venuto il momento più tremendo. Una sera entrano in quattro. Erano ubriachi fradici. Mi afferrano, due mi spogliano e due mi tengono ferma di traverso al letto, e mi fanno ogni sorta di violenze. Erano tanto ubriachi che non hanno potuto rovinarmi. È durata un’ora. Quando sono andati via, ho preso un bicchiere di cristallo che era nella stanza e l’ho rotto. Volevo tagliarmi le vene. Non ce la facevo più, non capivo più niente, ero disperata. Avevo male dappertutto. Avevo già rigato la pelle del braccio, quando mi è comparsa davanti l’immagine di mio figlio. Mi sono detta: “Può darsi che non mi uccidano e servirò ancora a lui e ad altri”. Mi sono calmata e mi sono vestita.
Pag 73
storie di donne partigiane
LA RIVOLTA DI PIAZZA DELLE ERBE
Pag 74
storie di donne partigiane
LA RIVOLTA DI PIAZZA DELLE ERBE
Pag 75
storie di donne partigiane
LA RIVOLTA DI PIAZZA DELLE ERBE
Il 7 luglio il comando tedesco di Carrara dette ordine di evacuare la città. Noi donne eravamo state informate del provvedimento la sera precedente dai membri del CNL cittadino ed invitate ad opporci. Carrara ospitava allora piu’di 100.000 persone che secondo l’ordine tedesco sarebbero state condotte come pecore al di là dell’Appennino. Un gruppo di noi, c’erano Ilva Babboni, Nella Bedini, Renata Bacciola, Lina del Papa, Cesarina e Mercede Menconi, Odilia Brucellaria, Renata Brizzi e Elena Pensierini, alle otto del mattino passammo di casa in casa invitando le donne ad uscire per andare tutte insieme al comando tedesco. Qualcuna aveva tirato fuori dei cartelli su cui c’era scritto: “Non ci muoveremo dalla città”. Improvvisamente un corteo: eravamo migliaia. Invano i tedeschi cercarono di respingerci con i calci dei fucili: noi avanzavamo e giunte sotto al palazzo cominciammo a gridare. Una delegazione di noi fu ascoltata e ci fu promesso che l’ordine di sfollamento sarebbe stato revocato.
Fummo noi dei gruppi di Difesa della Donna che organizzammo quella protesta all’ordine di sfollamento della città...La protesta, ricordo, durò alcuni giorni ed esplose con una grandiosa manifestazione alla quale parteciparono migliaia di donne. Che emozione quando da Piazza delle Erbe vedevamo ingrossare la fila...
Pag 76
storie di donne partigiane
LA RIVOLTA DI PIAZZA DELLE ERBE
Il mattino dopo però, mentre nuovi manifesti ribadivano l’ordine di evacuazione, i tedeschi, piazzando delle mitragliatrici all’angolo di ogni strada,, dispersero le donne e ne arrestarono anche quattro o cinque. Questo invece di spaventarci ci scatenò. Incurante delle mitragliatrici, una fiumana di donne si riversò in via Garibaldi. I tedeschi erano sbalorditi ed effettivamente sarebbe stato impossibile fare una carneficina di migliaia di donne! Restammo lì ore reclamando il rilascio delle arrestate. Gridavamo: “Preferiamo morire di fame qua che mangiare altrove!” . Infine, visto che eravamo irremovibili, il comando tedesco capitolò.
Tra le donne si avvertiva una grande stanchezza e non fu difficile trovarle al nostro fianco. Abbandonare le case, i punti di riferimento di tutta una vita, era per tutte un dramma più grave ancora delle bombe e della fame. Pag 77
storie di donne partigiane
LA RIVOLTA DI PIAZZA DELLE ERBE
Quando ci misurammo con la grandiosa rivolta delle donne contro l’ordine di sfollamento della città, avemmo la riprova di quanto importante fosse stata quest’organizzazione così puntuale, così estesa che eravamo riuscite a mettere insieme non solo nella città, ma anche nel Comune. La cronaca di quei giorni è nota e spesso mi chiedo: avevo piena coscienza in quel periodo di quello che facevo e di perchè lo facevo? Avevo coscienza di quale profondo strumento è l’organizzazione della lotta per respingere le prepotenze degli uomini? Io credo proprio di no. Avevo sì il desiderio profondo che finisse la guerra e con essa il fascismo e la prepotenza per dare giustizia a mio padre, ai miei zii, a mia mamma che aveva tanto sofferto. Tanto meno avevo presente il rischio al quale ero esposta.
