Il mistero della buccia d'arancia

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Einaudi Ragazzi


Lia Tagliacozzo

illustrazioni di

Angelo Ruta

I l m i s te r o d e l l a b ucc i a d’a ra n c i a

Einaudi Ragazzi


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capitolo primo

Capitolo primo

M

i chiamo Anna e sono bravissima a

fare le ricerche per scuola. Per la mia età sono piccoletta, ho i capelli neri e gli occhi neri, mi piacciono le minigonne e i leggins. Porto dei codini ridicoli che mi si disfano sempre e ho la testa che sembra un polipo arrabbiato. Vivo a Firenze, faccio la quinta elementare e nelle materie che mi interessano sono abbastanza brava, però odio la storia: le date, le battaglie, le guerre... sono una noia mortale! Questa volta invece la maestra Marcella ha assegnato proprio una ricerca di storia e ha anche aggiunto che deve essere fatta con molte fonti diverse. (Le fonti non sono le fontane, ma tutte quelle cose grazie alle quali si capisce cosa è successo nel passato. Per esempio, per la preistoria i fossili sono delle ottime fonti e da un ossicino piccolo piccolo gli studiosi ricostruiscono un intero dinosauro).


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Il mistero della buccia d’arancia

La maestra Marcella ha spiegato che per i periodi piú vicini a noi ci sono anche le fonti fotografiche, i film, la televisione o addirittura i giornali vecchi. Lei fa sempre le cose complicate e ha detto che per questa ricerca non basta andare su internet, ma che bisogna avere anche una fonte «orale»: cioè qualcuno che sia stato un testimone diretto e che ci racconti cosa è successo. Meno male che almeno l’argomento lo possiamo scegliere noi! Il problema è che io la storia la odio proprio e adesso invece sono tre giorni che non penso ad altro. Dove le trovo le fonti? Posso provare su internet, andare in biblioteca, ma... e la «fonte orale»? Avevo pensato di fare la ricerca sulla vittoria ai mondiali di calcio, ma nella mia famiglia del calcio non importa a nessuno, mio padre non ci capisce niente e sarebbe un testimone pessimo! Magari potrei fare la ricerca sull’alluvione di Firenze del 4 novembre del 1966, ma è meglio lasciar perdere, i miei compagni sceglieranno tutti quell’argomento e alla fine invece di una ricerca faremmo una fotocopia. Adesso però sono davvero preoccupata, perché i giorni stanno passando e io non ho ancora scelto il mio argomento. Non ho voglia di chiedere ai miei genitori: invece di


capitolo primo

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un consiglio me ne darebbero mille. Uffa! Io non voglio l’aiuto di nessuno! Per fortuna oggi è venerdí, e visto che il venerdí sera per gli ebrei come noi è festa, andiamo quasi sempre dai nonni e posso chiedere aiuto a mia cugina Yael, che è bravissima a scuola. Sono contenta di andare a cena dai nonni anche perché nonno Gino, quando canta il Kiddush – che è la benedizione sul vino che si recita prima dei pasti nei giorni di festa – è molto intonato e la nonna ci cucina sempre cose buone. E poi posso stare con Yael e Lea, le mie cugine, figlie della zia Sara e dello zio Tobia. Siamo cresciute insieme, anche se Lea è un po’ piú piccola. Ci vogliamo molto bene e litighiamo spesso, poi però facciamo la pace. Da pochi mesi veramente c’è anche un cuginetto nuovo, piccolo, che si chiama Ruben. Ma è talmente piccolo che non conta! Lui è figlio di zio Benjamin e di sua moglie, zia Richi.


