Giancarlo Pontiggia Maria Cristina Grandi
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Aurea dicta Storia e testi della letteratura latina
1 Dalle origini all’età di Cesare
LABORATORI DIDATTICI MAPPE DI SINTESI COMPITI DI REALTÀ NUOVO ESAME DI STATO
Il piacere di apprendere
Gruppo Editoriale ELi
Giancarlo Pontiggia Maria Cristina Grandi
Aurea dicta Storia e testi della letteratura latina
1
LABORATORI DIDATTICI MAPPE DI SINTESI
Dalle origini all’età di Cesare
COMPITI DI REALTÀ NUOVO ESAME DI STATO
@ Casa Editrice G.Principato
Coordinamento editoriale: Manuela Capitani Redazione: Chiara Mantegazza Ricerca iconografica: Eleonora Calamita Progetto grafico: Giuseppina Vailati Canta Impaginazione: Controlx Copertina: Giuseppina Vailati Canta Referenze iconografiche: Archivio Principato, Gettyimages, Shutterstock In copertina: Maschera teatrale in marmo, Deposito Antiquarium Ercolano (Shutterstock)
Per le riproduzioni di testi e immagini appartenenti a terzi, inserite in quest’opera, l’editore è a disposizione degli aventi diritto non potuti reperire, nonché per eventuali non volute omissioni e/o errori di attribuzione nei riferimenti. L’impostazione e la struttura generale dell’opera sono il risultato di un’elaborazione comune. In particolare, a Giancarlo Pontiggia si devono i capitoli 1, 3, 5, 6, 7, 9, 12, 13, 14, 15 e le Schede 3 e 5; a Maria Cristina Grandi i capitoli 2, 4, 8, 10, 11, 16 nonché le Schede 1, 2, 4, 6 e il Glossario dei termini retorici e stilistici. Le nozioni di metrica e prosodia sono tratte dal volume di Francesco Schipani, Lezioni di metrica latina, Principato.
Contenuti digitali Progettazione: Marco Mauri, Giovanna Moraglia Realizzazione: Alberto Vailati Canta, BSmart Labs AUREA DICTA Volume 1 ISBN 978-88-416-2021-2 Versione digitale ISBN 978-88-6706-137-2 Prima edizione: gennaio 2021 Ristampa 2026 2025 2024 2023 2022 2021 VI V IV III II I Printed in Italy © 2021 - Proprietà letteraria riservata È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale, possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi (Centro licenze e autorizzazioni per le riproduzioni editoriali), corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail autorizzazioni@clearedi.org e sito web www.clearedi.org. L’editore fornisce – per il tramite dei testi scolastici da esso pubblicati e attraverso i relativi supporti o nel sito www.principato.it – materiali e link a siti di terze parti esclusivamente per fini didattici o perché indicati e consigliati da altri siti istituzionali. Pertanto l’editore non è responsabile, neppure indirettamente, del contenuto e delle immagini riprodotte su tali siti in data successiva a quella della pubblicazione, dopo aver controllato la correttezza degli indirizzi web ai quali si rimanda.
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PRESENTAZIONE
Aurea dicta
Nel progettare Aurea dicta ci siamo proposti di realizzare uno strumento scientificamente corretto e didatticamente aggiornato, capace di fondere le caratteristiche di un manuale (cioè di una storia articolata per periodi rigorosamente e ordinatamente scanditi) con quelle di un’antologia (fondata sulla centralità dei testi). La sezione antologica comprende – accanto a un’abbondante scelta di testi tradizionalmente presentati in lingua latina con traduzione italiana a fronte – un cospicuo numero (oltre cento) di testi d’autore, i “classici” in lingua originale, ampiamente annotati e commentati, provvisti in nota di complete e fedeli traduzioni che aiutino lo studente nella comprensione linguistico-grammaticale dei testi. Gli autori proposti come “classici” sono, nell’ordine: Plauto, Terenzio, Catullo, Lucrezio, Cicerone, Cesare, Sallustio, Virgilio, Orazio, Tibullo, Properzio, Ovidio, Livio, Seneca, Tacito, Agostino. In non pochi casi, sono state privilegiate opere integrali (come il Somnium Scipionis), pressoché complete (come la prima Catilinaria di Cicerone), o ampiamente antologizzate (come il Liber catulliano e il Bellum Catilinae di Sallustio). La selezione dei brani è stata ogni volta impostata sul criterio della maggiore esemplarità dei testi e dei temi affrontati: la figura di Catilina ritorna nella prospettiva “a caldo” della celebre orazione ciceroniana, come in quella più distanziata della monografia sallustiana; la riflessione sulla dottrina epicurea si sviluppa in un confronto fra Lucrezio e Cicerone. Aurea dicta, titolo mutuato dal De rerum natura di Lucrezio (III, 12), vuole mettere l’attenzione proprio sul valore fortemente esemplare e pedagogico della letteratura latina: parole che irradiano la luce di una grande civiltà nella quale – e senza alcuna retorica – ancora oggi ci dobbiamo riconoscere. Il testo si articola in sezioni di profilo storico e percorso antologico, in uno stretto rapporto di reciproca interazione, in modo tale che il discorso storico del profilo sia funzionale a quei testi, e che i testi scelti siano ogni volta rappresentativi di un autore e di un’epoca: di questo rapporto testimoniano i continui rinvii tra le due sezioni (storica e antologica). La ricchezza dell’antologia (quasi duecento testi introdotti e commentati nel solo primo volume) risponde all’intento di consentire all’insegnante – come allo studente – la più ampia possibilità di scelta. L’impianto del discorso storico-letterario è in sostanza quello più collaudato e didatticamente efficace: l’ordine cronologico è rigorosamente rispettato; gli autori maggiori sono affrontati in capitoli autonomi; il rapporto fra la produzione letteraria e il contesto storico-sociale viene sempre evidenziato. Ampio spazio è tuttavia riservato all’evoluzione dei generi letterari: diversi capitoli presentano un’impostazione e un percorso per generi (il teatro e l’epica nell’età arcaica; l’elegia augustea; la poesia nella prima età imperiale; @ Casa Editrice G.Principato
III
PRESENTAZIONE le forme della letteratura cristiana). Ma questa nuova letteratura latina si arricchisce di numerose rubriche che consentono – ogni volta che lo si voglia o lo si ritenga necessario – un approfondimento e/o un’espansione del discorso in svariate direzioni (linguistica, storico-sociale, filosofica, antropologica): Il dibattito filosofico, Le fonti filosofiche, Istituzioni Romane, Nomi e parole degli antichi, Il genere letterario, Le forme dell’espressione, Gli scrittori e la storia, Le figure e gli eventi della storia, I luoghi dell’antico, Le parole di... La letteratura latina può anche essere interpretata sul piano storico come una grande cerniera, dotata naturalmente di caratteri originali, fra il mondo greco e le culture successive (dal Medioevo latino e volgare ai nostri giorni). Per questo si è voluto render conto di entrambe le prospettive, procedendo mediante veri e propri “campioni” di lettura in una rubrica specifica (Dialogo con i modelli): testi brevi ma significativi, capaci di far luce sui rapporti degli scrittori latini sia con il loro passato che con il nostro presente, anche contemporaneo. Specifici capitoli dedicati alla fortuna dei singoli autori (L’autore nel tempo) aiutano a comprendere il processo di circolazione e di diffusione delle opere latine più significative nel corso dei secoli, sottolineando ogni volta l’influenza che esse hanno esercitato sulla letteratura successiva. Una speciale rubrica fra i materiali on line intitolata Documenti e Testimonianze dà invece conto del giudizio degli antichi, sia greci sia latini, sugli autori letti e studiati. La centralità del testo è una delle acquisizioni indiscutibili della didattica più aggiornata: ciascun testo è non solo introdotto e annotato ma anche seguito frequentemente da una puntuale Lettura e interpretazione, da brani di altri autori che consentano un confronto serrato ed esemplare con il passo preso in esame (Confronti intertestuali), da pagine dei maggiori studiosi delle letterature classiche (Leggere un testo critico; Leggere un testo scenico). Nella sezione dei Laboratori, lo studente è invitato a entrare nell’officina dello scrittore, e a scoprire progressivamente la complessità strutturale e storico-culturale di un testo letterario. Ulteriori rubriche come Letture parallele o Sullo scaffale suggeriscono titoli e percorsi per letture autonome e approfondimenti. La sezione dei Compiti di realtà è uno strumento utile a consolidare le competenze degli studenti, coinvolgendoli in un lavoro – complesso e insieme concreto – che consenta loro di misurarsi con se stessi e con la realtà che li circonda. Non minore attenzione è stata prestata agli apparati necessari allo studio e alla lettura dei testi: di qui la presenza di Schede (ad esempio «La traduzione latina», «La dottrina epicurea», «Libri, lettori e biblioteche nel mondo antico»); di sommari delle opere maggiori (per restare al solo primo volume: i poemi omerici; le Argonautiche di Apollonio Rodio; le commedie di Plauto e di Terenzio; i carmina docta di Catullo; il De rerum natura di Lucrezio; le opere storiche di Cesare e di Sallustio; le opere filosofiche di Cicerone); di Fonti visive (che consentono di ragionare sui testi anche nella prospettiva del reperto archeologico, dell’oggetto di uso quotidiano o dell’opera d’arte); di una sezione dedicata a Metrica e prosodia; di un Glossario dei termini retorici e stilistici; di vasti, ragionati e diversificati blocchi di Verifiche, che riguardano non solo tutti i capitoli di storia letteraria, ma anche – nella sezione antologica – tutti i testi dei classici in lingua originale. Inoltre, in tutti e tre i volumi sono state approntate simulazioni della prova di latino per consentire la preparazione all’esame finale secondo le indicazioni ministeriali (Verso il nuovo Esame di Stato). Infine, ciascuno dei quarantadue capitoli di cui si compongono i tre volumi è provvisto nella parte conclusiva di una Sintesi del profilo e di una Mappa che riorganizzi rapidamente e visivamente il materiale studiato. Gli autori IV
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Aurea dicta
Exegi monumentum aere perennius
Aurea mediocritas brevitas Aequa mens Miscere utile dulci Fortuna dias in luminis oras Carpe diem
Est modus in rebus Contenuti digitali integrativi Nelle pagine sono inserite le seguenti icone che indicano la presenza e il tipo di contenuti digitali disponibili sul libro.
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V
Com’è fatto
Aurea dicta
Le aperture introducono all’argomento del capitolo mediante una suggestiva immagine e una citazione emblematica. Le parole chiave danno immediata evidenza alle tematiche fondamentali.
Un’ampia galleria antologica di testi in latino, latino/italiano, italiano, sempre introdotti e annotati, prevede pagine di Lettura e interpretazione, specifiche indagini sulle forme espressive, esercizi mirati di analisi e confronto intertestuale.
Un ricco apparato di rubriche propone approfondimenti di argomento storico, letterario, linguistico, filosofico, mitico, antropologico, e consente di instaurare collegamenti fra autori, opere, tematiche di epoche diverse: Dialogo con i modelli, Le forme dell’espressione, Le figure del mito, Fonti visive, e molte altre ancora.
VI
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Con i Laboratori entriamo nell’officina dello scrittore per imparare a riconoscere gli attrezzi del mestiere e a usarli adeguatamente.
I sussidi allo studio prevedono Sintesi, Mappe e Verifiche per aiutare lo studente nella memorizzazione e nel ripasso dei contenuti appresi.
La sezione Verso il nuovo Esame di Stato accompagna lo studente lungo tutto il triennio a esercitarsi con le simulazioni della seconda prova. Un ricco apparato d’appendice (nozioni di metrica, glossario retorico-stilistico, indici dei nomi e delle traduzioni) supporta lo studio e la consultazione.
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VII
INDICE
1 L’età delle origini Lo scenario temporale
Dalla fondazione allo scontro con Cartagine (753-241 a.C.)
1 L’età preletteraria
2 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 Fra Etruria e Grecia Il QUADRO STORICO Dall’età regia alla conquista del Mediterraneo fontivisive Segni divini
2 4 5
2 Roma e la Grecia
DOCUMENTI E TESTIMONIANZE • Vantaggi dell’insediamento romano (Cicerone, Livio, Strabone)
6 Le FIGURE del MITO Le antiche leggende di Evandro e di Enea 7 Roma: una città cosmopolita 8
3 La mentalità e le istituzioni
9
4 La religione romana 11
• La forma mista dello Stato romano (Polibio)
• Dall’Iliade: il lamento funebre sul corpo di Ettore
fontivisive Il culto di Diana Nemorensis 11 • I carmina convivalia
5 La lingua latina arcaica: iscrizioni e testimonianze 13 T 1 Un’iscrizione dedicatoria: il vaso di Dueno
LAT IT
(Cicerone, Varrone, Orazio)
14
TESTI T5 Carmen Saliare 6 I carmina 15 T6 Carmen Arvale T7 Formula dell’Augurio Nomi e parole degli antichi Una lingua rurale 16 sull’Arce T 2 Carmen lustrale LAT IT 17 T8 La devotio di Publio Decio Mure Le FORME dell’ESPRESSIONE Il verso saturnio 18 T9 Il rito della evocatio T10 Carmen Priami 7 Le leggi 20 T11 Scipionum elogia: due iscrizioni sepolcrali T 3 Leggi delle XII Tavole LAT IT 20 T12 Tre sentenze poetiche di Appio 8 Gli archivi pubblici e privati: le laudationes funebres; Claudio Cieco
gli Annales maximi; i Fasti 22 LEGGERE UN TESTO
T 4 La laudatio funebris di Quinto Metello IT 22 CRITICO • N. Turchi, Le grandi fontivisive Imagines maiorum 23 cosmologie indoeuropee
9 Le personalità: gli elogia; Appio Claudio Cieco 24 10 Il teatro italico e le origini del teatro latino 25
VIII
• A. Di Nola, Marte e Quirino LABORATORIO
Quattro frammenti delle fontivisive I vasi fliacici 25 XII Tavole La satura drammatica 26 BIBLIOGRAFIA ESTESA Bibliografia essenziale 27 Sintesi 28
MAPPA
29
Verifica finale
30
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2 L’età arcaica Lo scenario temporale
Dalla fine della I guerra punica alla morte di Silla (240-78 a.C.)
2 La poesia epica
32 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 La nascita della letteratura latina 32
La letteratura dell’età ellenistica 34
LIVIO, NEVIO ED ENNIO NEL TEMPO 2 L’epica nel mondo greco 35 OPERE • L’Iliade di Omero Il genere LETTERARIO L’epos 35 • L’Odissea di Omero 3 L’Odussia di Livio Andronico 37 • Le Argonautiche di Apollonio Rodio
T 1 T 2
Vita e opere di Livio Andronico Il proemio: invocazione alle Camenae (fr. 1 Traglia) LAT IT Una traduzione di gusto ellenistico (fr. 19 Traglia) LAT IT fontivisive L’Ulisse di Sperlonga fontivisive La tela di Penelope
37 38 39 39 40
4 Un poema nazionale romano: il Bellum Poenicum di Nevio 41
Vita e opere di Nevio T 3 Excursus sulle origini di Roma (frr. 6; 24 Traglia) LAT IT T 4 Lo sbarco dei Romani a Malta (fr. 32 Traglia) LAT IT T 5 La virtus e l’onore del popolo romano (frr. 46-47 Traglia) LAT IT
41 42 43 44
5 Gli Annales di Ennio 45
Vita e opere di Ennio 45 T 6 Due proemi (frr. 1-3; 13; 133 Traglia) LAT IT 46 T 7 La romanità: ius, mores, sapientia (frr. 126; 165; 240; 367 Traglia) LAT IT 48
6 L’epica latina dopo Ennio 50 Bibliografia essenziale 51 Sintesi 51
DOCUMENTI E TESTIMONIANZE • La processione in onore di Iuno Regina (Livio) TESTI T8 Livio Andronico, Esempi di romanizzazione del poema omerico (frr. 2; 9; 16; 17; 22; 28 Traglia) T9 Ennio, Il libro delle origini (Annales, frr. 22-24; 32; 63 Traglia) T10 Ennio, Immagini del cosmo (Annales, frr. 18; 27; 98; 131; 216 Traglia) T11 Ennio, La rappresentazione della guerra (Annales, frr. 82; 153; 171; 174; 383; 404 Traglia) LABORATORIO Rappresentazioni della guerra e del cielo stellato in Ennio BIBLIOGRAFIA ESTESA
MAPPA
52
Verifica finale
53
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IX
INDICE
2 L’età arcaica
3 Teatro e spettacoli in Roma
54 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 Il teatro in Grecia 54
Euripide e Menandro 56 fontivisive Il teatro e i costumi di scena 57 fontivisive Gli Uccelli di Aristofane 58
TESTI T1 Nevio, Tarentilla (frr. 62-63; 65-69; 73 Istituzioni ROMANE I ludi scaenici 59 Traglia) Nevio, Lucurgus 3 I testi e il pubblico 61 T2 (frr. 18-20; 23; 25; 28-30; Un dibattito storiografico 62 33-36 Traglia) T3 Ennio, Medea 4 La tragedia e la commedia 63 (frr. 133-149 Traglia)
2 Il teatro in Roma 59
fontivisive La maschera tragica 63
5 L’atellana letteraria e il mimo 65 Bibliografia essenziale 67 Sintesi 67
X
LETTURE PARALLELE Medea nella letteratura e nel cinema BIBLIOGRAFIA ESTESA
MAPPA
68
Verifica finale
69
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4 Catone e la nascita della prosa latina
70 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 L’annalistica in lingua greca 70 2 L’oratoria in Roma 72
fontivisive L’Arringatore 73 CATONE NEL TEMPO
3 Catone 74 T 1 Un autoritratto esemplare (De virtutibus suis contra L.Termum, frr. 128 e 132 Malcovati; De sumptu suo, fr. 174 Malcovati; De consulatu suo, fr. 21 Malcovati) LAT IT 74 Le FORME dell’ESPRESSIONE Caratteristiche dell’oratoria catoniana secondo Cicerone 77 T 2 In difesa dei Rodiesi (Pro Rhodiensibus, fr. 163 Malcovati) LAT IT 78 T 3 Prescrizioni per il trattamento degli schiavi (De agri cultura 56-59) IT 80 Leggere un TESTO CRITICO Il mondo degli schiavi in Roma (Y. Thébert) 82 T 4 Distacco dalla tradizione annalistica (Origines, fr. 77 Peter) LAT IT 85 T 5 Eroismo del tribuno Quinto Cedicio (Origines, fr. 83 Peter) IT 85 Bibliografia essenziale 87 Sintesi 87 LABORATORIO
Elogio dell’agricoltura (De agri cultura, praefatio, 1-4)
TESTI T6 Iniquità di un proconsole romano (Orazioni, frr. 58-59 Malcovati) T7 Sul proprio tenore di vita (Orazioni, fr. 173 Malcovati) T8 Doveri del pater familias (De agri cultura, 2) T9 Quali terreni siano adatti alle varie colture (De agri cultura, 6) T10 Una formula rituale, un incantamento, una ricetta (De agri cultura, 139; 160; 162) BIBLIOGRAFIA ESTESA
88
MAPPA
90
Verifica finale
91
5 Plauto
92 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 La vita e le opere 92 fontivisive Le maschere teatrali 94
2 Struttura delle palliatae plautine 95 3 I personaggi 97 4 Una poetica della finzione: il metateatro plautino 100 5 Le strutture formali: la lingua, lo stile, i metri 102
Dialogo con i MODELLI Plauto e i modelli greci 103 Plauto nel tempo 104 Le commedie di Plauto 106 Bibliografia essenziale 110 Sintesi 110
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BIBLIOGRAFIA ESTESA
XI
PERCORSO ANTOLOGICO
INDICE
2 L’età arcaica
T 1 Il prologo dell’Amphitruo (Amphitruo, 1-152) IT 112 T 2 Il servus-poeta (Pseudolus, 394-414; 562-573b) LAT IT 115 T 3 Il servus-imperator (Pseudolus, 574-594; Persa, 753-762) LAT IT 118 T 4 Il servus currens (Curculio, 280-298) LAT IT 121 T 5 L’adulescens innamorato (Cistellaria, 203-224) LAT IT 121 T 6 Duetto d’amore con servo (Curculio, 162-215) IT 123 Leggere un TESTO CRITICO Un’inedita figua femminile: l’etèra (F. Della Corte) 125 T 7 Prima gara di insulti (Pseudolus, 340-393) LAT IT 126 T 8 Seconda gara di insulti (Persa, 405-428) LAT IT 126 Leggere un TESTO CRITICO Un teatro carnevalesco (M. Bettini) 128 T 9 L’impresario del Curculio (Curculio, 462-486) IT 129 T 10 I due Sosia (Amphitruo, 263-462) IT 130 T 11 Il finale della Mostellaria (Mostellaria, 1122-1181) IT 137 fontivisive Lo spazio teatrale 138 Leggere un TESTO CRITICO «Le trame parlano»: nel teatro comico una riflessione antropologica (M. Bettini) 140 T 12 Il miles e il parassita (Miles gloriosus, 1-78) LAT 141 Dialogo con i MODELLI «Il catalogo è questo»: dal Miles plautino a Don Giovanni 147 Leggere un TESTO SCENICO Una prova di regia: la prima scena del Miles gloriosus (G. Chiarini) 147 T 13 Il prologo del Miles gloriosus (Miles gloriosus, 79-155) LAT IT 150 T 14 Una scimmia manda all’aria i piani del servus (Miles gloriosus, 156-194) IT 150 T 15 Il servus meditans (Miles gloriosus, 195-234) LAT IT 151 LABORATORIO
XII
L’avaro derubato (Aulularia, 713-726)
Materiali ONLINE
ONLINE
ONLINE
ONLINE
ONLINE
152
MAPPA
154
Verifica finale
155
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6 L’ambiente scipionico e il teatro di Terenzio
156 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 L’ambiente scipionico 156 fontivisive La battaglia di Pidna 158 Il dibattito FILOSOFICO La scuola pergamena e la scuola alessandrina 159
2 Sviluppi della palliata: Cecilio Stazio 160 T 1 Un padre troppo indulgente (Synephebi, vv. 199-209 Ribbeck) IT 161 T 2 Due sentenze sulla vecchiaia (Ephesio, vv. 28-29 Ribbeck; Plocium, vv. 173-175 Ribbeck) LAT IT 162 fontivisive Menandro, Glicera e la Commedia 163
PERCORSO ANTOLOGICO
3 Il
DOCUMENTI E TESTIMONIANZE • L’amicizia fra Polibio teatro realistico e pedagogico di Terenzio 164 e Scipione Emiliano (Polibio) Istituzioni ROMANE La manumissio 166
T 3 Un prologo polemico (Andria, 1-27) IT fontivisive L’attore seduto Terenzio nel tempo COMPITO DI REALTÀ Le commedie di Terenzio Bibliografia essenziale 176 Sintesi 176
167 169 172 173 174
T 4 T 5 T 6 T 7 T 8 T 9 T 10 T 11 T 12 T 13 T 14 T 15 T 16 T 17 T 18
178
Il vecchio padre e il servo fedele: una lezione di umanità (Andria, 28-171)
IT
• La Vita di Terenzio (Svetonio)
CONFRONTI INTERTESTUALI • Plauto, Il servo di campagna e il servo di città (Mostellaria, 1-84) BIBLIOGRAFIA ESTESA
Leggere un TESTO CRITICO Sosia: un autoritratto dell’autore (I. Lana) 182 Un giovane innamorato (Andria, 236-298) LAT IT 183 Il pubblico della palliata (Hecyra, prologus, 9-57) IT 188 Una rivelazione sconvolgente (Hecyra, 361-408) IT 190 Una conversazione familiare (Hecyra, 577-606) LAT IT 191 Una cortigiana generosa (Hecyra, 816-840) IT 194 Un finale rovesciato (Hecyra, 841-880) IT 195 I vecchi e i giovani (Heautontimorumenos, 53-174) LAT IT 197 Due senes (Heautontimorumenos, 410-511) IT 204 Senex e servus (Heautontimorumenos, 512-561) IT 207 Il parassita (Eunuchus, 232-264) LAT IT 208 Il falso eunuco (Eunuchus, 549-614) LAT IT 208 Due modelli educativi a confronto (Adelphoe, 26-77) LAT 209 Leggere un TESTO SCENICO Il monologo di Micione 212 Le malefatte di Eschino e la difesa di Micione (Adelphoe, 78-154) IT 214 Un dialogo ricco di umanità e comprensione (Adelphoe, 679-711) IT 216 Istituzioni ROMANE Educazione e istruzione a Roma 218 LABORATORIO
Tre autori a confronto
ONLINE ONLINE
219
MAPPA
220
Verifica finale
221
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XIII
INDICE
2 L’età arcaica
7 Sviluppi della tragedia: Pacuvio e Accio
222 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 Pacuvio 222 T 1 Un frammento sulla fortuna (Chryses, vv. 366-375 Ribbeck) LAT IT T 2 Una macabra apparizione: il fantasma del figlio ucciso (Iliona, vv. 197-201 Ribbeck) LAT IT Leggere un TESTO SCENICO La scena di apertura dell’Iliona (L. Castagna) T 3 Virtuosismo linguistico (Teucer, v. 408 Ribbeck) LAT IT
224 225 226 227
2 Accio 227 T 4 Atreus (vv. 217-226 Ribbeck) Bibliografia essenziale 231 Sintesi 231
LAT IT
229
TESTI T5 Pacuvio, I lavacri di Ulisse (Niptra, vv. 244246, 256-269 Ribbeck) T6 Pacuvio, Descrizione di una furiosa tempesta (Teucer, vv. 409-416 Ribbeck) T7 Pacuvio, L’etere (Chryses, vv. 86-92 Ribbeck) T8 Pacuvio, Contro gli indovini (Chryses, vv. 83-85 Ribbeck) CONFRONTI INTERTESTUALI Un frammento di Ennio (Telamo, vv. 272-276 Ribbeck) BIBLIOGRAFIA ESTESA
MAPPA
232
Verifica finale
233
8 Le satire di Lucilio
234 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 La vita 234 2 L’opera 236 3 La poetica 236 T 1 Una polemica razionalistica: contro le favole e il mito (Saturae, vv. 480-489 Marx) T 2 La virtus (Saturae, vv. 1326-1338 Marx)
237 LAT IT 239 LAT IT
4 I contenuti e lo stile delle satire 240 T 3 La morte per indigestione del princeps senatus Lupo (Saturae, vv. 55 Marx) T 4 Il buon tempo antico e la corruzione del presente (Saturae, vv. 11-17; 1228-1234 Marx) Bibliografia essenziale 244 Sintesi 245
XIV
LAT IT
241
LAT IT
242
LUCILIO NEL TEMPO DOCUMENTI E TESTIMONIANZE • Il giudizio critico di Orazio TESTI T5 Iter Siculum (Saturae, vv. 123-141 Marx) DIALOGO CON I MODELLI •L’Iter Brundisinum di Orazio (Satire I, 5) BIBLIOGRAFIA ESTESA
MAPPA
245
Verifica finale
246
@ Casa Editrice G.Principato
3 L’età della tarda repubblica Lo scenario temporale
Dalla fine dell’età sillana alla morte di Cesare (78-44 a.C.)
9 Società e cultura nell’età della tarda repubblica
248 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 Dal decennio graccano all’assassinio di Cesare (133-44 a.C.) 248
Una rivoluzione dei costumi: la donna nella Roma del I secolo a.C. 251
2 Roma e il mondo greco 255
Una nuova figura di intellettuale: Attico, epicureo ed editore 256
3 Orientamenti intellettuali e letterari nell’età di Cesare 257 Bibliografia essenziale 258 Sintesi 259
LEGGERE UN TESTO CRITICO • M.A. Levi, Verso il principato • P. Grimal, Cicerone e Attico ad Atene • P. Zanker, Un nuovo stile abitativo: la villa urbana BIBLIOGRAFIA ESTESA
MAPPA
260
Verifica finale
261
10 La poesia neoterica e Catullo
262 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 La fondazione della poesia lirica in Roma 262 T 1 Lutazio Catulo, Lo splendore di Roscio (fr. 2 Morel) LAT IT 264 I poetae novi 266 Un maestro riconosciuto: Callimaco di Cirene 267
2 Catullo 268 I carmina docta 276 DOCUMENTI
279 E TESTIMONIANZE Bibliografia essenziale Catullo nel tempo 280 • Tre definizioni dei poetae novi (Cicerone) COMPITO DI REALTÀ 281 BIBLIOGRAFIA ESTESA Sintesi 282
@ Casa Editrice G.Principato
PERCORSO ANTOLOGICO
INDICE T 2 T 3 T 4 T 5 T 6 T 7 T 8 T 9 T 10 T 11 T 12 T 13 T 14 T 15 T 16 T 17 T 18 T 19 T 20 T 21 T 22 T 23 T 24 T 25 T 26 T 27 T 28 T 29 T 30
3 L’età della tarda repubblica Materiali ONLINE I poetae novi (Furio Bibaculo, fr. 2 Traglia; Varrone Atacino, fr. 21 Traglia; Elvio Cinna, frr. 3, 12, 13 Traglia; Licinio Calvo, frr. 4, 8, 14 Traglia; Callimaco, Aitia, fr. 1 Pfeiffer; Inno ad Apollo 103-113; Antologia Palatina XII, 43) LAT IT 284 ONLINE La dedica del libellus (1) LAT 284 Nomi e parole degli antichi 284 Dialogo con i MODELLI Meleagro di Gàdara, proemio della Corona 287 Passer, deliciae meae puellae (2) LAT IT 288 ONLINE Per la morte del passero (3) LAT 288 Dialogo con i MODELLI Epigrammi sepolcrali per un animaletto: Anite, Archia e Meleagro 291 Il battello avventuroso (4) LAT IT 291 ONLINE «Viviamo, mia Lesbia» (5) LAT 292 Infinità di baci (7) LAT IT 294 L’amore-tormento (8) LAT 296 Nomi e parole degli antichi 296 Leggere un TESTO CRITICO La nemesi d’amore (F. Caviglia) 299 Per il ritorno di Veranio (9) LAT IT 299 ONLINE Messaggio a Lesbia infedele (11) LAT IT 300 Dialogo con i MODELLI Il fiore reciso 303 Ad Asinio Marrucino, che ruba fazzoletti (12) LAT IT 303 ONLINE Bizzarro invito a cena (13) LAT 304 Leggere un TESTO CRITICO Il destinatario dei carmi catulliani (M. Citroni) 306 Invettiva contro Mamurra (29) LAT IT 307 ONLINE Alfene immemor... (30) LAT IT 307 fontivisive Strumenti scrittorii 308 Ritorno a Sirmione (31) LAT 309 Annales Volusi, cacata charta (36) LAT IT 311 ONLINE La partenza dalla Bitinia (46) LAT IT 311 LETTURA IT Catullo e Saffo: effetti sconvolgenti della passione (51) LAT 313 LETTURA METRICA Dialogo con i MODELLI L’ode sublime di Saffo 316 Due ignobili arrivisti (52) LAT 317 Invettiva infamante contro Lesbia (58) LAT IT 318 Leggere un TESTO CRITICO Il linguaggio osceno e triviale nel Liber di Catullo (L. Canali) 319 La Chioma di Berenice (66) LAT IT 320 ONLINE Amare e bene velle (72) LAT 320 Invocazione agli dèi (76) LAT IT 322 Odi et amo (85) LAT 324 Dialogo con i MODELLI L’inquietante ambiguità dell’amore 325 «Nessuna donna può dire...» (87) LAT IT 325 ONLINE A Cesare (93) LAT 326 Per la Zmyrna di Cinna (95) LAT IT 327 Sulla tomba del fratello (101) LAT 328 LETTURA METRICA Dialogo con i MODELLI Il carme 101 di Catullo: sviluppi originali nella poesia italiana moderna e contemporanea 331 Il foedus amoroso (109) LAT IT 332 LETTURA IT Nomi e parole degli antichi 332 Leggere un TESTO CRITICO La donna e l’amore in Roma (P. Fedeli) 333 LABORATORIO
XVI
Hesterno, Licini, die otiosi (50)
334
MAPPA
336
Verifica finale
337
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11 Lucrezio e il poema didascalico
338 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 Notizie su Lucrezio 338 2 Il poema della natura 340 3 La scelta del poema didascalico e i modelli 342 Il genere LETTERARIO Il testo didascalico in Grecia e in Roma 342
4 La visione del mondo: Lucrezio e la dottrina epicurea 344 5 La storia dell’umanità 345 6 Il “pessimismo” lucreziano 347 7 L’uso delle immagini e il linguaggio della poesia 348
DIALOGO CON I MODELLI • L’inno a Venere di Ovidio (Fasti IV, 85-116) • Il mito di Ifigenia nella tragedia greca (Euripide, Ifigenia in Aulide 1211-1252; 1532-1616; Eschilo, Agamennone 184-257) LEGGERE UN TESTO CRITICO
PERCORSO ANTOLOGICO
Lucrezio nel tempo 350 • E. Narducci, Il poema Il De rerum natura 352 epicureo e il suo destinatario Bibliografia essenziale 353 Sintesi 354
T 1 T 2 T 3 T 4 T 5 T 6 T 7
Invocazione a Venere (De rerum natura I, 1-43)
LAT
356
LETTURA METRICA
Nomi e parole degli antichi 357
Gli SCRITTORI e la STORIA Patriai tempore iniquo: il poema e gli eventi
DOCUMENTI della storia di Roma 358 E TESTIMONIANZE Le fonti FILOSOFICHE Influssi della dottrina cosmologica di Empedocle 364 • Il paradosso epicureo e i pericoli del Primo elogio di Epicuro (De rerum natura I, 62-79) LAT 365 disimpegno politico (Cicerone) Nomi e parole degli antichi 366 • Contro il culto della Le FORME dell’ESPRESSIONE 369 personalità (Cicerone) Leggere un TESTO CRITICO Epicuro eroe epico (G. B. Conte) 370 BIBLIOGRAFIA ESTESA Il sacrificio di Ifianassa (De rerum natura I, 80-101) LAT 371 Le FIGURE del MITO Il mito di Ifianassa-Ifigenia nelle letterature antiche e moderne 375 Nulla nasce dal nulla, nulla ritorna al nulla (De rerum natura I, 146-264) LAT IT 376 Le fonti FILOSOFICHE L’epistola a Erodoto di Epicuro 382 La poetica lucreziana: il «dolce miele delle Muse» (De rerum natura I, 922-950) LAT IT 383 LETTURA IT Elogio della sapienza (De rerum natura II, 1-61) LAT 386 Nomi e parole degli antichi 387 Le fonti FILOSOFICHE Epicuro e Platone fonte dei versi lucreziani 394 Leggere un TESTO CRITICO Naufragio con spettatore (R. Bodei) 395 Secondo elogio di Epicuro (De rerum natura III, 1-30) LAT IT 397 ONLINE
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XVII
PERCORSO ANTOLOGICO
INDICE
3 L’età della tarda repubblica
Materiali ONLINE T 8 La morte non ci riguarda (De rerum natura III, 830-869) LAT 397 Nomi e parole degli antichi 398 Gli SCRITTORI e la STORIA L’epico scontro tra Roma e Cartagine nel poema lucreziano e nelle pagine di Tito Livio 401 Le fonti FILOSOFICHE L’epistola a Meneceo di Epicuro 402 T 9 La condizione umana: stati di allucinazione e taedium vitae (De rerum natura III, 1042-1075) LAT IT 403 Dialogo con i MODELLI Dallo Zibaldone leopardiano: il tedio e la noia 405 T 10 Terzo elogio di Epicuro (De rerum natura V, 1-54) LAT IT 406 ONLINE T 11 La divina indifferenza: gli dèi di Lucrezio e di Epicuro (De rerum natura V, 146-194; Epicuro, Epistola a Erodoto 76-77; Massime Capitali I) LAT IT 406 ONLINE T 12 Il mondo non è stato fatto per l’uomo (De rerum natura V, 195-234) LAT 406 Dialogo con i MODELLI Leopardi e Foscolo, Il pianto del bambino, presagio di dolore 412 T 13 La vita degli uomini primitivi (De rerum natura V, 925-1010) IT 413 Letture PARALLELE Il mito dell’aetas aurea presso i poeti augustei e i bestiones primitivi di Vico 416 T 14 Quarto elogio di Epicuro (De rerum natura VI, 1-41) LAT IT 416 ONLINE T 15 La peste di Atene (De rerum natura VI, 1163-1214) IT 416 Dialogo con i MODELLI La peste di Atene in Lucrezio e in Tucidide 418 LABORATORIO
Pluralità dei mondi nell’infinità dell’universo (De rerum natura II, 1048-1066)
420
MAPPA
422
Verifica finale
423
12 Cicerone, un difensore della res publica
424 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 La vita e la personalità 424 sulloscaffale Una vita di Cicerone 428
2 L’attività oratoria 428 Il genere LETTERARIO L’oratoria romana dopo Catone 430 Le FORME dell’ESPRESSIONE L’oratoria al tempo di Cicerone: asianesimo, atticismo e modello rodiense 432
3 Le opere retoriche 433 La Rhetorica ad Herennium 434 4 Le opere politiche: De re publica e De legibus 436 5 Le opere filosofiche 438 Il De officiis di Cicerone 439 6 L’epistolario 442 Il genere LETTERARIO L’epistolografia 442
7 La prosa di Cicerone 443 Cicerone nel tempo COMPITO DI REALTÀ Opere politiche e filosofiche di Cicerone Bibliografia essenziale 451 Sintesi 452
XVIII
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445 447 448
CICERONE E LA POESIA DOCUMENTI E TESTIMONIANZE • L’incontro di Cesare e Cicerone dopo Farsàlo (Plutarco) • La morte di Cicerone (Livio) • Cicerone oratore (Quintiliano) BIBLIOGRAFIA ESTESA
PERCORSO ANTOLOGICO
Materiali ONLINE T 1 Vita dissoluta di Verre in Sicilia (In Verrem II, V, 26-28) IT 454 T 2 Quo usque tandem (In Catilinam I, 1, 1-3) LAT 455 Le FORME dell’ESPRESSIONE Un esempio di stile patetico 458 T 3 Il console denuncia le trame eversive di Catilina (In Catilinam I, 3, 6-8) LAT 459 T 4 Il convegno notturno in casa di Leca (In Catilinam I, 4, 8-10) IT 461 T 5 Non feram, non patiar, non sinam (In Catilinam I, 5, 10-13) LAT 462 T 6 Un ritratto di Catilina (In Catilinam I, 6-7, 13-17) IT 465 T 7 Prima prosopopea: la Patria parla a Catilina (In Catilinam I, 7, 17-18) LAT 467 Le FORME dell’ESPRESSIONE Uno stile impetuoso e solenne 468 T 8 L’aquila d’argento di Catilina (In Catilinam I, 9, 22-24) IT 469 T 9 Ad hanc te amentiam natura peperit (In Catilinam I, 10, 25-27) LAT IT 470 T 10 Seconda prosopopea: la Patria si rivolge a Cicerone e lo accusa di debolezza (In Catilinam I, 11, 27-29) LAT 472 T 11 Peroratio: eterna maledizione cada su Catilina e i suoi compagni (In Catilinam I, 13, 31-33) LAT 475 T 12 Chi sono gli optimates (Pro Sestio 96-99) LAT IT 478 T 13 Con le armi dell’ironia e del sarcasmo: l’attacco a Clodia (Pro Caelio 31-36) IT 481 T 14 Filosofia ed eloquenza (De oratore III, 142-143) IT 484 T 15 Probare, delectare, flectere (Orator 69-71) LAT IT 485 T 16 Res publica res populi (De re publica I, 39) LAT IT 486 Il dibattito FILOSOFICO Il diritto positivo secondo Epicuro 487 T 17 La visita a Massinissa (Somnium Scipionis 1) LAT 488 Le FIGURE e gli EVENTI della STORIA Massinissa, re della Numidia 489 T 18 Il sogno di Scipione (Somnium Scipionis 2) LAT 490 T 19 La profezia: vita e imprese di Scipione (Somnium Scipionis 3) LAT 492 Le FORME dell’ESPRESSIONE Lo stile sublime del Somnium Scipionis 493 T 20 La profezia: la morte di Scipione Emiliano (Somnium Scipionis 4) LAT 495 Le FIGURE e gli EVENTI della STORIA La misteriosa morte di Scipione Emiliano 497 T 21 Il premio celeste (Somnium Scipionis 5) LAT 498 T 22 La vera vita (Somnium Scipionis 6) LAT 499 T 23 Il munus humanum (Somnium Scipionis 7) LAT 501 T 24 La Via Lattea (Somnium Scipionis 8) LAT 503 T 25 Il sistema planetario (Somnium Scipionis 9) LAT 505 Nomi e parole degli antichi 506 Nomi e parole degli antichi 508 T 26 L’armonia delle sfere e l’origine della musica (Somnium Scipionis 10-11) LAT 509 Nomi e parole degli antichi 509 T 27 Vanità della gloria terrena (Somnium Scipionis 12-17) LAT IT 512 ONLINE
@ Casa Editrice G.Principato
XIX
INDICE
3 L’età della tarda repubblica
PERCORSO ANTOLOGICO
T 28 Deum te igitur scito esse (Somnium Scipionis 18) LAT IT 512 Le fonti FILOSOFICHE Il dualismo corpo/anima in Platone 513 T 29 Immortalità dell’anima (Somnium Scipionis 19-20) LAT 514 Le fonti FILOSOFICHE Immortalità dell’anima e movimento nel Fedro platonico 517 T 30 Il risveglio di Scipione (Somnium Scipionis 21) LAT 518 T 31 Gli uomini sono simili agli dèi (De legibus I, 22-27) IT 519 T 32 Feritas e humanitas (De officiis I, 11-14) IT 521 T 33 Il buon governo si fonda sulla pace (De officiis I, 33-37) LAT IT 523 T 34 Gli otia forzati di un’età sacrilega (De officiis III, 1-4) LAT IT 523 T 35 Sei lettere di Cicerone (Ad familiares IX, 1; XII, 1; Ad Atticum XII, 15; XIII, 52; XV, 11; Ad Brutum I, 3, 1-3) LAT IT 525 LABORATORIO
Ad verum decus (Somnium Scipionis 17)
Materiali ONLINE
ONLINE
535
MAPPA
537
Verifica finale
538
13 I Commentarii di Giulio Cesare
540 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 La vita 540
Le parole di Cesare 542 Nomi e parole degli antichi 543
DOCUMENTI E TESTIMONIANZE • I giudizi degli antichi 545 Commentarii sulla figura di Cesare (Lucano; Plinio il Il genere LETTERARIO Commentarius 545 Vecchio)
2 L’attività letteraria 544 3 I
• I giudizi degli antichi 4 De bello Gallico 548
fontivisive Una processione rituale 548 Le FIGURE e gli EVENTI della STORIA Situazione della Gallia al tempo di Cesare 549
su Cesare oratore (Cicerone; Quintiliano) GLI SCRITTORI E LA STORIA
5 De bello civili 550 • Plutarco, Vita di
PERCORSO ANTOLOGICO
Cesare nel tempo 552 Cesare 16-17 LEGGERE UN TESTO sulloscaffale Due romanzi su Cesare 553 Commentarii de bello Gallico 554 CRITICO • G. Perrotta, Lo stile dei Commentarii de bello civili 555 Commentarii Bibliografia essenziale 556 Sintesi 556 BIBLIOGRAFIA ESTESA
XX
T 1 Descrizione della Gallia (De bello Gallico I, 1) IT T 2 Il mantello purpureo di Cesare (De bello Gallico VII, 88-89) IT fontivisive Aureo di Cesare Confronti INTERTESTUALI La resa di Vercingetorige nel racconto di Plutarco T 3 I soldati di Cesare (De bello Gallico IV, 25, 3-6; V, 43, 4; VII, 8, 2-3; VII, 17, 3-8; VII, 52) LAT IT T 4 Leggerezza e volubilità dei Galli (De bello Gallico III, 19; IV, 5; VI, 20) IT T 5 Le ragioni degli altri: il discorso di Critognato (De bello Gallico VII, 77) LAT IT T 6 Le ragioni di Cesare (De bello civili I, 7) LAT IT Confronti INTERTESTUALI Dal punto di vista dei soldati: il discorso di Cesare nel racconto di Svetonio @ Casa Editrice G.Principato
558 559 560 561 562 562 564 567 569
ONLINE
PERCORSO ANTOLOGICO
T 7 Una digressione etnografica: religione ed educazione dei Germani (De bello Gallico VI, 21) LAT 571 Confronti INTERTESTUALI La religione germanica in Tacito 573 Le FIGURE e gli EVENTI della STORIA I druidi 573 T 8 Una digressione etnografica: l’agricoltura e la proprietà privata presso i Germani (De bello Gallico VI, 22) LAT 574 T 9 Una digressione etnografica: ordinamenti sociali e militari dei Germani (De bello Gallico VI, 23) LAT 576 Nomi e parole degli antichi 577 T 10 Una digressione etnografica: confronto tra Galli e Germani (De bello Gallico VI, 24) LAT 579 T 11 Una digressione etnografica: la foresta Ercinia e l’unicorno (De bello Gallico VI, 25-26) LAT 581 Letture PARALLELE Il simbolismo dei bestiari medievali 582 T 12 La battaglia di Farsàlo: descrizione degli schieramenti (De bello civili III, 88-89) IT 584 fontivisive Ritratti a confronto 585 T 13 Discorso di Cesare ai soldati prima della battaglia (De bello civili III, 90) LAT 586 Nomi e parole degli antichi 587 T 14 Un episodio esemplare: l’eroismo del centurione Crastino (De bello civili III, 91) LAT 588 T 15 Due strategie a confronto (De bello civili III, 92) LAT 590 T 16 La battaglia (De bello civili III, 93) LAT IT 592 T 17 La rotta dell’esercito pompeiano (De bello civili III, 94) LAT 593 T 18 Conquista dell’accampamento di Pompeo e fuga dei pompeiani (De bello civili III, 95) LAT 595 T 19 La fuga di Pompeo (De bello civili III, 96) LAT 597 Confronti INTERTESTUALI La fuga di Pompeo nel racconto di Plutarco 599 T 20 Cesare insegue l’esercito pompeiano (De bello civili III, 97) LAT 600 T 21 La clemenza di Cesare (De bello civili III, 98) LAT 602 Leggere un TESTO CRITICO La lingua ordinatrice di Cesare (E. Auerbach) 603 T 22 La riconoscenza di Cesare (De bello civili III, 99) LAT 604 LABORATORIO
La morte di Pompeo (De bello civili III, 104)
Materiali ONLINE
606
MAPPA
608
Verifica finale
609
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XXI
INDICE
3 L’età della tarda repubblica
14 Le monografie politiche di Sallustio
610
PERCORSO ANTOLOGICO
PROFILO STORICO
Materiali ONLINE
XXII
1 Annalistica e monografia storica dall’età dei Gracchi a Sallustio 610
Una traduzione fortunata: le Milesiae di Aristide di Mileto 612
2 Sallustio 613
Le parole di Sallustio 617 Le FIGURE e gli EVENTI della STORIA Quinto Sertorio 622 Le FORME dell’ESPRESSIONE Inconcinnitas e arcaismi nella prosa di Sallustio 624 Sallustio nel tempo 625 LEGGERE UN TESTO CRITICO Bellum Catilinae 627 • R. Syme, Due discorsi Bellum Iugurthinum 628 antitetici BIBLIOGRAFIA ESTESA Bibliografia essenziale 630 Sintesi 630 T 1 Proemio alla Congiura di Catilina (Bellum Catilinae 1-4) LAT IT 632 Le fonti FILOSOFICHE Influssi platonici nel proemio di Sallustio 635 T 2 Ritratto di Catilina (Bellum Catilinae 5) LAT 637 Nomi e parole degli antichi 637 T 3 Primo excursus sulla storia di Roma (Bellum Catilinae 6-13) LAT IT 641 T 4 I seguaci di Catilina (Bellum Catilinae 14) LAT 641 Nomi e parole degli antichi 642 T 5 Secondo ritratto di Catilina (Bellum Catilinae 15) LAT 644 Istituzioni ROMANE Il fuoco sacro di Vesta 646 T 6 Tutae tranquillaeque res omnes (Bellum Catilinae 16) LAT 647 T 7 Un esempio di discorso: Catilina arringa i congiurati, e li incita all’azione (Bellum Catilinae 20) IT 650 Nomi e parole degli antichi 650 T 8 Ritratto di Sempronia (Bellum Catilinae 25) LAT 652 T 9 Catilina si reca in senato (Bellum Catilinae 31, 4-9) LAT 655 T 10 Il discorso di Cesare in senato (Bellum Catilinae 51) LAT IT 657 T 11 Il discorso di Catone in senato (Bellum Catilinae 52) LAT IT 657 T 12 Confronto fra Cesare e Catone (Bellum Catilinae 54) LAT 658 Leggere un TESTO CRITICO Il linguaggio politico di Sallustio (R. Syme) 660 Le FORME dell’ESPRESSIONE Confronto fra Cesare e Catone: un’analisi stilistica 660
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ONLINE
ONLINE ONLINE
PERCORSO ANTOLOGICO
T 13 Condanna a morte dei congiurati (Bellum Catilinae 55) LAT I LUOGHI dell’ANTICO Il carcere Tulliano T 14 Un epilogo cruento: la battaglia di Pistoia (Bellum Catilinae 60-61) LAT IT sulloscaffale Catilina romanzato T 15 Un excursus geo-etnografico: l’Africa di Sallustio (Bellum Iugurthinum 17-19) LAT IT T 16 Excursus sulla situazione politica romana (Bellum Iugurthinum 41-42, 4) LAT IT T 17 Un esempio di drammatizzazione narrativa: la lettera di Bomilcare (Bellum Iugurthinum 71-72) LAT IT T 18 Discorso di Mario al popolo: elogio dei novi homines (Bellum Iugurthinum 85) LAT IT LABORATORIO
Dal proemio del Bellum Iugurthinum (Bellum Iugurthinum 3-4, 1)
661 662 663 666 666 666
Materiali ONLINE
ONLINE
670 671
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672
MAPPA
674
Verifica finale
675
15 Le biografie di Cornelio Nepote
676 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 La biografia nel mondo antico 676 2 Vita e opere di Cornelio Nepote 677 3 De excellentibus ducibus exterarum gentium 678
T 1 Istruzioni ai lettori di biografie (Epaminondas I, 1-3) IT T 2 Un problema di metodo (Pelopidas 1, 1) IT Biografia e storia secondo Plutarco T 3 Vita di Aristide (Aristides) LAT IT Bibliografia essenziale 683 Sintesi 684
679 680 680 681 BIBLIOGRAFIA ESTESA
MAPPA
684
Verifica finale
685
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INDICE
3 L’età della tarda repubblica
16 Varrone, un poligrafo della tarda repubblica
686 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 La vita e la personalità 686 2 Opere antiquarie 688 3 Opere linguistiche e di storia letteraria: De lingua Latina 689 T 1 Fantasiose etimologie (De lingua Latina V, 115)
IT 690
4 Opere enciclopediche e storico-filosofiche 691
VARRONE NEL TEMPO
5 Le Saturae Menippeae 691 T 2 Gli antichi costumi e la corruzione contemporanea (Saturae Menippeae, frr. 63; 70; 190; 435; 495 Bücheler) T 3 Una parodia letteraria (Saturae Menippeae, frr. 370-371; 375 Bücheler)
LAT IT LAT IT
692 694
DOCUMENTI E TESTIMONIANZE • «Dove piega la bilancia della fortuna» (Cesare) • Il custode della vita romana (Cicerone)
6 De re rustica 695 • Il più erudito dei T 4 Gli schiavi, «strumenti parlanti» (De re rustica I, 17, 5-7) Bibliografia essenziale 697 Sintesi 697
IT
696
Romani (Quintiliano)
BIBLIOGRAFIA ESTESA
MAPPA
698
Verifica finale
699
Verso il nuovo Esame di Stato Nozioni di metrica e prosodia latina Glossario dei termini retorici e stilistici Indice dei nomi Indice delle traduzioni Referenze iconografiche
701 714 725 737 741 743
SchedeONLINE 1 La traduzione nel mondo latino 2 La dottrina epicurea 3 Libri, lettori e biblioteche nel mondo antico
XXIV
4 Retorica e oratoria nel mondo antico 5 La storiografia greca 6 La satura
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10 La poesia neoterica e Catullo 1 La fondazione della poesia lirica in Roma Il nuovo spazio della soggettività: i precursori
La poesia lirica fa il proprio ingresso nella letteratura latina soltanto sul finire dell’età arcaica, all’aprirsi del secolo tempestoso che vedrà il tramonto della repubblica.
Influsso dei modelli greci Sulla fondazione della lirica soggettiva in Roma, cioè su quella che è stata definita la rivoluzione poetica del I secolo a.C., influisce in modo determinante il contatto sempre più ravvicinato e consapevole con i modelli della letteratura greca: la grande lirica arcaica, ma soprattutto la più recente produzione poetica dell’ellenismo. A sua volta, tuttavia, questo fenomeno va inserito in un quadro più vasto: l’influsso dei modelli greci si rende infatti operante in un complesso rapporto di interazione con importanti fattori di ordine politico-sociale. 262
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Una dichiarazione di poetica
Non chiedetemi un canto di grande fragore: tocca a Zeus, non a me, tuonare. Quando posai per la prima volta la tavoletta sulle mie ginocchia, Apollo Licio mi parlò così: «O cantore, grasse devono essere le vittime che offri agli dèi: ma la Musa, mio caro, dev’essere sottile. E anche questo ti dico: cammina dove non passano i carri pesanti; non spingere il cocchio dietro orme già battute, né per una via larga, ma percorri sentieri non calpestati, anche se la via è più angusta». A lui ho obbedito. Cantiamo tra quelli che amano il suono della cicala, non il raglio dell’asino.
(Callimaco, Aitia, fr.1 Pfeiffer)
voluptas sodales fides pietas foedus lusus nugae brevitas doctrina lepos otium
Segno di profondi rivolgimenti sociali e politici L’affermarsi del genere lirico è il segno di un nuovo modo di intendere l’esercizio della letteratura, in seguito alle radicali trasformazioni in atto fin dal secolo precedente nella società e nella vita politica di Roma [ cap. 9.1]. Un profondo mutamento è intervenuto nel tradizionale rapporto fra il cittadino romano e la res publica: il singolo individuo può allora avvertire uno scollamento, persino una netta contrapposizione, fra la propria esistenza privata e la vita dello Stato, anziché pensarle in un rapporto di armonica integrazione. Si apre prepotentemente lo spazio nuovo ed autonomo della soggettività, che trova la sua espressione letteraria più congeniale nella poesia lirica, coltivata in una cerchia ristretta e nella dimensione separata dell’otium. Il “circolo” di Lutazio Catulo La prima produzione lirica in lingua latina di cui siamo a conoscenza proviene dal cosiddetto “circolo” di Q. Lutazio Càtulo, un aristocratico nato intorno al 150 a.C., che nel 102 fu console insieme a Mario e @ Casa Editrice G.Principato
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con lui vincitore dei Cimbri l’anno successivo. Cicerone lo pone fra gli interlocutori del dialogo De oratore (ambientato nel 91 a.C.), rappresentandolo come degno continuatore del gusto ellenizzante e degli ideali di humanitas dell’ambiente scipionico. Del tutto scissa dalla sua attività di politico, di oratore, di scrittore di memorie storiche, è la sua produzione poetica, coltivata in una sfera esclusivamente privata. È Lutazio Catulo ad introdurre in Roma la poesia epigrammatica in distici, breve e “leggera” sul modello alessandrino. Di lui ci restano due epigrammi, entrambi dichiarazioni d’amore omosessuale, basati su giochi di parole e accostamenti inattesi. Nel primo, un rifacimento dell’epigramma 41 di Callimaco, assimila la sua anima, fuggita via per andarsene dall’amato Teotìmo, a uno schiavo fugitivus; nel secondo la bellezza di Q. Roscio, il celebre attore, sembra vincere il divino splendore dell’Aurora [ T1].
PERCORSO ANTOLOGICO
T 1 Lutazio Catulo, Lo splendore di Roscio fr. 2 Morel LATINO ITALIANO
Nota metrica: distici elegiaci.
Lutazio Catulo gioca elegantemente su un accostamento inatteso tra il fulgore dell’Aurora nascente e l’improvvisa apparizione del giovane Roscio, sottolineato dall’impiego del medesimo verbo (exoriri); il poeta chiede scherzosamente agli dèi di perdonarlo poiché osa anteporre la bellezza di un mortale a quella della divinità.
Constiteram exorientem Auroram forte salutans, cum subito a laeva Roscius exoritur. Pace mihi liceat, caelestes, dicere vestra: mortalis visus pulchrior esse deo. Per caso mi ero fermato a salutare l’Aurora che sorgeva quando d’un tratto sorge alla mia sinistra Roscio; con vostra pace mi sia lecito dirlo, o dèi: egli, mortale, mi sembrò più bello d’un dio. (trad. di L. Canali) 2. a laeva: segno di buon augurio. 4. deo: in realtà la dea Aurora; il
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maschile è da intendere in senso generico (= «la divinità»).
Benché nulla dimostri l’esistenza di un vero e proprio circolo letterario, è probabile che intorno a Catulo, verso la fine del II secolo a.C., si fosse raccolta una cerchia di poeti, greci e latini, accomunati dai medesimi gusti letterari, che vengono regolarmente associati al suo nome: Antipatro di Sidone (nato nel 175 a.C.) e il giovane Archia di Antiochia (quello stesso difeso molti anni dopo da Cicerone), che soggiornarono entrambi a lungo in Roma; Valerio Edituo e Porcio Lìcino, anch’essi autori, come Catulo, di eleganti epigrammi erotici. @ Casa Editrice G.Principato
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Gli Erotopaegnia di Levio Forse una generazione più tardi, agli inizi del I secolo a.C., visse un altro poeta, Levio, considerato il più significativo dei cosiddetti pre-neoterici. Fu autore di Erotopaegnia («scherzi amorosi»), nei quali attingeva a un altro filone della poesia alessandrina: la narrazione erotico-mitologica in versi. Della sua opera sopravvivono rari frammenti.
Guida allo studio
1. Per quali motivi la lirica soggettiva compare in Roma solo verso la fine del II secolo a.C.? Quali fattori intervengono a favorire il successo e la crescente diffusione di questo genere?
2. Chi furono i precursori della nuova poesia? Quali generi poetici coltivarono? 3. A quali modelli si ispirarono?
La rivoluzione neoterica Limiti della poesia pre-neoterica Gli esperimenti poetici di Lutazio Catulo e della sua cerchia rappresentano segnali non trascurabili di un incipiente mutamento di gusto e di indirizzo letterario. In sostanza, tuttavia, si tratta soltanto di sporadici esercizi di adattamento degli originali greci da parte di colti e raffinati dilettanti di poesia. I poetae novi Un rinnovamento ben più profondo e consapevole, decisivo per la successiva evoluzione della poesia latina, proviene invece, qualche decennio dopo, da un gruppo di giovani poeti, quasi tutti originari della Gallia Cisalpina, chiamati collettivamente per consuetudine poetae novi, cioè «poeti moderni», o, con termine greco, neóteroi (comparativo plurale dell’aggettivo greco néos, «nuovo», che significa anche «giovane»). Entrambe le denominazioni vengono usate con intenzione polemica e denigratoria da Cicerone, più anziano di circa una generazione [ Tre definizioni dei poetae novi ONLINE]; è ancora Cicerone a definire i seguaci delle nuove tendenze, con sprezzante ironia, cantores Euphorionis («ricantatori», «pedissequi imitatori di Euforione», discepolo di Callimaco, noto per l’oscurità e l’eccessiva erudizione dei suoi versi). La tradizione manoscritta ci ha conservato l’opera di uno soltanto fra loro, Valerio Catullo; ma possediamo notizie e frammenti, per quanto rari ed esigui, di Furio Bibàculo, P. Terenzio Varrone Atacino, P. Valerio Catone, Elvio Cinna (autore fra l’altro della Zmyrna, astruso e raffinatissimo epillio reso per sempre celebre dall’elogio di Catullo [ T28]) e Licinio Calvo, l’amico più caro a Catullo [ I poetae novi, p. 266]. Un cenacolo letterario di poeti-amici Quello dei poetae novi è un cenacolo letterario, «il primo nella cultura romana, e forse l’unico, indipendente dal patronato di un uomo politico, quali erano stati Scipione Emiliano e Lutazio Catulo, e saranno Mecenate e Messalla Corvino» (Canali). Non si tratta propriamente di una scuola, caratterizzata da un programma rigidamente unitario, ma piuttosto di un circolo di poeti che condividono liberamente gusti letterari ed esperienze di vita: letture, discussioni, gare poetiche si intrecciano a conviti, frequentazioni mondane, avventure amorose. Il sodalizio artistico dei neóteroi è cementato infatti da vincoli @ Casa Editrice G.Principato
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di amicizia e di reciproca stima, nella comune, spontanea adesione a una nuova concezione della letteratura e insieme a un nuovo stile di vita in contrasto con il tradizionale sistema di valori romano. PROFILO STORICO
L’otium come scelta di vita Anche se non tutti i poetae novi rinunciano, come Catullo, ad esercitare attività connesse alla dimensione pubblica e civile, per questi giovani la poesia si colloca al centro dell’esistenza, ne diviene il valore più alto e anzi assoluto: per essi l’otium dedicato alla poesia, all’amore e ai propri interessi e piaceri personali (che non sono sentiti come cosa diversa dalla poesia stessa) non è più semplicemente una porzione ben delimitata di tempo libero dagli impegni politici e civili, comunque prioritari per il civis Romanus, ma diviene una scelta di vita totale ed esclusiva. L’otium non si integra più in un armonico rapporto di complementarità con i negotia, ma vi si contrappone decisamente, talora con accenti polemici di estraneità e di rifiuto; un rifiuto che in certo modo può essere accostato all’astensione dalla vita politica predicata dall’epicureismo. Poesia come raffinato lusus Dei princìpi di poetica professati nella cerchia neo terica, cosi come degli amichevoli rapporti fra i sodales, siamo informati quasi
I poetae novi ▰ M. Furio Bibàculo Fra i neóteroi M. Furio Bibaculo
era il più anziano. Nato a Cremona (probabilmente nel 103 a.C.), coltivò la poesia tenue secondo l’indirizzo della nuova corrente, ma compose anche un poema epico-storico sulle guerre galliche di Cesare (Annales o Pragmatia belli Gallici): ne restano dieci brevi frammenti. Sono stati tramandati due epigrammi in cui descrive con simpatia affettuosa la misera vita di Valerio Catone [ T2a ONLINE].
