Storie del genio della fantasia

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– E non ci sono microbi? – Macché, è acqua purissima, distillata da un professore dell’università di Barberino. E cosí dicendo si portò di nuovo la bottiglia alla bocca e finse di inghiottirne un paio di sorsate. – Signor Cipollino, – fece il Mastino, – com’è che la bottiglia resta sempre piena? – Dovete sapere, – rispose Cipollino, – che questo è un regalo del mio povero nonno. È una bottiglia che non si vuota mai. – Me ne dareste una sorsatina? Tanto come un cucchiaio mi basterebbe. – Una sorsatina? Ma io ve ne do una mezza dozzina di bottiglie! – rispose Cipollino. Figuratevi la gioia di Mastino: non la finiva piú di ringraziare il ragazzo, gli leccava le ginocchia dimenando la coda come non avrebbe fatto nemmeno per le sue padrone, le Contesse del Ciliegio. Cipollino gli porse la bottiglia. Il cane se l’attaccò alle labbra e bevve, la bevve tutta fino in fondo con una sola sorsata e stava per dire:

155 Le avventure di cipollino


«È già finita? Non mi avevate detto che era una bottiglia miracolosa?» Ma non fece in tempo a dirlo e cadde addormentato. Cipollino lo slegò dalla catena, se lo caricò sulle spalle e si avviò verso il Castello. Si voltò indietro ancora una volta a guardare il sor Zucchina che ripigliava possesso della sua casuccia: nel finestrino, la faccia del vecchietto, con la sua barba rossiccia spelacchiata, sembrava il ritratto della felicità. «Povero cagnaccio! – pensava Cipollino camminando verso il Castello. – Te l’ho dovuta fare. Chissà se mi ringrazierai ancora per l’acqua fresca, quando ti sveglierai». Il cancello del parco era aperto. Cipollino posò il cane sull’erba, lo accarezzò dolcemente e disse: – Scusami tanto, e salutami il Cavalier Pomodoro. Il Mastino rispose con un mugolio felice: stava sognando di nuotare in un laghetto in mezzo alle montagne, un laghetto di acqua fresca e dolcissima, e nuotando beveva a sazietà, diventava d’acqua lui pure, un cane d’acqua, con due orecchie d’acqua e una coda d’acqua zampillante. – Sogna in pace, – disse Cipollino. E tornò al villaggio.

Signori ladri, prima di entrare il campanello vogliate suonare Al villaggio Cipollino trovò molta gente radunata attorno alla casa del sor Zucchina a discutere. A dire la verità, erano tutti piuttosto spaventati. 156 Le avventure di cipollino


possiamo proprio difendere, sa? Abbiamo solo trapole con una «p» sola: scappano fuori che è un piacere. E il bello è che... Ma non saprò mai che cosa fosse «bello» per il mio bidelo, perché nel bel mezzo della frase egli scomparve. E scomparvero con lui i topi. E sul muro la carta geografica si ricompose, e l’Italia assunse l’usata forma di uno stivale. E fuori dalla finestra ricomparvero i cigni, il lago, i boschi, il villaggio. Eravamo tornati sulla terra! Vittoria! La fatidica riga senza errori era stata scritta. Guardai sul quaderno di Orlando e vi lessi: «Mi dispiace lasciare il mio caro maestro». Orlando mi restituí lo sguardo, beato; ma stavolta aveva il diritto di sorridere, perché non aveva fatto il minimo sbaglio. – Basta cosí, – ordinai, prima che un nuovo errore ci esiliasse per la seconda volta sul Pianeta Sbaliato. – Basta cosí, per oggi e per quest’anno. Buone vacanze a tutti!

Il «verbo solitario» Il povero Dario è malato: ha il «verbo solitario»... Qualcuno, invero, afferma che non si tratta già di un verbo, ma di un verme... Ah, che ne sa la gente! 379 il libro degli errori


Domandatelo a lui come si sente, qual è la causa del suo soffrire: vi dirà , precisamente, che sono i verbi in are, in ere e in ire. Lo tormentano in tutti i modi: indicativo, congiuntivo, eccetera. Lo hanno perseguitato nel tempo passato (sia prossimo che remoto) e poco ma sicuro gran noia gli daranno anche nel tempo futuro.

380 IL LIBro degli errori


vogliono mandarmi al fresco? Forse non bisogna fare domande? La legge proibisce i punti interrogativi?» Cerca e cerca, nessuno riuscí mai a trovarlo. Ad arrestarlo, poi, non ci riuscirebbero tutte le guardie del mondo, che sono milioni e parlano molte lingue. Si è nascosto tanto bene, il nostro Perché: un po’ qui e un po’ là, in tutte le cose. In tutte le cose che vedi c’è un Perché.

