Monteroni d’Arbia In occasione del Bicentenario
Monteroni d’Arbia DUECENTO ANNI DI STORIA 1810 - 2010
DUECENTO ANNI DI STORIA a cura di
Gino Civitelli
Monteroni d’Arbia Duecento anni di storia
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Monteroni d’Arbia Duecento anni di storia
Prefazione Prima parte Il dipartimento dell’Ombrone La nascita del Comune di Monteroni Un Comune povero Partire o non partire? Dopo l’Unità d’Italia La rivolta di Ponte d’Arbia L’arte di arrangiarsi Fili di speranza La produzione dei bozzoli a Radi negli ultimi cinquanta anni dell’ 800 1918 - 1922 Verso il fascismo Pirandello a Lucignano Il dopoguerra La date più significative Strade e fiumi Popolazione del comune di Monteroni dal 1810 ad oggi Gli anni ‘50 Dagli anni ‘60 ai giorni nostri Lo sport a Monteroni d’Arbia nel secondo dopoguerra Seconda parte La Misericordia Le Acli La nascita della Pubbica Assistenza Gli Imprevedibili La filarmonica Giacomo Puccini La Popolare Terza parte Ville di Corsano Storia di Ponte a Tressa Ponte d’Arbia dal 1944 ai giorni nostri Cuna
Lucignano d’Arbia
Appendice fotografica. Monteroni d’Arbia Cenni Bibliografici
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a cura di Gino Civitelli Testi di Gino Civitelli, Massimo Granchi, Alberto Ghini, Aldo Patacchini, DarioVigni, Gruppo Misericordia Monteroni, Francesco Guerrini, Elvio Angelini, Augusto Codogno, Fabrizio Cappelli, Maurizio Bernazzi, Pro Loco Ville di Corsano, Alfredo Bechi, Grazia Lippi. In occasione del Bicentenario dalla nascita del Comune di Monteroni d’Arbia La seguente pubblicazione è stata realizzata con il contributo finanziario del Comune di Monteroni d’Arbia e della Banca C.R.A.S. di Chianciano Terme - Sovicille Nessuna parte o foto di questo volume può essere riprodotta senza il consenso scritto del curatore. Referenze fotografiche Gianni Bichi, Luigi Bichi, Danilo Negretto, Gino Civitelli Giulio Bartolini, Graziano Machetti Progetto grafico e impaginazione Ippolita Lorusso, Elicona Servizi Culturali con la collaborazione di Sara Poggialini, Fabio Giomi
Un sentito ringraziamento a tutto il personale del Comune di Monteroni d’Arbia e della Biblioteca “M. Moriondo” Un ringraziamento particolare a Duccio Angelini, Eleonora Vittori, Valerio Pascucci, Massimo Padrini, Laura Silvestri, Marco Giglioli, Vasco Cappelli, Vittorio Cerretani. Foto di copertina: Monteroni d’Arbia,Via Roma. Anno 1901 Dalla Collezione Bartolini Finito di stampare Giugno 2010
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Prefazione
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on queste pagine vorremmo ricordare e in qualche modo festeggiare i duecento anni del comune di Monteroni d’Arbia. Se, infatti, ne individuiamo l’atto di costituzione nel decreto del prefetto del Dipartimento dell’Ombrone datato 12 Luglio 1810, con cui viene istituita la “Comunità di Montarone”, quest’anno ci troviamo a duecento anni da quella data. La pubblicazione, come possiamo vedere, è composta di due parti, in modo da tenere conto dei due aspetti fondamentali che ritenevamo importante mettere in rilievo: gli avvenimenti storici e la vita sociale. Nella prima parte abbiamo chiesto a Gino Civitelli di ricostruire un percorso storico che dai primi dell’800 ci conducesse fino al secondo dopoguerra. Un percorso che raccontasse le vicende, le trasformazioni, le caratteristiche del nostro territorio. Sono scaturiti una serie di brevi quadri, da poter leggere anche in maniera autonoma l’uno dall’altro, in cui l’autore ci racconta insieme alle notizie sulla nascita del comune e agli avvenimenti più importanti una sorta di storia sociale di Monteroni. I particolari sulla coscrizione militare nell’800, l’economia, la povertà e gli espedienti messi in atto per farvi fronte, la rivolta del pane a Ponte d’Arbia, l’avvento del fascismo, i lavori per la realizzazione del film “Cinci” a Lucignano, i problemi relativi all’assetto del territorio con la costruzione delle strade e dei ponti… una serie di episodi che declinano il vissuto dei nostri luoghi fino all’immediato dopoguerra. Nella seconda parte abbiamo invece voluto gettare uno sguardo sul secondo dopoguerra, sui nostri tempi. Non abbiamo cercato di ricostruire i fatti, gli avvenimenti specifici ma abbiamo chiesto alle più importanti associazioni del capoluogo e alle frazioni di raccontarsi. Una sorta di storia sociale e di testimonianze da parte di chi opera in maniera più diretta sul territorio. Vorremmo infine sottolineare un ulteriore aspetto e significato di questa opera. Il comune, a nostro avviso, costituisce oggi l’unità amministrativa e territoriale di base dove i cittadini hanno modo di auto-organizzarsi, dove si svolge l’attività sociale, dove una comunità progetta e vive le relazioni fra i propri componenti, forma e
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trasforma il proprio territorio. Un luogo in cui le scelte e le decisioni sono mediate dalla conoscenza diretta fra le persone. E’ in sostanza il fondamento della vita sociale e della democrazia. Ecco il significato più profondo di quello che intendiamo o vorremmo intendere oggi per comune. Ovviamente lo scenario moderno si pone come risultato di un processo storico e il decreto del prefetto sopra menzionato, che come abbiamo detto costituisce una sorta di atto di nascita del nostro comune, si inserisce in un quadro di riforme dell’apparato statale promosse nel periodo napoleonico. Una serie di riforme della società nel suo complesso che erano iniziate dal ‘700, erano proseguite con la rivoluzione francese e che hanno sancito il definitivo passaggio da una società feudale-nobiliare ad una moderna democrazia borghese. Ora, in estrema sintesi, vorremmo evidenziare alcuni principi, alcuni fondamenti, idee che hanno accompagnato questa evoluzione storica. L’idea dell’autodeterminazione dei popoli, la divisione e la redistribuzione dei poteri nella società, la laicità dello stato, la difesa delle libertà democratiche. Ecco cosa ci piacerebbe ricordare in questo momento. Più in particolare: l’inizio della costruzione di un nuovo assetto istituzionale, di nuove idee con cui le persone del nostro territorio hanno affrontato la storia degli ultimi duecento anni e che ci hanno traghettato nel nostro 2010 attraverso periodi molto bui come il fascismo o di importanti conquiste sociali come il secondo dopoguerra. Ecco cosa potremmo festeggiare nel bicentenario: una storia per molti aspetti nuova.
L’Amministrazione Comunale
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Il dipartimento dell’Ombrone
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l 24 Maggio 1808 l’amministrazione napoleonica divise la Toscana in tre dipartimenti: quello dell’Arno, del Mediterraneo e dell’Ombrone. Quest’ultimo, che comprendeva buona parte del Chianti, la Val di Chiana e quasi tutta la Maremma dove il fiume sbocca a mare, era sotto la giurisdizione della prefettura di Siena, capoluogo del dipartimento e delle sottoprefetture di Montepulciano e Grosseto, che costituivano tre circondari. Questi, a loro volta, erano suddivisi in cantoni (semplici unità elettorali e giudiziarie) e comuni (unità municipali), con a capo i maires. I prefetti, nominati dallo stesso Imperatore, erano capi assoluti dell’amministrazione e godevano di poteri tanto ampi da essere considerati il simbolo della centralizzazione politica ed amministrativa voluta dai francesi. Il 22 Marzo 1808 giunse a Siena, proveniente da Cuneo, il nuovo prefetto Angelo Gandolfo, raccomandato dal suo grande estimatore l’avvocato Bonci Casuccini, che in quel tempo rivestiva la carica di rappresentante del comune di Siena a Firenze. Con la nuova organizzazione, si cercò fin dal primo momento di evitare bruschi cambiamenti amministrativi che avrebbero potuto portare difficoltà e confusione applicativa danneggiando così, in qualche modo, gli affari che stavano tanto a cuore alla Francia. Questo nuovo assetto, che nel complesso conteneva molti aspetti positivi, nonostante i buoni propositi manifestati, incontrò serie difficoltà in fase di attuazione, soprattutto a causa dei vecchi funzionari granducali che vennero quasi totalmente sostituiti. Quelli riconfermati infatti furono solo 18 su un totale di 184 impiegati, di cui 40 erano francesi fedelissimi all’imperatore. Da questi 126 “uomini nuovi”, come dai maires, ci si aspettava grande entusiasmo e spirito d’iniziativa, ma ben presto queste speranze andarono affievolendosi e nello stesso tempo la perdita del ruolo e relativi privilegi di coloro che erano stati “sostituiti”, li portò ad ostacolare il cambiamento con ogni mezzo. Il risultato fu di aumentare ancora di più il distacco fra amministratori e amministrati. A Siena e quasi ovunque, la nuova struttura burocratica fu totalmen-
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te appannaggio della piccola borghesia locale, i cui elementi, secondo un cronista dell’epoca, erano in massima parte giacobini e frammassoni, ed avevano, guarda caso, una sede in un luogo detto La Loggia. L’altra grossa difficoltà che si presentò alla nuova amministrazione, fu quella relativa alle liste di coscrizione: a partire dal 1808 furono emessi ordini di reclutamento obbligatorio ai quali la popolazione reagì con forza, ribellandosi ai gendarmi francesi. Ad Abbadia, Montalcino, Murlo, ma anche in Val d’Arbia ci furono delle vere e proprie sommosse e da quel momento la popolazione cercò in ogni modo di aiutare i coscritti i quali preferivano darsi alla macchia piuttosto che essere arruolati nelle armate napoleoniche. Questo fatto alimentò numerosi fenomeni di brigantaggio, che sommati alla repressione dei tumulti, diede molti problemi alla polizia del Dipartimento dell’Ombrone. A causa delle necessità militari, ben presto aumentarono le tasse sulle popolazioni che già vivevano in condizioni di estrema povertà, alle quali venivano anche imposti sequestri di cavalli e di bestiame, oltre alla requisizione di alloggi civili utilizzati per ospitare le numerose truppe che sempre più spesso erano costrette a sostare in città e nei paesi durante le marce di trasferimento.
Mappa relativa alla divisione tra il comune di Buonconvento e quello di Monteroni (1808) A.C.M.
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La nascita del Comune di Monteroni
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’avvento della dominazione francese nel Granducato di Toscana mutò radicalmente l’assetto amministrativo voluto nel 1777 da Pietro Leopoldo che aveva voluto accorpare in grandi comuni la precedente frantumazione amministrativa.
Registro delle deliberazioni della Prefettura dell’Ombrone in cui si definiscono i nuovi confini del comune di Buonconvento e Monteroni (A.C.B.)
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Il concetto leopoldino di “Comune” era molto diverso da quello attuale, a parte le competenze, molto marginali, non era certo l’espressione di tutti i cittadini ma un ente rappresentativo dei proprietari del territorio, tanto è vero che i componenti della giunta venivano estratti a sorte fra coloro che possedevano beni stabili nel Circondario. Dopo l’annessione della Toscana all’Impero francese e l’insediamento della nuova Giunta di Governo presieduta dal generale Menou, nel Maggio del 1808 si cominciò a riformare la pubblica amministrazione con l’adozione di forme di controllo sociale che i toscani non avevano mai sperimentato in precedenza. Nella zona a sud di Siena ci si accorse ben presto che il comune di Buonconvento, a causa della sua vastità, aveva presentato seri problemi nel settore della viabilità, della regimazione delle acque e nel controllo amministrativo. Fu così deciso di costituire il comune di Monteroni d’Arbia, con la promulgazione di due decreti della Giunta straordinaria di Governo della Toscana in data 1 e 16 Dicembre 1808, ma l’atto definitivo fu firmato dal prefetto del Dipartimento dell’Ombrone - Circondario di Siena il 12 Luglio 1810. Il territorio del nuovo comune di Monteroni fu creato ritagliando la parte nord del comune di Buonconvento, (ad eccezione dei comunelli di Montorgiali e Radi di Creta che furono riuniti alla comunità di Murlo) e di una piccola parte delle Masse di Siena. Gli antichi comunelli che entrarono a far parte del nuovo comune furono: Lucignano d’Arbia, Corsano, Caggiolo di Val d’Arbia, Grotti, Palmoraia, Ponsano, Mugnano di Creta, Pino a Sorra, Poggio a’ Frati, Quinciano, San Sano Gherardi, Stine, Noceto, Saltennano d’Arbia, Sovignano, Villa Randagia, Fontanella, San Giovanni a Pompeggiano (Ville Petroni), San Lazzarello.
Decreto di Vittorio Emanuele II, re d’Italia Timbri della Comunità di Monteroni
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Al momento dell’insediamento Monteroni eletto capoluogo contava solo 369 abitanti, mentre Lucignano con 703 era la frazione più popolata, seguita da Corsano con 472 e Cuna con 356; questa situazione si protrasse per lungo tempo, costituendo una delle caratteristiche più importanti nello sviluppo economico e sociale della zona. Alla fine del periodo di dominazione francese l’autorità granducale si insediò di nuovo al governo in Toscana e il 27 Giugno 1814 emise un editto con il quale veniva genericamente disposta la restaurazione della precedente organizzazione, ma non venivano modificati i confini territoriali stabiliti dai francesi. All’atto della sua fondazione, il nuovo comune fu denominato “Comunità di Montarone” che nel 1814 fu cambiato in “Comunità di Monteroni”. Il 12 Agosto 1862, fu presentata istanza al Ministero dell’Interno per assumere una nuova denominazione e il 21 S,ettembre 1862, il re Vittorio Emanuele II emanò un decreto con il quale si autorizzava la Comunità a chiamarsi definitivamente Comune di Monteroni d’Arbia. Per lungo tempo però gli organi municipali non ebbero una propria sede a Monteroni e gli uffici principali, oltre alle riunioni degli amministratori, si svolsero a Siena fino all’anno 1868. L’anno precedente, dopo una lunga ristrutturazione, furono finalmente aperti i locali del Comune in via Roma, parte dei quali erano occupati dall’antica locanda dell’Angelo che continuò a svolgere la propria attività fino all’anno 1903. L’edificio, data la sua ampiezza, poté ospitare anche la caserma dei carabinieri, la scuola, un ambulatorio del medico e la sua abitazione.