Dopo sono venute anche le sfollate, partite perchè avevano sentito dalle voci delle donne che erano venute a far la spesa che a Carrara stava succedendo qualcosa. Alcune sono arrivate che era già tutto finito. C’erano i tedeschi schierati in Via Roma con le mitragliette. Io mi aspettavo che riuscisse, perchè l’organizzazione c’era e a Carrara sapevano quello che facevano, e non ce n’era mica una delle donne che non sentiva la parte; e poi anche la popolazione... Se tu andavi a Carrara e ti vedevano andare e venire, se dicevi: “Sono stanca, ho sete”, ti davano tutto quello che avevano, ti aiutavano in mille modi.
Pag 78
storie di donne partigiane
LA RIVOLTA DI PIAZZA DELLE ERBE
Le più coraggiose quel giorno lì si presentavano davanti al comando tedesco, oppure anche davanti ai carri armati: io per esempio. Ho una fotografia che non riesco a trovare davanti a un carro armato, che la Renata, povera donna, povera Renata, la sento ancora: “o Francè, vieni via che ti sparano!” “E se mi sparano in fondo sono una, se mai muoio io, o ragazze, ma siete sceme, bisogna farsi vedere di aver paura? Io non ho paura, io sto ferma qui davanti: dimmi che sparano, provino a sparare- e intanto li guardavo, no? nel muso- provini a sparare, per vedere se son capaci di sparare”. E non ci si muoveva davanti a quel carro armato, che era vicino lì. Poi siamo andate in piazzetta a buttare tutto all’aria perchè venissero vai con noi; abbiamo fatto chiudere le scuole, abbiamo fatto chiudere tutto, i negozi, tutto...E sono venuti con noi. C’era gente che non voleva in un primo tempo venire e poi piano piano si sono convinti, a venire via con noi; in un primo tempo, sai, stavano lì...Poi sai, e qui bisogna andare, non c’è niente da fare. Era il loro interesse, c’erano tutti i camion belli pronti, lì...Allora i tedeschi si son spaventati, si son presi paura.
Io allora ero giovanissima, poco più che una ragazza, e per questo non avevo preso nessun contatto, ma la mia azione fu immediata e spontanea...a me sembrò naturale partecipare a quella che poteva essere un’azione di guerra, senza pensare alle conseguenze, prontissima ad accettarle, qualunque fossero. Partecipai alla lotta fino alla conclusione, anche quando i tedeschi caricarono le donne, presero degli ostaggi, anche quando ad un certo punto sembrò che intendessero aprire il fuoco. Pag 79
storie di donne partigiane
ravensbruck
Pag 80
storie di donne partigiane
ravensbruck
...Dopo mi han tolto la pena di morte e mi han dato la deportazione col taglio dei capelli a zero e la sterilizzazione, che mi han fatto due punture appena arrivata e mestruazioni non ne ho più avute, a Ravensbruck...Lì eravamo in 600 donne, guardate da 12 donne delle SS, che io da sola me le sarei fatta fuori tutte quante...poi c'è come le abbiamo fatte fuori queste 12 donne delle SS, non so se si può dire, le abbiamo fatte fuori malamente...
Mi hanno messa a pulire i cessi, a pelare le patate in cucina. E io rubavo. Delle volte c’erano anche delle carote e io le rubavo e ne davo anche alle mie compagne. Ultimamente da mangiare non ce n’era più, né patate, né carote, né niente. Allora le polacche andavano a raccogliere le ortiche nei campi e facevano un brodo di ortiche e rape rosse. Ma poi si correva al cesso, a me cominciava a venire la diarrea, l’enterite.
Pag 81
storie di donne partigiane
ravensbruck
A Ravensbruck fra noi donne sapemmo trovare l'unione e anche la capacità di resistere e di opporci. Ci fu chi venne fucilata perchè si era opposta in maniera aperta e chi faceva resistenza passiva: non lavorare o lavorare male o lentamente. Riuscimmo anche a non dimenticare di essere donne, e ci sforzavamo di tenerci pulite il più possibile. Però devo dire anche questo; trovai tra le donne che ci comandavano una cattiveria spinta all'eccesso, forse maggiore di quella degli uomini. Quelle donne, poste in una condizione e in ruoli maschili vollero essere, anche nel male, uguali agli uomini, in realtà furono peggiori di loro.
Era proprio come se la mia mente, per la fame forse, non potesse più ricordare. Ero come una bestia. Soffrivo terribilmente, ma il passato non esisteva più. Il presente era la sofferenza stessa. Il futuro non c’era: non saremmo più andate via dal campo. Ogni giorno vedevamo morire centinaia di persone, ogni giorno il forno crematorio bruciava tanto che la cenere si posava dappertutto. E l’odore, l’odore dei morti bruciati.
Pag 82
storie di donne partigiane
ravensbruck
Con il nostro trasporto eravamo arrivate nel campo al numero 77500. io ebbi il numero 77399. ogni tanto chiamavano: “Bisogna andare a passare la visitaâ€?. Nude! Per farci esaminare magari le mani o gli occhi. A casa ci avevano insegnato che neanche ai fratelli ci si poteva presentare in sottana, e lĂŹ invece nude, di fronte a tutti. Nude al freddo, sotto il nevischio, quegli uomini che ci guardavano, non come donne, ma come lavoratrici.