▰ Varrone Atacino Anche P. Terenzio Varrone Atacino, cosi soprannominato poiché era nato nell’82 a.C. ad Atax nella Gallia Narbonese, compose un poema epico-storico, il Bellum Sequanicum, che cantava le imprese di Cesare contro Ariovisto durante la guerra gallica. Della sua produzione restano complessivamente una ventina di frammenti. Gli vengono attribuiti due poemetti didascalici, l’uno d’argomento geografico, intitolato Chorographı̆a («Descrizione della terra»), l’altro astronomico, una sorta di calendario poetico dal titolo incerto – forse Ephemĕris [ T2b ONLINE] –, ad imitazione dei Fenomeni di Arato. Di speciale rilevanza il rifacimento latino delle Argonautiche di Apollonio Rodio, in cui Varrone continua l’esperienza dei poeti-traduttori iniziata in Roma da Livio Andronico, spostando ora l’attenzione su un diverso genere di epos, più consono al gusto moderno. Scrisse inoltre una raccolta di poesie intitolate a Leucadia, il nome (o lo pseudonimo) della donna amata. 266
▰ Valerio Catone P. Valerio Catone nacque
probabilmente attorno al 90 a.C. nella Gallia Cisalpina. Visse a Roma esercitando la professione di grammaticus. Godette fama di esperto filologo, critico letterario e maestro di poesia. Compose due epilli, di cui conosciamo soltanto i titoli: Diana o Dictynna; Lydia. ▰ Elvio Cinna Anche Elvio Cinna era originario della Gallia Cisalpina, forse di Brixia, l’odierna Brescia. Insieme a Catullo partecipò alla spedizione in Bitinia del 57 a.C., riportandone un prezioso esemplare dei Fenomeni di Arato [ T2d ONLINE]. Scrisse versi d’amore; ma la sua opera più celebre, grazie all’altissimo elogio che le tributò Catullo nel carme 95 [ T28], è certamente la Zmyrna, un raffinato epillio che dovette apparire come una realizzazione esemplare della poetica callimachea. Ne restano minimi frammenti [ T2c ONLINE]. ▰ Licinio Calvo C. Licinio Calvo, l’unico romano del circolo neoterico, nacque nell’82 e morì nel 47 a.C. Era l’amico più caro a Catullo, come dimostrano vari carmi del Liber. Scrisse epigrammi satirici contro Cesare e contro Pompeo [ T2e ONLINE] e componimenti amorosi in metro elegiaco. Fra questi ultimi un epicedio [ T2f ONLINE] per la morte immatura di Quintilia, verosimilmente sua moglie. Di un epillio mitologico intitolato Io, dal nome della ninfa amata da Giove e trasformata in giovenca da Giunone irata, possediamo sei esametri sparsi [ T2g ONLINE].
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esclusivamente attraverso Catullo. Il carme 50 [ Laboratorio, p. 334], ad esempio, è un “bigliettino” indirizzato a Licinio Calvo: il giorno prima, durante una lieta riunione conviviale, i due amici si sono cimentati in un ludus poeticus; a gara hanno composto estemporaneamente «versi leggeri» (versiculos). Da questi versi emerge una concezione della poesia come lusus raffinato, che coinvolge totalmente chi lo pratica, fondendo in un’ebbrezza entusiastica amicizia e poesia; si disegna l’immagine di un circolo chiuso e aristocratico, in cui i destinatari della poesia tendono a coincidere con i poeti stessi. Brevitas, doctrina, labor limae: contro la poesia epica tradizionale Ma il vero e proprio “manifesto” del neoterismo è forse il carme 95 [ T28], composto per salutare la pubblicazione della Zmyrna di Cinna, un epillio erotico-mitologico di tipo ellenistico, che assomma in sé le caratteristiche fondamentali della nuova poesia: brevitas, doctrina e labor limae. Un componimento di limitata estensione, ricco di preziosa e ricercata erudizione, frutto di un’instancabile elaborazione stilistica, estraneo ad impegni di natura ideologica e civile, polemicamente contrapposto all’antiquato e pesante poema epico di stampo tradizionale, qui rappresentato dagli Annales di un certo Volusio.
Un maestro riconosciuto: Callimaco di Cirene ▰ Callimaco di Cirene: la letteratura come mondo autonomo La più coerente ed esplicita enunciazione dei nuovi principi artistici cui si informò, nel III secolo a.C., l’arte dell’ellenismo, si deve a Callimaco di Cirene (ca. 310-240 a.C.), maestro riconosciuto e unico teorizzatore della letteratura alessandrina. Poeta-filologo di sterminata erudizione, Callimaco aveva polemizzato duramente contro i cultori del poema epico tradizionale, storico e mitologico, proponendo per contro un modello di poesia breve e raffinatissima, destinata a una cerchia di intenditori, o meglio di iniziati. Callimaco aveva introdotto il culto di ciò che è raro, ricercato, inedito, esplorando settori appartati della tradizione, sperimentando nuovi generi e nuove soluzioni stilistiche; aveva fondato la consapevolezza della “letterarietà”, anzi una sorta di aristocratica religione dell’arte, ma con l’atteggiamento sorridente e ironico, con il superiore distacco di chi sa che si tratta di un gioco. Certo proprio questo dovette affascinare i giovani letterati romani: la scoperta di tutto un mondo autonomo e nuovo, il mondo della letteratura, della cultura, degli studi; la scoperta di una poesia più intima e personale, una poesia-gioco apparentemente leggera, che i neóteroi indicheranno provocatoriamente col termine nugae («inezie», «cosucce»), di fatto opponendola in chiave polemica ai generi “alti” della tradizione.
▰ Diffusione del callimachismo in Roma: Partenio di Nicea Fino alla generazione di Catullo e dei neóteroi, tuttavia, l’opera di Callimaco non aveva esercitato quasi nessuna influenza sulla poesia latina. Fu Partenio di Nicea, un letterato greco condotto prigioniero a Roma nel 73 a.C. (secondo altri nel 65), poi liberato per meriti culturali come tanti suoi connazionali prima di lui, a diffondere la poesia callimachea negli ambienti letterari romani. Partenio fu in rapporto anche con i poeti della generazione successiva, soprattutto Virgilio e Cornelio Gallo.
Callimaco di Cirene (ca. 310-240 a.C.), filologo presso la Biblioteca di Alessandria e poeta ufficiale alla corte dei Tolomei, svolse una fondamentale opera di raccolta e catalogazione dei testi antichi. Della sua vasta produzione di opere erudite in prosa restano soltanto i titoli. Tra le opere poetiche sono conservati integralmente i sei Inni agli dèi, e una sessantina di Epigrammi. Solo frammenti sono pervenuti dell’epillio Ecale, prototipo del suo genere, di un libro di Giambi e degli Aitia, quattro libri di elegie eziologiche.
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Una poetica callimachea Da questi preziosi documenti appare chiaro che il sodalizio poetico dei neóteroi si fonda su una concezione della poesia di derivazione alessandrina, e più precisamente callimachea. Se fin dalle origini gli scrittori di Roma avevano accolto non pochi spunti dalla produzione letteraria ellenistica, si trattava pur sempre di riprese eclettiche e per cosi dire occasionali. Con i poeti del circolo neoterico assistiamo invece alla formulazione di un organico programma letterario, sostenuto da una consapevolezza teorica nuova, che si esprime attraverso scelte precise e perentorie dichiarazioni di poetica; queste ultime, come è naturale per un movimento letterario d’avanguardia, tendono sovente ad assumere la forma di un’aggressiva polemica contro i seguaci della tradizione, secondo l’esempio dello stesso Callimaco [ Un maestro riconosciuto: Callimaco di Cirene, p. 267]. Neoterismo come spartiacque L’esperienza neoterica rappresenta un autentico spartiacque nella storia della poesia latina. L’alessandrinismo callimacheo dei poetae novi resterà un’acquisizione irrinunciabile e decisiva per i maggiori poeti dell’età augustea, che su questa base di gusto e di cultura innesteranno originalmente nuove tematiche e nuove esigenze espressive.
Guida allo studio
1. Esponi i princìpi fondamentali della poetica callimachea. 2. Poetae novi, neóteroi, cantores Euphorionis: a chi si devono queste denominazioni? Quale significato esprimono, nelle intenzioni del loro autore, sul piano storico-culturale?
3. Illustra la poetica del neoterismo, analizzando in particolare i seguenti termini: otium, brevitas, doctrina, labor limae, lusus, lepos. 4. Catullo, nelle sue poesie, si rivolge a un pubblico privilegiato di amici-poeti: sapresti indicarne qualcuno? In che senso possiamo parlare di un sodalizio umano e poetico?
2 Catullo La vita La nascita nella Gallia Cisalpina Catullo (Gaius Valerius Catullus) nasce a Verona, nella Gallia Cisalpina, da una facoltosa famiglia provinciale non priva di prestigio e di aderenze importanti, se è vero che, secondo la testimonianza di Svetonio, al tempo del proconsolato di Cesare in Gallia il padre del poeta era solito ospitarlo nella sua dimora veronese, o forse nella villa di Sirmione sul Garda. La data di nascita viene fissata all’87 a.C. da San Gerolamo, il quale aggiunge che Catullo morì a Roma nel trentesimo anno di età, dunque nel 57 a.C. Ma nel Liber catulliano vi sono accenni inequivocabili ad avvenimenti dell’anno 55 (e fors’anche del 54). Occorre allora aggiungere qualche anno alla breve vita di Catullo; oppure, volendo ritenere valida la notizia della morte non oltre i trent’anni, spostare le date estreme della sua esistenza all’84 e al 54. Il trasferimento a Roma Nulla sappiamo dei suoi studi: senza dubbio riceve una completa e raffinata educazione letteraria sia greca che latina, come era costume ormai anche in provincia. Secondo quanto egli stesso afferma, incomincia giova268
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nissimo a scrivere versi d’amore (68, 15-17). Presto si trasferisce a Roma, dove frequenta gli ambienti letterari e mondani più in vista della capitale. Non dà alcun segno di voler intraprendere la carriera politica: la sua scelta è quella dell’otium, i suoi amici più cari sono i giovani poeti della cerchia neoterica, soprattutto Licinio Calvo ed Elvio Cinna, insieme ai quali coltiva la nuova poesia e conduce una vita di piaceri eleganti e raffinati. L’amore per Lesbia-Clodia L’evento centrale della vita (e della poesia) di Catullo è rappresentato dall’amore per una donna che nei suoi carmi, secondo l’usanza della lirica erotica, chiama con il falsum nomen di Lesbia; sappiamo da Apuleio che il suo vero nome era Clodia. Lo pseudonimo scelto da Catullo contiene un richiamo allusivo a Saffo, la poetessa dell’isola di Lesbo che aveva cantato la passione amorosa con accenti di sconvolgente intensità [ T19], ed è destinato a caratterizzare la donna amata come docta puella, dotata di cultura e di gusti letterari raffinati. Essa viene per lo più identificata con la seconda delle tre sorelle di P. Clodio Pulcher, il tribuno di parte cesariana: una spregiudicata e bellissima signora dell’aristocrazia romana, maggiore di Catullo forse di una decina d’anni, sposata a Q. Cecilio Metello Celere, rimasta vedova nel 59. Sembra che a questa stessa Clodia si riferisca la violenta e sarcastica invettiva di Cicerone, che nell’orazione Pro Caelio (56 a.C.) la dipinge come una donna dai costumi corrotti e scandalosi, coinvolta in oscuri intrighi connessi alle manovre politiche del fratello [ T13, cap. 12]. Con lei Catullo vive un’intensa relazione amorosa, che per noi è impossibile ricostruire nelle sue diverse fasi, ma certo complessa e tormentata, costellata di abbandoni, tradimenti, provvisorie riconciliazioni.
Particolare di un affresco della Villa dei Misteri a Pompei, I secolo d.C.
Il viaggio in Asia Minore Nella primavera del 57 Catullo parte per la Bitinia al seguito del propretore Gaio Memmio, forse con l’amico Elvio Cinna, verosimilmente con la speranza di arricchirsi, com’era costume dei magistrati romani e delle loro cohortes di amici e seguaci durante i governatorati nelle province. Esattamente un anno dopo, tuttavia, rientra in patria da solo, dopo aver reso omaggio alla tomba del fratello, sepolto nella Troade (101 [ T29]); durante il viaggio visita le clarae urbes greche d’Asia (46 [ T18]). Non vi è alcun indizio atto a far supporre che Catullo fosse ancora in vita dopo l’anno 54.
Guida allo studio
1. Quali notizie certe possediamo in merito alla biografia di Valerio Catullo? Quali invece restano carenti o controverse? 2. Quali furono le scelte di vita e le frequentazioni di Catullo dopo il trasferimento a Roma? 3. Qual è il significato del nome Lesbia che Catullo attribuisce alla donna amata? Qual era il suo vero nome? Ci sono pervenute notizie, più o meno sicure, riguardo alla sua vita e alla sua personalità, e da quali fonti? 4. Verso quale meta e con quali obiettivi Catullo compì il viaggio dell’anno 57 a.C.? Quando fece ritorno in patria, e quale itinerario seguì?
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Il Liber catulliano
PROFILO STORICO
Il Liber e il libellus La produzione poetica di Catullo ci è pervenuta in un unico liber che contiene 116 carmi in metri vari, per un totale di circa 2300 versi. La raccolta si apre con una dedica a Cornelio Nepote [ T3], in cui si parla di un libellus (un «libretto»), un unico rotolo di papiro, che non poteva contenere più di un migliaio di versi, di norma anche meno (tra i 700 e i 900). Dal testo si ricava inoltre che Catullo definisce nugae («inezie», «cosucce») le poesie in esso trascritte: un termine che è impossibile riferire a componimenti ampi e impegnativi, come ad esempio il carme 64 (ben 408 versi), presenti nella silloge. Si deve dunque concludere che il carme dedicatorio si riferisca a un gruppo più ristretto di brevia carmina, di cui Catullo in persona aveva curato l’edizione; e che il Liber, così come noi lo conosciamo, non abbia ricevuto l’ordinamento attuale dalla mano del suo autore. Struttura tripartita del Liber Nella sua forma attuale, il Liber catulliano si presenta diviso in tre sezioni in base a criteri metrici (non tematici, né cronologici), secondo l’usanza degli editori alessandrini: • la prima sezione (1-60) comprende le cosiddette nugae, brevi componimenti in metri lirici e giambici, di argomento per lo più personale e privato, ispirati a una grande varietà di occasioni e situazioni (amori, affetti e amicizie, invettive, polemiche letterarie, episodi di vita quotidiana); la • seconda (61-68) raccoglie un gruppo di otto componimenti più estesi e di maggiore impegno letterario, in metri diversi, detti carmina docta dagli studiosi moderni; nella terza sezione (69-116) compaiono esclusivamente carmi in distici elegia• ci, per lo più epigrammi di breve estensione, sovente di intonazione satirica, che dal punto di vista tematico e stilistico presentano evidenti analogie con le poesie del primo gruppo.
Affresco raffigurante un giovane uomo con un rotolo, I secolo d.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
Guida allo studio 270
Ma i testi sono realmente 116? Sebbene la numerazione dei testi si estenda dall’1 al 116, i carmi del Liber per la precisione sono 113: tre componimenti (corrispondenti ai numeri 18, 19 e 20), inseriti nel Cinquecento dall’umanista francese Marc-Antoine Muret, vennero espunti dal Lachmann nel XIX secolo, ma la numerazione non fu ritoccata. I tre testi esclusi si leggono ora nell’Appendix vergiliana [ vol. II, cap. 2.5].
1. Descrivi la struttura del Liber catulliano. 2. Per quali ragioni si ritiene che il carme proemiale indirizzato a Cornelio Nepote
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[ T3] si riferisca a un gruppo di liriche più ristretto rispetto alla totalità dei testi pervenuti e raccolti nel Liber?
PROFILO STORICO
Aspetti tematici della poesia catulliana Al centro il personaggio-poeta Dal punto di vista tematico la poesia di Catullo privilegia la sfera degli interessi individuali e privati: i carmi del Liber danno espressione ai sentimenti, alle esperienze, alle reazioni sovente appassionate ed estreme di un personaggio-poeta che dice «io», che ha nome Catullo e che pertanto, secondo le convenzioni della poesia lirica, chiede di essere identificato con la persona dell’autore. L’amore: i carmi per Lesbia Al centro del Liber catulliano si colloca idealmente il gruppo dei carmi per Lesbia (quasi una trentina), che in verità si trovano disseminati nella raccolta senza ordine di sorta. Per antica consuetudine gli interpreti sono soliti accostarli e disporli nella successione logico-cronologica che appare più probabile: occorre avvertire, naturalmente, che si tratta pur sempre di ricostruzioni arbitrarie per quanto suggestive. In ogni caso, vuole la tradizione che l’inizio e la fine (ammesso che ci sia stata una fine) dell’appassionato amore di Catullo per Lesbia siano segnati da due componimenti, rispettivamente il carme 51 [ T19], la traduzione dell’ode di Saffo in cui sono descritti gli sconvolgenti sintomi d’amore, e il carme 11 [ T11], che appare come un definitivo messaggio d’addio alla puella. L’identità del metro (sono i due soli componimenti in metro saffico di tutto il Liber) è un notevole indizio, che effettivamente potrebbe confermare se non altro l’originaria intenzione, da parte di Catullo, di indicare un percorso ai suoi lettori. Fra questi due ipotetici estremi è possibile identificare diversi momenti o gradazioni: a istanti di esaltante felicità nella pienezza dell’accordo amoroso succedono (o si alternano?) la scoperta dell’incostanza di Lesbia, i tradimenti, i dolorosi abbandoni, seguìti da insperati ritorni dell’infedele e da provvisorie riconciliazioni. Novità della poesia d’amore catulliana La poesia d’amore catulliana presenta aspetti di straordinaria novità, sia rispetto alla tradizione letteraria greca, da cui pure – specie dall’epigramma alessandrino – riprende non pochi elementi convenzionali, sia nei confronti della mentalità e del costume romano. Infatti, mentre la lirica erotica greca aveva cantato, con rarissime eccezioni, la passione per le cortigiane, i carmi amorosi di Catullo sono dedicati a una donna sposata di elevata condizione sociale, in aperto contrasto con la morale del tempo e con le stesse leggi dello Stato. Catullo inoltre, in accordo con il programma neoterico, oppone un netto rifiuto, sul piano etico-esistenziale ed estetico, nei confronti del sistema di valori consacrato dalla tradizione romana, che non riconosceva autonomia all’individuo al di fuori dell’impegno politico e civile. L’eros al centro dell’esistenza Operando un audace rovesciamento della tradizionale gerarchia dei valori, Catullo pone l’eros al centro dell’esistenza: l’amore diviene l’unico autentico valore per il quale valga la pena di vivere. Il foedus amoroso Catullo aspira pertanto a trasformare la sua relazione con Lesbia, di per sé instabile e irregolare, in un legame amoroso del tutto nuovo, concepito come un vero e proprio foedus o «patto» sacro e inviolabile, fondato sulla fides e garantito dalla protezione degli dèi (cfr. 109 [ T30] e 72 [ T23]). Soltanto in questo reciproco impegno d’amore, stretto per libera scelta dai due amanti al di fuori del matrimonio, possono trovare una conciliazione due forme dell’amore @ Casa Editrice G.Principato
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che di norma si trovano nettamente separate nella società in cui Catullo vive: da una parte la passionalità erotica, caratteristica delle libere relazioni extraconiugali (amare); dall’altra un sentimento più profondo, serio e duraturo, fatto di tenero affetto e di stima, quale si prova per i propri familiari e per gli amici più cari (bene velle). Il patto d’amore può cosi rivendicare, agli occhi di Catullo, non minore dignità di un’unione coniugale legittima, in un’appagante dimensione di completezza psicologica e affettiva. Pietas e fides La forza e l’originalità della proposta di Catullo, del tutto inedita e anzi inconcepibile per la mentalità dei suoi contemporanei, risiedono nel fatto che egli in tal modo non rinnega ma trasporta nella sfera dell’eros, interiorizzandoli, i valori più sacri della tradizione etico-religiosa romana: la pietas, cioè la virtù propria di chi adempie scrupolosamente i propri doveri sia verso gli altri uomini (in primo luogo i familiari, gli amici, i concittadini) sia verso gli dèi, e la fides, il vincolo morale che obbliga al rispetto dei patti stipulati. Una drammatica lacerazione interiore Ma Catullo è costretto a prendere atto dell’irrimediabile fallimento del suo progetto: i ripetuti tradimenti di Lesbia mostrano chiaramente che la puella non è disposta a condividere e a rispettare il foedus amoroso. Le reazioni dell’amante deluso sono assai diversificate: espressioni di dolore, amarezza, disperazione si alternano a ondate di nostalgico rimpianto, illusorie speranze di riconciliazione, autoesortazioni alla fermezza (8 [ T9]). Sovente lo sdegno per l’iniuria subita si sfoga in violentissime invettive, nei toni del più aggressivo e insultante sarcasmo (11 [ T11]; 58 [ T21]). In profondità, tuttavia, la conseguenza più drammatica dell’infrazione del patto d’amore da parte della donna amata è la scoperta di una lacerante scissione interiore. Con lucida forza introspettiva, Catullo avverte che le due componenti del suo amore, passionale e affettiva – amare e bene velle – si sono dissociate; si sente attraversato da sentimenti conflittuali, preda di forze irrazionali e incontrollabili: la passione sensuale divampa ancora, inestinguibile, ma è paradossalmente accompagnata dall’odio e dal disprezzo (72 [ T23]; 85 [ T25]). Constatata l’impossibilità di superare con le proprie forze l’angosciosa contraddizione, nel carme 76 [ T24] Catullo si rivolge agli dèi per essere liberato da questo suo amore che ormai identifica con un’orribile malattia.
Affresco raffigurante una donna seduta, I secolo d.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
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Religiosità “romana” di Catullo Nonostante il suo individualismo e il suo anticonformismo, Catullo ha un senso religioso dei doveri e degli affetti che affonda le radici nella tradizione ancestrale romana. Non si vuole affermare con questo che Catullo nutra una fede ingenua nei confronti delle divinità tradizionali, né in qualche altra forma di trascendenza: egli si reca a celebrare i riti funebri presso la tomba del fratello in nome dei sacri doveri della pietas verso i con@ Casa Editrice G.Principato
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giunti, pur nella desolata consapevolezza della loro vanità (101 [ T29]). Gli dèi che Catullo invoca nel carme 76 [ T24] rappresentano in realtà la proiezione, l’oggettivazione di quei valori che egli considera irrinunciabili nei rapporti con gli altri e che sente di aver sempre rispettato, la fides e la pietas. La sua religiosità tutta terrena coincide con un profondo senso della giustizia, ed è vissuta con un atteggiamento contrattualistico tipicamente romano: è «in cambio» (pro) della sua devozione che gli dèi dovranno finalmente concedergli (reddere) la pace e la libertà dello spirito (O di, reddite mi hoc pro pietate mea, v. 26). L’amicizia Come l’amore, anche l’amicizia è un foedus: la stessa intensità affettiva, la stessa appassionata serietà, la stessa esigente gelosia che Catullo riversa nel rapporto amoroso con Lesbia, caratterizzano le sue relazioni con gli amici (30 [ T15]). Per essi Catullo ha sinceri, entusiastici slanci di affetto, che giungono fino a vere e proprie esplosioni di gioia, come in occasione del ritorno di Veranio dall’Iberia (9 [ T10 ONLINE]); ma è altrettanto pronto alle rimostranze, ora accorate, ora minacciose e violente, nei confronti di coloro che vengono meno a un preciso codice di comportamento. La cerchia degli amici, accomunati da un ideale di vita (e di poesia) elegante e raffinata, costituisce il punto di riferimento costante e il destinatario privilegiato della poesia catulliana. Sono frammenti di vita, afferrati e rielaborati poeticamente: ricordi di esperienze vissute, aneddoti spiritosi, episodi divertenti o scandalosi, non di rado giocosamente deformati con comica esagerazione; garbate prese in giro di comportamenti rozzi o ridicolmente affettati (12 [ T12 ONLINE]); “bigliettini” scherzosi, ironici o autoironici (13 [ T13]). La poesia Ma i sodales più vicini a Catullo sono anche poeti: come si è visto, fra i numerosissimi carmi indirizzati agli amici non pochi sono di argomento letterario e contengono enunciazioni di poetica, associate il più delle volte ad attacchi polemici contro gli avversari; è quanto accade, per ricordare soltanto un esempio, nel carme 95 [ T28], che celebra la pubblicazione dell’attesissima Zmyrna di Cinna, denigrando nel contempo, in toni aggressivi e beffardi, gli attardati cultori del poema epico-storico tradizionale alla maniera enniana. L’invettiva e la satira Le invettive di Catullo non sono esclusivamente letterarie: più di metà dei componimenti del Liber sono di carattere aggressivo. Oltre a stigmatizzare violentemente le infrazioni della fides da parte di Lesbia e degli amici, Catullo lancia i suoi strali contro svariati personaggi dell’epoca (molti dei quali restano per noi soltanto dei nomi) mettendone alla berlina le colpe e i difetti fisici e morali, talvolta in tono giocoso, più spesso con impietosa asprezza. Non è sempre agevole individuarne le ragioni: di volta in volta si tratterà di antipatie personali, disgusto per la volgarità, gelosia nei confronti di possibili rivali, sdegno vendicativo per dei torti subiti; ma certo anche i carmi aggressivi e diffamatori entrano a far parte di un gioco audace e arguto, dal forte spessore letterario, indirizzato agli amici del circolo neoterico. Sia nelle nugae che negli epigrammata compaiono carmi violentemente diffamatori contro potenti uomini politici: Cesare (93 [ T27]) e il suo favorito Mamurra (29 [ T14 ONLINE]); cesariani come Nonio e Vatinio (52 [ T20]); in due casi anche Pompeo. @ Casa Editrice G.Principato
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L’ETÀ DELLA TARDA REPUBBLICA
10. La poesia neoterica e Catullo
PROFILO STORICO
Il viaggio e i luoghi Un ristretto gruppo di componimenti, ai quali appartengono alcuni fra i capolavori assoluti della lirica catulliana, trae ispirazione in vario modo dal viaggio in Oriente compiuto nel 57-56 a.C. al seguito di Memmio. L’esperienza del viaggio sprigiona nella poesia di Catullo il fascino inebriante dell’avventura (4 [ T6 ONLINE]); ma per il giovane intellettuale romano il viaggio nel Mediterraneo orientale rappresenta anche un entusiasmante itinerario culturale attraverso luoghi dei quali è sufficiente pronunciare i nomi esotici e sonanti per evocare la splendida tradizione artistica e letteraria del mondo greco (46 [ T18]). Questo poeta sa cantare tuttavia, con accenti indimenticabili, anche la gioia del ritorno, come nel carme 31 [ T16]. Ancora diverso lo sviluppo del tema nel carme 101 [ T29]: il viaggio di Catullo alla tomba del fratello assume i toni di una profonda malinconia e insieme di una pacata solennità rituale, specchiandosi nel lungo e travagliato peregrinare di Odisseo.
Guida allo studio
1. Quali sono i principali temi affrontati da Catullo nella sua opera? 2. Come viene concepito l’amore dal poeta? 3. Chiarisci il significato e le implicazioni del foedus amoroso (o «patto d’amore») che Catullo aspira a stringere con Lesbia. 4. Una parte considerevole del Liber è dedicata
alla poesia di tono aggressivo e satirico: quali sono gli obiettivi privilegiati delle invettive catulliane? 5. Da quale particolare evento nella vita del poeta sono ispirati i carmi che trattano il tema del viaggio? In quali diversi modi e toni viene di volta in volta sviluppato?
Letterarietà e ars nella poesia catulliana Equilibrio fra intensità vitale e ars La grandezza e l’originalità della poesia catulliana consistono in un equilibrio – che ha del prodigioso – fra l’intensità passionale dell’esperienza vissuta e l’ars impeccabile del poeta doctus, impegnato nella ricerca della perfezione formale. Catullo poeta novus: poesia di circolo L’intera produzione poetica di Catullo si inscrive nell’ambito del movimento neoterico; ne rappresenta anzi il documento più notevole e prezioso. Certo la poesia del Liber, nella sua profondità e complessità, non si esaurisce nell’adesione a un programma letterario d’avanguardia; nondimeno presuppone il riferimento costante a una cerchia di amici-poeti, destinatari espliciti o sottintesi dei testi, i quali condividono le esperienze di vita, la raffinata cultura e gli ideali poetici dell’autore, e sono pertanto in grado di decodificare e gustare gli accenni a determinati personaggi, fatti e minuti episodi della vita quotidiana, così come le dotte allusioni letterarie, abilmente dissimulate, di cui è costellato il testo poetico [ Leggere un testo critico, p. 306]. Letterarietà dei carmi catulliani: i modelli greci Quasi tutti i componimenti del Liber, anche quelli che sembrano scaturire da una precisa e irripetibile occasione di vita reale e che più vivamente colpiscono il lettore per la loro apparenza di spontaneità e di naturalezza, sono riconducibili a un modello letterario greco: i raffinati poeti ellenistici, da Callimaco a Meleagro di Gadara, pressoché contemporaneo di Catullo e a lui specialmente congeniale per la sua tendenza ad 274
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approfondire il discorso amoroso con sofferta partecipazione sentimentale; ma anche i lirici greci arcaici – la prediletta Saffo, Alceo, Archiloco, Ipponatte – dei quali Catullo possiede la profondità, la vitalità, la concentrata energia espressiva. Imitatio, aemulatio e arte allusiva L’imitatio catulliana dei modelli greci non va ovviamente intesa come un’imitazione-riproduzione passiva e per così dire esteriormente artificiosa, ma si configura piuttosto come una imitazione-emulazione, cioè una ricreazione originale, secondo le modalità di quella che è stata felicemente definita «arte allusiva». Il riferimento al modello, ammirato e amato, non viene affatto occultato, ma anzi apertamente esibito, con l’intento di arricchire il nuovo testo di ulteriori risonanze e significati, attivati dalla “memoria poetica” della tradizione (cfr. il carme 101 [ T29]), di rendere omaggio a un maestro, talvolta di aprire una gara con l’illustre precedente.
Guida allo studio
1. Spiega perché la produzione poetica di Catullo viene definita “poesia di circolo”. 2. Quali sono i modelli letterari cui Catullo costantemente si ispira?
3. Qual è il rapporto che il poeta latino intrattiene con gli autori e i testi greci che prende a modello? 4. Imitatio, aemulatio, arte allusiva: spiega il significato di queste espressioni.
I carmina docta Prove poetiche più impegnative Non è soltanto per la maggiore estensione che i carmina docta si distinguono dai componimenti brevi (nugae ed epigrammi): in questi carmi di più ampio respiro Catullo intese certo dare prove di poesia più alte e impegnative secondo i canoni del gusto alessandrino, mediante il ricorso alle tematiche illustri del mito e a tecniche compositive ricercate, dispiegando le risorse di un’erudizione sofisticata e preziosa. Catullo ambisce a misurarsi nel genere tipicamente neoterico e “moderno” dell’epillio alessandrino; epilli di raffinata fattura sono in particolare i carmi 63 e 64, ambedue racconto di vicende mitiche in cui accanto a virtuosistici intarsi descrittivi si aprono vasti spazi di introspezione psicologica. Un epillio, incentrato su un gentile motivo eziologico, va considerato anche il carme 66 [ T22 ONLINE; I carmina docta, p. 276]. Fusione di elementi greci e romani In ogni caso, Catullo sottopone anche nei carmina docta gli ammirati modelli greci a una complessa e originale rielaborazione, concentrandosi su problematiche inconfondibilmente personali e calando elementi caratteristici della cultura e della tradizione romana negli stampi eleganti delle forme di derivazione alessandrina. Nel carme 61, in particolare, Catullo realizza una perfetta fusione di elementi greci e romani: le forme letterarie e il metro, oltre a singoli motivi ed espressioni, derivano da Saffo e dai lirici ellenistici, mentre gli atti rituali, come pure i concetti riguardanti il matrimonio e la sua funzione civile, hanno radici nella più antica e schietta tradizione romano-italica. @ Casa Editrice G.Principato
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10. La poesia neoterica e Catullo
PROFILO STORICO
Il carme 68 prototipo dell’elegia latina Il carme 68 è considerato il prototipo dell’elegia latina. In età augustea i poeti elegiaci – in particolare Properzio – ne riprenderanno infatti, sviluppandoli e fissandoli in un genere autonomo, motivi e caratteristiche fondamentali: la notevole estensione del componimento (160 versi, ben oltre i limiti consueti dell’epigramma in distici); l’andamento lirico-narrativo almeno apparentemente libero e come ondeggiante tra diverse sollecitazioni mediante associazioni improvvise, che cela in realtà un calcolatissimo gioco d’incastri e di simmetrie compositive; l’ampio spazio concesso alla rievocazione delle vicende personali, in particolare amorose, del poeta, proiettate nella dimensione nostalgica o dolente del ricordo; il motivo del servitium amoroso; soprattutto il continuo trapasso dal piano dell’autobiografia a quello del mito.
I carmina docta Il gruppo degli otto carmi lunghi (61-68), situato per tradizione al centro del Liber, si apre con due canti epitalamici (cioè canti intonati durante le cerimonie nuziali). Il primo tra i carmina docta (61), in metri lirici, composto per le nozze del nobile Lucio Manlio Torquato con Vinia Aurunculeia, ha inizio con un inno ad Imeneo, la divinità delle nozze; segue la rappresentazione della deductio, il corteo festoso che all’ora vespertina accompagna la sposa alla casa del marito. Il secondo (62), in versi esametri, è strutturato in forma di contrasto fra due cori, uno di giovani, l’altro di ragazze, che invocano Imeneo mentre si attende, al calar della sera, l’arrivo della sposa. Il carme 63, un epillio in galliambi, narra di riti esotici e crudeli: il giovane Attis, giunto per mare in terra di Frigia, durante le feste notturne in onore della Magna mater Cibele, invasato dal furore orgiastico, si evira per consacrarsi al culto della dea. Ritornato in sé, si pente del suo gesto, ma la terribile divinità non permette ormai che si sottragga al suo dominio. Nel carme 64, anch’esso un epillio, il più ampio e complesso testo di questa sezione (408 versi esametri), si narra delle nozze di Peleo e Teti; nella storia principale viene inserita, mediante la tecnica della ékphrasis, una seconda storia, quella di Arianna abbandonata da Teseo sull’isola di Dia e poi tratta a salvamento da Bacco, che giunge improvviso sul lido deserto con il suo gioioso corteo. Il carme 65 è indirizzato all’amico Ortalo: il celebre oratore aveva chiesto in dono dei versi che Catullo, prostrato dalla morte del fratello, non può dare; ma darà, in segno del suo immutato affetto, una traduzione della Chioma di Berenice di Callimaco. Il carme 66 [ T22 ONLINE] è appunto la traduzione catulliana della Chioma, l’episodio che concludeva il IV libro degli Aitia callimachei. Berenice, moglie fedele e
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innamorata del sovrano d’Egitto Tolomeo III Evergete, consacra agli dèi, per propiziare il successo dello sposo partito per una spedizione militare, un ricciolo della propria chioma, che misteriosamente scompare; ma l’astronomo Conone lo riconosce in una nuova costellazione, da allora denominata, come oggi, la «Chioma di Berenice». Segue (67) una variazione dialogica in distici elegiaci sul motivo del paraklausíthyron (il «canto dinanzi alla porta chiusa»): il poeta si rivolge alla porta della casa appartenente a un certo Cecilio, inducendola a rivelare gli scandalosi costumi sessuali dei suoi padroni. Nel carme 68, infine, ancora in distici elegiaci e in forma di epistola poetica a un amico, Catullo intreccia motivi autobiografici (il dolore per la morte del fratello; la rievocazione del primo convegno con Lesbia) con un racconto mitico (gli amori di Protesilao e Laodamia).
Statua della dea Cibele, I secolo a.C. Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek.
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PROFILO STORICO
Uso autobiografico del mito Nel carme 68 il racconto autobiografico si specchia nella vicenda mitica e favolosa, che assurge così ad exemplum, assume cioè un valore paradigmatico, gettando luce sui significati profondi dell’esperienza personale. Qui Catullo propone un evidente parallelismo tra due unioni, – una attuale e personalmente vissuta da chi scrive (o almeno presentata come tale), l’altra leggendaria (e letteraria), evocata da un remoto passato – entrambe illegittime e proprio per questo precarie. Così, la tragica conclusione della storia di Laodamia proietta inevitabilmente anche sull’amore di Catullo l’ombra di un’apprensione, quasi la premonizione di un destino di sventura e di dolore. Motivi ricorrenti nei carmina docta A ben guardare, tuttavia, anche negli altri carmi lunghi (forse con l’eccezione del 63) Catullo insiste su tematiche personalissime, dominanti in tutto il Liber, che filtrano attraverso la narrazione mitica degli epilli. Comune a tutti è il motivo dell’unione coniugale legittima, stabile e felice, un foedus sancito dall’assenso divino, basato sul rispetto della fides e delle tradizioni familiari; cioè proprio quel tipo di legame che rappresenta la più ardente e sempre frustrata aspirazione di Catullo nei suoi rapporti con Lesbia. Al matrimonio legittimo vengono contrapposte le relazioni adulterine o comunque irregolari, su cui grava la minaccia dell’infedeltà, dell’abbandono, del dolore e persino della morte. Il racconto mitico come vicenda esemplare Catullo non segue dunque fino in fondo i modelli alessandrini in quel procedimento di garbata diseroicizzazione del mito che li caratterizza: per il poeta romano il racconto mitico non rappresenta soltanto il pretesto per un elegante gioco letterario, ma si ripropone come vicenda esemplare, conservando in modi nuovi e in nuove forme l’originaria tensione etico-religiosa e conoscitiva. Unitarietà della poesia catulliana Da quanto si è detto risulta evidente l’unitarietà profonda della poesia catulliana, caratterizzata nella sua interezza dal ritorno persino ossessivo su alcuni nuclei tematici “forti” e personalissimi; è per conseguenza inconsistente la pretesa di creare una barriera di separazione fra i carmina docta e i componimenti brevi.
Guida allo studio
1. Perché gli otto carmi lunghi collocati al centro del Liber sono stati denominati carmina docta? 2. Illustra i caratteri, tematici e stilistici, dei carmina docta. 3. Per quali ragioni il carme 68 viene considerato il prototipo dell’elegia latina? 4. Quale relazione si instaura, nella poesia di Catullo, fra piano del mito e piano
autobiografico? Sapresti citare qualche esempio concreto? 5. Nonostante il ricorso al mito e la notevole varietà degli argomenti, dei metri, dei modelli, è possibile individuare nei carmina docta il ritorno costante di nuclei tematici personali, ricorrenti e anzi centrali in tutta l’opera catulliana?
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10. La poesia neoterica e Catullo
Lingua e stile
PROFILO STORICO
L’impressione di spontaneità e di immediatezza che colpisce tanto vivamente il lettore di Catullo, è in realtà il frutto di una consapevole operazione artistica, che si realizza attraverso un assiduo e sorvegliatissimo lavoro sul piano della lingua e dello stile.
Commistione di registri linguistici La caratteristica più vistosa dello stile catulliano è una sapiente e spregiudicata commistione di diversi registri linguistici. La lingua poetica di Catullo è una lingua composita, colta e aristocratica, che si appropria continuamente, a fini espressivi, di forme e strutture del sermo cotidianus, esplorato in tutta la gamma delle sue sfumature. Lessico e sintassi Il lessico è ricchissimo, e accoglie volgarismi come basium (5, vv. 7 e 13) in luogo di osculum; diminutivi dell’uso parlato come palmula (4, vv. 4 e 17); espressioni oscene e triviali (cacata [charta], 36, vv. 1 e 20); grecismi volgari (moechus, 11, v. 17); onomatopee (pipiare, 3, v. 10); interiezioni colloquiali (Iuppiter, 1, v. 7); locuzioni idiomatiche. Dal punto di vista sintattico, rimandano a costrutti tipici del parlato i partitivi dipendenti dal neutro singolare di un pronome, un aggettivo o un avverbio (hoc libelli, 1, v. 8; tantum basiorum, 5, v. 13); il pronome neutro in funzione predicativa con il verbo esse (esse aliquid, 1, v. 4); i congiuntivi alla seconda persona con valore imperativo (desinas, ducas, 8, vv. 1-2); la preferenza per i periodi semplici, formati cioè di una sola proposizione, e in genere per l’ordinamento paratattico del discorso. Espressività e intensità emotiva La ricerca di espressività e di intensità emotiva nel linguaggio poetico catulliano è testimoniata inoltre dall’impiego continuo di forme dialogiche e allocutive (interrogative, esclamative, vocative, quasi sempre precedute dall’interiezione o); di strutture iterative (accumuli enfatici, anafore ed epifore, riprese di singole espressioni e di interi versi); di aperture ex abrupto, piene di slancio e di energia (Cui dono...?, 1; Vivamus, 5); di nomi propri accompagnati dal possessivo (mi Fabulle, 13, v. 1); di innumerevoli diminutivi affettuosi come miselle, turgiduli ocelli (3, vv. 16-18) e il metaforico ocelle (31, v. 2), labella (8, v. 18), amiculi (30, v. 2). Le forme del linguaggio letterario Alle movenze del linguaggio colloquiale Catullo intreccia elegantemente, non di rado ricercando forti e improvvisi effetti di contrasto, le forme del linguaggio letterario, fra le quali spiccano gli intarsi allusivi, eruditi e preziosi secondo i dettami del gusto alessandrino: nomi di luoghi evocativi ed esotici (46, vv. 3-5); epiteti rari e grecizzanti come Lybissae (7, v. 3), Eoa (11, v. 3), Lydiae (31, v. 13); solenni arcaismi poetici e composti di stampo omerico-enniano quali caelites (11, v. 14), sagittiferos, septemgeminus (11, vv. 5-6). Nei carmina docta uno stile più alto Lo stile dei carmina docta è senza dubbio più elaborato e più riccamente intessuto di dotti riferimenti letterari. Frequenti ricorrono gli echi della poesia enniana e in genere dell’epica e della tragedia arcaica, accanto ai fittissimi inserti preziosi ed eruditi derivati dai modelli ellenistici; ma agli stilemi della poesia tradizionalmente “alta” Catullo accosta, ovviamente in misura minore, movenze più intime e colloquiali, caratteristiche dei carmi brevi, soprattutto diminutivi. 278
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PROFILO STORICO
Unitarietà dello stile catulliano Ormai da tempo la critica considera decisamente superata la tradizionale contrapposizione fra i componimenti brevi e i carmina docta: da una parte un Catullo autobiografico e spontaneo (secondo il mito romantico della “sincerità” poetica); dall’altra il poeta doctus, imitatore degli alessandrini. In realtà, come dal punto di vista tematico la poesia catulliana rivela una profonda unitarietà, così sotto l’aspetto linguistico e stilistico non si riscontrano sostanziali differenze qualitative; si tratta piuttosto di gradazioni quantitative (nel dosaggio, potremmo dire, degli “ingredienti”), richieste dal diverso genere poetico e dall’argomento.
Guida allo studio
Materiali
ONLINE
essenziale
Bibliografia
B
1. Distingui le diverse componenti del linguaggio poetico catulliano. 2. Si può parlare di una diretta riproduzione del sermo cotidianus?
3. Per quali aspetti lo stile dei carmina docta differisce da quello dei carmi brevi?
DOCUMENTI E TESTIMONIANZE • Tre definizioni dei poetae novi (Cicerone) BIBLIOGRAFIA ESTESA
� Edizioni Per i frammenti superstiti dei poeti neoterici, con traduzione italiana: A. Traglia, Poetae novi, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1974. Fra le molteplici traduzioni di Catullo: Canti di Catullo, t r a d . d i S . Q u a s i m o d o, Mondadori, Milano 1955 ( o r a i n S . Q u a s i m o d o, Poesie e discorsi sulla poesia, Mondadori, Milano 1971); Catullo, Le poesie, a cura di
F. Della Corte, Mondadori - Fondazione Lorenzo Valla, Milano 1977; Poesia d’amore latina, a cura di P. Fedeli, trad. di G. Paduano, EinaudiGallimard, Torino 1998 (con commento e bibliografia di tutti i singoli testi del Liber); Catullo, «Carmina». Il libro delle poesie, a cura di N. Gardini, Feltrinelli, Milano 2014. � Studi e commenti Per orien-
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tarsi nello studio della poe sia di Catullo: P. Fedeli, Introduzione a Catullo, Laterza, Bari-Roma 1990. Fra i saggi sulla poetica catulliana: F. Bellandi, Lepos e pathos: studi su Catullo, Pàtron, Bologna 2007. Per un vasto commento a tutti i singoli carmi catulliani: Catullo, Le poesie, a cura di A. Fo, Einaudi 2018 (con ampia bibliografia degli studi).
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10. La poesia neoterica e Catullo
PROFILO STORICO
Catullo
nel tempo
I contemporanei e i poeti augustei Catullo, le scelte tematiche audaci e irriduciCatullo ebbe un immediato riconoscimento da parte dei contemporanei: Cornelio Nepote, nella Vita di Attico (XII, 4), colloca l’amico scomparso fra i più grandi poeti della sua epoca accanto a Lucrezio, mentre Varrone lo cita nel De lingua Latina (XII, 50). Il Liber catulliano viene letto, ammirato e imitato dai maggiori poeti dell’età augustea, a cominciare da Virgilio, soprattutto nel IV libro dell’Eneide, dove le appassionate invocazioni di Didone abbandonata riecheggiano il lamento di Arianna nel carme 64. Ma è con i poeti elegiaci che Catullo si afferma come modello riconosciuto della poe sia d’amore.
L’epoca imperiale La poesia di Catullo continua ad essere apprezzata durante l’epoca imperiale: Velleio Patercolo, storico dell’età di Tiberio, lo definisce «insuperato nel suo genere» (Historiae II, 36, 2). In base ai criteri di classificazione dei generi poetici allora condivisi, basati soprattutto su distinzioni metriche (oltre che per ragioni di gusto), Quintiliano lo esclude dal novero dei poeti propriamente lirici, ma ricorda Catullo tra gli iambographi, per la «mordacità» dei suoi versi (Inst. or. X, 11, 96). Marziale imita apertamente proprio il Catullo epigrammatico, mordace, vivacemente realistico e aggressivo, e lo dichiara in tono entusiastico per nulla inferiore al grande Virgilio (Epigrammata XIV, 195).
La tarda antichità e il Medioevo Verso il III secolo d.C. sull’opera di Catullo incomincia a calare il silenzio, che si fa praticamente totale nel Medioevo: l’ultimo a leggerne ancora il testo è probabilmente Isidoro di Siviglia (VIVII secolo d.C.), forse addirittura in un florilegio. Del resto sono altri i poeti che la cultura medievale annovera fra i propri auctores (Virgilio, Orazio «satiro», Ovidio): la spregiudicatezza, lo spirito “laico”, individualista e irriverente di
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bilmente soggettive fanno sì che venga tenuto a distanza e dimenticato. Agli inizi del XIV secolo, tuttavia, a Verona, uno scrivano scopre un codice, ora perduto, il Veronensis, capostipite della nostra tradizione manoscritta.
Umanesimo e Rinascimento Da allora, Catullo è al centro della fervida ammirazione e dell’amoroso studio degli umanisti e dei loro precursori, soprattutto il Petrarca, che nel Canzoniere ha inconfondibili accenti di profonda consonanza con la lirica catulliana. La prima edizione a stampa è del 1472; Angelo Poliziano emenda e commenta il testo del Liber, mentre nei suoi versi, latini e italiani, se ne colgono innumerevoli echi. Riprese evidenti e allusioni sono disseminate in tutta la poesia del Rinascimento (e oltre), dall’Ariosto, che nell’Orlando furioso modella su quello di Arianna i lamenti delle sue amanti abbandonate, al Tasso dell’Aminta, delle Rime, della Gerusalemme liberata. Ottocento e Novecento A partire dalla fine del Settecento i poeti moderni, specialmente anglosassoni e tedeschi (Goethe, Keats, Shelley...) hanno amato in modo speciale Catullo per le movenze spontanee e l’intensità passionale della sua poesia, che appare subito alla nascente sensibilità romantica un’eccezione nell’ambito della letteratissima poesia latina. Nel 1803 Foscolo traduce la Chioma di Berenice nella versione latina di Catullo insieme al carme ad Ortalo (65 e 66 [ T22 ONLINE]) e si ispira al carme 101 ([ T29] nel sonetto In morte del fratello Giovanni; anni dopo, anche i preziosi intarsi delle Grazie dovranno moltissimo alla lettura dei carmina docta: per fare soltanto un esempio, lo splendido quadro delle ninfe oceanine nel primo inno (vv. 68-81) rielabora un’immagine catulliana del carme 64 (vv. 14-18).
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Anche nel Novecento Catullo continua ad essere una presenza viva per artisti e scrittori: Giovanni Pascoli rende omaggio a uno dei suoi poeti prediletti in un dottissimo poemetto latino, intitolato Catullocalvos; Carl Orff compone nel 1943 musiche sui testi dei Catulli carmina; il romanziere e drammaturgo americano Thornton Wilder scrive un interessante romanzo epistolare, Le Idi di Marzo (The Ides of March, 1948), nel quale Catullo figura tra i personaggi principali.
Busto di Berenice. Monaco di Baviera, Glypthotek.
COMPITO di REALTÀ • UN LAVORO EDITORIALE 1. La consegna • Approntare una nuova antologia del Liber di Catullo, provvista di: – un titolo; – un’introduzione che ne spieghi le scelte di selezione e traduzione, oltre che il contributo dei partecipanti; – testo a fronte e traduzione di almeno venti componimenti, tratti dalle sezioni Nugae ed Epigrammata; – un apparato di note succinto ma significativo; – un apparato iconografico che preveda interpretazioni o riletture di singole poesie catulliane (quadri, sculture, video), con apposite didascalie che diano conto dell’artista, dell’epoca di composizione, del luogo dove l’opera è collocata. • L’antologia verrà utilizzata da tutte le classi dell’Istituto nell’anno successivo alla sua realizzazione. Tale antologia potrà essere in formato cartaceo o digitale.
2. Gli strumenti • La classe dovrà provvedersi di almeno cinque edizioni moderne dell’opera catulliana. • La ricerca iconografica potrà essere condotta su cataloghi d’arte o su Internet. 3. Le fasi operative • La scelta delle poesie verrà fatta con la guida dell’insegnante, identificando nel corpus catulliano quattro o cinque aree tematiche in cui dividere la vostra antologia. • La classe sarà divisa in quattro o cinque gruppi omogenei; a ciascun gruppo verrà affidata una delle sezioni tematiche individuate. • Ogni poesia dovrà avere una traduzione, realizzata, se necessario, con l’aiuto delle edizioni moderne a disposizione, e un apparato di note che prenda in considerazione gli aspetti linguistici, lessicali e di contenuto di ciascun componimento. • L’introduzione, che verrà discussa dall’intera classe, dovrà concentrarsi specialmente sulle poesie selezionate.
AUTOVALUTAZIONE Conoscenza dell’argomento
scarso
sufficiente
discreto
buono
ottimo
Capacità di narrazione e di esposizione
scarso
sufficiente
discreto
buono
ottimo
Capacità di aggregazione
scarso
sufficiente
discreto
buono
ottimo
Competenze digitali
scarso
sufficiente
discreto
buono
ottimo
Giudizio complessivo sul progetto
coerente
esaustivo
originale
adeguato
non adeguato
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10. La poesia neoterica e Catullo
Sintesi
PROFILO STORICO
S
La poesia neoterica e Catullo La poesia lirica fa il suo ingresso nella letteratura latina sul finire dell’età arcaica. Determinante è l’influsso dei contatti sempre più intensi e consapevoli con i modelli della letteratura greca. Nel contempo agisce sulla fondazione della lirica soggettiva in Roma anche il profondo mutamento del rapporto fra il cittadino e la res publica, in seguito alle radicali trasformazioni d’ordine politico e sociale in atto. La prima produzione lirica in lingua latina proviene, verso la fine del II secolo a.C., dal “circolo” di Lutazio Catulo, intorno al quale gravitavano numerosi poeti greci e latini – i cosiddetti pre-neoterici – accomunati dal gusto per una poesia di argomento personale, elegante, breve e leggera, di tipo alessandrino. Ai primi esperimenti dei pre-neoterici, sostanzialmente eleganti esercizi di adattamento degli originali greci, fa seguito qualche decennio dopo un rinnovamento sostanziale e ben più profondo ad opera di un gruppo di poeti-amici detti poetae novi (o, con vocabolo greco, neóteroi), i quali, ispirandosi ai modelli ellenistici e in particolare a Callimaco, elaborano una nuova poesia lirica e soggettiva, concepita come un raffinato lusus e fondata sui princìpi di brevitas, doctrina e labor limae. Della cerchia neoterica fa parte lo stesso Catullo, l’unico di cui ci siano pervenuti i testi; degli altri poetae novi (Furio Bibàculo, Varrone Atacino, Valerio Catone, Elvio Cinna, Licinio Calvo) sono giunti a noi solo scarsi frammenti. Gaio Valerio Catullo nasce a Verona, nella Gallia Cisalpina, forse nell’84 a.C., da una facoltosa famiglia provinciale. Si trasferisce ben presto a Roma, ma non intraprende la carriera politica; la sua scelta è quella dell’otium, i suoi amici più cari sono i giovani poeti della cerchia neoterica, insieme ai quali coltiva la nuova poesia di indirizzo alessandrino. L’esperienza centrale della vita (e della poesia) di Catullo è l’amore per Clodia, una signora dell’alta società romana, nei suoi carmi chiamata Lesbia. Con lei il poeta vive un’intensa e tormentata relazione amorosa. Nel 57 parte per la Bitinia al seguito del propretore Gaio Memmio. Durante il viaggio di ritorno, un anno dopo, renderà omaggio alla tomba del fratello, sepolto nella Troade, e visiterà le clarae urbes greche dell’Asia. Non vi è alcun indizio atto a far supporre che Catullo fosse ancora in vita dopo l’anno 54 a.C. La produzione poetica di Catullo è per noi racchiusa in un unico Liber (113 carmi per circa 2300 versi), ripartito in tre sezioni: le nugae (componi-
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menti brevi di carattere personale e privato), i carmina docta (più estesi e di maggior impegno letterario), gli epigrammi (sovente di intonazione satirica). La poesia di Catullo privilegia la sfera degli interessi individuali e privati (l’amore, l’amicizia, gli affetti familiari, la vita mondana, la poesia e le questioni di poetica, le antipatie e i disgusti personali, la gelosia) dando espressione, ora con accenti di profonda serietà, ora in toni arguti e scherzosi, ora nello stile della più aspra invettiva, ai sentimenti, alle esperienze, alle reazioni appassionate del personaggio-poeta. La poesia d’amore catulliana presenta aspetti di straordinaria novità: operando un audace rovesciamento della tradizionale gerarchia di valori, Catullo pone l’eros al centro dell’esistenza. Egli aspira a trasformare la sua relazione – di per sé instabile ed irregolare – con Lesbia in un legame amoroso del tutto nuovo, dotato di non minore dignità di un’unione legittima: un foedus o patto sacro e inviolabile, fondato sulla fides. Costretto a prendere atto del fallimento del suo progetto, Catullo sperimenta ed esprime una drammatica lacerazione interiore. Nonostante il suo individualismo e il suo anticonformismo Catullo ha un senso religioso dei doveri e degli affetti che affonda le radici nella tradizione ancestrale romana. Ma la sua religiosità è tutta terrena e coincide con un profondo senso della giustizia: gli dèi che talora invoca sono l’oggettivazione degli irrinunciabili valori della fides e della pietas. La grandezza e l’originalità della poesia catulliana consistono in un prodigioso equilibrio fra l’intensità passionale dell’esperienza vissuta e l’ars impeccabile del poeta doctus. Quasi tutti i componimenti del Liber, anche quelli che più vivamente colpiscono per la loro apparenza di spontaneità, sono riconducibili a un modello greco: i raffinati poeti ellenistici ma anche i lirici greci arcaici (Saffo, Alceo, Archiloco, Ipponatte...), in un complesso rapporto di imitazione-emulazione, anzi di ricreazione originale. Quella di Catullo è una lingua poetica composita, colta e aristocratica, che si appropria a fini espressivi delle più varie forme del sermo cotidianus. Il lessico è ricchissimo: accoglie volgarismi, diminutivi affettuosi, onomatopee, espressioni triviali; anche la sintassi si avvale di costrutti tipici del parlato. Ma alle movenze del linguaggio quotidiano intreccia, con effetti di contrasto, forme del linguaggio letterario erudito e prezioso di gusto alessandrino, accanto a solenni arcaismi e composti di stampo epico.
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Percorso antologico T1
Lutazio Catulo, Lo splendore di Roscio
T2 I poetae novi
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Catulli Liber, Nugae T3
La dedica del libellus (1)
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T4
Passer, deliciae meae puellae (2)
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T5
Per la morte del passero (3)
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T6
Il battello avventuroso (4)
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T7
«Viviamo, mia Lesbia» (5)
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T8
Infinità di baci (7)
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T9
L’amore-tormento (8)
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T10
Per il ritorno di Veranio (9)
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T11
Messaggio a Lesbia infedele (11)
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T12
Ad Asinio Marrucino, che ruba fazzoletti (12)
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T13
Bizzarro invito a cena (13)
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T14
Invettiva contro Mamurra (29)
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T15
Alfene immemor... (30)
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T16
Ritorno a Sirmione (31)
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T17
Annales Volusi, cacata charta (36)
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T18
La partenza dalla Bitinia (46)
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T19
Catullo e Saffo: effetti sconvolgenti della passione (51)
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T20
Due ignobili arrivisti (52)
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T21
Invettiva infamante contro Lesbia (58)
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Catulli Liber, Carmina docta T22 La Chioma di Berenice (66)
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Catulli Liber, Epigrammata T23
Amare e bene velle (72)
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T24
Invocazione agli dèi (76)
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T25
Odi et amo (85)
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T26
«Nessuna donna può dire...» (87)
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T27
A Cesare (93)
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T28
Per la Zmyrna di Cinna (95)
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T29
Sulla tomba del fratello (101)
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T30 Il foedus amoroso (109) @ Casa Editrice G.Principato
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L’ETÀ DELLA TARDA REPUBBLICA
10. La poesia neoterica e Catullo
T2
I poetae novi
Furio Bibaculo, fr. 2 Traglia; Varrone Atacino, fr. 21 Traglia; Elvio Cinna, frr. 12-13 Traglia; fr. 3 Traglia; Licinio Calvo, fr. 4 Traglia; fr. 8 Traglia; fr. 14 Traglia; Callimaco, Aitia, fr. 1 Pfeiffer; Inno ad Apollo, vv. 103-113; Anthologia Palatina XII, 43
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T 3 La dedica del libellus Il Liber di Catullo si apre con una dedica all’amico e conterraneo Cornelio Nepote, lo storico, al quale tributa inoltre un altissimo elogio (vv. 5-7). Il poeta indica la raccolta delle sue liriche con il diminutivo libellus: si ritiene improbabile che il termine possa riferirsi all’intero Liber quale noi lo conosciamo (circa 2300 versi). È verosimile invece che qui Catullo dedichi a Cornelio un numero ben più ristretto di componimenti, forse proprio le cosiddette nugae (v. 4), cioè i carmi polimetri (nella numerazione attuale i carmi 1-60). Nel carme proemiale si riconosce l’influsso della tradizione ellenistica, inaugurata da Callimaco con il prologo degli Aitia [ Il prologo degli Aitia di Callimaco, T2 ONLINE]: si tratta infatti di una dichiarazione di poetica, formulata tuttavia in modo insolito, da decifrare allusivamente attraverso la descrizione del libro-oggetto, del rotolo di papiro nuovo ed elegante. Il tono dominante è scherzoso e colloquiale; nondimeno l’esordio lascia trasparire il dotto richiamo a un modello letterario greco tra i prediletti da Catullo, Meleagro di Gadara [ Dialogo con i modelli, p. 287].
carme 1
PERCORSO ANTOLOGICO
LATINO
Nota metrica: endecasillabi faleci.
Cui dono lepidum novum libellum arida modo pumice expolitum? Corneli, tibi: namque tu solebas
1-7 A chi dono questo grazioso libretto nuovo, or ora lisciato con la ruvida pomice? A te, Cornelio: infatti tu solevi pensare che valessero qualcosa que-
LEPOS, LEPIDUS
Nel carme d’esordio del Liber Catullo definisce lepidus il nuovo libellus (v. 1: lepidum novum libellum), ad indicare il lepos, la grazia lieve e raffinata della raccolta, ispirata ai canoni della poetica callimachea. Grazia e finezza L’aggettivo lepidus, a, um deriva dal sostantivo lepos, lepōris, che denota «grazia», «amabilità», «finezza», «piacevolezza», anche «spirito», «arguzia», nelle maniere e nel conversare. Questo è il significato che assume in un celebre passo sallustiano (Bellum Catilinae 25, 5 [ T8, cap. 14]), noto come “ritratto 284
ste mie inezie, già fin da allora, quando unico fra gli Italici osasti svolgere la storia d’ogni tempo in tre libri, dotti, per Giove, e laboriosi.
Cui: dativo singolare del pronome interrogativo quis, introduce un’interrogativa diretta nel modo indicativo (dono), in quanto il poeta «non dubita se donare,
di Sempronia”, a esprimere il fascino che si irradia dall’ambiguo personaggio, così come in un arguto scherzo poetico catulliano (12, 8 [ T12 ONLINE]).
Lucrezio: da dictis, diva, leporem Analogamente, sebbene
Una parola-chiave della nuova poesia Nell’ambito dell’esclusiva
cerchia neoterica, il termine non si riferisce soltanto al comportamento e allo stile di vita dei sodales, ma anche, inscindibilmente, ai codici espressivi della loro produzione letteraria, assumendo il valore di una vera e propria parola-chiave, quasi un termine tecnico, della nuova poesia (e della nuova poetica).
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in accezione e con intenti diversi, nello splendido inno proemiale di Lucrezio [ T1, cap. 11] lepos denota il «fascino», l’irresistibile attrattiva sensuale e voluttuosa di Venere (v. 15), quello stesso potere di seduzione che il poeta chiede alla dea di concedere ai suoi versi (dictis, v. 28), per guidare i suoi lettori sul cammino della verità. Non è un caso che il termine ritorni ancora nella più ampia e impegnativa dichiarazione lucreziana di poetica (obscura de re tam lucida pango/ carmina, musaeo contingens cuncta lepore; I, 933-934 [ T5, cap. 11]).
PERCORSO ANTOLOGICO
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meas esse aliquid putare nugas, iam tum cum ausus es unus Italorum omne aevum tribus explicare chartis, doctis, Iuppiter, et laboriosis.
ma a chi: onde l’indicativo» (Pascoli). Occorre aggiungere tuttavia che anche il “dubbio” si rivela fittizio, formulato in tono giocosamente retorico («A chi...? A te [ovviamente], Cornelio!»). – dono: nel significato di «dedico», ma con una sfumatura affettuosamente informale; la scelta del verbo risponde anche all’intenzione di presentare il liber come oggetto concreto, appunto un vero e proprio regalo, un grazioso «dono» da porgere all’amico. – lepidum: l’aggettivo lepidus, a, um deriva da lepos, lepoˉris, che denota «grazia», «amabilità», «finezza» [ Nomi e parole degli antichi]. – libellum: accusativo singolare di libellus (diminutivo di liber), oggetto di dono, cui si riferiscono i due aggettivi che precedono (lepidum... novum) in asindeto. – arida... expolitum: il libro, scritto su una lunga striscia di fogli di papiro incollati, veniva arrotolato (volumen,
da volvo, ĕre) intorno a un bastoncino di legno o d’avorio (umbilicus); infine si levigavano le due estremità del rotolo (frontes) con la pietra pomice (pumex, solitamente maschile, è qui di genere femminile). Si veda anche [ SCHEDA 3
ONLINE: Libri, lettori e biblioteche nel mondo antico]. – Corneli: vocativo, di norma in
-i nei nomi in -ius della II declinazione. – namque tu... nugas: costruisci namque tu solebas putare meas nugas esse aliquid. – esse aliquid: infinitiva oggettiva, con soggetto meas nugas, in dipendenza da solebas putare; lett. «essere qualcosa», espressione colloquiale usata anche da Cicerone (Tusc. V, 104). – meas... nugas: da rilevare il forte iperbato; collocando meas all’inizio e nugas alla fine del v. 4, il poeta sottolinea, malgrado il sostantivo “minimizzante”, l’orgoglio per la propria creazione poetica (cfr. vv. 10-11) [ Nomi e parole degli antichi]. –
ausus es: Catullo proclama con enfasi la priorità (unus Italorum) e l’audacia dell’amico nell’affrontare l’ardua impresa. – unus Italorum: unus è predicativo del soggetto sottinteso di ausus es (tu); Italorum è genitivo partitivo. – tribus... chartis: charta (dal greco chártes) è il «foglio» di papiro; più chartae incollate insieme formano un volumen o, con termine più generico e meno tecnico, un liber. Qui charta è dunque metonimia per liber: «tre libri». – explicare: «svolgere», che si presta a una duplice interpretazione: se riferito al contenuto dell’opera storica di Cornelio, vale «sviluppare» l’argomento; se al libro-oggetto, allude al gesto di «srotolare» materialmente i volumina, i rotoli di papiro. – Iuppiter: vocativo esclamativo, non esente da una sfumatura di affettuosa ironia.
