Ha pubblicato “Tra ricordi e ricette” nel 2005 e “Armonie di gusti e sapori nelle crete senesi”, nel 2007.
Emily Brontë
Dei Matrimoni. Cose
Lo stare insieme è nello stesso tempo per noi essere liberi come nella solitudine, essere contenti come in compagnia
Letizia Cosci
Nata a Buonconvento, insegna francese da molti anni. Sin dalla tesi di laurea, dedicata al rapporto di coppia tra Jean Paul Sartre e Simone De Beauvoir, ha cominciato a raccogliere preziose testimonianze di vita sulla possibilità di restare individui singoli all’interno di una coppia unita e serena. La quadratura del cerchio, come lei ama definirla. Ma poiché “non si nasce donna ma si diventa” in questo divenire non si possono fuggire le proprie radici, di cui la cucina è un aspetto essenziale, Letizia si è interessata con grande passione alla ricerca gastronomica in tutti i suoi aspetti.
Sul libro leggere e pesanti
Letizia Cosci
Letizia Cosci
Dei Matr imon i
Quattro storie d’amore sfociate nel matrimonio si rivelano non tanto nei contenuti biografici ma attraverso il giorno dello sposalizio e le ricette del menu di nozze. Tre storie vere appena accennate e una letteraria di Emma Bovary fanno da filo conduttore del libro.
cose leggere e pesanti
Ringrazio con molto affetto Nicoletta BENEDETTI per i disegni Micol TURETTA Antonella e Anna BURCHIANTI Mirella e Antonio VIGNALI e le mie amiche di sempre.
Dicembre 2011 grafica Elicona Servizi per la cultura, Siena www.elicona.net
Letizia Cosci
Dei Matr imon i cose leggere e pesanti
Un giorno
Un giorno, Ed era già ieri, Dalla piattaforma di un autobus Guardavo le donne Scendere per la via... D’improvviso attraverso il vetro del tram Ne scoprii una Che non avevo veduto salire. Seduta e sola pareva sorridere E mi piacque moltissimo Ma subito mi accorsi che era mia moglie. Ne fui felice. Jacques PrÊvert
Alla mia mamma. E al mio babbo.
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INTRODUZIONE
A
volte ci si ritrova a parlare di cose di cui non ci siamo mai molto interessati in passato o che per lo meno non sono state idee dominanti. Il matrimonio per esempio di coppie che hanno vissuto diversi anni insieme. Succede anche a chi non ha mai fatto sogni di abiti bianchi con lo strascico, il velo e i fiori d’arancio. A chi ha rinnegato tradizioni vuote e inegualitarie, ma che a un certo punto si trova a fare i conti con la retorica che avanza insieme all’età e con quella nostalgia di un indefinito passato che non vuole assolutamente andare via. Chi adesso ha sessant’anni nel ’70 ne aveva naturalmente venti. Erano i tempi del referendum sul divorzio, del nuovo diritto di
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famiglia, delle battaglie per l’emancipazione e l’uguaglianza, della speranza che un uomo e una donna potessero essere uguali con le loro diversità, che due libertà dignitose si potessero toccare senza sopraffarsi, sfiorarsi senza farsi male. Non c’era dunque né voglia, né tempo, né rispetto per le cerimonie, per i pranzi, le torte di nozze e tutte le tradizioni. Ma il tempo è passato e anche per chi ha “navigato” tanto arriva il tempo di fermarsi in un porto, come dice il poeta. Il cerchio, è vero, non si è quadrato: amore, dignità, rispetto e uguaglianza non ci sono riusciti. Ora si sa. Non si quadrerà mai. Ma qualcosa è migliorato senz’altro da quegli anni, qualcosa di bello e di buono c’è. Progressi positivi in campo psicologico e sociologico ci sono stati ma noi non ne parleremo. Ci occuperemo solo di bellezza e di 6
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dolcezza... dei menu di nozze e delle torte. E dunque viva la dolcezza dello zucchero e del miele, l’amaro delle mandorle, il colore dell’alchermes, il candore delle chiare e della panna montata, il luccichio di confetti e confettini e l’amaro del cioccolato fondente.
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Lassu', al poder e Poggino Ponte d'Ar bia Maria e Savino 1909
Letter a di Savino a Mar ia Trascrizione fedele
Novembre 1909 Maria... È èdamolto tempo che io Volevo scriverti perche un pensiero così forte mi siè fermato sulla mente e una palla sulmi povero Cuore perche io ò sempre la mente sopra alle tue bellezze. Sì sì cara Maria io penso sempre atte. Enno mi posso Mai scordare di te. Nonvie altra persona sopra alla terra che possa farmi fermo di pensiero commette. Seavessi una risposta
Come io desidero. E seppoi invece sarà di ferente O quanto mi farai patir. Io non avrei altre contenteze settu mi dicessi sì, sì vieni quassù accasa mia. O! che contenteza mi parrebbe di essere il più contento di questo mondo e il più grande el più felice. Ma però fintanto nonò avuto la tua risposta mi sembra d’impazzireo di dovè campar male eche le mie parole siano inutili e come òddetto era così da tanto tempo ma non ò avuto mai coraggio perché le tue bellezze mi pare che io non possono essere uguale alle tue.
Ma con questi pensieri sulcuore e sulla mente non potevo resistere e mi soffatto coraggio e ò preso la carta ella penna. E son venuto a scriverti cosa desidero da te una buonarisposta. Più presto che sia possibile perché ò molto piacere di saperla presto. Dunque ai capito tutto quello che io desidero se te ci ai una risposta perme scrivimi subito e io vengo subito e senza risposta io nonmi muovo Dubito di dover fare il viaggio invano. Masperiamo bene che sia buona risposta Come io desidero.