Pag 83
storie di donne partigiane
ravensbruck
E pregavo Santo Spedito: “Fate che finisca presto la guerra e che ritorniamo tutti a casa”. Adesso non prego più, non posso più pregare la Madonna, perchè se a una ha fatto la grazia, come dicono, e a un’altra non l’ha fatta, vuol dire che fa quello che vuole anche lei. In chiesa non ci vado e non credo a quello che dicono i preti, perchè sono falsi come Giuda. La mia fede ce l’ho, ma me la faccio io, con la mia coscienza.
Pag 84
storie di donne partigiane
ravensbruck
Nasce sempre la solidarietĂ tra coloro che soffrono, tra coloro che sono costretti a vivere in un inferno. A volte gli oppressi si scatenano contro gli altri oppressi, ma lĂŹ non vidi mai fatti del genere. Era una solidarietĂ fatta di poco, magari di un gesto, una parola, un cucchiaio di minestra...era soprattutto una solidarietĂ di sentimenti. SolidarietĂ era anche parlare alla vicina di lavoro e interessarsi a lei, era aiutare la compagna che non riusciva a eseguire bene un legamento, era, infine, non fare la spia.
Pag 85
storie di donne partigiane
fucilazioni
Pag 86
storie di donne partigiane
fucilazioni
IRMA MARCHIANI
(33 anni, nome di battaglia Anty) dopo ore di tortura viene fucilata dai nazifascisti a Pavullo (Modena) il 26 novembre 1944 Sestola Prigione di Pavullo, 26 novembre 1944 Mia adorata Pally, sono gli ultimi istanti della mia vita. Pally adorata ti dico a te saluta e bacia tutti quelli che mi ricorderanno. Credimi non ho mai fatto nessuna cosa che potesse offendere il nostro nome... ...Fra poco non sarò più, muoio sicura di aver fatto quanto mi era possibile affinchè la libertà trionfasse. Baci e baci dal tuo e vostro Paggetto. Vorrei essere seppellita a Sestola.
MARIA LUISA ALESSI (33 anni, nome di battaglia Marialuisa) fucilata dalla Brigata Nera il 26 novembre 1944 a Cuneo
Carissimo Piero, mio adorato fratello, la decisione che oggi prendo, ma da tempo cullata, mi detta che io debba scriverti queste righe. Sono certa che tu mi comprenderai benissimo perchè lo sai di che volontà io sono, faccio, cioè seguo il mio pensiero, l'ideale che pur un giorno nostro nonno ha sentito, faccio già parte di una formazione... ...Ti chiedo una cosa sola: non pensarmi come una sorellina cattiva. Sono una creatura d'azione, il mio spirito ha bisogno di spaziare, ma sono tutti ideali alti e belli. Tu sai benissimo, caro fratello, sotto la mia espressione calma, quieta forse, si cela un'anima desiderosa di raggiungere qualcosa, l'immobilità non è fatta per me. Tua sorella Paggetto
Cuneo, 14 novembre 1944 Come già sarete a conoscenza, sono stata prelevata dalla Brigata Nera: mi trovo a Cuneo nelle scuole, sto bene e sono tranquilla. Prego solo di non fare tante chiacchiere sul mio conto, e di allontanare da voi certe donne alle quali io debbo la carcerazione. Solo questa sicurezza mi può far contenta, e sopra tutto rassegnata alla mia sorte. Anche voi non preoccupatevi, io so essere forte. Vi penso sempre vi sono vicino. Tante affettuosità Maria Luisa Pag 87
storie di donne partigiane
fucilazioni
FRANCA LANZONI (25 anni) Fucilata senza processo da plotone fascista il 1 novembre 1944 a Savona
Caro Mario, sono le ultime ore della mia vita, ma con questo vado alla morte senza rancore delle ore vissute. Ricordati i tuoi doveri verso di me, ti ricorderò sempre Franca
PAOLA GARELLI (28 anni, nome di battaglia Mirka). Fucilata senza processo da plotone fascista il 1 novembre 1944 a Savona
Mimma cara, la tua mamma se ne va pensandoti e amandoti, mia creatura adorata, sii buona, studia ed ubbidisci sempre gli zii che t’allevano, amali come fossi io. Io sono tranquilla. Tu devi dire a tutti i nostri cari parenti, nonna e gli altri, che mi perdonino il dolore che do loro. Non devi piangere né vergognarti per me. Quando sarai grande capirai meglio. Ti chiedo una cosa sola: studia, io ti proteggerò dal cielo. Abbraccio con il pensiero te e tutti, ricordandoti. La tua infelice mamma Pag 88
continua... (La liberazione) Pag 89
storie di donne partigiane
LA LIBERAZIONE
Poi c’è stato il 18 aprile, lo SCIOPERO INSURREZIONALE. Io ho preparato tutte: “Guardate che alle ore 11 fermiamo tutta la fabbrica, si ferma tutto, chi vuole star dentro stia dentro, mangerà dentro, dormirà dentro...quelli che vogliono rimanere qui, rimangono qui, quelli che non vogliono vanno a casa tranquilli e non si muovano di casa, perchè ci saranno pasticci in giro” Lì sono stati una trentina, più donne che uomini. Pag 90
Poi, IL 25, è cominciata L’INSURREZIONE. Gli operai sono stati tre giorni a combattere da soli nelle fabbriche. Poi, quando sono arrivati i partigiani, hanno dato man forte. Ma Torino praticamente l’hanno liberata loro, gli operai.