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Un Comune povero
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Gruppo di scariolanti monteronesi alla fine dell’800
ullio Giorgi fu il primo maire di Monteroni ed essendo un grande possidente terriero abituato a dare ordini, non era certamente quello che oggi si direbbe un amministratore democratico, comandava e basta. Calatosi perfettamente nel nuovo ruolo, i suoi primi atti furono tesi ad affermare con un tono abbastanza sostenuto, al suo collega di Buonconvento, che d’ora in avanti non ci sarebbero stati nei suoi confronti atteggiamenti di sudditanza, né tantomeno avrebbe tollerato intromissioni nelle scelte del “suo” comune. Dopo solo tre anni di governo, il Prefetto Gandolfo era rimasto alquanto deluso dell’attività dei maires, perciò provvedette alla loro rimozione quasi ovunque con esponenti della nobilità. A Monteroni furono nominati per brevi periodi Ferdinando Ballati-Nerli, Giustiniano Mocenni e Niccolò Buonsignori. Costoro fedeli alle direttive francesi, non fecero altro che inasprire il regime fiscale e quello della leva militare, facendosi sempre più odiare dal popolo. Nel Gennaio 1814, dopo il crollo napoleonico e l’incalzare delle truppe di Gioac13
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chino Murat, il Prefetto Gandolfo potè salvarsi dall’ira popolare solo perchè aveva al fianco Giulio Bianchi Bandinelli, mentre l’ingegnere del catasto Delorme, fuggì portandosi dietro tutti i documenti catastali. Il periodo successivo, quello che va dal 1815 al 1830, detto comunemente della Restaurazione, si aprì con alcuni anni di grave crisi economica: le guerre napoleoniche si lasciavano dietro miseria, carestia e disoccupazione, facendo rinascere barriere doganali scomparse, mentre opere ed iniziative grandiose concepite nel clima dell’Impero venivano abbandonate. Nel 1820 fu eletto gonfaloniere Luigi Metello Bichi Ruspoli, il quale
La famiglia Gallo di Monteroni ritratta alla fine dell’800
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si trovò ad approntare il nuovo catasto e di conseguenza a dover approfondire la situazione socio-economica che si trovava ad amministrare. Dalla sua relazione forse un po’ enfatizzata, ma comunque reale, risultava che il territorio di Monteroni era “per 7/8 sterile, incolto e scarsissimo di pascolo salvatico” e a questo andavano sommate le superfici a bosco che riducevano la produzione dei cereali, mentre la produzione di seta era “piccola ed incerta”. Le condizioni di vita dei contadini erano veramente miserevoli: costretti a farsi prestare dai proprietari il grano e la biada per potersi sfamare, finivano per indebitarsi tutta la vita. Una realtà molto diversa da quell’ “imprenditoria diffusa nel settore agricolo”, come sognavano i francesi. A questo quadro pesantissimo andavano aggiunti i danni prodotti dalle frequenti piene dei fiumi e torrenti e la condizione degli alloggi a dir poco fatiscenti, i quali, si legge in alcune cronache, non avevano “vetri o altre protezioni alle finestre”. A Monteroni non esistevano fabbriche o opifici e c’era un solo torchio per l’olio e per quanto riguardava le manifatture, vi si trovava una filanda di seta e la gualchiera di Girolamo Giannelli. Nel 1888 fu inaugurata un’industria di filatura e tessitura della lana di proprietà della famiglia Bichi Ruspoli Forteguerri, che contava 200 fusi, 19 addetti tra cui 5 minorenni e un indotto di 340 telai dislocati in tutto il comune di Monteroni. Era senz’altro, dopo l’agricoltura, la maggior fonte d’occupazione per tutto il paese. Esistevano inoltre cave di pietra da calcina a Grotti, La Selva e Campriano da cui si traeva un ottimo materiale, fornaci a San Fabiano, Radi, Lucignano, Quinciano e Corsano che producevano mezzo milione l’anno di laterizi, ma erano lavori a carattere stagionale che non davano molta sicurezza agli occupati e alle loro famiglie.
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Partire o non partire?
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Intimazione al parroco di Monteroni affinchè compili in modo “ben particolarizzato” gli stati d’anime per la mobilitazione immediata. 9 Marzo 1849 A.C.B
utta la materia della coscrizione militare era regolata dalle leggi francesi fatte pubblicare dalla giunta l’11 Luglio 1808, ma gran parte delle funzioni relative erano attribuite alle amministrazioni municipali. Queste, infatti, dovevano compilare le tabelle dei giovani dai 20 ai 25 anni fra cui sarebbe stata fatta una scelta per la formazione definitiva delle liste di leva. I coscritti del Dipartimento dell’Ombrone, prima di essere destinati ai vari reggimenti dell’armata napoleonica, venivano concentrati nella fortezza di Siena, dove ricevevano“un pane di quattro libbre da durarli due giorni e due minestre e un soldo”. Chi era costretto a partire, ma aveva disponibilità economiche, poteva pagare un altro e mandarlo al suo posto, versandogli da 80 a 100 scudi, per gli altri, come sarebbe accaduto in seguito, non c’erano altre alternative: dovevano presentarsi o darsi alla macchia. Per le famiglie, essere private delle migliori braccia era una vera e propria condanna! Il servizio militare a quel tempo durava sei anni e successivamente sarebbe aumentato addirittura a otto anni. Dal 1853 le liste venivano stilate per sorteggio fra i nominativi di delegazione: Buonconvento, Montalcino e Murlo formavano una delegazione, mentre Monteroni faceva parte con Siena. Il 16 Aprile di quell’anno, i coscritti della delegazione della Val d’Arbia, si recarono a Montalcino per la “tratta” (il sorteggio). Fortuna volle che nessun buonconventino venisse sorteggiato per il militare e durante il ritorno, fra la felicità di tutti, fu deciso di effettuare una pubblica funzione di ringraziamento al SS.mo Crocifisso, il cui simulacro si venerava nella chiesa parrocchiale. La prima domenica di Maggio, coloro che l’avevano “scampata”, si ritrovarono tutti in chiesa e reggendo ognuno una torcia accesa assistettero a diverse messe cantando inni e salmi di ringraziamento. La notizia di questa cerimonia arrivò alle orecchie dei montalcinesi i quali, già arrabbiati per la malasorte, si rivolsero al tribunale denunciando i buonconventini di “non voler servire il loro Sovrano”. Le cronache narrano che “intervenne una persona autorevole e tutto fu posto a tacere”.
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Dopo l’Unità d’Italia
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l 20 Marzo 1865, entrò in vigore la “Legge per l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia”. Questa legge non si limitò ad abrogare gli ordinamenti degli Stati preunitari, ma introdusse profondi cambiamenti nei comuni: il Cancelliere fu sostituito da un Segretario comunale che aveva il compito di assistere la Giunta e il Sindaco nei loro compiti amministrativi, quest’ultimo veniva nominato dall’autorità centrale fino al 4 Maggio 1898, quando con un regio decreto, cominciò ad essere eletto direttamente dai consiglieri. Il 20 Giugno 1865 si svolsero a Monteroni le prime elezioni amministrative. Il consiglio comunale eletto era composto da venti membri, con una Giunta di quattro assessori, sindaco fu nominato Carlo Grisaldi del Taia, che dopo pochi mesi delegò le proprie funzioni all’assessore anziano Ansano Lunghetti. La legge del 1865 fu modificata tra il 1889 e il 1915. Nel 1926, con la legge fascista n° 237 furono istituiti i Podestà eletti direttamente dal Re. Dal 21 aprile 1927 fino al 1945, gli organi democratici dei Comuni, eletti dai cittadini furono soppressi, furono abolite la figura del Sindaco, della Giunta e del Consiglio comunale, e ridefinita la figura del Segretario comunale. La consulta, che aveva sostituito il Consiglio eletto dai cittadini, aveva funzioni esclusivamente consultive.
Filze contenenti le carte degli arruolamenti militari della Comunità di Monteroni (18271865)
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La rivolta di Ponte d’Arbia
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l Regno d’Italia negli anni immediatamente seguenti all’unità, dal 1861 al 1870, si trovò ad essere gravato da un pauroso deficit di bilancio ed i ministri delle finanze che si succedettero, soprattutto Bastogi, Sella e Scialoia, adottarono numerosi e gravosi provvedimenti con l’intento di giungere al pareggio del bilancio. Fu riordinata l’imposta fondiaria e quella della ricchezza mobile, fu decisa la vendita dei beni demaniali di non stretto uso, introdotto il corso forzoso della carta moneta, e nel 1867 l’alienazione e la successiva vendita da parte dello Stato dei beni ecclesiastici. Le terre che facevano parte di questi beni, e che nell’intenzione del legislatore avrebbero dovuto finire in possesso dei contadini, finirono invece nelle mani dei grandi proprietari, i soli in grado di pagare il prezzo di acquisto. Visti i risultati alquanto deludenti dell’operazione, e per arrivare a far “cassa” al più presto, il 7 Luglio 1868, il ministro Rattazzi introdusse la tassa sul macinato. Essa consisteva in una tariffa di due lire a quintale di grano portato a macinare (una somma molto elevata), una lira e venti per gli altri cereali e una lira per il granturco. La riscossione doveva essere effettuata dal mugnaio che avrebbe poi versato l’importo al fisco. Per i contadini, che vivevano in condizioni di miseria e per i quali il pane era l’alimento principale, la tassa risultò particolarmente gravosa, tanto che fu chiamata la “tassa della disperazione”. Per questo motivo ci furono dappertutto violente agitazioni e tumulti. A quel tempo la maggior parte dei contadini della Val d’Arbia inferiore si recavano al molino di Ponte d’Arbia e quando si accorsero dell’odioso balzello, la notizia si diffuse in un baleno e dal mese di Gennaio 1869, quando la legge cominciò ad essere applicata, quasi ogni giorno ci furono proteste, manifestazioni, insulti e minacce verso il mugnaio che, dicono le cronache, si faceva pagare molto caro. La notizia dei tumulti giunse a Siena e dalla Prefettura fu inviato a Ponte d’Arbia un drappello di trenta soldati, nella speranza che la loro presenza bastasse a ristabilire la calma. Ma i contadini erano esasperati e avevano preso coraggio. Il 4 Feb-
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braio assediarono il molino con atteggiamento minaccioso, tanto che da Siena fu costretto ad intervenire il segretario del Prefetto Tito Sani il quale cercò di calmare gli animi e tentando, cosa rara a quel tempo, di trattare con i dimostranti per evitare ulteriori e più gravi disordini. Dopo lunghe discussioni si giunse ad un accordo in base al quale veniva ridotta la tariffa che spettava al mugnaio quale compenso per la macinazione. I contadini, sicuramente poco soddisfatti di aver ottenuto quella riduzione che in realtà era assai contenuta, ma forse orgogliosi di essere stati accettati come interlocutori nella trattativa, rassegnati tornarono alle quotidiane fatiche nei poderi. Il drappello dei soldati continuò per alcuni giorni a presidiare il molino, la tassa sul macinato continuò a gravare sui mezzadri ancora per anni. Nel 1876 con il ministro Minghetti fu finalmente raggiunto il pareggio di bilancio statale, ma la tassa della disperazione fu abolita solo nel 1880 dal ministero Cairoli-Depretis. Da un articolo di Benito Pellegrini
Notifica delle tasse di famiglia per l’anno 1837
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L’arte di arrangiarsi
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er pareggiare i debiti contratti con i proprietari, i mezzadri prestavano “opere a braccia”, ripagati a seconda del lavoro da una a due lire, oppure fornivano “giogature” con i buoi per il trasporto di fieno, di sabbia e pietre. Una volta o due al mese i contadini andavano al paese a “sbaccinare” le stalle dei barrocciai per procurarsi il letame: “si scambiava un carro di paglia con il concime e tutti pari”. I pigionali si arrangiavano a potare la macchia, a fare scassi, fascine di legna, “torse” (balle) d’erba per i barrocciai, scavare la rena nell’Arbia. I più fortunati e con un mestiere in mano, potevano sperare di effettuare alcune giornate nelle fattorie come segantini, scalpellini, stagnini, scorzini, carbonai, muratori, mentre le donne venivano chiamate in qualche azienda a tessere e a filare. Particolarmente graditi erano gli zappati, piccoli pezzi di terreno che i contadini lasciavano incolti e, per coloro che non trovavano di meglio, c’era sempre il taglio del bosco o andare a fare la brusta e il vinco nell’Arbia e negli altri torrenti. La sera, in campagna o in paese dopo la frugale cena, le donne filavano, dipanavano e tessevano fino a tardi per procacciarsi pochi centesimi utili alla famiglia. Ai primi di Giugno, a ridosso della mietitura, arrivavano in Val d’Arbia intere famiglie dalla Valdichiana e da altre zone più povere per cercare lavoro. “Dormivano in tende improvvisate sotto le mura di Buonconvento, nelle aie dei contadini vicini alla Cassia e anche al pagliaio, come le bestie, all’aperto”. Nel corso dell’anno era sempre fiorente il mercato di garzoni per guardare maiali e pecore. Queste persone provenivano da istituti per orfani, da famiglie estremamente povere, o erano portatori di handicap: la ricompensa era il vitto e alloggio, qualche vestito e, molto raramente qualche soldo. Venivano accettati e finivano per diventare quasi sempre “persone di famiglia.”
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Fili di speranza
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La bozzoliera di Monteroni
a coltivazione del baco da seta a Siena e provincia era un settore importantissimo e l’industria manufatturiera ad esso collegata poteva competere alla pari con quella fiorentina. Ai primi del 1700 e per tutto il secolo la produzione dei bozzoli era stata in costante aumento, ma con l’avvento della dominazione francese, la politica protezionistica napoleonica privilegiò le setorie di Lione e la produzione del prezioso filo fu limitata solo a quel grezzo da fornire agli industriali d’oltralpe, per cui il settore manufatturiero senese ebbe una notevole battuta d’arresto. Per la popolazione di Monteroni l’allevamento del baco da seta rappresentava davvero un filo di speranza, attivando nel paese una diffusa attività domiciliare e in campagna una preziosa integrazione per le popolazioni contadine. Non esistono notizie precise su quando sia iniziata questa attività e non abbiamo neppure una documentazione sulla costruzione della bozzoliera, ma si può ipotizzare che alla fine del 1700, quando si raggiunse il massimo della produzione della seta nel centro-nord dell’Italia, a Siena si siano dovute spostare fuori dalla città alcune lavorazioni dei bozzoli, che a causa del cattivo odore suscitavano proteste nella popolazione dei quartieri interessati. L’aumento della produzione poneva l’esigenza di un punto di raccolta dei bozzoli di tutta la Val d’Arbia e Monteroni, trovandosi al centro di una vasta zona di produzione che comprendeva anche i comuni di Vescovado e Buonconvento, era il luogo adatto. L’allevamento dei bachi veniva praticato sia dai contadini in campagna che in paese dai pigionali, i quali erano costretti in molti casi a sgomberare una stanza per la coltivazione dei bombici e a restringersi nei pochi spazi rimasti durante i mesi della coltivazione. La foglia di gelso veniva acquistata dalle fattorie, raccolta lungo gli argini del fiume, oppure venivano affittati degli alberi dai proprietari vicini al paese. I bozzoli, una volta raccolti, venivano portati poi alle varie aziende o direttamente alla bozzoliera, dove venivano stufati, cioè messi in un forno in cui con il calore si uccidevano le crisalidi all’interno, altrimenti nella fase successiva di trasformazione in farfalle avrebbero bucato i bozzoli stessi, danneggiando irreparabilmente il filo.
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In alcune aziende erano state installate le attrezzature necessarie alla “trattatura”, un procedimento di bollitura dei bozzoli, durante il quale le bave si scioglievano nell’acqua e il filo, rimanendo più morbido, poteva essere facilmente ammassato negli aspi. Era una lavorazione sporca, che diffondeva nell’ambiente un odore nauseabondo, ma pur di ottenere il prezioso filo non si guardava tanto per il sottile. I tipi di seta prodotti a Monteroni erano tre: reale, doppiona e terzanella, a seconda delle varietà dei bozzoli, dei filugelli impiegati per fare il filo. La produzione era in continua espansione, tanto che nel 1860 si impiantarono nuovi gelsi un po’ ovunque e i proprietari
La consegna dei bozzoli da parte di alcuni pigionali Interno della bozzoliera di Monteroni
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seguivano scrupolosamente ogni fase: alla fattoria di Radi, nel 1848, si ordinarono a Firenze due termometri per misurare la temperatura della bigattiera e nel 1868 fu acquistato un microscopio per l’analisi del seme. Nel 1926 la diffusione di tale allevamento arrivò ad un punto tale da creare un essiccatoio cooperativo. Il manufatto, costruito vicino ai locali della tabaccaia, sostituì quello privato preesistente e la fattoria di Radi contribuì con 700 lire di capitale. Questa fattoria era una delle maggiori produttrici nella zona, aveva addirittura una setaiola privata, la famosa “Catera” che morì nel 1842 di “mal di petto”.