E scuserai se nonè scritta poco bene io tengo pocastruzzione. Altro non mi resta Da dirti Perora. Ricevi tanti Saluti. E Mi Firmo Savino tuo Mio indirizzo e questo Siena Ponte D’arbia per Poggino
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La storia E Maria dovette dare una “buona risposta” al suo Savino perché meno di un anno dopo, nell’ottobre del 1910, si sposarono come testimonia il certificato di avvenuto matrimonio del comune di Murlo e quello della parrocchia di Ponte d’Arbia. Non erano ancora stati firmati i Patti Lateranensi (1929) e il matrimonio prevedeva due cerimonie distinte. Non so come sia stata la vita di Savino e Maria; certo un uomo semplice, che "tiene pocastruzzione" ma che nel 1909 riesce a scrivere "ho sempre la mente nelle tue bellezze, non vi è nessuno sulla terra che possa farmi fermo di pensiero come te". Penso che sia stato davvero di animo gentile e che lei, Maria, abbia avuto davvero
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delle qualità per aver saputo suscitare quei sentimenti. O almeno così mi piace credere dopo aver osservato a lungo osservato. Ed è proprio dalle foto, e solo da esse, che cerco di intuire qualcosa della loro vita insieme. Nella foto del matrimonio Savino ha lo sguardo dolce e il portamento fiero ed eretto (forse anche per cercare di sembrare più alto, dato che la sua statura in verità lascia
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un po’ a desiderare!). Maria appoggia la mano sinistra alla sua spalla, sicura, senza languore o affettazione alcuna. La mano destra se l’è portata di lato alla vita fina, stretta in un’alta cintura. Lui ha il borsalino “sulle ventitré”, lei ha un grande cappello con fiori e fiocchi di velo che la rendono più alta dell’uomo di diversi centimetri. In un’altra foto Maria è con i tre figli. Sola, senza Savino. Il figlio piccolo in braccio, la più grandicella alla sua sinistra che tiene la manina del neonato, l’altro maschietto in piedi, alla destra della madre, si appoggia e guarda l’obiettivo di traverso, un po’ impaurito e diffidente. Non sono belli i bambini, infagottati e impacciati nei vestiti buoni. Maria è bella, veramente bella. Fiera, ben vestita e pettinata. Non ha il cappello ma tanti “vezzi”, cioè collane e spille. E che dolcezza quello sfondo elegante, ricreato dal fotografo, con vasi importanti,
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fregi, rami che contrastano con il pavimento di pietra sconnessa e un po’ d’erba qua e là! Il pavimento è quello autentico del podere, quello che si trovava prima di entrare nell’aia mattonata, vicino all’orto, dove c’erano dei rami che erano della ficaia grande e generosa. La ficaia era il solo albero
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della tenuta, lassù al “Poggino”, dove Maria e Savino vivevano. C’è anche un’altra foto e alcuni anni sono passati, non tanti. Gli sposi sono ancora uno accanto all’altro. Savino ha il volto segnato, ma la sua è la stessa identica posa del giorno del matrimonio: la mano destra infilata a metà nella tasca dei pantaloni, la sinistra appoggiata sul tavolo. Solo il cappello è meno “sulle ventitré”, meno spavaldo. Maria, senza cappello, con i capelli raccolti, si appoggia al marito solo con il gomito. E stranamente in questo genere di foto in cui i volti sono sempre immobili, quasi pietrificati, Maria sorride. È tutto qui quello che so di loro. I parenti, Mirella ed Antonio, che gentilmente mi hanno affidato la lettera, le foto, i documenti e il menu di nozze, forse mi avrebbero potuto dire altre cose. Io invece ho preferito limitarmi ad osservare le loro foto con partecipazione emotiva, a leggere tra le righe i sentimenti che traspaiono nella lettera di
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richiesta di matrimonio e a descrivere la ricetta della bella cassata, tutta decorata e servita come dolce di nozze. Una cosa sola devo aggiungere. Dolorosa. Savino non è più tornato dalla guerra del 1915-1918. L'hanno aspettato tutto l’inverno del 1919. E anche la primavera e l’estate e forse per sempre, lassù al Poggino, Maria e i suoi tre figli. Maria le cui bellezze avevano fatto Savino “fermo di pensiero” e Savino che “teneva pocastruzzione” ma tanta capacità di amare e una rara gentilezza d’animo.
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Cioccolatini di Maria Ingredienti: 500 g di cioccolato al latte 500 g di amarene sgocciolate 500 ml di vinsanto
Sciogliere il cioccolato a bagnomaria perché non prenda l’amaro. Quando è ben sciolto farlo raffreddare un po’. Versarlo in stampini adatti. Far raffreddare ancora finché non si indurisce leggermente. Farcire con le amarene (le ciliegine messe nelle caraffine con lo zucchero, al sole, finché non si sia sciolto) e aromatizzare con il vinsanto. Richiudere i cioccolatini con il restante cioccolato, farli solidificare completamente. Rigirarli dopo un paio d’ore.
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Zuccotto
... che servi' da torta al pranzo di nozze di Savino e Maria Ingredienti: 600 g di pan di spagna 600 g di panna fresca 80 g di cioccolato fondente 50 g di canditi misti 1 cucchiaio di cacao amaro Maraschino
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Tagliate il pan di spagna a dischi di circa un centimetro di spessore, ricavate dei rettangoli
adeguati
alla
misura
dello
stampo per zuccotti, che userete, e rifinirete una parte a punta, in modo che le fette combacino al centro della cupola dello stampo. Spennellate di Maraschino le pareti interne dello stampo stesso e foderatele con
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le fette a punta. Dividete la panna in due parti uguali, amalgamando alla prima la metĂ dei canditi tagliati a pezzettini e il cioccolato ridotto a scagliette, alla seconda il cacao setacciato. Versate nello stampo foderato di pan di spagna la metĂ rimasta dei canditi e spalmate la panna al cacao su tutta la superficie interna dello stampo coperta di pan di spagna. Riempite lo spazio rimasto con la panna ai canditi e cioccolato e chiudete il fondo con un ripiano di pan di spagna asciutto e poi con uno di pan di spagna bagnato di Maraschino allungato con acqua. Coprite e tenete in frigorifero per almeno 8 ore. Rimuovetelo dallo stampo prima di servire.