storie di donne partigiane
LA LIBERAZIONE
Ah, il mio comizio è stata la cosa che per tutta la vita me la sono ricordata. Quando incontro delle compagne che hanno difficoltà a parlare in pubblico me lo ricordo sempre. Mi dicono: - “TE DEVI FARE IL DISCORSO PER LE DONNE”.Io ho detto di sì, ma ho cominciato a sentirmi la pancia...perchè sai, un conto è parlare alle riunioni clandestine, un conto è parlare in pubblico. Io mi sono immaginata: “C’È TUTTI I PARTIGIANI, COSA DIRÒ MAI?”. E là in camera. Provavo questo discorso, tutto da sola. Perfino davanti allo specchio mi sono messa e pensavo...almeno vedo una persona. Alla fine sai cosa ho fatto? L’ho scritto. Mi sono preparata un discorso, che poi è stato anche pubblicato, credevo di aver fatto una cosa da niente. Arrivo su al mattino col mio discorso. Andiamo tutti su quel palco che avevamo preparato. Tutti gli evviva, tutte le feste. Io pensavo solo al discorso che dovevo fare. Poi è toccato a me...il mio discorso mica l’ho trovato, mi sono dimenticata che ce l’avevo nel taschino, non avevo mai avuto un taschino e me lo sono dimenticata... ho cominciato a dire: “PARTIGIANI, PARTIGIANE, COMPAGNI...”, mi è venuto tutto spontaneo. E ho fatto il mio primo comizio e ho scoperto che in fondo ero capace a parlare in pubblico. Pag 91
storie di donne partigiane
LA LIBERAZIONE
Seguì ininterrotto il rito del ritrovarsi, dell’ abbracciarsi e sorprendersi di essere ancora vivi, lieti di essere usciti salvi dalla tragedia della guerra. Ma ne mancavano troppi che non sarebbero tornati. D’improvviso qualcuno mi chiamò “COMPAGNA” ad alta voce e allora mi resi conto che finalmente potevamo persino gridare, parlare, dire i nostri veri nomi, e quella parola, “compagna”, mi dava il senso e la misura della libertà conquistata.
Ero sul 14, sul tram n. 14. l’ordine di sciopero partiva alle 10 cioè dalla prova delle sirene, alle 10 si doveva fermare la città. Il manovratore ha portato la vettura fuori dai portici, si è girato, ci ha guardato tutti in faccia ed ha incrociato le braccia: “I signori viaggiatori sono invitati a scendere, inizia lo sciopero generale”. Il primo istinto è stato quello di mettergli le braccia la collo. Non sono mai riuscita a sapere chi è. Guarda che è dal ‘45 che cerco di saperlo.
La liberazione: chi andava in bicicletta, chi cantava, abbiam fatto certe feste qui in paese, abbiam fatto perfino la polenta taragna qui in paese.
Pag 92
storie di donne partigiane
LA LIBERAZIONE
Io non ho potuto partecipare alla sfilata, i compagni non mi hanno fatta andare. Nessuna partigiana garibaldina ha sfilato, ma avevano ragione loro. “Tu non vieni, la gente non sa cosa hai fatto insieme a noi e noi dobbiamo qualificarci con estrema serietà”. E alla sfilata ero fuori ad applaudire.
E A MILANO, QUANDO C’È STATA LA SFILATA, TRA QUELLA MOLTITUDINE PLAUDENTE E TUTTI CON LE COCCARDE, PENSAVO CHE FORSE UNA BUONA PARTE ERANO QUELLI CHE CI AVEVANO SPARATO CONTRO. ALLE STAFFETTE, NELLE SFILATE, METTEVANO LA FASCIA DA INFERMIERA! Pag 93
storie di donne partigiane
il dopo
il dopo liberazione è stato certamente molto diverso di come lo pensavo. Il mio più grande rimpianto del dopo è di non essere morta prima, durante la lotta. Se io ho invidiato qualcuno non ho mai invidiato i compagni vissuti ma i compagni morti. Dopo la Liberazione- che è stato il fatto più grande della nostra storia, perchè compiuto da tutto il popolo antifascista e no da una élite come il risorgimento- non avrebbe assolutamente dovuto essere permessa la riorganizzazione legale del fascismo. La nascita del MSI. Sono mancate le riforme che dovevano agevolare la gran massa popolare, le agevolazioni sono sempre state per i medesimi, per i ricchi, quelli che oggi portano la camicia beige o azzurra, ma che è sempre la camicia nera di ieri.