La produzione dei bozzoli a Radi negli ultimi cinquanta anni dell’800
Anno
Bozzoli libbre
1850 1231 1855 914,6 1860 2063,8 1865 2432 1870 1346 1875 4196 1881 2930,5 1885 1291,3 1889 1649,5
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1918-1921 Verso il fascismo
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lla fine della prima guerra mondiale Monteroni piangeva i suoi 124 morti, un tributo altissimo. Coloro che erano ritornati dal fronte, partiti poco più che ragazzi, erano ormai “uomini fatti”, raccontavano l’orrore degli assalti alla baionetta, dei gas, delle decimazioni ed ora, dopo le sofferenze patite, non erano più disposti ad accettare fatalisticamente le gerarchie familiari e il vecchio ordine sociale. Dopo la conclusione del conflitto nutrivano molte aspettative, ma la situazione economica che si trovarono di fronte era estremamente difficile. L’aumento dei prezzi iniziato dopo l’ingresso dell’Italia nel conflitto non solo non era rallentato, anzi, ora il prezzo delle merci saliva di giorno in giorno: a Monteroni il pane era più che raddoppiato, passando da cinque a undici centesimi il kg, la carne di manzo in pochi mesi era aumentata di una lira e cinquanta al kg, così come quella di suino e di agnello. Questa situazione, da una parte riduceva alla miseria i ceti più deboli, dall’altra favoriva speculazioni fra i commercianti e procurava grandi
Cartolina commemorativa per l’inaugurazione del monumento a Umberto I, 1911 Monteroni 1911. Inaugurazione del monumento a Umberto I
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profitti ai proprietari terrieri che, dall’aumento del costo dei bovini e dei suini vedevano accresciuto il loro patrimonio e, di conseguenza, la capacità di ottenere nuovi crediti dagli istituti bancari. Il malcontento delle popolazioni cresceva ovunque: agitazioni e scioperi scoppiarono in tutta la Provincia e nel Luglio del 1919, a Siena, furono assaltati negozi di generi alimentari, bar e magazzini di derrate. La situazione era molto tesa e rischiava di degenerare. Al disagio economico degli operai, dei braccianti e dei contadini, si aggiunse ben presto anche quello del ceto medio che vedeva calare il proprio status e anche negli ex combattenti e negli interventisti crescevano rabbia e frustrazione, sentendosi ormai messi da parte e quasi accusati di una “vittoria monca”. Costoro avrebbero costituito in seguito, insieme agli studenti, una notevole massa di manovra per l’avvento del fascismo. Allo scopo di arginare il malcontento e la protesta popolare, si cercò di dare maggiore impulso all’Ente Autonomo dei Consumi, il quale, sorto nel 1916, aveva il compito di acquistare e produrre in proprio beni di prima necessità e distribuirli alla popolazione a prezzi calmierati, saltando la speculazione degli intermediari. Di questo Ente ne facevano parte l’Amministrazione Provinciale, i comuni e l’Associazione dei consumatori. Alla presidenza fu nominato Salvatore Donatini, un avvocato socialista di Buonconvento, amico di Mussolini che aveva ospitato nella sua casa di Annemasse, in Svizzera, nei primi anni del novecento quando egli era dovuto scappare dall’Italia per sfuggire all’arresto. Nonostante la capacità e l’impegno profusi dal Donatini, l’E.A.C. non poté svolgere efficacemente il suo compito di calmierare i prezzi, anche perché il Monte dei Paschi, retto allora con pugno di ferro dal provveditore Alfredo Bruchi, non gli concesse, di fatto, i finanziamenti necessari e lo ostacolò indirettamente presso altre banche a cui si era rivolto. Nell’Ottobre del 1919, l’Ente Autonomo dei Consumi fu costretto a chiudere, portandosi dietro uno strascico di polemiche verso il Donatini, il quale venne ritenuto erroneamente colpevole del fallimento. In quello stesso mese, esattamente il 2 Ottobre 1919, nasceva a Siena la segreteria del fascio per iniziativa di Adolfo Pieri, un bolognese che lavorava come commesso al Monte dei Paschi. I primi passi furono però alquanto problematici, caratterizzati da un lato da accuse di indifferenza rivolte agli organi nazionali colpevoli
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di ignorare le richieste di finanziamento al neonato gruppo provinciale e dall’altro dalla ferma posizione del Bruchi che riuscì a tenere fuori il Monte dei Paschi dalle mire egemoniche dei fascisti, preferendo invece finanziare nobili e proprietari terrieri che vi avrebbero aderito. Bruchi, arrivato alla direzione della banca senese nel 1816, manterrà il proprio incarico fino al 1939, condizionando profondamente la politica senese. Il 16 Novembre si svolsero le elezioni politiche che videro la vittoria del Partito Socialista che ottenne una percentuale del 47,3% dei voti e riuscì a far eleggere ben cinque deputati. Anche a Monteroni, come a Colle, Casole, Montalcino e altri comuni, i socialisti avevano saputo interpretare il malcontento e le aspettative delle classi più deboli e al brillante risultato elettorale fece seguito un aumento degli iscritti al P.S.I. e al proliferare delle “leghe rosse” che si misero a capo delle grandi lotte sindacali del 1919-1920. Queste lotte non solo produssero importanti miglioramenti econo-
Giornale socialista senese del 1914
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mici per molte categorie di lavoratori, ma ben presto posero precisi obiettivi politici mettendo al centro la revisione dei rapporti sociali vigenti. Le notizie che arrivavano dalla Russia facevano sognare che anche qui si potessero avverare alcuni principi che avevano ispirato la rivoluzione bolscevica. Nell’estate 1920 le leghe socialiste conquistarono un nuovo patto colonico in cui si stabiliva fra l’altro, che la direzione del podere, conformemente allo spirito della mezzadria, dovesse essere esercitata dal proprietario in accordo con il colono. Inoltre i mezzadri non potevano più essere mandati via dal podere quando nascevano contrasti di conduzione con i proprietari o a causa della diminuzione del numero dei componenti della famiglia se questi venivano rimpiazzati. A queste significative conquiste dei mezzadri, si aggiunsero quelle degli operai e dei braccianti che a quel tempo, rappresentavano il 20% degli addetti all’agricoltura. Costoro riuscirono a strappare un “Patto per la provincia di Siena” nel quale erano previsti notevoli miglioramenti economici e normativi e la stessa cosa fu per alcune categorie di impiegati, infermieri, cavatori e addetti ai settori del tessile e del vetro. Di fronte a queste conquiste che davano notevole impulso ad un più vasto processo di sindacalizzazione e di presa di coscienza politica, i proprietari terrieri, notevolmente preoccupati, non seppero prendere una linea unitaria: alcuni si rifiutarono di riconoscere gli accordi firmati dalle loro associazioni di rappresentanza, poi, dopo le elezioni del 1920, ricorsero allo squadrismo. Le prime “azioni”, vere e proprie rappresaglie, furono indirizzate verso quelle amministrazioni socialiste che, nell’intento di risanare i bilanci comunali, avevano aumentato le imposte sui terreni, una misura che colpiva le rendite fondiarie dei latifondisti. Trenta comuni a maggioranza socialista su trentasei furono sciolti senza alcuna motivazione legale ma con la pura e semplice aggressione fisica degli eletti. Subito dopo le squadracce comandate da Giorgio Alberto Chiurco, Remigio Rugani, Adolfo Baiocchi, Adolfo Pieri, Aliquò Mazzei, ”La Vecchia” ed altri, cominciarono a colpire in provincia non solo i capilega e i socialisti più in vista, ma indistintamente tutti i coloni che si opponevano al fascismo. In poco più di due anni gli squadristi uccisero 29 persone, devastarono case del popolo, Camere del Lavoro e sedi dell’Azione Cattolica.
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Molti proprietari terrieri di Monteroni, Ville di Corsano, Campriano, Casale Sergardi offrivano nelle loro aziende “ospitalità” alle squadracce e alcuni donavano gratuitamente locali per le sedi del fascio. I casi di violenza più efferati si verificarono a Noceto e Lucignano, dove intere famiglie con donne e bambini furono manganellate selvaggiamente, a Buonconvento furono bruciati i poderi la Chiusa e Casalone dove abitavano dei capilega, a Piana fu picchiato il sacerdote don Pietro Massari e incendiati diversi pagliai e alcune famiglie di esponenti socialisti dovettero fuggire in Francia.
Squadraccia fascista senese
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Pirandello a Lucignano
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Stelio Rossi e il regista Michele Gandin
el 1938 Michele Gandin studiava a Siena ed era stato eletto responsabile del locale Cine-Guf, l’organizzazione universitaria dei giovani fascisti che si occupavano di ci-
nema. Era il nipote del generale Antonio Gandin, che al comando della 33ª Divisione di fanteria Acqui, sarebbe stato fucilato dai tedeschi nel 1943 a Cefalonia per non aver voluto accettare la resa incondizionata e dopo una specie di consultazione fra i suoi uomini, aver continuato a combattere rimanendo fedele al proprio giuramento. Michele, secondo la famiglia, doveva diventare un brillante avvocato ma come spesso accade le cose presero un’altra piega. Egli aveva il cinema nel sangue e le idee estremamente chiare se già nel 1935, sulle pagine de La Rivoluzione Fascista, scriveva con grande anticipo: “Gli interpreti di un film e specialmente di un film come lo vogliamo noi, di masse, vanno cercati. Nessuno meglio di un operaio (scelto e adatto allo scopo) saprà interpretare un operaio in un film”. Sono parole che anticipano il neorealismo. Dopo essersi dedicato alla regia di cortometraggi di carattere scientifico che non lo soddisfacevano, era ansioso di cimentarsi con il cinema vero, con un racconto, con una storia, ma “le mie idee - racconterà successivamente - non corrispondevano a quelle del fascismo, e girare una storia fascista, di esaltazione di quel sistema, che voleva anche dire esaltazione ideologica e retorico ottimismo, non me la sentii proprio. Fu così che leggendo vari racconti italiani e stranieri finalmente m’incontrai con Pirandello. Avevo trovato una bellissima storia, Cinci, che si presentava benissimo ad essere trasposta sullo schermo poiché si avvicinava alla mia concezione della vita”. Ma la storia di Cinci, che non aveva mai conosciuto il padre e la madre si rifiutava di aprirgli la porta di casa, si presentava a quel tempo come qualcosa di assolutamente proibito e così Gandin fu accusato di spendere finanziamenti dello Stato per fare un film “disfattista”. “D’altra parte si difese il regista, il pessimismo non è mio, è di Pirandello” e questo alibi gli consentì di portare in fondo il suo coraggioso progetto. Il film fu girato a Lucignano d’Arbia nel 1939 nella tenuta di Valentino Bruchi, il quale mise a disposizione anche mezzi e persone. Se non ci fosse stato lui, ha dichiarato Gandin, non avrei
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avuto l’occasione di incontrarmi con il cinema. Altri aiuti importanti furono quelli di Mario Verdone, il padre di Carlo Verdone, che a quel tempo era fiduciario del Guf, Giovanni Parenti, Stelio Rossi, un impiegato della Previdenza sociale, un appassionato di fotografia che effettuò le riprese e Sergio Notari, che con la sua auto traspor-
“Cinci” 34
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tava la troupe da Siena sul set. Il film fu concepito muto, poiché, diceva Gandin, “volevo far capire tante cose senza parole”, e coerente con le proprie idee, scelse il ragazzo che doveva interpretare la parte di Cinci fra gli ospiti dell’orfanatrofio di San Marco di Siena, invece per il ruolo del contadinello a caccia di lucertole fu preso il figlio di un mezzadro del Bruchi. Mentre si girava quello che è stato dichiarato il primo, autentico film antifascista del cinema italiano, proprio a Monteroni venivano proiettati con l’Auto-cinema Confederale, i documentari LUCE con il Duce a torso nudo che trebbiava il grano e il prosciugamento delle paludi pontine: una significativa coincidenza. Cinci fu presentato ai Littoriali della cultura di Merano del 1939 e si classificò al terzo posto, i giornali dell’epoca scrissero: “L’affermazione è tanto più notevole in quanto il Cine-Guf senese si è trovato a competere con quelli di Roma e Napoli, le cui possibilità economiche sono assai superiori”. Il film girato a Lucignano, senza luci, con poca pellicola, senza montaggio, verrà poi definitivamente consacrato da Vittorio de Sica, Alessandro Blasetti, Roberto Rossellini, che nel primo dopoguerra daranno origine a quel filone importantissimo del cinema italiano del “neorealismo” di cui Cinci è stato senz’altro un anticipatore.
Veduta di Lucignano, primi del Novecento
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Il dopoguerra
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omenica 2 Luglio 1944 Monteroni fu liberato dalle truppe francesi. La guerra aveva profondamente segnato le cose e le persone: tutta la Val d’Arbia era stata bombardata dagli alleati e i tedeschi in ritirata avevano sabotato o fatto saltare tutti i ponti sulla via Cassia, eccetto quello di Ponte d’Arbia. A Monteroni, davanti al molino, il fosso del fiuto era completamente ostruito, alcune case del borgo lungo la strada erano state minate ma per fortuna ai genieri tedeschi mancarono gli inneschi e le abitazioni rimasero in piedi. Nelle campagne la situazione non era certo migliore: i contadini non avevano ancora potuto mietere, i suini e le bestie vaccine erano state portate via dai tedeschi oppure, come in molti casi, avvelenate e gettate nei pozzi e nei fontoni rendendoli così inutilizzabili. Mancavano i generi alimentari, ma soprattutto mancava il lavoro. Il Podestà, Angelo Ghini, aveva ricevuto una piccola somma dal Governo Militare Alleato per far fronte alle spese più urgenti, ma fu il Comitato di Liberazione Nazionale che nel frattempo si era costituito, a far rimettere in piedi gli uffici del Comune e a prendere i primi provvedimenti fra cui quelli per ripristinare la viabilità sulle
Gruppo di ragazze sulla gora nei primi anni del dopoguerra
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strade più importanti ed eleggere il primo sindaco nella persona di Alessandro Fanetti. Il Comitato di Liberazione Nazionale era composto da: Dr. Fanetti Alessandro – Presidente Don Aldo Marsili – vice Presidente Barbieri Lino Tognazzi Giovanni Scaloncini Vasco Pedani Alighiero Cortonesi Angelo Burroni Metello Successivamente furono aggiunti altri membri nominati dai partiti Edo Giglioli, per il Partito Comunista Italiano Amedeo Bozzi, per la Democrazia Cristiana Sabatino Vanni, per il Partito Liberale. Bambini su un caccia carri M10 a Ville di Corsano
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le date più significative
1810 Il 12 Luglio, con un decreto del prefetto del Dipartimento dell’Ombrone, viene istituita la Comunità di Montaroni. 1819 Nasce una delle prime istituzioni monteronesi: il Consorzio del torrente Sorra, in cui i proprietari dei terreni confinanti erano tenuti a concorrere alle spese per i rifacimenti degli argini e al ripristino dei danni causati dalle alluvioni. 1825 Il granducato viene ripartito in circondari d’acque e strade al fine di disciplinare il settore dei lavori pubblici in queste infrastrutture. L’intero apparato aveva al proprio vertice un Consiglio degli ingegneri. Questo organismo da una parte fu d’aiuto ai comuni del Circondario, ma dall’altra li privò di specifiche competenze in materia di lavori pubblici, per tali motivi, nel 1849 queste competenze furono nuovamente assegnate ai comuni. 1849 Il 20 Luglio le popolazioni della Val d’Arbia sono in apprensione per l’imminente arrivo del generale Garibaldi il quale, scacciato dai francesi a Roma, giunge a Monteoliveto con 50 dragoni. 1850 Arriva il primo “palo elettrico”, il parafulmine, installato alla fattoria di Radi.
Inno di Monteroni scritto nel 1847
1860 Il 26 Maggio, in seguito all’annessione della Toscana al Regno di Sardegna, i compiti di ordine pubblico svolti fin dal 1815 dai Dragoni Toscani e dal 1817 dai Regi Cacciatori a cavallo, passano ad un picchetto di carabinieri a cavallo. La loro caserma è situata nei locali al piano terra di quello che diverrà il Palazzo Comunale, dove rimarrà
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fino al 1929. 1864 Il Consiglio Comunale incarica il Gonfaloniere di trattare l’assunzione di un collettore per il servizio postale che partirà il 1 Agosto 1864. 1867 Il Consiglio delibera l’istituzione di una scuola maschile elementare stanziando la somma di lire 500 per un maestro da assumere tramite concorso. 1868 L’odiosa tassa sul macinato fa scoppiare a Ponte d’Arbia una sommossa. 1870 La Valdarbia inizia a spopolarsi, molti sono costretti ad emigrare. 1880 Forse in quest’anno viene costruito Teatro Giovannelli, la cui facciata è stata da poco restaurata. 1883 Viene finalmente inaugurato il ponte di ferro che collegava Monteroni con Asciano. 1888 Il 22 dicembre il Comune inserisce nel proprio organico una levatrice e un dottore. Per la verità, fin dal 1825, il compito di levatrice era stato assegnato ad una tale Maddalena Barbieri di Lucignano, assunta dallo stesso Comune, ma dato l’alto numero della popolazione residente in campagna, il 20 gennaio 1851, il Comune istituì una condotta medicochirurgica a Villa al Piano, presso Ville di Corsano. 1888 Viene inaugurata la manifattura Bichi Ruspoli Forteguerri per la tinteggiatura e la filatura della lana.