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IL PR IMO GIOR NO
Il primo giorno che ti vidi mai, e disposi d’amarti fedelmente, se tu vai, io vo; sto se tu stai; e quel che fai tu fo similmente: io son contento, se tu letizia hai; e se tu hai mal, ne son dolente; se piangi, io piango; e se tu ridi, rido. E questo me ‘l comanda Amor Cupido. A. Poliziano
PER LEI
Per lei voglio rime chiare, usuali: in -are. Rime magari vietate, ma aperte: ventilate. Rime coi suoni fini (di mare) dei suoi orecchini. O che abbiano, coralline, le tinte delle sue collanine. Rime che a distanza (Annina era così schietta) conservino l’eleganza povera, ma altrettanto netta. Rime che non siano labili, anche se orecchiabili. Rime non crepuscolari, ma verdi, elementari.
G. Caproni
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DOPO VENTI AN NI
Quando arrivasti eri per me vino rosso e miele. Il sapore di te mi ardeva sulle labbra, dolce. Adesso sei come il pane del mattino. Morbido e buono. Ti assaggio poco ormai (so di che sai) Però ugualmente, di te, mi sento pienamente sazia.
A. Lowell
A FILLIN NA
Queste tue rughe, o Fillinna, preferisco al vigore d’ogni gioventù, bramo chiudere nelle palme i seni tuoi un po’ stanchi [...] più che il seno erto per giovane età. Il tuo autunno va meglio che la primavera di un’altra E il tuo inverno è più ardente che l’estate altrui. P. Silenziario
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Se tu ven issi in Autun no Se tu venissi in autunno,
Io scaccerei l’estate, Un po’ con un sorriso ed un po’ con dispetto, Come scaccia una mosca la massaia. Se fra un anno potessi rivederti, Farei dei mesi altrettanti gomitoli, Da riporre in cassetti separati, Per timore che i numeri si fondano. Fosse l’attesa soltanto di secoli, Li conterei sulla mano, Sottraendo fin quando le dita mi cadessero Nella Terra di Van Diemen. Fossi certa che dopo questa vita La tua e la mia venissero, Io questa getterei come una buccia E prenderei l’eternità. [...] E. Dickinson
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Due diversita' r esistenti... in Val di Merse Anna e Giulio Aprile 1949
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La torta d'oro Ingredienti: 3 pan di spagna o più (uno più piccolo dell’altro) Crema pasticcera Caffè Alchermes Liquore Strega 2 aranci 2 hg di burro 2 hg di zucchero vanigliato 3 hg di zucchero a velo Pistilli o polvere di zafferano Confetti, confettini dorati, argentati Ogni tipo di decorazioni di zucchero Marzapane
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Dividere i dolci in senso verticale, bagnare con il caffè e l’alchermes, cospargere ogni disco con la crema pasticcera. Coprire completamente ogni strato con il burro montato (ammorbidito) più zucchero a velo, zucchero vanigliato, liquore Strega dove si è sciolto lo zafferano. Mettere in frigo per almeno un’ora. Sovrapporre gli strati unendoli con qualche cucchiaio di marmellata di albicocche. Decorare con tutto quello che si vuole per formare un dolce capolavoro di bellezza e bontà.
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La storia Anche dietro a questa ricetta di torta nuziale c’è naturalmente un matrimonio, un matrimonio lungo cinquantacinque anni: il matrimonio di Anna e Giulio. Ma non voglio parlare delle loro vite in modo particolareggiato, Giulio è morto da poco e Anna non sta bene. Buoni e generosi, sono state persone particolari e molto diverse tra loro, fisicamente e caratterialmente. Due persone così diverse che hanno vissuto insieme cinquant’anni, ironizzando l’uno sull’altra. Lei era alta, molto alta per la sua generazione, bruna di capelli e di carnagione, “una gran bella mora”, orgogliosa, attiva, senza troppe debolezze, lavoratrice instancabile,
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autonoma ed indipendente. Nipote di nonna Annunziata, che alla fine dell’ottocento, da sola, con una figlia di pochi mesi (la mamma di Anna), raggiunse in America il marito, sposato per procura. Viaggiò per trenta giorni su uno dei famosi piroscafi che attraversavano l’Atlantico, carichi di gente che emigrava sperando di trovare fortuna e una vita migliore. E la fortuna, Annunziata, la nonna di Anna, la trovò, o meglio se la costruì, in una cittadina americana, Pittsburgh, cucinando per i minatori, compagni di lavoro del marito che lì non avevano la loro famiglia. Nonna Annunziata inventò anche un “italico cestino da viaggio” che portava alla stazione ferroviaria di quella lontana cittadina americana, pieno di paste e zuppe che, per i molti italiani che lì passavano, rievocava un nostalgico e caldo sapore di casa. Fece fortuna Annunziata, più del marito 34 Dei matr imon i.
che continuò a lavorare in miniera. Allora Pittsburgh era un nodo ferroviario importante. Lì si fermavano molti treni. Tornò in Italia piuttosto ricca e per anni continuò a parlare uno strano italiano americanizzato e a leggere la bibbia in inglese. Ma torniamo alla nostra Anna, la nipote di nonna Annunziata. Anna prese molto da sua nonna: si può dire che il destino abbia voluto saltare una generazione, la mamma di Anna era, infatti, più remissiva e tradizionalista. Anche se non è emigrata (non ne aveva la necessità) Anna ha fatto fortuna nel suo paese “colonizzando”, comprando, vendendo, sempre restando accanto al marito, autonoma, orgogliosa, ribelle. Giulio, il marito, era di famiglia abbiente, basso, biondo, massiccio, con gli occhi azzurri, piccoli e vivacissimi.
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Carattere riflessivo, animo generoso. Il loro matrimonio fu celebrato nel 1949 ed è durato fino alla morte di lui avvenuta un anno fa. Hanno "battagliato" tutta la vita. Nessuno dei due ha mai ceduto, né fatto troppe concessioni all’altro. Il giorno del matrimonio i familiari di Giulio si erano alzati molto presto per arrivare alla casa della sposa di buon ora. Trovarono ad aspettarli una colazione particolare, che doveva non solo rifocillarli ma dimostrare che in quella casa "si poteva", non c’era tirchieria. Ciambellini incotti, orzo, caffè, ma anche agnello e coniglio fritto, patate prezzemolate, fiaschi di vino e di vin santo, brodo di “locio” con la grandinina. Dopo la cerimonia, il banchetto, preparato da una cuoca di professione una settimana prima a casa di Anna, fu davvero particolare. 36 Dei matr imon i.