Dal '46 andarsene al '52 sono stati anni duri, l'offensiva ovunque, contro di noi, contro i partigiani, contro la classe operaia, contro i sindacati. Un'offensiva che abbiamo dovuto subire. Adesso le cose sono un po' cambiate, per modo di dire. Pag 94
storie di donne partigiane
il dopo FINITA LA GUERRA TUTTI PENSAVANO BASTA, È FINITA, LA DONNA DEVE RISTARE AI FORNELLI, DEVE RITORNARE NELL’AMBITO DEI FIGLIOLI, DELLA FAMIGLIA. TACITAMENTE LE MOGLI STAVANO A CASA, LE FIGLIOLE SE AVEVANO QUALCHE POSSIBILITÀ DI ANDARE ALLE SCUOLE SUPERIORI SE NE ANDAVANO A STUDIARE, E ALLORA TE COSA CI ANDAVI A FARE NELLE SEZIONI, IN MEZZO A TUTTI GLI UOMINI, QUANDO LE LORO DONNE, LE LORO MOGLI, ERANO TUTTE AL DI FUORI. ANCHE NOI CREDEVAMO CHE ERA GIUSTO COSÌ...STAVAMO A CASA, A FARE I LAVORI; ANCHE SE VERAMENTE NON ABBIAMO MAI SMESSO, PERCHÈ NON SI DISCUTE MICA SOLO NELLE ORGANIZZAZIONI; PARLANDO NEI NEGOZI, PER LE STRADE, DAI VERDURAI, NON STAVAMO MICA ZITTE. ERAVAMO MALVISTE. PERCHÈ MAGARI ANCHE DURANTE LA GUERRA SI DICEVA: “VANNO SU”.
LASCIARE L’ATTIVITÀ POLITICA COSÌ DI COLPO PER ME HA VOLUTO DIRE NON DORMIRE PIÙ! E QUANDO MI ADDORMENTAVO, DI NOTTE, DOPO ORE DI INSONNIA, MI SOGNAVO DI ESSERE IN MEZZO ALLA GENTE, DI DISCUTERE, MA DI NON RIUSCIRE PIÙ A CONVINCERLA. NEL SOGNO CONTINUAVO A DIRE: “GUARDA, SE AVESSI DETTO QUESTO SAREI STATA PIÙ CONVINCENTE!”. HO TRIBOLATO E HO SOFFERTO MOLTISSIMO. ALLONTANATA DALLA POLITICA, NON SONO MAI ENTRATA NELLA ROUTINE DEGLI ANNI’50. SONO RIMASTA LÌ A RODERMI IL FEGATO, A PENSARE, A DISCUTERE. HO CERCATO DI DARE A MIA FIGLIA QUELLO CHE NON POTEVO DARE AD ALTRI. CI SONO ALCUNI COMPAGNI CHE DICONO DI NON PARLARE AI FIGLI, DI NON METTERLI NEI PASTICCI, PER NON FARLI PENSARE. MA NON SO COME POSSA UNA PERSONA CHE ABBIA DELLE IDEE, CHE ABBIA VISSUTO INTENSAMENTE QUEGLI ANNI, NON DARE A CHI GLI È VICINO IL MEGLIO DI SÉ. ANCHE SE IL RAPPORTO PARITARIO È SCOMODO. CERTO NOI DONNE SIAMO RESTIE A PARLARE. TANTO GLI UOMINI SONO PIENI DI LORO, TANTO LE DONNE PREFERISCONO TACERE Pag 95
storie di donne partigiane
il dopo
DOPO LA GUERRA CI GUARDAVANO MALE: SE DICO CHE A ME MI VOLEVANO FAR LASCIARE DAL MIO MARITO! IO DICO LA VERITÀ, NON MI SONO MAI PENTITA...E MÒ VOGLIO ANDARE A PRENDERE TUTTI I MIEI DOCUMENTI E ME LI METTO TUTTI ALLE PARETI, PER VIA CHE VEDANO QUEL CHE HO FATTO. A VOLTE PENSO: “SI È FATTO TANTO E IL MONDO NON È CAMBIATO. SE CI FOSSE ANCORA ANDREA, CHISSÀ COME NE SOFFRIREBBE!”. IO DICO SEMPRE- E LO RIPETO- CHE MI RINCRESCE DI NON ESSERE MORTA ALLORA, PERCHÈ SI AVEVA UNA SPERANZA, UN'ILLUSIONE, CHE IL MONDO CAMBIASSE, E INVECE ABBIAMO AVUTO... QUELLO CHE ABBIAMO...QUELLO CHE ABBIAMO AVUTO, QUELLO CHE C'È. E CHISSÀ FINO A QUANDO! E OGGI SI VEDE TANTA GENTE CHE SI FA BELLA DELLA RESISTENZA, HA DELLE CARICHE E SI METTE IN MOSTRA, E CHE NON HA FATTO NIENTE. MA NOI NON CI SIAMO SACRIFICATI PER L'AMBIZIONE DI AVERE QUALCOSA, MA PERCHÈ ERAVAMO FATTI COSÌ, PER GIUSTIZIA. NOI DONNE SOPRATTUTTO NON ABBIAMO AVUTO PROPRIO NIENTE: LA PARITÀ È SULLA CARTA, È PIÙ CAMPATA IN ARIA CHE REALE.