Nomi e parole degli antichi NUGAE
Il sostantivo femminile plurale nugae, nugarum vale «inezie», «cosucce», anche «sciocchezze», «frottole».
Da nugae derivano numerosi vocaboli Da nugae deriva il
verbo deponente nugor, nugāri («scherzare», «occuparsi di cose leggere»; anche «darla ad intendere»; persino «mentire»), come ad es. in Plauto, Trinummus 900); da questo verbo si forma il sostantivo nugator, ōris («chiacchierone»; «sciocco»; «millantatore»), che genera a sua volta l’aggettivo nugatorius, a, um e l’avverbio nugatorie. Sono attestati
inoltre gli aggettivi nugax, ācis («che fa scherzi»; «poco serio») e nugalis, e («frivolo»; «futile»; «vano»).
L’accezione originaria è negativa Nella sua originaria
accezione negativa si riscontra ad es. in Plauto: nugas agit («perde il suo tempo») e, senza il verbo, nugas! («frottole!»); per traslato, indica una persona frivola, poco seria, una «nullità»: amicos habet meras nugas («ha per amici delle vere nullità»; Cicerone, Ad Attico VI, 3, 5). Nella terminologia letteraria e neoterica In campo letterario
designa i componimenti poetici di breve estensione e di minor impegno rispetto ai generi
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“alti” (l’epica e la tragedia); ma nell’ambito della corrente neoterica, sulle orme di Callimaco e della poetica alessandrina, questo termine assume un significato pienamente positivo, in polemica contrapposizione con la poesia di stampo tradizionale. Nella dedica del Liber Catullo gioca abilmente fra il valore originario («inezie», «cose da nulla») e quello più nuovo e attuale del vocabolo (autentica poesia, nuova e raffinata). Il termine viene impiegato, per consolidata tradizione, ad indicare i 60 carmi polimetri che costituiscono la prima sezione del Liber catulliano. 285
L’ETÀ DELLA TARDA REPUBBLICA
10. La poesia neoterica e Catullo
10
Quare habe tibi quidquid hoc libelli, qualecumque; quod, o patrona virgo, plus uno maneat perenne saeclo.
PERCORSO ANTOLOGICO
8-10 Dunque accetta, per quello che è, questo libretto, qualunque ne sia il valore; e che possa vivere perenne, o vergine patrona, per più di una (sola) generazione. Quare: congiunzione di tono prosastico-colloquiale, che ricorre prevalentemente nella poesia satirica ed epigrammatica, lett. «pertanto», «per questi motivi»; cioè le ragioni che Catullo ha finora addotto per giustificare la dedica a Cornelio (vv. 3-7). – habe tibi: formula giuridica che indica cessione di proprietà, frequente nella lingua parlata («eccoti»,
«tieni»); riprende e ribadisce Corneli, tibi (v. 3). – quidquid... qualecumque = hoc libelli quidquid qualecumque; il genitivo libelli è partitivo e dipende da hoc, pronome dimostrativo neutro (l’espressione hoc libelli vale quindi hunc libellum); i due indefiniti che seguono, di significato assai affine, hanno valore aggettivale predicativo e sembrerebbero riferirsi rispettivamente alla consistenza quantitativa e qualitativa del libellus («per quello che è» e «quale che sia il suo valore»). – quod... saeclo: costruisci quod maneat perenne, o patrona virgo, plus uno saeclo. Il prono-
me relativo neutro quod riprende hoc e introduce una proposizione subordinata con il verbo al congiuntivo ottativo (maneat); perenne (da per + annus, «per [molti] anni») è aggettivo neutro nominativo concordato con quod, in funzione predicativa rispetto a maneat; patrona virgo è la Musa (in senso generico), «patrona», cioè «protettrice» della poesia e dei poeti; saeclo è secondo termine di paragone in ablativo da saeclum, forma sincopata di saeculum, «generazione» (l’espressione plus uno saeclo vale dunque «per molto tempo ancora dopo la mia morte»).
LETTURA e INTERPRETAZIONE Un proemio singolare
Il carme 1 è un proemio davvero singolare: anziché dichiarare, come vorrebbe la consuetudine, l’argomento e le finalità della propria opera, il poeta sembra soffermarsi esclusivamente sull’aspetto esteriore del «libretto», del rotolo di papiro nuovo e ben levigato, inteso come oggetto elegante, piacevole da guardare, da toccare, da rigirare fra le mani.
Libro-oggetto e libro-opera poetica
Ma le tre espressioni del v. 1 possono essere riferite sia al libro-oggetto, uscito di recente (novum), di ridotte dimensioni (libellum è diminutivo di liber), grazioso e attraente (lepidum), sia al libro-opera poetica, cioè all’ideale poetico catulliano, «nuovo» rispetto alla tradizione latina, ispirato al lepos (grazia spiritosa, eleganza, finezza) e alla brevitas. Analogamente expolitum («levigato», «lisciato», v. 2) allude all’accuratissima elaborazione formale dei testi.
Corneli, tibi: il dedicatario
Cornelio Nepote, storico e biografo, originario come Catullo della Gallia Transpadana, è qui ricordato come autore dei Chronica, un compendio di storia universale in tre libri per noi perduto [ cap. 15.2]. È lecito supporre che egli avesse ripetutamente espresso il proprio apprezzamento nei confronti della poe286
sia catulliana; del resto, secondo la testimonianza di Plinio il Giovane (Epistulae V, 3), lo stesso Cornelio era stato autore di carmi erotici alla maniera neoterica.
Brevitas, doctrina e labor
Non meno significativo, inoltre, è il fatto che Catullo, lodando i pregi dell’opera storica di Cornelio (probabilmente con amichevole esagerazione), scelga di evidenziarne principalmente tre caratteristiche: brevitas (tre soli libri per tutta la storia d’ogni tempo, v. 6) doctrina e labor (v. 7), cioè ancora una volta i requisiti fondamentali della poesia neoterica.
Una dichiarazione di poetica
Ci troviamo dunque di fronte a una dichiarazione di poetica in piena regola, per quanto dissimulata sotto le movenze di una spontaneità giocosa, quasi ingenuamente fanciullesca (Cui dono...? Corneli, tibi, vv. 1-3). Da non prendere interamente sul serio anche le professioni di noncurante modestia: certo, Catullo chiama nugae («sciocchezze», «scherzi poetici leggeri») i suoi componimenti, ma si tratta ancora una volta della consapevole adesione a una precisa poetica, quella neoterica della poesia come raffinatissimo lusus. Tanto è vero che nella chiusa il poeta mette da parte il tono leggero e scherzoso e augura solennemente perenne vita alla propria opera, sotto il tradizionale patrocinio della Musa.
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PERCORSO ANTOLOGICO
Analizzare il testo
1. Nei primi due versi compaiono alcuni termini, riferiti al libellus catulliano, che consentono una duplice interpretazione. Analizzali uno per uno spiegandone il significato ai due compresenti livelli di lettura. 2. Rintraccia nel testo e commenta tutti i vocaboli che rappresentano parole-chiave della poetica neoterica. 3. Nel carme proemiale Catullo assume un ostentato atteggiamento di modestia e di noncuranza; d’altra parte non manca di lasciar trapelare chiaramente un’orgogliosa consapevolezza del valore che attribuisce alla propria opera. In quali momenti e mediante quali espressioni, rispettivamente, manifesta tali atteggiamenti, almeno in apparenza discordanti? Si può affermare che in realtà non sono in contrasto fra loro? 4. In questo breve carme il poeta fa ricorso a figure di suono, quali omoteleuto ed allitterazione? In quali luoghi e in vista di quali effetti, nei vari casi? 5. Quali strutture sintattiche mostra di prediligere il poeta?
Interpretare il testo
6. Per quali ragioni Catullo dedica il libellus a Cornelio Nepote? Oltre a quelle esplicitamente dichiarate, ve ne sono altre che vengono addotte mediante la tecnica allusiva? 7. Perché il poeta usa il diminutivo libellus? Spiega i motivi per cui difficilmente il termine può riferirsi al Liber catulliano nella sua interezza.
Affresco raffigurante una donna con tavoletta e stilo, I secolo d.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
Dialogo con i MODELLI Meleagro di Gàdara, proemio della Corona L’interrogativa retorica Cui dono...? (con l’indicativo, perché Catullo sa già a chi donare, senza dubbi né esitazioni) che apre la dedica del Liber, insieme alla risposta del v. 3 (Corneli, tibi) ha la disinvolta naturalezza di un gesto cordialmente informale;
nondimeno, riecheggia un celebre precedente letterario, il proemio della Corona di Meleagro di Gadara, poeta epigrammatico greco vissuto fra il II e il I secolo a.C., che aveva riunito in un’antologia (poi confluita nella Palatina) epigrammi di numerosi
autori. Per conferire unità alla propria raccolta, Meleagro la fece precedere da un’elegia dove, con originale invenzione, a ciascun poeta corrisponde un fiore diverso, assimilando l’antologia stessa a una corona o ghirlanda di fiori.
Musa diletta, per chi questi frutti canori tu rechi? Chi tessé questo serto di poeti? Fu Meleagro: l’autore compose lo splendido omaggio, come ricordo per l’illustre Dìocle. (Antologia Palatina IV, 1, 1-4; trad. di F. M. Pontani)
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L’ETÀ DELLA TARDA REPUBBLICA
10. La poesia neoterica e Catullo
T4
Passer, deliciae meae puellae
carme 2
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T 5 Per la morte del passero carme 3
PERCORSO ANTOLOGICO
LATINO
Nota metrica: endecasillabi faleci.
Nel carme precedente (2 [ T4 ONLINE]) Catullo aveva rappresentato la sua donna intenta a giocare con il suo caro passerotto; ora invita solennemente a piangerne la morte. Il componimento svolge un motivo caro ai poeti ellenistici, l’epicedio o lamento funebre per la morte di un animaletto. I precedenti, ben noti a Catullo, sono numerosi, da Anite di Tegea ad Archia a Meleagro [ DIalogo con i modelli, p. 291]. Un amabile gioco letterario, che rivela la predilezione degli alessandrini per gli accostamenti inusitati fra le forme serie e gravi della tradizione (in questo caso il compianto funebre) e un contenuto “piccolo”, un’occasione minima e quotidiana, almeno apparentemente futile. Ma nello stampo tradizionale Catullo riversa la propria intensa partecipazione affettiva, trasformandolo in qualcosa di nuovo e del tutto personale.
Lugete, o Veneres Cupidinesque, et quantum est hominum venustiorum. Passer mortuus est meae puellae, passer, deliciae meae puellae, 5 quem plus illa oculis suis amabat: nam mellitus erat suamque norat ipsam, tam bene quam puella matrem, nec sese a gremio illius movebat, sed circumsiliens modo huc modo illuc 10 ad solam dominam usque pipiabat.
1-5 Piangete, Veneri e Amori, e quanti sono d’animo gentile. È morto il passero della mia donna, il passero, delizia della mia donna, che essa amava più degli occhi suoi: Veneres: sono due possibili interpretazioni di questo plurale: una filosofico- erudita che si richiama al Simposio platonico (180d), ove si parla dell’esistenza di molteplici dee dell’amore; l’altra stilistico-espressiva, per simmetria con gli altri plurali dei primi due versi. – Cupidines: gli alessandrini Eroti, «amorini» alati che formano il corteggio di Venere nell’iconografia tradizionale; per il nesso Veneres Cupidinesque cfr. anche 13, 12 [ T13 ]. – quantum... venustiorum: costruzione di tipo colloquiale composta da pronome indefinito neutro + genitivo partitivo, frequente in Plauto e particolarmente cara a Catullo (cfr. 5, 13 [ T7] e 31, 14 [ T16]. Si può tradur-
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re anche alla seconda persona: «e tutti voi, quanti siete, che più avete l’animo gentile». Venustiores (comparativo assoluto) sono coloro che rendono omaggio a Venus, dea dell’amore e della bellezza, coltivando un ideale di vita elegante e raffinata. – meae puellae: puella non vuol dire qui «ragazzina», «bimba», come al v. 7; è invece un termine codificato del linguaggio erotico («la mia donna», «la mia amata»). – deliciae: apposizione di passer, è un sostantivo attestato soltanto al plurale della I declinazione (deliciae, deliciarum; nel linguaggio familiare-affettivo e amoroso vale «tesoro», «gioia» e altre espressioni affini). – quem plus... amabat: doppio iperbato (= quem illa amabat plus oculis suis). Espressione di tono proverbiale, caratteristica del linguaggio familiare e affettivo. 6-10 infatti era dolce come il miele e riconosceva la sua padrona, tanto be@ Casa Editrice G.Principato
ne quanto una bimba piccola [riconosce] la madre, né si allontanava dal suo grembo, ma saltellando intorno ora qua ora là, verso lei sola sempre cinguettava. mellitus: aggettivo da mel, mellis («miele»), vezzeggiativo del sermo familiaris. – norat: forma sincopata (= noverat) del piuccheperfetto da novi, novisse, con valore di imperfetto. – ipsam: oggetto di norat, concordato con suam: nel linguaggio familiare ha il significato di «padrona», ampiamente attestato in Plauto e nei comici. – quam: congiunzione che introduce una proposizione comparativa con soggetto puella e predicato sottinteso (novit). – illı̆us: con la seconda i breve per esigenze metriche. – circum siliens: participio presente da circumsilio, circumsilıˉre (circum + salio). – pipiabat: da pipiare, voce onomatopeica; propriamente «pigolare».
PERCORSO ANTOLOGICO
Qui nunc it per iter tenebricosum illuc, unde negant redire quemquam. At vobis male sit, malae tenebrae Orci, quae omnia bella devoratis: 15 tam bellum mihi passerem abstulistis. O factum male! O miselle passer! Tua nunc opera meae puellae flendo turgiduli rubent ocelli.
11-16 Ed ora va per un cammino tenebroso là, donde dicono che nessuno ritorni. E voi siate maledette, malefiche tenebre dell’Orco, che tutte le cose belle divorate: un passero così bello mi avete portato via. O sciagura! O povero passerotto! Qui: pronome relativo (riferito a passer), soggetto di it (da eo, is, ii o ivi, itum, ire). – it per iter: figura etimologica. – tenebricosum: neologismo catulliano. La lunga parola in fine di verso esprime l’angoscia del viaggio senza ritorno ai regni delle tenebre, in contrasto con la vivacità delle parole brevi (mono e bisillabiche) che chiudono il v. 9, evocando mimeticamente il saltellare gioioso del passerotto. – unde: avverbio correlativo («da dove», «donde»), riprende illuc, avverbio di moto a luogo. – quemquam: accusativo di quisquam, pronome indefinito di uso normale nelle frasi negative; è soggetto della proposizione oggettiva con il verbo redire, dipendente da negant. – At: la congiunzione, di norma avversativa, in questo caso ha il valore di una formula di passaggio che introduce l’imprecatio; si traduce dunque con «e...» anziché con «ma». – male... malae: poliptòto. – Orci: genitivo di Orcus, uno dei nomi di Ade-Plutone, dio degli Inferi; per metonimia designa lo stesso mondo infernale, dimora dei morti. – bella: neutro plurale dell’aggettivo bellus, che ritorna, concordato con passerem all’accusativo maschile singolare (bellum) nel v. 15. Bellus, passato poi nelle lingue neolatine attraverso il latino parlato, è termine del sermo familiaris, più intensamente affettivo ed espressivo del colto e letterario pulcher; significa propriamente «grazioso», «gentile». – mihi: dativo etico, che esprime la partecipazione dell’amante alla perdita e al dolore della sua donna. – abstulistis: perfetto indicativo di aufero, auferre (ab + fero); insieme a devoratis,
che parallelamente chiude in posizione enfatica il verso precedente (v. 14), esprime la violenza annientatrice della morte, che all’improvviso «porta via», «strappa», «rapisce» gli esseri amati. – O factum male!: espressione del sermo familiaris; letteralmente «o cosa fatta male», dove factum è participio perfetto neutro sostantivato («che cosa brutta!» «che sventura!»). – miselle: vocativo concordato con passer, diminutivo-vezzeggiativo affettuoso di miser («poverino»). Nella traduzione non si può evitare di “trasferire” il diminutivo dall’aggettivo al sostantivo («passerino», «passerotto»). 17-18 Ed ora per te i cari occhi della mia donna sono rossi e gonfi di pianto. Tua... opera: ablativo di causa («a cau-
sa tua», cioè del passero; o meglio, ovviamente, della sua morte). – flendo: da fleo, fleˉ re, ablativo del gerundio con valore causale, «per il piangere»; dunque «a causa del pianto», «di pianto». Richiama nella chiusa, con un verbo di quasi eguale significato, il solenne Lugete dell’incipit. – turgiduli: diminutivo affettuoso, caratteristicamente catulliano, dell’aggettivo turgidus, «turgido», «gonfio». Non è possibile ricalcare la forma originale nella traduzione (ne verrebbe fuori qualcosa come «gonfietti») senza tradire l’intento del poeta, che è quello di non togliere grazia alla figura della sua donna. Considerazioni analoghe si possono ripetere per ocelli. – rubent: «rosseggiano», da rubeo, ˉe re.
Affresco dalla Casa del Bracciale d’oro a Pompei, I secolo d.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
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L’ETÀ DELLA TARDA REPUBBLICA
10. La poesia neoterica e Catullo
LETTURA e INTERPRETAZIONE Una rielaborazione originale e personalissima
PERCORSO ANTOLOGICO
Catullo rielabora lo spunto offerto dalla tradizione in un piccolo capolavoro di dotta e raffinatissima “arte allusiva”, certo non senza screziature di garbata ironia; nello stesso tempo lo innesta originalmente nel vissuto personale della propria vicenda amorosa e vi infonde una grazia spontanea, un’intensità di sentimento nuova, tutta e soltanto sua, quando ricorda con vividi, delicatissimi tocchi descrittivi il passerotto vivo e saltellante (vv. 6-10) o quando contempla con tenerezza il pianto nei begli occhi della sua donna (vv. 17-18). Il poeta romano tocca di colpo profondità impensabili nei modelli: l’umanizzazione del passerotto prepara l’accostamento della sua vicenda alla sorte umana, all’inesorabile destino di morte che tutti ci attende (vv. 11-15; cfr. 5, 3-5 [ T7]).
Strutture del componimento: il lamento funebre
Il componimento ricalca fedelmente la struttura e gli stilemi rituali del lamento funebre: il solenne invito al pianto corale (vv. 1-2); l’annuncio del ferale evento (v. 3) seguito dal tradizionale elogio del defunto (vv. 4-10) con le iterazioni (anafore ed epifore) dalle do-
lenti cadenze di nenia (Passer... meae puellae, vv. 3-4); il contrasto fra le rievocate immagini di vita e l’ineluttabile esilio nell’oltretomba (vv. 11-12); l’imprecatio contro le tenebre infernali (vv. 13-15); le esclamazioni/ invocazioni intensamente patetiche (v. 16) pronunciate secondo il rito dai dolenti durante il compianto. Nella chiusa (vv. 17-18) il poeta si concentra invece sull’immagine di Lesbia addolorata e piangente.
Esemplare compendio dello stile catulliano
Il carme 3 rappresenta un perfetto esempio, quasi un compendio, dello stile catulliano delle nugae. Accanto alle formule solenni e patetiche del lamento rituale, retoricamente elaborate (vv. 1; 3; 13-14), ecco le movenze vivacemente espressive del linguaggio familiare e colloquiale: diminutivi affettuosi (miselle, v. 16; turgiduli... ocelli, v. 18), vivaci onomatopee (pipiabat, v. 10), forme lessicali (bella e bellum, vv. 14-15) e costrutti sintattici caratteristici del latino parlato. Anche le invocazioni fortemente esclamative (v. 16) e le numerose forme iterative quali anafora ed epifora (Passer... meae puellae, vv. 3-4), paronomasia e allitterazione (male... malae, v. 13) esprimono, con una parvenza di semplicità quasi infantile, un’intensa carica affettiva.
Analizzare il testo
1. Effettua una schedatura del lessico impiegato da Catullo nel carme 3, utilizzando la tabella qui sotto riportata. Suddividi le voci in gruppi omogenei: a) vocaboli del sermo familiaris; b) termini afferenti alla sfera del sacro e del rito; c) termini codificati, per così dire tecnici, del linguaggio neoterico. Sermo familiaris
Sfera del sacro e del rito
2. Ricerca nel testo le figure retoriche, stendendone un elenco il più possibile completo. Considera in particolare le figure di iterazione e le figure di suono, commentandone brevemente la funzione espressiva. 3. Sono presenti nel testo i caratteristici diminutivi catulliani? In vista di quali effetti vengono impiegati?
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Termini del linguaggio neoterico
4. All’inizio e alla fine del carme 3 compaiono verbi che significano «piangere». Analizzali dal punto di vista grammaticale; ricercane il paradigma; infine, mediante un’accurata consultazione del dizionario, rilevane le eventuali diverse sfumature di significato. Vi sono nella lingua latina altri verbi che appartengono al medesimo campo semantico? 5. Perché al v. 12 troviamo quemquam anziché neminem?
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PERCORSO ANTOLOGICO
Dialogo con i MODELLI Epigrammi sepolcrali per un animaletto: Anite, Archia e Meleagro Nell’Antologia Palatina, la monumentale raccolta che conserva la quasi totalità dei testi epigrammatici greci giunti fino a noi, nella sezione degli epigrammi sepolcrali (libro VII) si trovano oltre venti composizioni dedicate alla morte di animali. Iniziatrice riconosciuta della lunga e fortunata tradizione è la poetessa Anite di Tegea (IV-III secolo a.C.), che canta in versi delicati e malinconici il dolore della piccola Miro per la morte di un grillo e di una cicala, suoi compagni di giochi [a]. Sono già presenti qui non pochi motivi che ritroviamo nel carme di Catullo (l’animaletto come caro trastullo, le lacrime, la crudeltà di Ade, la violenza e l’amarezza del distacco), insieme a un’acuta sensibilità che in una certa misura avvicina Anite alla partecipazione emotiva del poeta latino. Numerose e variate le riprese fra III e I secolo a.C.: Simia di Rodi scrive l’epitafio per una pernice, Mnasalca per una locusta, Antipatro di Sidone per una formica, Timne per un cane, Archia di Antiochia per un delfino [b] e per una cicala. Gradatamente il motivo perde di spontaneità, degenerando in maniera, gioco smaliziato, parodia, come è evidente nell’epigramma sepolcrale di Meleagro per un leprotto [c], dove prevale la ricerca di contrasti inattesi e immagini curiose (vv. 5-6). La tradizione, sull’esempio di Catullo, trova illustri continuatori anche in Roma: ricordiamo Ovidio, che negli Amores (II, 6) piange la morte del pappagallo di Corinna, e Stazio (I secolo d.C.), che nell’epicedio di un altro pappagallo dilata e sovraccarica manieristicamente gli spunti offerti dai modelli (Silvae III, 4).
T6
[a]
A un grillo, usignolo dei campi, e a una cicala, ospite delle querce, piangendo molte lacrime infantili, una tomba comune fece Miro. Ade crudele le strappò di colpo i suoi amati trastulli. (Antologia Palatina VII, 190; trad. di S. Quasimodo)
[b] Non
più, delfino, solcando gli abissi risonanti del mare, spaventerai branchi di animali aquatici; né, danzando al suono di un flauto dai molti fori, emergerai con un balzo sul mare presso le carene delle navi; né tra la schiuma, sollevando sul tuo dorso le Nereidi come un tempo, le traghetterai fino alle estremità della terra di Teti. Un’onda infatti, alta come il promontorio di Malea, si sollevò, e ti scaraventò su arenili sabbiosi. (Antologia Palatina VII, 214; trad. di F. Beschi)
[c]
Me, l’orecchiuto leprotto veloce, rapito piccino alle mammelle della madre, Fanio dolce di carni nutriva con tenero affetto nel grembo, di tutti i fiori della primavera. Né nostalgia della madre sentivo. Crepai di vivande senza fine, ingrassandomi di cibo. Lei seppellì la mia spoglia vicino al letto: nei sogni vuole vedersi la mia tomba accanto. (Antologia Palatina VII, 207; trad. di F. M. Pontani)
Il battello avventuroso
carme 4
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L’ETÀ DELLA TARDA REPUBBLICA
10. La poesia neoterica e Catullo
T 7 «Viviamo, mia Lesbia» carme 5 LATINO
Nota metrica: endecasillabi faleci.
Il primo e più celebre carme del cosiddetto “dittico dei baci” (l’altro è il 7 [ T8]) si apre con un’esortazione a vivere e amare, senza curarsi del biasimo dei vecchi moralisti. Nel breve spazio dei versi successivi (vv. 4-6) si concentra una riflessione sulla caducità della vita umana, in contrasto con la ciclica rinascita della natura. Di qui, dal pensiero della morte che inesorabilmente ci attende, risorge l’invito all’amore, con la richiesta di infiniti baci; ma è proprio l’intensità “eccessiva” di quell’ebbrezza d’amore a destare un sussulto di ansia superstiziosa, che si risolve in un inatteso gesto apotropaico.
PERCORSO ANTOLOGICO
5
10
Vivamus, mea Lesbia, atque amemus, rumoresque senum severiorum omnes unius aestimemus assis. Soles occidere et redire possunt; nobis cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua una dormienda. Da mi basia mille, deinde centum, dein mille altera, dein secunda centum, deinde usque altera mille, deinde centum. Dein, cum milia multa fecerimus,
1-3 Viviamo, mia Lesbia, e amiamo, e i borbottii dei vecchi troppo severi tutti [insieme] non stimiamoli un soldo. Vivamus... amemus: congiuntivo presente con valore esortativo, come aestimemus (v. 3). – rumores: termine del sermo familiaris (lett. «mormorii», «brontolii») che Catullo impiega, non senza ironia (sottolineata dai giochi allitteranti in funzione onomatopeica) nel significato di «maldicenze», «chiacchiere», anche «rimproveri»; oggetto di aestimemus. – severiorum: comparativo assoluto dell’aggettivo severus. I senes severiores sono i vecchi, arcigni moralisti. – unı̆us... assis: genitivo di stima; letteralmente «stimiamoli un solo asse». L’asse (as, assis) era una moneta di rame il cui basso valore era divenuto proverbiale. 4-6 Il sole può tramontare e ritornare [a sorgere]: noi, quando una sola volta è tramontata la nostra breve luce, dobbiamo dormire un’unica, perpetua notte. Soles: soggetto di possunt, al plurale in quanto metonimia per «giorni»; ma i due verbi (occidere et redire) permettono di intendere sol anche nel significato proprio, esattamente come accade nel carme 8 (v. 3 e v. 8), aprendo su una prima im-
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magine di luce sfolgorante; inoltre soles al plurale accentua la contrapposizione con brevis lux. – cum semel: introduce una subordinata temporale nel modo indicativo («non appena», «una volta che»). – occidit: può essere sia presente che perfetto. La ripetizione del medesimo verbo (occidere; occidit) in poliptoto dà particolare risalto alla contrapposizione fra la perenne, ciclica vicenda della natura e il percorso lineare e irreversibile della vita umana. – lux, nox: anche lux è metonimia per «giorno», «giornata», a sua volta metafora di uso comune per «vita» (l’espressione brevis lux vale «la nostra breve giornata»), così come «notte» (nox) per «morte». – perpetua... dormienda: costruzione perifrastica passiva con il gerundivo del verbo dormire, in latino anche transitivo: il soggetto è nox, mentre nobis è dativo d’agente. 7-9 Dammi mille baci, poi cento, poi altri mille, poi altri cento, poi senza sosta altri mille, poi [ancora] cento. mi: forma arcaica contratta del dativo mihi. – basia: plurale di basium, vocabolo del sermo familiaris di probabile origine celtica, introdotto da Catullo per quanto si sa, nella lingua letteraria. Passerà poi nelle lingue romanze, men@ Casa Editrice G.Principato
tre osculum e i suoi derivati si perderanno completamente. – dein: apocope di deinde, come al v. 10. La serie incalzante dei numerali, retta dall’imperativo iniziale Da, rivela una calcolata struttura simmetrica fondata sull’iterazione: dein e deinde in anafora, mille nella parte iniziale e centrale dei versi, tutti e tre conclusi da centum in epifora. 10-13 Poi, quando ne avremo fatte [= sommate, totalizzate] molte migliaia, li scompiglieremo [= confonderemo le somme], per non sapere [quanti sono], e perché nessun malvagio possa invidiarci [= gettarci il malocchio], sapendo che c’è una tale quantità di baci. fecerıˉmus: futuro anteriore, con la i lunga, che nel latino arcaico lo distingueva da fecerı̆mus, congiuntivo perfetto. – milia multa: sottintende basiorum, genitivo partitivo come al v. 13. – ne sciamus: proposizione finale negativa, coordinata alla successiva ne... possit invidere. Nei vv. 10-11 compaiono due termini (fecerimus; conturbabimus) che in un significato più specifico rinviano al linguaggio della contabilità: così il generico facere vale «sommare», «totalizzare», mentre conturbare (rationes) significa «confondere le somme», «alterare i conti».
PERCORSO ANTOLOGICO
conturbabimus illa, ne sciamus, aut ne quis malus invidere possit, cum tantum sciat esse basiorum.
LETTURA e INTERPRETAZIONE Vivere è amare: rifiuto dei valori tradizionali
Il carme si apre di slancio, con un’esortazione appassionata a vivere e ad amare; o meglio, a vivere veramente e pienamente, cioè ad amare. Questa identificazione totale (vivere = amare) capovolge la tradizionale scala dei valori e comporta lo spregiudicato rifiuto del mos maiorum, incarnato dai senes severiores (vv. 1-3).
Violenti contrasti: dall’invito gioioso alla pensosità tragica
Senza transizione di sorta subentra (vv. 4-6) una meditazione di vertiginosa profondità: attraverso un fulmineo contrasto di immagini di luce fulgidissima e di cupa tenebra, Catullo ricorda la caducità della vita umana, l’interminabile sonno senza risveglio che ci attende dopo un’unica, breve giornata. È la pensosità tragica di questi versi a conferire una profonda serietà all’invito iniziale, apparentemente così disinvolto e spensierato, e a tutto il componimento, unitario e compatto pur nella grande varietà dei toni.
Un nuovo, improvviso scarto di tono: «Dammi mille baci...»
Proprio dalla desolata constatazione di un imminente destino di morte, attraverso un nuovo, improvviso scatto di straordinaria energia (Da mi basia mille..., v. 7) risorge ancora più intenso l’invito all’amore con la smaniosa richiesta di un infinito numero di baci, resa incalzante e quasi frenetica dall’iterazione delle stesse formule (dein... deinde) e delle stesse cifre iperboliche (mille... centum).
Struttura circolare del componimento
Di fronte a tanta smisurata ebbrezza d’amore, un brivido di paura, di ansia superstiziosa, afferra Catullo: meglio non sapere (ne sciamus, v. 11) quanti siano veramente questi baci, per non vedere i confini della
propria gioia, per illudersi che sia davvero infinita; ma neanche gli altri devono saperlo, perché l’eccesso di felicità attira l’invidia dei malevoli, che potrebbero gettare il malocchio (questo il significato originario di invidere) sul loro amore: ecco dunque il carme chiudersi su un gesto bizzarro e fanciullesco (conturbabimus illa, v. 11) che ripropone il tono vivacemente giocoso dell’esordio (vv. 2-3).
Il motivo superstizioso del malocchio
Si è detto che invidēre (v. 12) va riportato all’accezione originaria di «gettare il malocchio» (fascinare in 7, 12 [ T8]) secondo l’etimologia del verbo («guardar male»); di qui le alternative proposte nella traduzione, che non si escludono affatto a vicenda, ma piuttosto mettono in luce ulteriori e compresenti livelli di significato. Il motivo dell’invidia e del malocchio cui temono di essere esposti gli innamorati troppo felici richiama quello, profondamente radicato nella cultura greco-latina, dell’invidia degli dèi nei confronti dei mortali, i quali si preoccupano di stornarla cercando in particolare di negare e/o nascondere la loro “eccessiva” buona fortuna e prosperità con accorgimenti e formule di carattere apotropaico (come accade nei carmina triumphalia [ cap. 1.6]).
Lo stile: effetti di eccezionale intensità evocativa
Osserviamo i versi centrali (vv. 4-6) del carme: la violenta antitesi luce/tenebra prende risalto dalla collocazione delle due aspre parole monosillabiche (lux / nox) in fine e in principio di verso, così come dalla disposizione a chiasmo (brevis lux / nox perpetua) delle coppie aggettivo/sostantivo di significato opposto. Per contro, la lunghezza delle due parole che si susseguono nel v. 6 (perpetua; dormienda) e l’insistenza sul suono cupo della u, accentuato nella lettura metrica dalla sinalefe tra perpetu(a) e una, sembrano evocare la durata interminabile di quel sonno senza risveglio.
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L’ETÀ DELLA TARDA REPUBBLICA
10. La poesia neoterica e Catullo
Analizzare il testo
1. Suddividi il carme 5 in sezioni omogenee dal punto di vista tematico e strutturale, assegnando a ciascuna di esse un titolo o una breve didascalia esplicativa. Appaiono tutte collegate fra loro da nessi evidenti, espliciti? Di quale tipo (logico, analogico, altro)? 2. Nel testo, in particolare nei vv. 1-6, si riscontra un fitto e ricercato gioco di antitesi. Rintracciale e spiegane puntualmente il significato. 3. Analizza i vv. 10-13 (e ultimi) del carme dal punto di vista sintattico. La costruzione del periodo
appare piana, lineare, oppure complessa e persino intricata?
Confrontare i testi
4. Sviluppa un confronto fra il carme 5 e il carme 7 [ T8], evidenziando analogie e differenze a livello tematico e stilistico. Prevalgono le riprese o le variazioni? Quale caratteristico procedimento della poesia ellenistica mette in atto Catullo nei due componimenti?
T 8 Infinità di baci carme 7 LATINO
PERCORSO ANTOLOGICO
ITALIANO
Nota metrica: endecasillabi faleci.
Assistiamo qui a un raffinatissimo procedimento ellenistico: la gara del poeta con se stesso nel riprendere, variandolo, lo stesso tema. Nessuna sensazione di sforzo o di artificio in Catullo, che riesce felicemente in questo esperimento come nessun altro mai, in una perfetta coesistenza di ars e di spontaneità, di lusus e di serietà profonda, che è il segreto della sua inimitabile poesia. In questa seconda lirica sul motivo dei baci, Catullo non dà spazio a esortazioni o approfondimenti meditativi; la ricerca espressiva è tutta tesa a far sprigionare da un breve giro di versi grandiose visioni di spazi lontani, immensi e indeterminati (l’infuocata distesa del deserto libico, la silenziosa volta notturna accesa d’innumerevoli stelle), che traducano sul piano delle immagini l’infinità del suo insaziabile desiderio di baci. Qui il poeta, a differenza che nel carme 5 [ T7], inserisce preziosi intarsi esotici e geograficoeruditi di marca ellenistica e neoterica (vv. 2-5), con un duplice omaggio allusivo a Callimaco (vv. 4 e 6). Unico tocco, leggerissimo, di sgomento e forse di malinconia è vesano (v. 10): con un trasalimento improvviso Catullo avverte di essere trascinato da un amore d’intensità quasi folle. Ritorna nella chiusa, a legare magistralmente i due carmi del dittico con ripresa e variazione, il motivo, attinto al folclore popolare, del malocchio (fascinum), che potrebbe trovare appiglio nell’esatta determinazione (pernumerare, v. 11) del numero dei baci.
Quaeris quot mihi basiationes tuae, Lesbia, sint satis superque. Quam magnus numerus Libyssae harenae lasarpiciferis iacet Cyrenis,
1. basiationes: da basium (cfr. 5, nota al v. 7 [ T7]); ma qui la lunghezza indugiante della parola vuole suggerire un prolungato abbandono alla dolcezza del bacio. In funzione analogamente intensivo-emotiva (non di mero artificio retorico) anche la paronomasia e
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figura etimologica basia ... basiare del v. 9. 3. Libyssae: variante rara ed erudita di Libycae. 4. lasarpiciferis: parola ricercata e sonante, coniata da Catullo sul tipo dei composti epici enniani; al tempo stesso
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un calco erudito dal greco silphiophóros. Il laserpizio (lasarpicium), detto anche silfio, è una pianta medicinale pregiata. – Cyrenis: centro principale della Libia e città natale di Callimaco; con questo riferimento indiretto (e si veda anche il v. 6) Catullo rende omaggio al maestro.
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oraclum Iovis inter aestuosi et Batti veteris sacrum sepulcrum, aut quam sidera multa, cum tacet nox, furtivos hominum vident amores, tam te basia multa basiare vesano satis et super Catullo est, quae nec pernumerare curiosi possint nec mala fascinare lingua. Mi chiedi quanti tuoi baci o Lesbia mi bastino e avanzino. Quanti sono i granelli di sabbia nel deserto di Libia disteso intorno a Cirene che nutre aroma di silfio fra il tempio di Giove infocato e l’antico sepolcro di Batto, o quante le stelle che spiano nel silenzio notturno i furtivi amori degli uomini, tanti baci baciare è abbastanza a Catullo impazzito d’amore, tanti che i curiosi non possano contarli né fare incantesimi con parole d’invidia. (trad. di L. Canali)
5. Iovis: si tratta dell’oracolo di Zeus-Ammone, venerato nell’oasi di Siwah. Antichissima divinità egizia, Ammon fu identificato con Zeus dai Greci in età ellenistica. 6. Batti: Batto era il leggendario fondatore di Cirene, progenitore della famiglia dei Battìadi, cui apparteneva Callimaco. 7. quam... multa: i paragoni della sabbia e delle stelle per indicare una quantità innumerabile si ritrovano in Omero (Iliade IX, 385) e in due frammenti di Callimaco; tutti e due insieme in Platone (Eutidemo 294b).
Affresco pompeiano raffigurante Amore e Psiche, I secolo d.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
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L’ETÀ DELLA TARDA REPUBBLICA
10. La poesia neoterica e Catullo
T 9 L’amore-tormento carme 8
PERCORSO ANTOLOGICO
LATINO
Nota metrica: trimetri giambici scazonti o coliambi.
In un drammatico monologo interiore Catullo esorta se stesso a prendere atto con fermezza e rassegnazione dell’abbandono di Lesbia (iam illa non volt, v. 9). Il carme presenta una struttura bipartita: la prima sezione (vv. 1-11) assume la forma di un tormentoso e contraddittorio monologo interiore, nel quale il poeta si rivolge a se stesso esortandosi alla fermezza e nondimeno rievocando con struggente rimpianto i giorni felici; nella seconda (vv. 12-18) il discorso poetico si converte improvvisamente in un’apostrofe alla puella, che ha inizio con un secco Vale, almeno in apparenza un addio definitivo, per continuare con una serie di ambigue interrogative attraversate da un’inquietudine angosciosa. Nell’ultimo verso il poeta ritorna circolarmente alla modalità del colloquio con se stesso, incitandosi nuovamente a persistere nel proposito iniziale (At tu, Catulle, destinatus obdura). L’apparenza di spontaneità e immediatezza quasi miracolosa del carme non deve far dimenticare i precedenti letterari su cui Catullo modella l’espressione del suo dissidio interiore, in particolare i grandi monologhi tragici (celeberrimi quelli della protagonista nella Medea di Euripide) in cui il personaggio esorta se stesso con argomentazioni razionali a dominare dentro di sé le forze sconvolgenti della passione.
Miser Catulle, desinas ineptire, et quod vides perisse perditum ducas. Fulsere quondam candidi tibi soles, cum ventitabas quo puella ducebat
1-2 Infelice Catullo, smetti di vaneggiare, e quel che vedi perduto, stimalo [veramente] perduto. Miser: attributo del vocativo Catulle, è un aggettivo che ricorre con notevole frequenza nel Liber catulliano [ Nomi e parole degli antichi]. – desinas: congiuntivo esortativo, come ducas (v. 2); regge l’infinito ineptire, dall’aggettivo ineptus (in + aptus), che indica, secondo la definizione data da Cicerone nel De
oratore, il comportamento sconveniente e inopportuno di «colui che non capisce ciò che le circostanze richiedono» (qui... tempus quid postulet non videt; II, 17). – quod... perisse: relativa prolettica rispetto alla reggente perditum ducas; quod è pronome relativo neutro, oggetto di vides, che regge l’infinito perfetto perisse, da pereo. – perditum: participio perfetto da perdo, dipende da ducas ed ha valore predicativo rispetto a quod. Il
verso, con l’accostamento allitterante in funzione rafforzativa (perisse perditum) dei due verbi di significato affine, riprende quasi alla lettera un’espressione colloquiale e proverbiale, attestata in Plauto, Trinummus 1026: quin tu quod periit perisse ducis? («perché tu quel che è perduto non lo consideri perduto?»), dove duco è impiegato quale verbo estimativo.
Nomi e parole degli antichi MISER
Tra le numerose sfumature di significato che l’aggettivo miser, a, um può assumere nella lingua latina, predominano quelle di «infelice», «sofferente», «sventurato». Ricorre diffusamente nella poesia di Catullo (qui, nel carme 8, ben due volte; in 51, 5 [ T19]; in 76, 12 [ T24]), anche nella forma del 296
diminutivo misellus (3, 16 [ T5]). Nell’ambito delle relazioni amorose, il vocabolo esprime non soltanto il tormento dell’amante tradito e/o non corrisposto, ma anche, più in generale, la condizione di chi è travagliato dalla passione d’amore, in cui sempre si mescolano gioia e sofferenza, e che non di rado viene assimilata a un morbus (una
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«malattia»: così ancora in Catullo, 76, 25 [ T24]). Termine specifico, per così dire tecnico, della poesia erotica neoterica e poi dell’elegia, include anche una più o meno accentuata componente di insania («follia»); in questa accezione lo si trova già in Terenzio (Eunuchus, 71) e in Lucrezio (De rerum natura IV, 1068).
PERCORSO ANTOLOGICO
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amata nobis quantum amabitur nulla. Ibi illa multa tum iocosa fiebant, quae tu volebas nec puella nolebat. Fulsere vere candidi tibi soles. Nunc iam illa non volt: tu quoque, inpotens, noli, nec quae fugit sectare, nec miser vive, sed obstinata mente perfer, obdura. Vale, puella. Iam Catullus obdurat, nec te requiret nec rogabit invitam. At tu dolebis, cum rogaberis nulla. Scelesta, vae te! Quae tibi manet vita?
3-5 Splendettero un tempo per te radiosi giorni, quando accorrevi [sempre] là dove la tua donna ti conduceva, amata da me quanto nessun’altra mai sarà amata. Fulsere: perfetto contratto da fulgeo, ˉere (= fulserunt). – quondam: avverbio di tempo, in forte contrapposizione con nunc (v. 9, ripetuto ai vv. 16-17, in relazione all’immediato futuro); rispetto al sinonimo olim, di valore puramente temporale, include l’idea di una lontananza remota, di un passato perduto e irrevocabile. – candidi: da candeo, eˉre, che indica lo splendore di un bianco abbagliante prodotto dalla materia incandescente, vale «luminosissimi», e quindi «felici». – soles: cfr. il carme 5 [ T7], nota al v. 4. – cum: introduce una subordinata temporale nel modo indicativo. – ventitabas: imperfetto da ventitare, frequentativo di venire, indica azione reiterata; nel contesto, la consuetudine dei frequenti convegni amorosi. – quo: avverbio di moto a luogo; il soggetto della subordinata relativa è puella. – amata... nulla: le espressioni del v. 5, che ricorrono, con alcune variazioni, in altri carmi del liber (37, 12; 58, 2-3 [ T21]; 87, 1-2 [ T26 ONLINE]), sottolineano l’eccezionalità della passione per Lesbia; l’enfasi è rafforzata dal poliptoto amata/ amabitur. – nobis: dativo d’agente (lett. «da noi», dove nos vale ovviamente ego). Si osservino le oscillazioni nell’uso dei pronomi di prima e seconda persona. 6-8 Là, allora, avvenivano quei tanti [nostri] giochi amorosi, che tu volevi e che la tua donna non rifiutava. Davvero splendettero un tempo per te radiosi giorni. Ibi... tum: i due avverbi possono avere, in unione fra loro, valore temporale
(«Allora»); si può altrettanto bene intendere il primo, in relazione con il precedente quo (v. 4), nel significato proprio di indicazione di luogo («Là», dove si incontravano gli amanti). In ogni caso tum riprende quondam (v. 3), insistendo sul dolente motivo del passato irrevocabile. – illa: «quelli», riferito a iocosa (neutro plurale, soggetto di fiebant) nel senso di «ben noti», sempre vivamente presenti alla sua memoria. – quae: pronome relativo accusativo neutro plurale, oggetto di entrambi i verbi all’imperfetto indicativo (volebas; nec... nolebat, v. 7). – tu volebas nec puella nolebat: il parallelismo dei verbi (e dei soggetti), sia qui sia al v. 4 (ventitabas/ ducebat) denota la corrispondenza amorosa del tempo felice; nec... nolebat è litote («non è che non volesse»). – Fulsere... soles: la ripresa integrale del v. 3, con la sola variante dell’avverbio (vere al posto di quondam: «davvero», una sorta di conferma, dopo aver riassaporato nel ricordo la dolcezza di quei giorni), chiude circolarmente la rievocazione del passato. 9-11 Ora lei non vuole più: anche tu, [per quanto] incapace di dominarti, cessa di volere, e non inseguire [lei] che fugge, e non essere infelice, ma con animo irremovibile sopporta, resisti. volt: arcaico per vult. – inpotens: equivale a sui non potens («incapace di dominarsi»), qui con una ben avvertibile sfumatura concessiva. – nec... sectare, nec... vive: imperativi negativi costruiti con nec + imperativo presente (in luogo del congiuntivo perfetto), una forma del sermo familiaris; sectare da sector, frequentativo di sequor, vale «seguire con caparbia ostinazione»; vive, nel linguaggio parlato familiare vale sis. – quae fugit: sottintende eam, oggetto di nec... sectare. – miser:
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predicativo di vive. – obstinata mente: ablativo di modo (lett. «con mente ostinata»); da nessi come questo (aggettivo + mente), sono derivate nelle lingue romanze diffusissime forme avverbiali. 12-14 Addio, mia cara. Ormai Catullo è deciso, e non tornerà a cercarti né ti chiederà amore, se tu non vuoi. Ma tu soffrirai, quando non sarai più desiderata. Vale: imperativo di valeˉre («star bene»), usuale formula di commiato. – Iam: «ormai», ma qui anche «finalmente», «una buona volta». – obdurat: ribadisce il suo proposito di «tener duro» mediante la ripetizione ravvicinata del verbo in poliptoto (obdura/obdurat) e nella medesima posizione, in chiusura di verso (vv. 1112). – nec rogabit: rogare, che ritorna in poliptoto nel verso seguente, ancora una volta nella stessa posizione (rogaberis, indicativo futuro passivo) è termine tecnico nel linguaggio della poesia erotica neoterica ed elegiaca («richiedere d’amore», «desiderare», «corteggiare»), come al v. 6 iocosa (da iocus, «gioco d’amore»). – invitam: predicativo di te, oggetto dei due futuri requiret e rogabit. – cum rogaberis nulla = cum non rogaberis. L’uso di nullus al posto di non è forma del sermo familiaris e dà maggiore intensità alla negazione. 15-19 Scellerata, guai a te! Che vita ti resta? Chi ora verrà da te? A chi sembrerai bella? Chi amerai tu ora? Di chi si dirà che tu sei? Chi bacerai? A chi morderai le labbra? Ma tu, Catullo, ostinato, resisti. Vae te: l’interiezione vae («guai!», «ahi!») si costruisce di norma col dativo; l’accusativo è forma del sermo familiaris, e lo si riscontra infatti solo in Plauto (Asinaria, 75) e in Seneca (Apokolokyntosis 4, 3). – Quae... vita: quae concorda con vita (quae vita manet tibi?); maneˉre
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L’ETÀ DELLA TARDA REPUBBLICA
10. La poesia neoterica e Catullo
Quis nunc te adibit? Cui videberis bella? Quem nunc amabis? Cuius esse diceris? Quem basiabis? Cui labella mordebis? At tu, Catulle, destinatus obdura. si costruisce di norma con l’accusativo: il dativo è verosimilmente enfatico. – bella: ancora un termine del sermo familiaris (cfr. nota a 3, 14-15 [ T5]). – basiabis: da basium (cfr. nota a 5, 7
[ T7 ]). – labella: accusativo neutro plurale, oggetto di mordebis, è diminutivo-vezzeggiativo di labia, «labbra». – At tu, Catulle... obdura: ritorna circolarmente a rivolgersi a se stesso, come al
v. 1, riaffermando l’esortazione con lo stesso verbo (obdura, imperativo) dei vv. 11-12, e con l’aggettivo destinatus, dallo stesso significato di obstinata (mente), sempre al v. 11.
LETTURA e INTERPRETAZIONE
PERCORSO ANTOLOGICO
Il colloquio con se stesso
È una modalità particolare della diffusa tendenza “dialogica” caratteristica della poesia catulliana, che si sviluppa quasi sempre attraverso movenze allocutive: il monologo interiore assume la forma di un dialogo mosso e drammatico, mediante l’apostrofe a se stesso con il proprio nome declinato al vocativo (Catulle, v. 1 e v. 19) e l’impiego della seconda persona. Il movimento del discorso poetico, tormentoso e contraddittorio, rivela il persistere di una profonda lacerazione interiore. La persona del poeta si sdoppia: un «io» razionale e amaramente consapevole tenta di convincere un altro «io», ancora follemente innamorato, a smettere finalmente di soffrire.
L’apostrofe alla puella: un’ambigua “nemesi d’amore”
Al v. 12 il poeta si rivolge improvvisamente a Lesbia, con una concisa e definitiva formula d’addio (Vale, puella). Egli è irrevocabilmente deciso a resistere, a non richiedere più il suo amore (vv. 12-13), e le prospetta un futuro di abbandono e di dolore (v. 14). Ma i versi che seguono (vv. 15-18) trascolorano dall’aggressivo scatto dell’esclamazione iniziale (Scelesta, vae te!) all’inquietudine angosciata del rimpianto e della gelosia, attraverso le sette interrogative dirette, introdotte da aggettivi e pronomi che si richiamano mediante anafore e poliptoti (Quae... Quis... Cui... Quem... Cuius... Quem... Cui). La serie delle domande dovrebbe configurare la situazione di solitudine e di privazione dei godimenti amorosi in cui verserà (secondo la fantasticheria vendicativa di Catullo) Le298
sbia abbandonata; di fatto le immagini, sempre più insistite e sensuali nei particolari (v. 18), evocano dolorosamente le gioie perdute mentre rivelano, al tempo stesso, il timore di sapere ben presto accanto a lei rivali più fortunati. Si tratta di un’originale, ambigua variazione sul tópos della “nemesi d’amore”, l’annuncio profetico della punizione che colpirà l’amata fedifraga [ Leggere un testo critico, p. 299].
Trapassi temporali
L’inquieta variazione degli stati d’animo tende a coincidere con ripetuti trapassi temporali, evidenziati dalle forme verbali e dagli avverbi di tempo (Quondam/ Nunc). Il presente è il tempo della dolorosa consapevolezza e dell’esortazione a dominarsi (che apre e chiude circolarmente il carme), a far prevalere cioè la razionalità sulla passione; esortazione dapprima affidata ai più pacati congiuntivi esortativi (vv. 1-2), poi scandita dagli incalzanti imperativi (vv. 9-11 e 19). Il passato è il tempo di un’esaltata felicità amorosa, associata a visioni di luce abbagliante; il ricordo insorge improvviso e Catullo vi si abbandona con tanta nostalgica emozione da non lasciare dubbi sull’immutata intensità della sua passione (vv. 3-8). Il futuro è immaginato come il tempo del distacco, ma anche della tormentosa gelosia. Come si è visto, il poeta si rivolge infatti alla puella (v. 12) per darle in tono reciso un addio, ma subito prende l’avvio un’ambigua fantasticheria vendicativa (vv. 13-18), che tradisce l’angosciosa apprensione di Catullo stesso: sarà lui, naturalmente, e non Lesbia, a restare solo e disperato.
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PERCORSO ANTOLOGICO
Analizzare il testo
verbali: a quali stati d’animo sono associate le diverse dimensioni temporali? 4. Individua nel testo le anafore e i poliptòti, commentando la frequenza delle figure di iterazione in genere. 5. A livello lessicale il carme 8 presenta una particolare ricchezza e varietà, oppure si mostra volutamente spoglio e ripetitivo? Motiva la tua risposta con precisi riferimenti testuali.
1. A chi si rivolge in successione il poeta? Individua le sequenze in cui si suddivide il testo sotto questo aspetto, indicando cioè in quali versi Catullo ricorre alle forme, rispettivamente, del monologo e dell’apostrofe. 2. Si può parlare per questo carme di struttura circolare o Ringkomposition (in tedesco, «composizione ad anello»)? 3. Effettua una completa schedatura dei tempi
Leggere un TESTO CRITICO La nemesi d’amore latini. Franco Caviglia individua qui con precisione le variazioni apportate da Catullo allo schema tradizionale.
Il carme 8 presenta un’originale rielaborazione del motivo topico della “nemesi d’amore”, caro alla poesia erotica ellenistica e ripreso in età augustea dagli elegiaci
Le due sezioni del carme, quella del «monologo» e quella dell’apostrofe, compongono una trama unica, svolta sul motivo della «nemesi d’amore»: Lesbia, che oggi rifiuta, sarà lei rifiutata, in primo luogo da Catullo stesso. La nemesi, peraltro, non agirà – come topicamente avviene nella tradizione ellenistica – in seguito all’invecchiamento della donna, al venir meno della sua bellezza; Lesbia sarà punita subito (cfr. nunc, v. 16) in quanto scelesta (v. 15), contaminata – cioè – dal peccato contro la fides d’amore, cui Catullo è invece ancora – e per sempre – legato: amata nobis quantum amabitur nulla (v. 5). Un’altra complicazione arricchisce il motivo topico: l’intervento della nemesi non è proclamato coi toni della certezza, del compiacimento per l’ottenuta rivalsa; esso si articola invece su di una fitta serie di domande, sempre meno «retoriche» (vv. 15-19), il cui tono trascolora dall’iniziale aggressività Quae tibi manet vita? (v. 15) all’angoscia di chi avverte il profilarsi di una realtà nel momento stesso in cui insiste nel dichiararla impossibile – e questa realtà sono gli amori di Lesbia, già attuali o comunque imminenti: Quem basiabis? Cui labella mordebis? (v. 18). (F. Caviglia, Catullo, in Dizionario degli scrittori greci e latini, I, Marzorati, Milano 1987, pp. 420-421)
T 10
Per il ritorno di Veranio
carme 9
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L’ETÀ DELLA TARDA REPUBBLICA
10. La poesia neoterica e Catullo
T 11 Messaggio a Lesbia infedele carme 11 LATINO ITALIANO
Nota metrica: sistema saffico minore, composto di tre endecasillabi saffici e un adonio.
Il carme, che contiene un definitivo messaggio d’addio alla puella, è composto in strofe saffiche e si chiude con una preziosa reminiscenza allusiva a una lirica di Saffo [ Dialogo con i modelli, p. 303]. È assai probabile che il poeta voglia così richiamare alla memoria del lettore il carme 51 [ T19], l’unico altro carme del Liber composto nel medesimo metro (in cui secondo l’interpretazione tradizionale Catullo aveva cantato l’inizio della sua passione per Lesbia), segnando per così dire la chiusura di un cerchio. Il componimento presenta vistosi scarti di tono e di linguaggio: dallo stile alto ed epicheggiante della prima parte (vv. 1-14), alle espressioni del linguaggio quotidiano, spesso violente e triviali (vv. 15-20) ai toni più intimi e malinconici della chiusa (vv. 21-24).
Furi et Aureli, comites Catulli, sive in extremos penetrabit Indos, litus ut longe resonante Eoa tunditur unda, sive in Hyrcanos Arabasve molles, seu Sagas sagittiferosve Parthos, sive quae septemgeminus colorat aequora Nilus,
PERCORSO ANTOLOGICO
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sive trans altas gradietur Alpes, Caesaris visens monimenta magni, Gallicum Rhenum, horribilesque ulti mosque Britannos,
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omnia haec, quaecumque feret voluntas caelitum, temptare simul parati, 15 pauca nuntiate meae puellae non bona dicta:
cum suis vivat valeatque moechis, quos simul complexa tenet trecentos, nullum amans vere, sed identidem omnium 20 ilia rumpens; nec meum respectet, ut ante, amorem, qui illius culpa cecidit velut prati ultimi flos, praetereunte postquam tactus aratro est. 1. Furi et Aureli: non è possibile identificare con sicurezza i due personaggi. Il poeta li nomina in diversi altri luoghi (insieme in 16, 2; Furio in 23, 1, 24 e 26,
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1; Aurelio in 15, 2 e 21, 1), scagliando contro di loro accuse infamanti e feroci sarcasmi, che alcuni tuttavia interpretano in chiave giocosa, secondo la conven-
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zione letteraria dello scambio di insulti scherzosi fra amici. Difficile pertanto decidere se qui Catullo si rivolga a loro come a veri, intimi amici, ovvero apo-
PERCORSO ANTOLOGICO
Furio ed Aurelio, fedeli compagni di viaggio di Catullo, se penetri un giorno nell’India remota, dove il lido è percosso dall’onda dell’est che risuona di un’eco lontana, 5 oppure fra le genti d’Ircania o fra i popoli molli d’Arabia, o fra i Sagi o fra i Parti che recano frecce, oppure nelle acque che il delta del Nilo colora con le sette sue foci,
o valichi le alte montagne delle Alpi, seguendo le memori tracce del grande Cesare, e il Reno di Gallia, e al limite estremo del mondo i feroci Britanni, 10
voi che siete disposti a provare con me tutto questo, ed ogni altra ventura ci imponga la volontà dei Celesti, 15 alla donna che amo riferite per me queste poche ed amare parole:
Viva pure felice e si goda i trecento suoi amanti che insieme è capace di stringere a sé tra le braccia senza amarne nessuno davvero, e a vicenda fiaccando 20 le reni di tutti;
né si curi, come un tempo faceva, di questo mio amore, che è caduto per colpa di lei come un fiore sul ciglio d’un prato non appena il suo stelo è reciso dall’aratro che passa. (trad. di L. Canali)
strofi ironicamente due ex-amici, forse due rivali. 3. litus ut = ut litus (anastrofe), dove ut = ubi. – Eoa: dell’Aurora, Eos in greco, cioè «orientale». 4. tunditur unda: con ricercato effetto onomatopeico, il verso riproduce il tonfo cupo dell’onda che senza posa si infrange contro le rive. 5. Hyrcanos: gli Ircani abitavano la costa sud-orientale del mar Caspio. – Arabasve molles: gli Arabi (con la desinenza greca -as) sono detti «molli», cioè effeminati, amanti del lusso e delle raffinatezze.
6. Sagas: popolazione nomade ai confini settentrionali dell’impero persiano, per lo più identificata con gli Sciti. – sagittiferosve Parthos: i bellicosi Parti, irriducibili nemici dei Romani, abitavano le zone orientali dell’altopiano iranico ed erano arcieri infallibili. 11-12. horribilesque... Britannos: si tratterebbe dunque di uno degli ultimi componimenti catulliani, come confermano questi versi, che danno per avvenuto quanto meno il primo sbarco di Cesare in Britannia (autunno del 55 @ Casa Editrice G.Principato
a.C.; com’è noto, Catullo doveva morire poco dopo, nel 54). 14. caelitum: caelites (per di) è voce arcaica e poetica di derivazione enniana. 17. moechis: grecismo del sermo cotidianus, tendenzialmente spregiativo e volgare (usuale in Plauto e nei comici); significa propriamente «adulteri». 19. identidem: questo avverbio ricorre non a caso soltanto qui e nel carme 51, in due contesti diversissimi per atmosfera e per tono, a ulteriore conferma del collegamento intenzionale fra le due liriche.
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L’ETÀ DELLA TARDA REPUBBLICA
10. La poesia neoterica e Catullo
LETTURA e INTERPRETAZIONE Un’evocazione fantastica di terre lontane
Il componimento, elaboratissimo, si apre con l’apostrofe ai due amici (o nemici? cfr. nota al v. 1) Furio e Aurelio, che resta lungamente sospesa. Le prime quattro strofe sono occupate infatti da un’evocazione fantastica di viaggi in paesi esotici e remoti, enfaticamente sviluppata in stile epicheggiante, elevato e solenne (tanto da insinuare il sospetto di un’intenzione ironico-parodistica), come dimostrano gli epiteti altisonanti e i composti epici di stampo omerico ed enniano (longe resonante, v. 3; sagittiferos, v. 6; septemgeminus, v. 7).
Solo al v. 15 si inserisce, con un deciso effetto di sproporzione e di sorpresa, la secca richiesta di Catullo: pauca nuntiate meae puellae / non bona dicta. Il messaggio diretto a Lesbia colpisce per la sua sprezzante, drastica concisione, in netto contrasto con la raffinatezza erudita delle strofe iniziali. Mediante l’impiego di espressioni del sermo cotidianus (vivat valeatque, v. 17) di livello anche basso e triviale (moechis, v. 17) e di immagini aggressivamente iperboliche (simul... trecentos, v. 18; identidem... ilia rumpens, vv. 19-20), si configura come una feroce invettiva contro la donna infedele e la sua insaziabile lussuria che ricorda il carme 58 [ T21].
Nelle tre prime strofe l’elenco delle località, indicate per metonimia mediante il nome degli abitanti o dei grandi fiumi che le attraversano (come spesso nello stile sostenuto di intonazione epica), disegna un itinerario che abbraccia la totalità del mondo allora conosciuto, da sud-est a nord-ovest. Catullo elabora qui, secondo un procedimento caro all’erudizione geografica alessandrina, una raffinata fantasia esotica, non priva peraltro di agganci alla più scottante attualità: un intervento armato di Roma aveva appena rimesso sul trono d’Egitto, nel 55 a.C., Tolomeo Aulete; Gallia e Britannia sono esplicitamente indicate come teatro delle recentissime imprese del «grande Cesare»; quanto ai Parti, era imminente allora la spedizione di Crasso in Oriente, che si sarebbe conclusa nel 53 con la disastrosa sconfitta di Carre.
Una chiusa elegiaca: il fiore reciso
Nell’ultima strofa la violenza del rancore e del sarcasmo lasciano il posto, con un nuovo fortissimo scarto di tono e di linguaggio, a un’elegiaca, struggente malinconia; ma lo strazio è tutto contenuto nell’immagine breve di un fiore reciso, appena toccato dall’aratro ai bordi del campo.
Giovane donna che legge, statuetta in bronzo del I secolo d.C. Parigi, Cabinet des Médailles.