Mi è piaciuta la storia del pulcino. Perché non ne fai una eguale? Be’, uguale no: simile, parente. Diamo al pulcino un fratello maggiore: un somaro. C’era una volta un somaro che non sapeva di essere un somaro. «Forse – pensava un giorno – sono un grande cantante e andrò alla Scala: non è poi cosí distante... Non sono una pecora perché non belo, non sono un passero perché non volo in cielo, non sono un avvocato perché non vado in tribunale. Ma che sarò: un ministro? un generale? Tu, specchio, che ne dici? Un ciuco? Ah, questo no: bel modo di offendere gli amici!» E tosto castigò l’insolente specchietto 548 il libro dei perché


mandandolo con un calcio in cento pezzi piú un pezzetto.

Perché i ragni portano fortuna? Nei libri di scienze naturali non sta scritto: e io credo solo a quelli, in fatto di ragni. C’era una volta un ragno portafortuna: ma lui non sapeva di portare fortuna, e non lo sapeva nemmeno, sfortunata, la serva che gli dava la caccia con la granata. Cosí il ragnetto perí. E la fortuna, in fin delle fini, toccò alle mosche e ai moscerini.

549 il libro dei perché


– D’ora in avanti, invece di farmi l’inchino, potreste tastarmi il naso. È un’usanza piú moderna e piú raffinata. I dipendenti, in principio, non osavano allungare le mani sui nasi dei loro superiori. Questi però li incoraggiavano con sorrisi larghi cosí, e allora giú toccatine, strizzatine, tastatelle: i nasi altolocati diventavano lucidi e rossi per la soddisfazione. Giovannino non aveva dimenticato il suo scopo principale, che era di toccare il naso del re, e aspettava soltanto l’occasione buona. Questa si presentò durante un corteo. Giovannino notò che ogni tanto qualcuno dei presenti usciva dalla folla, balzava sui gradini della carrozza reale e consegnava al re una busta, certo una supplica, che il re passava sorridendo al suo primo ministro. Quando la carrozza fu abbastanza vicina, Giovannino saltò sul predellino e mentre il re gli rivolgeva un sorriso invitante, lui disse: – Compermesso, – allungò il braccio e strofinò la punta del suo dito indice sulla punta del naso di sua Maestà. Il re si toccò il naso stupefatto, aprí la bocca per dire qualcosa ma Giovannino, con un salto indietro, si era già messo al sicuro tra la folla. Scoppiò un grande applauso e subito altri cittadini si affrettarono con entusiasmo a imitare l’esempio di Giovannino: saltavano sulla carrozza, acchiappavano il re per il naso e gli davano una buona scrollatina. – È un nuovo segno di omaggio, maestà, – mormorava sorridendo il primo ministro nelle orecchie del re. Ma il re non aveva piú tanta voglia di sorridere: il naso gli faceva male e cominciava a colare e lui non 36 favole al telefono


aveva nemmeno il tempo di asciugarsi la candela perché i suoi fedeli sudditi non gli davano tregua e continuavano allegramente a prenderlo per il naso. Giovannino tornò al paese soddisfatto.

La famosa pioggia di Piombino Una volta a Piombino piovvero confetti. Venivano giú grossi come chicchi di grandine, ma erano di tutti i colori: verdi, rosa, viola, blu. Un bambino si mise in bocca un chicco verde, tanto per provare, e trovò che sapeva di menta. Un altro assaggiò un chicco rosa e sapeva di fragola. – Sono confetti! Sono confetti! 37 favole al telefono


– Che c’è? Francesco si torceva sul seggiolino, serio serio, senza rispondere. – Dunque? – Be’, – diceva Francesco, – può darsi che tu ti tagli. Allora io ti farò la medicazione. – Già, – diceva il signor Cesare. – Ma non tagliarti apposta come domenica scorsa, – diceva Francesco, severamente, – altrimenti non vale. – Sicuro, – diceva il signor Cesare. Ma a tagliarsi senza farlo apposta non ci riusciva. Tentava di sbagliare senza volerlo, ma è difficile e quasi impossibile. Faceva di tutto per essere disattento, ma non poteva. Finalmente, qui o là, il taglietto arrivava e Francesco poteva entrare in azione. Asciugava la stilla di sangue, disinfettava, attaccava il cerotto. Cosí ogni domenica il signor Cesare regalava una stilla di sangue a suo figlio, e Francesco era sempre piú convinto di avere un padre distratto.

A dormire, a svegliarsi C’era una volta una bambina che ogni sera, al momento di andare a letto, diventava piccola piccola: – Mamma, – diceva, – sono una formica. E la mamma capiva che era ora di metterla a dormire. Allo spuntare del sole la bambina si svegliava, ma era ancora piccolissima, ci stava tutta sul cuscino e ne avanzava un pezzo. 87 favole al telefono


– Alzati, – diceva la mamma. – Non posso, – rispondeva la bambina, – non posso, sono ancora troppo piccola. Adesso sono come una farfalla. Aspetta che ricresca. E dopo un po’ esclamava: – Ecco, ora sono ricresciuta. Con uno strillo balzava dal letto e cominciava la nuova giornata.