DOPO OTTO GIORNI DALLA LIBERAZIONE HO COMINCIATO DI NUOVO IL MIO LAVORO, SONO TORNATA IN FABBRICA. SONO RIMASTA FINO NEL '50 CHE HO POI COMPERATO MIA FIGLIA. ALLORA SONO RIMASTA A CASA. SEDICI MESI. POI MIO MARITO È STATO UN LICENZIATO FIAT, L'HANNO LICENZIATO NEL '51,' 52. AVEVO LA BAMBINA PICCOLA, MA SON PARTITA DI NUOVO PER LA FABBRICA. FACEVO 13 ORE, DI NUOVO IN TESSITURA. HO LAVORATO DI NUOVO TRE ANNI, 13 ORE, SENZA LIBRETTI. E ALLORA VENIVO A CASA LA SERA, PASSAVO A TROVARE LA BAMBINA DA MIA MADRE, ANDAVO A LETTO.
Pag 96
storie di donne partigiane
il dopo
PURTROPPO NON FUI LA SOLA CHE MI RITIRAI A VITA PRIVATA IN QUEGLI ANNI, LA SCELTA DELLA FAMIGLIA E DEL LAVORO FU UNA SCELTA, PER ME MA PENSO ANCHE PER LE ALTRE, NON COMPLETAMENTE LIBERA. A DISTANZA DI ANNI CON MIO GRANDE RAMMARICO PENSO CHE AVREMO POTUTO ESSERE PIÙ AVANTI NEL CAMMINO DELLA DEMOCRAZIA E DEL PROGRESSO SE AVESSIMO PARTECIPATO TUTTI QUANTI DI PIÙ.
E DOPO C'ERANO CERTI, MOLTO MESCHINI, CHE AVEVANO PAURA, NO, NON PAURA, MA NON VOLEVANO CHE UNA DONNA FIGURASSE. IO SONO STATA PER UN PO' DI TEMPO SEGRETARIA DI ZONA E SEGRETARIA DI SEZIONE, E MI SENTIVO DIRE RAGIONI COME QUESTE: “UNA DONNA, SAPETE COM'È LA MENTALITÀ, NON È MICA GIUSTO, MA UNA DONNA NON DEVE FIGURARE!”. UNA DONNA! SPERANZE REALIZZATE DOPO LA LIBERAZIONE? REALIZZATE IN PIENO NO, PERCHÈ È ANDATA COM'È ANDATA.
DOPO LA GUERRA CI GUARDAVANO MALE: SE DICO CHE A ME MI VOLEVANO FAR LASCIARE DAL MIO MARITO! IO DICO LA VERITÀ, NON MI SONO MAI PENTITA...E MÒ VOGLIO ANDARE A PRENDERE TUTTI I MIEI DOCUMENTI E ME LI METTO TUTTI ALLE PARETI, PER VIA CHE VEDANO QUEL CHE HO FATTO. Pag 97
storie di donne partigiane
il dopo
MI SON MESSA A LAVORARE ALLA SAN GIORGIO: PULIVO I CESSI, PULIVO GLI UFFICI. NON AVEVO FORZA, ERA POCO CHE ERO RITORNATA DI LÀ, SARÒ STATA VENTI CHILI QUANDO SONO TORNATA. EPPURE AVEVO BISOGNO DI LAVORARE. QUESTA È STATA LA RICOMPENSA CHE HO AVUTO, DOPO AVER AIUTATO LA GUERRA DI LIBERAZIONE, QUESTA È STATA LA RICOMPENSA. LA RICOMPENSA CHE HANNO DATO AI DEPORTATI. E QUANDO SONO TORNATA, SE RACCONTAVO COS’ERA IL CAMPO, MI GUARDAVANO COME PER DIRE: “QUESTA QUI È SCEMA, QUESTA QUI INVENTA”. QUESTA È TUTTA LA MIA VITA.