Non solo abbondante e ricco ma anche vario e ricercato,“senza miseria alcuna”. Di quel matrimonio non ho le foto ma, per l’affettuosa concessione della figlia Antonella, ho le ricette dei piatti più importanti e quella della straordinaria ricetta del dolce di nozze: la torta d’oro. Se ne parlò a lungo di questa torta, a Frassini, a Frosini e anche a… Iesa e a Chiusdino! Ad accompagnare la storia di Anna e Giulio due aneddoti che, pur sembrando incredibili, risultano rigorosamente testimoniati. Quando Anna andava al mare a Follonica, con sua madre, l’amica e la madre dell’amica, tutte di Frassini, da brava fidanzata inviava una lettera d’amore, una al giorno, al fidanzato Giulio che, invece, era restato al paese per lavorare. Tutto normale fin qui. Senonché lei, sapendo di non essere brava con le frasi d'amore che Giulio si aspettava, prima di partire si era
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fatta scrivere da un’amica ben sette lettere sentimentali che spediva ogni mattina al fidanzato. Con soddisfazione di tutti e due. L’altro episodio, ancora più divertente e grottesco, avvenne il giorno del matrimonio, quando il fotografo ingaggiato da Anna (secondo le consuetudini “stava” alla sposa pagare le foto) non mise la pellicola nella macchina fotografica... non perché se ne fosse dimenticato, ma perché, per “ordine” della sposa, doveva solo far finta! Doveva far solo capire agli invitati che si facevano tante fotografie e che non si badava a spese. Ma poiché, come sosteneva lei, non sarebbero servite a niente (chi se lo scordava Giulio e figurati se lui scordava lei!) e nessuno degli ospiti avrebbe mai chiesto di vedere le foto, meglio risparmiare per comprare qualcosa di utile. L’importante era che la gente non avesse di che sparlare. Non ci si doveva “far 38 Dei matr imon i.
misurare� da nessuno e poi... ognuno facesse quello che voleva per far quadrare i conti.
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A casa di Anna alle 8.00 Colazione Trascrizione fedele del menu
Colazione: latte, caffè, pasticcini giusti. Prosciutto, salame, salsicce e buristo. Galletti fritti, agnello sempre fritto con patate come contorno. Salzine differenti: maionese, salzina verde‌ Sformato di riso al forno con le uova lesse intere dentro con sugo di carne. Polpettone di patate lesse, patate prezzemolate. Dolci tutti meravigliosi ripieni di 20 qualità di crema! Per esempio: cioccolato, panna, crema moka Dolci secchi in tutti i modi.
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A casa di Giulio alle 13,30 Pranzo Trascrizione fedele del menu
Apparecchiate le tavole in tutte le stanze. Crostini misti di 10 specie diverse, minestra in brodo, carni lesse, 10 salzine, sottaceti e funghi sott’olio. Rosbif, galletti e coniglio con patate al forno. Riso sformato al sugo. Insalata. Torta di Panducale con ripieno di cioccolato, tutta ricoperta di chiare montate con lo zucchero a velo. Pinolata, crostate, ciambellini incotti, spumini, salami con ripieni vari e peschine. Vino bianco e nero di Casciano di Murlo. Vinsanto. Liquori. Il pranzo finÏ alle 10 di sera e molti erano ubriachi. Cose legger e e pesanti
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Alcune ricette di quel famoso menu di nozze
Riso ai piccioni e funghi Ingredienti: Piccioni tagliati in quarti e interi Funghi, possibilmente porcini Cipolla Brodo Vino bianco Olio Burro Sale e pepe
Fare appassire la cipolla tritata fina nell’olio senza farla soffriggere. Unire i quarti di piccione, salare, pepare e rosolare bene; bagnare con il vino bianco e far evaporare. Aggiungere il brodo e portare a cottura
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finchÊ la carne non comincia a staccarsi dalle ossa. Disossare completamente i piccioni, rimetterli nel tegame, unire i funghi e a piacere i fegatini dei piccioni. Quindi versare il riso e portare a cottura bagnando piano piano con il brodo. A cottura ultimata, come al solito, mantecare con un po’ di parmigiano ed una noce di burro. Servire il riso con i piccioni interi cotti in modo tradizionale in forno, tagliati a metà , messi in forma circolare intorno al riso.
N.B. Il riso si usava a Frassini in quanto vicino a Ponte a Macereto, unico posto in Toscana dove sono state sperimentate con successo delle risaie.
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Ravioloni di ricotta La ricetta si intende per 5-6 persone, naturalmente quel giorno la quantità degli ingredienti fu moltiplicata almeno per 10! Ingredienti: 300 g di farina 00 100 g di farina di semola 4 uova (3 intere più 1 tuorlo) 200 g di ricotta freschissima 500 g di funghi misti (ma basta che ci siano anche solo i porcini!) 2 cipolle medie Aglio, salvia, pepe nero Pecorino secco grattugiato Fare la “palla” della sfoglia con le uova e le farine. Lasciar riposare almeno un’ora. Sbattere un tuorlo d’uovo, aggiungere
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ricotta, formaggio grattugiato, tutti gli aromi a piacere (salvia, rosmarino, prezzemolo, nepitella). Dividere la pasta in due parti su di un piano infarinato e tirarla in due strisce abbastanza sottili. Mettere dei mucchietti di farcia ben distanziati su una striscia di sfoglia, sovrapporre l’altra striscia, sigillare bene con i lembi della forchetta formando dei ravioloni e tagliare con una “rotellina”. Cuocere i funghi con aglio, nepitella, sale, pepe e olio. Lessare i ravioli nell’acqua bollente (5 o 6 minuti) e scolarli con attenzione mettendoli su di un canovaccio per togliere tutta l’acqua rimasta. Mettere in un grande recipiente un po’ del sugo di funghi, quindi i ravioloni e il resto dei funghi (abbondanti!). Un filo d’olio sopra il tutto e portarli fumanti in tavola.