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Improvviso scarto di toni: una feroce invettiva
Un itinerario intorno al mondo: agganci all’attualità
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PERCORSO ANTOLOGICO
Dialogo con i MODELLI Il fiore reciso La similitudine che chiude il carme 11 con la delicatissima immagine del fiore reciso riecheggia, attraverso la preziosa rielaborazione catulliana, un frammento di Saffo [a], la poetessa greca nata nell’isola di Lesbo (VII-VI sec. a.C.). I versi di Saffo facevano parte di un epitalamio, ossia di un canto per una festa di nozze, e la patetica similitudine alludeva alla prossima perdita della
verginità, evento traumatico e velato di malinconia per la giovanissima sposa. Catullo ricorda un’altra volta il frammento saffico, in un contesto (e con un significato) ancor più vicino all’originale, nel secondo epitalamio del Liber (62, 39-45). Nel IX libro dell’Eneide Virgilio, descrivendo la morte del giovinetto Eurialo [b], riprenderà con raffinata
tecnica allusiva, in un contesto non più erotico ma epico-guerresco, entrambi i modelli. In Virgilio ritorna l’immagine catulliana del colpo violento, tagliente del vomere; ma insieme il poeta recupera il pathos e soprattutto l’elemento coloristico (il rosso del fiore, del sangue) del frammento saffico, amplificandoli mediante una duplice similitudine.
[a]
Come il giacinto che i pastori pestano per i monti, e a terra il fiore purpureo sanguina... (Saffo, fr. 105c Label-Page; trad. di S. Quasimodo)
[b]
Volvitur Euryalus leto, pulchrosque per artus it cruor inque umeros cervix conlapsa recumbit: purpureus veluti cum flos succisus aratro languescit moriens lassove papavera collo demisere caput, pluvia cum forte gravantur.
S’accasciò Eurialo morto, per il bel corpo scorreva il sangue, cadde la testa sulla spalla, pesante: così purpureo fiore, che l’aratro ha tagliato, languisce morendo, o chinano il capo i papaveri sul collo stanco, quando la pioggia li grava. (Virgilio, Eneide IX, 433-437; trad. di R. Calzecchi Onesti)
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Ad Asinio Marrucino, che ruba fazzoletti @ Casa Editrice G.Principato
carme 12
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10. La poesia neoterica e Catullo
T 13 Bizzarro invito a cena carme 13 LATINO
PERCORSO ANTOLOGICO
Nota metrica: endecasillabi faleci.
Il poeta si rivolge a Fabullo, uno dei suoi amici più cari, per invitarlo a cena «fra pochi giorni»: ma si tratta di un invito decisamente singolare, in cui le espressioni d’affetto e le allusioni alle raffinate consuetudini della loro cerchia si intrecciano con sorprendenti trovate giocose e paradossali. Il carme riprende un tópos della poesia ellenistica, il «bigliettino» d’invito a cena rivolto ad un amico, che a sua volta si inserisce nella ricca tradizione simposiaca della lirica greca. Fra i molti esempi possibili, uno dei più noti e vicini nel tempo è l’epigramma che Filodemo di Gadara indirizza al suo protettore Calpurnio Pisone per invitarlo, il giorno 20 del mese, al rituale banchetto in onore di Epicuro: all’ospite illustre non verranno offerte portate sontuose e vini preziosi, ma le dolcezze della più sincera amicizia (Antologia Palatina XI, 44). Il motivo del convito modesto sarà ripreso in età augustea da Orazio, in un’ode saffica a Mecenate (I, 20).
Cenabis bene, mi Fabulle, apud me paucis, si tibi di favent, diebus, si tecum attuleris bonam atque magnam cenam, non sine candida puella 5 et vino et sale et omnibus cachinnis. Haec si, inquam, attuleris, venuste noster, cenabis bene; nam tui Catulli plenus sacculus est aranearum. Sed contra accipies meros amores 10 seu quid suavius elegantiusve est;
1-5 Cenerai bene da me, o mio Fabullo, fra pochi giorni, col favore degli dèi, se porterai con te una buona e abbondante cena, non senza una bella ragazza e vino e sale e tante risate. Cenabis: futuro di valore iussivo, costituisce l’apodosi di un periodo ipotetico della realtà che si completa solo ai vv. 3-4 con la protasi (si tecum attuleris... cenam), suscitando un’attesa che prepara il primo aprosdóketon (o effetto-sorpresa) del componimento; cenabis apud me è la comune formula dell’invito. – mi Fabulle: personaggio non altrimenti noto, ricordato da Catullo in diversi componimenti come uno dei suoi più cari e intimi amici (lo conferma l’uso di mi, vocativo dell’aggettivo possessivo, cui corrisponde simmetricamente tui Catulli, v. 7). Fabullus è diminutivo-vezzeggiativo di Fabius. – paucis... diebus: ablativo di tempo. Il fatto inusuale che la data resti indeterminata lascia già presagire il carattere fittizio e scherzoso dell’invito. – si... favent: incidentale ipotetica; è formula augurale dell’uso corrente (lett. «se gli dèi ti sono favorevoli»; noi diremmo «a Dio piacendo», «se Dio vuole»). – si
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tecum... magnam/ cenam: l’enjambement contribuisce ad arricchire l’effetto-sorpresa, ritardando ulteriormente la comparsa della parola rivelatrice (cenam), cioè l’aprosdóketon (in greco, «elemento inaspettato»). – non sine: regge i quattro sostantivi in ablativo (vv. 4-5), cioè il catalogo degli elementi ritenuti indispensabili, ancor più del cibo, alla riuscita della cena; qui la litote, come spesso accade, rafforza il concetto anziché attenuarlo. – candida puella: l’aggettivo candida indica originariamente la luminosità di una pelle bianchissima, passando poi a significare «leggiadra», «avvenente»; si tratterà di una flautista o di una danzatrice, ragazze che venivano chiamate abitualmente ad allietare i conviti. – et vino... cachinnis: il polisindeto (et… et… et) conferisce all’enumerazione un ritmo serrato e vivace. Sale, pur mantenendo il significato proprio e concreto di ingrediente alimentare, va inteso soprattutto nel significato metaforico di «arguzie», battute fini e spiritose (più consueto, in questa accezione, il plurale sales); omnibus cachinnis, lett. «tutte le risate»; cachinnus è parola onomatopeica
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che indica uno scroscio di risa fragorose e gioiosamente spontanee. 6-8 Se porterai, dico, queste cose, mio raffinato [amico], cenerai bene; infatti il borsellino del tuo Catullo è pieno [solo] di ragnatele. Haec si: anastrofe. – attuleris: predicato della protasi di un periodo ipotetico della realtà (l’apodosi è cenabis bene, v. 7) che riprende esattamente quello dei vv. 1-3. – venuste noster: ancora un aggettivo possessivo (cfr. v. 1 e v. 7), concordato con il vocativo venuste, a sottolineare l’affetto reciproco; per venustus cfr. nota a 3, 2 [ T5]. – plenus... aranearum: espressione di sapore colloquiale e proverbiale. – sacculus: diminutivo di saccus, una piccola borsa che si portava appesa alla cintura. 9-14 Ma in cambio riceverai una vera delizia, o se c’è qualcosa di più soave e di più fine: infatti ti darò un unguento [profumato] di cui le Veneri e gli Amori fecero dono alla mia donna; e quando tu lo odorerai, Fabullo, pregherai gli dèi di farti [diventare] tutto naso. accipies: si contrappone ad attuleris (v. 3 e v. 6). – meros amores: anticipazio-
PERCORSO ANTOLOGICO
nam unguentum dabo, quod meae puellae donarunt Veneres Cupidinesque, quod tu cum olfacies, deos rogabis, totum ut te faciant, Fabulle, nasum.
ne del motivo del dono (l’unguentum). L’aggettivo merus significa «puro», e quindi «vero», «autentico»; amores nel lessico familiare indica «qualcosa che è un amore», «una meraviglia». – seu quid = vel si quid. – unguentum: nel mondo antico i profumi (e i cosmetici in genere) erano preparati su una base grassa, e si presentavano quindi come olii e creme, appunto «unguenti». Il carme attesta che
l’usanza orientale di profumarsi durante i banchetti si era ormai diffusa negli ambienti raffinati dell’aristocrazia romana. – donarunt: forma contratta per donaveˉ runt. – Veneres Cupidinesque: cfr. nota a 3, 1 [ T5]. – quod tu cum olfacies: nesso relativo (quod, come al v. 11, è riferito a unguentum) e anastrofe = et cum tu olfacies id. – totum... nasum: = ut te totum faciant nasum, subordinata
completiva con ut e il congiuntivo, dipendente dal verbo della principale rogabis, costruito con l’accusativo della persona cui si rivolge la preghiera (deos). Totum è aggettivo concordato con l’accusativo te; nasum è predicativo dell’oggetto (te). È il secondo, brillante aprosdóketon: l’effetto-sorpresa viene accresciuto dalla distanza che separa nasum da totum, posto all’altra estremità del verso.
LETTURA e INTERPRETAZIONE Struttura del componimento
Il tono scherzoso e informale, improntato ad affettuosa complicità, del «bigliettino» a Fabullo non impedisce di rilevare nel componimento, a una lettura più attenta, una struttura armoniosamente calcolata. Il carme si suddivide in tre parti: la prima (vv. 1-5) contiene il vero e proprio invito; la seconda (vv. 6-8), in funzione di “cerniera”, introduce il motivo topico dell’indigenza del poeta, onde giustificare la sorprendente richiesta di portare con sé tutto l’occorrente per la cena; la terza (vv. 9-14) sviluppa la graziosa trovata del dono (l’unguentum) riservato all’ospite.
Un registro parodistico e giocoso
Catullo rielabora con grazia incomparabile, su un registro parodistico e giocoso, gli spunti tradizionali, creando con sapiente gradazione una situazione paradossale: l’amico Fabullo cenerà bene fra pochi
Analizzare il testo
1. Individua nel testo termini ed espressioni del sermo familiaris. 2. Analizza i vocaboli citati, illustrandone il preciso significato e il valore che assumono nel contesto: sale, cachinnis, venuste, meros amores, suavius, elegantius, meae puellae. Si possono definire parole-chiave del lessico catulliano e neoterico?
Interpretare il testo
3. L’invito a Fabullo si propone quale esempio del clima che doveva caratterizzare i rapporti fra
giorni dal suo Catullo, ma soltanto se porterà con sé tutto, ma proprio tutto, l’occorrente per la cena, compresa una bella ragazza; il polisindeto (et... et... et..., v. 5) enfatizza la lunga enumerazione, mentre la vivace immagine del v. 8 svela argutamente le ragioni di un invito tanto singolare: il padrone di casa non ha il becco d’un quattrino!
L’emblematico dono ospitale e la chiusa a sorpresa
In compenso offrirà, come dono ospitale, un prezioso unguento profumato, oggetto squisito e pegno d’amore, quasi un emblema del costume di vita elegante e raffinato, ispirato al lepos e alla venustas, della cerchia neoterica. Lo scherzoso invito, scintillante di amichevole complicità e di ironia, si chiude a sorpresa, con grazia epigrammatica, su un’immagine fantasticamente grottesca (totum... nasum, v. 14).
amici nell’ambito della cerchia catulliana. Sapresti descriverlo, a partire dagli indizi forniti dal poeta attraverso le forme e le tonalità espressive impiegate in questo carme?
Confrontare e interpretare i testi
4. Ancora sul tema dell’amicizia nel Liber di Catullo: leggi i carmi 9 [ T10 ONLINE], 12 [ T12 ONLINE], 30 [ T15], 95 [ T28], individuando e commentando brevemente i vari aspetti che questo tema assume nei diversi componimenti.
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L’ETÀ DELLA TARDA REPUBBLICA
10. La poesia neoterica e Catullo
Leggere un TESTO CRITICO Il destinatario dei carmi catulliani Sulla ricorrente presenza di un destinatario reale nei carmi di Catullo, che tanto spesso appaiono riferirsi con vivida immediatezza a concrete occasioni della vita reale, ha scritto pagine illuminanti Mario Citroni,
mettendo in rapporto le forme del testo poetico con le precise attese del pubblico – in prima istanza gli amici poeti del circolo neoterico – cui Catullo intendeva rivolgere il suo messaggio.
PERCORSO ANTOLOGICO
Che i carmi di Catullo, in gran parte, non siano scritti per rimanere nel cassetto in attesa di inserirsi in un libro che il pubblico anonimo leggerà in un futuro indefinito, ma siano invece scritti anzitutto per un consumo immediato da parte del destinatario e della cerchia degli amici, è convinzione che non si fonda solo sull’impressione di immediatezza nel rapporto col destinatario che si ricava dalla lettura dei carmi (questa impressione, pur così viva, potrebbe al limite esser stata creata artificialmente dall’autore), ma si fonda anche sul fatto che parecchi carmi sono interamente legati all’occasione concreta da cui nascono e non sembrano cercare al di fuori di essa ancoraggi che ne motivino una vita meno effimera. Chiunque del resto può constatare quanto poco Catullo si preoccupi di fornire al lettore anonimo, lontano nello spazio e nel tempo, certi presupposti necessari per comprendere il carme, presupposti che erano invece certamente noti al destinatario e alla cerchia degli amici. Al pubblico lontano, al pubblico futuro, Catullo pensa certo quando compone i carmi dotti più impegnativi, ed anche nel caso dei carmi minori con destinatario reale egli è certo ben consapevole che il piano di raffinata artisticità, la letterarietà brillante della scrittura in cui avviene questo rapporto comunicativo con gli amici, è condizione di una sopravvivenza al di là dell’occasione. Ma per almeno gran parte dei carmi con destinatario reale Catullo pensa in primo luogo al destinatario e alla cerchia degli amici (ricordiamo che l’auspicio della durata nel tempo delle nugae nel carme 1 ha, pur nel tono di gaia autoironia, i tratti di una sfida: durerà ciò che ai più non appare destinato a durare). E d’altra parte, se si parla di funzione comunicativa dei carmi di Catullo con destinatario reale non si deve però intendere che si tratti della funzione comunicativa propria della lettera privata, bensì di una ritualizzazione della funzione comunicativa, di una trasposizione della funzione comunicativa entro forme letterarie che l’autore destina alla fruizione non solo del diretto destinatario, ma anche della cerchia degli amici, che in certa misura è sempre tutta coinvolta nei rapporti comunicativi fra i suoi membri. E, sullo sfondo, anche alla fruizione del lettore anonimo. Per fare un esempio, il carme 13 (Cenabis bene, mi Fabulle) non sarà naturalmente un vero e proprio invito a cena, eppure sarà stato scritto probabilmente in occasione di un invito a cena, e sarà stato scritto anzitutto per Fabullo, quasi come una scherzosa ‘celebrazione’ di quel reale invito a cena e, contemporaneamente, per gli altri amici che leggeranno il carme e si compiaceranno nel riconoscervi la trasposizione in forma poetica elegante dei rapporti comunicativi tra i membri della cerchia. Una cerchia che, in quanto costituita di amici poeti per i quali vita e poesia costituiscono una unità inscindibile, vive e si riconosce proprio in queste ‘celebrazioni’ poetiche delle sue esperienze quotidiane. (M. Citroni, Destinatario e pubblico nella poesia di Catullo: i motivi funerari, «Materiali e discussioni per l’analisi dei testi classici» 2, Pisa 1979, pp. 46-48)
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PERCORSO ANTOLOGICO
T 14
Invettiva contro Mamurra
ONLINE
carme 29
T 15 Alfene immemor... carme 30 LATINO ITALIANO
Nota metrica: asclepiadei maggiori.
Catullo rivolge un accorato rimprovero all’amico Alfeno, accusandolo di aver tradito i doveri dell’amicizia in circostanze che restano indeterminate. L’amicizia è per Catullo un vincolo sacro, esattamente come il patto d’amore, non a caso definito altrove sanctae foedus amicitiae (109, 6 [ T30]); ne sono garanti gli dèi, e soprattutto la Fides (v. 11), che puniranno immancabilmente il factum impium (v. 4). Di qui, da questa concezione appassionata e insieme religiosamente profonda del legame fra i sodales, dipendono le scelte stilistiche del componimento, lontane dai toni dell’invettiva e improntate piuttosto a una ricerca di gravità e sostenutezza mediante il ricorso a stilemi elevati e alla solennità del linguaggio giuridico-sacrale. In particolare i vv. 4 e 11-12 riecheggiano le forme espressive delle antiche prescrizioni religiose, quali arcaismi (Nec per non), allitterazioni (paeniteat postmodo), paronomasie (facti faciet), omoteleuti (facta impia fallacum hominum). Ma il poeta mira nello stesso tempo ad effetti intensamente patetici, affidati alle anafore (iam... Iam... iam, vv. 2-3), a domande ed esclamazioni, ai vocativi in gradazione ascendente (immemor, false, dure, perfide, inique), ai diminutivi affettuosi (amiculi, v. 2). A creare un clima di tensione emotiva contribuisce anche la scelta di un metro lirico raffinato e raro (un unicum nel Liber catulliano), l’asclepiadeo maggiore: un verso lungo, dal ritmo spezzato, quasi fosse interrotto da singhiozzi di pianto.
5
Alfene immemor atque unanimis false sodalibus, iam te nil miseret, dure, tui dulcis amiculi? Iam me prodere, iam non dubitas fallere, perfide? Nec facta impia fallacum hominum caelicolis placent: quae tu neglegis, ac me miserum deseris in malis.
Alfeno, immemore e infedele verso i tuoi compagni devoti, oramai non hai più alcuna compassione, o crudele, del tuo dolce amico? Già non esiti a tradirmi, o perfido, già non esiti a ingannarmi? E tuttavia non piacciono agli dèi celesti le empie azioni degli uomini fallaci; ma tu non te ne curi, e mi abbandoni infelice in mezzo ai mali.
1. Alfene: probabilmente P. Alfeno Varo di Cremona, giureconsulto e consul suffectus nell’anno 39. – immemor: il componimento, che presenta una ricercata struttura «ad anello», si apre e si chiude circolarmente sul motivo dell’oblio colpevole (Si tu oblitus es..., v. 11), posto in forte antitesi con quello della memoria
(at di meminere, at meminit Fides, v. 11). 3. perfide: propriamente «sleale», «spergiuro», colui cioè che ha violato la fides. Ma tutte le scelte lessicali insistono sul motivo centrale: l’infrazione, sul piano etico e insieme, inscindibilmente, religioso-giuridico, della fides e della pietas (prodere; fallere e i suoi derivati @ Casa Editrice G.Principato
false e fallacum; impia; inique; irrita). 4. caelicolis: il composto caelicolae è calco omerico enniano di tono elevato e solenne (come il termine caelites di 11, 14 [ T11]). Ma tutto il verso sembrerebbe una reminiscenza dell’Odissea (XIV, 83: «No, gli dèi beati non amano le azioni scellerate»).
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L’ETÀ DELLA TARDA REPUBBLICA
10. La poesia neoterica e Catullo
Eheu quid faciant, dic, homines cuive habeant fidem? Certe tute iubebas animam tradere, inique, me inducens in amorem, quasi tuta omnia mi forent. Idem nunc retrahis te ac tua dicta omnia factaque 10 ventos irrita ferre ac nebulas aerias sinis. Si tu oblitus es, at di meminere, at meminit Fides, quae te ut paeniteat postmodo facti faciet tui. Ahimè! che debbono fare, dimmi, gli uomini, e di chi possono fidarsi? Eppure eri tu che mi invitavi a darti l’anima, o iniquo, inducendomi ad amarti come se la tua amicizia mi offrisse piena sicurezza. Ed ora, invece, ti ritrai; e lasci che tutte le tue parole e i tuoi atti se li portino via senza effetto i venti e le aeree nubi. Se tu non hai memoria, se ne ricordano gli dèi, se ne ricorda la Fede, che ti farà pentire un giorno di codesta tua condotta.
6. Eheu: esclamazione propria del linguaggio poetico di tono alto e patetico. A conferma dell’elevata tensione stilistica
fonti
visive
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del carme, che pure rifugge dalle eleganze erudite di gusto alessandrino, si veda anche il ricercato grecismo aerias (v. 10).
7. tute = tu + te, particella enclitica rafforzativa, caratteristica del linguaggio familiare e affettivo («tu, proprio tu»).
Strumenti scrittorii Ennio e Lucilio sono i primi poeti latini a far riferimento al rotolo di papiro, che nell’età della tarda repubblica diviene un oggetto sempre più curato e raffinato: la veste elegante del contenitore doveva già alludere alla grazia e alla finezza del contenuto. Lo stesso fenomeno si registra nell’età del Decadentismo, fra secondo Ottocento e primo Novecento: in una pagina di A rebours di Huysmans («Controcorrente», 1884), il romanzo-Bibbia della narrativa decadente, il protagonista Des Esseintes «non ammetteva che gli autori prediletti figurassero nella sua biblioteca vestiti di fustagno e calzati di scarponi chiodati come montanari dell’Alvernia» e si faceva perciò stampare edizioni speciali per uso personale. Nell’immagine sono raffigurati gli instrumenta scriptoria più usati: raschiatoio e spatola per lisciare la cera, le tavolette cerate, un doppio calamaio con inchiostro nero e rosso, uno stilo e un volumen semiaperto con tracce di scrittura.
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Affresco pompeiano con rotoli e tavolette, I secolo d.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
PERCORSO ANTOLOGICO
(trad. di E.V. D’Arbela)
PERCORSO ANTOLOGICO
T 16 Ritorno a Sirmione carme 31 LATINO
Nota metrica: trimetri giambici scazonti o coliambi.
Di ritorno dal viaggio in Bitinia, Catullo rivolge il suo saluto a Sirmione con una lode entusiasticamente iperbolica (vv. 1-3): non si specchia luogo più bello sulle acque di tutta la terra! Lasciato quasi sottinteso nel carme 46 [ T18], che canta la felicità della partenza, e nel carme 4 [ T6 ONLINE], che rievoca l’ebbrezza del viaggio, emerge qui un sentimento dominante: la gioia del ritorno a casa. Catullo esprime con viva spontaneità il piacere, così semplice e vero, di ritrovarsi nei luoghi familiari, fra le proprie cose (v. 10), nell’intimità religiosa del focolare domestico (larem nostrum). Con una sorta di animismo affettivo, Catullo riversa la sua gioia intorno a sé, la fa traboccare ed espandersi sulla sua casa e sul paesaggio amato, esortando ogni cosa intorno a gioire e ridere per il suo ritorno (gaude;/ gaudete.../ ridete, vv. 12-14), fino all’immagine misteriosa e bizzarra dell’ultimo verso. Lo stile è un’originalissima mistione di espressioni colloquiali, vivacemente affettive (ocelle, v. 2; vix mi ipse credens, che usa anche Plauto, v. 5; venusta, v. 12; quidquid ... cachinnorum, v. 14) e di stilemi raffinatissimi, quali le cadenze ritualmente solenni dei primi versi, impreziositi da numerose figure: chiasmo (in liquentibus stagnis/marique vasto, vv. 2-3), metonimia (Neptunus, v. 3), anafora (quam... quamque, v. 4), allitterazione (libenter... laetus, v. 4).
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Paene insularum, Sirmio, insularumque ocelle, quascumque in liquentibus stagnis marique vasto fert uterque Neptunus, quam te libenter quamque laetus inviso, vix mi ipse credens Thyniam atque Bithynos liquisse campos et videre te in tuto. O quid solutis est beatius curis,
1-6 O Sirmione, gemma delle penisole e delle isole, tutte quelle che l’uno e l’altro Nettuno sorregge nei limpidi laghi e nel vasto mare, quanto volentieri e con quanta gioia ti rivedo, appena credendo a me stesso di aver lasciato la Tinia e le pianure di Bitinia, e di vederti, [finalmente] al sicuro. Il carme si apre con un’ampia e complessa apostrofe a Sirmione, stilisticamente assai ricercata, ricca in particolare di effetti di suono (l’insistenza sulle liquide l ed r) tendenti ad evocare il limpido e sereno paesaggio di acque lacustri. Paene insularum: l’avverbio paene («quasi») si fonderà con il sostantivo o l’aggettivo che accompagna assumendo valore di attributo (di qui in seguito forme quali paeninsula o paenultimus). – insularumque: la penisoletta di Sirmione, sulle rive meridionali del lago di Garda o Benàco, è congiunta alla terraferma da una striscia di terra così sottile da farla sembrare un’isola. – ocelle: vocativo concordato con Sirmio, è diminutivo-vezzeggiativo affettuoso di oculus («occhietto», nel senso traslato
di «gemma», «perla», «fiore»), piuttosto comune presso gli scrittori latini; anche Cicerone, ad esempio, definisce le sue ville ocelli Italiae in una lettera ad Attico (16, 6, 2). – quascumque: pronome relativo indefinito, oggetto di fert. – liquentibus stagnis: liquens da liqueˉ re («esser liquido», «fluido», non stagnante); perciò stagnis indicherà specchi d’acqua limpidi, «laghi» piuttosto che «stagni». – uterque Neptunus: «entrambi i Nettuni»; il dio Nettuno, per così dire “sdoppiato” in quanto signore e protettore sia delle acque lacustri sia di quelle marine, per metonimia sta qui a significare le acque medesime, che «sorreggono» (= su cui posano, si trovano) isole e penisole. – quam... quamque: l’avverbio quam, che introduce una proposizione esclamativa, è iterato enfaticamente in anafora. – inviso: da invisĕre, in + viso, intensivo di video. – vix... credens: costruisci ipse vix credens mi (= mihi), lett. «io stesso a fatica credendo a me»; vix credens è espressione colloquiale. – Thyniam... Bithynos/...campos: accusativo, og@ Casa Editrice G.Principato
getto di liquisse. Rispettivamente poste a nord e a sud del Ponto Eusino o Mar Nero, la Thynia e la Bithynia erano, secondo Erodoto, due regioni abitate da popolazioni originarie della Tracia. L’inserzione dei nomi esotici di terre lontane risponde al gusto neoterico dell’erudizione ricercata e preziosa, e vale nel contempo a sottolineare i rischi e le fatiche affrontate nel lungo viaggio. – liquisse: infinito perfetto da linquo, linquĕre, poetico e arcaico in luogo di relinquĕre. Significativa l’antitesi fra i due verbi all’infinito nel v. 6: il perfetto (liquisse) situa definitivamente nel passato l’esperienza del viaggio avventuroso, mentre il presente (videˉre) esprime la felicità attuale del ritorno. 7-11 Oh, cosa c’è di più dolce che l’essersi liberati dagli affanni, quando l’animo depone il peso [che l’opprime] e stanchi di straniere fatiche giungiamo al nostro focolare, e troviamo riposo nel sospirato letto? È questo l’unico compenso per così grandi fatiche. L’interrogativa retorica, che abbraccia ben quattro versi (vv. 7-10), insiste sulla
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L’ETÀ DELLA TARDA REPUBBLICA
10. La poesia neoterica e Catullo
cum mens onus reponit ac peregrino labore fessi venimus larem ad nostrum 10 desideratoque acquiescimus lecto? Hoc est quod unumst pro laboribus tantis. Salve, o venusta Sirmio, atque ero gaude; gaudete vosque, o Lydiae lacus undae; ridete, quidquid est domi cachinnorum.
PERCORSO ANTOLOGICO
gioia del ritorno, in particolare sulla sensazione di sollievo e di riposo che si prova nel ritrovarsi finalmente a casa, fra gli oggetti cari e familiari, ancora una volta in antitesi con la stanchezza e la fatica del lungo peregrinare in terre straniere; da notare la posizione dell’aggettivo peregrino (v. 8), in forte enjambement con labore, che rafforza il contrasto con nostrum (v. 9), pure in chiusura di verso. quid: pronome interrogativo neutro, soggetto di est. – solutis... curis: secondo termine di paragone in funzione di participio congiunto, retto da beatius (= quam curis solvi); peraltro si può anche intendere come ablativo assoluto (lett. «interrotti, allontanati gli affanni»). – venimus: perfetto iterativo, da tradurre con il presente. – larem ad: anastrofe (ad larem). Il Lar è il genio del focolare domestico, cui si rivolgeva un saluto rituale al ritorno da un viaggio; qui indica per metonimia la casa, in quanto luogo sacro (agli affetti, alla tradizione familiare). – quod unumst: proposizione subordinata dichiarativa; unumst = unum est, con aferesi della vocale e. Da rilevare
Analizzare il testo
la forte antitesi fra unum e tantis, nonché l’insistenza sul motivo della fatica (laboribus richiama in poliptoto labore, v. 9); affiora qui probabilmente la delusione per gli scarsi benefici ricavati dal soggiorno in Bitinia. 12-14 Salve, o leggiadra Sirmione, ed esulta per il tuo padrone [che ritorna]; esultate voi pure, onde del lago di Lidia; ridete, [o voi] risate tutte, quante ve ne sono nella [nostra] casa». Il componimento si chiude circolarmente su una nuova apostrofe a Sirmione, che prepara un’esplosione finale di gioia e di ilarità, sviluppata attraverso altre due apostrofi (alle onde del lago, v. 13; alle risate, v. 14) secondo una climax ascendente, per culminare nella bizzarra immagine della chiusa, con la lunga e risonante parola onomatopeica (cachinnorum), che evoca un improvviso scrosciare di risa gioiose. venusta: riferito a Sirmio personificata; cfr. nota a 3, 12 [ T5]. – ero: ablativo strumentale retto dall’imperativo presente gaude. A differenza di dominus (il padrone in quanto signore, che esercita il potere), erus è il padrone di casa, il ca-
1. Evidenzia la struttura compositiva del carme, suddividendolo in sequenze chiaramente distinguibili; assegna poi ad ognuna di esse un titolo o una breve didascalia esplicativodescrittiva. Si avvertono sensibili variazioni sul piano delle forme e delle tonalità espressive? Quale definizione si può dare della struttura complessiva del carme? 2. A Sirmione Catullo si rivolge direttamente nel testo per due volte, accostando al nome di Sirmio due diversi termini in caso vocativo: dopo averli rintracciati, precisane la funzione sintattica e il significato. Almeno uno di essi ricorre in altri 310
po della famiglia. – Lydiae lacus undae: per ipallage, l’aggettivo Lydiae è concordato con il vocativo undae anziché col genitivo lacus (lett. «onde Lidie del lago»). Il lago di Garda è detto «Lidio», cioè «Etrusco», in quanto si riteneva che gli Etruschi, stanziati anche nella pianura padana, fossero originari della Lidia, una regione dell’Asia Minore. – quidquid... cachinnorum: soggetto dell’imperativo ridete, vale cachinni quotquot domi estis («ridete, risate quante siete in casa»). Catullo qui impiega il costrutto colloquiale formato dal pronome indefinito neutro + genitivo partitivo, che mostra di prediligere in molte occasioni (cfr. nota a 3, 2 [ T5]). Si segnala anche una diversa interpretazione del v. 14, secondo la quale l’invito a ridere (ridete), s’intende rivolto, dopo l’esortazione a gioire (gaudete, v. 13), ancora alle onde del lago, con quidquid in funzione di oggetto interno: «ridete (onde), tutte le risate che avete» (lett. «tutto quello che avete “in casa” [= a disposizione] di risate»). In questo caso il «riso» allude al lieve fruscio delle onde, e/o al brillare cangiante dei riflessi di luce sull’acqua.
carmi catulliani a te noti? Ha lo stesso valore sul piano semantico nei diversi luoghi? 3. Nel carme 31 le scelte lessicali possono essere distinte essenzialmente sulla base di due diverse aree di significato: le fatiche del viaggio e la gioia del ritorno. Identifica i termini (sostantivi, aggettivi, verbi) attinenti all’uno e all’altro campo semantico, precisando quale relazione intercorre fra loro.
Confrontare i testi
4. Sviluppa un confronto articolato con gli altri carmi del Liber catulliano che trattano il tema del viaggio, evidenziando analogie e differenze.
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PERCORSO ANTOLOGICO
T 17
Annales Volusi, cacata charta
ONLINE
carme 36
T 18 La partenza dalla Bitinia carme 46 LATINO ITALIANO
LETTURA ESPRESSIVA IN LINGUA ITALIANA
Nota metrica: endecasillabi faleci.
Siamo nella primavera del 56: torna a soffiare Zefiro che acqueta le tempeste dell’equinozio, si riaprono i mari alla navigazione e Catullo può finalmente lasciare le pianure inospitali della Bitinia, dove si era recato l’anno avanti, nella cohors al seguito del pretore Memmio, con la speranza di far fortuna. In un rapido giro di versi dal ritmo vivacissimo, il poeta riesce ad esprimere un complesso intreccio di stati d’animo diversi e compresenti: un senso gioioso di liberazione nel lasciare finalmente quelle terre lontane e inclementi (vv. 4-5); l’ebbrezza elementare, fisiologica, del viaggio in sé (vv. 7-8); l’emozione entusiastica al pensiero delle meraviglie che lo attendono nelle clarae urbes greche, cariche per il dotto Catullo di fascinosi richiami storici e culturali (v. 6); una nota di profonda malinconia nel separarsi dai dolci amici che hanno condiviso con lui giorno per giorno l’avventurosa esperienza (vv. 9-11). L’architettura del breve componimento è sapientemente calcolata: alla corrente di intensa vitalità che pervade la natura al ritorno della bella stagione corrisponde in Catullo un identico slancio di nuova energia fisica (v. 8) e di euforia psicologica (v. 7), che culmina in un grido di gioia, nello scatto liberatorio del v. 4 (Linquantur Phrygii, Catulle, campi)! L’intensità quasi violenta delle sensazioni e dei moti dell’animo emerge con forza dalle scelte lessicali: l’iperbolico esortativo volemus (v. 6); praetrepidans; avet (v. 7); vigescunt (v. 8). D’altro canto i nomi greci, evocativi ed esotici (Zephyri, Phrygii, Nicaeae) e l’altisonante aggettivo astronomico aequinoctialis impreziosiscono lo stile con erudita, ellenistica raffinatezza.
Iam ver egelidos refert tepores, iam caeli furor aequinoctialis iocundis Zephyri silescit aureis. Linquantur Phrygii, Catulle, campi
Già torna la primavera e dischiude tepori dal gelo, già tace il furore del cielo equinoziale al dolce spirare dello Zèfiro. È tempo, o Catullo, di lasciare le pianure di Frigia
1. egelidos: il prefisso e(x) ha valore privativo; l’epiteto equivale a «non più gelidi», «sgelati», cioè miti. 2. aequinoctialis: l’equinozio di primavera è un periodo di furiose tempeste. La parola eccezionalmente lunga (sei sillabe su undici in tutto che ne ha il verso) esprime insieme il prolungato
imperversare del maltempo e il sollievo perché ormai si va acquietando (silescit, v. 3) il fragore delle burrasche. 3. iocundis: brezze piacevoli e insieme propizie, favorevoli (dal verbo iuvo). – Zephyri: nome greco del vento d’occidente che soffia a primavera, detto anche, con denominazione latina, Fa-
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vonius. – aureis: grafia arcaizzante per auris. 4. Phrygii: per l’esattezza Catullo si trova nei Bithyni campi (cfr. 31, 5-6 [ T16]); l’epiteto rinvia per estensione, in modo indeterminato e suggestivo, alle contrade dell’Asia Minore (la Phrygia minor confinava ad ovest con la Bitinia).
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L’ETÀ DELLA TARDA REPUBBLICA
10. La poesia neoterica e Catullo
5
Nicaeaeque ager uber aestuosae; ad claras Asiae volemus urbes. Iam mens praetrepidans avet vagari, iam laeti studio pedes vigescunt. O dulces comitum valete coetus, 10 longe quos simul a domo profectos diversae variae viae reportant.
5
e la terra copiosa di frutti dell’ardente Nicèa; voliamo alle città favolose dell’Asia! Già trepida l’animo e freme nell’ansia di errare, già gli alacri piedi riacquistano gioioso vigore. Addio, dolce schiera di amici, 10 che insieme partiti dalla patria e venuti lontano cammini diversi riportano indietro divisi. PERCORSO ANTOLOGICO
(trad. di L. Canali)
5. Nicaeaeque... aestuosae: Nicea, posta al centro di una fertile pianura (ager uber), ma gelida durante l’inverno e torrida sotto il rovente sole estivo, era con Nicomedia la città principale della Bitinia. 6. claras... urbes: le città greche d’Oriente, che Catullo dovrà costeggiare per tornare in Italia: Pergamo, Mileto, Efe-
so, Rodi, Mitilene, splendide e famose (clarae) per le bellezze naturali, i tesori artistici, il leggendario prestigio culturale. – Asiae: è la provincia proconsolare romana di Asia, costituita nel 133 a.C. sulla base dell’antico regno ellenistico di Pergamo, che Attalo III aveva lasciato in eredità alla repubblica romana.
Navi nel porto di Pompei, affresco pompeiano, I secolo d.C. Napoli, Museo Archeologico.
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11. diversae variae viae: accumulo espressivo in asindeto di figure di suono (allitterazione e omoteleuto). Diversae vale «divergenti», «separate»; variae invece indica la scelta fra itinerari «differenti», «dissimili», per terra o per mare.
PERCORSO ANTOLOGICO
T 19 Catullo e Saffo: effetti sconvolgenti della passione carme 51 LATINO
LETTURA METRICA
Nota metrica: sistema saffico minore, composto di tre endecasillabi saffici e un adonio.
Secondo una consolidata tradizione, questa lirica segnerebbe l’inizio, così come il carme 11 [ T11] la fine, dell’appassionato amore di Catullo per Lesbia. S’intende che il tentativo di disporre i carmi per Lesbia in un ordine che permetta di seguire le varie fasi di una “storia” d’amore risulta sostanzialmente arbitrario, benché suggestivo; in questo caso, tuttavia, l’impiego dello stesso metro soltanto nel carme 11 (la strofe saffica minore, qui un evidente omaggio al modello greco) può essere interpretato come un valido indizio a conferma, quanto meno, di un collegamento intenzionale fra i due testi. Le prime tre strofe del componimento sono, più che una traduzione, il libero rifacimento di un’ode di Saffo che descrive, enumerandoli in un crescendo drammatico, gli effetti sconvolgenti della passione amorosa [ Dialogo con i modelli, p. 316]. Il poeta contempla con stupore e inquietudine un uomo, un altro, guardare e ascoltare a lungo, imperturbabile e sereno come un dio, Lesbia che dolcemente sorride, mentre in lui la medesima visione provoca un incontenibile sconvolgimento di tutti i sensi, fino al calare sugli occhi di una notte tenebrosa, figura della morte. La quarta ed ultima strofa, non attestata nell’originale saffico, contiene invece un ammonimento sentenzioso a se stesso.
Ille mi par esse deo videtur, ille, si fas est, superare divos, qui sedens adversus identidem te spectat et audit 5
dulce ridentem, misero quod omnis eripit sensus mihi: nam simul te, Lesbia, aspexi, nihil est super mi <postmodo vocis>, 1-5 Ille... ridentem: A me sembra pari a un dio, [anzi], se è lecito, superiore agli dèi, colui che, sedendo di fronte a te, continuamente ti guarda e ti ascolta ridere dolcemente, mi: forma arcaica per mihi. – par... deo: simile a un dio sembra a Catullo l’uomo, un altro, la cui identità resta imprecisata, per la sua serena imperturbabilità, sottolineata dall’anafora (Ille... ille, vv. 1-2). – si fas est: l’inciso non attenua l’iperbole, ma la enfatizza. Due interpretazioni: «se mai è possibile (essere superiore agli dèi)»; oppure «se è lecito (dirlo)». Fas (contrapposto a nefas), termine del linguaggio giuridico-sacrale romano, indica ciò che è lecito in base alle norme religiose. – adversus: aggettivo in funzione predicativa (sedens adversus), concordato con il pronome relativo soggetto qui, da tradursi con una locuzione avverbiale («di fronte»). – identidem: il medesimo avverbio («continuamente», «senza interruzione», oppure «ripetutamente»), ricorre anche nel carme 11 (v.
19 [ T11]), in un contesto assai diverso, quello di un’aspra invettiva contro Lesbia infedele, che si propone come un congedo definitivo. Insieme all’identità del metro, questo richiamo lessicale ha contribuito ad avvalorare la tradizionale interpretazione secondo la quale i due componimenti (51 e 11) segnerebbero rispettivamente l’inizio e la fine della passione di Catullo per Lesbia. – spectat: frequentativo, rafforza il concetto già espresso da identidem (la continuità e la concentrazione dello sguardo); si può rendere pertanto anche con «contempla», «osserva». – dulce: accusativo neutro dell’aggettivo dulcis, dulce, in funzione di avverbio. – ridentem: participio presente da ridĕo, eˉ re («ridere», «sorridere»), predicativo dell’oggetto di spectat et audit (te), ovvero participio congiunto equivalente a una proposizione subordinata temporale («mentre/ quando ridi»). 5-12 misero... nocte: [mentre invece] a me infelice questo toglie comple@ Casa Editrice G.Principato
tamente i sensi; infatti non appena, o Lesbia, ti vedo, subito non mi resta nemmeno un po’ di voce, ma la lingua s’intorpidisce, per le membra si diffonde una fiamma sottile, le orecchie tintinnano d’un suono interno, si coprono gli occhi di una doppia notte. misero: da collegare a mihi (v. 6), in antitesi con par... deo (v. 1). Per il significato di miser nella poesia d’amore latina cfr. nota a 8, 1 [ T9]. – quod: la corretta interpretazione del pronome relativo neutro quod, soggetto di eripit, è la chiave per comprendere l’intera lirica. Si riferisce a tutta la scena precedente, cioè al fatto che un altro stia accanto a Lesbia e che lei gli sorrida, o soltanto all’immagine di Lesbia dulce ridentem? Nel primo caso a provocare il turbamento di Catullo sarebbe la gelosia; nel secondo la pura e semplice visione dell’oggetto amato, che gli toglie (ma eripio, ĕre, composto di rapio, è più forte: eripit... mihi, quindi, vale piuttosto «mi rapisce», «mi strappa») completamente il dominio delle proprie
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L’ETÀ DELLA TARDA REPUBBLICA
10. La poesia neoterica e Catullo
lingua sed torpet, tenuis sub artus 10 flamma demanat, sonitu suopte tintinant aures, gemina teguntur lumina nocte. Otium, Catulle, tibi molestum est; otio exsultas nimiumque gestis; 15 otium et reges prius et beatas perdidit urbes.
PERCORSO ANTOLOGICO
facoltà. – omnis: accusativo plurale arcaico per omnes (sensus). – aspexi: perfetto indicativo da aspicio, ĕre, designa un’azione anteriore, sul piano logico, a quelle espresse dalla successiva serie dei verbi al presente (vv. 7-9); può essere peraltro inteso come perfetto iterativo, in ogni caso da tradurre con il tempo presente. – est super = superest, «resta», «rimane»; soggetto nihil. – mi: cfr. nota al v. 1. – <postmodo vocis>: l’adonio (v. 8) è caduto, cioè manca nei codici manoscritti a noi pervenuti. A Della Corte si deve l’integrazione qui riportata: postmodo è avverbio («in seguito», «subito dopo»); vocis è genitivo partitivo retto da nihil del v. 7 (letteralmente «nulla di voce»). Molte altre integrazioni sono state proposte, sempre nella direzione indicata dal modello saffico (il venir meno della voce). – lingua sed: anastrofe (sed lingua). – sub artus: lett. «sotto le membra»; per rendere più chiara l’immagine c’è chi preferisce tradurre «sotto la pelle». – demanat: propriamente «scorre giù» (de + mano, ĕre); soggetto tenuis... flamma (vv. 9-10), originale variazione sul motivo ultraconvenzionale della fiamma d’amore; questa fiamma è
«sottile», a significare il suo insidioso serpeggiare insinuandosi nelle più intime fibre. – sonitu suopte: ablativo di causa, «per un suono (solo) loro», (l’aggettivo possessivo suo, rafforzato dall’enclitica -pte, è riferito ad aures) cioè soltanto interno. Si noti l’allitterazione in s; l’insistenza sulle sibilanti tende ad evocare il ronzio interno percepito mediante il senso dell’udito, attraverso un procedimento fonosimbolico che continua nel verso successivo. – tintinant: voce onomatopeica che compare solo qui (hapax legómenon); altrove attestate le forme tinniunt (da tinnıˉre) e tintinnant. – gemina... nocte: costruisci lumina teguntur gemina nocte; l’ablativo singolare femminile gemina, concordato per ipallage con nocte, logicamente si riferisce a lumina: «entrambi gli occhi si coprono di notte». L’aggettivo geminus, inconsueto nel contesto, rimanda al gusto neoterico per le espressioni ricercate e preziose. 13-16 L’ozio, o Catullo, ti nuoce; a causa dell’ozio ti esalti e ti ecciti troppo; l’ozio ha mandato in rovina re e città [un tempo] felici. Otium: c’è chi traduce senz’altro «amo-
re», spesso equivalente di otium nel linguaggio erotico, ad esempio in Ovidio. Persuasiva l’interpretazione secondo la quale il termine riflette il concetto greco di tryphé («vita dissoluta», «lussuosa»), tipico della storiografia ellenistica, che vi rintracciava la causa della decadenza dei regni orientali (cfr. vv. 15-16). – Catulle: la ricorrente apostrofe a se stesso. – exsultas: da exsulto (ex + saltare), intensivo di exsilio, ˉıre, propriamente «saltare con vivacità», «balzare» e dunque anche «esaltarsi», «sfrenarsi». – gestis: da gestio, ˉıre, propriamente «gesticolare»; in senso pregnante, denota (analogamente ad exsultas) atteggiamenti quali manifestazione sfrenata dei propri sentimenti, agitazione eccessiva, bramosia impaziente e smodata. Entrambi i verbi del v. 14, si noti, designano originariamente una condizione psicologica che si esprime attraverso incontrollati moti del corpo. – et reges... urbes: iperbato e anastrofe (prius et); costruisci (otium) perdidit reges et urbes prius beatas. Riferimento implicito, consueto e quasi proverbiale, alla caduta di Troia, notoriamente originata dagli amori adulterini di Paride ed Elena.
LETTURA e INTERPRETAZIONE Nelle prime tre strofe espressive variazioni ritmiche
Le due strofe centrali, a partire dal secondo emistichio del v. 5, sono interamente occupate dall’enumerazione-descrizione dei sintomi dello sconvolgimento amoroso. Da rilevare l’affannosa accelerazione del 314
ritmo, insieme all’ininterrotto susseguirsi degli enjambement ad ogni verso, anche molto forti, in contrasto con la pacata compostezza dei vv. 1-2, ciascuno in sé concluso. Evidente l’intenzione espressiva del poeta, che mira a sottolineare, anche a livello metrico-sintattico e ritmico, l’antitesi tra l’irrefrenabile climax ascen-
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PERCORSO ANTOLOGICO
dente dei rovinosi effetti fisiologici della propria passione (descritti come le fasi successive di un accesso morboso, con la puntigliosa elencazione degli organi e dei sensi via via coinvolti) e il sovrano autocontrollo del misterioso “altro”, che proprio per questo gli sembra «pari a un dio».
L’ultima strofa: Otium, Catulle, tibi molestum...
otium, con poliptòto; Ille... ille) e la climax ascendente (Otium... molestum est / otio exsultas nimiumque gestis; par... deo / superare divos) fra il primo e il secondo verso delle due strofe.
Unità della lirica: continuità logica e tematica
Nell’ultima strofa, indipendente dal testo greco a noi noto, con un fortissimo scarto di tono che ha fatto dubitare della sua appartenenza al carme, Catullo rivolge a se stesso un ammonimento meditativo e sentenzioso contro i rischi di una vita dedita all’otium: non certo l’otium inteso secondo l’antica tradizione romana, come tempo libero riservato ad attività ricreative e culturali, complementare e anzi utile ai negotia politici e civili, ma in quanto vita inattiva, dissipata nei piaceri e negli amori.
A causare il turbamento di Catullo, in realtà, non sono esclusivamente le forze dell’eros, né la gelosia (che può costituire tutt’al più una componente secondaria del suo stato d’animo), ma, in profondità, l’avvertimento del contrasto fra la «divina indifferenza» dell’altro (forse nemmeno un rivale, ma un personaggio immaginato, una proiezione di se stesso) e la propria miseria (v. 5), cioè la preoccupante incapacità di dominare la violenza della passione e i suoi effetti devastanti. E il poeta scopre che la radice di quella sua smaniosa debolezza sta nell’otium (v. 13-15), causa di rovina non solo per l’individuo ma anche per la società (vv. 15-16).
Unità della lirica: analogie strutturali
Una lucida analisi introspettiva
Alla maggior parte degli interpreti l’unità della lirica, avvalorata anche da simmetriche rispondenze fra le due strofe che rispettivamente aprono e chiudono il carme, appare ormai assodata. L’ultima strofa presenta infatti ricercate analogie strutturali con la prima: notevoli in particolare l’anafora (Otium... otio...
Analizzare il testo
1. Sono presenti nel testo figure di iterazione (anafore, poliptòti ecc.)? In quali strofe e con quali intenzioni espressive? 2. Nel descrivere i sintomi dello sconvolgimento amoroso (vv. 5-12), Catullo passa in rassegna i diversi organi della percezione sensoriale. In quale ordine? Come si può interpretarlo? Si tratta di una costruzione ad anello?
Interpretare il testo
3. L’analisi del componimento a livello stilisticoretorico rivela una sapiente, raffinatissima elaborazione formale. Prendi in esame in particolare la terza strofa (vv. 9-12), individuando puntualmente le figure retoriche e gli artifici compositivi profusi dal poeta nel breve giro dei quattro versi. È possibile affermare che contribuiscano a rendere efficacemente sul piano
È dunque l’analisi del proprio comportamento e delle proprie reazioni, con lo sgomento di chi scopre di essere in balia di impulsi irrazionali e incontrollabili, il vero tema centrale dell’ode catulliana, che si rivela così assai vicina ai carmi più lucidamente introspettivi, quali 85 [ T25] e 72 [ T23].
espressivo la condizione psicofisica che Catullo intende qui rappresentare? Motiva la tua risposta in un breve commento conclusivo.
Confrontare i testi
4. Al v. 13 il poeta si rivolge direttamente a se stesso con il vocativo del proprio nome (Catulle). Ricerca nei carmi a te noti del Liber i numerosi luoghi ove ricorre la medesima apostrofe, illustrandoli volta per volta con un breve commento. 5. Sviluppando i suggerimenti contenuti nella scheda Dialogo con i modelli, p. 316, prova ad elaborare un confronto tra l’ode di Saffo e il carme 51 di Catullo, ponendo in rilievo in particolare i seguenti aspetti: a) espressioni ed immagini impiegate rispettivamente dai due poeti; b) principali analogie e differenze tra i due testi; c) in sintesi, il significato e l’intento espressivo dell’operazione catulliana rispetto al modello greco.
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L’ETÀ DELLA TARDA REPUBBLICA
10. La poesia neoterica e Catullo
Dialogo con i MODELLI L’ode sublime di Saffo
PERCORSO ANTOLOGICO
Dell’ode di Saffo (fr. 31 LobelPage) tradotta da Catullo è stato tramandato un ampio frammento nell’anonimo Del sublime (X, 2), un trattato di stilistica e critica letteraria greco del I secolo d.C. All’epoca di Catullo il testo doveva essere ben noto in Roma: già Valerio Edituo lo aveva imitato in un epigramma (fr. 1 Morel), mentre Lucrezio lo tiene presente nella descrizione dei sintomi provocati dal terrore (De rerum natura III, 154-156). Decifrare con esattezza la situazione iniziale della lirica di Saffo è lievemente problematico. Saffo con ogni probabilità si rivolge a una fanciulla
del tìaso da lei appassionatamente amata, forse vicina alle nozze, sebbene nulla autorizzi a identificare lo sposo o l’innamorato nell’uomo che le sta accanto. Catullo traduce propriamente soltanto il primo verso; poi l’imitazione prende la strada dell’aemulatio, dando luogo a una rielaborazione originale. Saffo esprime l’ardore del sentimento e l’ineluttabilità della forza di Eros enumerandone con nuda essenzialità gli effetti fisiologici, mentre Catullo tende piuttosto ad analizzare i fenomeni psicologici della passione amorosa. Infatti
omette la quarta strofa dell’ode saffica, che contiene i particolari più realistici, forse eccessivamente crudi per il suo gusto alessandrino. Un gusto che risalta evidente nella stilizzazione retorica raffinatissima della terza strofa, dedicata ai sintomi della patologia amorosa. Il poeta latino, inoltre, amplia la riflessione (se è vero che la quarta strofa appartiene al carme 51) a considerazioni di carattere etico e sociale; del resto anche l’inciso (si fas est) del secondo verso, totalmente assente in Saffo, riflette uno scrupolo religioso caratteristicamente romano.
Uguale agli dèi a me pare l’uomo che siede innanzi a te, e ascolta intento te che parli dolcemente, e ridi amorosa 5
impaura, nel mio petto, il cuore appena ti vedo, la lingua d’un colpo si fa muta, si spezza
un fuoco sottile scorre 10 sotto la mia pelle, è buio negli occhi, romba il sangue negli orecchi, sudo freddo, un tremito tutta m’afferra, sono 15 più verde dell’erba, né lontana pare morte.
Testa della poetessa Saffo, copia romana di un originale greco. Istanbul, Museo Archeologico.
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Ma tutto si può sopportare, poiché...
17. Il verso «è irrimediabilmente corrotto, e le sue tracce servono solo ad accertare che la poesia continuava» (Del Corno).
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PERCORSO ANTOLOGICO
T 20 Due ignobili arrivisti carme 52 LATINO
Nota metrica: trimetri giambici archilochei.
Catullo è assalito da un improvviso desiderio di morire vedendo salire alle più alte cariche dello Stato personaggi indegni, partigiani di Cesare e di Pompeo che debbono le loro fortune politiche soltanto al favore dei loro potenti protettori. Il disgusto e la riprovazione morale si allargano pessimisticamente a coinvolgere tutto un mondo: l’aspetto ripugnante di Nonio, la tracotanza di Vatinio divengono emblemi della corrotta, degradata vita politica di Roma. La composizione del carme va collocata probabilmente intorno al 55-54 a.C., ultimissimi anni della vita di Catullo, nel periodo cioè immediatamente successivo agli accordi di Lucca fra Cesare e Pompeo (56 a.C.), quando, col rinnovarsi dei patteggiamenti fra i triumviri, che si spartiscono il potere al di fuori e contro gli ordinamenti legali, entra ormai nella fase terminale la crisi dell’assetto costituzionale repubblicano.
Quid est, Catulle? Quid moraris emori? Sella in curuli struma Nonius sedet, per consulatum peierat Vatinius: quid est, Catulle? Quid moraris emori?
1-4 Che fai, Catullo? Perché indugi a morire? Siede Nonio scrofola nella sedia curule, Vatinio spergiura per il suo consolato. Che fai, Catullo? Perché indugi a morire? (trad. di E.V. D’Arbela) Quid... Catulle?: lett. «Che c’è, Catullo?». La vivace movenza colloquiale si può meglio rendere con «E allora, Catullo?», oppure mediante la soluzione, altrettanto valida, adottata dal traduttore. Il pronome interrogativo Quid, in caso nominativo, è soggetto di est; con il vocativo Catulle il poeta rivolge la consueta apostrofe a se stesso. – Quid... emori?: non necessariamente perché Catullo, forse già gravemente ammalato, senta vicina la morte; è sufficiente interpretare la domanda come un’estrema reazione di disgusto. Il secondo quid interrogativo del v. 1 è accusativo avverbiale; moraris, presente indicativo (da moror, a ˉ ri, deponente), regge l’infinito presente emoˉri, (da emorior, deponente della III coniugazione); intensivo e perfettivo di mori, denota l’annientamento totale e definitivo di un individuo: «cancellarsi», «sparire [dal mondo]». – Sella in: anastrofe (= in sella). La sedia o sella curule era un sedile senza spalliera con braccioli e quattro piedi incrociati, ornato
di borchie preziose; era riservato ai più alti magistrati, che vi sedevano nell’esercizio delle proprie funzioni. Nella Roma repubblicana costituiva uno dei più prestigiosi simboli del potere. – struma: «scrofola», un’affezione delle ghiandole linfatiche che provoca bubboni e fistole purulente. Un ributtante difetto fisico, forse addirittura un soprannome («lo scrofoloso»), oppure una metafora (come dire «quella peste di Nonio»). Notevole la scelta del sostantivo, in luogo dell’aggettivo (strumosus) come
ci si aspetterebbe: Nonio è «la scrofola» personificata. – per consulatum: lett. «sul», oppure «in nome del [proprio] consolato». Nel primo caso Vatinio giura «sul» proprio consolato, come si giura su cosa certissima, tanto è sicuro di ottenerlo; nel secondo caso, quasi fosse già insignito della carica, presta giuramento «in nome del» consolato; in ogni caso Catullo intende dire che i giuramenti di Vatinio non possono essere altro che spergiuri. – peierat = perierat, forma sincopata (da perierare, per + iurare).
Denario in argento con la raffigurazione della sella curule, I secolo a.C.
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L’ETÀ DELLA TARDA REPUBBLICA
10. La poesia neoterica e Catullo
LETTURA e INTERPRETAZIONE Struttura e stile del componimento
Il Nonius nominato da Catullo al v. 2 e bollato con il ripugnante epiteto di struma, potrebbe essere Lucio Nonio Asprenate, in seguito legato di Cesare in Africa e in Spagna, che forse aveva raggiunto il grado di
pretore (alto magistrato cui spettava la sella curulis); oppure il pompeiano M. Nonio Sufenate, tribuno della plebe nel 56 a.C., che in ricompensa dei servigi prodigati ai triumviri potrebbe aver conseguito l’edilità curule nel 54. Più sicura l’identificazione di Vatinius (v. 3): si tratta di Publio Vatinio, creatura di Cesare e partigiano di Clodio, tribuno nel 59, pretore nel 55 dopo un’elezione scandalosa nella quale fu preferito a Catone. Nel carme di Catullo leggiamo che in questo momento ostenta, con sfrontata sicumera, di avere già in tasca il consolato; di fatto sarà soltanto consul suffectus nel 47 (dunque dopo la morte di Catullo) e per pochi giorni. Catullo lo attacca in altri due carmi, dove si parla di odio Vatiniano (14, 3) e di Vatiniana... crimina (53, 2-3), in entrambi i casi con riferimento all’amico e poeta novus Licinio Calvo, celebre avvocato notoriamente anticesariano, che sostenne l’accusa in ben tre processi (uno dei quali nel 55) a carico di Vatinio. Contro quest’ultimo resta anche una violenta invettiva di Cicerone (In Vatinium testem, del 56), che lo dipinge come un essere spregevole, fra l’altro dandogli apertamente dello spergiuro.
Analizzare il testo
Confrontare i testi
PERCORSO ANTOLOGICO
La struttura del testo è bilanciata con perfetta misura: si apre e si chiude con due versi identici, che mediante il consueto modulo catulliano del soliloquio esprimono con una sorta di cupo sbigottimento l’indignatio del poeta; al centro, inserite con sapiente disposizione chiastica (Nonius sedet... peierat Vatinius) le due spregevoli figure che ne sono la causa, rese indimenticabili da icastici tocchi descrittivi (il contrasto fra la venerabile immagine della sella curulis e le fattezze di chi la occupa). Il labor limae profuso nella brevissima lirica è testimoniato anche da altri accorgimenti retorico-stilistici: la paronomasia (moraris emori), la figura etimologica (Sella... sedet), posta in risalto dall’anastrofe (Sella in), l’insistente allitterazione in sal v. 2, che culmina al centro del verso con il termine più denso e forte (struma).
Nonio e Vatinio: chi erano costoro?
1. Quale situazione storico-politica fa da sfondo all’invettiva catulliana? 2. Individua puntualmente le figure retoriche e gli artifici stilistici concentrati dal poeta nel serrato giro dei quattro versi, esempio di feroce invettiva politica ma anche di raffinatissimo labor limae.
3. Il carme contro Nonio e Vatinio rappresenta con ogni evidenza un indiretto attacco a Cesare; leggi, oltre al carme 93 [ T27], la feroce invettiva scagliata da Catullo nel carme 29 [ T14 ONLINE] contro Mamurra, illustrando l’atteggiamento del poeta nei confronti dei potenti personaggi che dominano la scena politica a lui contemporanea.
T 21 Invettiva infamante contro Lesbia carme 58 LATINO ITALIANO
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Catullo confida all’amico Celio il proprio sdegno per la dissolutezza di Lesbia: non solo la donna tanto amata, quantum amabitur nulla (8, 5 [ T9]), lo tradisce, ma si concede a tutti come una prostituta d’infimo ordine, frequentando i luoghi più malfamati della città. Il breve componimento è costruito su un potente, calcolato effetto di contrasto fra due momenti antitetici per tono e per linguaggio, il primo intensamente patetico (vv. 1-3), il secondo aggressivamente ingiurioso (vv. 4-5). Nei primi tre versi Catullo, ripetendo con una sorta di doloroso stupore il nome di Lesbia, rievoca la profondità e l’autenticità del suo amore per lei, non diverso da quello che si prova per i propri familiari (v. 3; cfr. 72, 3-4 [ T23]); @ Casa Editrice G.Principato
PERCORSO ANTOLOGICO
tanto più violento per l’intollerabile delusione esplode il furore, che culmina nell’uso di un’espressione dura e triviale (glubit, v. 5). Ma l’invettiva giunge a coinvolgere nella chiusa i costumi corrotti di tutti i cittadini di Roma, indicati sarcasticamente con un’altisonante perifrasi di stile epico (magnanimi Remi nepotes, v. 5). Nota metrica: endecasillabi faleci.
5
5
Caeli, Lesbia nostra, Lesbia illa, illa Lesbia, quam Catullus unam plus quam se atque suos amavit omnes, nunc in quadriviis et angiportis glubit magnanimi Remi nepotes. O Celio, la mia Lesbia, quella Lesbia, la Lesbia che sola Catullo amò più di se stesso e dei suoi cari, ora negli angiporti e nei quadrivii spella la discendenza al grande Remo. (trad. di L. Canali)
1. Caeli: probabilmente un amico veronese, cui si allude anche nel carme 100 del Liber. 4. in quadriviis et angiportis: luoghi
malfamati dove si incontravano abitualmente le prostitute. 5. glubit: espressione metaforica («scortica», «spella») proveniente dal vocabo-
lario dei lavori agricoli, dove significa «scortecciare»; qui impiegata in un’accezione crudamente oscena.
Leggere un TESTO CRITICO Il linguaggio osceno e triviale nel Liber di Catullo Con un’opportuna distinzione, Luca Canali contribuisce a chiarire le diverse funzioni espressive
che il linguaggio osceno e triviale assume nel Liber catulliano.
Catullo sa essere anche scurrile, talora osceno, dedito non di rado al turpiloquio erotico. In proposito, è antica questione se il turpiloquio catulliano sia davvero tale, oppure abbia carattere «scommatico» (cioè «scherzoso»: turpiloquio corrente e desemantizzato, come certe espressioni volgari in uso quotidiano fra i nostri ragazzi e anche fra adulti insospettabili). Credo che si debba distinguere: c’è in Catullo un turpiloquio scommatico, ed è quando il poeta si rivolge con insulti e «parolacce» appunto scherzose ai suoi amici. Ma c’è anche un turpiloquio esplicito, diretto, pesante, quando egli ingiuria i suoi nemici (soprattutto nell’ultima sezione del suo Liber) smascherando, e probabilmente inventando o esagerando, loro pratiche pervertite, e quando frusta i tradimenti della sua amata-odiata Lesbia. (L. Canali, Catullo, in Antologia della poesia latina, Mondadori, Milano 1993, p. 183)
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L’ETÀ DELLA TARDA REPUBBLICA
10. La poesia neoterica e Catullo
T 22
La Chioma di Berenice
carme 66
ONLINE
T 23 Amare e bene velle carme 72
PERCORSO ANTOLOGICO
LATINO
Nota metrica: distici elegiaci.