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1891 Si costituisce la filarmonica. Scoppia una terribile epidemia di scarlattina, i morti sono centinaia. 1893 Si approva un progetto per l’esecuzione di lavatoi pubblici. 1902 Primo progetto di illuminazione pubblica. 1890 Si inaugura il nuovo cimitero. 1909 Il 25 Agosto, alle ore 1,25, una violenta scossa di terremoto dell’VIII grado della scala Mercalli scuote l’intera Vald’Arbia. L’epicentro viene individuato nella zona fra Ville di Corsano e Casciano. Danni gravissimi in tutto il comprensorio. Un morto a Buonconvento. 1915 - 18 Monteroni paga un tributo altissimo alla prima guerra mondiale: 114 morti. Alla loro memoria verrà edificato un monumento e intitolati degli alberi.
Sfollati di Murlo dopo il terremoto
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1919 Forse ai primi di quest’anno pochi monteronesi assisteranno alla prima proiezione cinematografica, rimanendo sbalorditi e impressionati da un treno che sembrava investirli. 1923 Il 10 Giugno viene inaugurato l’acquedotto del Vivo. In questo stesso anno viene costruita la tabaccaia. 1927 Il 2 Aprile viene finalmente aperta la ferrovia Siena-BuonconventoMonte Antico. L’idea era partita nel 1850 ma il primo progetto risale al 1880. Un’ipotesi, poi scartata, prevedeva di far passare la ferrovia per Radi. 1929 Il comune di Monteroni viene dotato di un telefono. 1933 Vengono completati i lavori di asfaltatura della Via Cassia, diventata Strada Statale.
La ferrovia arriva in Valdarbia
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1942 Il 24 Dicembre Antonio Berni viene fucilato dalle truppe di Tito. A Monteroni si inaugurano le nuove scuole elementari.
In alto da sinistra Armando Fabbri, Azelio Pieri, Primo Simi, Faustino Masi
1944 L’11 Marzo vengono fucilati a Scalvaia Armando Fabbri, Faustino Masi e Azelio Pieri. Il 13 Marzo viene fucilato a Siena, alla Caserma Lamarmora, Primo Simi. Il 17 Giugno viene fucilato dai tedeschi sulla strada per Asciano Serafino Castoldi. Il 27 Giugno quattro giovani della famiglia Bari vengono trucidati dai tedeschi a Ville di Corsano. Altri due partigiani, Vasco Perugini e Giorgio Domenichini, cadono in combattimento. Complessivamente furono 24 le vittime civili del Comune di Monteroni d’Arbia, 56 i militari caduti in guerra, 6 i militari caduti nei lager nazisti.
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1964 Il 5 Luglio viene posta la prima pietra della nuova chiesa. 1966 Nella notte tra il 3 e il 4 Novembre le acque dell’Arbia invadono Monteroni provocando ingenti danni. La ferrovia verrà chiusa e riaprirà solo nel 1980. 1975 Il Comune approva il primo piano di fabbricazione. 1980 Iniziano i lavori per il restauro della gora. 1999 Il Comune approva il primo piano regolatore.
Veduta aerea di Monteroni d’Arbia. 1980
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Popolazione nel Comune di Monteroni dal 1810 ad oggi
ANNI
POPOLAZIONE
1813 2.086 1821 2.155 1833 2.385 1850 3.488 1861 3.859 1881 4.142 1936 5.467 1951 5.593 1961 4.931 1971 4.756 1978 5.550 1988 6.344 1991 6.493 2009 7.161
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Strade e fiumi
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Tracciato del letto del fiume a Ponte d’Arbia. Archivio di Stato di Firenze, Conventi soppressi 132, n.184. Particolare
partire dall’anno 1759 e fino al 1765 ci furono importantissimi lavori sulla via Cassia nel tratto Siena-Buonconvento, prima parte di un progetto che doveva rinnovare completamente questa strada da Firenze a Roma. In molti casi, oltre che riassettare il fondo, si trattava di effettuare dei “trasmutamenti”, cioè delle variazioni di percorso per migliorare le pendenze ove queste risultavano difficoltose in salita e pericolose in discesa. Uno di questi tratti era situato nel territorio di Monteroni, ai piedi della costa di Curiano che risultava troppo ripida. La strada infatti, uscita da Lucignano e scendendo verso la Madonna al Piano, non proseguiva nella vallata come il percorso attuale ma saliva in collina, lungo il crinale, seguendone il profilo incomodamente verso Curiano e la Sorbitella. Fra i tanti che se ne lamentavano, ci fu il famoso matematico Feroni, che costretto a percorrerla scriveva: due colline da dover salire e scendere, quali sembra che la via romana vada appositamente a cercare per rendersi più lunga e incomoda fino alla Chiocciola verso Ponte d’Arbia. Riconosciuto il problema, fu progettata e realizzata una variante di 1700 metri tutta in pianura, con la sola asperità delle curve di Curiano e quando nel 1783 furono finalmente completati i lavori, il Granducato ordinò alle autorità competenti una perizia sui grandi ponti del senese, alcuni dei quali avevano bisogno di restauri. Il ponte sull’Arbia, il più grande e maestoso ponte dello stato senese aveva le volte sfessurate, i parapetti danneggiati e i muri di rinfianco e la grande platea di mattoni corrosa in più parti. Questi difetti, pur non compromettendo la stabilità del manufatto, andavano però eliminati e la spesa prevista era stimata in 2.200 lire. Il grande ponte faceva parte di una complessa opera di risanamento idrogeologico e tecnico-ingegneristico di una vasta area, che dal 1563 al 1567 vide impegnato l’architetto militare Baldassarre Lanci. Egli fece costruire la platea lunga 60 braccia e larga 25, tagliando il corso del fiume Arbia il quale, poco sopra, formava una curva che in inverno, con le piene, andava ad impaludare la zona detta degli “orti del magistrato”. Il Lanci inoltre, cercò di porre rimedio alla cronica mancanza d’ac-
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qua estiva facendo infiggere sul letto dell’invaso che si era creato a nord del ponte, una linea di “lame” (di tronchi) che deviavano la corrente verso la riva sinistra dove si trovava il molino, permettendo quindi di macinare anche in condizioni di carenza d’acqua. Il bosco che forniva questi tronchi, fu chiamato da quel momento
“delle lame” ed anche oggi porta questo nome. Al centro dell’arcata principale del ponte, era stata posta una “paratia vinciana”, un congegno che permetteva, ribaltandosi, di far defluire le acque in caso di alluvioni, ma che in condizioni normali o di carenza idrica, restando verticale, manteneva il livello delle acque della piccola gora, permettendo ai pesci la risalita del fiume. Questo congegno, con il passare degli anni, non è stato mantenuto in funzione e alcuni tipi di pesci non potevano risalire l’Arbia. Solo di recente è stato costruito “un ascensore” che permette alle anguille e alle altre specie di risalire il torrente. Il ponte sull’Ombrone a Buonconvento invece non mostrava nessun patimento, ma gravi problemi si presentavano per la salita di Ripabianca, il cui terreno smottava in continuazione eroso dalle acque dell’Arbia che in quel punto formavano una grande ansa. Ai primi dell’”800 si rese necessario effettuare un altro taglio dell’Arbia e successivamente la strada, dopo Serravalle, fu fatta scende-
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Progetto di riparazione del ponte. Particolare della platea
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re in pianura come la vediamo oggi, ma bisognerà attendere il 1933, quando la via Cassia, diventata strada statale, verrà completamente ristrutturata e asfaltata dalla ditta Tudini-Talenti di Roma.
Pianta della strada Romana presso la salita di Ripabianca e l’Arbiaccia Siena. Archivio di Stato, mappa 36, fondo IV Conservatori, filza 36 Pianta con il progetto della circonvallazione a Lucignano (1887) A.C.M.
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Gli anni ‘50
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rano passate solo tre settimane dalla fine della guerra e a Siena in un grande convegno regionale dei lavoratori della terra si tiravano le fila del movimento e si cominciavano ad individuare le rivendicazioni più importanti. La scelta di Siena non era stata casuale: nelle nostra provincia i mezzadri erano oltre il 60% della forza attiva, avevano dato un forte contributo alla resistenza, rappresentavano un’avanguardia combattiva, democratica e antifascista ed ora assumevano, come è stato scritto, un ruolo “egemone ed unificante” nelle lotte.
Podere la Costa. Solidarietà dei mezzadri alla famiglia Fè Giornale murale della C.D.L. di Monteroni del 25 Agosto 1954
I primi obiettivi furono la ricostruzione dei poderi in gran parte danneggiati o distrutti, il ripristino di un minimo di “vivibilità”, la ricomposizione del patrimonio bovino razziato dai tedeschi, l’abolizione delle regalie (polli, uova, conigli) che i mezzadri erano costretti a portare ai proprietari
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Come nel Medioevo e che ora invece venivano devoluti agli ospedali e ad altri Istituti di ricovero, ma accanto a queste richieste minime, si cominciavano ad individuare gli obiettivi per un “domani più giusto” con una diversa ripartizione dei prodotti attraverso nuovi Patti Agrari, nuove assunzioni di operai nelle aziende, la giusta causa nei licenziamenti, il diritto allo studio e all’assistenza. Vengono conquistate leggi importanti come il Lodo De Gasperi, la Gullo - Segni, l’assicurazione e la previdenza ai mezzadri, l’assistenza in caso di malattia, provvedimenti che sposteranno in avanti la realtà socio-economica delle nostre zone e del Paese. Tutto ciò fu conquistato al prezzo di una dura repressione fatta di sfratti, denunce, arresti e condanne: a Monteroni molti ricordano ancora i contadini inseguiti dai carabinieri alla Castellina, lo sfratto della famiglia Palazzi a Caggiolo, quello dei Fè alla Costa, i blocchi stradali, le bandiere rosse in cima agli stolli. In queste lotte, non è retorica ricordarlo, si forma e cresce una nuova classe di dirigenti di partito e di amministratori che ai limiti culturali sapranno ampiamente sopperire con capacità umane, politiche e morali, capaci di raccogliere e dirigere le aspirazioni del popolo. Persone come Alvaro Bozzi, a Monteroni, Ugo Mariotti a Buonconvento, Ciro Franci “Pecione”, Genny Cappelli, Peris Brogi e tanti altri che hanno rappresentato un’epoca di lotte e di speranze.
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Dagli anni ‘60 ai giorni nostri
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Carabinieri a cavallo inseguono i contadini nei campi alla Castellina
a crisi della mezzadria, che nel 1961 fa scendere gli addetti all’agricoltura dal 78,4% al 60,4%, vede il comune di Monteroni diminuire di poco il numero degli abitanti complessivi ma porta, di conseguenza, un forte inurbamento nel capoluogo. Questo calo limitato, a differenza di Buonconvento, Murlo, e altri comuni, è dovuto in parte alla creazione di nuove possibilità di lavoro che si creano sul posto, dove nascono piccole attività artigianali e industriali a carattere familiare e in parte all’inizio di un processo di trasferimento da Siena di nuclei familiari impossibilitati a far fronte all’aumento dei costi delle abitazioni in città. Questo fenomeno andrà via via crescendo e farà diventare Monteroni, nel decennio 1980-1990, il secondo comune della provincia di Siena con il più alto tasso di incremento di popolazione e al tempo stesso il comune percentualmente più giovane. Se da una parte questi dati possono far piacere agli amministratori che vedono crescere il loro comune, dall’altra questo sviluppo tumultuoso ha portato con sé diversi problemi e Monteroni, da “figlia 53
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della strada” come fu chiamata, è diventata “sorella della città” per la sua sempre più forte interazione con Siena soprattutto per quanto riguarda i servizi. Questo però non significa essere diventati un “paese dormitorio”, come molti lo definiscono, né un paese privo d’identità. Il nostro paese, vive più acutamente di altri, fenomeni tipici di questa fase storica, ha una realtà composita a cui non è facile dare una risposta, ma possiede anche un tessuto democratico di forti tradizioni, associazioni di volontariato su cui contare, un territorio ricco di testimonianze storiche e un paesaggio fra i più belli della Toscana. Il passato ci ha insegnato che niente è conquistato per sempre, sono passati duecento anni, i prossimi li dovranno “scrivere” gli amministratori e i cittadini in un rapporto costante di dialogo e di consapevole vigilanza.
Manifestanti in bicicletta al bivio per Casale Sergardi I primi blocchi di case negli anni ‘60 55
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Lo sport a Monteroni d’Arbia nel secondo dopoguerra di Massimo Granchi con il contributo di Alberto Ghini, Aldo Patacchini e Dario Vigni
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Il passaggio del II Giro della Valdarbia
a seconda guerra mondiale interruppe drasticamente ogni segno di vitalità sociale a Monteroni d’Arbia, compresa l’attività sportiva. L’atletica leggera, per esempio, che tra il 1937 e il 1942 era stata caratterizzata da un periodo intenso di iniziative, si fermò nonostante i protagonisti di quel periodo fossero stati molti. Remo Parri, Gianfranco Lombardi, Enzo Fregoli, Mario Cortonesi, Franco Bruttini, Giuseppe e Bartolomeo Verdicchio, Lido Gagliardi, Rolando Fregoli, Emilio Mori, Sabatino Vanni e Romualdo Ferri, avevano partecipato a varie competizioni regionali e nazionali di prestigio, con buoni risultati. Il Ferri, per esempio, fu campione interregionale (Toscana, Liguria ed Emilia Romagna) di mezzofondo, 800, 1500, 3000 e 5000 metri. Dopo il conflitto, i primi a riprendere l’attività sportiva furono alcuni ragazzi delle classi 1923/24/25/26/27 e 1928, che negli anni tra il 1946 e il 1947 organizzarono vari incontri amatoriali di calcio. Il gruppo era noto come U. S. Monteroni e giocava in un campo in terra battuta tra la stazione ferroviaria e la via Roma, lungo il Viale delle Rimembranze (nato nel 1923 per commemorare la Guerra del 1915-18). La formazione composta da 15 ragazzi, molto seguita e apprezzata dal pubblico locale, era composta da Carlo Alberto e Giuseppe Corsi, Romualdo Ferri, Siro Nannoni, Giovanni e Luciano Catastini, Sabatino Vanni, Romualdo ed Enzo Fregoli, Delfo Mariotti. La squadra, che non prese parte a nessun campionato ufficiale, disputò ogni domenica, per due anni, incontri contro alcune squadre dei paesi vicini e delle Contrade di Siena. La sua fama crebbe nel tempo fino a quando da Siena, giunse una squadra nella quale furono inseriti alcuni atleti militanti in serie B e C, che prestavano servizio militare presso la Caserma Lamarmora. La squadra senese inflisse una dura sconfitta alla prima squadra monteronese. Da allora ci fu una certa disaffezione del pubblico locale per il gruppo che si dissolse nel ‘49.
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Nel 1950 su iniziativa di Bruno Piroddi, genovese, impiegato di Banca presso il Banco di Roma, a Monteroni dal 1944, nacque una squadra formata da un gruppo di ragazzi della Parrocchia SS. Giusto e Donato (allora parroco era Don Signorini). Lo stesso anno la squadra partecipò al campionato provinciale FIGC categoria Ragazzi. Il Presidente della società era Antimo Ghini, imprenditore, Vicepresidente Anselmo Reiteri, veterinario comunale.