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Ciambellini incotti
Ricetta tradizionale e ormai quasi dimenticata Ingredienti (per circa 35 ciambellini): 3 kg di farina 00 10 uova 800 g di zucchero 150 g di rosolio di menta 150 g di olio 200 g di burro 1 arancio e 1 limone (succo e scorza) 30 g di anici in semi 3 buste di lievito Bertolini
Impastare tutti gli ingredienti formando un rotolo. Tagliare a fette alte formando un ciambellino, cioè facendo un buco e allargandolo. 46
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Vengono cotti quindi nell’acqua bollente per ben due volte e quando vengono a galla (in superficie) si mettono in un “panno” bagnato e strizzato bene bene. Quando sono freddi si incidono con un coltello tutto lungo la circonferenza del ciambellino. La seconda cottura avviene in forno, ben distanziati l’uno dall’altro fino a quando non assumono un bel colore dorato.
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Incontr i dautor e
Cautela
Solo me e nessun altro dice di volere la donna mia, quand’anche Giove la volesse. Lo dice, sì, ma quanto dice una donna, all’amante che brama sentirselo dire, è scritto nel vento o sull’acqua che scorre
G.V. Catullo
Don na Valente
[...] Donna valente , quel vostro anello che mi deste , di tanto mi soccorre, che in lui lenisco i miei dolori quando lo miro, e mi ritrovo piu` allegro d`uno stornello [...] G. de Bourneil
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Nelle cr ete senesi fra chitar r e e sogn i Gemma e Fhara Settembre 1970
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La storia Il ’68 era passato da due anni ma Gemma e le sue amiche senesi erano state toccate da quegli avvenimenti sconvolgenti solo in un modo ovattato, in quella cittadina di provincia, refrattaria da sempre alle rivoluzioni di ogni tipo. Il sogno degli studenti di Parigi, il progetto utopico e idealizzato di un mondo da cambiare, era ancora intatto per loro durante quel soggiorno-studio nella Ville Lumiere, rivoluzionaria e carica di fascino. L’arrivo a Parigi, Port d’Orleans la città universitaria. Un mondo a colori. Gemma e Fhara si incontrano lì, nella mensa della cité. Sul muro davanti a loro c’era scritto: Soyez réalistes, demandez l'impossible.
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Siate realisti, chiedete l’impossibile. Lui era senegalese, uno dei tanti figli della grande famiglia del presidente Senghor. Aristocratico nei modi e nel portamento, francese perfetto, musicale, colto. Lei molto bella, di famiglia piccolo borghese, apparentemente dolce ma volitiva, determinata a trasformare ogni sogno in realtà. O meglio, con un carattere propenso a illudersi, a credere sempre che ciò che desiderava fosse vero, che il suo desiderio avesse in sé il potere di realizzarsi. Il suo sogno in quel luglio del ’70 era l’amore per quell'affascinante straniero, naturalmente da lui condiviso. Quando si tenevano per mano, nelle strade del Quartiere Latino, la gente si voltava a guardarli sorridente. Erano belli. Erano la speranza, il futuro vagheggiato. Dopo due mesi il soggiorno a Parigi finì come era cominciato: diversi metri sopra 54 Dei matr imon i.
il cielo. Di nuovo in Italia, la provincia, la famiglia. I profumi parigini arrivano sempre più attenuati. Delicati, soffusi, un po’ nostalgici e intermittenti. L’estate si era fatta stanca. Decisero allora di incontrarsi di nuovo, in Toscana. Forse la magia era ancora con loro, forse sposandosi avrebbero potuto continuare a sfidare le convenienze e nella lotta comune rinsaldare i sentimenti. Potevano, erano giovani, belli, intelligenti, colti. Si sposarono nelle crete senesi, alla fine del settembre del 1970. Lei aveva del denaro e una casa data in uso da una nonna compiacente e nostalgica. Poteva lavorare, era laureata. A lui continuavano ad arrivare i mensili che la sua famiglia aveva destinato ai figli che studiavano in Europa. Tentarono, insomma, di far continuare il sogno, ma i sogni non possono mettere radici né a Parigi né nelle crete senesi. L’utopia ha casa nel futuro, non può stare
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tra le pareti limitanti della quotidianità. Tentarono, ma era impossibile. Del resto avevano così poco in comune, così poco era il tempo trascorso insieme ed enorme invece la distanza dei loro vissuti. Si lasciarono un anno dopo. Ora vivono in due continenti diversi. Non ci sono stati figli, non ci sono state tragedie e rancori. Malinconia sì, tanta; ma, come si sa, la malinconia è il piacere di essere triste. Si erano conosciuti leggendo l'Antologia di Spoon River e le poesie di Prévert, ascoltando Breil e Becaud, Guccini e Battisti. Ed è forse anche grazie alla magia della musica e della poesia che si sono lasciati senza cattivi sentimenti. Di loro ho ancora il menu del pranzo di nozze (in verità un picnic) e qualche disegno fatto da un’amica. Non ci sono fotografie per ricordare quel giorno e non so quanto fedeli siano gli acquarelli. Ma è meglio così: la pittura è tanto più gentile, indulgente e generosa delle foto e più si 56 Dei matr imon i.
confà a chi non ha voluto vivere la realtà e ha continuato a sognare l’impossibile. C’è il ricordo indelebile di quel giorno di settembre in Toscana, le coroncine e i mazzi di fiori, i colori ancora caldi dell’estate che stava finendo, l’odore della terra e dell’erba, il suono delle chitarre. E poi la visione e la ricetta di quella torta patetica, kitsch a pensarla ora, ma assolutamente adatta a quella atmosfera di speranza e fiducia: due pan di spagna, uno accanto all’altro, a formare un grande cuore ricoperto metà di glassa al cioccolato e metà di glassa bianca. Piccole rose rosse “di macchia” formavano un "F" nella glassa bianca e una "G" nella glassa nera. La torta dell’utopia.