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Il mistero della buccia d’arancia

Capitolo q u a tt o r d i c e s i m o

D

opo le leggi razziali del 1938, quelle

contro gli ebrei, e di cui sapete tutto, no? – La nonna sorride e pare contenta delle mie ricerche, però sembra anche che ci prenda un po’ in giro. – Be’, prima siamo venuti via da Firenze e siamo andati a Ferrara, dai miei nonni materni. Lí stavo con i miei cugini, Dori e Geri, e con gli zii, e la casa era grande e bellissima. Quando è scoppiata la guerra io ero piccola e non mi ricordo quasi niente, eppure uno dei primi ricordi della mia vita è un bombardamento –. La nonna si ferma un momento e cerca di trattenere la commozione, deglutisce e il mento le si arriccia tutto, ma poi continua: – Io non so bene in che ordine accaddero le cose, quanto rimanemmo a Ferrara, e poi in campagna, o quando ci siamo mossi per andare in Svizzera. Non lo ricordo o, forse, non lo voglio ricordare –.


capitolo quattordicesimo

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La nonna si interrompe e guarda fuori dalla finestra. Yael e io ci guardiamo tra noi e non sappiamo che fare. È come se la nonna stesse cercando mille scuse per non proseguire. La mia testa corre da un pensiero all’altro: da una parte vorrei che la nonna continuasse il suo racconto, dall’altra invece vorrei che smettesse, perché si capisce che è un ricordo che le fa male. – Dopo lo scoppio della guerra, quando il mangiare iniziava a scarseggiare, con il mio babbo Giorgio e le mie sorelle abbiamo traslocato nella campagna toscana, a Colleoli, un piccolo paese vicino a Palaia, non lontano da Pontedera. La mia mamma, che si chiamava Wanda, era in ospedale, ma io lí non stavo affatto male: la campagna era bella, e venivo coccolata dalle mie sorelle e giocavo con i figli dei contadini. Il bombardamento però me lo ricordo ancora: stavamo buttati in un fosso, sdraiati per terra, mentre si sentivano le bombe cadere. Avevo molta paura e il mio babbo mi teneva giú la testa, un po’ per tenermi al riparo,


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un po’ perché non vedessi quel che succedeva. Poi però sono arrivati i tempi brutti. Dopo l’8 settembre del 1943, gli italiani non erano piú alleati con la Germania nazista... – Sí, sí, nonna, lo so! – La interrompo subito perché non voglio che torni a farci una lezione di storia: ancora una volta lei vorrebbe cambiare discorso, ma io invece voglio che vada avanti. Yael dà un morso al suo pane con lo zucchero e mi guarda con aria interrogativa: queste cose lei non le ha studiate, gliele ho raccontate io per telefono. Ma guai a lei se interrompe: semmai le spiego tutto di nuovo, piú tardi. – Le cose si mettevano molto male... – La nonna prosegue senza esitazioni, ha smesso il sorriso distante e ci pianta gli occhi in faccia, come se avesse deciso che deve smettere di proteggerci dal suo racconto. – La situazione era brutta per tutti, ma per gli ebrei in particolare. Con il cambio di alleanza dell’Italia, i nazisti erano diventati un esercito nemico che occupava il Paese e compiva rappresaglie contro la popolazione civile: c’erano i bombardamenti, la fame, e per gli ebrei italiani erano cominciate anche le deportazioni verso i campi di concentramento. Ve lo dico subito per non farvi preoccupare: la nostra è stata tutto sommato una storia



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fortunata, per tanti altri le cose sono andate molto peggio! Certo, noi ci siamo salvati, ma abbiamo avuto momenti tristi e difficili: io ero piccola, ma quello che so e che mi è rimasto dentro è che ci dovevamo sempre separare: dal babbo, dalla mamma, dalle sorelle. Per quasi due anni, ogni novità portava paura, rischi e separazioni dalle persone alle quali volevo bene. Nonno Gino si è affacciato alla porta e ha iniziato a dire qualcosa, ma poi ha sentito cosa stava raccontando la nonna ed è rimasto con le parole a metà. Ha alzato le spalle e se ne è andato nel suo studio. Di solito chiude sempre la porta, invece questa volta l’ha lasciata spalancata, si è messo al computer e (secondo me) ha fatto finta di mettersi a lavorare.


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Per capire... 106 Glossario 1 03


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