Monteroni un gruppo di ciclisti La squadra di calcio del Monteroni del campionato 1950-51
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La squadra, composta da Domenico Sestini, Giorgio Marzucchi, Rinaldo Mariotti detto “Pallino”, Marcello Doretti, Alberto Nucci, i fratelli Alberto e Alfredo Ghini, Piero Tanganelli, i fratelli Giovanni e Giancarlo Poggialini e Bruni di Tressa detto “Birontino”, si allenava e giocava anch’essa nel campo di Viale delle Rimembranze. Tra i vari allenatori della squadra si ricordano il Cenni e il Lenzi, ex giocatore dell’AC Siena. La squadra si classificò seconda al campionato provinciale 1950/51, vinto dallo Stellino di Siena. Con il passare degli anni, il Piroddi, che ancora dirigeva la squadra e che aveva ambizioni di classifica, sostituì gradualmente i calciatori locali con altri ingaggiati nella provincia di Siena. Di questi Panti, Gemini, Pini, erano particolarmente forti e aumentarono la qualità complessiva della squadra. Nello stesso periodo nacque la Polisportiva “Ennio Garagnani” (giovane atleta modenese morto tragicamente), del Gruppo UISP, presieduta da Bichi Rino. La squadra di calcio si allenò e giocò nel solito campo sterrato, ma aveva sede alla Camera del Lavoro, presso La Briccola. Alcuni giocatori erano Bernardino Caliani, i fratelli Mario ed Enrico Patacchini e il Ciani delle More. Tra le attività sportive svolte vi era anche l’atletica leggera, in particolare la corsa campestre. Uno dei protagonisti di questo sport fu Dario Vigni che iniziò l’attività nel 1955. Nel 1956, dopo aver preso parte a varie competizioni provinciali, il Vigni partecipò ad una gara regionale FIDAL presso lo stadio Rastrello a Siena, attualmente noto come Artemio Franchi. Il Vigni corse e vinse i 5000 m. con il tempo di 16’06’’. Qualche anno dopo, partecipò alle finali nazionali di corsa campestre a Otranto. Dopo aver condotto la gara al III posto per un lungo tratto, chiuse al VI posto in seguito ad una brutta caduta. Il Vigni abbandonò definitivamente l’atletica negli anni sessanta per iniziare a lavorare. In quel periodo, anche a seguito del cambiamento di destinazione del terreno che ospitava le squadre di calcio, trasformato in terreno edificabile, si spense ogni attività sportiva. Il boom economico, avvertito anche in paese, favorì molte attività produttive. Crebbe inoltre la qualità della vita generale e lo spirito di iniziativa dei suoi abitanti. In questo nuovo scenario la comunità avvertì la necessità di sostenere in modo particolare il tempo libero e lo sport. Nel 1964 nacque il Comitato per la (ri)Costituzione dell’U.S. Mon-
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teroni che curò gli aspetti organizzativi e sociali per gettare le basi della futura Società sportiva. Il Comitato era composto da Sabatino Vanni (Presidente), Dante Bernazzi (Vice-presidente), Lanfranco Poggialini (Segretario), Remo Parri, Rinaldo Mariotti, Pietro Lippi, Adamo Pallassini e Gaudio Gasparri. L’Assemblea costituente fu convocata il 28 gennaio 1965. Il verbale, firmato da 71 soci, contava allora 12 atleti, 42 soci ordinari, 15 sostenitori e 2 benemeriti. Il primo Consiglio Direttivo, costituito da Sabatino Vanni (Presidente), Romualdo Ferri, Pietro Lippi, Rinaldo Mariotti, Remo Parri (Vice-presidente) e Lanfranco Poggialini, rimase in carica fino al 31 Gennaio 1968. Il 24 Aprile 1965 i soci erano già diventati 142, di cui 29 atleti, 80 ordinari, 30 sostentitori e 3 benemeriti. Il 1965 fu dedicato soprattutto all’assetto societario, che divenne a tutti gli effetti di carattere polisportivo. Il 22 Agosto partì infatti il primo “Giro della Valdarbia”, gara ciclistica per dilettanti che ha conosciuto un grande successo negli anni successivi. Riprese inoltre l’atletica leggera con la prima corsa campestre del 21 Marzo 1965 e successivamente il “trotterellando nel verde...” una gara che entrò nella storia del podismo senese. Nel 1968 il Club Ippico si fuse con l’U.S. Monteroni dando inizio ad una lunga serie di manifestazioni ippiche, inaugurate il 1 Maggio 1969. L’ippodromo monteronese divenne teatro della prima uscita stagionale dei cavalli e dei fantini del Palio. Ancora sul calcio, nel 1965 fu acquistato il terreno per la costruzione del nuovo campo sportivo, consegnato alla squadra solo nel 1968. Nel 1966 fu disputato il primo torneo calcistico ufficiale, la “Coppa Fortezza” di Montalcino, dove la squadra monteronese si classificò terza. La società si iscrisse inoltre al campionato Juniores. Il campionato dilettanti di terza categoria arrivò nel 1969/70 e fu disputato fino al 1975/76. Cominciò intensa anche l’attività giovanile. Dal 1976 al 1982, l’U.S. Monteroni militò nel campionato regionale dilettanti di seconda categoria, per poi ottenere la promozione in prima categoria. Altro importante sport praticato a Monteroni d’Arbia fu il ciclismo. Fino allo scoppio della seconda guerra mondiale il protagonista della disciplina fu Cesare Zanobi, nato a Monteroni d’Arbia nel 1926. Da ragazzino Zanobi aveva aiutato il padre postino-barbiere nella consegna della posta, in sella alla sua bicicletta. Egli disputò la prima gara a Staggia, nel 1940.
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La prima vittoria giunse nel 1941 a Molinuovo di Firenze in volata, battendo i migliori fiorentini. Ottenne in seguito altre vittorie e numerosi piazzamenti, fino a quando, con lo scoppio della guerra, decise di abbandonare. Nell’immediato dopoguerra questa disciplina fu sostenuta da un gruppo volenteroso di ragazzi i quali gareggiarono inizialmente con la tessera dell’Ente nazionale Lavoratori, Enal, con il contributo di alcuni commercianti del paese. Urno Vittori nacque a Trequanda nel 1931, ma arrivò a Monteroni nel 1937. Ragazzo di bottega presso un ciabattino a Siena, comprò la sua prima bicicletta “Perozzi” con i propri risparmi. Disputò la sua prima corsa nel 1948. Nel 1949 fu scritturato dalla Mens-Sana e vinse il campionato toscano inseguimento a Fornacette di Pisa, oltre a ottenere numerosi altri primi posti. Aldo Patacchini, anche lui nato nel 1931, ricordato da Giordano Cioli e Mirella Meloni come il “Campione della Valdarbia”, iniziò a pedalare per emulazione, imitando gli amici correre la domenica nelle feste paesane. Aldo comprò una bicicletta da un operaio della “Perozzi” di Siena e da allora non riuscì più a separarsene. Altri protagonisti del tempo furono Giovanni Vigni e Ronaldo Galletti. La prima gara ciclistica a Monteroni d’Arbia, la Coppa comunale del 31 Agosto 1947 di 90 km, fu vinta da Aldo Patacchini, allora solo sedicenne. Altri successi del Patacchini arrivano a Isola d’Arbia, nello stesso anno, in una gara organizzata dall’Enal, con 40 parteci-
Da sinistra a destra: Fernando Santini, Urno Vittori, Aldo Patacchini
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panti, 29 giunti all’arrivo. Fu l’inizio per lui di una serie avvincente di competizioni in giro per la Toscana: a Sovicille, San Rocco, Firenze, Livorno, Levane Val d’Arno e Guazzino. Nel 1948, Patacchini, sulla base dei buoni risultati stagionali conseguiti, fu convocato nella squadra regionale toscana categoria allievi, composta da 12 atleti, per disputare a Torino i campionati italiani. Patacchini partì in bicicletta per raggiungere Firenze. Giunto nel capoluogo toscano, fu ospitato in casa da una sorella della zia. Il giorno dopo ripartì in treno per Torino, dove fu ospite di una famiglia monteronese. In gara Patacchini arrivò in volata nel gruppo di testa. Nel 1949, il gruppo toscano, arricchito anche Urno Vittori, corse a Reggio Emilia. Il Vittori cascò, mentre Patacchini arrivò tra gli ultimi. Nel 1950 Aldo si ammalò di pleurite. La malattia, a lungo minimizzata dagli stessi medici, lo costrinse ad abbandonare definitivamente l’attività. Anche il Vittori smise poco dopo. Altre esperienze ciclistiche partirono, ma senza ottenere lo stesso risultato di quegli anni d’oro, fino a quando nel 1965, ad opera dell’U.S. Monteroni appena costituito, fu organizzato il Giro della Valdarbia, già citato. I principali promotori furono Pietro Lippi, Dante Bernazzi, Emilio Mori, Nello Pallassini e Giulio Nencioni.
Nella pagina accanto Bartolomeo Verdicchio viene premiato dal sindaco Fabio Pacenti Coppa della Fortezza 1966. La squadra di calcio del Monteroni
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Le associazioni La Misericordia Le Acli La Pubblica Assistenza Gli Imprevedibili La Filarmonica Giacomo Puccini La Popolare
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La Misericordia a cura del gruppo Misericordia Monteroni
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el territorio del Comune di Monteroni d’Arbia sono ricordate, negli Archivi della Curia Arcivescovile di Siena, almeno quattro associazioni aventi come scopo lo svolgimento di opere di misericordia. Prima di prendere in considerazione il capoluogo, si deve fare cenno a due frazioni di Monteroni, ossia Cuna e Lucignano. In particolare a Cuna già dal 1575 è ricordata la Compagnia della Congregazione dell’Immacolata Concezione di Maria. Stessa data, in cui venne effettuata una visita pastorale del vescovo Francesco Bossi, ci viene offerta per due associazioni presenti nel territorio di Lucignano: la Società del Corpus Domini e la Società del SS. Rosario. Entrambe svolgevano opere di misericordia, ma merita un cenno particolare la seconda custode, nella chiesa di San Giovanni Battista, di un Altare su cui era presente un dipinto raffigurante una Madonna con un Rosario in mano, che a seguito di opere di restauro, venne attribuito a Simone Martini. L’opera oggi è conservata ed esposta presso la Pinacoteca Nazionale di Siena. Proprio tale dato induce a ritenere che, con tutta probabilità, la Società del SS. Rosario di Lucignano fosse risalente ad un’epoca sicuramente anteriore al 1575. Venendo adesso al Capoluogo, cioè all’abitato che anticamente si svolgeva attorno al Mulino, la prima testimonianza dell’esistenza di una confraternita per opere di misericordia si deve a un verbale del 1602, anno in cui l’Arcivescovo Tarugi, durante una visita pastorale proprio nelle nostre terre, ordina che “l’Altare che sta nel braccio della Chiesa dalla parte dell’Evangelio s’orni et accomodi con le cose necessarie come di sopra, poi ci contentiamo che si celebri in quello e vi s’instituisca la confraternita come c’è stato supposto in detta visita.” Spesso nei verbali reperibili negli archivi della Curia Arcivescovile senese con riferimento a visite pastorali, è ricordata la medesima confraternita sotto il nome di Società del SS. Nome di Gesù, che poi verrà mantenuto fino al 1913. Riferimenti si trovano nell’anno 1609 per una visita dell’arcivescovo Fabio Piccolomini, nel 1627 con l’Arcivescovo Alessandro Petrucci, nel 1634 con l’Arcivescovo Ascanio 64
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Piccolomini. L’alto prelato, durante varie visite effettuava minuziosi esami dell’altare presso cui i confratelli e le consorelle prestavano il loro giuramento di fedeltà. La Compagnia nasceva infatti in seno alla Parrocchia e prestava i suoi servigi per conto di questa. Le visite pastorali assumevano quindi l’aspetto di vere e proprie ispezioni e non solo sulla tenuta delle cose sacre, ma anche rivolte all’operato dei singoli associati nei confronti delle necessità delle persone. Di ciò si trova conferma nel libretto stampato nel 1913 “Norme e Costituzioni della Compagnia del SS. Nome di Gesù con Squadra di Misericordia in Monteroni d’Arbia”, alla pagina “Principi Generali”, che ci obbliga a trascrivere nella sua integralità il suo contenuto affinché si possa comprendere bene il significato altamente umano e cristiano da cui ha preso origini la Misericordia di oggi: “Principi Generali - La Compagnia del SS. Nome di Gesù anticamente costituita nella Chiesa dei SS. Giusto e Donato in Monteroni d’Arbia, venne ripristinata nell’anno 1879 ed ha per iscopo: 1- il bene spirituale, il lustro e decoro della Chiesa stessa; 2- rendere nel miglior modo possibile tributo di affetto e di preghiera all’anima dei fratelli estinti; 3- si propone inoltre per deliberazione dell’intiera Fratellanza del 20 aprile 1913: a) di ottenere il miglioramento morale ed economico degli ascritti; b) di prestare ad essi gratuitamente i primi soccorsi di urgenza per ferite o malattie e di trasportarli ove occorra; c) di assisterli coll’opera personale, scambievole, gratuita e quando sia possibile, anche col sussidio, nelle malattie, secondo le norme stabilite nel regolamento; d) di prestare l’opera collettiva ed individuale dei fratelli per qualsiasi atto di carità pubblica o privata, quando ne riconosca la necessità o ne venga richiesta.” Naturalmente non deve essere stato facile dal 1602 arrivare al 1913, considerando la travagliata storia d’Italia e della Toscana. Le associazioni come le Confraternite di Misericordia sono state oggetto di ben due provvedimenti di soppressione: il primo nel 1785 ad opera del Granduca di Toscana (Canapone) ed il secondo ad opera di Napoleone. Quest’ultimo in particolare era inteso allo scioglimento di tutte le associazioni religiose o comunque affiliate alle Parrocchie. E’ quindi evidente la grandissima forza d’animo, nonché la fede e l’attaccamento ai principi di solidarietà umana che hanno spinto i nostri predecessori a superare le difficoltà incontrate lungo il loro cammino, anche operandosi nella stesura di “lettere di supplica” rivolte all’autorità ecclesiastica per ottenere nuovamente il benestare per la continuazione della propria attività. Non sono poi da sottovalutare le difficoltà di carattere economico:
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gli unici mezzi che permettevano di sostenere le attività della Confraternita erano le poche donazioni di grano (fatte da chi il grano lo aveva raccolto…) e qualche sporadica elemosina in occasione delle festività. E così il mondo ha continuato a girare, con tanti scossoni, per arrivare ai giorni nostri. Adesso, sotto l’aspetto economico, può apparire semplice gestire una Confraternita di Misericordia che sappia rispondere alle attuali necessità; tuttavia queste aumentano enormemente per l’incremento della popolazione, per una richiesta sempre più articolata di servizi cui siamo chiamati a rispondere, per una visione della vita e della convivenza del tutto diversa, che ogni giorno ci sorprende e che talvolta non siamo preparati ad affrontare per l’incombenza della necessità cui dobbiamo far fronte. Ciò che si deve porre in evidenza è che, ora come allora, la nostra Confraternita di Misericordia si regge esclusivamente sul volontariato, e sebbene molti Confratelli e Consorelle abbiano capito il vero valore della fratellanza e della carità umana, dedicando una parte del loro tempo ai bisogni del prossimo, c’è ancora urgenza di più persone per riuscire a svolgere il nostro compito di Misericordia in modo più incisivo e capillare verso la popolazione bisognosa. Tuttavia la nostra organizzazione conta ad oggi circa 1500 iscritti, di cui 60 volontari attivi; è disponibile con 1 ambulanza e 4 mezzi attrezzati per il trasporto di disabili. Vengono svolti servizi per conto del Comune, della Provincia e del 118. Anche i privati possono accedere direttamente ai servizi offerti, qualora si trovino in precaria condizione di salute con la necessità di recarsi presso ambulatori e ospedali. L’attuale nome di Confraternita di Misericordia di Monteroni d’Arbia è stato assunto nel 1913, anno in cui è stata formalizzata l’affiliazione alla Confederazione Nazionale delle Misericordie d’Italia. A tale Confederazione risulta ancora oggi iscritta anche la Confraternita di Misericordia di Lucignano, la quale ha la sua sede presso i locali della Parrocchia di San Giovanni Battista. Anche la sede, nella corso della storia, ha subito degli spostamenti: originariamente, come spiegato in precedenza, questa era presso la Parrocchia, ma negli ultimi cento anni ha cambiato diverse ubicazioni tra Via Siena e Via Roma, dove è stata ospitata anche presso i locali del Comune. Attualmente la sede, di proprietà, è situata in Via Lauretana. Qui è possibile ricevere in tempi rapidi visite specialistiche con medici di-
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sponibili, nonché trattamenti fisioterapici con le necessarie moderne attrezzature. E’ disponibile un ampio e accogliente giardino dove vengono svolte le feste sociali, e su richiesta feste private. Qui, ormai da un decennio, si svolge l’importante manifestazione “Il Giardino della Solidarietà”, ideato per offrire un riconoscimento a enti o persone che si siano adoperate per la promozione e sviluppo del territorio di Monteroni d’Arbia. E’ doveroso infine ricordare che nel 1969 venne fondato, in seno alla Confraternita di Misericordia di Monteroni d’Arbia, il Gruppo Donatori di Sangue Fratres, avente come obbiettivo la campagna per la donazione del sangue. Ad oggi anche per tale gruppo, gli iscritti sono circa 1500, con un cospicuo numero di donatori attivi; tuttavia sono sempre maggiori le esigenze in molteplici campi della medicina, ed è quindi necessario continuare a rinnovare con vigore l’invito alla donazione verso la popolazione, per riuscire a mantenere, e possibilmente incrementare, la disponibilità di sangue.