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Dolce all'acqua Ingredienti: 1 bustina di lievito 6 uova 500 g di zucchero 12 cucchiai d’acqua 250 g di farina di grano 250 g di fecola di patate Dividere dai tuorli le chiare, i primi sbatterli con lo zucchero e 2 cucchiai d’acqua, (per sbatterli meglio aggiungeteci la fecola di patate con 4 cucchiai d’acqua). Dopo aver mescolato bene aggiungete la farina di grano con 6 cucchiai d’acqua e lievito. Preparare una teglia unta e spolverizzata di farina, montare le chiare a neve aggiungerle al composto. Mettere il tutto nella teglia, a bordo alto, ed infornare a 180 gradi. 58
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Peschine Ingredienti: 2 uova 300 g di zucchero 200 g di burro 500 g di farina Alchermes 1 bustina di lievito Mescolare bene gli ingredienti, fare delle palline e metterle nel mezzo guscio esterno delle noci. Mettetele in forno a 150/160 gradi fino a quando la pasta non è diventata color oro. Quando si sono raffreddate togliete la pasta cotta dal guscio di noce e all’interno mettete la crema o il cioccolato (se desiderate potette mettere la panna). Unite le due metà , bagnatele con l’alchermes e spolverizzatele con lo zucchero.
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Biscottini alla Flora di Monteoliveto Ingredienti: 1 bicchiere di zucchero 1 bicchiere d’olio di semi ½ bicchiere di Flora di Monteoliveto 4 bicchieri di farina 00 1 bustina di lievito Mescolare tutti gli ingredienti, formare dei cordoncini e tagliarli a tocchetti. Cuocere in forno a 180 gradi per 20 minuti.
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Incontr i dautor e Meditation 1
Ci si ama per caso all’inizio, Per gioco, per curiosità Per aver letto delle possibilità In uno sguardo E poi, siccome in fondo Si ama molto solo se stessi, se qualcuno ci ama lo amiamo per similitudine. Ci siamo riconosciuti, Ci compiaciamo di condividere i più piccoli dispiaceri. Subito, allora, si prende L’abitudine di dirsi tenere parole. E quando ci siamo detti Per lungo tempo le stesse cose Ce le ridiciamo senza pensarci. E allora dio mio, si ama Perché si è incominciato. Paul Géraldy
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Meditation 2
Sebbene ci si ami e si soffra insieme In fondo ci assomigliamo Molto poco. Basta una piccola discussione PerchĂŠ fra di noi si aprano Degli abissi. Ci crediamo perduti nella Tenerezza, Ma quando non si tratta di Carezze Ci si comprende solo a metĂ . Se tu fossi stata un uomo Saremmo stati almeno amici? Paul GĂŠraldy
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Saggezza
Non mostriamoci troppo esigenti, non è accessibile la Felicità a ogni genere di gente. Bisognerebbe essere meno sensibili oppure avere soldi in quantità... Non chiediamo l'impossibile: noi dobbiamo trovarci contenti d'essere quello che siamo: innamorati intermittenti, cioè: pazzi l'un dell'altra, ma di tempo in tempo. É già molto essere in due fianco a fianco sulla terra e soffrire insieme e vivere senza star troppo in silenzio. E se avendo più esigenze, se pensandoci sentiamo di avere l'anima ancora troppo nubile, questo è segno di troppa intelligenza o di brutto carattere... Paul Géraldy
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Nella profonda provincia francese un matrimonio letterario
Emma e Charles Francia 1870
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La storia Figlia di un ricco fattore, Emma Rouault sposa Charles Bovary, un modesto medico di campagna, vedovo recente di una donna anziana ma ricca e si stabilisce in un piccolo paese. Emma, educata in un convento, ha sviluppato una sensibilitĂ romantica. Crede di poter soddisfare il suo gusto per la vita brillante sposandosi, ma non tarda a scoprire la mediocritĂ del marito e del suo entourage. Un ballo al castello del marchese de la Vaubyessard risveglia il suo amore per il lusso e la sua tendenza ai sogni, ma il confronto che con la propria vita si rivela impietoso e scatena in lei una vera malattia nervosa.
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Nel tempo diventerà l’amante di Rodolfo, don Giovanni scontato e superficiale e di Leon, pusillanime e debole. Emma, fin dall’adolescenza, si è immersa in letture romantiche che hanno acuito il suo lato portato a sognare. Non vuol migliorarsi per pigrizia e non sa capire per stupidità, che l’esistenza alla quale è destinata non ha nulla in comune con quella delle eroine romantiche, che le servono da modello. Vittima di una eterna adolescenza che le impedisce di superare l'età delle illusioni, convinta di aver diritto a sentimenti delicati e alla vita lussuosa, Emma è incapace di percepire correttamente la realtà: sogna la vita invece di viverla. Avida di amore e di passioni intense, di ideali e di tentazioni mistiche, si esalta all’improvviso e rapidamente cade in depressione, in preda a cambiamenti di umore capricciosi. Ritrova sempre più 68 Dei matr imon i.
dentro di sé un sentimento di vuoto e di malessere esistenziale. Emma scivola inesorabilmente sulla china che la conduce verso la noia, l’adulterio e, infine, il suicidio. È l’incarnazione letteraria di una malattia psicologica che prenderà proprio il suo nome: “bovarismo”, cioè l’attitudine maladive a nutrirsi di illusioni, a vedersi come non si è, a credersi come si vorrebbe essere.