Una delle più memorabili antinomie catulliane è quella che si instaura nella chiusa epigrammatica di questa lirica fra amare e bene velle, sottolineata dalla secca contrapposizione magis... minus e dallo stesso andamento metrico-ritmico del pentametro, vistosamente bipartito dalla cesura. Ma tutto il discorso poetico si snoda attraverso forti antitesi, in primo luogo quella fra il passato (quondam... tum, vv. 1-3) e il presente (Nunc, v. 5), come accade nel carme 8 [ T9]. Catullo, credendo alle vane promesse di Lesbia (Dicebas..., v. 1), aveva voluto stabilire con lei un nuovo legame amoroso, concepito come un vero e proprio foedus o patto sacro e inviolabile, fondato sulla fides e affidato alla protezione degli dèi (cfr. 109 [ T30] e 76 [ T24]): un amore nel quale potessero trovare una conciliazione da una parte la passionalità erotica (amare), caratteristica delle libere relazioni extraconiugali, dall’altra un sentimento più profondo, serio, duraturo, di tenero affetto e di stima (bene velle), quale si prova per i propri familiari e per gli amici più cari (cfr. 30 [ T15]). Ma la delusione cocente (Nunc te cognovi..., v. 5), ovviamente causata dai tradimenti della puella, ha provocato nuovamente la scissione tra le due componenti del suo amore. Così Catullo, analizzando lucidamente le proprie reazioni interiori, avverte una lacerante, “impossibile” contraddizione (cfr. 85 [ T25]): il desiderio sensuale, lungi dall’affievolirsi, divampa più sfrenatamente, ma è venuto meno l’affetto, e al suo posto subentra il disprezzo (vv. 5-6). Il discorso poetico si snoda lento e pacato, pervaso di contenuta quanto intensa amarezza, attraverso distici in sé conclusi; solo un poco più mosso nell’ultimo, con l’improvviso scatto della domanda, che si può immaginare posta da Catullo a se stesso, ovvero da un ipotetico interlocutore, o ancora da Lesbia stessa (v. 7). D’altra parte il carme è vistosamente scandito in due sequenze di identica ampiezza; il brusco passaggio dalla prima alla seconda è segnato da Nunc (v. 5), contrapposto a quondam (v. 1) e a tum (v. 3) secondo un modulo familiare ai lettori di Catullo.
Dicebas quondam solum te nosse Catullum, Lesbia, nec prae me velle tenere Iovem. Dilexi tum te non tantum ut vulgus amicam, sed pater ut gnatos diligit et generos.
1-2 Dicevi un tempo di amare soltanto Catullo, o Lesbia, e di non volere in vece mia stringere fra le braccia neppure Giove. nosse: forma contratta per novisse, «conoscere», eufemismo del linguaggio erotico per «conoscere carnalmente». Allo stesso modo tenere (v. 2) vale «possedere», «stringere fra le braccia». Dicebas regge le due infinitive oggettive (nosse e velle, soggetto te). – Iovem: accusativo di Iuppiter, l’amante, il seduttore per eccellenza del mito e della letteratura;
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l’espressione implica pertanto un’iperbolica promessa di fedeltà a oltranza da parte di Lesbia. Si osservi la collocazione parallela in fin di verso dei nomi propri (Catullum/ Iovem). 3-4 Allora ti amai, non come il volgo [ama] l’amante, ma come il padre ama i figli e i generi. Dilexi: diligo può indicare tanto l’amore sensuale quanto l’amorosa predilezione nei confronti dei familiari e degli amici (infatti diligit al v. 4, detto dell’amore di un padre). Si noti nei primi due distici @ Casa Editrice G.Principato
l’allitterazione dei verbi in posizione incipitaria (Dicebas/ Dilexi). – vulgus: gli uomini comuni, la gente qualsiasi. – amicam: altro eufemismo erotico, comunissimo anche nelle lingue neolatine, non di rado con una sfumatura spregiativa. – pater ut: anastrofe (ut pater). – gnatos: forma arcaica e familiare per natos. In antitesi, evidenziata dalla collocazione parallela nel distico i soggetti (vulgus/ pater) e i complementi oggetto (amicam/ gnatos...et generos).
PERCORSO ANTOLOGICO
5
Nunc te cognovi; quare etsi impensius uror, multo mi tamen es vilior et levior. Qui potis est? inquis. Quod amantem iniuria talis cogit amare magis, sed bene velle minus.
5-6 Ora ti ho conosciuta; e per questo, anche se brucio più forte, tuttavia sei per me molto più vile e leggera. quare: nesso relativo = et ea re. – etsi... uror: subordinate concessiva in dipendenza da es... levior. La scelta del verbo uror (forma passiva con valore mediale da uro, ĕre), rafforzato da impensius, sottolinea il divampare più forte del desiderio. – impensius: comparativo dell’avverbio impense («più forte», «più vivamente»). – multo mi... levior: costruisci tamen mi (= mihi) es multo vilior et levior, «tuttavia mi sei di molto minor pregio e peso», «sei per me molto meno preziosa e importante»; multo è ablativo di misura. Ai comparativi del distico (impensius, vilior, levior) è sottinteso un termine di paragone comune: «di prima», «di allora». 7-8 Com’è possibile? dici. Perché una tale offesa costringe ad amare di più, ma a voler bene di meno. Nel distico conclusivo, articolato come un brevissimo dialogo in due battute (domanda e risposta), giunge al culmine, secondo la tecnica della chiusa epigrammatica, la serrata sequenza di antinomie che percorre tutto il componimento. Qui potis est?: interrogativa diretta introdotta da quıˉ (= quomodo), forma ar-
Analizzare il testo
caica dell’ablativo di qui (quae, quod). – potis: aggettivo (potis, pote), per lo più attestato nelle locuzioni con il verbo sum. Propriamente potis è maschile e femminile, pote neutro; ma, come si vede, Catullo non mantiene la distinzione di genere e usa potis davanti a vocale, pote davanti a consonante, secondo un criterio esclusivamente eufonico. – Quod... cogit: proposizione causale (la risposta) con la congiunzione quod e l’indicativo cogit (da cogo, ĕre), che regge i due infiniti (amare; velle, v. 8). – iniuria: soggetto di cogit; termine del linguaggio giuridico, indicante una violazione del diritto (in + ius).
Affresco raffigurante una donna con volumen, I secolo d.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
1. Qual è la figura retorica dominante nel testo? Individua tutti i luoghi in cui ricorre, analizzando e commentando caso per caso le espressioni e i termini impiegati dal poeta. 2. Rintraccia gli omoteleuti e le allitterazioni, spiegandone la funzione espressiva. 3. Due forme verbali, nosse (v. 1) e cognovi (v. 5) derivano dalla stessa radice (nosco, ĕre). Dopo averle analizzate a livello grammaticale e sintattico, spiegane i diversi significati nel contesto del carme.
Confrontare i testi
4. Sviluppa un confronto fra questo componimento e altri due carmi catulliani, 87 [ T26 ONLINE] e 109 [ T30]), pure incentrati, con sfumature diverse, sul motivo del foedus amoroso. Si richiamano l’un l’altro mediante il ricorso di parole-chiave, situazioni ed immagini? Si possono, almeno in determinati casi, disporre in un’ideale successione cronologica?
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L’ETÀ DELLA TARDA REPUBBLICA
10. La poesia neoterica e Catullo
T 24 Invocazione agli dèi carme 76 LATINO
PERCORSO ANTOLOGICO
ITALIANO
Nota metrica: distici elegiaci.
Catullo, esaminando la propria vita e le proprie azioni passate, può affermare in piena coscienza di aver sempre osservato i sacri doveri della pietas e della fides; ha dunque la certezza di potersi aspettare in futuro la ricompensa di molte «incolumi gioie» (multa... gaudia, vv. 5-6) per le lunghe sofferenze di quel suo amore mal corrisposto (vv. 1-9). Ma sente, insieme, che quelle sofferenze non appartengono ancora al passato, che ancora deve esortare se stesso a lottare e vincere – a tutti i costi – contro la sua tormentosa passione (vv. 10-16). Il motivo dell’amore-tormento, lo sdoppiamento di sé nel dialogo-soliloquio, l’autoesortazione ci riportano al carme 8 [ T9]; ma sono lontanissime ormai le tenaci, se pur intermittenti, illusioni, la gelosia, le rievocazioni nostalgiche dei candidi soles, dei convegni d’amore. Lo scavo psicologico qui scende a maggiori profondità, toccando una consapevolezza nuda ed essenziale: quella della propria debolezza e fragilità. Catullo scopre definitivamente, con assoluta chiarezza, di non essere in grado con le sue sole forze di liberarsi da quello che ormai è soltanto un «orribile morbo»; si rivolge dunque, con uno scatto improvviso di straordinaria intensità (v. 17), alle potenze superiori, agli dèi: li invoca con la gravità delle solenni cadenze rituali, chiedendo alla loro misericordia di essere strappato al suo tormento. Nient’altro: ma egli sa di meritare quel soccorso, anzi, di poterlo legittimamente rivendicare «in cambio della sua devozione». Che l’uomo pius abbia il diritto di appellarsi agli dèi è una convinzione che ha radici antiche: profonda e ancestrale, sta nel cuore della religiosità romana.
Si qua recordanti benefacta priora voluptas est homini, cum se cogitat esse pium, nec sanctam violasse fidem, nec foedere nullo divum ad fallendos numine abusum homines, 5 multa parata manent tum in longa aetate, Catulle, ex hoc ingrato gaudia amore tibi. Se all’uomo è dolce il ricordo del bene compiuto, quando sente di essere giusto, di non avere mai infranto la parola inviolabile, e di non avere abusato del Nume divino, nei patti, ad inganno degli uomini, 5 ti restano incolumi gioie nel tempo avvenire, o Catullo, superstiti a questa per te sventurata passione.
1-2. Si qua... homini: è stata rilevata una certa analogia con l’etica epicurea, richiamata dalla parola-chiave voluptas, il «piacere», che si identifica appunto, al di là delle deformazioni dell’epicureismo “volgare”, con il recte facere. Ma il concetto può benissimo appartenere a un patrimonio tradizionale di moralità e di saggezza pratica, indipendentemente da precisi influssi filosofici. 2. pium: è detto pius colui che è esente da colpe, che adempie consapevolmente i propri doveri, regolati da precise e inderogabili norme, nei confronti degli dèi
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e degli uomini. Il traduttore rende pius con «giusto» e pietas, parola tematica su cui si chiude circolarmente il carme (v. 26), con «devozione», mentre usa invece il termine italiano «pietà» (v. 17) in un significato più ristretto, quello immediatamente familiare ai nostri contemporanei («misericordia», «compassione»), traducendo misereri. 3. sanctam fidem... foedere: termini-chiave del linguaggio giuridico-sacrale romano, come fallendos da fallere nel verso successivo (cfr. 30 [ T15] e 109 [ T30 ]). – nec... nullo: la doppia @ Casa Editrice G.Principato
negazione in questo caso non dà luogo a un’affermazione (come nel latino letterario classico); si tratta di un’espressione pleonastica con valore rafforzativo, caratteristica del linguaggio colloquiale. 4. numine: numen è propriamente il «cenno» (da nuere, verbo che indica il gesto di assentire col capo) mediante il quale si manifesta la volontà divina, e dunque la «santità», l’«autorità» degli dèi. 5. in longa aetate: l’aggettivo ha probabilmente una sfumatura concessiva («per tutto il tempo della tua vita, per quanto lunga possa essere»).
PERCORSO ANTOLOGICO
Nam quaecumque homines bene cuiquam aut dicere possunt aut facere, haec a te dictaque factaque sunt; omnia quae ingratae perierunt credita menti. 10 Quare cur te iam amplius excrucies? Quin tu animo offirmas atque istinc teque reducis et dis invitis desine esse miser? Difficile est longum subito deponere amorem. Difficile est, verum hoc qua lubet efficias. 15 Una salus haec est, hoc est tibi pervincendum; hoc facias, sive id non pote sive pote. O di, si vestrum est misereri, aut si quibus unquam extremam iam ipsa in morte tulistis opem, me miserum aspicite et, si vitam puriter egi, 20 eripite hanc pestem perniciemque mihi, quae mihi subrepens imos ut torpor in artus expulit ex omni pectore laetitias.
Quanto un uomo, difatti, può compiere o dire di bene, tu l’hai detto o compiuto. Ma tutto, invano affidato ad un animo ingrato, è perito. 10 Perché dunque continui ad accrescere l’antico tormento, e non rendi più fermo il tuo animo, e non ti ravvedi, e non smetti di vivere in pena, malgrado il volere divino? È difficile deporre ad un tratto una lunga passione. È difficile, ma devi riuscirvi a ogni costo. 15 Questa è la sola salvezza, questa la tua grande vittoria. Tenta l’impresa, possibile o perduta che sia. O dèi, se la pietà vi si addice, e se mai concedeste ad alcuno nell’ora della morte un estremo soccorso, guardate me pure infelice, e se la mia vita fu pura, 20 strappatemi a questo male che mi consuma e come letargo si insinua in ogni fibra del corpo disperdendo tutte le gioie dal profondo dell’animo.
10. excrucies: cfr. 85, 2 [ T25]. Si noti qui la scelta della forma verbale attiva. 11. Quin... offirmas: cfr. obstinata mente perfer, obdura in 8, 11 [ T9]; notevoli anche le coincidenze lessicali fra i due componimenti: desine... miser (v. 12) / Miser... desinas (8, 1). 13. deponere: «metter giù», come un peso che schiaccia e affatica (cfr. 31, 8 [ T16]).
16. pote: sottintende est (o es); questa forma si trova in libera alternanza con potis, presente al v. 24 (cfr. anche 72, 7 [ T23]). 17. si vestrum est... si quibus: il si non mette in dubbio, ma afferma; si tratta di un movimento dello stile liturgico, caratteristico degli inni e delle preghiere agli dèi, in cui, dopo l’invocazione (O di), alle vere e proprie richieste di soc@ Casa Editrice G.Principato
corso (me miserum aspicite... eripite... mihi, vv. 19-20) si fa precedere l’elencazione delle prerogative divine (una variante più comune è la serie dei relativi, secondo lo schema «O tu che...»: si veda il celeberrimo inno a Venere che apre il poema di Lucrezio [ T1, cap. 11]). 21-22. subrepens... laetitias: icastica rappresentazione della patologia amorosa, da collegare alle contigue scelte
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L’ETÀ DELLA TARDA REPUBBLICA
10. La poesia neoterica e Catullo
Non iam illud quaero, contra ut me diligat illa, aut, quod non potis est, esse pudica velit; 25 ipse valere opto et taetrum hunc deponere morbum. O di, reddite mi hoc pro pietate mea. Non chiedo già questo, che lei ricambi il mio amore, o, ciò che è impossibile, voglia divenire pudica; 25 sono io che voglio guarire e liberarmi di questo orribile morbo. O dèi concedetemi questo, in cambio della mia devozione. (trad. di L. Canali) lessicali addensate intorno al campo semantico del morbus, della «malattia»: pestem perniciemque (v. 20), valere e so-
prattutto taetrum... morbum (v. 25). Per questo aspetto cfr. 51, vv. 9-12 [ T19]; va detto inoltre che l’assimilazione
dell’amore a una malattia diventerà un topos ampiamente sviluppato e variato nell’elegia augustea.
PERCORSO ANTOLOGICO
T 25 Odi et amo carme 85 LATINO
Nota metrica: distico elegiaco.
Forse il carme più famoso del Liber, che concentra in una sintesi di folgorante brevità e potenza espressiva il dissidio interiore di Catullo, lacerato fra i due sentimenti opposti e inconciliabili, ma paradossalmente compresenti, dell’odio e dell’amore. Non si tratta di uno sfogo, di un grido incontrollato: il poeta si rivolge a un immaginario interlocutore ricalcando il serrato andamento dimostrativo di un dialogo filosofico (affermazione – interrogazione – risposta dubitativa – nuova e conclusiva affermazione). Né sostantivi, né aggettivi: lucido e rigoroso nello scavo autoanalitico, evitando qualsiasi riferimento alle circostanze esteriori, Catullo sceglie qui di impiegare soltanto verbi (le azioni, i modi dell’essere). Tuttavia, il risultato dell’indagine non è una (impossibile) spiegazione, né l’approdo a un filosofico dominio delle passioni, ma la nuda constatazione di un’acuta sofferenza che lo attraversa e lo invade totalmente, preda di forze misteriosamente incontrollabili. In questo senso è significativo il passaggio dalle forme verbali attive (Odi et amo; faciam, v. 1) a quelle passive (fieri; excrucior, v. 2).
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
1-2 Odio e amo. Chiederai forse come ciò sia possibile. Non lo so, ma sento che accade [proprio così], e mi tormento. Odi: da odi, odisse, verbo difettivo; la forma del perfetto è utilizzata con valore di presente. – Quare id faciam: interrogativa indiretta dipendente da requıˉris; lett. «perché io faccia questo». Nella traduzione proposta (in particolare la soluzione adottata per questa frase, «come ciò sia possibile», si deve a Quasimodo) va perduta quella che è forse la svolta determinante del discorso, il passaggio attivo/ passivo (faciam/ fieri), a favore di una
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più agevole comprensione del concetto nella lingua italiana. Del resto, la densità e la complessità del testo, apparentemente così chiaro e lineare, sono tali che qualsiasi scelta di traduzione comporta in pratica una perdita di significato o un parziale travisamento. – requiris: presente indicativo da requıˉ ro, «tu chiedi». Varie le interpretazioni di questa seconda persona (un amico, la donna amata, un «tu» retorico e impersonale), ma sembra di ravvisarvi piuttosto uno sdoppiamento introspettivo dell’io (l’io che razionalmente analizza e indaga; l’io che sente e soffre), quale si riscontra in altri
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componimenti catulliani, ad esempio 8 [ T9] e 76 [ T24]. – excrucior: il distico culmina e si chiude su questa parola dai suoni aspri e duri, prolungati e faticosi, che letteralmente significa «sono posto in croce», estensivamente «sono torturato», supplizi crudeli e infamanti di norma riservati agli schiavi; per questo alcuni commentatori vogliono vedervi un’allusione al servitium amoris. Peraltro il termine, che troviamo anche nel già citato carme 76 (excrucies, v. 10 [ T24]), non sembra appartenere al linguaggio erotico della poesia neoterica, mentre ricorre più volte nei testi dei comici.
PERCORSO ANTOLOGICO
Dialogo con i MODELLI L’inquietante ambiguità dell’amore Il motivo dell’ambiguità insondabile dell’amore compare nei testi lirici greci fin dai tempi più remoti: già Saffo (VII-VI secolo a.C.) parla di «Eros che scioglie le membra [...] dolceamara invincibile fiera» (trad. di R. Cantarella). Più precisamente, il dissidio interiore provocato dalla passione amorosa trova espressione nei versi di Anacreonte (VI a.C.) [a] e del suo contemporaneo Teognide [b]; il motivo ritorna, più di quattrocento anni dopo, in un epigramma di Meleagro per Eliodora [c]. Nessuno, tuttavia, raggiunge la drammatica profondità di Catullo, che non si limita a constatare l’alternanza o la compresenza contraddittoria di odio e amore, ma esprime la consapevolezza di un sentimento bifronte, inquietante nella sua ineludibile, non superabile ambiguità.
[a]
Amo di nuovo, non amo e folle sono, non folle. (Anacreonte, fr. 46 Gentili; trad. di B. Gentili)
[b] Il
mio cuore è in pena per amor tuo: non posso né odiarti né amarti e capisco com’è difficile odiare quando c’è un vincolo d’affetto, ma com’è difficile amare chi rifiuta. (Teognide, Elegie 1091-1094; trad. di F. Ferrari)
[c]
La mia anima mi dice di fuggire l’amore di Eliodora, perché sa la gelosia, le lacrime d’un tempo. Dice, ma io non ho la forza di fuggire. Essa m’avverte. Vero! Ma poi senza pudore nello stesso tempo l’ama. (Meleagro, Antologia Palatina V, 24; trad. di S. Quasimodo)
Analizzare il testo
1. Osserva la disposizione dei verbi nel componimento: vi si riconosce una calcolata simmetria strutturale? Secondo quale tipo di gradazione retorica, rispettivamente nell’esametro e nel pentametro? I verbi che esprimono la domanda e la risposta sono situati in una posizione particolare? In vista di quali effetti espressivi? 2. Distingui i verbi di forma attiva e passiva: il passaggio dall’una all’altra appare significativo? Motiva la tua risposta.
T 26
«Nessuna donna può dire...»
Interpretare il testo
3. L’indagine introspettiva di Catullo perviene infine a una spiegazione razionale o comunque a una positiva acquisizione? 4. Si è detto (cfr. nota a requiris) che l’impiego della seconda persona in questo carme rappresenta verosimilmente uno sdoppiamento dell’io, richiamando per questo aspetto altri componimenti dello stesso Catullo. Verifica tale proposta interpretativa mediante precisi confronti intertestuali.
carme 87
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ONLINE
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L’ETÀ DELLA TARDA REPUBBLICA
10. La poesia neoterica e Catullo
T 27 A Cesare carme 93 LATINO
PERCORSO ANTOLOGICO
Nota metrica: distico elegiaco.
Si è congetturato che il carme costituisca una sorta di sprezzante risposta a un tentativo di riconciliazione da parte di Cesare, reiteratamente colpito insieme ai suoi seguaci, soprattutto il favorito Mamurra, dagli aggressivi e infamanti epigrammi di Catullo. Sappiamo da Svetonio che Cesare non si diede la pena di reagire e che continuò tranquillamente ad intrattenere i rapporti di amicizia e di antica ospitalità che lo legavano alla famiglia paterna del poeta. Ebbe luogo poi un riavvicinamento, sempre secondo la testimonianza di Svetonio, tanto è vero che Catullo nel carme 11 [ T11] sembra voler fare ammenda, ricordando con ammirata solennità (purché l’accenno non sia ancora una volta ironico) le imprese del grande Cesare in Britannia (Caesaris... monimenta magni, v. 10). Ad ogni modo, in questo tagliente distico Catullo esprime un assoluto distacco, che non riguarda soltanto la persona di Giulio Cesare, ma che coinvolge indirettamente tutto il mondo dei negotia, della politica, delle lotte per il potere, guardato con insofferenza e disgusto da uno spirito ribelle alle convenzioni e immune dall’opportunismo, che ha saputo tracciare per sé e per i propri simili e fraterni amici lo spazio nuovo di un’individualistica indipendenza.
Nil nimium studeo, Caesar, tibi velle placere, nec scire utrum sis albus an ater homo.
1-2 Non troppo m’importa, o Cesare, di voler piacerti, né di sapere se sei bianco o nero. Anche qui un solo, lapidario distico: lo sdegnoso rifiuto di Catullo viene efficacemente sottolineato dall’esclusivo ricorso ad espressioni in forma negativa, situate, in posizione di forte rilievo, all’inizio di entrambi i versi (Nil nimium; nec scire). Nil nimium: letteralmente «non troppo»; in realtà, con litote di valore ironico,
Analizzare il testo
«niente affatto». Nil = nihil, qui in funzione di congiunzione negativa (non). – studeo... velle: espressione ridondante. Non si può tuttavia affermare che velle sia pleonastico, in quanto definisce con precisione l’atteggiamento volitivo e indipendente di Catullo; s’intende che l’allusione, carica di disprezzo, va a colpire la moltitudine di coloro che facevano a gara per ingraziarsi Cesare. – utrum sis... an ater: interrogativa indiretta disgiuntiva, con le due proposizio-
1. Ricerca nel testo gli aggettivi. Sono riferiti alla persona di Cesare? 2. Sono presenti nel carme 93 espressioni in forma negativa? Qual è la loro funzione espressiva? 3. Analizza il distico sul piano sintattico: è formato da uno o più periodi? E di quali proposizioni si compone?
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ni introdotte rispettivamente dalle particelle interrogative utrum... an. – albus an ater: locuzione proverbiale che esprime assoluta indifferenza ed estraneità, in linea di massima priva di implicazioni morali, usata anche da Cicerone in una delle orazioni Philippicae (II, 16, 41): Et quidem vide quam te amarit is qui albus aterne fuerit ignoras («E considera bene che grande affetto nutrisse per te un uomo di cui ignori perfino se era bianco o nero [= che non conoscevi affatto]»).
Interpretare il testo
4. Nella sua lapidaria brevità, il carme a Cesare esprime con precisione e con notevole ricchezza di implicazioni l’atteggiamento del poeta, non soltanto nei confronti del potente personaggio, ma di tutto un mondo. Cerca di delinearlo, anche alla luce di una tua più ampia conoscenza della poesia catulliana.
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PERCORSO ANTOLOGICO
T 28 Per la Zmyrna di Cinna carme 95 LATINO ITALIANO
Nota metrica: distici elegiaci.
Anche in Roma si era ormai diffusa l’usanza, viva nel mondo letterario ellenistico, di annunciare la pubblicazione di un’opera nuova con un omaggio poetico: così avevano fatto Callimaco per i Fenomeni di Arato, Ticida per la Lydia di Valerio Catone, Cinna per la Dictynna dello stesso Catone; così Properzio saluterà la nascita dell’Eneide. Catullo continua la tradizione celebrando qui l’attesissima Zmyrna dell’amico Cinna, finalmente uscita (denique... edita, vv. 1-2) dopo un laboriosissimo travaglio compositivo durato ben nove anni; ma coglie insieme l’occasione per tracciare un «manifesto» dell’alessandrinismo romano e ribadire polemicamente, attraverso una serie di aggressive contrapposizioni (cum interea, v. 3; At... at, vv. 7 e 10), i fondamentali princìpi di poetica – brevitas e labor limae – professati nella cerchia neoterica. L’epillio di Cinna viene così presentato come un esempio di autentica poesia per raffinati intenditori: di limitata estensione (v. 9), squisitamente e lungamente cesellato sul piano formale, dotto e “difficile” in quanto ricco di erudizione (si dice che la Zmyrna, famosa per la sua astrusa oscurità, fosse praticamente illeggibile senza l’ausilio di ponderosi commenti), e perciò destinato a godere, secondo l’augurio formulato da Catullo, di grande fortuna presso innumerevoli generazioni (vv. 5-6). Per contro, le opere degli attardati seguaci della poesia epico-storica tradizionale, prolisse e trasandate stilisticamente, ripetitive e inattuali nei contenuti, che oggi purtroppo riscuotono il plauso del grosso pubblico ignorante (v. 10), sprofonderanno ben presto, e ingloriosamente (vv. 7-8), nell’oblio.
Zmyrna mei Cinnae nonam post denique messem quam coepta est nonamque edita post hiemem, milia cum interea quingenta Hortensius uno ................................... La Smirna del mio Cinna esce infine, dopo nove estati e nove inverni da che fu iniziata; frattanto Ortensio (scrive) mezzo milione (di versi) in un solo (anno) ..............................
1. Zmyrna: epillio composto a quanto pare fra il 66 e il 57; vi si narrava l’amore incestuoso di Smirna o Mirra per il padre Cinira, re di Cipro, da cui nacque Adone, e la sua prodigiosa trasformazione nell’albero della mirra. La storia di Mirra, uno di quei miti esotici e morbosamente passionali prediletti dal gusto ellenistico (e neoterico), venne ripresa e ampiamente sviluppata soprattutto da Ovidio nel X libro delle Metamorfosi (vv.
298-518). Una terzina dantesca ricorda con folgorante rapidità «Mirra scellerata» nel XXX dell’Inferno (vv. 37-39); Alfieri ne farà la protagonista dell’ultima sua tragedia (Mirra, 1787). La grafia prescelta per il nome-titolo (con Z, lettera estranea all’alfabeto latino, al posto di S) rispecchia il gusto grecizzante dei poetae novi. – Cinnae: Elvio Cinna, poe ta neoterico e intimo amico di Catullo. – messem: metonimia per aestas. @ Casa Editrice G.Principato
3. Hortensius: verosimilmente Q. Ortensio Ortalo (114-50 a.C.), il celebre oratore avversario e poi amico di Cicerone, autore di carmina e, sembra, di un poema epico, composto in gioventù, sulla guerra sociale. A Ortalo, nondimeno, Catullo dedica con amichevole cortesia il carme 65. 4. Il pentametro è caduto: ne sono state proposte varie e ingegnose integrazioni, ma il senso appare, anche così, sufficientemente chiaro.
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L’ETÀ DELLA TARDA REPUBBLICA
10. La poesia neoterica e Catullo
5 Zmyrna cavas Satrachi penitus mittetur ad undas, Zmyrnam cana diu saecula pervoluent. At Volusi annales Paduam morientur ad ipsam et laxas scombris saepe dabunt tunicas. Parva mei mihi sint cordi monumenta <sodalis>, 10 at populus tumido gaudeat Antimacho.
La Smirna giungerà fino alle acque profonde del Sàtraco; la Smirna leggeranno a lungo i secoli canuti. Ma gli annali di Volusio moriranno subito lì, vicino a Padova, e daranno spesso larghi involucri agli sgombri. Mi stiano nel cuore i brevi carmi del mio amico, il volgo si goda finché vuole il gonfio Antimaco.
PERCORSO ANTOLOGICO
5. Satrachi: nome di un fiume e di una città dell’isola di Cipro. – cavas... undas: altri intende, per enallage, «le sponde profondamente incassate», ovvero «le onde che scavano profondamente le rive». 6. cana: i secoli futuri (o «le generazioni», «le età») sono detti «canuti», cioè invecchiati, con ardita metafora antropomorfica, per il lungo trascorrere del tempo. 7. Volusi annales: opera-emblema dell’epica tradizionale di stampo enniano: vengono irrisi
ancor più pesantemente in 36, 1 e 20 (Annales Volusi, cacata charta [ T17 ONLINE] ). – Paduam: nome volgare di Patavium, la città di Padova, passato poi nell’italiano; secondo altri, denominazione di un ramo del Po (Padus). 8. laxas: non occorrerà economizzare la carta, data la lunghezza dell’opera di Volusio! – scombris: non a caso Catullo sceglie un pesce assai comune, di qualità non troppo fine.
10. Antimacho: è probabile che qui Catullo intenda definire l’oscuro Volusio, per antonomasia, «l’Antimaco romano». Antimaco di Colofone (V-IV sec. a.C.) scrisse un vasto poema epico, la Tebaide, e una raccolta di elegie, Lyde. Lodato da Platone, fu invece duramente attaccato da Callimaco, che per la Lyde parlò di «scrittura grossa» (di qui forse tumido) e «non perspicua».
T 29 Sulla tomba del fratello carme 101 LATINO
LETTURA METRICA
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Insistente ritorna nella poesia di Catullo il doloroso rimpianto per il fratello rapito da una morte prematura nella lontana Troade: «con te è sepolta tutta la nostra casa, con te perirono tutte le nostre gioie» (68a, 22-23; cfr. anche 65, 5-14). L’amorosa devozione per il fratello è un aspetto della pietas romana di Catullo, del suo senso religioso degli affetti e dei legami familiari che ora lo conduce, oltre le distese del mare, in una terra remota e straniera, a rendere finalmente l’estremo omaggio alle ceneri del congiunto, seguendo scrupolosamente il rito ancestrale (prisco... more parentum, v. 7). In questa lirica, che è stata definita una breve elegia funebre, Catullo si rivolge al fratello perduto con parole cariche di pathos che esprimono lo strazio del distacco (vv. 5-6; 9) e il senso desolato di un vuoto, di un’irrimediabile assenza (et mutam nequiquam alloquerer cinerem, v. 4). Ma a queste si intrecciano altre, antiche parole, che rimandano al linguaggio della tradizione sacrale (inferiae, v. 2 e v. 8; munus, v. 3 e v. 8); il carme si chiude con il saluto rituale (ave atque vale) che per tre volte risuonava alla fine dei funerali romani, quando, composte le ceneri nel sepolcro, i parenti davano al defunto l’estremo addio. @ Casa Editrice G.Principato
PERCORSO ANTOLOGICO
Multas per gentes et multa per aequora vectus advenio has miseras, frater, ad inferias, ut te postremo donarem munere mortis et mutam nequiquam alloquerer cinerem, 5 quandoquidem fortuna mihi tete abstulit ipsum, heu miser indigne frater adempte mihi.
1-2 Trasportato attraverso molte genti e molti mari sono giunto, o fratello, a [recarti] queste tristi offerte funebri. Multas per... vectus: le due espressioni parallele, accusativi di moto attraverso luogo con anastrofe della preposizione per e il poliptoto multas/ multa, insieme alla forma passiva vectus (participio perfetto da veho, letteralmente «trasportato» ma anche «trascinato», «sbattuto»), sottolineano la durata e i disagi della lunghissima navigazione. Il participio si riferisce per zeugma ad entrambi i sostantivi (gentes... aequora). – advenio: presente indicativo con valore di perfetto («sono arrivato», «eccomi qua», espressione ricorrente nella commedia); nelle due finali coordinate che da esso dipendono troviamo infatti il congiuntivo imperfetto (donarem... alloquerer, vv. 3-4). – has... ad inferias: anastrofe e iperbato (= ad has miseras inferias [ferendas]). Propriamente inferiae sono le offerte (da infero, in + fero) ai Mani dei defunti; miser è epiteto ricorrente per ciò che attiene alla morte, e vale «triste», «dolente» qui in senso attivo (cioè tale da suscitare tristezza). Catullo si reca a visitare il sepolcro del fratello verosimilmente durante il viaggio di ritorno dalla Bitinia, non lontana dalla Troade; ma l’incipit dilata indefinitamente, in una prospettiva interiore e tutta soggettiva, il triste pellegrinaggio, riecheggiando, come ha notato G.B. Conte, l’inizio dell’Odissea: «Narrami, o Musa, dell’eroe multiforme, che tanto/ vagò, dopo che distrusse la sacra rocca di Troia:/ di molti uomini vide le città e conobbe i pensieri,/ molti dolori patì sul mare nell’animo suo» (trad. di G. Privitera). Il filo della memoria poetica passerà poi attraverso il VI dell’Eneide, nelle parole di Anchise ad Enea: «Quas ego te terras et quanta per aequora vectum/ accipio («Per quali terre, per quanto mar trascinato/ t’accolgo», vv. 692-93; (trad. di R. Calzecchi Onesti), giungendo, come si sa, al Foscolo del sonetto In morte del fratello Giovanni.
3-4 per tributarti l’estremo omaggio di morte [= dovuto alla morte] e parlare invano alla [tua] muta cenere. ut... donarem: subordinata finale; il verbo dono è costruito con l’accusativo della persona (te) e l’ablativo della cosa (postremo... munere). – postremo: l’aggettivo significa «ultimo», «estremo», ma anche «tardivo»; al fratello, morto da tempo lontano dalla patria, non erano stati ancora resi gli onori funebri secondo il rituale romano. – mutam... cinerem: in latino cinis è prevalentemente di genere maschile; la scelta del femminile si richiama al gusto neoterico per le forme rare e ricercate. Si noti in questo distico l’insistita allitterazione in m. L’antitesi fra mutam e alloquerer è messa in rilievo dall’iperbato e dal lungo avverbio nequiquam al centro del verso: di fronte al vuoto e al silenzio irreparabile della
morte, il colloquio si configura in realtà come un desolato monologo, ed esprime la profonda consapevolezza della vanità del rito, nello stesso tempo, peraltro, sentito come necessario e dovuto in nome della pietas, uno dei valori più alti e radicati nella tradizione romana. Forse soltanto la parola poetica può riallacciare i legami infranti dalla morte e ricostituire, a suo modo, il “colloquio impossibile”: si veda l’insistente ricorrere e intrecciarsi nel componimento catulliano dei pronomi personali “tu” ed “io” (te, mihi, tete...) e del vocativo frater. 5-6 dal momento che la sorte mi ha portato via te, proprio te, ahimè, infelice fratello, ingiustamente strappatomi. quandoquidem: congiunzione causale, è un termine arcaico e del linguaggio colloquiale. – tete: rafforzativo di te mediante raddoppiamento, a sua volta in-
Affresco raffigurante un paesaggio marino con navi, I secolo d.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
Nota metrica: distici elegiaci.
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L’ETÀ DELLA TARDA REPUBBLICA
10. La poesia neoterica e Catullo
PERCORSO ANTOLOGICO
Nunc tamen interea haec prisco quae more parentum tradita sunt tristi munere ad inferias, accipe fraterno multum manantia fletu, 10 atque in perpetuum, frater, ave atque vale.
tensificato da ipsum e dall’accostamento a mihi, ripetuto quest’ultimo nella chiusa del v. 6, a sottolineare lo strazio del distacco. – abstulit... adempte: sono due verbi (il primo da aufero, il secondo da adı̆mo, ĕre) di significato affine: «strappare», «portar via», entrambi costruiti con il dativo (mihi). – heu... indigne: all’esclamazione di doloroso lamento (heu) seguono l’aggettivo miser, questa volta a indicare l’infelice sorte di colui al quale è toccata una morte prematura, e l’avverbio indigne, che ricorre sovente nelle epigrafi funerarie appunto nei casi di morte in età giovanile o in circostanze tragiche; una sorta di vana rivolta contro quella che appare un’ingiustizia della sorte. In questi versi il pathos controllato e sommesso dei primi due distici lascia evidentemente il posto a uno sfogo doloroso di emotività più intensa e diretta. Analoghe, talora pressoché identiche, espressioni di dolore e di compianto per la sorte del fratello ricorrono altrove nel liber catulliano: nel carme 65 ereptum nostris... oculis («strappato dagli occhi nostri», v. 8) e nel carme 68 Ei misero frater adempte mihi, / ei misero fratri
iocundum lumen ademptum («Ahimé fratello tolto a me infelice, ahi gioconda luce tolta a te infelice fratello», vv. 52-53; trad. di E. D’Arbela) 7-10 Ora intanto comunque accogli queste [offerte] grondanti di pianto fraterno, che io, secondo l’antico costume degli avi, ho portato quale triste dono per le [tue] esequie, e per sempre, fratello, addio! Nunc tamen interea: cumulo di avverbi prosastico e colloquiale, che nell’andamento spezzato e faticoso esprime lo sforzo di riprendere il controllo dopo l’effusione emozionale dei versi precedenti; tamen, che introduce un nesso avversativo, manifesta la volontà del poeta di celebrare «comunque» il rito, per quanto vano; interea («intanto», «frattanto») potrebbe alludere all’intenzione di ritornare un giorno con altre, più degne, offerte; d’altra parte è probabile che qui significhi «poiché le cose stanno così». – haec: neutro plurale, oggetto di accipe, sottintende munera. – tradita sunt: lett. «sono state portate (da me)», oppure «sono state tramandate»; nel primo caso ad inferias, con ad di valore finale
Analizzare il testo
1. Evidenzia le espressioni del linguaggio formulare e rituale, spiegandone l’esatto significato. 2. Provvedi a una schedatura completa degli aggettivi, illustrandone il significato e la funzione espressiva. Vi sono aggettivi che denotano una visione desolata e tragica della morte? L’aggettivo miser ricorre qui in due luoghi: quali? Ha in entrambi lo stesso valore? Quale significato assume nei carmi d’argomento erotico? 3. Rintraccia ora nel testo gli avverbi, illustrandone come per gli aggettivi il significato e la funzione espressiva.
Interpretare il testo
4. Secondo quanto si legge in questo carme, Catullo mostra di credere a una qualche forma 330
(«per le esequie», «per i riti funebri», cfr. v. 2) può essere inteso come moto a luogo («al tuo sepolcro»). – tristi munere: ablativo modale. – multum manantia: lett. «molto stillanti»; si notino nel v. 9 la doppia allitterazione (in f e in m) e l’iperbato (fraterno... fletu). – ave atque vale: è il congedo definitivo dal fratello, con la formula rituale dell’estremo saluto, attestata nelle epigrafi funerarie e ripresa da Virgilio nell’Eneide (XI, 9798), non a caso nell’episodio dei funerali del giovanissimo Pallante, anch’egli colto da immatura morte: salve aeternum mihi, maxume Palla,/ aeternumque vale («addio per sempre, grande Pallante, e per sempre addio»). Ma tutto il componimento catulliano, come si è visto, è pervaso di espressioni del linguaggio formulare e rituale; anche la triplice ripetizione del vocativo frater (v. 2, v. 6, v. 10) nella stessa posizione metrico-ritmica (dopo la dieresi del pentametro) suggerisce con discrezione il triplice vale che di norma chiudeva i riti funebri, accompagnato dal nome del defunto, anch’esso ripetuto per tre volte.
di sopravvivenza dopo la morte? Motiva la tua risposta con precisi riferimenti testuali. 5. Il primo verso del celebre epigramma riecheggia l’incipit dell’Odissea; si riconosce qui un procedimento caro alla poesia alessandrina e neoterica? 6. Si è detto che nel carme in morte del fratello convivono la consapevolezza della vanità del rito e il senso religioso di un sacro dovere da compiere. In quali luoghi del testo si possono riscontrare rispettivamente questi due atteggiamenti? Cerca di interpretare l’apparente contraddizione valendoti della tua conoscenza di altri componimenti catulliani che possono essere accostati sotto questo aspetto al carme 101. Motiva le tue osservazioni attraverso precisi riferimenti testuali.
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PERCORSO ANTOLOGICO
Dialogo con i MODELLI Il carme 101 di Catullo: sviluppi originali nella poesia italiana moderna e contemporanea È universalmente noto che Ugo Foscolo si ispirò al carme 101 del Liber catulliano nella composizione di uno dei suoi splendidi sonetti, In morte del fratello Giovanni
(1802). Forse meno conosciuta l’intensa lirica in verso libero Atque in perpetuum, frater (1978), che fin dal titolo rende apertamente omaggio a Catullo, del poeta
contemporaneo Giorgio Caproni (1912-1990), inclusa nella raccolta Il franco cacciatore (1982).
Ugo Foscolo, In morte del fratello Giovanni
Giorgio Caproni, Atque in perpetuum, frater
Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo di gente in gente, me vedrai seduto su la tua pietra, o fratel mio, gemendo il fior de’ tuoi gentili anni caduto.
Quanto inverno, quanta neve ho attraversato, Piero, per venirti a trovare. Cosa mi ha accolto?
La madre or sol suo dì tardo traendo, parla di me col tuo cenere muto: ma io deluse a voi le palme tendo; e se da lunge i miei tetti saluto, sento gli avversi Numi, e le secrete cure che al viver tuo furon tempesta, e prego anch’io nel tuo porto quiete. Questo di tanta speme oggi mi resta! Straniere genti, le ossa mie rendete allora al petto della madre mesta.
Il gelo della tua morte, e tutta tutta quella neve bianca di febbraio – il nero della tua fossa. Ho anch’io detto le mie preghiere di rito. Ma solo, Piero, per dirti addio e addio per sempre, io che in te avevo il solo e vero amico, fratello mio.
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L’ETÀ DELLA TARDA REPUBBLICA
10. La poesia neoterica e Catullo
T 30 Il foedus amoroso carme 109 LATINO ITALIANO
LETTURA ESPRESSIVA IN LINGUA ITALIANA
PERCORSO ANTOLOGICO
Nota metrica: distici elegiaci.
Nei carmi per Lesbia l’amore è ora felicità da afferrare e godere nel presente, ora (e più sovente) ricordo nostalgico del passato; in questa lirica si configura invece come progetto e speranza per il futuro. Lesbia (forse all’indomani di una riconciliazione) promette a Catullo un amore «eterno e felice». Il poeta esita, sospeso fra l’ardente desiderio di poterle credere e il timore del disinganno. Allora, con uno scatto improvviso che ritroviamo in 76, 17 [ T24], si volge agli dèi con una fervida preghiera, chiedendo che la donna tanto amata abbia promesso con animo veramente sincero, così che il sacro patto d’amore (sanctae foedus amicitiae) che egli auspica possa durare davvero tutta la vita. La breve lirica rappresenta l’ideale antefatto del carme 72 [ T23]: mentre qui, nonostante i dubbi e le incertezze, risuona una nota di accesa, entusiastica speranza, là è subentrata la più amara disillusione. Ma la disillusione (con la drammatica scissione fra amare e bene velle), a ben guardare è prevista e annunciata già in questa lirica, nella distanza incolmabile che si apre fra il primo e l’ultimo verso, fra l’amore che Lesbia promette, gioioso e sensuale (iucundus amor), e il legame appassionatamente serio e profondo (sancta amicitia) che Catullo vorrebbe stringere con lei.
Iucundum, mea vita, mihi proponis amorem hunc nostrum inter nos perpetuumque fore. Di magni, facite ut vere promittere possit, atque id sincere dicat et ex animo, 5 ut liceat nobis tota perducere vita aeternum hoc sanctae foedus amicitiae. Mi prometti, mia vita, che questo nostro amore sarà eterno e felice. O grandi dèi, fate che sia vero ciò che promette e che lo dica dal profondo del cuore; 5 potremo così mantenere per tutta la vita questo sacro giuramento d’amore senza fine. (trad. di S. Quasimodo)
1. proponis: del collegamento con il carme 72 [ T23] sono spia anche i tempi verbali, in questa lirica il presente, nell’altra il passato, con un contrasto vistoso e voluto soprattutto per quanto riguarda le affermazioni di Lesbia (dicat/ Dicebas). 2. nostrum inter nos: ripetizione pleo nastica del medesimo concetto; analogamente vere... atque sincere... et ex animo (vv. 3-4); tota vita... aeternum (vv. 5-6). L’intensità dell’emozione che Catullo prova nell’esprimere il suo voto si avverte nell’accumulo enfatico delle ripetizioni e dei pleonasmi, proprio del linguaggio colloquiale e ricorrente nei comici.
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Nomi e parole degli antichi SANCTUS
Sanctus, participio perfetto del verbo sancire, termine tecnico del linguaggio giuridico-sacrale romano (nelle locuzioni sancire ius, legem, foedus ecc.), significa originariamente «sancito», «fissato, stabilito in forma solenne», quindi «inviolabile», «sacro».
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AMICITIA
Occorre ricordare che in Roma il legame dell’amicitia, fondato sulla benevolentia e la reciproca stima, coinvolge totalmente la persona, indica comunanza di ideali e comporta precisi impegni morali e sociali, estendendosi alla sfera politica, dato che il termine include il significato di «alleanza» fra individui, famiglie e anche Stati; può dunque arrivare ad assumere anche un valore giuridico.
PERCORSO ANTOLOGICO
Leggere un TESTO CRITICO La donna e l’amore in Roma Paolo Fedeli analizza la straordinaria novità della poesia d’amore catulliana rispetto alla tradizione letteraria in prospettiva storico-antropologica, mettendola in
relazione con i progressivi mutamenti della mentalità e del costume sociale romano.
Il poeta d’amore dà vita a un nuovo modello di comportamento nell’intento di realizzare un rapporto di coppia di tipo nuovo, che non è quello destinato a concretizzarsi nel matrimonio, né la fugace passione per donne di poco conto [...]. Il canto d’amore presuppone la creazione di un rapporto affettivo, reale o fittizio che esso sia, di natura etero o omosessuale: nella tradizione latina l’amore oggetto di canto è – con Catullo e gli elegiaci – prevalentemente quello eterosessuale [...]. Si capisce, allora, che è il ruolo stesso della donna nella società umana a far sì che essa non costituisca inizialmente un facile oggetto di canto: perché se la donna romana gode di più ampie libertà di quella greca e può partecipare alle varie manifestazioni della vita sociale, perdura comunque il cliché della madre e sposa esemplare, sottomessa al marito e a lui legata anche al di là della morte, ferocemente punita in caso di adulterio, raramente dotata di cultura. In campo letterario la tradizione romana conosceva gli amori della palliata; ma non a caso nella commedia si era sempre posti di fronte alla passione per le cortigiane, con un finale obbligato: il matrimonio era possibile solo se la cortigiana, grazie a un prodigioso riconoscimento, si ritrovava di nascita libera; non c’era alcuna alternativa, quindi, fra amori futili e passeggeri e serio legame matrimoniale. A quali limitazioni debba sottostare l’amore della palliata è detto, d’altronde, a chiare note nei vv. 37-38 del Curculio plautino: dum te abstineas nupta, vidua, virgine,/ iuventute et pueris liberis, ama quidlibet [«purché ti tenga lontano da donne maritate, vedove, vergini, giovani e fanciulli di nascita libera, ama chi ti pare e piace»]. Nella svolta che nel corso del I sec. a.C. si operò a partire da Catullo, agì indubbiamente una componente di natura letteraria (il maggiore influsso del Callimaco degli epigrammi erotici e di altri più recenti rappresentanti ellenistici dell’epigramma d’amore). Ma un fenomeno che diverrà d’ampia portata non può essere stato solo di natura letteraria. Il canto della donna e dell’amore deve aver trovato un terreno fertile in un progressivo mutamento della mentalità: la riflessione sullo stato, sul ruolo dell’individuo nella società, sul senso della vita avrà predisposto gli animi più sensibili a un atteggiamento, nei confronti della donna stessa, di maggior comprensione, in contrasto magari con la realtà giuridica. È vero, però, che la donna romana anonima non sarà stata troppo diversa dai mitici esempi di una Lucrezia o di una Cornelia: ne abbiamo la prova nelle iscrizioni funerarie, in cui della donna si elogiano le doti tradizionali di pietas pudicitia castitas, oltreché la sua perizia nel filare la lana. Ciò significa che, nonostante le eccezioni e le aperture, l’antico modello continuava tenacemente a resistere nella mentalità comune; ma quello di Catullo e degli elegiaci sarà il modello vincente, se giudichiamo il modo di concepire l’amore e i rapporti con la donna dai suoi esiti, sino ai giorni nostri. (P. Fedeli, La poesia d’amore, in Lo spazio letterario di Roma antica I, Salerno editore, Roma 1989, pp. 145-146)
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LABORATORIO
Nell’officina di Catullo Hesterno, Licini, die otiosi carme 50
PROPOSIZIONE COMPARATIVA. IL VERBO HA VALORE IMPERSONALE
ENALLAGE PER INDOMITO FURORE
HYSTERON PROTERON NEOLOGISMO GRECISMO PER INDICARE UN COMPONIMENTO POETICO DI QUALUNQUE ESTENSIONE
Hesterno, Licini, die otiosi multum lusimus in meis tabellis, ut convenerat esse delicatos: scribens versiculos uterque nostrum 5 ludebat numero modo hoc modo illoc, reddens mutua per iocum atque vinum. Atque illinc abii tuo lepore incensus, Licini, facetiisque, ut nec me miserum cibus iuvaret 10 nec somnus tegeret quiete ocellos, sed toto indomitus furore lecto versarer, cupiens videre lucem, ut tecum loquerer simulque ut essem. At defessa labore membra postquam 15 semimortua lectulo iacebant, hoc, iucunde, tibi poema feci, ex quo perspiceres meum dolorem. Nunc audax cave sis, precesque nostras, oramus, cave despuas, ocelle, 20 ne poenas Nemesis reposcat a te. Est vemens dea: laedere hanc caveto.
ENDIADI
DIMINUTIVOVEZZEGGIATIVO DI OCULUS METONIMIA PER DIEM IPERBATO DIMINUTIVO DI LECTUS VERBO GENERICO DEL SERMO FAMILIARIS
Ieri, o Licinio, sfaccendati, molto verseggiammo sulle mie tavolette per far prova di spirito, come si era convenuto. Scrivendo versi leggeri l’uno e l’altro, componevamo ora in questo ora in quel metro, a botta e risposta, nell’allegria del vino. E me ne andai di là tanto infiammato, o Licinio, dalla grazia e dall’arguzia tua che, misero me, non mi piacque nessun cibo, e non chiusi gli occhi in un placido sonno, ma per l’invincibile smania mi rivoltolavo in tutto il letto, impaziente di vedere il giorno per parlarti e trattenermi con te. Infine, quando le mie membra esauste dalla stanchezza giacquero semivive sul lettuccio, ti scrissi, o caro, questi versi per farti intendere il mio struggimento. Ora, non voler essere temerario, e non disprezzare, ti prego, o pupilla dei miei occhi, questa preghiera, affinché Nemesi non ti punisca. È una dea terribile; bada di non provocarne lo sdegno. (trad. di E.V. D’Arbela)
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POLIPTOTO
I dati
Il carme 50 di Catullo appartiene alla prima sezione del Liber, comprendente le cosiddette nugae: componimenti in metri vari di argomento privato, spesso – come qui – di natura occasionale. Nell’assenza di riferimenti esterni, non è possibile datare il testo, anche se alcuni studiosi (sulla scorta di Giovanni Pascoli) vogliono pensare «ai primi mesi della familiarità dei due giovani poeti», e dunque a una data collocabile intorno al 60 a.C.
L’argomento
Due giovani poeti, Catullo e Licinio Calvo, trascorrono oziosamente un pomeriggio componendo versi – come in una specie di tenzone poetica – e abbandonandosi al vino, al cibo e agli scherzi. Tornato a casa, Catullo non riesce a prender sonno, ripensando al lepos e alle facetiae dell’amico (vv. 7-8), e decide di comporre una poesia per fissare quel momento passato insieme: il carme 50 è proprio quella poesia, una sorta di biglietto poetico che si conclude con un ammonimento tra il solenne e lo scherzoso, tanto che Catullo invoca Nemesi, nel caso l’amico rifiutasse la sua amicizia o i suoi versi.
Il metro
1 2
3
5
Oltre il testo 6
Come il carme 1, il testo è formato di endecasillabi faleci, secondo il seguente schema: _ Ú U _, _́ U U, _́ U, _́ U, _́ U
Dentro il testo
4
7
Dividi il testo in sequenze, assegnando a ciascuna un titolo appropriato. Nella prima parte del carme compaiono alcune parole-chiave della poetica neoterica e catulliana: dopo averle sottolineate, identifica altri carmi in cui ricorrano gli stessi termini, proponendone una traduzione concettualmente adeguata. La poesia sviluppa il tema dell’amicizia e della sodalitas poetica, che è molto diffuso nel Liber di Catullo, e che non di rado si esprime con un linguaggio affine a quello dell’amore. Ad esempio sono presenti termini come miser, dolor, ocelli, che ricorrono nelle poesie dedicate a Lesbia. Leggi altri carmi di Catullo sul tema dell’amicizia (ad esempio il carme 9 [ T10 ONLINE] o il carme 30
[ T15]), provando a rintracciare termini analoghi della sfera affettiva, o forme espressive (come i diminutivi e i vezzeggiativi) cari al poeta. Come si può interpretare questa contiguità di linguaggio? A questo proposito consigliamo di leggere le pagine di Cicerone nel De amicitia (26 e 100), dove si pone l’accento sulla comune radice dei termini amor e amicitia. I quattro versi su cui va a concludersi il carme sfiorano allusivamente il tema del foedus che impegna – agli occhi di Catullo – non solo gli amanti ma anche gli amici. L’ammonizione a non spezzarlo, non a caso, è ribadita dall’iterazione del verbo caveo, che nell’ultimo verso compare nella forma dell’imperativo futuro, il modo della lingua giuridica e sacrale. Svolgi una ricerca sulla presenza del foedus (amoris vel amicitiae) nella poesia catulliana, trascrivendo tutti i termini e le espressioni che vi fanno riferimento. Compila un elenco dei modi espressivi più tipici della poesia catulliana rintracciabili in questo carme.
8
Al v. 6 del carme si fa riferimento al vino, che sembra accompagnare il gioco dei due poeti: conosci altri testi, antichi o moderni, in cui si trovi il motivo del vino e del convito? Pensa a lirici greci come Alceo, ai canti goliardici dei Carmina Burana o alla produzione comico-realistica italiana (da Cecco Angiolieri a Folgore da San Gimignano). Nel 1897 Giovanni Pascoli scrisse, in latino, un poemetto intitolato Catullocalvos, che prendeva spunto proprio dalla gara poetica descritta da Catullo nel carme 50. Puoi leggere il testo latino (con traduzione e commento) in: G. Pascoli, Tutte le poesie, a cura di A. Colasanti, Newton Compton, Roma 2006, pp. 896-913. Al v. 2 il poeta allude alle sue tabellae: piccole tavolette spalmate di cera sulle quali si incideva con uno stilo, e che potevano perciò essere continuamente cancellate e riscritte. In un altro carme (42), Catullo usa il sinonimo pugillaria (da pugnus, pugil), così detti perché, per il loro minuscolo formato, potevano essere chiusi nella mano. Nello stesso carme, Catullo usa anche il termine codicilli (da codex). Per un approfondimento, leggi la SCHEDA 3 ONLINE: Libri, lettori e biblioteche nel mondo antico.
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L’ETÀ DELLA TARDA REPUBBLICA
MAPPA LA POESIA NEOTERICA E CATULLO
• principali
I poetae novi o neóteroi
Gaio Valerio Catullo (84-54 a.C. circa)
autori – Furio Bibaculo – Varrone Atacino – Valerio Catone – Elvio Cinna – Licinio Calvo • caratteristiche della poesia neoterica – modelli ellenistici, in particolare Callimaco – poesia come lusus tra poeti-amici – stile elaborato e raffinato – doctrina – brevitas
• Liber (116
carmi di cui 113 autentici)
• struttura
– carmi 1-60 (nugae): metri lirici e giambici, argomenti personali (amore, amicizia, poesia, viaggio, invettive polemiche) – carmi 61-68 (carmina docta): metri vari, componimenti più estesi di argomento prevalentemente mitologico – carmi 69-116: carmi in distici elegiaci, soprattutto epigrammi, simili al primo gruppo per temi e toni
• temi
e motivi principali – amore per Lesbia/Clodia – amicizie e affetti familiari – invettive e polemiche letterarie e politiche – vicende mitiche rivisitate in una prospettiva esemplare e autobiografica
• lingua
e stile – apparente spontaneità nelle composizioni, frutto di un’attentissima elaborazione formale (labor limae) – uso di diversi registri linguistici – brevitas
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Completamento
1 Inserisci i dati mancanti della biografia catulliana. Catullo nacque a , nella Gallia Cisalpina, verosimilmente nel da una famiglia facoltosa. Dalla provincia Catullo si trasferì presto a , dove frequentò gli ambienti letterari e mondani più in vista, innanzitutto la cerchia degli amici poeti. La vicenda centrale della vita e della poesia di Catullo è la relazione con una donna, che nei versi ha il nome di . Nel Catullo, al seguito di , intraprese un viaggio in ; in quell’occasione il poeta rese omaggio alla . Morì probabilmente nel . p._____/10
Vero / Falso
2 Indica se ciascuna delle seguenti affermazioni è vera (V) o falsa (F). a. Il carme 95 per la Zmyrna di Cinna è un manifesto di poetica neoterica b. Cicerone definì i poeti neoterici Cantores Euphorionis con intento elogiativo c. Catullo dedicò il Liber giunto a noi a Cornelio Nepote d. Le nugae hanno prevalentemente un carattere polemico e. Il termine doctrina indica la varietà dei metri f. Lo pseudonimo con cui il poeta designa la donna amata è un omaggio allusivo a Saffo
V|F
■ un poemetto mitologico ■ un inno religioso 4. I carmina docta sono ■ componimenti di argomento religioso ■ componimenti più estesi e di maggiore impegno letterario ■ componimenti dedicati alla poetessa Saffo ■ brevi componimenti di ispirazione alessandrina p._____/4
Collegamento
4 Attribuisci a ciascun componimento l’argomento trattato. a. Desiderio invincibile del poeta verso la donna amata unito ad un forte risentimento b. La vita è breve e bisogna viverla intensamente, abbandonandosi alla gioia dell’amore c. Effetti sconvolgenti della passione d. Auto-esortazione del poeta a dominare la forza delle passioni e. Il foedus amoroso 1. Vivamus mea Lesbia, atque amemus 2. Miser Catulle, desinas ineptire
V|F
3. Odi et amo
V|F
5. Ille mi par esse deo videtur
4. Iucundum, mea vita, mihi proponis amorem p._____/5
V|F V|F V|F
p._____/6
Quesiti a scelta multipla
3 Indica il completamento corretto. 1. Tra i temi trattati nei carmi catulliani non compare ■ l’amore ■ la guerra ■ l’amicizia ■ il viaggio 2. Nella sua forma attuale, il Liber catulliano è diviso in tre sezioni in base a ■ criteri tematici ■ criteri stilistici ■ criteri cronologici ■ criteri metrici 3. Un epitalamio è ■ un canto funebre ■ un canto per le nozze
Totale p._____/25
Quesiti a risposta singola
5 Svolgi in breve i seguenti argomenti (max 5/10 righe per ciascuno). 1. Descrivi la struttura tripartita del Liber catulliano. 2. Chi era la donna che Catullo chiama con il falsum nomen di Lesbia? 3. Quali elementi caratterizzano la poesia intesa come lusus? Trattazione sintetica
6 Sviluppa le tracce proposte (max 15/20 righe per ciascuna). 1. Novità della poesia d’amore catulliana. 2. Il foedus amoroso. 3. Letterarietà e ars nella poesia catulliana.
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LA POESIA NEOTERICA E CATULLO
Verifica finale
Giancarlo Pontiggia Maria Cristina Grandi
Aurea dicta Storia e testi della letteratura latina
2 L’età di Augusto
LABORATORI DIDATTICI MAPPE DI SINTESI COMPITI DI REALTÀ NUOVO ESAME DI STATO
Didattica inclusiva
Realtà aumentata
Giancarlo Pontiggia Maria Cristina Grandi
Aurea dicta Storia e testi della letteratura latina
2
LABORATORI DIDATTICI MAPPE DI SINTESI
L’età di Augusto
COMPITI DI REALTÀ NUOVO ESAME DI STATO
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Coordinamento editoriale e redazione: Manuela Capitani Ricerca iconografica: Eleonora Calamita Progetto grafico: Giuseppina Vailati Canta Impaginazione: Controlx Copertina: Giuseppina Vailati Canta Referenze iconografiche: Archivio Principato, Gettyimages, Shutterstock In copertina: Era Ludovisi, Palazzo Altemps, Museo Nazionale Romano
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Contenuti digitali Progettazione: Marco Mauri, Giovanna Moraglia Realizzazione: Alberto Vailati Canta, BSmart Labs AUREA DICTA Volume 2 ISBN 978-88-416-2022-9 Versione digitale ISBN 978-88-6706-138-9 Prima edizione: gennaio 2021 Ristampa 2026 2025 2024 2023 2022 2021 VI V IV III II I* Printed in Italy © 2021 - Proprietà letteraria riservata È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale, possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi (Centro licenze e autorizzazioni per le riproduzioni editoriali), corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail autorizzazioni@clearedi.org e sito web www.clearedi.org. L’editore fornisce – per il tramite dei testi scolastici da esso pubblicati e attraverso i relativi supporti o nel sito www.principato.it – materiali e link a siti di terze parti esclusivamente per fini didattici o perché indicati e consigliati da altri siti istituzionali. Pertanto l’editore non è responsabile, neppure indirettamente, del contenuto e delle immagini riprodotte su tali siti in data successiva a quella della pubblicazione, dopo aver controllato la correttezza degli indirizzi web ai quali si rimanda.
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Aurea dicta
Exegi monumentum aere perennius
Aurea mediocritas brevitas Aequa mens Miscere utile dulci Fortuna dias in luminis oras Carpe diem
Est modus in rebus Contenuti digitali integrativi Nelle pagine sono inserite le seguenti icone che indicano la presenza e il tipo di contenuti digitali disponibili sul libro.
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III
INDICE
1 L’età di Augusto Lo scenario temporale
Dalle Idi di marzo alla morte di Augusto (44 a.C.-14 d.C.)