Una vecchia lettiga e alcuni oggetti sacri della Misericordia
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Le ACLI a cura di Francesco Guerrini
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l circolo ACLI venne costituito nell’anno 1952 ed era ubicato nell’unica stanza attigua alla chiesa di S. Giusto. Quella stanza era stata utilizzata, in precedenza, come aula per il catechismo, piccole recite e, grazie all’impegno di Lina Lombardi vi fu istituito il primo asilo di Monteroni. L’asilo era diretto da Elide Mantengoli insieme a Maritza Mencarelli, coadiuvate da due assistenti cuoche ed era frequentato da 18 femmine e 11 maschi. Fu chiuso nell’anno 1947. Dopo questa data arrivarono le suore e l’asilo fu trasferito in un’ala delle vecchie scuole elementari. Negli anni 1954-55 il circolo fu ampliato e furono realizzati nuovi locali con il bar, noto a molti monteronesi perchè lì per la prima volta poterono vedere la televisione. I primi presidenti del circolo ACLI furono Romualdo Ferri, Enzo Soldati, Ezio Biagiotti, Alfredo Pallassini e Giuseppe Mantengoli che dall’anno1982 rimase in carica fino al 2008, quando subentrò Francesco Guerrini. Oggi il presidente è Andrea Fiorentini. Dobbiamo ricordare il parroco Italo Signorini che tanto ha fatto per questo paese nei momenti difficili del dopoguerra e che ha messo sempre a disposizione i locali della parrocchia per il bene della comunità.
Benedizione dei nuovi locali delle ACLI
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La nascita della Pubblica Assistenza a cura di Elvio Angelini
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iamo nel 1954, nei primi anni di vita della nostra Repubblica nelle famiglie contadine dell’epoca era molto sentito il desiderio di mutualità, di solidarietà, di aiuto reciproco, soprattutto quando si parlava di salute. Uno dei problemi più grossi quando dovevi affrontare un intervento chirurgico era la necessità di reperire il sangue per eventuali trasfusioni. Allora non c’era la banca del sangue. Dovevi cercarti i donatori volontari, con il gruppo sanguigno compatibile, che pochi giorni prima dell’intervento depositavano il sangue. A Monteroni fu deciso di dar vita ad una associazione che cercava di provvedere alle necessità sanitarie di un gruppo di soci. L’esempio fu preso dalla Pubblica Assistenza di Siena che già esisteva e dalla quale si mutuò anche lo statuto. Il primo gruppo di adesione fu di 18 famiglie, di 12 persone ciascuna (allora erano numerose), circa 200 soci. Il primo presidente fu Mario Bardelli. A Siena il capogruppo delle Pubbliche Assistenze era il sig. Lenzi. L’attività dell’associazione era principalmente organizzare la raccolta del sangue per i soci e cercare di acquistare i primi presidi sanitari che potevano servire ai soci in caso di infortunio.
Il logo sdell’Associazione Pubblica Assistenza Val d’Arbia
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Già dal 1959 si organizzò all’interno dell’associazione un gruppo presieduto da Benito Savelli che si occupava di organizzare i funerali per le famiglie dei soci. Nel 1964 fu organizzato in parallelo alla Pubblica Assistenza il gruppo Donatori di sangue. Si partì con 17 donatori e nel giro di poco si arrivò a 28. Nel 1974 fu redatto il primo statuto della Pubblica Assistenza Monteroni e si iniziò a distribuire sempre di più i presidi sanitari ai soci che ne avessero bisogno. Nello stesso anno in un piccolo locale in via Roma si iniziò a fare la fisioterapia sempre per i soci. Nel 1985 fu stipulato lo statuto Pubblica Assistenza e donatori di sangue riunendo le due associazioni in un unico soggetto, in un unico tesseramento con uguali diritti ai servizi fra i soci. Dal 1986 al 1992 fu presidente Lido Rubegni. Dal 1992 al 1995 fu presidente Aldo Tognazzi. Dal 1995 al 1997 fu presidente Adelmo Rosini. Furono anni di forte crescita per Monteroni, e ovviamente la richiesta di sempre maggiori servizi da parte dei cittadini fece crescere anche la disponibilità di mezzi e attrezzature da parte della Pubblica Assistenza. Nel 1992 venne acquistata la prima ambulanza, serviva per il trasporto dei pazienti barellati e si costituì il primo gruppo di volontari abilitati a tale servizio. Dal 1996 inizia l’attività del 118 e la Valdarbia aderisce al servizio. Inizia la formazione di un numero consistente di volontari preparati per i servizi di emergenza e si dota di una ulteriore ambulanza. Nel 1997 fu deciso di riunire le cinque associazioni Pubblica Assistenza presenti nei comuni di Monteroni e Murlo in un’unica associazione denominata Valdarbia. Le cinque Associazioni erano: Monteroni, Ponte a Tressa, Ville di Corsano, Ponte d’Arbia e Murlo. Nel 1998 è presidente Duccio Giannettoni dopo un breve periodo di presidenza di Adriano Vallerani. Sono gli anni appena successivi alla riunificazione, e la crescita dell’associazione è notevole in numero di prestazioni, soci, volontari, e anche mezzi. Si rende necessario ampliare gli spazi a disposizione. Così dopo il 2000 si inizia a lavorare alla nuova sede e nel 2003 viene inaugurata la nuova sede (attuale) realizzata con il contributo e il
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lavoro prima dei soci e dei volontari, e con il contributo economico degli Enti e della Fondazione Monte dei Paschi. Dal 1992 si tiene ogni anno la festa del volontariato fra la fine di Maggio e i primi di Giugno. Prima veniva fatta nel piazzale De Gasperi (ex macelli), poi al campo sportivo e dal 2003 nella sede della Valdarbia. Giannettoni rimane presidente per tre legislature, fino al 2007. Dal 2007 è presidente Marco Cecchi, tuttora in carica. Oggi l’associazione Pubblica Assistenza è una realtà con 5650 soci, con 13 mezzi attrezzati per il trasporto sanitario di cui 3 ambulanze, un poliambulatorio, una fisioterapia e un salone polivalente. Inoltre una buona attrezzatura per la protezione civile, un mezzo fuoristrada, una idrovora potente, una tenda pneumatica, un gruppo elettrogeno con torre fari e molto altro. Tutte cose che nell’ultimo anno sono state utilissime. Recentemente abbiamo anche un gruppo di volontari che partecipa alle attività con il soccorso alpino. Questo sviluppo è stato possibile, grazie all’impegno dei volontari che nella nostra associazione sono fortunatamente numerosi e molto attivi. Sono loro l’anima dell’associazione. E solo grazie al sacrificio e al lavoro di queste persone che associazioni grandi come la nostra possono non solo sopravvivere, ma continuare a crescere e proliferare nell’interesse della collettività.
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Gli Imprevedibili a cura di Augusto Codogno
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l gruppo teatrale “Gli Imprevedibili” nasce nel 1982 su idea di Luciano Caiello, farmacista e stimato cittadino. L’occasione fu la volontà di aiutare, in quell’autunno, la Confraternita di Misericordia di Monteroni che stava cercando di aprire un ambulatorio di fisioterapia per andare incontro a tutti quegli anziani e indigenti i quali avevano necessità di curarsi e dovevano necessariamente spostarsi su Siena. Questa iniziativa mise in moto l’idea di rappresentare una commedia e coinvolgere alcune persone del paese per raccogliere un contributo economico alla Misericordia. Inizialmente furono sentite alcune signore amanti del teatro come Carla Ghini, Silvana Lippi, Sandra Fedeli e Tina Taccioli che si rivelarono successivamente anche ottime attrici. Nel Giugno del 1983 il primo gruppo di teatranti è pronto per andare in scena al Supercinema ed è subito successo. Con la commedia brillante “Il castigamatti”, di cui furono fatte tre repliche, i principianti assaporarono per la prima volta gli applausi del pubblico e i complimenti della gente. Lo spettacolo viene poi richiesto anche a Buonconvento e Murlo. L’anno successivo si prosegue portando in scena “La moglie di papà” e poi via via con altre commedie come “Ci vuol
Il gruppo teatrale de “Gli Imprevedibili”
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coraggio”, “Il fattore e il contadino”, “La mano sulla coscienza”, ”Sei per sei”, “Nonna Belarda”, “Chi ha traviato la Traviata?”, ”Per disgrazia ricevuta” e molte altre. L’ultima che risale al Giugno 2009 è “Gallina vecchia” ed è stata rappresentata alla Pubblica Assistenza di Monteroni d’Arbia. Non siamo in grado di elencare tutte le commedie portate in scena dal gruppo monteronese, ma possiamo senz’altro ribadire dello spirito di volontariato che lo ha sempre contraddistinto. Infatti, questa Associazione non si è mai esibita a scopo di lucro ed il ricavato delle sue performance è andato di volta in volta ad aiutare le Associazioni come La Misericordia, la Pubblica Assistenza, l’Associazione per la Sclerosi Multipla, i terremotati di Umbria e Marche, l’Associazione Sindrome di Rett ed altre ancora. Il successo di questa associazione, a cui avevano creduto da subito e dato spinta don Sergio Volpi e la signora Mary Tanganelli, si deve anche alla tipologia teatrale portata in scena ed al binomio commedia brillante-vernacolo che è da sempre una attrazione per il vasto pubblico popolare che ne riconosce il valore di lingua, di luogo e ambientazione. Come non riconoscersi infatti nelle numerose famiglie contadine rappresentate nelle commedie o in quelle ambientazioni del primo dopoguerra o in quel linguaggio che ancora ci caratterizza per i vocaboli così buffi e nello stesso tempo così efficaci? Queste caratteristiche hanno fatto sì che al gruppo monteronese, amatoriale ma di buon livello, venissero aperte le porte dei teatri della nostra provincia e non solo, e gli fossero riconosciuti tributi anche in altre Regioni.
Il gruppo teatrale de “Gli Imprevedibili”
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La filarmonica Giacomo Puccini a cura di Fabrizio Cappelli
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a formazione della banda musicale risale ai signori Giani e Benassai, lanieri di Prato, che nell’anno 1888 si trasferirono a Monteroni d’Arbia per condurre il nuovo lanificio fatto costruire dal marchese Niccolò Bichi Ruspoli Forteguerri. Nella primavera del 1890 venne loro l’idea, con alcuni compagni di lavoro e amici monteronesi, di istituire una scuola di musica per creare un corpo musicale. L’iniziativa venne accolta con entusiasmo dalla popolazione e senza esitazione fu aperta la scuola sotto l’insegnamento di Giani (suonatore di cornetta) e Benassai (suonatore di clarinetto). Alla buona riuscita di questo progetto contribuirono molte persone, infatti le famiglie più agiate del paese furono liete di fornire un aiuto finanziario per l’acquisto degli strumenti necessari mentre il cavalier Girolamo Giovannelli dette il suo assenso affinché la filarmonica potesse utilizzare come sede i locali del teatro. Il primo maestro fu Salvatore Giaretta, rammentato anche in una delibera della Giunta Municipale del 1891 e la prima uscita pubblica fu il 9 Ottobre del 1892 in occasione di una festa popolare paesana. Da allora in avanti la banda musicale eseguì numerosi concerti, soprattutto per conto del Comune, tra i quali è opportuno menzionare: la festa degli alberi del 19 Ottobre 1902, il passaggio della Regina Madre nel 1904, l’anniversario della morte di Cavour 6 Luglio 1911. L’attività della banda venne sospesa durante il periodo bellico per poi riprendere dal 1919 in poi con entusiasmo e vigore. Da ricordare nel 1929 la partecipazione della banda ad un concorso musicale di alto livello artistico che si tenne a Grosseto; il nostro corpo musicale si classificò al primo posto tra l’entusiasmo di tutti gli intervenuti. Ancora una volta l’attività musicale della banda fu sospesa durante la II Guerra Mondiale e nei primi anni del dopoguerra la Filarmonica passò momenti molti difficili: da una parte la scarsezza dei musicanti e dall’altra la privazione della sede storica (il teatro e i locali annessi furono trasformati dal proprietario in quartieri per la civile abitazione) misero a dura prova la sopravvivenza stessa della formazione musicale. 74
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In soccorso arrivò l’Amministrazione Comunale che concesse alcuni locali per la sede della banda e pian piano l’attività concertistica riprese con passione; pensate che intorno alla metà degli anni ‘70 l’organico salì fino a più di sessanta elementi (64 musicanti + 3 mascotte). Memorabile è stato il successo che ottenne la Filarmonica l’11 Agosto del 1979 a Firenze per la celebrazione del trentacinquesimo anniversario della liberazione. In quell’occasione si riunirono nel capoluogo fiorentino settanta bande musicali; il nostro complesso si esibì in piazza della Signoria alla presenza di un folto pubblico e a seguito delle numerose richieste di brani musicali dovette trattenersi fino a notte inoltrata. In epoca recente con la guida (in ordine cronologico) dei Presidenti Stellati Michele, Mirko Caselli e Fabrizio Cappelli e pur tra diverse difficoltà logistiche (spostamento della sede storica da via Roma a quella odierna in via Sardegna), la Filarmonica sta svolgendo un’intensa promozione musicale: l’attivazione della scuola di musica con l’insegnamento di una rilevante varietà di strumenti musicali (chitarra, pianoforte, violino, sax, clarinetto, tromba... ); la possibilità, da parte di giovani musicisti di suonare sia nella formazione jazz diretta dal Mº Klaus Lessmann (Arbia big band) che nel complesso bandistico tradizionale guidato dal Mº Parri Giorgio ed infine l’organizzazione di seminari, concerti, giornate di studio allo scopo di allargare l’offerta formativa e la conoscenza della musica in tutti i suoi aspetti (classico, jazz, operistico… ).