Le nozze Emma Rouault avrebbe voluto sposare Charles Bovary a mezzanotte e festeggiare al lume delle fiaccole, ma il padre si oppose e il matrimonio venne celebrato, come di consueto, la mattina. I quarantatré invitati giunsero di buon ora, restarono a tavola
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per sedici ore e tornarono il giorno dopo a mangiare il cibo rimasto. Emma e Charles andarono in municipio a piedi, seguiti dal piccolo corteo. Al ritorno tutti si accomodarono intorno al tavolo preposto sotto l’hangar dei carri. “C’erano quattro lombate di bue, sedici di pollo, un umido di vitello, tre cosciotti di agnello arrosto e, nel mezzo, un maialino arrostito allo spiedo, circondato da quattro salsicciotti”. Caraffe di acquavite, sidro. Sui piatti dei budini “tremolanti” erano tracciate le iniziali degli sposi. La torta nuziale era un monumento architettonico in forma di tempio con colonne, portici, torri, rocce e praticelli. Si continuò a mangiare fino a sera, scrive Flaubert. Ed Emma non sorrise mai.
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Torta Regina Bianca Ingredienti: un dolce all’acqua o un pan di spagna caffè vinsanto o liquore a piacere crema fredda burro montato
Crema fredda: Lasciare ammorbidire un etto di burro, lavorarlo con tre tuorli, 4 cucchiai di zucchero semolato, un cucchiaio di zucchero vanigliato, un cucchiaino di cacao amaro. Burro montato: Ammorbidire un etto di burro con 150 grammi di zucchero a velo e 100 grammi di zucchero vanigliato.
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Dividere il dolce in senso orizzontale in 2 o 3 parti. Bagnare gli strati alternativamente con il liquore e con il caffè e cospargere ogni strato con la crema fredda. Ricoprire interamente ed uniformemente con il burro montato. Decorare con tante roselline di zucchero o di marzapane con confettini d’argento o d’oro.
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Quaglie en sarcophage Ingredienti: 12 quaglie fegatini di volatili funghi tartufi neri 1 fettina di lardo per ogni quaglia Scalogno 3 bicchieri di 4 bicchieri di brodo Sale e pepe Pulire, lavare e disossare le quaglie. Cuocere il lardo a con i fegatini, con i tartufi, i funghi, prezzemolo, scalogno, pepe e sale. Tritare bene il tartufo. Farcire le quaglie con una parte di questo ripieno aggiungendo un pezzettino di tartufo.Legare le quaglie e sistemarle in una teglia. Bagnare durante la cottura con vino e brodo.
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Dopo qualche minuto disporle, una ad una in piccole terrine su un "letto" abbondante del ripieno avanzato. In forno per 10/12 minuti.
Gigot di agnello (Francia 1850) Ingredienti: 1 coscio d’agnello di circa 2 kg 100 g di burro fuso 70 g di burro normale Timo, sale, pepe Infilare 4 pezzi d’aglio nel cosciotto dopo averlo inciso e incidere in piÚ punti la carne per consentire al sugo di cottura di venire fuori. Mescolare il burro fuso con timo, sale, pepe. Ungere un recipiente da forno e sistemarvi il cosciotto insieme al burro fuso e lo scalogno a pezzettini. Scaldare il forno a mettere il gigot a cuocere per almeno un’ora. Va servito con patate al forno. 74
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Fricassea di pollo (Francia 1850)
Ingredienti: 1 pollo 1 limone 30 g di burro 4/5 cipolle 1 cucchiaio di farina 2 etti di funghi 1 cucchiaio di aceto 1 bicchierino di panna 3 rossi d’uovo Odori, sale, pepe Strofinare i pezzetti di pollo con il limone. Mettere i pezzi di pollo in un tegame con burro, sale, pepe, succo di limone. Farli dorare. Aggiungere qualche cipolla e un mazzetto di odori.
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Spolverare di farina e lasciar cuocere un’ ora (un po’ di più) a coperchio chiuso. Aggiungere i funghi (precedentemente insaporiti) e un cucchiaio di aceto. Cuocere ancore per una mezz’oretta. A cottura ultimata, mescolare un bicchierino di farina a 3 rossi d’uovo e versare nel sugo di cottura che si sarà formato. Servire.
Pane alle noci (Francia 1880) Ingredienti 800 g di farina 50 g di di lievito da pane un cucchiaio da caffè di sale 3 bicchieri d’acqua 200 g di noci spezzettate Sciogliere il lievito in un bicchiere d’acqua 76
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tiepida; aggiungere il sale. Versare la farina in una terrina e aggiungere le noci. Mescolare. Formare al centro della terrina un spazio e versarvi il tuorlo dell'uovo, il lievito sciolto; e poi mescolare aggiungendo a poco a poco il resto dell’acqua (non troppo fredda). Lavorare la pasta finché non diventa morbida ed elastica. Ungere una terrina dai bordi alti, posarvi la pasta, coprire con un canovaccio e far riposare per 2-3 ore non lontano da una fonte di calore. Ogni mezz’ora scuotere dolcemente la terrina. Quando la pasta è lievitata, cuocere in forno (con o senza coperchio: dipende da quanto è cresciuto l’impasto) per circa un’ora.
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Pane al cumino
Seguire la ricetta precedente mettendo 100 g di cumino invece che le noci.
Pane alle olive e alle acciughe (Francia 1880) Ingredienti 800 g di farina 50 g di lievito di pane un cucchiaio da caffè di sale 3 bicchieri d’acqua 100 g di olive senza nocciolo 100 g di acciughe sott’olio Cominciare a lavorare la pasta come nella prima ricetta. Spezzettare le olive e le acciughe e aggiungere anche l’olio delle acciughe. Amalgamare bene le olive e acciughe con la farina, prima di versare l’acqua. Procedere poi alla lievitazione e alla cottura. 78
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Cielo inquieto
Si direbbe coperto da vapore il tuo sguardo E l’occhio misterioso (azzurro, grigio o verde?) Di volta in volta tenero, sognante, crudele Riflette l’indolenza e il pallore del cielo. Ricordi i giorni bianche, tiepidi e velati Che fan sciogliere in pianto i cuori stregati? Somigli, a volte, a quegli orizzonti incantevoli Che nelle brumose stagioni, accendono i soli O donna del pericolo, amerò pure La tua neve e le tue brine splendenti E mi saprò procurare dall’impietoso inverno, Piaceri più acuti del ghiaccio e del ferro. B. Baudelaire
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Cur iosita'
1. In occasione delle nozze di un rampollo della sua famiglia, il cardinale Annibale da Ceccano, imbandì nella sua villa di campagna un grande pranzo: dopo molte portate giunse nella sala “una fontana dalla quale si potevano spillare 5 qualità di vino”. Al dessert vennero serviti due alberi, uno sembrava d’argento e sui suoi rami spiccava frutta dorata: mele, pesche, uva; l’altro che aveva foglie verdi di marzapane presentava rami carichi di frutta candita multicolore. 2. Il pranzo del figlio di Giovanni Ruccellai con Nannina dei Medici (nipote di Cosimo) nel Maggio del 1446 iniziò la domenica mattina con un biancomangiare di capponi lessi e un arrosto dorato di pollastrine. Si concluse la sera del martedì con una gelatina multicolore, arcobaleno di frutta. C’erano 1500 invitati.