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– Dopo tutto, il tè arriverà ghiacciato ugualmente. Purtroppo l’ascensore toccò terra nel cuore di una selvaggia foresta tropicale e Romoletto, guardando attraverso i vetri, si vide circondato da strane scimmie barbute che se lo indicavano eccitate, chiacchierando con straordinaria rapidità in una lingua incomprensibile. «Forse siamo cascati in Africa», rifletté Romoletto. Ma ecco che il cerchio delle scimmie si apriva per lasciar passare un personaggio inatteso: uno scimmione in divisa blu, montato su un enorme triciclo. – Una guardia! Forza, Romoletto! E senza contare né uno né due il giovane aiuto garzone del bar Italia schiacciò un bottone dell’ascensore, il primo che gli capitò sotto le dita. L’ascensore ripartí a velocità supersonica, e solo quando fu a una certa distanza Romoletto, guardando in basso, si rese conto che il pianeta dal quale stava fuggendo non poteva essere la Terra: i suoi continenti e i suoi mari avevano un disegno del tutto diverso, e mentre dallo spazio la Terra gli era apparsa di un bell’azzurro tenero, i colori di questo globo variavano dal verde al viola. – Sarà stato Venere, – decise Romoletto, – ma al marchese Venanzio cosa dirò? Toccò con le nocche delle dita i bicchieri sul vassoio: erano gelati come quando era uscito dal bar. Tutto sommato, non dovevano essere trascorsi che pochi minuti. L’ascensore, dopo aver attraversato a velocità incredibile un enorme spazio deserto, riprese a scendere. Romoletto, stavolta, non poteva aver dubbi: – Accipicchia! – esclamò, – stiamo atterrando sulla Luna. Che ci faccio io qui? I famosi crateri lunari si avvicinavano rapidamente. 97 favole al telefono


Romoletto corse con le dita della mano libera dal vassoio alla bottoniera dell’ascensore, ma: – Alt! – si ordinò, prima di schiacciare un bottone qualsiasi, – riflettiamo un momentino.

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Il pianeta della verità La pagina seguente è copiata da un libro di storia in uso nelle scuole del pianeta Mun, e parla di un grande scienziato di nome Brun (nota, lassú tutte le parole finiscono in «un»: per esempio non si dice «la luna» ma «lun lun»; «la polenta» si dice «lun polentun», eccetera). Ecco qua: «Brun, inventore, vissuto duemila anni, attualmente conservato in un frigorifero, dal quale si risveglierà tra 49 000 secoli per ricominciare a vivere. Era ancora un bambino in fasce quando inventò una macchina per fare gli arcobaleni, che funzionava ad acqua e sapone, ma invece che semplici bolle ne uscivano arcobaleni di tutte le misure, che si potevano distendere da un capo all’altro del cielo e servivano a molti usi, anche per appendervi il bucato ad asciugare. All’asilo infantile, giocando con due bastoncelli, inventò un trapano per fare i buchi nell’acqua. L’invenzione fu molto apprezzata dai pescatori, che l’usavano come passatempo quando il pesce non abboccava. «In prima elementare inventò: una macchina per fare il solletico alle pere, una pentola per friggere il ghiaccio, una bilancia per pesare le nuvole, un telefono per parlare con i sassi, il martello musicale, che mentre piantava i chiodi suonava bellissime sinfonie, eccetera. «Sarebbe troppo lungo ricordare tutte le sue invenzioni. Citiamo solo la piú famosa, cioè la macchina per dire le bugie, che funzionava a gettoni. Per ogni gettone si potevano ascoltare quattordicimila bugie. La macchina conteneva tutte le bugie del mondo: quelle che erano già state dette, quelle che la gente stava pensando in quel momento, e tutte le altre che si sarebbero potute inventare in seguito. Quando la macchina ebbe 116 favole al telefono


recitato tutte le bugie possibili, la gente fu costretta a dire sempre la verità. Per questo il pianeta Mun è detto anche il pianeta della verità».

Il marciapiede mobile Sul pianeta Beh hanno inventato un marciapiede mobile che gira tutt’intorno alla città. Come la scala mobile, insomma: soltanto che non è una scala, ma un marciapiede, e si muove a piccola velocità, per dare alla gente il tempo di guardare le vetrine e per non far perdere l’equilibrio a quelli che debbono scendere e sali117 favole al telefono


GIANNI RODARI

Storie del genio della fantasia

U

n maestro. Un narratore. Un sognatore. Gianni Rodari è tutto questo, e anche di piú. Perché il suo genio, immenso e universale, non ha prodotto solo una grande letteratura per bambini. Tra le righe del piacere e del divertimento matura un bambino nuovo, protagonista della propria infanzia. Genitori e insegnanti, da oltre mezzo secolo, si sono ispirati alla sua fantasia, potentissimo motore di crescita e realizzazione. Leggetele oggi, le sue filastrocche, i suoi «perché», le storielle e i romanzi. Aprite pure una pagina a caso. Ci troverete ancora la visione di una nuova umanità, sempre in cammino verso il sogno di un mondo migliore.

Favole al telefono Le avventure di Cipollino

Il libro degli errori Il libro dei perché Fiabe lunghe un sorriso

Cinque capolavori del maestro della fantasia!

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