La banda G. Puccini di Monteroni nel 1976
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La Popolare a cura di Maurizio Bernazzi
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a storia de La Popolare, cooperativa sociale a cui ancora oggi aderiscono oltre millecinquecento soci, inizia cinquant’anni fa, quando alcuni monteronesi decisero che anche nel nostro territorio era il momento di dare vita ad una Casa del Popolo. In quegli anni a Monteroni la popolazione era composta principalmente da contadini, soprattutto mezzadri, che lavoravano la terra in cambio di una piccola parte di raccolto, e furono proprio quelle precarie condizioni di vita e di assoluta povertà a spingerli ad organizzarsi per difendere i propri diritti e quindi a migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro. La crescita di tali organizzazioni, politiche e sindacali, pose ben presto il problema di individuare spazi dove ritrovarsi, discutere e socializzare, poiché la cooperazione era l’unico sistema per potersi permettere ciò che singolarmente nessuno aveva la possibilità di realizzare. Verso la fine degli anni ‘40 l’Amministrazione comunale offrì a questa causa alcuni locali, ma l’esigenza di usufruire di spazi più adatti e soprattutto propri, si faceva sempre più incessante, finché nel 1950 si presentò l’occasione giusta: il podere “La Briccola” situato proprio nel centro di Monteroni fu messo in vendita. Inutile descrivere le avversità che vi erano da parte della popolazione più agiata a questo tipo di operazione, ed è superfluo perfino ricordare che fra questa vi era anche il proprietario, tuttavia, attraverso l’aiuto di due intermediari, l’acquisto si concretizzò e la Briccola fu intestata ad una società in nome collettivo composta da venticinque soci. In realtà era a disposizione di tutta la collettività monteronese e il suo nome era: “La Popolare”. Grazie al lavoro di tantissimi volontari, l’immobile fu ristrutturato e vi si trasferirono il circolo ARCI, il sindacato ed i partiti. La Casa del Popolo, luogo in cui ognuno si riconosceva e alla cui crescita tutti partecipavano attivamente, era nata. La struttura divenne il centro della vita sociale di tutto il paese e con la costruzione di un locale da ballo all’aperto, “El Sombrero”, anche di quella ricreativa. 76
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Nel 1969 la società La Popolare fu trasformata in Cooperativa, cosicché tutti poterono divenirne soci. La necessità di reperire risorse da destinare agli investimenti spinse gli amministratori a cercare forme di autofinanziamento che furono individuate nel prestito sociale. Da allora i soci prestano alla cooperativa il proprio denaro e questa si impegna a pagare loro un interesse annuo, nonché a restituire il denaro quando verrà richiesto. Questo meccanismo, tutt’ora praticato, ha rappresentato il primo grande passaggio che le ha permesso di sopravvivere e funzionare fino ai giorni nostri. Il secondo grande passaggio è indiscutibilmente rappresentato dalla creazione della discoteca Papillon, datata 1978, per la verità, ampiamente contestata al momento della sua nascita; le perplessità erano legate al carattere imprenditoriale che le si attribuiva e quindi in pieno contrasto con quelli che ovviamente erano i fini che la cooperativa aveva il compito di perseguire. In realtà il Papillon ha rappresentato e rappresenta tutt’ora un importante punto di contatto e di interfaccia fra la mentalità e le necessità dei giovani e la cooperativa. Il Papillon le ha permesso da un lato di tenere sempre gli occhi aggiornati sui cambiamenti e quindi al passo con i tempi, e dall’altro le ha permesso di limitare lo sviluppo di alcune sfrenatezze giovanili che la società produce continuamente. Con l’istituzione del prestito sociale e l’apertura della discoteca si arriva fino agli anni novanta, con La Popolare trasformata da semplice casa del popolo a vera e propria impresa con lo scopo di produrre un utile nelle attività commerciali (il bar, la pizzeria, la discoteca) al fine di finanziare le attività di carattere sociale. Il resto è storia recente, è sotto gli occhi di tutti che il Centro Sportivo coinvolge più di duecento ragazzi nel Basket e nella pallavolo, che La Popolare sostiene e promuove attività amatoriali di calcio e di ciclismo; una realtà ormai consolidata infine è quella delle bocce. Intanto gli ultimi adeguamenti apportati al circolo ARCI hanno permesso di realizzare delle strutture che garantissero alcune importanti attività ricreative rivolte ai giovani e alla terza età. Infine, la Cooperativa si è affacciata da poco in un mondo a lei estraneo che è quello dei bambini. Se è vero che il motivo della sua nascita e della sua esistenza è di provare a dare delle risposte alle necessità ricreative e associative della comunità, è anche sicuramente vero che oggi una delle categorie più trascurate da forme ricreative di supporto sono le madri con i propri
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bambini. L’apertura del “Paese dei Balocchi”, una stanza fornita di giochi dove le madri possono portare i bambini da 1 a 6 anni, potrebbe essere un primo passo verso qualcosa di più richiesto e decisamente più prezioso per i soci. Se la Popolare è giunta fino ai giorni nostri è grazie al volontariato, all’impegno ed al lavoro degli uomini e delle donne che gratuitamente hanno impiegato il loro tempo per la crescita di questo progetto comune. Sulla loro strada hanno incontrato tutte le difficoltà che le mutazioni politiche e sociali della società hanno prodotto e che hanno costretto la cooperativa ad evolvere il proprio rapporto con i suoi soci, sia in termini di partecipazione ideale che materiale. Sarebbe impensabile che oggi i soci più giovani si ponessero nei confronti de La Popolare negli stessi termini con i quali lo facevano coloro che l’hanno fondata, ma è sicuramente un fatto che, grazie alla sua esistenza molti riescono a condividere esperienze e a partecipare ad attività che il tradizionale mondo dei privati non avrebbe mai l’interesse a promuovere.
La costruzione della Casa del Popolo 78
Le frazioni Ville di Corsano Ponte a Tressa Ponte d’Arbia Cuna Lucignano d’Arbia
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Ville di Corsano a cura della Pro Loco di Ville di Corsano
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Frammento di cratere attico a figure rosse Da Grotti Vsec. a.C.
e più antiche tracce di popolamento del territorio di Ville di Corsano risalgono all’età etrusca, ovvero al IV-V secolo a.C.: i primi reperti furono ritrovati nella zona di Grotti all’inizio del secolo scorso. Più tardi, a metà degli anni ‘60, un gruppo di giovani studenti senesi scoprì una tomba scavata nella roccia in località “Certino”, presso Grotti, nel fondo Piccolomini, ma la conferma più importante venne negli anni ‘70 con i cospicui ritrovamenti di corredi tombali che affiorarono in occasione dei lavori di estrazione all’interno della cava di pietrisco nella zona dei “Mocali”. Si trattò di ritrovamenti importanti perché i numerosi oggetti ritrovati in questa circostanza, che andarono ad unirsi a quelli già scoperti e giacenti al museo archeologico di Siena, per la varietà degli stili che li caratterizzava, attestavano una cultura viva, avanzata, già dedita a scambi fra le località della costa e l’interno. Certamente il territorio continuò a essere popolato in epoca romana: il Merlotti nel suo lavoro di ricerca sulle parrocchie suburbane del senese accenna alla presenza nel territorio di antichi sepolcreti di questa epoca e ipotizza che lo stesso nome di Corsano possa derivare dalla famiglia romana che lo aveva abitato. La storia diventa più leggibile accostandoci all’età medievale, quando si dovette verificare nelle campagne un profondo riassetto territoriale e insediativo. Lo attestano la presenza nel territorio di agglomerati con villaggi aperti accentrati, all’interno dei quali avevano sede infrastrutture del sistema curtense. Di alcuni di questi rimangono ancora tracce vistose, si pensi a Poggio ai Frati, in alto su una collina, con torrione a pietra e base a scarpa, a Le Stine, con il suo castello tuttora ben conservato di cui si ha notizia fin dall’ottavo secolo, alla pieve di San Giovanni Battista, cara ai cittadini delle Ville di Corsano, con interessanti testimonianze del romanico senese; a Sant’Ansano Gherardi con la sua altissima torre trecentesca che si trova lungo una strada chiamata, secondo un vecchio detto popolare, “strada dell’impero”, a ricordare che la zona era attraversata da uno dei percorsi della Francigena, la via verso Roma dei pellegrini, dei 81
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mercanti, degli eserciti, degli imperatori. Ci dovettero essere altri agglomerati importanti, luoghi attivi nella società medievale, come attestano le notizie sull’esistenza nel territorio di diverse parrocchie collegate alla chiesa pievana di San Giovanni, ma ne rimangono tracce labili. Probabilmente decaddero nel corso dei secoli XIV, XV, XVI in seguito alla peste, che alla metà del trecento falcidiò la popolazione, e alle guerre che imperversarono nel territorio per anni. Ancora il Merlotti ci dice che “… la chiesa parrocchiale di S. Ansano fu malmenata dalle soldatesche austro-spagnole nell’aprile dell’anno 1554, motivo per cui non fu altrimenti conferita per molti anni di poi, perché trasandate le sue terre, disperse in gran parte le famiglie che componevano la popolazione…”. Lo stesso castello di Grotti fu assaltato e “…guasto, specialmente nel 10 aprile del 1554, allorchè una forte squadra di cavalli e fanti si staccò dal campo imperiale all’epoca dell’assalto di Siena, e colà fece una tremenda scorreria mettendo a ferro e fuoco ciò che di resistenza incontrava per via…”. Ma, tornando al Medio Evo, della intensa religiosità di questo periodo rimane traccia nel territorio, non solo nella memoria delle numerose chiese di cui era costellato, ma anche nella vita del Beato Franco, nato a Grotti intorno al 1210, che, da adulto, per fare penitenza, si ritirò in luoghi sperduti in mezzo ai boschi: si parla delle “Mandrie” e di un grosso masso scavato all’interno, segnato con una croce gre-
Pianta delle fondazioni di un edificio situato nella località I Mocali. Disegno di E. Mazzeschi
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ca che si trova ancora oggi lungo il corso della Fusola, che, per noi bambini, era la casa delle fate, ma che pare sia stato per qualche tempo la dimora del Beato Franco. Questo santo eremita è amato dalla gente delle Ville di Corsano che ancora oggi lo ricorda con una festa la seconda domenica di maggio. Nel corso dell’età moderna, finita Siena sotto la signoria dei Medici, prima, dei Lorena poi, si ebbe un periodo di tranquillità in cui, tuttavia, la vita riprese, si consolidò la tendenza nel territorio ad una economia fondata sull’agricoltura, la pastorizia, lo sfruttamento del bosco. Fu nel corso di questi secoli che si andò anche affermando, con caratteri sempre più precisi, in Toscana, prima che altrove, il tipo di conduzione dell’agricoltura a mezzadria, attestato dai numerosissimi contratti fra padrone e mezzadro che ci sono giunti, in cui si stabilivano con estrema puntigliosità i molti diritti e i pochi doveri dei padroni, i molti doveri e i pochi diritti dei mezzadri. Fu un sistema che, per quanto iniquo, tenne e regolò i rapporti fino a dopo la seconda Guerra Mondiale, quando entrò in crisi per molti fattori di natura politica, economica, sociale. Fra questi, una diversa percezione dei diritti, il diffondersi di diverse opportunità di lavoro nell’artigianato, nel terziario, nell’industria della Val d’Elsa, l’attrazione che esercitava sui giovani l’idea di potersi sottrarre alla vita faticosa, misera, monotona della campagna optando per mestieri meglio retribuiti in città, dove si poteva, fra l’altro, godere di una vita sociale più stimolante. In quegli anni alle Ville la popolazione si riuniva alla sera al circolo ricreativo Enal, che si trovava alla fine del paese in località Casanova, dove erano avvenuti scontri fra fazioni politiche. Qui le persone più anziane raccontavano come novelle episodi del passato: di come era stato vissuto il periodo fascista; del passaggio del fronte; dei partigiani che avevano combattuto nei boschi circostanti le Ville; del passaggio dei marocchini; della liberazione, del rapporto tra padroni e contadini; di quando si mieteva con la bandiera rossa issata, alta, sul pagliaio, al canto di “Avanti popolo”; del rapporto tra la chiesa e la popolazione; delle feste nelle famiglie contadine; dei disagi delle famiglie che vivevano in zone impervie, in cui, nelle cattive stagioni, rimanevano completamente isolate; della raccolta delle olive e della trebbiatura; della condizione della donna e dei bambini. Negli anni del dopoguerra il tramonto della mezzadria ha segnato la crisi delle grosse aziende. Molti poderi sono rimasti abbandonati, alcuni sono stati venduti e sono stati riconvertiti in case
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di campagna per gli abitanti delle città. Le aziende rimaste hanno, per lo più, assunto proporzioni più modeste, hanno specializzato la loro produzione, sono gestite direttamente dai proprietari e hanno sostituito il lavoro dei vecchi braccianti con il ricorso di contratti a termine con cooperative. La fine della mezzadria ha segnato anche la fine della famiglia patriarcale e la nascita di gruppi familiari modesti. Un più diffuso benessere ha permesso ai giovani di studiare e di collocarsi sempre più nel terziario o nell’industria. Ancora oggi la comunità è viva, il circolo Enal si è trasformato in Circolo Arci Colibrì con una ampia e funzionale struttura. Si sono formate, ad animare la vita della comunità, anche altre associazioni come la Proloco, la società sportiva Alba, il gruppo motociclistico “Stringi le Ganasce”.
Ville di Corsano. Battuta di caccia del 1891 84
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Storia di Ponte a Tressa a cura di Alfredo Bechi
“D
ai verdi colli del Chianti rupestre che nel passato dei secoli oprò, sta Ponte a Tressa a cavallo di un rivo… che libero Stato si diè sempre sarà.” Ubicato lungo la Via Francigena a cavallo della Tressa, da cui ha origine il suo nome, l’antico Borgo di barrocciai si è trasformato nei secoli da piccolo agglomerato di poche case ad un paese di circa 1600 abitanti. Pochi sono gli elementi architettonici di rilievo che ricordano il suo antico passato, ed il suo stretto legame con Siena. Solo tre elementi sono infatti riconducibili alla prima parte del II millennio: “il Mulinello” antico molino in cui venivano macinati parte dei cereali della fattoria fortificata di Cuna, una cantina con volte a crociera nel vicolo del Tinaio anch’essa appartenuta alla Grancia di Cuna, ed un antico stemma del S. Maria della Scala posto su un edificio lungo la Cassia ove c’era una stazione per cambio cavalli e muli. Alcune mappe poderali del contado senese ci mostrano che la prima chiesa del borgo (andata poi distrutta) si trovava al Poggio, vicino al vecchio cimitero; solo più tardi venne edificata la nuova chiesa dedicata a San Michele Arcangelo, al cui interno fra le opere più importanti, si può ammirare un affresco che rappresenta l’Incoronazione della Madonna. La chiesa ha subito nel tempo numerosi restauri, l’ultimo dei quali è stato effettuato nel 2006 dall’architetto Bratto. Nell' ‘800 e nei primi anni del ‘900 il borgo è cresciuto lentamente, seguendo uno sviluppo lineare lungo la direttrice Cassia, e solo a partire dagli anni ‘60, si è avuto un’espansione urbanistica in località “Poggio” dove sino ad allora si trovavano solo un podere-fattoria ed alcune case di contadini. Fino al dopoguerra il paese aveva solo pochi abitanti (300-350) prevalentemente barrocciai e contadini, un popolo laborioso, orgoglioso e fiero (come dice il nostro inno “Siamo tutti di una stessa sorte e di uno stesso uguale sentimento, siam tutti uniti nello stesso accento di libertà di fede e di virtù…”).