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Conclusion i
C
on un po’ di ironia celebriamo i cento anni trascorsi dalla lettera di Savino a Maria, osservando come tutto può cambiare in nemmeno un secolo e parliamo ancora di tradizioni e di regole dei matrimoni ma questa volta... dei secondi matrimoni! In calo continuo le prime nozze, sono invece in progressivo ed ostinato aumento le seconde. Si dice che siano più motivate delle prime, più entusiaste, perché non seguono lunghi e stancanti fidanzamenti o convivenze che fanno arrivare spenti al municipio (o all’altare).
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E poi c’è una sorta di rivincita specialmente da parte delle donne che vogliono festeggiare. Festeggiare non strafare. Niente velo naturalmente, nemmeno abiti da principesse o grandi feste seguite da balli più o meno scatenati. Ma poiché, come si è detto, non si sfugge mai del tutto alle regole, eccone alcune anche per questo secondo, fatidico, momento: - Abiti corti da preferire a quelli lunghi, in ogni caso non bianchi ma nemmeno di colore troppo scuro; scegliere abiti particolari, chic, glamour. - Per i regali, poiché i secondi sposi hanno già tutto (o per lo meno quello che resta dei preziosi piatti del servito di porcellana della Royal Doulton o degli scintillanti bicchieri di Baccarat, dopo che gli ex coniugi se li sono “tirati dietro”), largo agli oggetti di design, anche in plastica, ma colorati e allegri (almeno non si rompono anche in caso di lite violenta) o oggetti simbolici pensati per ricominciare una seconda vita. - Gli invitati, non tanti e sconosciuti, ma pochi e importanti. - Niente bomboniere, per carità, ma mise en
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place e menu bellissimi, senza regole rigide: armonici, leggeri, divertenti, sia che siano vintage, provenzali o gustaviani. - E sì alla torta. Grandissima a un piano, dieteticamente corretta con poca crema e tanta frutta fresca o trasgressiva e provocatoria con la bontà di tutti i tipi di cioccolato: amaro al 95% amaro al 70% amaro fondente, al latte, al gianduia… passando per tutte le sfumature di sapori, di odori e di gusti. Finalmente la famosa quadratura del cerchio in un’illusione di leggerezza! Ci siamo riusciti. Con la torta di cioccolato. Unione e uguaglianza nella diversità. Finalmente. La torta al cioccolato: come il matrimonio, cose leggere e pesanti. Ossimoro perfetto.
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Torta di cioccolato
La quadratura della torta‌ tonda Ingredienti: 50 g di cioccolato semidolce 260 g di burro 250 g di farina 9 uova 250 g di zucchero 150 g di mandorle macinate Una bustina di zucchero vanigliato 2 cucchiai di fecola 50 g di cioccolato fondente 40 g di margarina 3 cucchiai di cacao amaro 200 g di zucchero a velo 8 cucchiai di panna 6 cioccolatini al latte Fate sciogliere il cioccolato semidolce a bagnomaria, mescolate continuamente, in una terrina sbattete 100 g di burro con 220 g di Cose legger e e pesanti
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farina, 75 g di zucchero e 6 tuorli, continuate a sbattere e aggiungete il cioccolato fuso. In un’altra terrina montate a neve i 6 albumi con 75 g di burro ed incorporate il composto alla crema di burro e cioccolato, aggiungete anche le mandorle a manciate, amalgamate il tutto molto bene e delicatamente. Imburrate uno stampo per torte possibilmente dal cerchio sganciabile, spolverizzate lo stampo con la farina e mettete l’impasto nello stampo. Mettete l’impasto nel forno caldo e lasciate cuocere la torta per un’ ora, anche qualcosina in più, a 180 gradi. Quando la torta sarà pronta toglietela dal forno, lasciatela raffreddare e tagliate la torta orizzontalmente in tre dischi. Preparate la crema mescolando in una terrina lo zucchero avanzato con la fecola, poi aggiungete lo zucchero vanigliato, il resto della farina e le uova. Fate cuocere il composto a bagnomaria in acqua bollente e sbattete continuamente finché il composto non sarà cremoso e 86
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lasciatelo raffreddare. In un’altra terrina montate a crema il burro rimasto, fate sciogliere a bagnomaria il cioccolato fondente e lasciatelo intiepidire, poi aggiungetelo alla crema di burro. unite a cucchiaiate alla crema di burro e cioccolato fondente appena fatta la crema di uova e farina precedentemente preparata, aggiungete anche 70 g di nocciole macinate. Farcite con la crema i due strati inferiori della torta, ricomponete il dolce e preparate la glassa per ricoprire completamente la torta. In una casseruola fate fondere la margarina soda, lasciatela intiepidire, in un’altra scodella setacciate lo zucchero a velo e il cacao, stemperateli con la panna e aggiungete la margarina fusa, ricoprite con la glassa la torta. Con la punta di un coltello tracciate sulla torta il segno di dodici fette e mettete sopra ogni fetta un cioccolatino al latte.
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Commiato
Salutiamoci cosÏ, sommessamente, Senza pianti ne sospiri. Sarebbe sciupare tutto il piacere Rivelare al mondo il nostro dolore. Per me che amo andare per vie traverse Sei il punto fermo e il cerchio che chiude bene. Fa’ che io torni da dove son partito. J. Donne
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