I PARTIGIANI VENIVANO SPESSO ACCUSATI DI DELITTI COMUNI E BISOGNAVA CHE SCAPPASSERO PER NON SUBIRE CONDANNE DURISSIME. TUTTI GLI IMPIEGATI CONSERVAVANO IL LORO POSTO, ANCHE SE ERANO STATI DEI FASCISTONI, E I PARTIGIANI ERANO DISOCCUPATI. È STATO IL PERIODO PIÙ BUIO DELLA MIA VITA, IL DOPOLIBERAZIONE. ALCUNI SI SONO ESTRANIATI PROPRIO ALLORA, PERCHÈ DISGUSTATI DI TANTA PERSECUZIONE.
NEL '48 HANNO ATTENTATO A TOGLIATTI. TUTTI PRONTI, NOI AVEVAMO ANCORA LE ARMI E IO SONO STATA TRE GIORNI E TRE NOTTI COL MITRA COSÌ, VESTITA DA PARTIGIANA, AD ASPETTARE IL FAMOSO CAMPANELLO. IL TERZO GIORNO IL CAPO HA PERDONATO, NON SI FA PIÙ NULLA.
Pag 98
storie di donne partigiane
il dopo
MI RICORDO IL PRIMO ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE, IL 25 APRILE DEL '46, MI SON DETTA: “È LA NOSTRA FESTA”. SONO ANDATA DAVANTI AL MUNICIPIO COL FAZZOLETTO ROSSO AL COLLO. CERTA GENTE MI SGHIGNAZZAVA IN FACCIA. QUALCHE VOCE DICEVA: “VA A FAR LA CALZETTA!”. IO AVEVO ANCORA LE ARMI IN CASA, NASCOSTE IN CANTINA. AVEVO UNA VOGLIA DI VENDICARMI, DI PRENDERE UN MITRA E POI DI ANDAR LÀ A DIRE: “ADESSO VI FACCIO LA CALZA IO A VOI!”.
PER LA LOTTA DI PARITÀ DI CONTINGENZA CON GLI UOMINI PRIMA CI SIAMO TROVATE DAVANTI ALLA CAMERA DEL LAVORO: MI RICORDO COME UN SOGNO. POI IN CORTEO SIAMO ANDATE SOTTO L’UNIONE INDUSTRIALI. SIAMO ANDATE SU. UN CAOS. E LÌ ABBIAMO COMINCIATO A BUTTAR TUTTO DALLE FINESTRE. LÌ C’ERA APPUNTO L’AVVOCATO, UN DIRIGENTE, NON MI RICORDO IL NOME, PALLIDO, CON I CAPELLI BIANCHI. “ESCA SUL BALCONE SENNÒ LEI NON ESCE VIVO DI QUA”- GLIE LO ABBIAMO DETTO- “SA CHE LE DONNE QUANDO SI ARRABBIANO...” A FURIA DI DIRGLIELO LO AVEVAVMO GIÀ PRESO PER LA CRAVATTA, PERCHÈ LÌ C’ERANO DONNE MOLTO POCO...E ALLORA USCÌ SUL BALCONE, PARLÒ, PROMISE CHE QUALCOSA AVREBBE FATTO. OH, QUANTE VOLTE SONO ANDATA LÌ DOPO. PERCHÈ POI IL PRIMO CONTRATTO DI LAVORO LO ABBIAMO DISCUSSO TUTTO LÌ. TUTTI GLI ARTICOLI.
Pag 99
storie di donne partigiane
il dopo
A REGGIO CALABRIA VADO AD ABITARE IN UNA STANZA, UN TUGURIO. UNA MISERIA NERA, UNA FAME, COL FIGLIO CHE NON AVEVA ANCORA UN ANNO. PERÒ ERAVAMO COSÌ PIENI DI ENTUSIASMO! SIAMO STATI TRE ANNI LÌ. IN CALABRIA HO SEGUITO LE LOTTE DELLE RACCOGLITRICI DI OLIVE. MI COLPIVA MOLTISSIMO 'STA MISERIA ENORME, QUESTE CONTADINE CHE NON AVEVANO NIENTE DA MANGIARE, E PERÒ SI SACRIFICAVANO, FACEVANO LE LORO LOTTE, SAPENDO QUELLO CHE RISCHIAVANO.
Pag 100
storie di donne partigiane
il dopo
IN FABBRICA HO LAVORATO FINO A 55 ANNI. GIÀ NEL '50 HANNO LICENZIATO TANTE, QUELLE COMUNISTE, MA QUELLE CHE ERANO SOLE NON CI HAN TOCCATO, SI VEDE CHE AVEVANO ANCORA UN PO' DI VERGOGNA, NON SI TROVAVANO ANCORA TANTO FORTI. POI CON SCELBA E TUTTO E COME SON VENUTI, ALLORA DAL '55 HAN PRESO ANCHE QUELLE SOLE IN MEZZO ALLE ALTRE, CI HANNO PRESO TUTTO E CI HANNO LICENZIATE.