1 Ideologia e cultura nell’età di Augusto
2 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 Dalla repubblica al principato 2 Nomi e parole degli antichi Augustus/Auctoritas 4 T 1 «Da allora in poi fui superiore a tutti in autorità» (Res gestae Divi Augusti, 34-35) IT 5
2 La restaurazione dei valori morali e il ritorno agli antichi culti 6 Il Carmen Saeculare di Orazio 6 T 2 Invocazione a Lucina (Orazio, Carmen Saeculare 4-6) IT 7 fontivisive La rappresentazione della gens Iulia 9 3 Il «classicismo» augusteo e il nuovo sistema dei generi 10 4 L’organizzazione della cultura: il circolo di Mecenate 13 Le FIGURE e gli EVENTI della STORIA Mecenate 13 fontivisive Un luogo d’incontro e di cultura 14
5 Altri circoli culturali: Asinio Pollione e Messalla Corvino 15 6 Poeti minori di età augustea 16 7 Gli studi eruditi: Igino e Verrio Flacco 18 8 Il declino dell’eloquenza 19 T 3 Il giudizio di Cassio Severo sulle declamationes (Cassio Severo, Oratorum et rhetorum sentatentiae, divisiones, colores III,1)
IT
21
TESTI • Orazio, Carmen Saeculare (testo integrale)
LEGGERE UN TESTO CRITICO • P. Zanker, Il Carmen L’origine dello stile corinzio (Vitruvio, De architectura IV, 1, 8-10) IT 24 Saeculare di Orazio e il rilievo della dea Tellus Nomi e parole degli antichi Architectus 25 nell’Ara Pacis Augustae
9 Il De architectura di Vitruvio 22 T 4 COMPITO DI REALTÀ Bibliografia essenziale 26 Sintesi 27
IV
26
BIBLIOGRAFIA ESTESA
MAPPA
28
Verifica finale
29
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2 Virgilio
30 Materiali ONLINE
1 La vita e le opere 30 PROFILO STORICO
sulloscaffale La morte di Virgilio 33 2 Le Bucoliche 34 fontivisive Un paesaggio idillico 35 Leggere un TESTO CRITICO La «scoperta» dell’Arcadia (B. Snell) 36
3 Le Georgiche 39
Traduzioni D’AUTORE Riti campestri: le feste di Cerere 43 Le parole di Virgilio 44
4 L’Eneide 45 5 Appendix Vergiliana 53
PERCORSO ANTOLOGICO
Virgilio nel tempo 55 COMPITO DI REALTÀ Il cavallo di Troia 56 COMPITO DI REALTÀ Il lavoro dei campi 57 Le opere di Virgilio 58 Le Bucoliche 58 Le Georgiche 59 L’Eneide 60 BIBLIOGRAFIA ESTESA Bibliografia essenziale 63 Sintesi 64 T 1 T 2 T 3
Addio alle scuole di retorica (Appendix Vergiliana, Catalepton V) LAT IT 66 ONLINE Titiro e Melibeo (Ecloga I) LAT IT 66 Dialogo con i MODELLI La chiusa dell’Ecloga I 73 Un canto di palingenesi (Ecloga IV) LAT 73 LETTURA METRICA Dialogo con i MODELLI L’età dell’oro in Esiodo e nell’Eneide 83 Le FIGURE del MITO Dei ed eroi nella IV ecloga 85 IL TESTO attraverso I SECOLI L’interpretatio Christiana della IV Ecloga 86 T 4 Una gara di canto (Ecloga VII) LAT IT 87 ONLINE T 5 I lavori di notte (Georgiche I, 287-296) LAT IT 87 LETTURA IT T 6 I presagi delle guerre civili (Georgiche I, 463-514) IT 88 Letture PARALLELE Plutarco e Shakespeare: presagi della morte di Cesare 89 T 7 La riproduzione spontanea degli alberi (Georgiche II, 9-21) LAT IT 90 T 8 Le lodi d’Italia (Georgiche II, 136-176) LAT 91 Leggere un TESTO CRITICO Le Georgiche e l’ideologia del principato (A. La Penna) 96 T 9 Lodi della vita campestre (Georgiche II, 458-540) LAT IT 98 fontivisive Un rustico santuario 102 T 10 Le furie d’amore (Georgiche III, 209-244) IT 103 Dialogo con i MODELLI Una similitudine omerica 104 T 11 Il vecchio di Corico (Georgiche IV, 125-146) LAT IT 105 LETTURA IT Leggere un TESTO CRITICO Un giardino simbolico (P. Grimal) 106 T 12 La società delle api (Georgiche IV, 149-227) LAT 108 Nomi e parole degli antichi Una ricerca etimologica: Quirites e Quirinus 111 Dialogo con i MODELLI Varrone: notizie sulle api 114 T 13 La favola di Aristeo (Georgiche IV, 315-484) LAT IT 114 ONLINE T 14 Orfeo e Euridice (Georgiche IV, 485-506) LAT 115 Le FIGURE del MITO Il mito di Orfeo nella letteratura e nell’opera in musica 118 T 15 Il proemio dell’Eneide (I, 1-11) LAT 119 LETTURA METRICA
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V
PERCORSO ANTOLOGICO
INDICE
T 16 T 17
1 L’età di Augusto
Il canto di Iopas (Eneide I, 723-756)
IT
121
Letture PARALLELE Un omaggio a Lucrezio 123 La morte di Laocoonte (Eneide II, 199-227)
LAT
123
Le FIGURE del MITO Laocoonte 127 T 18 T 19 T 20 T 21 T 22
Il sogno di Enea (Eneide II, 250-301)
LAT IT
128
LETTURA IT
Le FORME dell’ESPRESSIONE Come lavorava Virgilio: la tecnica
di composizione 131 Dialogo con i MODELLI Un frammento dall’Alexander di Ennio 132 Didone innamorata (Eneide IV, 1-30) LAT 132 Didone ed Enea: un dialogo drammatico (Eneide IV, 296-392) IT 136 Dialogo con i MODELLI Miserere domus labentis: Ungaretti e Virgilio 140 La morte di Palinuro (Eneide V, 835-871) LAT IT 140 Letture PARALLELE Ungaretti, Recitativo di Palinuro 143 Il ramo d’oro (Eneide VI, 124-155) LAT 143 Le FIGURE del MITO Le Sibille e il ramo d’oro 144 Leggere un TESTO CRITICO Il ramo d’oro di Frazer: una lettura antropologica del mito 147 T 23 I Campi del Pianto: l’incontro con Didone (Eneide VI, 450-476) LAT 149 T 24 La rassegna degli eroi romani: Romolo e Augusto (Eneide VI, 777-807) LAT IT 152 Letture PARALLELE Dante e Virgilio 154 T 25 Risalendo le foci del Tevere (Eneide VIII, 86-101) LAT IT 155 ONLINE T 26 La passeggiata archeologica (Eneide VIII, 337-368) LAT IT 155 fontivisive Mito e storia: una continuità fatale 157 T 27 Lo scudo di Enea: gli Actia bella (Eneide VIII, 671-713) LAT IT 158 Leggere un TESTO CRITICO Il potere delle immagini: il sidus Iulium (P. Zanker) 161 fontivisive Il tempio del Divus Iulius 162 T 28 La morte di Lauso (Eneide X, 791-832) LAT IT 162 ONLINE T 29 La morte di Turno (Eneide XII, 887-952) IT 162 Letture PARALLELE T.S. Eliot: Virgilio «è il nostro classico, il classico di tutta Europa» 165 LABORATORIO
VI
Materiali ONLINE
Dialogo con i MODELLI Omero e Virgilio: i proemi 121
Heu, miserande puer (Aeneis VI, 867-886)
166
MAPPA
168
Verifica finale
169
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3 Orazio
170 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 La vita e le opere 170 2 La poesia “eccessiva” degli Epodi 173 Il genere LETTERARIO Due titoli: Iambi ed Epodi 174
3 La scoperta di un tono medio: le Satire e il I libro delle Epistole 175
4 Le Odi 181 fontivisive Memento mori 183 fontivisive Il vino e il convito 184
PERCORSO ANTOLOGICO
5 Il libro II delle Epistole e l’Ars poetica 188 L’Epistula ad Pisones ovvero Ars poetica 188 Orazio nel tempo 190 COMPITO DI REALTÀ 192 BIBLIOGRAFIA ESTESA Bibliografia essenziale 193 Sintesi 194 T 1 T 2 T 3 T 4 T 5 T 6 T 7 T 8
Il sangue maledetto di Remo (Epodon liber 7) LAT IT 196 Per la vittoria di Azio (Epodon liber 9) LAT IT 197 ONLINE Un’invettiva contro Mevio che parte (Epodon liber 10) IT 198 Dialogo con i MODELLI Un frammento di Archiloco 199 Est modus in rebus (Sermones I, 1) LAT IT 199 ONLINE L’educazione paterna (Sermones I, 4, 103-143) LAT IT 200 Il seccatore (Sermones I, 9) IT 202 Il topo di città e il topo di campagna (Sermones II, 6, 79-117) IT 205 Il ritorno della primavera (Carmina I, 4) LAT 207 Nomi e parole degli antichi Regna vini 209 Le FIGURE del MITO Immagini mitiche nell’ode I, 4 211 T 9 A una donna dai capelli fulvi (Carmina I, 5) LAT 212 Le FORME dell’ESPRESSIONE Simplex munditiis: una callida iunctura oraziana 213 Dialogo con i MODELLI Il tópos della donna-mare: Semonide di Amorgós e Plauto 216 T 10 Vino pellite curas (Carmina I, 7) LAT 217 I LUOGHI dell’ANTICO Le splendide città di Grecia nel catalogo oraziano 218 Dialogo con i MODELLI Un frammento di Alceo 222 T 11 Il monte Soratte (Carmina I, 9) LAT IT 223 LETTURA METRICA T 12 Carpe diem (Carmina I, 11) LAT 225 Nomi e parole degli antichi Nefas/fas 225 Nomi e parole degli antichi Aetas 226 T 13 Invito a pranzo per Mecenate (Carmina I, 20) IT 228 T 14 Per la morte della regina Cleopatra (Carmina I, 37) LAT 229 Gli SCRITTORI e la STORIA Trasfigurazione epico-eroica dell’impresa aziaca 234 Leggere un TESTO CRITICO Ottaviano/Apollo contro Antonio/Dioniso (P. Zanker) 234 T 15 Convito simbolico (Carmina I, 38) LAT 236 LETTURA METRICA T 16 Aequa mens (Carmina II, 3) 255 LAT IT 237 ONLINE T 17 Il luogo ideale (Carmina II, 6) LAT IT 238 T 18 Per il ritorno di un antico compagno d’arme (Carmina II, 7) IT 240 T 19 Labuntur anni (Carmina II, 14) LAT IT 241
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VII
INDICE
PERCORSO ANTOLOGICO
T 20 T 21 T 22 T 23 T 24 T 25
VIII
1 L’età di Augusto
Leggere un TESTO CRITICO Il tempo e la morte in Orazio (A. Traina) 244
Materiali ONLINE
Canto amebeo d’amore (Carmina III, 9) IT 245 O fons Bandusiae (Carmina III, 13) LAT 246 Nomi e parole degli antichi Lascivus, suboles, canicula, atrox 247 Dialogo con i MODELLI La «limpida gelida fonte» nell’epigramma ellenistico 249 Non omnis moriar (Carmina III, 30) LAT 250 Nomi e parole degli antichi Monumentum, situs, Libitina 251 Dialogo con i MODELLI Pindaro e Simonide di Ceo 254 Pulvis et umbra sumus (Carmina IV, 7) LAT IT 254 LETTURA IT Dialogo con i MODELLI Pulvis et umbra: dai tragici greci a Catullo 257 Le FORME dell’ESPRESSIONE Misura classica e armonia compositiva nell’ode IV,7 257 L’età di Augusto (Carmina IV, 15) LAT IT 258 Ad Albio Tibullo: conforti per il poeta malinconico (Epistulae I, 4) LAT 261 Le FORME dell’ESPRESSIONE Collocatio verborum 262 Un giocoso autoritratto 263 T 26 Funestus veternus: una malattia dell’anima (Epistulae I, 8) LAT IT 264 Letture PARALLELE Inquietudine esistenziale e taedium vitae 265 T 27 Al suo libro (Epistulae I, 20) LAT IT 265 ONLINE 267
LABORATORIO
Rectius vives, Licini (Carmina II, 10)
MAPPA
268
Verifica finale
269
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4 L’elegia latina
270 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 L’elegia erotica latina 270 Il genere LETTERARIO L’elegia nella letteratura greca 272 Nomi e parole degli antichi Elegos, elegia 273
2 L’elegia perduta di Cornelio Gallo 275
Il libro III del Corpus Tibullianum 277 Le parole di Tibullo 279
4 Properzio 281 Dialogo con i MODELLI Properzio «Callimaco romano» 285 Bibliografia essenziale 289 Sintesi 290
PERCORSO ANTOLOGICO
DOCUMENTI
E TESTIMONIANZE 3 Tibullo e il Corpus Tibullianum 276 • Il canone dei poeti elegiaci (Properzio, Ovidio, Quintiliano)
TIBULLO NEL TEMPO PROPERZIO NEL TEMPO BIBLIOGRAFIA ESTESA
Tibullo T 1 T 2 T 3 T 4 T 5
La vita ideale (Elegiae I, 1) LAT IT 292 Nomi e parole degli antichi Rus, campus, ager 293 Leggere un TESTO CRITICO La scelta della vita rustica e l’ideale dell’autosufficienza (A. La Penna) 297 Sulle rive dell’Egeo (Elegiae I, 3) IT 299 Letture PARALLELE L’età dell’oro nel mondo antico 302 fontivisive Il culto di Iside 303 Il tradimento di Delia (Elegiae I, 5) LAT IT 304 Pax arva colat (Elegiae I, 10) LAT IT 308 ONLINE Per il compleanno di un amico (Elegiae II, 2) LAT 309 LETTURA METRICA fontivisive L’altare domestico dei Lari 311
Properzio T 6 L’elegia proemiale (Elegiae I, 1) LAT IT 312 Le FIGURE del MITO Atalanta 315 Dialogo con i MODELLI Un epigramma di Meleagro 316 T 7 Cinzia dormiente (Elegiae I, 3) IT 317 Dialogo con i MODELLI Albertine dormiente nella Recherche di Marcel Proust 320 T 8 Cinzia tra gli ozi di Baia (Elegiae I, 11) LAT IT 321 T 9 Non sum ego qui fueram (Elegiae I, 12) LAT 323 T 10 Scribant de te alii (Elegiae II, 11) LAT 326 T 11 Dichiarazione di poetica (Elegiae II, 34) LAT IT 327 T 12 L’elegia del discidium (Elegiae III, 25) LAT IT 327 T 13 Un esempio di poesia eziologica: la leggenda di Tarpea (Elegiae IV, 4) IT 329 Le FIGURE del MITO Luoghi e figure dell’antico nell’elegia IV, 4 di Properzio 333 T 14 Il fantasma di Cinzia (Elegiae IV, 7) IT 334 T 15 La laudatio funebris di Cornelia (Elegiae IV, 11) LAT IT 337 fontivisive Perseo e Andromeda 337 LABORATORIO
Servitium amoris (Tibullo, Elegiae II, 4, 1-14)
ONLINE LETTURA METRICA LETTURA IT
ONLINE
338
MAPPA
340
Verifica finale
341
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IX
INDICE
1 L’età di Augusto
5 Ovidio
342 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 La vita e le opere 342
L’esilio a Tomi: duo crimina 344
2 Amores 345
3 Heroides 346
4 Le opere erotico-didascaliche 348
5 Le Metamorfosi 350 Il proemio (I, 1-4) 350 Dal discorso di Pitagora: «Tutto scorre» (XV, 176-185) 352 Poetica antimimetica delle Metamorfosi: illusionismo e finzione 354
6 La poesia eziologica romana: i Fasti 355
Nomi e parole degli antichi Fasti, calendarium, ephemeris, feriae 356
DOCUMENTI E TESTIMONIANZE Ovidio nel tempo 359 • Lo stile di Ovidio nel Ovidio, Metamorfosi 362 giudizio di Quintiliano
7 Le elegie dell’esilio 357
PERCORSO ANTOLOGICO
Bibliografia essenziale 363 Sintesi 364
X
T 1 T 2 T 3 T 4 T 5 T 6 T 7
BIBLIOGRAFIA ESTESA
Ritratto del poeta elegiaco (Amores I, 3) LAT IT 366 La donna del poeta elegiaco (Amores I, 5) IT 368 Dialogo con i MODELLI Un’elegia di Goethe 369 Militia amoris (Amores I, 9) LAT IT 369 ONLINE Il pubblico del poeta elegiaco (Amores II, 1) LAT IT 370 «Il catalogo è questo» (Amores II, 4) IT 373 Dialogo con i MODELLI Il catalogo di Leporello 375 Penelope scrive a Ulisse (Heroides 1) LAT IT 375 ONLINE Ero scrive a Leandro (Heroides 19) IT 376 Le FIGURE del MITO Ero e Leandro 380 T 8 Luoghi di caccia amorosa: il teatro (Ars amatoria I, 89-134) IT 381 I LUOGHI dell’ANTICO A teatro all’epoca di Ovidio 382 T 9 Luoghi di caccia amorosa: il circo (Ars amatoria I, 135-170) LAT IT 383 ONLINE T 10 «Al mio stile di vita questa è l’epoca adatta» (Ars amatoria III, 103-128) LAT IT 383 LETTURA IT
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T 11 T 12 T 13
PERCORSO ANTOLOGICO
Apollo e Dafne (Metamorphoses I, 452-567) LAT IT 385 Leggere un TESTO CRITICO Il linguaggio della metamorfosi ovidiana: omologia e metafora (E. Pianezzola) 391 Dialogo con i MODELLI Dall’Adone di Marino: la metamorfosi di Dafne 393 La novella di Piramo e Tisbe (Metamorphoses IV, 55-166) LAT IT 393 Dedalo e Icaro (Metamorphoses VIII, 183-235) LAT 394 Le FIGURE del MITO Dedalo e Minosse 396 Letture PARALLELE Dedalus e Ulysses di James Joyce 398 fontivisive La caduta di Icaro 402 I luoghi del MITO Il volo di Dedalo e Icaro 402 Dialogo con i MODELLI Il mito di Icaro nell’Alcyone di D’Annunzio 403 T 14 Il mito di Pigmalione (Metamorphoses X, 243-297) LAT IT 404 Leggere un TESTO CRITICO Ovidio e la potenza illusionistica dell’arte (G. Rosati) 407 T 15 L’apoteosi di Romolo (Fasti II, 475-512) IT 409 T 16 Crimina e carmina (Tristia II, 1-22) LAT IT 411 sulloscaffale Il mondo estremo di Cristoph Ransmayr 412 T 17 Lettera ai posteri: la mia vita (Tristia IV, 10) IT 413 Dialogo con i MODELLI «Non gemerò come Ovidio esiliato» 417 LABORATORIO
La vicenda di Licaone, uomo e lupo (Metamorphoses I, 216-241)
Materiali ONLINE
ONLINE
418
MAPPA
420
Verifica finale
421
6 Livio e la storiografia dell’età augustea
422 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 Storici e geografi greci a Roma nel I secolo a.C. 422 2 Le Historiae Philippicae di Pompeo Trogo 424 3 Tito Livio 425
PERCORSO ANTOLOGICO
Leggere un TESTO CRITICO Livio e il programma augusteo (M. Mazza) 427 Gli SCRITTORI e la STORIA Livio e gli storici greci 430 fontivisive Il mito di Marte e Rea Silvia 431 Antiquus animus 434 fontivisive La virtù romana secondo David 437 Livio nel tempo 438 Bibliografia essenziale 440 Sintesi 440 T 1 T 2 T 3 T 4 T 5 T 6
Il proemio (Ab urbe condita, praefatio) LAT IT 442 La nascita dei gemelli Romolo e Remo (Ab urbe condita I, 4) LAT 445 Confronti INTERTESTUALI Il racconto della nascita di Romolo e Remo in Plutarco 448 La fondazione di Roma (Ab urbe condita I, 6-7) LAT 450 Le FORME dell’ESPRESSIONE Lo stile di Livio nella prima decade 451 Il ratto delle Sabine (Ab urbe condita I, 9) LAT IT 454 Il tradimento di Tarpeia (Ab urbe condita I, 11, 5-9) LAT 454 La riconciliazione fra Romani e Sabini (Ab urbe condita I, 13) LAT 456 Le FORME dell’ESPRESSIONE Uno stile patetico e drammatico 457
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BIBLIOGRAFIA ESTESA
ONLINE
XI
PERCORSO ANTOLOGICO
INDICE
1 L’età di Augusto
Materiali ONLINE Morte e apoteosi di Romolo (Ab urbe condita I, 16) LAT IT 458 Gli SCRITTORI e la STORIA La morte di Romolo nella versione di Dionigi di Alicarnasso 460 Il regno di Numa (Ab urbe condita I, 19, 1-5; I, 21) IT 461 Le FIGURE del MITO Ianus, Egeria, Camenae 462 fontivisive La ninfa Egeria piange la morte di Numa 463 Dialogo con i MODELLI Romolo e Numa nei Discorsi di Machiavelli 463 T 9 Lucrezia: una matrona esemplare (Ab urbe condita I, 57-58) IT 464 T 10 Un exemplum di fierezza romana: Muzio Scevola (Ab urbe condita II, 12, 9-16) LAT 467 Le FIGURE e gli EVENTI della STORIA Porsenna, re di Chiusi 468 T 11 La vergine Clelia (Ab urbe condita II, 13) LAT IT 470 ONLINE T 12 Esempi salutari per il genere umano: Camillo e il maestro di Faleri (Ab urbe condita V, 27) IT 470 T 13 Il saccheggio di Roma (Ab urbe condita V, 39-41) IT 472 Istituzioni ROMANE I sacerdoti flàmini 475 T 14 Le oche del Campidoglio (Ab urbe condita V, 47, 1-6) LAT IT 476 T 15 «Guai ai vinti!» (Ab urbe condita V, 48, 5-9) LAT 478 T 16 Giunge Camillo (Ab urbe condita V, 49, 1-7) LAT IT 480 Le FIGURE e gli EVENTI della STORIA L’ultima impresa di Camillo 481 T 17 La storiografia ipotetica: se Alessandro avesse mosso guerra a Roma (Ab urbe condita IX, 18, 8-19; 19, 12-17) IT 482 T 18 Introduzione alla terza decade (Ab urbe condita XXI, 1-3, 1) LAT IT 485 ONLINE T 19 Il ritratto di Annibale (Ab urbe condita XXI, 4) LAT 485 Le FIGURE e gli EVENTI della STORIA Annibale 486 T 20 La traversata delle Alpi (Ab urbe condita XXI, 35, 4-37) IT 489 T 21 Polibio e Livio: due storici a confronto (Ab urbe condita [a] XXVIII, 26, 13-15; 27, 1; [b] XXXIII, 33, 5-7) IT 492 Confronti INTERTESTUALI Polibio, Storie (XI, 27, 7-28, 1) 493 Confronti INTERTESTUALI Polibio, Storie (XVIII, 46, 11-15) 493 T 7 T 8
LABORATORIO
Un episodio di fratricidio: l’uccisione di Orazia (Ab urbe condita I, 26, 2-5)
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MAPPA
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Verifica finale
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Verso il nuovo esame di Stato Nozioni di metrica e prosodia latina Glossario dei termini retorici e stilistici Indice dei nomi Indice delle traduzioni Referenze iconografiche
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SchedeONLINE 1 La traduzione nel mondo latino 2 La dottrina epicurea 3 Libri, lettori e biblioteche nel mondo antico
XII
4 Retorica e oratoria nel mondo antico 5 La storiografia greca 6 La satura
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3 Orazio 1 La vita e le opere Le fonti Di tutti i poeti dell’antichità, Orazio è forse il più prodigo di notizie autobiografiche. Non pochi episodi (come quello dello scudo abbandonato durante la fuga di Filippi) sono evidentemente modellati su ben noti topoi letterari; altri sembrano esser stati sapientemente disposti in modo da tracciare una sorta di percorso biografico ideale: ma è pur vero che nessun altro poeta antico ci parla così tanto e così piacevolmente di sé e della propria vita privata come fa Orazio nelle sue opere, e in particolare in quelle non liriche (Satire ed Epistole), che vanno dunque a costituire la fonte più autorevole della sua biografia. Accanto alle notizie fornite dal poeta stesso, importante appare anche la Vita Horati, composta agli inizi del II secolo d.C. da Svetonio. Origini modeste Quinto Orazio Flacco nasce l’8 dicembre del 65 a.C. a Venosa, una colonia romana al confine tra Puglia e Lucania. La famiglia è di umili origini: il padre, un liberto che ha raggiunto una condizione discretamente agiata, vuole che il figlio sia educato a Roma presso i migliori maestri. Orazio ne tratteggerà un ritratto affettuoso nella quarta satira del I libro [ T5]. 170
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Al suo libro, impaziente di uscire 20
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Ma quando il sole, mite, radunerà intorno a te molti ascoltatori, racconterai come io, nato da padre liberto e di modeste condizioni, abbia spiegato le ali assai grandi rispetto al nido, così che ciò che toglierai ai meriti della mia origine, tanti ne aggiungerai ai miei; e racconterai anche come in guerra e in pace io riuscii gradito ai grandi e fui piccolo di persona, precocemente canuto, adatto a stare al sole; e pronto all’ira, ma anche facile ad essere placato. (Epistole I, 20, 19-25)
Exegi monumentum aere perennius
Aurea mediocritas Aequa mens Carpe diem Miscere utile dulci Est modus in rebus L’episodio di Filippi Intorno al 45-44 Orazio si reca ad Atene, centro degli studi filosofici e culmine tradizionale dell’iter scolastico, allo scopo di perfezionare la propria cultura: qui studia filosofia all’Accademia, legge i poeti greci, s’infiamma alle idee di libertà. E quando viene a sapere che Bruto e Cassio stanno organizzando un esercito per difendere la res publica minacciata dalla tirannide, si arruola, giungendo fino all’alto grado di tribuno militare. Nel 42, a Filippi, si consuma la disfatta: dopo due giorni di aspri combattimenti, l’esercito dei cesaricidi sbanda; Cassio e Bruto si uccidono; Orazio, come la maggior parte dei soldati sconfitti, fugge abbandonando le armi. L’episodio sarà rievocato anni più tardi nell’epistola II, 2 e nell’ode II, 7 [ T18]. L’esordio poetico Intorno al 41-40, in seguito a un’amnistia, può tornare a Roma: la proprietà paterna di Venosa è stata confiscata, il padre è morto, la carriera civile ormai preclusa; Orazio lavora come scriba quaestorius, una specie di contabile alle dipendenze dei questori. Ma è proprio in questo periodo che si rafforza la sua vocazione letteraria. Molti anni più tardi, ormai divenuto celebre, confesserà che era stata la povertà a dargli l’audacia di far versi: paupertas impulit audax / ut versus facerem (Epistole II, 2, 51-52). @ Casa Editrice G.Principato
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
PROFILO STORICO
L’amicizia con Virgilio e l’incontro con Mecenate Conosce Vario e Virgilio, forse frequentando i circoli epicurei di Napoli e di Ercolano; ed è grazie ad essi che nel 38 viene presentato a Mecenate. Tra Orazio e l’illustre protettore nasce una grande amicizia, che verrà interrotta solo dalla morte. Nel 37 Orazio fece parte, con Virgilio e Vario, del seguito di Mecenate, impegnato per conto di Ottaviano in una delicata missione diplomatica a Brindisi. Del viaggio è testimonianza una delle più brillanti satire oraziane (I, 5), il cosiddetto Iter Brundisinum, composto sul modello dell’Iter Siculum di Lucilio. Al riparo dal mondo Negli anni successivi vive tra Roma e la villa sabina (donatagli intorno al 33 da Mecenate) difendendo gelosamente la propria indipendenza di uomo e di poeta. La ricerca di un angulus appartato e la conquista dell’equilibrio interiore costituiscono gli obiettivi ideali della vita come di tutta la poesia oraziana. Gli ultimi anni trascorrono senza importanti avvenimenti esterni. Dopo la morte di Virgilio, Orazio è ormai il poeta più rappresentativo della sua età: a lui viene affidata, nel 17 a.C., la composizione del solenne Carmen Saeculare. La vecchiaia e la morte Muore il 27 novembre dell’8 a.C., appena due mesi dopo Mecenate, undici anni dopo Virgilio, gli amici più cari. Fu sepolto, come recita la Vita svetoniana, accanto alla tomba di Mecenate, ai limiti estremi dell’Esquilino. Disturbi fisici e depressioni nervose lo avevano precocemente invecchiato. Il corpus delle opere Integralmente ci è giunto il corpus delle opere oraziane, non vastissimo ma eccezionale per varietà, intensità e altezza di risultati. Esso comprende: un libro di Epodi, due libri di Satire, quattro libri di Odi, il Carmen Saeculare, due libri di Epistole; l’Epistula ad Pisones o Ars poetica. Cronologia delle opere di Orazio Opera
Libri
Anno di composizione
Anno di pubblicazione
Genere
Epodi
1 libro
dopo il 42-41 a.C.
30 a.C.
Poesia giambica
Satire
2 libri
dopo il 42 a.C.
35 a.C. (libro I)
Satira
30 a.C. (libro II) Odi
4 libri
dopo il 30 a.C. (libri I-III)
23 a.C.
dopo il 17 a.C. (libro IV)
14-13 a.C.
Carmen Saeculare
-
17 a.C.
Epistole
2 libri
dopo il 23 a.C. (libro I)
20 a.C.
19-13 a.C. (libro II)
postumo
dopo il 20 a.C.
-
Ars poetica
Guida allo studio 172
-
1. Ricorda gli eventi più significativi della vita di Orazio, prima e dopo Filippi. 2. Paupertas impulit audax / ut versus facerem: a che cosa allude Orazio in questi versi?
Poesia lirica
Inno religioso Epistole in versi
Epistola in versi
3. Elenca i titoli, il genere poetico e l’epoca di composizione delle opere oraziane.
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PROFILO STORICO
2 La poesia “eccessiva” degli Epodi Gli anni della composizione Il libro, pubblicato nel 30 e dedicato a Mecenate, comprende 17 componimenti. La composizione degli Epòdi ha inizio intorno al 42-41 (gli anni inquieti di Filippi e delle proscrizioni) e si conclude dopo la battaglia di Azio (quando Orazio è ormai integrato nell’ambiente culturale augusteo). Discende di qui la diseguaglianza di toni e di ispirazione del libro, evidente soprattutto nei carmi di tema civile, scritti il 7 [ T1] e il 16 a ridosso dell’esperienza di Filippi, il 9 [ T2 ONLINE] appena dopo Azio. Orazio e Archiloco Orazio, in un’epistola scritta intorno al 20, affermerà orgogliosamente di aver introdotto per primo nel Lazio parios iambos, cioè i giambi di Archiloco di Paros (poeta greco del VII secolo a.C.). Archiloco aveva dato origine a una poesia animata da una forte carica polemica, irta di invettive e di attacchi ad personam, di sentimenti violenti ed eccessivi espressi con un linguaggio realistico e potente, non privo di elementi osceni e triviali. Nel dichiarare il suo modello, Orazio pone tuttavia una limitazione: di Archiloco aveva voluto infatti imitare solo numeros animosque («i ritmi e lo spirito aggressivo»), non le res («gli argomenti»), che invece appartenevano interamente al mondo romano e al dominio della sua esperienza personale, ed escludevano in sostanza gli attacchi ad personam. In un altro passo (Odi I, 16, 22-25), sempre ricordando l’esperienza giovanile degli Epodi, Orazio metteva in evidenza l’aspetto più caratterizzante dei suoi primi versi, il fervor dell’ispirazione, il ribollire delle passioni e dei risentimenti che lo avevano spinto verso i modi della poesia giambica, avvertita come la più consona ad esprimere il disagio morale ed esistenziale di quegli anni: me quoque pectoris/ temptavit in dulci iuventa/ fervor et in celeres iambos/ misit furentem («me pure tentò, nella dolce giovinezza, il ribollire dell’animo e mi sospinse furente verso i giambi veloci»). Un’ispirazione prevalentemente letteraria In realtà l’ispirazione archilochea agisce più come suggestione letteraria che non come autentica forza di sovversione polemica; ed è naturale, considerato che Archiloco era un aristocratico del VII secolo coinvolto nelle tumultuose vicende politiche e civili di una polis, mentre Orazio era un letterato di umili origini inserito in un grande sistema statale che si avviava, proprio in quegli anni, a cancellare le ultime resistenze repubblicane e libertarie. Gli attacchi di Archiloco sono sempre ad personam, astiosi e feroci; quelli di Orazio, tranne il caso dell’epodo 10 [ T3], sono diretti a figure fittizie o anonime (ad esempio un usuraio, un liberto arricchito, una maga, una donna troppo vogliosa). Archiloco è ispirato dall’attualità; Orazio dal desiderio di gareggiare su un piano meramente letterario con i propri modelli. Orazio e la poesia giambica di Callimaco Proprio l’ispirazione prevalentemente letteraria di questi epodi tradisce il profondo legame con la poesia giambica ellenistica, e in particolare con i Giambi di Callimaco, a cui Orazio allude non solo nel titolo (Iambi) ma anche nel numero dei componimenti raccolti (diciassette). Accentuando l’aspetto della varietà, Callimaco aveva fuso nel suo libro motivi eziologici, politici e favolistici. Anche la raccolta oraziana rispecchia, nei contenuti e nelle scelte formali, il canone alessandrino della poikilía o variatio. I diciassette componimenti di Orazio comprendono infatti: @ Casa Editrice G.Principato
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
PROFILO STORICO
• una poesia dedicatoria in forma di propempticon («carme di accompagnamen-
to»), indirizzata a Mecenate in partenza verso Azio (1); • due «scherzi» (2, 3), uno dei quali rivolto ancora a Mecenate, che lo ha costretto a mangiare una cena a base di aglio; invettive (4, 8, 10 [ T3], 12); • una poesia programmatica sul genere giambico (6); • • poesie di contenuto politico e civile (7 [ T1], 9 [ T2 ONLINE], 16); • poesie di argomento erotico (11, 14, 15); • un carme simposiaco (13); • poesie di argomento magico (5, 17). Di derivazione callimachea è anche l’alternanza dei registri stilistici e dei toni, così come il ricorso alla tecnica dell’allusione.
Le poesie di contenuto politico e civile Svettano, fra i diciassette componimenti, gli epodi 7 [ T1] e 16, entrambi di contenuto politico, nei quali prevale un profondo pessimismo sui destini di Roma. Utilizzando il linguaggio profetico e ammonitorio degli antichi vati, Orazio denuncia nell’epodo 7 la colpa originaria di Roma (il fratricidio, da cui deriverebbero le guerre civili), mentre nell’epodo 16 profetizza la caduta di Roma per opera dei barbari, che la distruggeranno col fuoco e la calpesteranno con i loro cavalli. Nell’epodo 16 la soluzione di fronte alle guerre civili e alla violenza politica è di natura mitico-simbolica: il poeta esorta ad abbandonare il suolo maledetto di Roma e a rivolgere le vele verso le favolose isole Beate, miracoloso residuo dell’antica età dell’oro (e prefigurazione mitica di uno dei più caratteristici motivi oraziani, quello dell’angulus al riparo dal mondo). A questi epodi, i più antichi, precedenti l’incontro con Mecenate e Ottaviano, si contrappone l’epodo 9 [ T2 ONLINE], composto appena dopo Azio: l’angoscia per i destini della patria si scioglie qui nel nome di Ottaviano e nella promessa di un convito allietato dal vino. Collocandosi tra Filippi e Azio, gli Epodi finiscono dunque per rappresentare il passaggio dall’angoscia della catastrofe all’ottimismo liberatorio della salvezza offerta da Ottaviano; il modello giambico archilocheo, originariamente legato al circuito della polis (e strumento espressivo di un appassionato, irriducibile individualismo), si pone così al servizio del principato e dei rivolgimenti istituzionali in atto.
Il genere LETTERARIO Due titoli: Iambi ed Epodi Il titolo scelto da Orazio (come risulta da Odi I, 16, 3 e da Epistole I, 19, 23) doveva essere quasi certamente Iambi, termine che indicava sia determinate forme metriche (iambus è il piede composto da una sillaba breve e da una sillaba lunga) sia il genere letterario reso illustre in Grecia da Archiloco e da Ipponatte: una poesia di tono aggressivo e realistico, nella quale predominavano i sentimenti dell’ira e della rabies. Ma già i grammatici antichi, sottolineando un altro
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aspetto metrico dell’opera di Orazio, chiamarono il libro Epodi. Letteralmente epodòs («canto che viene dopo», «canto aggiunto») indica semplicemente il verso più corto di un distico, che fa da eco al precedente. In seguito i grammatici del tardo impero finirono per designare con «epodo», per estensione, l’intero distico costituito appunto da un verso più lungo e da un altro più breve modellato sul precedente. In distici epodici (per lo più un trimetro giambico seguito da un dimetro giambico) sono composti sedici dei diciassette componimenti del libro di Orazio.
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PROFILO STORICO
Lo stile Il modello giambico pretendeva naturalmente un linguaggio eccessivo ed enfaticamente teso, esuberante nell’uso delle immagini e delle figure retoriche. Può sembrare curioso che Orazio, destinato a incarnare storicamente un ideale di poesia composta ed equilibrata, esordisca come poeta dell’eccesso e dell’invettiva. Non mancano tuttavia, anche nel libro degli Epodi, momenti più misurati, e Orazio sembra piuttosto orientato a sperimentare diverse forme di linguaggio e di stile, dai termini più ricercati a quelli più crudi, dal registro enfatico ed elevato a zone tendenzialmente colloquiali, non tralasciando di ricorrere talvolta ai livelli più bassi del parlato.
Guida allo studio
1. Illustra sinteticamente contenuti e stile degli Epodi. 2. Indica i due principali modelli greci di Orazio negli Epodi, precisando gli aspetti che il poeta latino ha imitato e gli apporti oraziani nuovi e originali.
3. La composizione degli Epodi abbraccia un decennio di eventi cruciali e di svolte decisive per la storia di Roma, che suscitano profonde risonanze all’interno del libro. In quali componimenti si avvertono più distintamente?
3 La scoperta di un tono medio: le Satire e il I libro delle Epistole Le Satire Parallelamente alla poesia degli Epodi, Orazio coltiva negli stessi anni un altro genere poetico, la satura, sorta in Roma con Ennio e codificata alla fine del secolo precedente da Lucilio (SCHEDA 6 «La satura» ONLINE ). Il I libro delle satire (dieci in tutto) venne pubblicato nel 35; il II (comprendente otto componimenti) nel 30; tutti i componimenti sono in esametri. Nei manoscritti a noi pervenuti le satire di Orazio vengono designate con il termine Sermones (da sermo, «conversazione alla buona», già impiegato da Lucilio). Orazio, per parte sua, si riferisce ad esse sia con il termine satura (Satire II, 1, 1; II, 6, 17) che con quello di sermo (Epistole I, 4, 1; II, 2, 60). Satura rimanda strettamente al genere letterario affrontato; sermo definisce l’ideale stilistico e umano del poeta. Entrambi i libri sono dedicati a Mecenate. Orazio e Lucilio Tre satire (I, 4, 1-13; I, 10; II, 1) richiamano esplicitamente il nome di Lucilio, al quale Orazio riconosce il primato nell’invenzione satirica e un indiscutibile magistero. Di Lucilio Orazio apprezza la componente autobiografica, l’osservazione dei costumi e la piacevolezza della narrazione; rifiuta invece lo spirito aggressivo (in particolare gli attacchi ad personam) e lo stile, che al suo gusto appare sciatto. La tesi di Orazio è che Lucilio, nel fondare il genere satirico, si sia ispirato alla commedia attica antica (di cui Eupoli, Cratino e Aristofane erano stati i maggiori rappresentanti). Riconosce dunque nell’aggressività uno degli aspetti primari del codice satirico, ma evita di assumere apertamente il ruolo di pubblico censore, convogliando il suo spirito critico in forme più attenuate e bonarie. In Lucilio, che scrive negli anni della libera repubblica, prevale la volontà di incidere @ Casa Editrice G.Principato
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
sulla vita civile contemporanea, di colpire direttamente i viziosi e i corrotti del ceto dirigente romano; in Orazio prevale l’approfondimento morale: «invece di attaccare le persone nei loro vizi, Orazio attacca i vizi – deformazioni, eccessi, cecità, stolto affannarsi – nelle persone» (Labate). PROFILO STORICO
Due tipologie Le satire di Orazio possono essere suddivise in due tipologie diverse: satire di carattere narrativo e rappresentativo (centrate sul racconto di un episodio o di un avvenimento) e satire di carattere discorsivo e diatribico (centrate sul momento riflessivo e argomentativo, spesso sviluppato attraverso dialoghi, discussioni, aneddoti esemplari). Nelle satire del primo tipo prevalgono gli aspetti autobiografici e descrittivi; nelle satire del secondo tipo quelli filosofici. Ricerca morale e contenuti filosofici A che cosa mira il poeta? Quali sono i suoi scopi? Sviluppare un discorso di carattere morale capace di condurre l’uomo sulla via della saggezza e della felicità. Due i concetti-cardine sui quali deve orientarsi la ricerca: l’autárkeia («l’autosufficienza interiore») e la metriótes («il giusto mezzo», la «moderazione»). La virtù non consiste negli atteggiamenti eroici e grandiosi, sostiene ripetutamente il poeta, ma nell’evitare ogni eccesso: est modus in rebus, sunt certi denique fines, / quos ultra citraque nequit consistere rectum («c’è nelle cose una misura, ci sono insomma confini precisi, al di qua o al di là dei quali non può esserci giusto»), come viene detto in I, 1, 106-107 [ T4 ONLINE ]. L’uomo è felice quando sa appagarsi di ciò che ha, senza pretendere altro dal proprio destino; l’infelicità è frutto dell’ignoranza, quando gli uomini non conoscono ciò che è giusto e non sono capaci di vivere in pace con se stessi. Benché nutrito di filosofia greca, Orazio non segue un preciso indirizzo dottrinale. Va osservato che i princìpi basilari cui aderisce erano da tempo bagaglio comune di tutte le scuole ellenistiche, complice anche l’eclettismo della cultura romana contemporanea. Il concetto di metriótes, ad esempio, elaborato nell’ambito della scuola peripatetica, era ormai patrimonio inalienabile dell’intera cultura greco-romana. L’epicureismo è sicuramente la dottrina a cui il poeta si sente più vicino, per il rilievo che questa scuola aveva dato ai temi della «vita nascosta» e dell’amicizia (philía); soprattutto, forse, per la lucidità priva di illusioni di una morale “laica”. Ma sarebbe improprio definire epicuree le Satire: manca ad Orazio l’ardore proselitistico e la tensione scientifica che avevano animato gli scolari dei Giardini e lo stesso Lucrezio. L’autosufficienza del saggio era anche il principio-cardine della filosofia stoica, di cui tuttavia è proprio Orazio a condannare con forza il rigorismo etico. È lo stesso Orazio, in un passo delle Epistole (II, 2, 60), a richiamarsi ai Bionei sermones, cioè alla tradizione della diàtriba ellenistica di ispirazione stoico-cinica, una forma di letteratura filosofica divulgativa nella quale due secoli prima si era acquistato fama Bione di Borìstene: ma il contatto con la tradizione diatribica non va oltre alcune affinità di genere (la commistione di serio e di comico, il ricorso alla tecnica dialogica, l’uso di materiali popolari e folclorici); manca totalmente, invece, lo spirito aspro e polemico, rude e denigratorio, delle dispute ciniche di cui la diatriba si era da sempre alimentata. Orazio tiene piuttosto a sottolineare il suo debito verso le semplici massime paterne [ T5], che ammoniscono ad esercitare con buon senso l’onestà, la parsimonia, il dominio di sé, in sostanziale accordo con i fondamenti della morale italico-romana: lungi dagli eccessi della tradizione stoico-cinica o del radicalismo 176
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PROFILO STORICO
epicureo, la sua riflessione etica nasce dall’esperienza di vita e dall’osservazione della realtà, richiamandosi volentieri a una saggezza atavica ed empirica, fatta di precetti ragionevolmente applicabili e universalmente accettabili. La persona del poeta satirico Che cosa dà unità a questo piccolo mondo fatto di racconti, aneddoti, osservazioni, moralità? La figura del poeta satirico, che entra in scena in quasi tutte le satire senza pretendere di assumere un ruolo esemplare: Orazio non è un eroe, semmai un antieroe consapevole dei propri difetti e delle proprie debolezze, un uomo che cerca se stesso confrontandosi con la realtà della natura umana e del mondo sociale. Ironia ed autoironia Ironia ed autoironia sono dunque una componente essenziale di questa poesia: Orazio è disposto a prendersi amenamente in giro e a divertire i suoi lettori, come nella satira 9 del primo libro [ T6], scegliendo i toni scherzosi e un parlare alla buona. Il suo obiettivo è espresso con semplicità nella satira proemiale del I libro [ T4 ONLINE]: «per quanto, che cosa vieta di dire la verità ridendo, come maestri amorevoli che danno pasticcini ai fanciulli, per invogliarli a imparare l’abbiccì?». Il destinatario A chi sono indirizzate le satire? Figlio della cultura alessandrina, Orazio non ha l’ambizione di rivolgersi a un vasto pubblico: «non darti pena perché t’ammiri la folla, contentati di pochi lettori» (I, 10, 73-74). Questi pauci lectores si identificano con la piccola cerchia degli amici e dei poeti: Orazio destina il frutto della propria ricerca poetica e morale in primo luogo a se stesso e poi a coloro ai quali si sente legato (secondo un’istanza che è essenzialmente epicurea) da un’affinità umana e intellettuale.
Il primo libro delle Satire Satira
Argomento
1
Est modus in rebus: esempi dell’incontentabilità umana.
2
Etica sessuale: è sconsigliabile ogni eccesso, fonte di turbamento.
3
Le colpe non sono tutte eguali, come pretendono gli stoici: invito all’indulgenza e alla tolleranza.
4
Difesa della poesia satirica, sull’esempio della commedia attica antica e di Lucilio.
5
Iter Brundisinum: vivace cronaca di un viaggio da Roma a Brindisi (37 a.C.) in compagnia di Mecenate e di Virgilio.
6
Libertino patre natus: rievoca le proprie umili origini, l’ingresso nella cerchia di Mecenate e gli insegnamenti morali ricevuti dal padre.
7
Un diverbio farsesco e spettacolare tra due litiganti dinanzi a Bruto, allora (43-42 a.C.) governatore dell’Asia, con stoccata finale al cesaricida.
8
Il dio Priàpo racconta una scena notturna di stregoneria, con finale grottesco.
9
Ibam forte via Sacra: la celebre satira “del seccatore”.
10
Nuova difesa della poesia satirica: pregi e difetti di Lucilio; indispensabile il labor limae; non bisogna curarsi dell’assenso del volgo, ma scrivere per pochi amici.
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3. Orazio
PROFILO STORICO
Il libro II delle Satire A cinque anni di distanza dal I libro appare il II, che presenta elementi di continuità rispetto al precedente, ma anche sensibili differenze sul piano tonale e strutturale. Prevale intanto (sei satire su otto) la forma dialogica, mentre si riduce decisamente lo spazio riservato alla voce del poeta (sovrastata da quelle, dissonanti, dei vari interlocutori), e di conseguenza il momento autobiografico (limitato sostanzialmente alla satira 6). Al libro viene così a mancare il centro unificante costituito dalla persona del poeta satirico: il filo del discorso morale sembra smarrirsi nella pluralità delle voci e delle opinioni. È stato detto a questo proposito che rinunciando al suo ruolo di protagonista, Orazio mostra di aver perso la fiducia nella funzione della satira, nella possibilità cioè di tracciare empiricamente una linea di condotta morale a partire dall’osservazione della multiforme e contraddittoria realtà sociale contemporanea. Il poeta, che intorno al 33 ha ricevuto da Mecenate il graditissimo dono della villa sabina, sembra ora preferire l’isolamento campestre all’ambiente cittadino. La satira 6 è infatti un elogio della vita rustica, suggellato esemplarmente dall’elegante favola del topo di città e del topo di campagna [ T7]. Ma lo stesso Orazio nella satira 7 offre al lettore, per bocca del servo Davo, un autoritratto al negativo che sembra smentire d’un colpo la possibilità di una vita serena ed equilibrata: Orazio viene dipinto dal servo come un uomo collerico e inquieto, incapace di resistere alle seduzioni di banchetti sontuosi o di pericolose avventure d’amore. Orazio non si era mai vestito dei panni del moralista esemplare; ma qui sull’autoironia sembra prevalere l’amara scoperta che ogni uomo è in balìa di forze incontrollabili, e che nessuna saggezza risulta veramente praticabile.
Il secondo libro delle Satire Satira
Argomento
1
I pericoli che corre il poeta satirico non distolgono Orazio dalla propria vocazione poetica, ancora una volta sull’esempio di Lucilio.
2
Ofello, un contadino di Venosa, tesse l’elogio della frugalità, biasimando il lusso eccessivo delle mense cittadine.
3
Lunga diceria di Damasippo, il quale sostiene che tutti gli uomini, tranne il sapiens stoico, sono pazzi: Orazio gli risponde ironizzando sulla sua presunzione e sul suo eccessivo rigorismo.
4
Cazio, amico del poeta, espone minuziosamente le regole dell’arte culinaria, in una spiritosa parodia dei precetti dei filosofi.
5
Denuncia amaramente ironica dell’avidità umana, mediante una giunta parodistica alla nékya omerica: il fantasma di Tiresia istruisce Ulisse sui mezzi per recuperare i beni dilapidati dai Proci; il più sicuro è quello di farsi cacciatore di eredità.
6
Hoc erat in votis: avuta in dono la villa sabina, Orazio è al colmo dei suoi desideri; lontano dall’agitazione cittadina, potrà godere di una vita tranquilla e di semplici gioie. Nella chiusa, la favola esemplare del topo di campagna e del topo di città.
7
Un autoritratto al negativo: il servo Davo, approfittando della libertà di parola concessa durante i Saturnali, rimprovera il padrone accusandolo di incoerenza e di inquieta volubilità.
8
Cena Nasidieni: racconto del lussuoso e pretenzioso banchetto offerto a Mecenate dal ricco e volgare Nasidieno, concluso dal rovinoso crollo del baldacchino che sovrastava le mense.
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PROFILO STORICO
Lo stile Si è detto come Orazio riconosca in Lucilio l’inventor del genere, rimproverandogli tuttavia lo stile fangoso (lutulentus) e sovrabbondante. Adeguandosi ai dettami delle poetiche alessandrine, la satura oraziana acquista una misura e un rigore formale sconosciuti a quella luciliana. Raffinatezza ellenistica, naturalezza colloquiale e tono medio sono i caratteri di questa poesia che si avvicina alla prosa pur conservando le movenze eleganti del verso. «Satira nitida ed elegante è un ossimoro: la satira oraziana realizza appunto questo ossimoro nel senso che riesce a conciliare la dimensione “satirica” dell’(apparente) informalità e casualità, del senso vivo della quotidianità, con un rigoroso e raffinato esercizio di stile» (Citroni). Ritorno al sermo Fra il 30 e il 23 a.C. Orazio si dedica integralmente alla poesia lirica. Solo dopo tale data ritorna all’ispirazione giovanile dei sermones con un libro di epistole, dedicato a Mecenate, che viene pubblicato nel 20. Non c’è dubbio che le Epistole (titolo non oraziano) ripropongano il progetto di una poesia di tono medio e di carattere morale che era stato delle Satire: lo testimoniano l’uso dello stesso metro (l’esametro), l’affinità dei temi affrontati e soprattutto la definizione di sermones che Orazio stesso estende alle nuove composizioni (II, 1, 250). Ciò che tuttavia le distingue dalle satire è la forma utilizzata dal poeta: l’epistola in versi, di cui finora si erano avuti soltanto sporadici esempi in lingua latina. Varietà delle epistole Come nelle Satire, i temi delle singole lettere sono molto vari: un bigliettino di raccomandazione (I, 9), un invito a pranzo (I, 5), uno sfogo sulla propria condizione esistenziale (I, 11), una polemica letteraria a difesa della propria poesia (I, 19), richieste di consigli per un soggiorno al mare (I, 15), avvertenze su come comportarsi con i potenti (I, 17 e I, 18), lodi della vita campestre (I, 10 e I, 14), e naturalmente riflessioni di argomento filosofico e morale (ad esempio I, 6). L’ultima lettera (I, 20 [ T27 ONLINE ]), rivolta al proprio stesso libro, chiude la raccolta con il tradizionale commiato; la prima, indirizzata a Mecenate, svolge invece la funzione di proemio, spiegando le ragioni che hanno spinto il poeta a intraprendere la composizione della nuova opera. La forma epistolare L’uso della forma epistolare condiziona indubbiamente la sostanza e i toni del discorso che Orazio svolge, contribuendo in misura determinante, come si è detto, a differenziare il libro delle epistole da quelli delle satire. Il tono è più intimo: si infittiscono i momenti di riflessione e di sentenziosità morale, mentre spariscono quasi completamente non solo gli aspetti propriamente “satirici” e aggressivi ma anche quelli mimici e drammatici, così come quelli comici. I vivaci interlocutori delle Satire si trasformano ora in destinatari assenti e silenziosi, e la voce del poeta può espandersi in modo uniforme in tutte e venti le lettere. I momenti autobiografici e introspettivi acquistano più spazio e più rilievo. La ricerca della verità e della saggezza La lettera a Mecenate che dà inizio alla raccolta registra con acutezza il nuovo stato d’animo del poeta, che a poco più di quarant’anni si sente ormai vecchio e ritiene sia giunto il momento di dedicarsi integralmente alla ricerca di ciò che è vero e di ciò che è bene, al fine di conseguire la serenità e l’equilibrio interiore. Non a caso questa prima epistola è stata da vari studiosi accostata, per la forma e il tono del discorso, a un protrepticon, cioè un trattatello di esortazione alla filosofia. @ Casa Editrice G.Principato
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
Affresco con paesaggio idillico da Pompei. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
PROFILO STORICO
Neppure ora, tuttavia, Orazio intende affidarsi in modo esclusivo a uno specifico indirizzo dottrinale, e lo dichiara immediatamente (I, 1, 13-15): «Non mi domandare chi è il maestro, sotto quale tetto mi sono rifugiato: non mi impegnai a giurare per un credo, e così mi ritrovo, ovunque il tempo mi porti, un ospite» (hospes temporaneo, e non affiliato permanente di una setta filosofica). La ricerca oraziana della saggezza, personale ed empirica, continua così ad ancorarsi ai princìpi già enunciati nelle opere precedenti (autárkeia, virtù come giusto mezzo, autonomia intellettuale, equilibrio dello spirito).
Elogio della campagna La satira si era sviluppata fin dall’età di Lucilio come un genere profondamente legato all’osservazione dei costumi e ai ritmi della vita urbana; nelle Epistole oraziane lo scenario privilegiato è invece quello agreste della villa sabina. Il motivo del contrasto città/campagna si era già annunciato con forza nella satira sesta del II libro [ T7], ma ora assume un nuovo e decisivo rilievo: «la vita rustica con le sue gioie realizza l’ideale etico comune allo stoicismo, specialmente a quello influenzato dai cinici, ed all’epicureismo, la vita secondo natura» (La Penna). Inquietudine e malinconia Il proposito oraziano di cambiare vita è destinato tuttavia a scontrarsi con l’essenza profonda di uno spirito malinconico e inquieto. Tre epistole in particolare toccano questo tema. Nella prima, indirizzata a Tibullo (I, 4 [ T25]), Orazio offre all’amico i conforti della saggezza epicurea (vv. 11-14, una variazione sul motivo del carpe diem), cercando di distoglierlo da un morboso stato di prostrazione interiore. Nelle altre due (I, 8 [ T26] e I, 11) Orazio stesso si confessa vittima di un funesto torpore, una sorta di spleen o di insoddisfazione che lo costringe a peregrinare perpetuamente da un luogo all’altro alla ricerca di un ubi consistam che in realtà non è possibile trovare fuori di sé.
Guida allo studio
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1. Sermones è il (probabile) titolo delle Satire di Orazio: che cosa significa letteralmente il termine sermo? Chi lo aveva già usato prima di Orazio per definire la propria poesia? 2. Confronta la poesia satirica di Orazio con quella di Lucilio, mettendo in evidenza gli elementi di continuità e i motivi di contrasto fra i due poeti. In particolare, esponi e commenta le critiche rivolte da Orazio alla poesia di Lucilio. 3. I libri delle Satire di Orazio sono due: ricordi quando vengono pubblicati? Quali mutamenti si registrano nel secondo libro rispetto al precedente?
4. Indica il protagonista, i temi principali e il destinatario delle Satire. 5. Le satire oraziane possono essere suddivise in due tipologie diverse: indica quali e descrivile. 6. Illustra i principi filosofici su cui si fonda tutta la poesia oraziana: a quali scuole di pensiero si richiamano? Qual è, in generale, il rapporto fra il poeta latino e le dottrine filosofiche del mondo ellenico? 7. Definisci lo stile dei Sermones oraziani. 8. Anche le Epistole rientrano nell’ambito dei sermones: che cosa distingue dunque il primo libro delle Epistole dai due precedenti libri delle Satire?
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PROFILO STORICO
4 Le Odi Quattro libri Orazio si dedica alla composizione delle Odi (Carmina in latino) dopo il 30 a.C.: nel 23 pubblica i primi tre libri; verso il 14-13 il IV; ad essi si deve aggiungere il Carmen Saeculare, che gli fu commissionato per i ludi Saeculares del 17 a.C. Una struttura architettonica Le liriche sono organizzate in modo da creare un’architettura ricca di simmetrie e di rispondenze: le odi di apertura e di chiusura sono indirizzate a personaggi importanti (Mecenate, Augusto, Pollione) o dedicate a questioni di poetica (ad esempio III, 30 [ T22]); la prima ode del I libro e l’ultima del III (che ha funzione di commiato) sono composte sul medesimo metro (l’asclepiadeo minore, che non ritorna in nessun’altra composizione dei primi tre libri) così da rendere ancor più significativa la loro collocazione. La struttura si fonda sulla norma ellenistica della variatio, attuata sia sul piano metrico-formale sia su quello dei contenuti. Le prime nove odi del I libro, ad esempio, utilizzano nove metri differenti. Carmi di carattere privato vengono sapientemente alternati ad altri di carattere civile; a uno stile alto segue uno stile più tenue e leggero. In un tale contesto, diventa ancora più rilevante e significativa la presenza di sequenze monotematiche: le prime sei odi del III libro, ad esempio (le cosiddette «odi romane»), affrontano temi civili e nazionali. Modelli lirici Come già negli Epodi, ellenistica è l’organizzazione strutturale e la raffinatezza compositiva dell’opera; orientata verso il mondo classico è invece la scelta dei modelli: negli Epodi Archiloco; nelle Odi Alceo e Pindaro (ma non mancano spunti da Saffo, da Simonide, da Bacchilide e soprattutto da Anacreonte). Alceo e Pindaro non rappresentano solo due diversi modi della lirica classica (monodica e corale) ma anche i due poli della lirica oraziana: Alceo per i carmi di materia e di stile tenue; Pindaro per quelli di tono e di contenuto più alto. Alceo Di Alceo (a cui si fa riferimento in numerose odi, a cominciare da I, 1 e III, 30 [ T22]) Orazio apprezza la molteplicità dei temi e dell’ispirazione (dalla poe sia civile agli inni religiosi alla poesia erotica). Restano, naturalmente, profonde le differenze fra i due poeti: Alceo era un aristocratico che aveva partecipato impetuosamente alla vita politica della sua città, mentre Orazio si limita su questo fronte a svolgere motivi di carattere celebrativo, restando ai margini degli eventi pubblici; i versi di Alceo nascevano da precise occasioni sociali (simposii, festività religiose) ed erano destinati a un’esecuzione orale per un uditorio circoscritto e ben definito, mentre la poesia di Orazio è il frutto di una civiltà cosmopolita fondata sulla scrittura e sulla circolazione del libro. Pindaro Più complesso il rapporto con Pindaro, che Orazio considera inimitabile per la potenza fantastica ed espressiva delle sue liriche: in IV, 2, ad esempio, al fiume smisurato e ribollente della poesia pindarica Orazio oppone i propri operosa carmina, composizioni costruite secondo un principio di laboriosità artigianale. Orazio si rifà al modello pindarico soprattutto nei momenti più alti e solenni della sua poesia: in I, 37 [ T14], ad esempio, nelle «odi romane» del libro III o in numerose composizioni del libro IV (si veda a questo proposito [ T24]), dove fa uso di uno stile grave e sublime, di metafore grandiose, di passaggi bruschi e potenti, di una sintassi ampia e in continua espansione che tende a straripare dai confini @ Casa Editrice G.Principato
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
della strofe metrica, diversamente dai moduli più semplici e misurati della poesia di stile tenue (di cui può costituire un esempio significativo l’ode di congedo dal I libro [ T15]). PROFILO STORICO
Orazio poeta-vates Pindaro rappresenta, agli occhi di Orazio, un esempio di vates, di poeta sacro ispirato da forze superiori, guida spirituale di una comunità: da lui deriva anche, non a caso, il tema dell’immortalità della poesia, sul quale si conclude la raccolta dei primi tre libri delle Odi [ T22]. È anche questo un segno del profondo mutamento di indirizzo artistico e culturale intervenuto nell’età di Augusto: Orazio, come Virgilio, è un poeta di formazione alessandrina e neoterica che si orienta verso tematiche di maggior respiro e di più alto impegno civile rispetto alla poetica ellenistica del lusus e del divertissement erudito. Alla poesia, in assenza di speranze ultraterrene, viene dunque affidato l’altissimo compito di vincere il tempo e la morte, di esprimere una forza salvifica, simboleggiando l’armonia e l’ordine universale delle cose. Rapporto con i modelli Un modello, per i poeti latini, non rappresentava uno schema vincolante da seguire in maniera passiva, ma un orizzonte, una stella polare che definiva un orientamento, senza per questo limitare la libertà compositiva dell’autore. Il rapporto di Orazio con i modelli classici ed ellenistici si sviluppa attraverso i tradizionali procedimenti allusivi diffusi in Roma dall’esperienza della poesia alessandrina e neoterica: l’imitazione si traduce allora in emulazione, in una sfida al modello preesistente, che non viene occultato bensì esibito, proprio perché il lettore sia messo in grado di verificare la novità e l’originalità delle soluzioni adottate. Giorgio Pasquali ha indicato nel «motto» uno dei procedimenti più caratteristici di Orazio lirico: alludere vistosamente nei primi versi di un carme a un componimento greco, per poi distaccarsene immediatamente prendendo una strada diversa. I versi del poeta greco funzionano come un motto, una «formula elegante» (Pasquali) che dichiara aperta la gara con il modello. Si vedano a questo proposito gli esempi di I, 9 [ T11] e di I, 37 [ T14], dove il motto, in entrambi i casi, corrisponde a una “citazione” da Alceo. Varietà di temi e motivi Le Odi, in tutto 103, svolgono temi e motivi molto vari. La preminenza che possiamo accordare agli uni piuttosto che agli altri dipende almeno in parte dal nostro gusto di lettori moderni, portati a privilegiare la poesia di ispirazione privata e autobiografica su quella di ispirazione pubblica e civile (le odi romane, le celebrazioni di Augusto, i carmi di soggetto religioso-sacrale). Gli interessi filosofici, già presenti nella produzione epodica e soprattutto in quella satirica, continuano a prevalere nella poesia delle Odi. Non mutano gli orientamenti: la ricerca dell’autosufficienza interiore (autárkeia) e della tranquillitas animi, perseguibili solo attraverso la pratica della moderazione (modus). Aurea mediocritas (II, 10, 5) chiama il poeta, con fulminante sintesi poetica, tale regola di vita: mediocritas traduce il termine greco metriótes («il giusto mezzo», dunque la moderazione); ma l’aggettivo aurea conferisce al concetto uno splendore sconosciuto al discorso filosofico. Destinata storicamente a ugual fortuna è l’espressione aequa mens (II, 3, 1-2 [ T16 ONLINE]), che designa l’animo imperturbato (aequus, cioè che non muta, che resta sempre uguale a se stesso) nella sventura come nella prosperità. L’affinità con il mondo delle satire è tuttavia solo di ordine contenutistico; cambiano invece il tono e il codice espressivo: nelle Odi «non si argomenta, 182
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PROFILO STORICO
non si dimostra nulla, ma si enunciano in uno stile immaginoso auree sentenze di vita» (La Penna). Sentimento del tempo e carpe diem Aequus animus, equilibrio, modus definiscono un ideale di saggezza che il poeta sente tuttavia costantemente insidiato: il disagio esistenziale, il sentimento del tempo, il pensiero della morte costituiscono dunque l’altro polo, il più malinconico e struggente, della lirica oraziana. Dum loquimur, fugerit invida / aetas (I, 11, 7-8 [ T12]), leggiamo in uno dei carmi più noti. Molti prima di Orazio avevano parlato del tempo che passa e della brevità della vita umana, ma in Orazio c’è qualcosa di più: la temporalità rappresenta la condizione essenziale dell’uomo; la coscienza del tempo che fluisce e inesorabilmente si perde, il senso della finitudine segnano ogni gesto umano, anche il più piacevole. Non a caso gli aggettivi brevis e fugax, i verbi rapere, fugere e labi restano tra le occorrenze più memorabili delle Odi; sul tema della morte, della fugacità della vita e sul sentimento del tempo sono composti i carmi più intensi e profondi di tutta la poesia classica [ T8; T12; T17; T19; T23]. Ma proprio la coscienza del limite e la fuga del tempo determinano l’esigenza di cogliere l’attimo che fugge: carpe diem (I, 11, 8 [ T12]), espressione che ha goduto anch’essa di grande fama nei secoli, fino quasi a determinare un motivo poetico a sé stante all’interno del sistema letterario occidentale. Carpere è la risposta a rapere: se il tempo fugge e rapisce la nostra vita, all’uomo non resta che «strappare» la felicità effimera che gli è volta per volta concessa. Il motivo del carpe diem è dunque figlio dell’angoscia temporale e del pensiero della fine, con il quale costituisce un unico nodo poetico e tematico. Sottrarsi al sentimento ansioso del tempo significa salvarsi dal domani, scacciare il pensiero del futuro, un monito che il poeta ripete spesso con accenti vigorosamente sentenziosi (oltre a I, 11 [ T12], cfr. in particolare I, 9, vv. 13-15 [ T11]).
fonti
visive
Memento mori La morte, simboleggiata da teschi o scheletri, è un soggetto spesso usato per suppellettili di uso conviviale, come invito a godere, per contrasto, delle gioie della vita. Originariamente il mosaico era collocato sul piano di un tavolo tricliniare estivo, allestito nel portico di una casa pompeiana con annessa una bottega di conceria. Una squadra triangolare dalla quale pende un filo a piombo (una livella nel gergo comune) si trova collocata sopra il teschio, a indicare che la morte eguaglia il destino dei potenti (ai quali alludono la porpora e lo scettro regale raffigurati sulla sinistra) e degli umili (simboleggiati dal mantello da viaggio con bisaccia e bastone sulla destra). Sotto il teschio, in equilibrio sulla ruota della Fortuna, una farfalla, simbolo dell’anima immortale.