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Il lavoro iniziava al mattino presto: i barrocciai attaccavano i muli al carro quando era ancora notte e si recavano ai Balzoni per il primo carico di rena. Si lavorava tutti i giorni, solo la domenica sera si faceva festa, quando gli uomini andavano dal vinaio e le donne alle funzioni religiose. Una vita semplice ma onesta, piena di valori umani, di amore per la propria terra e le proprie origini. In quel periodo a Tressa oltre al vinaio dove si andava a bere un gocciolino in compagnia di amici e ai negozi di alimentari dove però si vendeva un po’ di tutto (divenuti poi l’alimentari di Ginone con la gelateria di Elena ed il bar e l’alimentari del Boccini), c’erano molte piccole “botteghe artigiane”: il calzolaio, il barbiere, il fabbro, il falegname... che svolgevano anche la funzione di luogo di incontro e socializzazione. Era infatti un’abitudine comune ritrovarsi nelle botteghe a far due chiacchere dopo una lunga e dura giornata di lavoro o quando il tempo era brutto e non si poteva lavorare fuori. Gli anziani ricordano sempre la mitica bottega di Damino, poi del Cinellone (forse il primo luogo di incontro del paese), la bottega di Olinto, il tutto fare, dove si andava a chiacchiera mentre lui riparava ombrelli, intrecciava ceste e modellava botti, la bottega del fabbro dove i fratelli Alberti lavoravano dall’alba al tramonto, la bottega di Pierulino, altro tutto fare del paese, dove si riparavano biciclette e che tutti chiamavano per ogni tipo di piccolo intervento dall’idraulico all’elettricista, la bottega del calzolaio Cerfoglio dove si andava “a passar tempo” in
Piero Alberti (“Piero del fabbro”)
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allegria, perché lui era sempre pronto alla battuta e raccontava barzellette a catena che facevano ridere tutti, o alla bottega del barbiere Ciabattini che, abile musicista, allietava le serate con la sua musica. Proprio durante una di queste sere nacque l’idea di scrivere l’inno del paese. I vecchi Tressaioli hanno sempre avuto un forte senso di appartenenza al proprio territorio (genius loci) e la consapevolezza di essere una vera e coesa comunità, cosa che rendeva tutti orgogliosi di essere Tressaioli. Così, con parole del Giglioli e musica del Ciabattini fu scritto l’inno di Ponte a Tressa. Alcuni anni prima, nel 1931, guidati dalla voglia di avere uno spazio in cui potersi riunire che fosse realmente di tutti, alcuni giovani tra i quali anche mio babbo, fondarono il circolo che, se pur con qualche periodo di difficoltà, è andato avanti sino ad oggi . E’ negli anni '50-'60 che il circolo ha conosciuto forse il periodo di maggior splendore. In quegli anni infatti si organizzavano grandi veglioni di carnevale, serate da ballo con orchestre famose che attiravano gente da tutta la provincia e venne istituito il titolo di Miss Valdarbia a cui partecipavano le più belle ragazze della zona e dei comuni limitrofi. Subito dopo la guerra, nei primi anni ‘50, fu realizzata davanti al circolo una nuova piazza nell’orto di Vespasiano, oggi Piazza Risorgimento, dove tante serate estive sono trascorse serene, a cantar stornelli con Graziano e Mimmo che suonavano il bangio, a giocare a “palline” (bocce), o semplicemente a chiacchera sotto il leccio simbolo del paese, abitudine questa che si è protratta sino ai giorni nostri. Tutte le sere d’estate infatti giovani e anziani si ritrovano sotto “l’albero delle bombe” e fanno a gara a chi la spara più grossa. Capitolo a parte merita la fiera a Tressa, antica festa paesana nata sul finire dell’Ottocento. Inizialmente la festa era una fiera-mercato di bestiame e attrezzi per l’agricoltura che si svolgeva alla fine dell’estate, quando i contadini si organizzavano per la vendemmia e la semina. Era un appuntamento annuale molto importante con grande affluenza di gente, durante il quale con una semplice stretta di mano si concludevano importanti affari, soprattutto compravendite di animali. Venne poi deciso di fare la fiera in una data fissa, il giorno dopo la festa della Madonna. Così l’8 Settembre per la festa religiosa si
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celebravano i riti sacri in onore di Maria Santissima ed il parroco benediceva i bambini invocandone la protezione. Poi il giorno dopo si svolgeva la grande fiera: nel “campo dell’amone” si effettuava il mercato del bestiame, mentre il borgo lungo la Cassia si riempiva di bancarelle con mercanzia varia, bibite, porchetta e qualche dolcetto. Gli artigiani trasformavano i loro negozi in mescite di vino ed osterie ed i giovani, per far qualche soldo, organizzavano rimesse di biciclette. Nelle vie adiacenti alla Cassia si preparavano giochi vari come il tiro a segno, il tiro alla finta lepre e ai gessetti o alle lampadine fulminate e, lungo la stradina per l’Arbia, si improvvisavano campi di bocce. Ricordo bene quando da bambino, nell’immediato dopoguerra, aspettavo con ansia la fiera, perché questo significava oltre al divertimento e all’eccitazione per l’evento eccezionale, anche l’arrivo di qualche piccolo regalino: un fischio, una girandola, un po’ di caramelle o magari un coltellino. Poi pian piano negli anni ‘60 l’importanza della fiera è andata diminuendo, sin quasi a scomparire, principalmente a causa delle profonde trasformazioni economiche e sociali del territorio, fino a quando agli inizi degli anni ‘70 alcuni nostalgici tressaioli, ricordando i bei tempi passati, decisero di riorganizzare la fiera a Tressa, abbinandola alla Sagra del rivolto (tipica specialità tressaiola). Da allora la fiera si è svolta regolarmente ogni anno e per meglio rievocare le sue origini da un po’ di anni ospita la Mostra del vitellone di razza Chianina, durante il quale viene consegnato il premio Guidino, in onore di uno storico personaggio del paese. Purtroppo per motivi di traffico e di sicurezza la fiera non si è più potuta svolgere lungo il paese, ma si è dovuta trasferire prima in piazza Risorgimento e poi ai nuovi impianti sportivi e nei locali della cooperativa, che da alcuni anni gestisce la festa. Nel 1970 per rispondere alle mutate esigenze della popolazione, e soprattutto dei giovani, sulle ali dell’entusiasmo per aver vinto il famoso torneo dei bar di Monteroni, venne fondata la società sportiva A.S. Tressa di cui sono stato il primo Presidente. Per molti anni la società sportiva, grazie al contributo di molti volontari e sponsor, ha raggiunto gloriosi successi sportivi, come il passaggio di categoria, riuscendo anche a realizzare con molti sacrifici gli attuali impianti sportivi. Negli ultimi anni, però, difficoltà economiche ed uno scarso inte-
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resse della gente che ormai segue lo sport in tv, hanno costretto gli attuali dirigenti a dimenticare il forte campanilismo e fondersi prima con il Monteroni e poi con il Buonconvento nella nuova societĂ Valdarbia. Purtroppo oggi anche a Tressa la routine della vita moderna ha finito per modificare le abitudini di vita della gente e trasformare profondamente il tessuto sociale.
1948. Musicanti di Tressa
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Ponte d’Arbia dal 1944 ai giorni nostri a cura di Grazia Lippi
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Il mugnaio di Ponte d’Arbia
ella seconda metà del 1944, a pochi giorni dalla cacciata dei fascisti e dei tedeschi (29-30 Giugno), Ponte d’Arbia appariva un paese in preda alla desolazione. Alla gravità delle perdite umane si aggiungeva quella delle distruzioni causate dai bombardamenti aerei del ponte sull’Arbia, paradossalmente rimasto sostanzialmente integro, anche se danneggiato, mentre l’intero paese appariva inagibile, a parte pochi edifici. Neppure i poderi sparsi nella campagna circostante furono risparmiati, come testimonia il fonogramma inviato a Prefettura, Questura e Protezione antiaerea di Siena dal Podestà Ghini il 23 Aprile 1944 in merito al bombardamento del Poderuccio, di proprietà dell’Ing. Dante Parenti. I collegamenti stradali e ferroviari erano pressoché inesistenti, l’attività produttiva fortemente ridotta o cessata del tutto. Come se non bastasse, su tutti incombeva poi lo spettro della fame e l’approvvigionamento si rivelò ben presto come il problema più drammatico del post Liberazione. Tutto ciò che gli Alleati potevano garantire era costituito da una razione alimentare giornaliera di pochi grammi di pane. In tempi di così grave carestia il mercato nero apparve ben presto incontrollabile; stante l’impossibilità di disciplinare i prezzi, la speculazione e la borsa nera minacciarono di assurgere a regine incontrastate. Fu in queste contingenze terribili che, per un moto spontaneo di molti abitanti del paese e dei dintorni, fu compiuto il miracolo di fornire il minimo indispensabile a tutti. Decisivo si rivelò in tal senso il contributo dei contadini, che seppero dimostrare tangibilmente la loro solidarietà cedendo i prodotti ai locali negozi, in cambio di altri generi di cui erano sprovvisti e alla Casa del Popolo sotto forma di quota sociale, senza alcuna corresponsione di denaro liquido, che li ridistribuiva come Cooperativa di consumo al ‘mercatino’. Nel 1946 presero avvio le opere di ricostruzione, a partire dalla strada statale Cassia, il cui tracciato fu modificato e dalla realizzazione del complesso di case popolari adiacente a piazza Bandinelli e con queste l’accavallarsi dei problemi, che portarono alla luce molti dei 91
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nodi irrisolti che l’entusiasmo e l’abnegazione dell’immediato periodo post Liberazione erano valsi momentaneamente ad accantonare. La Casa del Popolo si era spontaneamente e volontariamente costituita per promuovere un’azione coordinata che unisse insieme il momento della discussione politica e quello della partecipazione popolare, l’obiettivo dello sviluppo economico e quello della giustizia sociale. Era stata pienamente partecipe della stagione resistenziale, con le sue tensioni e la sua carica innovatrice, quale cellula ideale di un’immancabile, prossima società socialista, programmaticamente estranea a qualsiasi logica ‘produttivistico-aziendalistica’, ma il 10 Luglio 1949 decise, per mezzo del proprio Consiglio di Amministrazione, composto da Nello Boccini, Presidente, Guglielmo Meiattini e Ciro Franci, Consiglieri e con l’assistenza dei Sindaci effettivi Giuseppe Batazzi, Danilo Rubegni, Gino Nardi e supplenti Luigi Boccini e Giulio Fabbri, di dar corso alle pratiche per il riordinamento contabile amministrativo e per l’adesione alla Federazione Provinciale Cooperative, chiedendo altresì l’omologazione da parte del Tribunale di Siena delle modifiche statutarie apportate dall’assemblea straordinaria del 30 Maggio dello stesso anno. Il 10 Gennaio 1950, delibererà la conferma diretta di adesione alla Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue con sede in Roma, accettandone lo statuto approvato dal Congresso Nazionale di Reggio Emilia nella seduta del 17 Giugno 1947. Nonostante che l’esercizio 1949 si chiudesse con una perdita di
Veduta di Ponte d’Arbia ai primi del Novecento.
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70.752 lire, da coprirsi tramite il versamento di quote di ammissione da parte dei singoli soci, l’obiettivo che la Casa del Popolo si era dato di costruirsi una sede ‘degna e decorosa’ era stato raggiunto, soprattutto grazie allo spirito cooperativistico e al senso di sacrificio dimostrato da tutti i soci, sia nelle prestazioni gratuite che nell’aiuto economico dato alla nascente Cooperativa sotto forma di prestito. Nell’Agosto di quello stesso anno fu acquistato un apparecchio radio e una macchina da caffè espresso, ma occorrerà aspettare fino al 20 Maggio 1955 per l’acquisto, a rate, del primo televisore. Praticamente da subito cominciarono a svolgersi presso quella sede le attività ricreative ritenute opportune e necessarie per il buon andamento sociale del paese: il bar, con i tavoli da gioco, la sala da ballo, locali in cui riunirsi per ascoltare musica, leggere, discutere a seconda delle mode e degli interessi dei frequentatori durante le diverse ‘epoche generazionali’ dalla seconda metà del 1900 a questo primo scorcio degli anni 2000. Il 4 Febbraio 1951 i cittadini di Ponte d’Arbia e zone limitrofe si riunirono in assemblea e decisero la costituzione di una nuova associazione, sempre a carattere mutualistico, che si prendesse più specificamente cura delle persone in stato di necessità per motivi di salute e dei servizi funebri, denominata ‘Associazione Mutua di Assistenza fra i cittadini di Ponte d’Arbia e zone vicine’ e fu nominato il primo Presidente, nella persona di Livio Ricci. Sul verbale di quella riunione si legge che per il trasporto degli ammalati della zona all’ospedale senese veniva stipulato un contratto con l’Associazione della Pubblica Assistenza di Siena, affinché si impegnasse a fornire idoneo mezzo di trasporto. L’iniziativa, accolta all’inizio da 200 persone, estese nel 1955 le adesioni entro un raggio di azione che comprendeva Serravalle, Piana, Saltennano, Ville Petroni, Casale Sergardi, toccando percentuali di associati vicine al migliaio. Il 16 Ottobre 1963 l’Associazione Pubblica Assistenza patrocinerà, approvandone lo Statuto, la nascita del Gruppo Donatori di Sangue di Ponte d’Arbia che, sorto come gruppo “volontari del sangue” al suo interno, raggiungerà poi un alto numero di associati e soprattutto di donatori e una maggiore autonomia. Nel 1968 contava 132 donatori e aveva già effettuato 205 donazioni. Dal 1° Gennaio 1998, come tutte le Associazioni di Pubblica Assistenza della zona, anche quella di Ponte d’Arbia si è sciolta per confluire nella Pubblica Assistenza Valdarbia e continuare così a svolgere con maggior profitto
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qualitativo le proprie attività statutarie. Di ancor più antica tradizione, in quanto già esistente nel 1606 anche se soppressa durante gli anni ‘80 del secolo XVIII e ricostituita con l’approvazione delle autorità ecclesiastiche nel 1903, è la Compagnia di San Sebastiano, di matrice cattolica, con sede in Serravalle. Lo spirito di detta compagnia è riassunto nel primo articolo del suo Regolamento, che così recita: “La Venerabile Compagnia di San Sebastiano martire, canonicamente eretta nella parrocchia di Serravalle, Arcidiocesi di Siena, si compone esclusivamente di cattolici ferventi ed esemplari di ambo i sessi e di ogni età, i quali si propongono di servire con maggiore zelo a Dio e al Santo Protettore frequentando i Santissimi Sacramenti, praticando in comune esercizi di pietà e promuovendo il Culto Divino specialmente nella parrocchia di Serravalle”. Dal successivo art. 3 si desume che deve mantenersi solo con le “spontanee oblazioni che verranno dalla pietà dei fedeli”. Ancora oggi si festeggia San Sebastiano la domenica dopo il 20 Gennaio, celebrando nella chiesa di Serravalle, nata come oratorio della Compagnia, una messa in suffragio dei suoi defunti al termine della quale vengono distribuiti dei panini benedetti. La chiesa di Serravalle è stata d’altronde, fino alla costruzione della chiesa della Sacra Famiglia a Ponte d’Arbia inaugurata il 6 Settembre 1970, il luogo di culto della comunità di fedeli del paese. Il parroco aveva la sua abitazione nella canonica vicina e nella chiesa di Serravalle venivano impartiti i sacramenti e ci si riuniva per la messa domenicale, per la festa di San Sebastiano e per tutte le funzioni religiose. I bambini vi venivano accompagnati dalle suore che dal 1950 al 1971-72 gestivano l’Asilo Cresti, rimasto sede pure della scuola materna statale, fino al 1976 e utilizzato nel 1978 dalla Caritas Diocesana per accogliere profughi vietnamiti e cambogiani. Dai primi anni Ottanta l’asilo è utilizzato dal comitato locale di gestione per la cura e manutenzione dell’immobile del Centro Culturale Educativo Religioso Mons. L. Cresti, costituito e presieduto in quegli anni da S.E. Mons. Castellano e poi dai suoi successori, per la promozione di attività culturali, sociali e ricreative. Negli ultimi anni, in particolare dal 2000, i locali vengono messi a disposizione dei pellegrini che percorrono la Via Francigena, per fornire un tetto sotto cui ripararsi e una doccia calda. Il 14 febbraio 1985, su iniziativa di un nutrito gruppo di abitanti con la passione del calcio, è nata infine l’Unione Sportiva Ponte d’Arbia. Nei primi anni di vita il Ponte d’Arbia prende parte ai campionati amatoriali Uisp e, nella stagione 1986-87, vince il torneo provinciale,
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battendo il quotato Quercegrossa nella finale giocata al “Rastrello” di Siena. L’anno successivo la squadra partecipa al campionato regionale. Nell’agosto 1988 la Società si affilia alla FIGC (Federazione Italiana Giuoco Calcio) ed inizia l’attività dilettantistica di Terza Categoria. Nei turni casalinghi si continua a giocare a Buonconvento o a Monteroni, perché in paese non c’è il campo, ma nel 1992 viene inaugurato il nuovo impianto sportivo comunale di “Via degli Stagni”, dedicato successivamente ad un grande giocatore del Ponte: Alessandro Fedeli. Grazie al prezioso contributo del volontariato locale, la struttura diventa una delle migliori della provincia e ospita, nel corso degli anni, la prima squadra dell’A.C. SIENA, nonché partite amichevoli e Campionati del Settore Giovanile (Primavera, Berretti, Allievi Nazionali, Allievi Regionali). Intanto l’U.S. Ponte d’Arbia cresce e si attesta su livelli più che buoni nel panorama calcistico provinciale. Nell’annata 1997-98 c’è il salto di categoria; nella finale di Rapolano Terme i bianco-celesti superano il Castellina in Chianti approdando con merito in “Seconda”. Da allora la squadra è retrocessa solo tre volte riconquistando immediatamente la Seconda Categoria. Nella stagione 2008-2009, oltre alla vittoria del campionato, la squadra dell’attuale presidente Giovanni Fanani vince per la prima volta la Coppa Provinciale di Terza Categoria. E siamo arrivati ai giorni nostri. Nel 25° anno dalla fondazione, l’U.S. Ponte d’Arbia conclude il suo ennesimo campionato di Seconda Categoria al secondo posto in classifica: mai così in alto in tutta la sua storia.
Contadino con un bel paio di bovi maremmani nella spianata di Ponte d’Arbia
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Negli ultimi due anni, la collaborazione con l’U.S.D. Montalcino ha permesso alla Società di far giocare a Ponte d’Arbia, nel campionato Juniores Provinciale, molti giovani atleti del paese. L’Unione Sportiva Ponte d’Arbia fa festa tradizionalmente nei giorni dell’Epifania. Ormai da dieci anni grandi e piccini del paese, i “Pontigiani allo sbaraglio”, si mettono in gioco nella commedia brillante che apre la festa bianco-celeste nella serata del 5 Gennaio. E nel giorno dell’Epifania la “befana” porta calze bianco-celesti a tutti i bambini del paese e delle località limitrofe.
Veduta aerea di Ponte d’Arbia 96
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Cuna
Veduta di Cuna alla fine dell’Ottocento
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Cuna. Veduta dei primi ani del Novecento, lato ovest Cuna.Veduta dei primi del Novecento, lato est
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Lucignano d’Arbia
Lucignano d’Arbia. Interno di Porta Senese
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Lucignano d’Arbia. Veduta dei primi ani del Novecento Palazzo Bruchi Nella pagina accanto Il dottor Marsili e famiglia 100
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Appendice fotografica Monteroni d’Arbia
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