Pag 101
storie di donne partigiane
il dopo
POI COME MIGLIAIA DI ALTRI GIOVANI DELLA NOSTRA PROVINCIA NEGLI ANNI '50, SCORAGGIATI DOVEMMO EMIGRARE ALLA RICERCA DI UN POSTO DI LAVORO. FU COSÌ CHE MI RITROVAI IN SVIZZERA A FARE UN DURO LAVORO LONTANO DAI MIEI FAMILIARI. RIENTRAI, IN ITALIA NEGLI ANNI '70, PROVATA NEL FISICO E NEL MORALE, PER QUESTA VITA. SONO STATA MOLTO VICINA A MIA SORELLA ED OGGI, PUR IN VECCHIAIA E ADDOLORATA E QUALCHE VOLTA SCONTENTA PER COME SONO ANDATE LE COSE, RITENGO CHE SE TORNASSI INDIETRO FAREI LE STESSE SCELTE DI ALLORA.
HO FATTO LA CASALINGA, NON SONO ANDATA A LAVORARE PERCHÈ HO AVUTO SUBITO DUE BAMBINI. HO DATO UN PO’ DI TEMPO ATTIVITÀ ALL’UDI. MA POI CON ‘STI RAGAZZI NON CE LA FACEVO, HO LASCIATO CHE FACESSE MIO MARITO A DARE ATTIVITÀ, NE DAVA LUI PER DUE. VERA ATTIVITÀ NO, NON NE HO PIÙ DATA. COSA FACEVO? LAVORAVO ANCHE IN CASA, FACEVO UN LAVORO EXTRA, MANDARE AVANTI ‘STI DUE RAGAZZI. OLTRE ALLA CASA, RICAMAVO MAGLIONI DA SCIARE, TUTTE QUELLE COSE LÌ, PER UNA FABBRICA. E, SI CAPISCE, LAVORO A DOMICILIO, NON È CHE SIA BEN PAGATO, ANCHE SE SI LAVORA MOLTO. AVEVO DA FAR STUDIARE ‘STI DUE RAGAZZI E ALLORA PER FORZA NON SI PUÒ. ABBIAMO LOTTATO, ABBIAMO FATTO MOLTE COSE MA NON È CHE ABBIAMO CAMBIATO MOLTO, SI DEVE LAVORARE ANCORA PER MANDARE AVANTI ‘ STI RAGAZZI.
Pag 102
storie di donne partigiane
il dopo
C'ERANO TANTE COSE. AD ESEMPIO UN DIRIGENTE: IO NON POTEVO CRITICARE UN DIRIGENTE, QUAND CHE MI T'ACAVA CUN QUALCHE DIRIGENT AM DISÌU: -TI'T SES N'ESTREMISTA (QUANDO ME LA PRENDEVO CON QUALCHE DIRIGENTE MI DICEVANO: -TU SEI UN'ESTREMISTA). DA 'N DÌ A L'AUT: SA, A L'È PI NEN AL ME POST, L'AI CIAPÀ L'ÀNDI (DA UN GIORNO ALL'ALTRO: SU, NON È PIÙ IL MIO POSTO, E SONO VENUTA VIA). IO HO DATO UN PADRE, HO DATO QUASI UN MARITO, HO DATO QUASI ME STESSA, PER COSA?
Pag 103
FONTI Bruzzone, Farina “La resistenza taciuta, dodici vite di partigiane piemontesi”, La Pietra 1975 Guidetti Serra “Compagne”, Einaudi Vittoria De Grazia “Le donne nel regime fascista”, Marsilio 1992 Beccaria Rolfi, Bruzzone “Le donne di Ravensbruck”, Einaudi 1978 Carla Capponi “Con cuore di donna”, Net 2000 Iaccheo “Donne armate”, Mursia 1995 A Piazza delle Erbe! L'amore, la forza, il coraggio delle donne di MassaCarrara” ed.Provincia di Massa Carrara, 1996 “Lettere di condannati a morte della resistenza italiana” Einaudi 1952
Da “Storia fotografica della società italiana”, Editori Riuniti: Amendola, Iaccio “Gli anni del regime”, 1999 L.Motti “Le donne”, 2000 A.Nemiz “La ricostruzione”, 1998 “Contro ogni ritorno, dal fascismo alla costituzione repubblicana”, U.R.P.T. Altre foto: - da archivi personali - scaricate dalla rete Questa mostra ha avuto la sua prima ispirazione dalla storia di Elsa Oliva: https://www.inventati.org/donnola/materiali/elsa_oliva.html Consigliamo la visione del film di Liliana Cavani: “La donna nella Resistenza”, 1965
Pag 104