Allegoria della morte, mosaico proveniente dall’Officina Coriariorum in Pompei. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
PROFILO STORICO
Angulus e paesaggi La ricerca di una vita felice richiede un luogo protetto, un «giardino» privato dove sottrarsi alle burrasche della vita, un angulus appartato [ T17; T18] che ha spesso i tratti di un rustico paesaggio italico. Molte delle liriche oraziane disegnano uno sfondo naturale di forte suggestione, nel quale un elemento del paesaggio assume valore simbolico, diviene il correlativo oggettivo di uno stato interiore: il ruscello e gli alberi ombrosi di II, 3 [ T16 ONLINE], rappresentazione di un luogo ideale; le rose di I, 38 [ T15], immagine della stagione che declina; le tempeste che affaticano il mar Tirreno in I, 11 [ T12] o l’inverno gelato dell’ode a Taliarco (I, 9 [ T11]), segni di una natura ostile compensati dalle grazie del fuoco, del vino o dell’amore; la primavera fiorita di IV, 7 [ T23], presagio per contrasto della morte che tutti attende. Il paesaggio prediletto corrisponde alla tipologia del locus amoenus ellenistico: come ha scritto Giorgio Pasquali, nel paesaggio Orazio «ricerca non maestà né sublimità ma amoenitas. E conforme a questa disposizione del suo spirito egli rappresenta quasi sempre paesaggi idillici, bucolici». Gli esempi più noti, a questo proposito, restano la campagna estiva del Fons Bandusiae [ T21] o i dolci colli tarentini evocati in II, 6 [ T17]. Il convito, il vino, l’amicizia L’angulus-rifugio del poeta è il luogo deputato alle gioie del convito, momento reale e insieme simbolico in cui sembrano raccogliersi e trovare un centro tutti i principali motivi della lirica oraziana [ T11; T13; T16 ONLINE ; T18]. Il convito è allietato dal vino che scaccia gli affanni, fonte di vitalità e di calore, e dall’amicizia ospitale. Siamo di fronte a una situazione topica, ricca di echi letterari, che derivano dalla poesia lirica greca (da Alceo in particolare).
fonti
visive
Il vino e il convito L’anfora, databile al secondo quarto del I secolo d.C., è alta poco più di 30 cm; fu ritrovata nel primo Ottocento all’interno di un edificio sepolcrale di Pompei. Era destinata, in origine, al consumo del vino durante il convito. Al centro della scena, fra tralci di vite, è visibile un letto su cui siedono un amorino intento a suonare la lira e un altro amorino semisdraiato con un calice nella mano sinistra. Due amorini vendemmianti, in piedi su alti podii, raccolgono grappoli d’uva. Vasi come questi, ispirati al motivo dionisiaco della vendemmia, e realizzati con tecnica raffinata, erano ben noti e diffusi nell’ambiente augusteo.
Anfora in vetro-cammeo. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
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PROFILO STORICO
Presso i Greci il convito (o simposio) costituiva un momento rituale strettamente collegato ai temi del canto e della bellezza; nel vino si esprimeva il senso di folgorante ebbrezza dell’ispirazione poetica, ma anche la gioia, pura ed elementare, della vita. Orazio ricrea questi motivi, non più legati a concrete occasioni sociali e divenuti ormai esclusivamente letterari, connettendoli in profondità alla propria visione del mondo e della vita; ne fa gli emblemi e lo scenario privilegiato di una meditazione esistenziale che presuppone l’influsso delle filosofie ellenistiche e soprattutto dell’epicureismo (si veda, per il confronto con i modelli, [ T11 e T13]; per il motivo del vino, [ T18]). Motivo epicureo (e oraziano) per eccellenza è la philía, l’amicizia. Non è casuale che nella maggior parte delle Odi ricorra la forma dialogica (o meglio allocutiva): il poeta si rivolge quasi sempre a qualcuno (un amico, una donna; ma talora un personaggio autorevole, una divinità, un oggetto simbolico), creando un’atmosfera raccolta di intimità e di confidenza, propizia a una situazione comunicativa che tende a risolversi nella gnome (o espressione sentenziosa).
L’eros Benché numerosi e di alto livello artistico, i carmina erotici restano in fondo marginali nei quattro libri delle Odi. Orazio non canta la passione ardente e tormentosa di Catullo e dei poeti elegiaci contemporanei: nei suoi carmi l’amore si configura quasi sempre come un’esperienza piacevole, razionalmente controllata (come prescriveva la dottrina di Epicuro), un gioco eccitante e leggero sovente risolto in elementi decorativi se non addirittura in forme di elegante parodia. La distanza da un Tibullo o da un Properzio è già tutta nella folla dei nomi femminili che costellano i vari libri: manca la puella unica, sostituita da una folta schiera di liberte e di etere dalle richieste non impegnative [ T20]. Situazioni ed episodi non vanno a comporre una “storia”, ma si esauriscono nel breve, nitido giro di versi del singolo componimento. Fissate per un attimo in un profilo, in un gesto leggiadro, le donne oraziane restano nella memoria come immagini fuggevoli, lievemente enigmatiche, di grazia e di armonia. Religiosità e offerte agli dèi Non pochi sono i carmi di argomento religioso, soprattutto inni e preghiere agli dèi: Mercurio (I, 10); Apollo e Diana (I, 21 e I, 31); Venere (I, 30); Fauno (III, 18); Dioniso (II, 19 e III, 25); Nettuno (III, 28). Qui il poeta delle Odi deve misurarsi con uno dei filoni più cospicui della tradizione lirica greca, assumendone le convenzioni e gli schemi compositivi, seppure con grande libertà creativa. In sé il tema non doveva essere particolarmente sentito da Orazio, educato al razionalismo e agli atteggiamenti scettici delle filosofie ellenistiche. Valore prevalentemente simbolico e letterario hanno dunque i frequenti riferimenti al mito e in particolare alle divinità infere (si leggano in particolare II, 14, 5-20 [ T19] e IV, 7, 14-28 [ T23]): spesso i nomi degli dèi valgono semplicemente a designare le forze incontrollabili della natura [ T11]. Non è facile dire se sia dato cogliere, almeno a tratti, la presenza di una religiosità autentica e più profonda in questo raffinatissimo poeta dell’ambiguità: forse un avvertimento del divino essere cosmico della natura, una sorta di animismo caratteristico del paganesimo arcaico, è sotteso all’evocazione dei rustici culti delle origini, come nell’ode al fons Bandusiae [ T21]. Ma certo, e soprattutto, il senso del sacro appare connesso nelle Odi oraziane all’ispirazione poetica e alla sublimità del canto lirico. @ Casa Editrice G.Principato
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3. Orazio
PROFILO STORICO
L’immortalità del canto Va osservato infatti che il continuo richiamo agli dèi e alla loro protezione rientrava pienamente nel progetto di una poesia di intonazione sacrale e di ispirazione sublime. Definendosi Musarum sacerdos (III, 1, 3) e legando il proprio nome all’immagine del pontefice che sale al Campidoglio cum tacita virgine (III, 30, 7-9 [ T22]), Orazio accettava l’originaria visione giuridico-sacrale di Roma: la città abitata dagli dèi e dagli uomini, stretti in un patto perpetuo di prosperità e di potenza. Per tradizione, il nome vates (un vocabolo arcaico appartenente alla sfera del sacro, ben distinto dal grecizzante poeta) presupponeva un’investitura divina e dunque un’ispirazione alta: l’affermazione dell’immortalità della poesia (motivo di derivazione pindarica) conclude i primi tre libri delle Odi e si realizza pienamente nei versi luminosi e monumentali del Carmen Saeculare. Il ciclo delle odi romane Il tema religioso si legava dunque a quello civile e agli argomenti centrali della propaganda augustea: ritorno alle antiche virtù degli avi, elogio del princeps e della sua attività pubblica, esaltazione della potenza romana e del suo ruolo nel mondo. Fra le odi di carattere civile spiccano le prime sei odi del III libro, comunemente designate come «odi romane». Il poeta le ha raggruppate intenzionalmente «per una certa affinità tematica e per il comune spirito etico, civile, religioso, patriottico di cui sono pervase, oltre che per l’identità del metro» (Cremona). C’è stato anche chi ha ipotizzato una pubblicazione inizialmente autonoma (intorno al 27-25 a.C.) dei sei carmina. Siamo in ogni caso a cavallo degli anni cruciali del mutamento istituzionale, tra il 29 (quando Ottaviano torna vincitore da Oriente) e il 25 (quando è ormai stato acclamato Augustus). Ritorna, in tutti i sei componimenti, il tema della grandezza romana: l’esaltazione della virtus, della iustitia, della clementia, della pietas e degli antichi mores, motivi della propaganda augustea ma anche oggetto di una riflessione etico-politica a cui nessun intellettuale dell’epoca poteva sottrarsi. Orazio e Augusto Nel IV libro delle Odi si accentua l’interesse per i temi civili e romani. La lirica d’esordio si presenta come un ambiguo congedo dalla poesia d’amore: evidentemente Orazio intende conferire maggior peso al proprio ruolo di poeta nazionale, cantore e vate del popolo romano. Nel carme conclusivo [ T24] esalta la figura di Augusto e la felicità della nuova era di pace e di prosperità, un tema che doveva trovare compimento nel maestoso e severo Carmen Saeculare. Lingua e stile Educato sui testi della cultura neoterica e alessandrina, Orazio si mantiene sempre fedele al precetto del labor limae: accuratezza formale, gusto delle rispondenze e delle simmetrie interne al testo e al libro, scelta del vocabolo più appropriato. Ma contemporaneamente si volge a un gusto più sobrio e misurato dell’espressione. Non a caso è la sua poesia a restare nei secoli l’esempio più citato di poesia classica, modello di ogni rinnovato classicismo. Orazio privilegia i valori visivi su quelli fonici: fa scarso uso delle figure di suono (fra cui l’allitterazione), mentre punta sull’immagine intensa, sulla forza incisiva e splendente del vocabolo, capace di incidersi per sempre nella memoria dei lettori: di qui il fascino delle sue sentenze poetiche, che parafrasate e ridotte al puro aspetto concettuale non aggiungerebbero nulla al tradizionale repertorio della filosofia antica. 186
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PROFILO STORICO
Il vocabolario delle Odi è semplice ed essenziale. L’attenzione maggiore è indirizzata alla collocazione delle parole, e cioè a quella tecnica che il poeta stesso, nell’Ars poetica (vv. 47 sgg.), chiama callida iunctura: risemantizzare un vocabolo di uso comune creando nuove combinazioni espressive. Il disegno sintattico è generalmente limpido e composto, lontano da ogni complicazione strutturale; e anche quando sperimenta moduli di maggiore complessità, il poeta sa sempre evitare il rischio dell’espressione involuta ed oscura. L’ideale stilistico oraziano sembra corrispondere perfettamente ai motivi fondamentali della sua ricerca etica: equilibrio, moderazione, armonia interiore. È naturalmente uno stile più elevato di quello degli Epodi e delle Satire, e che abbraccia un’ampia varietà di registri: stile tenuis per i carmi d’amore; più sostenuto e grave per i carmi di intonazione sentenziosa; alto, fino a toccare il sublime, per i carmi di argomento civile e romano (in particolare le odi celebrative del IV libro). Ma diverse tonalità stilistiche possono coesistere all’interno di una stessa lirica, o proporsi per contrasto in due componimenti contigui (come accade al termine del I libro [ T14; T15]). Il ricorso allo stile eccelso di derivazione pindarica è comunque limitato a rare occasioni. La forma lirica cui Orazio aspira rifugge tendenzialmente dagli estremi: «complessivamente, si può definire lo stile lirico di Orazio come medio-alto: appunto, lo stile di un poeta del modus insidiato da tentazioni pindariche» (Traina). Concisione ed essenzialità, cura estrema nella disposizione delle parole, perfetta aderenza tra suono immagine e concetto costituiscono il segreto della lirica oraziana. Se ne accorse Nietzsche, a cui l’ode oraziana appariva come un «mosaico di parole dove ciascuna parola, come suono come posizione come concetto, versa la sua forza a destra e a sinistra e sopra tutto il complesso, questo minimum di spazio con cui si raggiunge il maximum di energia».
Guida allo studio
1. Quanti sono i libri delle Odi? Quando furono composti e pubblicati? 2. Che tipo di relazione istituiscono i Carmina oraziani con i modelli della poesia lirica greca? 3. Chiarisci i concetti di aurea mediocritas e di aequa mens. 4. Vino e convito avevano costituito uno dei nuclei ispiratori fondamentali della lirica greca: come vengono rielaborati tali motivi da Orazio? Individua le differenze più vistose rispetto ai modelli. 5. Quale posto occupano le figure femminili e l’amore nella lirica di Orazio? 6. Illustra il motivo dell’angulus e la rappresentazione del paesaggio nelle liriche oraziane.
7. Qual è l’atteggiamento di Orazio nei
confronti del tema religioso? Quale valore e quale significato dobbiamo attribuire ai numerosi riferimenti al mito e alle divinità che si incontrano nelle Odi? 8. Quali sono i temi e gli argomenti delle «odi romane»? In quale altro componimento Orazio celebra la potenza e le virtù dello Stato romano? 9. In quale misura si può parlare di un’adesione oraziana al progetto politico e culturale di Ottaviano Augusto? 10. Illustra i caratteri linguistici e stilistici più significativi delle Odi, indicando le differenze salienti rispetto allo stile dei Sermones.
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
5 Il libro II delle Epistole e l’Ars poetica PROFILO STORICO
Temi letterari Alla poesia esametrica e alla forma epistolare Orazio ritorna ancora, dopo la pubblicazione del I libro delle Epistole (20 a.C.), con tre ampi e impegnativi componimenti di argomento letterario. In quest’ultimo gruppo di epistole l’autore prende posizione su alcune questioni dibattute in quegli anni nell’ambiente culturale augusteo, e in particolare sull’auspicata rinascita del teatro latino. Augusto e Mecenate, come si sa, avevano affidato alla letteratura il compito di ricreare un’identità nazionale e di offrire un prezioso sostegno ai nuovi modelli istituzionali. Ma al princeps doveva stare a cuore soprattutto un rilancio della produzione drammatica, che appariva idonea alla diffusione e al consolidamento del programma ideologico del principato presso un vasto pubblico. Epistola ad Augusto (II, 1) Sul tema del teatro latino e sulla disputa fra antichi e moderni è impostata la prima epistola del II libro, indirizzata proprio ad Augusto. E qui Orazio manifesta tutta la sua indipendenza di giudizio: non soltanto, contro l’opinione dei più, si pronuncia a favore dei contemporanei (considerati più colti e raffinati), sottoponendo a durissime critiche gli antichi poeti romani (che giudica rozzi nelle scelte linguistiche e approssimativi nella tecnica); ma si mostra apertamente scettico riguardo al progetto di dar vita a una nuova letteratura drammatica di alta qualità artistica, destinata a sicuro insuccesso sulla scena romana, ancora troppo esposta ai gusti grossolani e mutevoli delle folle ignoranti.
L’Epistula ad Pisones ovvero Ars poetica ▰ Un ordinamento sistematico Non era raro
che alla forma epistolare venissero affidate importanti trattazioni di natura teorica: così avevano fatto, ad esempio, Platone ed Epicuro. E la lettera ai Pisoni, nonostante il tono affabile e l’andamento discorsivo, apparentemente divagante, presenta un ordinamento sistematico, ricalcato su uno schema tradizionale, comune a numerosi trattati ellenistici sull’arte poetica.
▰ Tre parti ben distinte L’Ars poetica oraziana risulta dunque suddivisa in tre parti: la prima (vv. 1-41), detta convenzionalmente della póiesis, riguarda il contenuto o materia dell’opera, cioè l’invenzione e l’uso degli argomenti poetici; la seconda (vv. 42-294) tratta del póiema, ossia di tutto quanto concerne la forma dell’espressione poetica: gli elementi compositivi e strutturali, lo stile (dispositio ed elocutio) nonché le regole che governano i generi poetici; la terza infine (vv. 295-476), riservata al poietès, delinea i tratti caratterizzanti del perfetto poeta. ▰ Poesia e sapienza Scribendi recte sapere est et
principium et fons («L’arte ha origine e nutrimento nella sapienza»), leggiamo infatti al v. 309. Sapĕre significa
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propriamente «essere saggio»: non solo, naturalmente, nel senso di «aver senno» ma anche in quello di «essere istruito», di possedere un’adeguata preparazione filosofica. Facendo proprio un concetto di chiara derivazione stoica, nei versi successivi Orazio identifica sapientia e virtus. Il poeta deve essere innanzitutto un vir bonus, per riprendere la celebre definizione coniata da Catone il Vecchio a proposito dell’oratore: un uomo retto e giusto che conosce i suoi doveri verso la patria, gli amici, il padre, il fratello, l’ospite (vv. 312-316). Di ascendenza catoniana è ancora l’affermazione al v. 311, nella quale si sottolinea come siano i verba («le parole») a seguire le res («la sostanza reale»), e non il contrario. Catone, con sentenziosa asprezza, aveva scritto: rem tene, verba sequentur.
▰ Ars e ingenium Orazio rifiuta la concezione
platonica della poesia come insania (in greco manía): una sorta di invasamento, una divina follia. Fedele al principio etico del giusto mezzo, sostiene che il poeta deve possedere in pari misura ingenium e ars, dove ingenium denota il «talento naturale», ars la «maestria nell’elaborazione formale», frutto di studio e di doctrina. È indispensabile che fra le due componenti si stabilisca un perfetto equilibrio: più volte, nel corso della trattazione, l’autore ammonisce i poeti a tenere a
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PROFILO STORICO
Epistola a Floro (II, 2) Dedicata a Floro, la seconda epistola del II libro, di tono sostanzialmente autobiografico, è una sorta di bilancio, venato di malinconico umorismo, della propria vita. Rimproverato di scrivere poco, il poeta si difende accusando l’incombente vecchiezza, la pigrizia, la confusione della vita urbana, ma soprattutto affermando l’esigenza, sempre più acutamente avvertita, di dedicarsi alla ricerca della saggezza. Epistola ai Pisoni o Ars poetica (II, 3) Un vero e proprio trattato sulla poesia è invece l’Epistula ad Pisones, meglio nota come Ars poetica (il titolo tradizionale è attestato già da Quintiliano), in 476 versi esametri, composta probabilmente dopo il 13, ma che alcuni vogliono collocare tra il 20 e il 17, poco prima del Carmen Saeculare. Scritta, come le precedenti, in forma epistolare e indirizzata all’illustre famiglia romana dei Pisoni, ben nota in Roma per gli interessi letterari e filosofici, l’opera è stata aggiunta soltanto in età moderna al secondo libro delle Epistole.
Guida allo studio
1. Quali componimenti formavano originariamente il secondo libro delle Epistulae? Quale fu invece aggiunto al libro soltanto in età moderna? 2. Di ciascuna lettera poetica del libro indica l’epoca di composizione, l’argomento, le principali tesi sostenute dall’autore e i destinatari.
freno l’ispirazione, a misurare le proprie forze, a scegliere una materia proporzionata alle proprie capacità (v. 38: sumite materiam vestris aequam viribus). Il talento va sempre sostenuto da un lungo studio e da un assiduo lavoro di rifinitura, quello che in una memorabile endiadi Orazio definisce labor limae et mora (v. 291).
▰ Unità e armonia Come deve risultare un’opera?
Perfettamente unitaria e proporzionata. L’Ars poetica esordisce infatti con una celebre esemplificazione: «Se un pittore che fa una testa le volesse unire un collo di cavallo e membra d’ogni provenienza con piume varie, e la sua bella donna facesse poi per nostro orrore finire in una nera coda di pesce, e poi v’invitasse a vedere, sapreste non ridere, amici miei? Eppure credete, Pisoni, è proprio come quel quadro un libro pieno di visioni vane come sogni di malati, dove capo e piedi non rispondono a una figura compiuta» (vv. 1-9). Orazio ha un’idea della poesia come un organismo naturale composto di varie parti: ognuna di tali parti deve essere omogenea e proporzionata alle altre, in modo da produrre un effetto di lucidus ordo (v. 41), una «luminosa proporzione».
▰ Lo stile Lo stile, poi, è regolato dal principio della convenienza (decorum); deve cioè corrispondere
3. Commenta i seguenti termini ed espressioni tratti dall’Ars poetica: ingenium, ars, decorum, limae labor et mora. 4. Traduci e commenta le seguenti espressioni oraziane, anch’esse estratte dall’Ars poetica: a) Scribendi recte sapere est et principium et fons; b) Omne tulit punctum, qui miscuit utile dulci/ lectorem delectando pariterque monendo.
pienamente all’argomento affrontato. All’interno di un orizzonte poetico dominato dal principio di imitazione, l’originalità non consiste nella novità dell’argomento ma nel proprie communia dicere (v. 128), nel significare le cose comuni con un’impronta nuova e personale. Celebre il procedimento indicato al v. 47: le parole possono esser rese nuove mediante una callida iunctura, «un’accorta associazione» capace di restituire lucentezza e vigore al vocabolo più ovvio e usuale.
▰ Miscere utile dulci Qual è il fine della poesia?
Anche qui Orazio ricorre ad una espressione che resterà celebre nei secoli, e detterà il principio classicistico di ogni pedagogia dell’arte (vv. 343-344): omne tulit punctum, qui miscuit utile dulci / lectorem delectando pariterque monendo («avrà il voto di tutti chi unisce il piacevole col buono, divertendo il lettore anche con i suoi consigli»). E già poco prima (vv. 333-334), Orazio aveva affermato che compito del poeta è quello di prodesse e di delectare insieme, di parlare in un modo insieme piacevole e utile: utile, naturalmente, in senso etico e morale. Così, partendo da una nozione alessandrina di poesia come ars e doctrina, Orazio raccoglieva fino in fondo le istanze romane e augustee di una poesia di contenuti morali e di tono civile.
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
PROFILO STORICO
Orazio
nel TEMPO
Presso i contemporanei Grande fu la fa- onori pubblici, la riflessione sulla brevità della ma di Orazio già presso i contemporanei: dopo la morte di Virgilio (19 a.C.), egli apparve come il poeta più rappresentativo della sua epoca, e a lui, come si è visto, si rivolse Augusto per il solenne Carmen Saeculare. Alla raffinatezza stilistica della poesia oraziana rende omaggio un passo dei Tristia (IV, 10, 49-50 [ T17, cap. 5]) di Ovidio: «affascinò le mie orecchie Orazio ricco di ritmi, / mentre toccava sulla lira ausonia carmi di dotta fattura». Già nel commiato al I libro delle Epistole [ T27 ONLINE], Orazio aveva del resto immaginato la diffusione della propria opera fin nei centri più remoti dell’impero.
In età imperiale Divenuto ben presto un classico, Orazio fu studiato nelle scuole imperiali e commentato dai grammatici. Alla fine del I secolo d.C. Quintiliano (Inst. or. X, 1, 96) lo considera quasi il solo poeta lirico degno di essere letto, motivando il giudizio con precise osservazioni stilistiche: «infatti talvolta si leva in alto ed è pieno di grazia e di fascino ed è vario nelle figure e audace molto felicemente nella scelta delle parole». Petronio, sia pure attraverso la voce di un personaggio ambiguo e beffardo come il poeta Eumolpo, loda apertamente la squisitezza formale della poesia di Orazio e la sua curiosa felicitas (Satyricon 118), espressione con la quale vuole indicare una felicità espressiva frutto di accurata ricerca formale. Altrettanto grande la fortuna della poesia satirica oraziana, a cui si ispirano nel corso della prima età imperiale sia Persio che Giovenale. Quintiliano considera Orazio «satiro» molto più terso e puro di Lucilio (X, I, 94), in ogni caso il più grande (praecipuus) nel genere. In età cristiana e nel Medioevo Con l’avvento della cultura cristiana, l’interesse si concentra sui contenuti etico-morali della poe sia oraziana. La ricerca della saggezza, la valorizzazione dell’interiorità, il disinteresse per gli
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vita e sull’ineluttabilità della morte, l’aspirazione alla solitudine erano temi che potevano adattarsi pienamente ai nuovi modelli di vita cristiana. Tra le singole opere, tuttavia, sono i Sermones e le Epistulae a godere di maggior fortuna. «Orazio satiro» lo definì ancora Dante in Inferno IV, 89, rivelando implicitamente che per lui, come per i contemporanei, Orazio era il poeta dei Sermones, non dei Carmina.
In età umanistica Le Odi di Orazio ritornano ad essere lette e a influenzare in modo decisivo la poesia occidentale solo con l’età umanistica. Nel Canzoniere del Petrarca le corrispondenze riguardano i temi, fondamentali per entrambi i poeti, della morte e della fuga inesorabile del tempo: «ora mentre ch’io parlo il tempo fugge» (LVI, 3): Dum loquimur, fugerit invida / aetas (Carm. I, 11, 7-8 [ T12]); «Veramente siam noi polvere et ombra» (CCXCIV, 12): pulvis et umbra sumus (Carm. IV, 7, 16 [ T23]). Tra Cinquecento e Settecento Nel XVI secolo Orazio lirico divenne l’autore per eccellenza del Rinascimento paganeggiante, il cantore degli amori, del vino e dei piaceri. Per lo stesso motivo cadde poi in disgrazia nell’età della Controriforma, ritornando in auge nelle corti galanti del Settecento, dove fu letto come maestro di libertinaggio e di saggezza epicurea. Continuava d’altra parte la fortuna delle Satire, già imitate dai poeti satirici in lingua latina dell’età umanistica e successivamente (fra il 1517 e il 1524) in lingua volgare dall’Ariosto. Fondamentale fu soprattutto tra Cinquecento e Settecento la lettura dell’Ars poetica, che informò di sé per almeno due secoli il gusto poetico internazionale: direttamente al testo oraziano si ispira l’Art poétique di Boileau (1674), manifesto del classicismo francese (ed europeo). Ancora a metà del XVIII secolo Parini concludeva una
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PROFILO STORICO
delle sue odi di maggior impegno civile (La salubrità dell’aria) con versi che riecheggiavano il precetto oraziano di miscere utile dulci: «Va per negletta via/ ognor l’util cercando/ la calda fantasia/ che sol felice è quando/ l’utile unir può al vanto/ di lusinghevol canto».
All’avvento del Romanticismo La cultura romantica, passionale e irrequieta, bandisce d’un colpo la poetica del classicismo e il gusto oraziano. Resta celebre il giudizio del Foscolo, che nella Notizia intorno a Didimo Chierico (immaginario “doppio” del poeta) aggiunta alla traduzione del Viaggio sentimentale di Sterne, poteva scrivere: «Richiesto da un ufficiale, perché non citasse mai le odi di quel poeta [cioè di Orazio], Didimo in risposta gli regalò la sua tabacchiera fregiata d’un mosaico d’egregio lavoro, dicendo: Fu fatto a Roma d’alcuni frammenti di pietre preziose dissotterrate in Lesbo». Il Foscolo rimproverava insomma ad Orazio di essere un semplice intarsiatore di motivi poetici sottratti ad Alceo e a Saffo (entrambi nativi dell’isola di Lesbo). Per il Romanticismo tutto ciò che non scaturiva da una personale ispirazione andava considerato nient’altro che fredda e monumentale letteratura.
Nella seconda metà dell’Ottocento: Carducci e Pascoli In Italia Orazio godette tuttavia di grande fortuna nella seconda metà dell’Ottocento, soprattutto per merito del Carducci e del Pascoli. Non casuale che nel nome di Orazio si apra la poesia d’esordio degli Juvenilia, primo libro poetico del Carducci secondo l’ordinamento predisposto dal poeta stesso: Orazio rappresentava per Carducci, polemico nei confronti della cultura tardoromantica, l’immagine di una poesia nitidamente classica. Oraziani fin dal titolo sono poi gli aggressivi Giambi ed epodi composti successivamente dal Carducci, che nelle Odi barbare si cimentò anche nel tentativo di riprodurre nella lingua italiana i metri classici; oraziani il ricorrente motivo del vino e del convito, nonché gli stessi nomi poetici delle donne amate (Lalage, Lidia). Più sfumato e intimistico è invece l’Orazio pascoliano, rielaborato e imitato soprattutto nella produzione poetica in lingua latina (si veda ad esempio il Fanum Vacunae, nel Liber de poetis). Meno sensibile l’influenza oraziana sulla poesia del Novecento (ma si leggano gli interventi di vari poeti contemporanei sull’Ars poetica in un volume curato da Claudio Damiani e citato in bibliografia).
Edizione del 1479 delle Opere di Orazio con annotazioni di Filippo di Pietro. Biblioteca Marciana, Venezia.
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
PROFILO STORICO
COMPITO di REALTÀ • Un testo teatrale: Scrittori e potere 1. La consegna • Gli insegnanti di letteratura italiana, letteratura latina e storia moderna vi affidano il compito di scandagliare, con esempi appropriati riguardanti il mondo antico e il mondo moderno, la relazione – spesso, ma non necessariamente, conflittuale – fra scrittori e potere. • L’unico vincolo è quello che riguarda la vicenda di Orazio e di Virgilio, da cui dovete necessariamente partire. • Per il mondo moderno, si consiglia di appuntare lo sguardo sull’ultimo secolo, scegliendo esempi particolarmente emblematici di scrittori di area sovietica (ad esempio Majakovskij, Pasternak, Mandel’štam, Brodskij) o italiana (un caso interessante e problematico potrebbe essere quello di Pasolini). • Agli studenti viene chiesto di tradurre le conoscenze acquisite in un testo teatrale, che potrebbe essere congegnato in vari modi: ad esempio un certo numero di “stazioni” o “quadri” (come nel teatro espressionista tedesco), ciascuno dei quali incentrato su un’epoca storica; oppure un unico testo, in cui le vicende vengano evocate e si intreccino liberamente attraverso voci e figure contemporanee.
2. Gli strumenti Data l’ampiezza e la complessità del tema, risulterà particolarmente necessario progettare uno spazio unitario e ordinato, nel quale far confluire di volta in volta i materiali prodotti: si consiglia dunque di nominare uno studente che svolga questo ruolo. Fra i libri, possono essere utili: A. La Penna, Orazio e l’ideologia del principato, Einaudi, Torino 1963 (e successive ristampe); H. Broch, La morte di Virgilio, Feltrinelli, Milano 2016. Essenziali, per questo lavoro, i consueti strumenti web (WikiMedia, Google Scholar, Google libri, WikiQuote, Enciclopedia Treccani). 3. Le fasi operative Suddividete la classe in gruppi, assegnando a ciascun gruppo uno dei seguenti compiti: – coordinare il progetto nelle sue varie fasi; – selezionare le letture necessarie; – scrivere il testo che dovrà essere rappresentato; – distribuire i vari ruoli che riguardino la realizzazione dello spettacolo: regia, scenografia, luci, voci, interpreti; – allestire la rappresentazione, eventualmente aperta non solo agli insegnanti e agli studenti, ma anche a un pubblico più ampio.
AUTOVALUTAZIONE Conoscenza dell’argomento
scarso
sufficiente
discreto
buono
ottimo
Capacità di narrazione e di esposizione
scarso
sufficiente
discreto
buono
ottimo
Capacità di aggregazione
scarso
sufficiente
discreto
buono
ottimo
Competenze digitali
scarso
sufficiente
discreto
buono
ottimo
Giudizio complessivo sul progetto
coerente
esaustivo
originale
adeguato
non adeguato
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PROFILO STORICO
Materiali
ONLINE
essenziale
Bibliografia
B
BIBLIOGRAFIA ESTESA
� Edizioni complessive Con traduzione e commento: Tutte le opere, con un saggio di A. La Penna, trad. di E. Cetrangolo, Sansoni, Firenze 1968; Opere, a cura di T. Colamarino e D. Bo, UTET, Torino 1983. � Studi complessivi: indispensabile strumento di consultazione è l’Enciclopedia Oraziana, fondata da F. Della Corte, diretta da S. Mariotti, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, vol. I (1996), vol. II (1997), vol. III (1998). Inoltre: A. La Penna, Orazio e l’ideologia del principato, Einaudi, Torino 1963; D. Bo, voce Orazio, in Dizionario degli scrittori greci e latini, vol. II, Marzorati, Milano 1987, pp. 1473-1505; I. Lana, Orazio: dalla poesia al silenzio, Venosa 1993; A. Traina, Autoritratto di un poeta, Venosa 1993; M. Citroni, Poesia e lettori in Roma antica. Forme della comunicazione letteraria, Laterza, Roma-Bari 1995. Odi ed Epodi � Traduzioni: Odi ed epodi, a cura di E. Mandruzzato, introd. di A. Traina, BUR, Milano 1985; Odi ed epodi, a cura di M. Ramous, Grandi Libri Garzanti, Milano 1986; Carmina-Epodon liber-Odi-Epodi, a cura di M. Beck, Mursia, Milano 1989; Il libro degli epodi, a cura di A. Cavarzere, trad. di F. Bandini, Marsilio, Venezia 1992 (con ricchissimo commento ai singoli testi). � Studi: G. Pasquali, Orazio lirico, Le Monnier, Firenze 1920 (un classico degli studi oraziani, ripubblicato di recente con il Contributo del-
la Facoltà di Lettere del R. Istituto di Studi Superiori in Firenze, 2010); I.P. Wilkinson, Horace and his Lyric Poetry, C a m b r i d g e 1 9 6 1 ; F. Cupaiuolo, Lettura di Orazio lirico, Libreria Scientifica Editrice, Napoli 1976; K. Quinn, Horace: The Odes, London 1980; V. Cremona, La poesia civile di Orazio, Vita e Pensiero, Milano 1983; M. Citroni, Occasione e piani di destinazione nella lirica di Orazio, «Materiali e Discussioni» 1983, pp. 133214; A. Minarini, Lucidus ordo. L’architettura della lirica oraziana (libri I-III), Edizioni e Saggi Universitari di Filologia Classica, Bologna 1989. Satire ed Epistole � Traduzioni: Satire, a cura di M. Labate, BUR, Milano 1981 (con ottima introduzione); Le Lettere, a cura di E. Mandruzzato, BUR, Milano 1983; Epistole, a cura di M. Ramous, Grandi Libri Garzanti, Milano 1985; Satire, a cura di M. Ramous, Grandi Libri Garzanti, Milano 1987; Epistole, a cura di M. Beck, Oscar Mondadori, Milano 1997; L’esperienza delle cose (Epistole, Libro I), a cura di A. Cucchiarelli, Marsilio, Venezia 2016. � Studi: E. Pasoli, Le epistole letterarie di Orazio, Pàtron, Bologna 1964; N. Rudd, The Satires of Horace, Cambridge 1966; A. Di Benedetto, Studi su Orazio satiro, Fratelli Conte, Napoli 1979; D. Gagliardi, Un’arte di vivere (Saggio sul I libro delle «Epistole» oraziane), Edizioni dell’Ateneo, Roma 1988; R. Ferri, I dispiaceri di un epicureo. Uno studio sulla poeti-
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ca oraziana delle «Epistole», Giardini, Pisa 1993; A. Cucchiarelli, La satira e il poeta. Orazio tra «Epodi» e «Sermones», Ist. Editoriali e Poligrafici, Pisa 2001. Orazio e i modelli � D. Gagliardi, Orazio e la tradizione neoterica, Libreria Scientifica Editrice, Napoli 1971; A. Setaiuoli, Gli influssi omerici nella lirica oraziana, «Stud. ital. filol. class.» 1973, pp. 205-222; N.T. Kennedy, Pindar and Horace, «Acta Classica» 1975, pp. 9-24; N.W. Cody, Horace and Callimachean Aesthetics, Bruxelles 1976; E. Cavallini, Saffo e Alceo in Orazio, «Mus. criticum» 1978-1979; G. Broccia, Modelli omerici e archilochei negli «Epodi» d’Orazio, «Quaderni AICC Foggia» II-III, 1982-1983, pp. 75-92; D. R. Campbell, Horace and Anacreon, «Acta Classica» 1985, pp. 35-38; A. Cavarzere, Sul limitare. Il “motto” e la poesia di Orazio, Pàtron, Bologna 1996; L. Mondin, L’ode I 4 di Orazio. Tra modelli e struttura, Loffredo, Napoli 1997; F. Citti, Studi oraziani. Tematica e intertestualità, Pàtron, Bologna 2000. Fortuna � AA.VV., Orazio nella letteratura mondiale, Roma 1936; A. Monteverdi, Orazio nel Medioevo, Roma 1938; AA.VV., Présence d’Horace, a cura di R. Chevallier, Tours 1988. L’interesse degli scrittori contemporanei per Orazio è confermato dai numerosi interventi critici compresi in: Orazio, Arte poetica, a cura di C. Damiani, Fazi editore, Roma 1995.
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
Sintesi
PROFILO STORICO
S
Orazio Quinto Orazio Flacco nasce a Venosa nel 65 a.C. Per volontà del padre, un liberto di agiate condizioni che il poeta ricorderà sempre con affetto come suo primo maestro di moralità, compie i suoi studi a Roma. Tra il 45 e il 44 si reca ad Atene allo scopo di perfezionare la propria cultura filosofica e letteraria. Si infiamma alle idee di libertà e si arruola nell’esercito dei cesaricidi Bruto e Cassio; a Filippi (42 a.C.) si dà alla fuga abbandonando lo scudo. Intorno agli anni 41-40, grazie a un’amnistia, può ritornare a Roma; perduti i suoi beni, si impiega come scriba quaestorius, e intanto incomincia a scrivere versi. Nel 38 Virgilio e Vario lo presentano a Mecenate. Nasce una grande amicizia, interrotta solo dalla morte. Orazio dedica il I libro delle Satire a Mecenate, che verso il 33 gli fa dono di un podere nella Sabina, presso Tivoli. Nel 17 a.C. è designato da Augusto per comporre il Carmen Saeculare, un inno di natura civile e religiosa che viene cantato durante una solenne processione sul Palatino e sul Campidoglio, i luoghi sacri di Roma. Muore nell’8 a.C., due mesi dopo Mecenate. Ad Orazio, il massimo esponente con Virgilio dell’età d’oro della poesia latina, si devono un libro di Epodi, due libri di Satire, quattro libri di Odi, due libri di Epistole e il Carmen Saeculare. Il libro degli Epodi, scritto dopo il 42-41 e pubblicato intorno al 30, comprende 17 componimenti caratterizzati da una grande varietà di temi e di toni. Il modello dichiarato è Archiloco, ma Orazio lo imita nei metri e nello spirito aggressivo, non negli argomenti, escludendo in sostanza gli attacchi ad personam. Sensibile è anche l’influsso della poesia ellenistica, in particolare dei Iambi di Callimaco. Nello stile, Orazio si ispira soltanto in parte al modello giambico dell’eccesso e dell’invettiva, mentre sembra per lo più interessato alla sperimentazione di diverse forme linguistiche. Nei due libri di Satire (Sermones) in esametri, pubblicati il I nel 35, il II nel 30, il poeta si rivolge a una ristretta cerchia di amici e poeti (pauci lectores) in componimenti di tono e di stile medio, narrativi e discorsivi. Dà ampio spazio alla componente autobiografica e all’osservazione dei costumi, in vista di un approfondimento morale venato di ironia e
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autoironia, senza pretendere di assumere un ruolo esemplare. Due i concetti-cardine, l’autàrkeia e la metriótes. I modelli principali sono la satira di Lucilio e la diàtriba stoico-cinica; tuttavia Orazio ne attutisce l’asprezza polemica in forme più attenuate e bonarie. Nel II libro prevale la struttura dialogica e si riduce lo spazio riservato alla persona unificante del poeta satirico, a favore di una pluralità di voci e di opinioni. Dopo il 30 a.C. Orazio si dedica alla poesia lirica: pubblica i primi tre libri delle Odi (Carmina) nel 23, il quarto tra 14 e 13; al genere lirico appartiene anche il Carmen Saeculare del 17. I componimenti sono disposti in una struttura architettonica secondo il criterio ellenistico della variatio, sia sul piano metrico-formale che su quello degli argomenti. I modelli, richiamati mediante procedimenti allusivi, sono invece classici, soprattutto Alceo e Pindaro. Grande la varietà dei temi e dei motivi: la ricerca dell’autosufficienza interiore in un angulus protetto, allietato dal convito, dal vino e dall’amicizia; il sentimento del tempo e della morte; la condizione esistenziale dell’uomo; l’immortalità del canto. Non mancano carmi di argomento religioso e civile: la sintonia con l’ideo logia augustea si esprime nell’esaltazione della grandezza romana e delle antiche virtù. Lo stile, di livello medio-alto, abbraccia un’ampia varietà di registri; è improntato alla raffinata cura formale di ascendenza alessandrina e neoterica (labor limae), ma più sobrio e misurato. L’attenzione si concentra sulla collocazione delle parole (callida iunctura) e sull’intensità delle immagini. Con il I libro delle Epistole, pubblicato nel 20 a.C., Orazio ritorna al tono medio (sermo), al metro (l’esametro) e alla poesia di carattere morale delle Satire, intesa alla ricerca della saggezza. Nuova è la forma, l’epistola in versi. Il tono è più intimo, a tratti pervaso di malinconia e di inquietudine; i momenti autobiografici e introspettivi acquistano maggiore rilievo, insieme al motivo del contrasto città/campagna. Il II libro (20-13 a.C.) consta di tre ampi componimenti: l’Epistola ad Augusto, sul tema del teatro latino; l’Epistola a Floro, di tono autobiografico; l’Epistola ai Pisoni o Ars poetica, il più importante testo teorico sulla poesia, insieme alla Poetica di Aristotele, dell’intera cultura occidentale.
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Percorso antologico Epodon liber T1
Il sangue maledetto di Remo (7)
LAT
IT
T2
Per la vittoria di Azio (9)
LAT
IT
T3
Un’invettiva contro Mevio che parte (10)
ONLINE
ONLINE
ONLINE
ONLINE
IT
Sermones T4
Est modus in rebus (I, 1)
LAT
IT
T5
L’educazione paterna (I, 4, 103-143)
LAT
IT
T6
Il seccatore (I, 9)
IT
T7
Il topo di città e il topo di campagna (II, 6, 79-117)
IT
Carmina T8
Il ritorno della primavera (I, 4)
LAT
T9
A una donna dai capelli fulvi (I, 5)
LAT
T10
Vino pellite curas (I, 7)
LAT
T11
Il monte Soratte (I, 9)
LAT
T12
Carpe diem (I, 11)
LAT
T13
Invito a pranzo per Mecenate (I, 20)
T14
Per la morte della regina Cleopatra (I, 37)
LAT
T15
Convito simbolico (I, 38)
LAT
T16
Aequa mens (II, 3)
LAT
IT
T17
Il luogo ideale (II, 6)
LAT
IT
T18
Per il ritorno di un antico compagno d’arme (II, 7)
T19
Labuntur anni (II, 14)
T20
Canto amebeo d’amore (III, 9)
T21
O fons Bandusiae (III, 13)
LAT
T22
Non omnis moriar (III, 30)
LAT
T23
Pulvis et umbra sumus (IV, 7)
LAT
IT
T24
L’età di Augusto (IV, 15)
LAT
IT
IT
IT
IT LAT
IT IT
Epistulae T25
Ad Albio Tibullo: conforti per il poeta malinconico (I, 4)
LAT
T26
Funestus veternus: una malattia dell’anima (I, 8)
LAT
IT
T27
Al suo libro (I, 20)
LAT
IT
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
T 1 Il sangue maledetto di Remo Epodon liber 7 LATINO ITALIANO
PERCORSO ANTOLOGICO
Nota metrica: sistema epodico, composto di trimetri e dimetri giambici alternati.
Questo carme, il più veemente e appassionato degli Epodi, fu scritto con molta probabilità intorno al 41-40 a.C., appena dopo la guerra di Perugia, quando ogni speranza di pace appariva lontana e forse irrealizzabile. Rivolgendosi in tono potente e ispirato a un’immaginaria assemblea di cittadini, Orazio esprime lo smarrimento e l’orrore di un’intera generazione di fronte allo scoppio di una nuova guerra civile, riconducendola miticamente alla colpa originaria dell’uccisione di Remo. La forza della lirica è tutta affidata alla sua carica enfatica e declamatoria, alle sottolineature retoriche del linguaggio nonché al pathos intenso e impressionante delle immagini, quella del sangue, in particolare, che si impone fin dall’inizio del carme per dilagare come una macchia incancellabile negli ultimi versi.
Quo, quo scelesti ruitis? aut cur dexteris aptantur enses conditi? Parumne campis atque Neptuno super fusum est Latini sanguinis, 5 non ut superbas invidae Carthaginis Romanus arces ureret, intactus aut Britannus ut descenderet Sacra catenatus via, sed ut secundum vota Parthorum sua 10 urbs haec periret dextera? Neque hic lupis mos nec fuit leonibus numquam nisi in dispar feris. Furorne caecus an rapit vis acrior an culpa? Responsum date. 15 Tacent, et albus ora pallor inficit mentesque perculsae stupent. Sic est: acerba fata Romanos agunt scelusque fraternae necis, ut inmerentis fluxit in terram Remi 20 sacer nepotibus cruor.
1-2. cur dexteris... conditi: le spade, da poco rinfoderate dopo Filippi, vengono di nuovo impugnate per la guerra perugina. 2-10. Quo… dextera: la concitata ripetizione di quo e l’impeto violento e trascinante delle interrogative, la triplice ripetizione di ut, come anche ai vv. 9-10 le posizioni artificiosamente rilevate in fine di verso di sua e dextera, esprimono con angosciosa enfasi la violenza insensata della strage fratricida.
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3. Neptuno: metonimia per mari. 7. intactus… Britannus: Cesare era già sbarcato in Britannia negli anni 55-54, ma solo per operazioni di ricognizione. La Britannia venne assoggettata all’epoca di Claudio (41-54 d.C.). 7-8. ut descenderet… via: il corteo trionfale del generale vincitore (seguito dai prigionieri in catene) partiva nei pressi dell’attuale Colosseo, attraversava la Velia (un’altura fra Esquilino e Palatino, dov’è ora l’arco di Tito) e pro-
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seguiva in leggero pendio (per questo descenderet) lungo il Foro, fino ai piedi del Campidoglio. 9. Parthorum: i Parti, ai confini orientali dell’impero, costituivano all’epoca il nemico più insidioso e inquieto di Roma. Era ancora recente l’eco della sconfitta di Carre (53 a.C.), quando Crasso fu ucciso e le insegne catturate (le recuperò solo nel 20, con un’azione diplomatica, Augusto).
PERCORSO ANTOLOGICO
Dove, dove scellerati precipitate, e perché di nuovo si impugnano le spade ringuainate? Forse troppo poco sangue latino è stato versato sulle campagne e sul mare, 5 non perché il Romano bruciasse le rocche superbe di Cartagine rivale, o perché il Britanno, ancora non domato, discendesse per la via Sacra incatenato, ma perché, secondo il voto dei Parti, questa città 10 perisse di sua mano? Né i lupi né i leoni hanno questo costume, feroci solo verso una razza diversa. Una cieca follia vi travolge? o una forza più profonda? oppure una colpa? Rispondete! 15 Tacciono, e un bianco pallore tinge i loro volti e le menti percosse smarriscono. Così è: acerbi fati perseguitano i Romani per un delitto, l’assassinio del fratello, da quando colò sulla terra, maledetto per i nipoti, 20 il sangue di Remo innocente.
Denario raffigurante un arco di trionfo con quadriga e l’epigrafe IMP CAESAR, eretto per la vittoria di Azio contro Marco Antonio e Cleopatra del 31 a.C. Monaco, Staatliche Münzsammlung.
T2
Per la vittoria di Azio
Epodon liber 9
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
T 3 Un’invettiva contro Mevio che parte Epodon liber 10 ITALIANO
È questa l’unica invettiva degli Epodi che presenti un attacco ad personam. Bersaglio della rabies di Orazio è Mevio, un poeta di cui poco conosciamo: malevolo detrattore della poesia di Virgilio, appare qui mentre si accinge a salpare per la Grecia. Orazio, malignamente, gli aizza contro l’intera rosa dei venti, suscita un’immaginaria tempesta omerica e gli augura una terribile morte per naufragio.
PERCORSO ANTOLOGICO
Salpata con malo augurio esce la nave, portando il fetido Mevio. Ricòrdati, Austro, di sferzarne entrambi i fianchi con spaventosi flutti. 5 Il negro Euro sperda sul mare sconvolto le sàrtie e i remi infranti. Sorga Aquilone, come quando sulle alte montagne spezza le elci tremanti. Né una stella amica appaia nella cupa notte 10 là dove Orione funesto tramonta. Né viaggi essa su acque più calme di quelle che condussero la greca schiera dei vincitori, allorché Pallade dalle ceneri di Ilio volse la sua ira contro l’empia nave di Aiace. 15 Oh quanto sudore attende i tuoi marinai, e che giallo pallore per te, e quel tuo non virile piagnisteo, e le preghiere a Giove che ti è avverso, quando il mar Ionio, mugghiando sotto le raffiche 20 del piovoso Noto, ti fracasserà la chiglia! Se poi una grassa preda, sul curvo lido lunga distesa, pascerà gli smerghi, immoleremo un capro libidinoso e un’agnella alle Tempeste.
3-7. Austro... Euro... Aquilone: Orazio invoca tutti i venti contrari alle navi dirette in Oriente. L’Austro (vento del sud), che al v. 20 viene chiamato con un altro nome (Noto); l’Euro o scirocco (vento di sud-est); l’Aquilone o Borea (vento del nord). 10. Orione: costellazione che tramonta all’inizio di novembre e annuncia le tempeste. 11-14. Né viaggi essa... di Aiace: Pallade, dopo la distruzione di Troia, fece
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naufragare Aiace Oileo durante il viaggio di ritorno in Grecia, per punirlo di aver osato rapire Cassandra dagli altari del suo tempio, dove la ragazza si era rifugiata. 16. giallo pallore: Mevio, negli auspici di Orazio, diventerà giallo dalla paura. 21. una grassa preda: ancora una frecciata contro Mevio, che questa volta trae spunto dalla sua pinguedine. 22. smerghi: uccelli marini noti per la loro voracità. @ Casa Editrice G.Principato
24. alle Tempeste: fin dal III secolo sorgeva in Roma un tempio dedicato alle Tempeste, divinità alle quali si sacrificava, in ringraziamento di una felice navigazione, un’agnella nera. Doppio il sarcasmo di Orazio, che al contrario promette di offrire in sacrificio le vittime purché il disgraziato poeta perisca nel naufragio, aggiungendo un caprone in memoria del «fetore» (v. 2) di Mevio.
PERCORSO ANTOLOGICO
LETTURA e INTERPRETAZIONE Un rovesciamento parodistico
Lo spunto dell’invettiva era già tutto in Archiloco, ma Orazio lo rinnova facendo ricorso, parodisticamente, a un modulo caro alla poesia alessandrina, il propemptikón (carme rivolto a un amico che parte, per augurargli buon viaggio), che viene ribaltato sostituendo fosche e violente maledizioni ai tradizionali benevoli auguri. I toni enfatici e caricati rivelano la natura di esercizio letterario del carme, che non nasce da uno sdegno autentico, personalmente sentito (come in Archiloco) ma da un topos poetico rielabo-
rato con intenti ludici per una schiera ristretta di amici (come già nella poesia neoterica e catulliana).
Una struttura tripartita
Anche la distribuzione ordinata e calcolata delle parti rivela una preoccupazione formale più che uno sfogo passionale: fra l’esordio (vv. 1-2) e la chiusa (vv. 21-24), Orazio scandisce tre tempi di uguale lunghezza dedicati alla violenza dei venti (vv. 3-8), alla descrizione della tempesta (vv. 9-14) e del terrore di Mevio dinanzi all’orrendo naufragio (vv. 15-20).
Dialogo con i MODELLI Un frammento di Archiloco Da un papiro scoperto nel secolo XIX è riemerso un frammento mutilo attribuito da alcuni studiosi a Ipponatte, da altri (più verosimilmente) ad Archiloco (fr. 115 West). Al testo cui tale frammento apparteneva si è con molta probabilità ispirato Orazio. Il modello greco viene utilizzato in modo originale: in Archiloco, che dichiara con foga le ragioni del suo risentimento (l’amicizia tradita), prevale il momento dello sdegno; in Orazio, che tace le eventuali motivazioni dell’ostilità contro Mevio, il divertissement letterario.
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sbattuto dalle ondate. E a Salmidesso, intirizzito, ignudo, gentilmente lo prendano i Traci che han la chioma in cima al capo – soffrirà molti mali mangiando il pane della schiavitù – e fitte alghe lo coprano; e batta i denti, giacendo bocconi come un cane, sfinito, sulla battima, dove giunge l’onda. Così vorrei vedere chi mi ha offeso e tradito il giuramento, e mi era amico, un tempo. (Lirici greci, a cura di U. Albini, trad. di G. Perrotta, Garzanti, Milano 1976)
5. Salmidesso: era un luogo sulla costa tracica tristemente famoso per i naufragi, abitato da popolazioni inospitali e selvagge. 6. gentilmente: termine usato in chiave sarcastica.
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Est modus in rebus
Sermones I, 1
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7. i Traci... capo: i barbari Traci usavano portare un solo ciuffo di capelli sulla sommità della testa. 13. sulla battima... onda: il modello letterario di Archiloco è l’approdo di Ulisse, naufrago dopo la tempesta, all’isola dei Feaci.
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
T 5 L’educazione paterna Sermones I, 4, 103-143 LATINO
PERCORSO ANTOLOGICO
ITALIANO
Nota metrica: esametri.
109-112. Albi... Baius... Scetani... Treboni: nomi altrimenti sconosciuti.
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La satira quarta del I libro espone in modo organico la poetica dei Sermones, illustrando al lettore i modelli letterari (la commedia attica, Lucilio), gli ideali stilistici (brevitas, rigore formale), i fini (non una poesia aggressiva e maldicente ma una poesia rivolta a migliorare l’uomo attraverso l’osservazione diretta dei vizi e delle virtù), il tono dell’opera (una conversazione alla buona destinata a pochi amici). Al rapporto tra poesia e moralità è riservata l’ultima parte della satira, quella che viene qui riportata. Orazio non ricorre a un’astratta enunciazione di princìpi ma ravviva il discorso con esempi concreti tratti dalla realtà quotidiana o dalla propria esperienza di vita. Le idee morali vengono ricondotte a una dimensione individuale e umana nel ricordo, vivo di affettuosa gratitudine, del padre: una persona semplice ma onesta che seppe indirizzare il figlio sulla via del bene e del vero, esortandolo a un sincero e costante sforzo di perfezionamento interiore (vv. 134137). La figura paterna appare modellata su quella del tradizionale pater familias ignaro di studi filosofici (vv. 115-119) ma saldamente legato ai precetti del mos romano-italico (v. 117). Il tono bonario e scherzoso del componimento, improntato a modi colloquiali e a un ideale di colta naturalezza espressiva, si fa, proprio nei versi dedicati al padre, più grave e commosso.
Liberius si dixero quid, si forte iocosius, hoc mihi iuris 105 cum venia dabis: insuevit pater optimus hoc me, ut fugerem exemplis vitiorum quaeque notando. Cum me hortaretur, parce frugaliter atque viverem uti contentus eo quod mi ipse parasset: «Nonne vides, Albi ut male vivat filius utque 110 Baius inops? Magnum documentum, ne patriam rem perdere quis velit». A turpi meretricis amore cum deterreret: «Scetani dissimilis sis». Ne sequerer moechas, concessa cum venere uti possem: «Deprensi non bella est fama Treboni», 115 aiebat. «Sapiens, vitatu quidque petitu
Se qualche volta dico pane al pane, se magari mi permetto qualche scherzuccio, mi vorrai pur concedere in buona pace questo poco di libertà; mi ci ha abituato quel sant’uomo del padre mio che mi sottolineava con esempi ciascun difetto perché stessi in guardia. Se voleva raccomandarmi di vivere modestamente, senza eccessi e pago di quel che egli mi aveva procurato: «Non vedi che vita grama conduce il figlio di Albio? E Baio ridotto in miseria? È la lezione migliore per non pensare a dilapidare i beni paterni». Voleva distogliermi dall’amore indecoroso per una sgualdrina? «Non fare come Scetàno». Non dovevo andar dietro alle mogli adultere, quando potevo darmi ad amori leciti? «Non è bella figura quella di Trebonio colto in flagrante (mi diceva). Un filosofo ti spiegherà per teorie che @ Casa Editrice G.Principato
PERCORSO ANTOLOGICO
sit melius, causas reddet tibi; mi satis est, si traditum ab antiquis morem servare tuamque, dum custodis eges, vitam famamque tueri incolumem possum; simul ac duraverit aetas 120 membra animumque tuum, nabis sine cortice». Sic me formabat puerum dictis et, sive iubebat ut facerem quid, «Habes auctorem, quo facias hoc» – unum ex iudicibus selectis obiciebat – sive vetabat, «An hoc inhonestum et inutile factu 125 necne sit addubites, flagret rumore malo cum hic atque ille?» Avidos vicinum funus ut aegros exanimat mortisque metu sibi parcere cogit, sic teneros animos aliena opprobria saepe absterrent vitiis. Ex hoc ego sanus ab illis 130 perniciem quaecumque ferunt, mediocribus et quis ignoscas vitiis teneor. Fortassis et istinc largiter abstulerit longa aetas, liber amicus, consilium proprium; neque enim, cum lectulus aut me porticus excepit, desum mihi: «Rectius hoc est; 135 hoc faciens vivam melius; sic dulcis amicis occurram; hoc quidam non belle: numquid ego illi imprudens olim faciam simile?» Haec ego mecum
123. iudicibus selectis: i membri dei tribunali: venivano scelti dal pretore in base all’onestà dei costumi.
cosa va evitato, e a che cosa è meglio mirare; per me, basta se riesco a conservarti nella educazione tradizionale dei nostri vecchi, e, finché hai bisogno di una guida vigile, a mantenere diritta la tua vita e intemerato il tuo nome. Quando gli anni ti avranno irrobustito nel fisico e nel morale, ti terrai a galla con le tue forze». Con questi esempi e questi discorsi educava la mia giovinezza, e, se voleva che io mi comportassi in un dato modo: «Eccoti un modello su cui fare la tal cosa» (e qui mi citava uno dei probiviri). Se si trattava di sconsigliarmi: «E mi domandi se questo è o no sconveniente, dannoso, quando il tale e il talaltro sono sotto il fuoco della maldicenza?» Come la morte di un vicino sgomenta gli ammalati intemperanti e li riduce a una dieta, così spesso il disonore altrui distoglie dal male i caratteri non ancora formati. Così io sono immune dai vizi che rovinano l’uomo, e sono soggetto a debolezze abbastanza lievi e veniali. Forse anche da codeste mi possono liberare il passar degli anni, un amico franco, il mio stesso discernimento; perché quando mi stendo sul lettuccio o entro nel portico, non do tregua a me stesso: «Questo è più onesto: facendo la tal cosa la mia condotta sarà più lodevole; in questo modo sarò caro ai miei amici. Così ha fatto il tale; e non è stata una bella figura: o che io sarò così sventato da cascarci, prima o poi, al pari di lui?». @ Casa Editrice G.Principato
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3. Orazio
compressis agito labris; ubi quid datur oti, inludo chartis. Hoc est mediocribus illis 140 ex vitiis unum; cui si concedere nolis, multa poetarum veniet manus, auxilio quae sit mihi – nam multo plures sumus –, ac veluti te Iudaei cogemus in hanc concedere turbam.
Sono i discorsi che tengo con me stesso a bocca chiusa; e se poi mi resta un ritaglio di tempo, mi diverto a metterli in carta. Ecco: questa è già una di quelle tali mie debolezze; e se tu non me la volessi passare, verrà tutta una schiera compatta di poeti a darmi man forte, perché siamo grande maggioranza, e, come fanno i Giudei, obbligheremo te a passare nelle nostre file.
PERCORSO ANTOLOGICO
(trad. di A. Ronconi)
143. Iudaei: una folta comunità ebraica si era stanziata in Roma fin dai tempi di Cesare, facendosi subito notare per l’in-
sistente opera di proselitismo: di qui la battuta scherzosa di Orazio ( Satire I,
9, 69-70 [ T6] e Tibullo I, 3, 18 [ T2, cap. 4]).
T 6 Il seccatore Sermones I, 9 ITALIANO
In una Roma descritta con realistica concretezza – vengono nominati con precisione luoghi, vie, edifici, nonché i protagonisti della vita culturale urbana – l’autore ambienta una scenetta di carattere umoristico: un tale, che Orazio conosce appena, ma che vorrebbe essere presentato a Mecenate, perseguita il poeta tallonandolo da una parte all’altra della città. La figura del seccatore è disegnata con vivacità dialogica e finezza di particolari.
Passeggiavo cosí, senza mèta, per la Via Sacra, come uso fare, tutto assorto, meditando non so quali sciocchezze; mi viene incontro uno che conosco solo di nome, mi stringe la mano e: «Come va, carissimo?», dice. 5 «Benone», rispondo «per ora; e ti auguro ogni felicità». Poiché non mi molla, lo anticipo: «Ti serve qualcosa?» E lui: «Dovresti conoscermi, sono anch’io un letterato». «Questo accresce la mia stima per te», di rimando. Per seminarlo, ora m’affretto, ora mi fermo di botto 10 e parlo all’orecchio del servo; comincio a grondare sudore dalla testa ai piedi. «Come ti invidio, Bolano», dicevo tra me, 1. via Sacra: la via più antica e importante di Roma, che attraversava il Foro in tutta la sua lunghezza.
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11. Bolano: evidentemente un tipo irascibile. Il senso della frase è questo: avessi anch’io un carattere come quel-
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lo di Bolano, così potrei sbarazzarmi in fretta di questo seccatore!
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«testa calda!»; mentre quello non tace un momento e tesse l’elogio e di una strada e della città; io zitto. «Crepi di voglia d’andartene, lo vedo da un pezzo», fa lui; «ma non mi sfuggi, ora t’ho preso e ti tengo, ti starò dietro ovunque tu vada». «Non c’è ragione», gli dico, «che tu faccia con me questo giro: vado a trovare uno che nemmeno conosci, che sta fuori di mano, oltre il Tevere, vicino ai giardini di Cesare». «Non ho niente da fare e amo il passeggio; andremo insieme». Abbasso le orecchie, come il povero asino troppo gravato. Attacca: «Se ben mi conosco, non potrai in minor conto tenermi di Visco e di Vario; chi supera me nello scrivere versi e anche alla svelta? Chi sa danzare meglio di me? Nel canto, poi, sono l’invidia di tutti, persino di Ermogene». La misura era colma: «Ma non hai una madre», gli dico, «un parente piú prossimo, che ci tenga al tuo stato?» «Non ho piú nessuno, li ho tutti sepolti». «Beati loro: resto io; finiscimi, dunque, ché tanto un destino mi incombe che mi rivelò, quand’ero ragazzo, una vecchia Sabina, scossa l’urna del fato: “Non saranno i veleni né spada funesta a portarti alla tomba; e nemmeno la tosse, la polmonite o la tarda podagra; sarai vittima un giorno di un chiacchierone. Da grande, sta’ attento! Schiva i loquaci”». Giunti eravamo al tempio di Vesta, ed era volato un quarto del giorno; e lui, guarda caso, doveva recarsi, perché citato, in tribunale: non presentandosi, avrebbe perso la causa. «Se mi vuoi bene», dice, «prestami un po’ d’assistenza». «Ma non ne so niente di giudici e di sentenze! E poi devo andare». «Sono in dubbio», fa, «se lasciare andar te o la causa». «Me, senz’altro». «Non sia mai», dice lui; e tira avanti. Ha vinto; col piú forte soccombi; son costretto a seguirlo. «Come vanno le cose con Mecenate?», ripiglia; «certo, è uomo di pochi amici, ma di grande cervello. Nessuno ha sfruttato meglio di lui la fortuna. Sta certo che, se a lui mi presenti, ti sosterrei bene la parte di spalla; mi prenda un colpo se, con tale
19. vicino… Cesare: quelli che Cesare aveva lasciato in eredità al popolo di Roma. Si trovavano ai piedi del Gianicolo: dalla via Sacra, dunque, almeno un’ora di cammino. 23. Visco... Vario: poeti amici di Orazio. Per Vario Rufo, uno dei maggiori letterati del suo tempo, cap. 1.6.
25. Ermogene: ballerino e cantante alla moda. 31. l’urna del fato: dall’urna divinatoria, convenientemente agitata, venivano estratte delle piccole lamine di piombo, con incise le profezie. 35. al tempio di Vesta: piccolo e rotondo, si trovava all’estremità del Foro, @ Casa Editrice G.Principato
tra il Campidoglio e il Palatino, vicino al tribunale del pretore. Nel tempio ardeva costantemente la fiamma sacra di Roma. 35-36. un quarto/ del giorno: fra le nove e le dieci del mattino.
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rinforzo, non faresti fuori d’un tratto i rivali». «Non è fatto cosí Mecenate: non c’è casa piú pura di quella e lontana da tali miserie; non m’importa, sta’ certo, se qualcuno è piú ricco e piú colto di me: lí c’è posto per tutti». «Gran cosa mi narri, da crederci appena». «Eppure è cosí». «Mi accresci la voglia di stargli vicino». «Basta volere: il tuo merito è tale che potrai conquistarlo. Si sa vulnerabile, e per questo rende l’approccio difficile». «Non importa: riuscirò a corromper la gente di casa; respinto oggi, non mollerò l’impresa; troverò il momento opportuno; gli andrò incontro per strada; lo seguirò. Nulla concede la vita agli uomini se non a prezzo di grandi fatiche». Mentre discorre cosí, mi viene incontro Aristio Fusco, un caro amico che doveva conoscere bene il nostro. Ci fermiamo. «Da che parte vieni?», e: «Dove vai?»: le solite domande e risposte. Qui comincio a tirargli la veste e a dargli di gomito (ma lui fa finta di niente), a strizzargli l’occhio per farmi cavare d’impiccio. Quell’atroce burlone, ridendo, fa il nesci. Il fegato mi bruciava di bile. «Non volevi parlarmi», gli dico, «di qualcosa in privato?» «Ricordo, ma troveremo un momento migliore: è sabato, oggi, ed è luna nuova; non vuoi rispettare i Giudei?» «Non ho questi scrupoli», dico. «Ma io sí, ho questi problemi, come tanti. Ne riparleremo». Proprio una brutta giornata! Se ne scappa il vigliacco, e mi lascia sotto il coltello. Per fortuna, ecco viene diritto verso di noi l’avversario e: «Dove fuggi canaglia?», gli grida a gran voce; e a me: «Mi vuoi fare da teste?» Porgo senz’altro l’orecchio; lo trascina in tribunale: strepito, gente che accorre da tutte le parti. Fui salvo, grazie ad Apollo. (trad. di G. Manca)
61. Aristio Fusco: grammatico e commediografo, tra i più cari amici di Orazio. 69-70. è sabato… i Giudei?: si tratta di un sabato, giorno festivo per gli Ebrei, che per di più coincide col novilunio, primo giorno del mese lunare (altra ricorrenza importante della religione
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ebraica). La battuta è ovviamente ironica: non a caso Orazio risponde di non avere «questi scrupoli», cioè di non credere a tali superstizioni. Questa e altre testimonianze indicano la presenza di una cospicua comunità ebraica a Roma ( T5, nota al v. 143 di Satire I, 4). 73. sotto il coltello: come una vittima @ Casa Editrice G.Principato
che sta per essere immolata sull’altare. 76-77. Porgo… l’orecchio: si poteva trascinare a forza un avversario in tribunale solo in presenza di un testimone, al quale si toccava con un gesto rituale il lobo dell’orecchio, per rammentargli l’impegno; Orazio accetta insomma di far da testimone.
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LETTURA e INTERPRETAZIONE Un registro ironico e malizioso
Lungi dal ricorrere a commenti moralistici e severi, Orazio fa uso di un registro narrativo maliziosamente ironico. Tra le presunte virtù artistiche dell’invadente seccatore, emerge ad esempio quella di scrivere «alla svelta» una grande quantità di versi (vv. 23-24), un peccato imperdonabile agli occhi del poeta (che in Sermones I, 4 aveva accusato Lucilio di scrivere duecento versi all’ora).
Autoritratto del poeta
Parallelamente, in modo svagato e spiritoso, quasi senza che il lettore se ne accorga, Orazio costruisce il proprio autoritratto. Fin dai primi due versi, ad esempio, si mostra nella posa di un uomo qualsiasi che passeggia «così, senza meta, per la via Sacra» (v. 1): meditans, secondo un’immagine tradizionale del poeta, ma anche immerso in «non so quali sciocchezze» (v. 2). Si rassegna docilmente all’inevitabile seccatura come il povero asinello «troppo gravato» (v. 21).
Sballottato per la città dall’irriducibile rompiscatole, giocosamente tradito dall’amico Aristio Fusco, che lo abbandona al suo destino (vv. 60-73), Orazio si dipinge insomma come una sorta di anti-eroe in balìa degli eventi.
Uno scioglimento parodistico
Comico è anche il finale, con quella battuta pronunciata intenzionalmente in tono solenne: «Fui salvo, grazie ad Apollo» (v. 78). Il lettore della satira, con il quale Orazio ha istituito un rapporto di spiritosa complicità, è subito in grado di interpretare la battuta come una giocosa parodia del mondo epico: il dio dei poeti (Apollo) soccorre il suo protetto (Orazio) come gli dèi di Omero soccorrevano gli eroi prediletti durante la furia dei combattimenti. Lo scioglimento buffo della satira, con il seccatore punito e l’anti-eroe Orazio salvo, risponde perfettamente al programma satirico del poeta, che è quello di correggere i vizi umani con l’arma del riso.
T 7 Il topo di città e il topo di campagna Sermones II, 6, 79-117 ITALIANO
Nella prima parte della satira, Orazio ringrazia Mecenate per il dono di un podere in Sabina, grazie al quale egli ha potuto realizzare la massima aspirazione della sua vita: «un pezzo di terra non tanto grande, dove ci fosse un orto e una fonte di acqua perenne vicina alla casa e un po’ di bosco oltre a questo» (vv. 1-3). Segue una descrizione delle noie e dei fastidi della vita di città, alla quale viene opposto per contrasto un quadro di vita semplice nella campagna sabina, dove le giornate scorrono con ritmi blandi e dolci, leggendo, oziando e conversando con i vicini di casa dinanzi a un calice di vino. Proprio uno di questi vicini, Cervio, si mette allora a narrare la favola del topo di campagna e del topo di città, sulla quale la satira si conclude. Il patrimonio favolistico aveva radici nelle più remote tradizioni della cultura orale, rielaborate letterariamente già da Esiodo nelle Opere e i giorni e da Archiloco in alcune liriche. Ma è solo con Esopo, intorno al VI secolo a.C., che assistiamo alla formazione di un ricco corpus di favole che già nel V secolo, ad Atene, venivano usate come testo scolastico. Nella letteratura romana il repertorio favolistico era comparso finora, in modo episodico e frammentario, soltanto nelle saturae di Ennio e di Lucilio: la satura era sentita evidentemente (a differenza degli altri generi) come uno spazio idoneo ad accogliere elementi della cultura popolare. Orazio utilizza uno schema consueto, quello dell’apologo morale che ha per protagonisti degli animali parlanti, introducendovi alcuni dei motivi-cardine di tutta la sua poesia: la «vita nascosta», al riparo dagli eventi della storia; l’autosufficienza (o autárkeia) del saggio, che si accontenta di quello che ha, astenendosi dai bisogni superflui; la brevità della vita e l’invito al carpe diem. @ Casa Editrice G.Principato
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3. Orazio
PERCORSO ANTOLOGICO
Una volta un topo campagnolo ebbe ospite, nella sua povera tana, un topo di città, come tra vecchi amici che si fanno visita: taccagno e attaccato alle provviste, ma non tanto da non sgranchire la tirchieria ai doveri dell’ospitalità. In poche parole, non gli fece mancare né i ceci mesi in serbo, né l’avena dalle lunghe reste; gli offrì anche, portandoli in bocca, acini secchi e pezzetti di lardo rosicchiati, e cercava così, con una cena variata, di vincere le smorfie dell’ospite che spilluzzicava qua e là di malavoglia facendo boccucce; mentre il padron di casa, sdraiato sulla paglia fresca, rodeva farro e loglio1, lasciandogli i bocconi migliori. Alla fine il topo di città: «Che gusto ci trovi, amico, a viver di stenti su queste pendici scoscese e boscose? Perché non lasci il selvatico per la vita del mondo e la città? Dammi retta: prendi la strada insieme a me, visto che gli esseri della terra hanno una vita breve, e non c’è scampo alla morte né per i signori né per i poveri; e però, amico mio, finché sei a tempo, goditi le gioie del benessere, e ricordati quanto hai poco da vivere». Questo fervorino persuase il campagnolo, che balzò agile dalla sua tana; di lì percorrono insieme tutto il loro itinerario con la premura di infilarsi a notte sotto le mura della città. E già la notte era a mezzo del suo corso celeste, quando entrambi mettono piede in una casa signorile, dove una coperta tinta di rosso scarlatto faceva bella mostra di sé sui letti di avorio, e molti piatti avanzavano ancora di una ricca cena, messi da una parte il giorno prima in canestri ricolmi. Dunque, accomodato che ebbe il campagnolo lungo disteso su un bel tappeto di porpora, l’anfitrione si dà gran moto come avesse le vesti tirate su ai fianchi e fa seguire le portate una all’altra, e mentre fa gli onori di casa serve insieme anche da valletto, assaggiando prima tutto quello che mette in tavola. L’altro, comodamente adagiato, si bea nella sua nuova condizione, e, fra tutta quella grazia di Dio, si dà arie di convitato soddisfatto, quando a un tratto un gran fragore di porte li buttò tutti e due di soprassalto giù dai letti. E via a correre impauriti per la stanza, e scappare affannosamente mentre i latrati dei molossi2 rintronano il palazzo. Allora il campagnolo: «Questa vita non fa per me; addio; il mio bosco e la mia tana sicura dai pericoli mi compenseranno delle mie povere lenticchie». (trad. di A. Ronconi) 1. farro e loglio: il farro è una varietà di frumento tradizionalmente poco pregiata; il loglio un’erba che infesta i campi di grano. 2. molossi: cani da guardia di forza straordinaria.
Particolare di un mosaico proveniente da una villa sull’Aventino. Roma, Musei Vaticani.
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PERCORSO ANTOLOGICO
T 8 Il ritorno della primavera Carmina I, 4 LATINO
Nota metrica: sistema archilocheo terzo; nella strofe di quatto versi un archilocheo maggiore si alterna a un trimetro giambico catalettico.
Riprendendo un motivo ricorrente nell’epigramma ellenistico, il poeta canta il gioioso ritorno della bella stagione nell’ode a Sestio, probabilmente uno dei componimenti più antichi della raccolta. Alle immagini di luminosa vitalità primaverile subentrano improvvise, con un effetto di contrasto tipicamente oraziano, desolate visioni di tenebra e di morte. Ma già nella strofa centrale si era affacciato l’invito a godere del presente, inscindibile dall’avvertimento della fuga inesorabile del tempo; esortazione che verrà sviluppata nei versi conclusivi, così da ricondurre le violente antinomie in perfetto equilibrio. Orazio ritornerà sul motivo nella settima ode del IV libro [ T23].
Solvitur acris hiems grata vice veris et Favoni trahuntque siccas machinae carinas, ac neque iam stabulis gaudet pecus aut arator igni, nec prata canis albicant pruinis. 5 Iam Cytherea choros ducit Venus imminente luna, iunctaeque Nymphis Gratiae decentes alterno terram quatiunt pede, dum gravis Cyclopum Volcanus ardens visit officinas.
[1-4] Si scioglie l’aspro inverno al gradito ritorno della primavera e del Favonio e gli argani tirano [giù in mare] le carene [delle navi che erano] in secco, e ormai non gode più delle stalle l’armento, né l’aratore del focolare, né i prati biancheggiano di candide brine. Solvitur: presente indicativo passivo con valore mediale di solvo, ĕre («si scioglie», «si dilegua»). All’inizio del verso e dell’intero componimento, il verbo, che evoca il disgelo, lo «sciogliersi» delle nevi e del ghiaccio, annuncia la fine dell’inverno «aspro», «pungente» (acris hiems, femminile) e lo schiudersi della dolce stagione con un moto gioioso di sollievo e quasi di sorpresa. – vice: ablativo temporale-causale del sostantivo vicis o vices, is (lett. «l’avvicendarsi», nel ciclo delle stagioni). – Favoni: genitivo singolare di Favonius, nome latino del vento tiepido che soffia da Occidente annunciando la primavera; detto anche, con nome greco, Zephirus. – machinae: soggetto di trahuntque, che apre la
serie delle quattro proposizioni coordinate alla principale (Solvitur... hiems). Le navi che durante l’inverno erano tenute all’asciutto, venivano tirate nuovamente in mare per mezzo di argani, facendole scorrere su rulli cilindrici di legno (kýlindroi o phalanges, in latino phalangae); Orazio, a differenza degli epigrammisti greci, evita il termine tecnico a favore del generico machinae, più consono allo stile elevato dei Carmina. – carinas: metonimia per naves; la carena è la parte dello scafo che resta immersa nell’acqua. – stabulis: ablativo retto da gaudet, seguito dal soggetto pecus; il costrutto si ripete nella coordinata aut arator (gaudet) igni, in un’elegante disposizione a chiasmo. Si ricordi che aut in frase negativa vale «né». – albicant: verbo raro e ricercato, regge l’ablativo pruinis, cui si riferisce l’aggettivo canis. [5-8] E già Venere Citerea conduce le danze sotto la luna alta nel cielo, e le Grazie leggiadre, unite per mano alle Ninfe, battono col piede la terra a ritmo alterno, mentre Vulcano ardente @ Casa Editrice G.Principato
visita le faticose officine dei Ciclopi. Cytherea: è appellativo di Afrodite-Venere, che secondo una delle varianti più diffuse del mito nacque sulle rive dell’isola di Citera, a sud del Peloponneso. – imminente luna: lett. «sovrastante [= sovrastando] la luna», ablativo assoluto formato con il participio presente di immineo, ˉere («pendere sopra», «incombere»). – iunctaeque... pede: costruisci et decentes Gratiae iunctae Nymphis quatiunt terram alterno pede. – iunctae: lett. «unite» (da iungo, ĕre); ma il participio-aggettivo, riferito a Gratiae, ha qui verosimilmente il significato più specifico di «unite con le mani», ossia «tenendosi per mano». – Nymphis: dativo retto da iunctae. – alterno terram quatiunt pede: lett. «scuotono la terra con piede alterno», «ora con un piede ora con l’altro». – dum... officinas: costruisci dum Volcanus ardens visit gravis (= graves) officinas Cyclopum. La congiunzione dum introduce una proposizione subordinata temporale, il cui soggetto è Volcanus (o Vulcanus).
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
Nunc decet aut viridi nitidum caput impedire myrto aut flore terrae quem ferunt solutae; nunc et in umbrosis Fauno decet immolare lucis, seu poscat agna sive malit haedo. 10
PERCORSO ANTOLOGICO
Pallida Mors aequo pulsat pede pauperum tabernas regumque turris. O beate Sesti,
[9-12] Ora conviene cingersi il capo lucente di verde mirto, o dei fiori che la terra, dischiusa dal gelo, fa sbocciare; ora conviene anche immolare a Fauno nei sacri boschi ombrosi un’agnella, se la richiede, o, se lo preferisce, un capretto. Nunc decet ... solutae: costruisci Nunc decet impedire caput aut viridi myrto aut flore quem terrae solutae ferunt. – Nunc: l’avverbio di tempo, ripetuto in anafora all’inizio di ciascun distico della strofe, scandisce l’invito a godere «ora», senza rinviare all’incerto domani, della dolce stagione primaverile e delle gioie che porta con sé (cfr. I, 9, vv. 18 e 21 [ T11 ]). – decet: «è conveniente», «è bello»; anche l’espressione verbale ritorna nel secondo distico, esortando a dedicarsi alle attività più consone alla rinascita della natura. Da decet dipende l’infinitiva soggettiva impedire (caput), così come, simmetricamente, al v. 11 (Fauno) immolare. – impedire: «avvolgere», «cingere»; da impedio (in + pes, pedis; etimologicamente «porre i ceppi ai piedi»), ricercata variazione rispetto ai più comuni vincıˉre o implicare. – nitidum caput: oggetto di impedire; il capo è «lucente» (nitidum, aggettivo da niteo, ˉere, «splendere», «brillare») perché cosparso di unguenti profumati. – viridi... myrto: ablativo strumentale come flore, singolare collettivo (v. 10). Il mirto è la pianta sacra a Venere, e ben si addice alla stagione dell’amore; il verde è il colore delle foglie nuove e della giovinezza (cfr. virenti in I, 9, 17 [ T11]). Coronarsi di fiori e di fronde, così come cospargersi di profumi, era usanza conviviale derivata dal rituale greco del simposio. – terrae quem: anastrofe (= quem terrae). – solutae: «disciolte», «liberate»; participio-aggettivo (da solvo; cfr. Solvitur al v. 1). – nunc et ... lucis: costruisci nunc decet et immolare Fauno in ombrosis lucis. – Fauno: dativo di van-
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taggio retto da immolare. – seu poscat ... haedo: costruisci seu poscat (sibi immolari) agna sive malit (sibi immolari) haedo. La traduzione letterale dei vv. 1112 è la seguente: «ora conviene sacrificare a Fauno nei sacri boschi ombrosi, sia che richieda (che gli si sacrifichi) con un’agnella, sia che preferisca (che gli si sacrifichi) con un capretto», dove agna e haedo sono ablativi strumentali. [13-15] La pallida Morte batte con piede imparziale alle capanne dei poveri e ai palazzi turriti dei re. O Sestio beato, la breve durata della vita ci vie-
ta di concepire una lunga speranza. Pallida Mors: personificazione. La Morte è detta Pallida per la tinta cadaverica del suo volto spettrale. – aequo ... pede: ablativo strumentale. Gli antichi usavano bussare alle porte con il piede, anziché con la mano. – pulsat: da pulso, aˉre (intensivo-frequentativo di pello, ĕre); il verbo rende espressivamente l’insistenza e l’inesorabilità del cupo richiamo, sottolineate dall’ossessiva allitterazione in p che ritma il verso 13. – pauperum ... regumque: l’imparzialità della morte (già espressa mediante l’aggettivo
Flora, affresco dalla Villa di Arianna a Stabiae, fine I secolo a.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
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PERCORSO ANTOLOGICO
15
vitae summa brevis spem nos vetat inchoare longam. Iam te premet nox fabulaeque Manes et domus exilis Plutonia; quo simul mearis, nec regna vini sortiere talis, nec tenerum Lycidan mirabere, quo calet iuventus 20 nunc omnis et mox virgines tepebunt.
aequo) che non fa differenza alcuna tra ricchi e poveri è luogo comune in ogni tempo. Si veda anche l’ode oraziana II, 14, 11-12 [ T19]. – tabernas ... turris: oggetti di pulsat. Tabernas, che designa le umili capanne dei poveri, è vocabolo “basso” e prosastico; turris (= turres), metonimia per i magnifici palazzi ornati di torri dei ricchi e dei potenti, è termine poetico. – O beate Sesti: solo ora viene pronunciato il nome del destinatario, subito dopo la riflessione di sapore gnomico sul comune destino di morte dei ricchi e dei poveri. Infatti beatus significa «felice», «fortunato», a designare colui al quale non manca alcun bene morale né materiale. – vitae ... longam: costruisci: summa brevis vitae vetat nos inchoare spem longam, dove summa brevis vitae, lett. «la somma breve della vita [= la somma breve, il numero limitato degli anni, dei giorni che ci è concesso di vivere]», è soggetto di vetat, da cui dipende l’infinitiva oggettiva nos... inchoare (lett. «che noi incominciamo», «intraprendiamo»; nos è accusativo soggetto dell’infinitiva); spem longam è oggetto di inchoare. Implicita l’esortazione (carpe diem) espressa nell’ode I, 11 a Leuconoe, dove ricorrono analoghi concetti, termini-chiave e immagini, e in particolare i medesimi aggettivi in antitesi (et spatio brevi / spem longam reseces, vv. 6-7 [ T12]). [16-20] Presto su di te incomberà la notte, e i Mani, [vuote] favole, e l’incorporea dimora di Plutone; e là, quando vi sarai entrato, non trarrai a sorte coi dadi il regno del convito, e non contemplerai il tenero Licida, per cui ora tutti i giovani ardono, e fra poco si scalderanno le fanciulle. premet: futuro di premo, ĕre, singolare con tre soggetti (nox ... Manes ... domus Plutonia). Il verbo esprime potentemente l’angoscioso senso di oppressione, di chiusura degli spazi, di costrizione che si immagina afferri colui che è precipi-
tato nel regno dei morti. Non si dimentichi peraltro che alle immagini mitiche e poetiche corrisponde, sul piano filosofico-razionale, secondo la dottrina epicurea professata da Orazio, il puro e semplice annientamento (ne è spia fabulae). – nox: secco monosillabo; è probabile che agisca qui la memoria del carme 5 di Catullo (v. 6). La «notte», oscurità dell’oltretomba sotterraneo e metafora della morte. – fabulaeque Manes: fabulae, nominativo plurale, è apposizione di Manes («i Mani [che sono] favole», leggende prive di fondamento); secondo altri è genitivo singolare («i Mani della favola»), senza sostanziale mutamento di significato. – exilis: «esile», «sottile», inconsistente come le ombre che l’abitano, è attributo di domus ... Plutonia. Sono state proposte altre interpretazioni di exilis: «misera», «squallida»; o ancora «angusta», «ristretta». – quo simul mearis: quo simul = simul quo, per anastrofe; quo, avverbio di moto a luogo, funge da nesso relativo; simul, avverbio di tempo, è qui impiegato come congiunzione temporale a introdurre il predicato meaˉris (= meavĕris), futuro anteriore di meo, meaˉre («passare», «entrare» in una via tracciata), arcaismo. – nec ... nec: anafora. – regna... talis: regna vini (lett. «i regni [= il regno] del vino») è oggetto di sortieˉre
(= sortieˉris), seconda persona singolare del futuro di sortior, ˉıri (deponente), che regge l’ablativo plurale strumentale talis – tenerum Lycidan: nome greco di un ragazzo con desinenza greca dell’accusativo, oggetto di mirabere; l’aggettivo tener allude insieme alla delicata bellezza e alla giovanissima età dell’efebo. – mirabĕre: futuro (= mirabĕris), da miror, aˉri, deponente. – quo: ablativo causale del pronome relativo, riferito a Lycidan. – iuventus: metonimia per iuvenes (l’astratto per il concreto), con cui concorda il nominativo femminile singolare omnis. – calet: da caleo, ˉere («ardere di passione», come flagrare), presente indicativo; il soggetto è iuventus. Si fa riferimento al costume ellenico degli amori efebici, diffuso ormai da tempo in Roma soprattutto nelle cerchie intellettuali e aristocratiche. – mox: «ben presto», «fra poco», cioè quando Licida non sarà più un fanciullo e incomincerà a suscitare il desiderio delle ragazze (virgines), mentre perderà di attrattiva per i giovani; si contrappone a nunc. – tepebunt: futuro di tepeo, ˉere (lett. «esser tiepido»; per traslato «innamorarsi»). Il finale dell’ode, che evoca immagini di vita mondana e schermaglie amorose, sortisce un effetto piuttosto marcato di alleggerimento rispetto a quanto precede.
Nomi e parole degli antichi Regna vini: l’espressione oraziana (letteralmente «i regni [= il regno] del vino») si riferisce a un’usanza importata dalla Grecia, secondo la quale nei conviti si sorteggiava, gettando i dadi, il rex convivii («re del convito»), detto anche arbiter o magister bibendi («arbitro», «reggitore del bere»), in greco symposíarchos («simposiarca»).
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Al rex designato dalla sorte i convitati dovevano obbedienza; egli imponeva le sue “leggi”, che regolavano la quantità e i modi del bere, la proporzione in cui il vino doveva essere mescolato con l’acqua, e così via, vigilando che non sorgessero contese tra i commensali.
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
LETTURA e INTERPRETAZIONE
PERCORSO ANTOLOGICO
Datazione e destinatario dell’ode
Il componimento occupa nella raccolta dei Carmina oraziani un posto d’onore, il quarto, subito dopo le odi dedicate a Mecenate (I, 1) ad Augusto (I, 2) e a Virgilio (I, 3): è indirizzata infatti al console del 23, anno di pubblicazione dell’opera, Lucio Sestio Quirino. Quest’ultimo, fervente seguace di Bruto, prese parte come Orazio alla guerra di Filippi (42 a.C.) a fianco dei cesaricidi; il poeta potrebbe averlo conosciuto già a quel tempo. In seguito Augusto gli perdonò la giovanile militanza repubblicana e ne favorì la carriera politica, coronata dalla dignità consolare. A lui Orazio si rivolge con un vocativo (O beate Sesti, v. 14) che lo rappresenta come uomo ricco e fortunato. Non è improbabile tuttavia che l’ode risalga a diversi anni prima: lo attesterebbe il metro epodico, che secondo alcuni studiosi contrassegna i testi più antichi della raccolta (fra questi I, 7 [ T10]); inoltre, è abbastanza evidente che a Sestio il poeta attribuisce qui implicitamente anche il dono della spensierata giovinezza.
Armonia strutturale
Forti contrasti di luce e di colore
Alla ripresa delle attività umane dopo la lunga sosta invernale (vv. 1-4), il poeta fa seguire immaginosamente una sorta di analogo “risveglio” nel mondo degli dèi, rappresentando due scene mosse e animate, in forte contrasto luministico e coloristico: all’armoniosa danza di Venere, delle Grazie e delle Ninfe nella fresca luce argentea della luna, si contrappongono le forge infuocate dei possenti Ciclopi e di Vulcano nelle oscure caverne sotterranee, rischiarate soltanto dai rossi bagliori delle fiamme (vv. 5-8). Ai vividi colori e all’atmosfera gioiosa dei versi precedenti (segnalata anche a livello metrico-ritmico dal predominio dei dattili, veloci e leggeri, nel v. 9) si contrappone violentemente l’incipit del v. 13, con l’irrompere improvviso della Morte personificata con il suo cadaverico pallore, cui seguono angosciose immagini di tenebra e d’oltretomba (vv. 16-17).
Perfetto equilibrio tra cupe visioni di morte e luminosa vitalità primaverile
La struttura dell’ode è limpida, armoniosa e classicamente bilanciata: a una sezione d’esordio, coincidente con le prime due strofe, che descrive il ritorno della primavera (vv. 1-8), segue la strofa centrale, con l’invito ai rituali festeggiamenti in onore della bella stagione (vv. 9-12); le due ultime strofe segnano il brusco passaggio alla meditazione sulla morte sempre in agguato e dunque alla constatazione della brevità della vita e della fugacità di ogni gioia (vv. 13-20).
Ma le visioni cupe e desolate della notte perpetua e delle dimore di Ade non prevalgono sulle immagini luminose e sulla vitalità gioiosa delle strofe primaverili, lasciando filtrare, sia pure in forma negativa e indiretta (nec ... nec, vv. 18-19) una rinnovata esortazione a godere nel presente dei piaceri del convito e dell’amore, che prende forza e necessità, in un perfetto equilibrio, proprio dalla riflessione sulla fuga inarrestabile del tempo e sull’ineludibile richiamo della morte eguagliatrice.
Analizzare il testo
5. Per quale ragione troviamo mearis, futuro anteriore, al v. 17?
1. Dal punto di vista strutturale (e tematico), è possibile dividere l’ode in parti o sezioni chiaramente distinte? Si può parlare di un’architettura bipartita o tripartita? 2. Il testo è palesemente costruito su un gioco di immagini antitetiche. Individua, analizza e commenta le immagini di vitalità e rinascita, e per contro quelle di morte. 3. Ai forti contrasti che si instaurano fra le immagini corrisponde una chiara contrapposizione di piani temporali: individuali, analizzando le forme verbali e gli avverbi di tempo presenti nel testo. 4. Qual è la funzione logico-sintattica degli ablativi stabulis, igni (v. 3) e pruinis (v. 4)? 210
Confrontare e interpretare i testi
6. Sviluppa un confronto tra l’ode I, 4 a Sestio e la I, 11 a Leuconoe [ T12], con particolare riguardo ai seguenti aspetti: a) il motivo del carpe diem; b) la meditazione sul tempo e sulla morte; c) le strutture antitetiche, in particolare la contrapposizione fra presente e futuro (tempi verbali; avverbi di tempo). 7. Dopo aver letto l’ode IV, 7 [ T23], rintraccia gli elementi comuni e le differenze sul piano tematico e stilistico-espressivo.
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PERCORSO ANTOLOGICO
Le FIGURE del MITO Immagini mitiche nell’ode I, 4
▰ Faunus: antichissimo dio italico, protettore
L’ode a Sestio è costellata di figure e riferimenti mitologici e insieme letterari, talora di non immediata decifrazione: riportiamo qui tutte le voci più interessanti.
▰ Cytherea: già epiteto omerico, è appellativo di
Afrodite-Venere. L’epifania di Venere, dea dell’amore e della vitalità fecondatrice, coincide, come nell’inno lucreziano, con l’avvento della primavera; e si ricordi che a lei era consacrato il mese di aprile, come attesta il IV libro dei Fasti di Ovidio [ Dialogo con i modelli ONLINE, cap. 11].
▰ Gratiae: nome latino delle Càriti (Chàrites)
Eufrosine, Talia e Aglae, divinità greche della Bellezza, probabilmente in origine forze della vegetazione. Nate da Zeus e da Eurinome, figlia di Oceano (o da Era, secondo altre leggende), diffondono la gioia nella natura e nell’animo degli uomini e degli dèi; alle tre sorelle divine si attribuisce inoltre il potere di influire sulle opere della mente e dell’arte. Le Grazie fanno parte del seguito di Apollo, come le Muse, ma si accompagnano anche a Dioniso, Atena, Afrodite ed Eros.
specialmente delle greggi e dei pastori, e per questo identificato in seguito con il dio arcade Pan; il nome stesso accerta che si tratta di un dio benevolo (Faunus da faveo, eˉre, «favorire»). Il culto di Fauno veniva celebrato in Roma durante le feste annuali dei Lupercalia (15 febbraio). La personalità divina di Fauno, tuttavia, in età classica si “moltiplica” nei Fauni, demoni campestri dalla doppia natura, metà uomini e metà capri, equivalenti dei Satiri ellenici.
▰ Manes: secondo le credenze romane gli dèi Mani
sono le anime dei morti, spiriti benefici (come dice il nome stesso, antica parola latina che significa «i Benevolenti»). I Mani erano oggetto di culto: tra le feste a loro consacrate la più importante era quella dei Parentalia, che si dicevano istituiti da Enea in onore del padre Anchise.
▰ Volcanus: o Vulcanus, antichissima divinità laziale
(sarebbe stato introdotto in Roma da Tito Tazio, re dei Sabini, dunque in età romulea), poi assimilato al greco Efesto, il dio del fuoco. Figlio di Giove e di Giunone, sposo di Venere, in qualità di fabbro Vulcano provvede gli dèi di armi e di folgori. Nell’ode che qui leggiamo è detto ardens in quanto signore dell’elemento igneo, o anche, con immagine di concentrata potenza visiva, perché «acceso» dai riflessi delle fiamme.
▰ Cyclopes: il nome Cyclops («Ciclope», dal greco
Le tre Grazie, affresco dalla casa di Titus Dentatus Panthera a Pompei. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
Kýklops) significa «dall’occhio rotondo», ed evoca immediatamente l’unico occhio del mostruoso Polifemo e dei suoi compagni, mitico popolo di pastori nel celebre episodio dell’Odissea (IX, 105-555). In altre versioni del mito i Ciclopi figurano quali costruttori delle possenti mura da loro chiamate «ciclopiche» e inventori dell’arte fabbrile; in particolare, vengono sovente rappresentati come inservienti fabbri agli ordini di Efesto-Vulcano. Nell’ode oraziana Vulcano ispeziona e sorveglia le loro officine, dette dal poeta «faticose» poiché tali sono i pesanti lavori che vi si svolgono, situate nelle cave profondità dell’Etna (o dei vulcani delle Eolie). Come vuole la leggenda, sono proprio l’ansimare dei mantici e il fracasso delle incudini dei Ciclopi a produrre le scosse e i paurosi rimbombi sotterranei, ed è il riflesso delle loro fucine infuocate a fiammeggiare sulle cime dei vulcani di Sicilia.
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
T 9 A una donna dai capelli fulvi Carmina I, 5 LATINO
PERCORSO ANTOLOGICO
Nota metrica: sistema asclepiadeo terzo, composto di due asclepiadei minori seguiti da un ferecrateo e da un gliconeo.
Orazio si rivolge a Pyrrha, forse la più enigmatica e fascinosa tra le tante figure femminili che fanno la loro fuggevole apparizione nelle liriche oraziane. In quest’ode il poeta si rappresenta, come accade in altri celebri testi della raccolta (I, 9 [ T11]; I, 11 [ T12]) quale personaggio maturo ed esperto, di contro a un puer improvvido e ingenuo, cui profetizza le cocenti quanto inevitabili delusioni che lo attendono. Riprendendo con arte e profondità incomparabili il tradizionale tópos della donna incostante e infida come il mare, Orazio tesse un raffinatissimo intreccio di metafore marine in una lirica apparentemente limpida, in realtà sfuggente e misteriosa nella sua persistente ambiguità.
Quis multa gracilis te puer in rosa perfusus liquidis urget odoribus grato, Pyrrha, sub antro? Cui flavam religas comam, 5 simplex munditiis? Heu! quotiens fidem mutatosque deos flebit et aspera nigris aequora ventis emirabitur insolens,
[1-5] Chi è lo snello giovinetto, tutto cosparso di unguenti profumati, che si stringe a te su un giaciglio di rose, o Pyrrha, nella grotta deliziosa? Per chi annodi la chioma bionda, semplice nella tua eleganza? Non è facile, in verità, definire con esattezza la situazione delineata in questa prima strofe: un’immaginazione del poeta, il quale forse, s’intuisce, aveva intrecciato una relazione amorosa con Pyrrha, e ora è certo di essere stato sostituito da un nuovo amante? un’ironica profezia, senza personale coinvolgimento? oppure la rappresentazione di un evento reale? La forma interrogativa dei vv. 1-5 rende ancora più arduo dare una risposta. – Quis multa... sub antro?: costruisci Quis gracilis puer perfusus liquidis odoribus te urget, Pyrrha, in multa rosa sub grato antro? – Quis... gracilis te puer... urget: lett. «Quale snello giovinetto ti stringe [= ti abbraccia con passione]». Quis, aggettivo interrogativo maschile singolare, concorda con puer e introduce la prima delle due interrogative dirette che si susseguono nei vv. 1-5. L’aggettivo gracilis non allude, come invece in italiano, a una magrezza eccessiva che denota debolezza fisica o ritardo nello sviluppo, ma alla figura sot-
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tile e slanciata, alle forme efebiche del giovanissimo amante. – multa... in rosa: sineddoche (singolare per il plurale) per in multis rosis, lett. «su» o «fra molte rose»; «tra le rose sparse a profusione». È probabile che si alluda a un letto o giaciglio cosparso di petali di rose. – perfusus: «inondato», «stillante»; participio perfetto di perfundo, ĕre (per, che indica abbondanza, + fundo, «versare»). – liquidis... odoribus: ablativo strumentale; odoribus per metonimia indica le essenze odorose emulsionate con olii, balsami profumati dei quali era usanza cospargersi i capelli e il corpo durante i conviti o gli incontri amorosi. L’aggettivo significa «fluidi», oppure «limpidi», o ancora «lucenti»; l’abbondanza con cui l’inesperto amante si è «inondato» di profumi viene sottolineata non senza un lieve tocco di ironia. – grato... antro: non è necessario immaginare un’ambientazione boschereccia o campestre; si tratterà piuttosto di una di quelle grotte artificiali di cui i ricchi romani amavano ornare i loro giardini, luoghi appartati d’ombra e di frescura, propizi agli svaghi e al riposo, così come ai convegni d’amore. – Pyrrha: nome greco, molto probabilmente fittizio, dall’aggettivo pyrrhós («colore di fuoco», «biondo-ros-
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so») a sua volta derivato del sostantivo pýr («fuoco»), allusivo al colore dei capelli della donna e insieme al fulgore della sua bellezza. – Cui: dativo di vantaggio. – religas: presente indicativo di II persona singolare da relı̆go, aˉre («legare dietro», «annodare»), che indica il gesto, in apparenza spontaneo e naturale, in realtà carico di sensualità e di malizia, di raccogliere indietro la chioma in un nodo o intreccio sulla nuca; un’acconciatura davvero molto semplice, ma che proprio per questo denuncia un’ancor più studiata, raffinatissima arte della seduzione. [5-12] Ahimè! quante volte piangerà la fede [tradita] e gli dèi mutati, e – inesperto – guarderà stupefatto la distesa del mare sconvolta dai foschi venti, egli che ora gode, fiducioso, di te splendida, egli che si aspetta di trovarti sempre libera, sempre amabile, ignaro della brezza ingannatrice. Con l’interiezione esclamativa di dolore e deplorazione (Heu!) ha inizio la sequenza centrale dell’ode, nella quale il poeta, dall’alto della sua esperienza, profetizza, aprendo la serie delle metafore marine che continuerà fino alla conclusione del componimento, le cocenti delusioni che attendono il
PERCORSO ANTOLOGICO
qui nunc te fruitur credulus aurea, qui semper vacuam, semper amabilem sperat, nescius aurae fallacis. Miseri, quibus 10
giovinetto inesperto (insolens), troppo fiducioso (credulus) e ignaro (nescius) della tempesta che si prepara, cioè della volubilità amorosa di Pyrrha. – quotiens… insolens: costruisci quotiens flebit fidem mutatosque deos et insolens emirabitur aequora aspera nigris ventis. – flebit: futuro di fleo, eˉre («piangere») usato transitivamente, ha per oggetti gli accusativi fidem/ mutatosque deos; il soggetto è ovviamente il puer (v. 1), così come dell’altro futuro emirabitur (v. 8), che regge quale complemento diretto aspera... aequora, accusativo neutro plurale. – fidem... deos: fides, nel lessico della poesia erotica, indica il patto di reciproca fedeltà tra gli amanti (il catulliano foedus amoroso). Con l’espressione mutatos... deos il poeta sembra sottolineare ulteriormente l’ingenuità dell’inesperto amante, che di fronte agli immancabili tradimenti vorrà attribuirli alla capricciosa volubilità degli dèi d’amore. Nigris... ventis è ablativo di causa, da connettere ad aspera. È detto niger il
vento apportatore di tempesta; albus o candidus, per contro, il vento che spira nel cielo sereno. – emirabitur: da emiror, aˉri, deponente (e/ex intensivo + miror) – insolens: «non avvezzo», «non solito» (in, prefisso negativo, + soleo, ˉere), dunque «inesperto» – qui nunc... aurea: l’aggettivo credulus è predicativo del soggetto, espresso dal pronome relativo qui; fruitur, presente indicativo del deponente fruor, fruitus e fructus sum, frui («usufruire», «godere»; qui evidentemente in accezione erotica), regge l’ablativo te, concordato con aurea. Quest’ultimo aggettivo, riferito a Pyrrha, oltre a formare paronomasia con aurae (fallacis; v. 11), evoca nuovamente il fulgore della bellezza di lei e insieme, con raffinata variazione, il colore dei suoi capelli; ma già in Omero è un epiteto della divinità, e in particolare dell’«aurea Afrodite», dea dell’amore. – qui semper... sperat: costruisci qui sperat (te) semper vacuam, semper amabilem. Due aggettivi in funzione predicativa dell’oggetto sottinteso
(te): vacuam, lett. «vuota», ossia «libera», «disponibile»; amabilem, nello specifico significato potenziale-passivo degli aggettivi in -bilis, «che può essere amata», «che si lascia amare». [12-16] Miseri, quelli cui ancora ignota risplendi! Quanto a me, la sacra parete [del tempio] indica con una tavola votiva che ho dedicato le [mie] umide vesti al dio signore del mare. Miseri: nel lessico della poesia erotica miser è termine “tecnico” a designare l’innamorato infelice, tradito o comunque preda del tormento amoroso. – qui bus: sott. ii, concordato con il nominativo esclamativo Miseri. – intemptata: lett. «non sperimentata» (in prefisso negativo + participio perfetto di tempto, aˉre); «senza che ti abbiano sperimentata», «quando ancora non ti conoscono». – nites: «risplendi» (da niteo, ˉere). – Me tabula... maris deo: costruisci paries sacer tabula votiva indicat me suspendisse uvida vestimenta deo potenti maris. – Me: pronome personale in accusativo,
Le FORME dell’ESPRESSIONE Simplex munditiis: una caratteristica callida iunctura oraziana ▰ Che cos’è la callida iunctura L’espressione callida iunctura, che si può tradurre con «accostamento sagace», designa uno degli stilemi più originali e caratteristici della scrittura oraziana: il poeta ricerca inedite combinazioni espressive risemantizzando vocaboli di uso comune, che grazie all’inconsueta collocazione sprigionano nuovi e imprevisti significati.
▰ Simplex munditiis L’aggettivo e il complemento
formano un ricercato ossimoro: simplex indica ciò che è genuino, schietto, non artefatto; munditiis è ablativo plurale del sostantivo munditia, che invece rinvia agli artifici e alle raffinatezze dell’eleganza, specialmente femminile (nell’abbigliamento, nell’acconciatura, nelle maniere). L’ambiguità dell’accostamento ossimorico viene accentuata dalla non facile determinazione
dell’esatto valore sintattico dell’ablativo munditiis, che può essere di limitazione o di causa, ma anche concessivo («semplice, nonostante la tua eleganza»). In ogni caso l’espressione, pressoché intraducibile nelle sue sottili sfumature, allude a una perfetta fusione di semplicità e di eleganza, e al tempo stesso vale a definire in una memorabile sintesi le caratteristiche dell’arte di Orazio, del suo gusto classico.
▰ Altri esempi di callidae iuncturae Sempre nell’ode a Pyrrha, ai vv. 6-7 aspera... aequora forma, mediante l’accostamento ossimorico, un’altra callida iunctura tipicamente oraziana; infatti aequora, dall’aggettivo aequus («eguale», «liscio») indica una distesa tranquilla e piana, mentre aspera denota una superficie increspata, mossa e ineguale (le acque marine improvvisamente sollevate dal moto ondoso); e ancora potremmo citare l’ode a Taliarco, dove troviamo virenti canities (Carmina I, 9 [ T11]; cfr. la nota al v. 17).
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
intemptata nites! Me tabula sacer votiva paries indicat uvida 15 suspendisse potenti vestimenta maris deo.
PERCORSO ANTOLOGICO
è soggetto dell’infinitiva oggettiva dipendente da indicat, il cui predicato è suspendisse, infinito perfetto attivo di suspendo, ĕre, propriamente «appendere». In posizione di rilievo e in forte antitesi con Miseri, il pronome di I persona vale a contrapporre energicamente, secondo una movenza stilistico-espressiva ricorrente in Orazio (me-Stil) l’atteggiamento e le scelte del poeta a quelli altrui (cfr. I, 7, 10 [ T10]). – tabula... votiva: ablativo strumentale. Si tratta, secondo un’usanza antichissima, perdurata nei secoli e ancor oggi diffusa, di un ex voto: «I naufraghi scampati alla morte, mantenendo un voto fatto al dio del mare nel momento del pericolo, gli offrivano un quadretto che indicava le circostanze del voto esaudito, e i vestiti che portavano durante il naufragio» (La
Penna). Fuor di metafora, il poeta, fatta esperienza dell’incostanza di Pyrrha (e forse delle donne in generale), dichiara con garbata ironia di essersi sottratto appena in tempo alle insidiose attrattive di lei, e di trovarsi ormai in condizione di evitare, o di aver saggiamente rinunciato ad affrontare, il rischio di ulteriori, ama-
ri disinganni. – uvida: «umide», «bagnate»; aggettivo neutro plurale (uvidus, a, um) concordato con vestimenta (v. 16). – potenti: non è aggettivo ma sostantivo, concordato con il dativo deo; lett. «che ha, che esercita il potere», dunque «signore». Il «dio signore del mare» è ovviamente Poseidon-Nettuno.
Ritratto femminile, particolare di un affresco dalla Villa dei Misteri a Pompei. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
LETTURA e INTERPRETAZIONE Complessità strutturale e stilistica dell’ode
A Pyrrha, la donna dai capelli fulvi, d’oro e di fuoco, si rivolge il poeta in quest’ode di squisita eleganza, nitidamente semplice in apparenza, in realtà complessa, sia dal punto di vista strutturale e stilistico, sia sul piano interpretativo.
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Strofa I: un quadretto di gusto ellenistico
Il componimento si apre con un raffinato quadretto di gusto ellenistico, nel quale si fondono armoniosamente grazia, sensualità e sottile ironia: in una grotta deliziosa, su un giaciglio di rose, un giovinetto profusamente cosparso di unguenti odorosi si stringe
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PERCORSO ANTOLOGICO
alla bellissima donna. Splende al centro della scena la chioma biondo-rossa di Pyrrha, simplex munditiis: nella callida iunctura, così caratteristicamente oraziana, si racchiude l’essenza del fascino seduttivo di questa figura femminile, enigmatica e distante nel suo splendore, volubile e insidiosa come il mare [ Le forme dell’espressione, p. 213].
Strofe II-III-IV: metafore marine
Nelle strofe successive, legate fra loro mediante un gioco di forti contrasti, si sviluppa infatti una serie di metafore marine: l’inesperto puer ben presto piangerà, allo scatenarsi dell’impreveduta tempesta (i tradimenti, il discidium; strofa II), lui che ora gode dei piaceri d’amore fidando ciecamente che durino per sempre, come la dolce, ingannevole brezza che spira sul mare calmo (strofa III); invece il poeta, naufrago miracolosamente scampato ai flutti scatenati, dedica, ormai salvo e al sicuro, un ex-voto al dio del mare quale rendimento di grazie (strofa IV).
La donna e il mare: una lunga tradizione nel segno di Afrodite
La raffigurazione della donna come forza della natura, e in particolare l’immagine del mare mutevole e pericoloso quale metafora dell’incostanza femminile, ha dietro di sé una lunga tradizione nella letteratura antica, dai giambi misogini di Semonide di Amorgós
Analizzare il testo
1. Il poeta si rivolge a una donna di nome Pyrrha. Si tratta di un “nome parlante”? Che cosa significa? Vi sono altre espressioni e immagini nel testo che si connettono allusivamente a questo nome? 2. Al v. 9 Pyrrha è detta aurea. Spiega il significato e le implicazioni di questo aggettivo nel contesto dell’ode. 3. Chi sono i “personaggi” dell’ode? Come vengono rappresentati? In particolare, il poeta si sofferma sul puer, caratterizzandolo mediante numerosi aggettivi e forme verbali fra loro coerenti e funzionali a darne un “ritratto” piuttosto preciso: quali? 4. Analizza il testo dal punto di vista strutturale, dividendolo in sequenze, a ciascuna delle quali
a Plauto [ Dialogo con i modelli, p. 216]; in particolare, le metafore marine ricorrono diffusamente negli epigrammi erotici dell’Antologia Palatina, che giocano con ingegnose variazioni sulle mitiche prerogative di Afrodite, la dea dell’amore nata dalla schiuma del mare. E anche qui, infatti, dietro la figura dell’aurea Pyrrha splende quella della dea (v. 9). Ma Orazio va ben al di là della ludica leggerezza alessandrina, così come della tradizionale misoginia.
Il personaggio-poeta e il giovane ingenuo
Come accade in altre, famose odi, il poeta ama rappresentarsi come un uomo maturo, esperto e consapevole, di contro a figure di giovanissimi ingenui (qui il puer; altrove saranno Taliarco o Leuconoe), cui somministra, con distacco ironico e insieme con umana partecipazione, non senza un’ombra di malinconia, insegnamenti di disincantata saggezza.
Una sottile ambiguità
Nondimeno, l’atteggiamento del personaggio-poeta sfugge a una così precisa determinazione: alcuni interpreti ritengono infatti che il sentimento dominante nell’ode a Pyrrha sia la gelosia, e che vi affiorino i segni di una passione non del tutto superata. Così, una sottile ambiguità pervade l’intero componimento, non ultima ragione del suo fascino.
dovrai assegnare un breve titolo-didascalia, e osservando se le parti individuate corrispondono, più o meno esattamente, alle singole strofe. 5. Individua le metafore presenti nell’ode I, 5 e spiega a quale campo semantico appartengono, illustrandone il significato.
Confrontare e interpretare i testi
6. Dopo l’ode a Pyrrha, leggi il «Canto amebeo d’amore (Carmina III, 9 [ T20]) in forma di dialogo fra il poeta e un’altra donna di nome Lydia, cercando di spiegare in un breve scritto come Orazio affronti il tema della donna e dell’amore.
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
Dialogo con i MODELLI Il tópos della donna-mare: Semonide di Amorgós e Plauto Riportiamo, dalla Satira delle donne del poeta giambico Semonide (VII-VI sec. a.C.), detto di Amorgós poiché risiedette a lungo in questa isola delle Cicladi, in realtà nato a Samo, il brano dedicato alla donna-mare [a]. In questo lungo componimento-catalogo
il poeta passa in rassegna dieci tipi di donna, paragonandoli di volta in volta ad animali o a elementi naturali, ed elencandone impietosamente difetti e vizi, tranne che nel caso della donnaape, l’unica caratterizzata da qualità positive.
In una famosa battuta dell’Asinaria [b], il commediografo latino Plauto riprende il tópos della donna-mare; in chiave comica, certo, ma senza discostarsi dalla più antica tradizione misogina. Parla l’adulescens Diabolus, che inveisce contro la lena Cleaereta.
Un’altra dal mare, e ha due indoli diverse: un giorno ride ed è tutta lieta, e la loderebbe un ospite che la vedesse in casa: «non c’è donna migliore di questa 5 né più bella in tutto l’universo». Ma un altro non si può sopportare né di guardarla, né di andarle vicino; e allora è furente e inavvicinabile come una cagna che difende i cuccioli. Implacabile e odiosa con tutti, 10 è uguale con i nemici e con gli amici. Come il mare spesso è tranquilla, non fa danni, è grande gioia per i marinai nel tempo estivo; ma spesso si infuria, si agita con onde che rimbombano cupe. 15 Al mare soprattutto assomiglia questa donna nell’ira, ché mutevole è l’indole del mare.
PERCORSO ANTOLOGICO
[a]
(fr. 7 West, vv. 27-42; trad. di A. Aloni) 1. dal mare: l’indole assegnata dal dio a questo tipo di donna viene dal mare, è quella stessa del mare.
6. un altro: un altro giorno.
[b] È
così che si fa? Cacciarmi fuori di casa! È questa la ricompensa che si dà a chi ha fatto tanti favori? Tu sei malvagia con chi ti fa del bene, buona con chi ti fa del male. [...] Il mare non è mare, siete voi il mare più burrascoso (Nam mare haud est mare, vos mare acerrumum). (Plauto, Asinaria 126-134 passim, trad. di M. Scàndola)
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PERCORSO ANTOLOGICO
T 10 Vino pellite curas Carmina I, 7 LATINO
Nota metrica: sistema archilocheo primo; nella strofe di quattro versi l’esametro si alterna al trimetro dattilico catalettico.
In apertura Orazio enumera i nomi e i pregi delle più celebrate città del mondo greco, lasciando ad altri poeti il compito di lodarle ancora, mentre egli dichiara di preferire a tutte l’italica Tivoli; si rivolge poi all’amico Planco che, come il poeta stesso, predilige l’ombroso e selvatico paesaggio tiburtino, esortandolo a porre un limite agli affanni della vita con il dolce vino. Così, da forte, aveva fatto Teucro, il mitico eroe dei cicli epici scacciato dalla patria ed esule sul mare.
Laudabunt alii claram Rhodon aut Mytilenen aut Epheson bimarisve Corinthi moenia vel Baccho Thebas vel Apolline Delphos insignis aut Thessala Tempe; sunt quibus unum opus est intactae Palladis urbem carmine perpetuo celebrare et undique decerptam fronti praeponere olivam; plurimus in Iunonis honorem 5
aptum dicet equis Argos ditisque Mycenas: 10 me nec tam patiens Lacedaemon nec tam Larisae percussit campus opimae, quam domus Albuneae resonantis [1-4] Altri loderanno la famosa Rodi, o Mitilene, o Efeso, o le mura di Corinto affacciata su due mari, o Tebe o Delfi, rese insigni l’una da Bacco, l’altra da Apollo, o la tessala valle di Tempe; Laudabunt alii: il futuro ha qui significato concessivo («Lodino pure altri [non io]»); alii si contrappone a me (v. 10), con un deciso movimento caratteristicamente oraziano [ T9, I, 5, 13]. Tutti gli accusativi che seguono nei vv. 1-4 sono oggetti di Laudabunt, che ha per soggetto il pronome indefinito nominativo plurale alii. – Rhodon... Mytilenen... Epheson: per lo più Orazio preferisce mantenere la grafia originale dei nomi greci: Rhodon è accusativo di Rhodos, con la grafia e la desinenza greca (come Mytilenen ed Epheson). – bimarisve = vel bimaris. – vel... vel: in questi versi il poeta impiega indifferentemente, per un’esigenza di varietà, le disgiuntive aut e vel, che rivestono diverso valore nella lingua latina: aut esprime un’alternativa più forte e tendenzialmente esclusiva, mentre vel indica una disgiunzione meno netta, che in italiano si può sovente
rendere con «e/o». – insignis = insignes, accusativo plurale che concorda con Thebas e Delphos, e da cui dipendono gli ablativi Baccho e Apolline (più lett. «Tebe insigne per Bacco, Delfi per Apollo»). – Thessala Tempe: Tempe è accusativo neutro plurale con desinenza greca. [5-9] Vi sono di quelli la cui unica occupazione è celebrare in un poema ininterrotto la città della vergine Pallade e porre sulla [propria] fronte la corona di olivo colta da ogni parte; più d’uno canterà in onore di Giunone Argo nutrice di cavalli e Micene ricca d’oro: Sunt quibus... celebrare: costruisci Sunt (ii) quibus celebrare carmine perpetuo urbem intactae Palladis unum opus est. – intactae... urbem: la città sacra a Pallade è Atene; intactae (in prefisso negativo + participio perfetto di tango, ĕre, «toccare»), genitivo concordato con Palladis, equivale a virginis (come «intatta» in italiano). – carmine perpetuo: ablativo strumentale. L’aggettivo perpetuus traduce il greco dienekés, espressione usata da Callimaco nel prologo degli Aitia («[carme] continuo»). Data l’evi-
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dente intonazione ironica e polemica del passo, si può rendere anche con «lunghissimo», «interminabile». – plurimus = plurimi, sineddoche (il singolare per il plurale). – Iunonis: genitivo di Iuno. – Argos: accusativo neutro singolare. – ditis = dites, accusativo plurale. [10-14] Quanto a me, né Lacedemone tenace, né le fertili pianure di Larissa mi colpirono tanto quanto la dimora di Albunea risonante e l’Aniene precipite e il bosco sacro a Tiburno e i frutteti irrigati dai guizzanti ruscelli. Me: cfr. nota al v. 1 (Laudabunt alii). – tam: l’avverbio, ripetuto nel verso successivo con la congiunzione negativa (nec tam) in anafora, è correlato a quam (v. 12). – patiens: participio-aggettivo da patior, pati («sopportare», «resistere»). – percussit: perfetto indicativo di percutio, ĕre («colpire», nel senso di «entusiasmare»). Il verbo ha due soggetti, Lacedaemon (v. 10) e campus (v. 11); inoltre si deve logicamente sottintendere ancora percussit (me) nel secondo membro della correlazione comparativa introdotto da quam, con una serie di
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
PERCORSO ANTOLOGICO
et praeceps Anio ac Tiburni lucus et uda mobilibus pomaria rivis. 15 Albus ut obscuro deterget nubila caelo saepe Notus neque parturit imbris tre soggetti: Anio, lucus (v. 13), pomaria (v. 14). Oggetto di percussit è il pronome personale in accusativo Me (v. 10), in posizione enfatica. – domus... resonantis: la «dimora» di Albunea, ninfa delle acque, talora identificata con la Sibilla Tiburtina, è la grotta donde sgorga una delle sorgenti solforose di Tivoli, dette aquae Albulae. – praeceps Anio: ossia «le cascate dell’Aniene», il fiume «che precipita» (praeceps) dall’alto di rupi scoscese presso Tivoli, formando cascate di spettacolare, selvaggia bellezza. – Tiburni: Tiburno (Tiburnus) o Tiburto, eroe eponimo e mitico fondatore di Tivoli (Tibur), figlio dell’argivo Amfiarao (l’indovino ricordato fra i Sette eroi che mossero guerra a Tebe); scacciato dalla patria, venne nel Lazio e fondò la città che da lui prende il nome. Si noti come Orazio, il quale pure contrappone la prediletta Tivoli, una località dell’arcaico e selvatico Latium vetus, a tutte le
splendide, universalmente celebrate città greche del catalogo iniziale, non manca di sottolinearne, con questa preziosa allusione ai miti di fondazione, i legami originari e profondi con l’Ellade. Per il motivo di Tivoli quale luogo di elezione si veda anche Carmina II, 6, 5-8 [ T17]. – uda: lett. «umidi», aggettivo neutro plurale in caso nominativo (udus, a, um; come uvidus), da unire con pomaria. – mobilibus: lett. «mobili», dalla corrente rapida e vivace; concorda con rivis in caso ablativo di valore causale (lett. «i frutteti umidi grazie ai mobili ruscelli»). [15-21] Come il Noto luminoso libera spesso il cielo oscurato dalle nubi e non porta sempre la pioggia, così tu, Planco, da saggio ricorda di porre un limite alla tristezza e agli affanni della vita con il dolce vino, sia che ti trattengano gli accampamenti fulgidi di insegne, sia che ti accolga in seguito la fitta ombra della tua Tivoli.
Albus ut... Notus: costruisci ut albus Notus saepe deterget nubila caelo obscuro. – Albus ut: anastrofe. È detto albus (lett. «bianco», «chiaro», «luminoso») il vento che porta il sereno. – deterget: lett. «ripulisce», «spazza», presente indicativo di detergeo, detergeˉre – Notus: è il vento del Sud. – parturit: presente indicativo di parturio, ˉıre, propriamente «partorire», «esser gravido»; è il predicato della coordinata introdotta dalla congiunzione copulativa negativa neque, e ha per soggetto ancora Notus. – imbris = imbres, «piogge», oggetto di parturit. – perpetuo: avverbio («continuamente»). In proposizione negativa, si trova in antitesi con l’altro avverbio di tempo (saepe, v. 16), rafforzata dalla posizione di entrambi all’inizio del verso. – sic: correlato a ut (v. 15), introduce il secondo membro della similitudine. – Plance: Munazio Planco, legato di Cesare in Gallia e suo fervente partigiano. Dopo
I LUOGHI dell’ANTICO Le splendide città di Grecia nel catalogo oraziano ▰ Rhodos: apre il catalogo delle città e dei luoghi illustri l’isola di Rodi (claram Rhodon, v. 1), già celebrata da Catullo nel carme IV (Rhodumque nobilem, v. 8), meta pressoché obbligata dei giovani romani nel loro tour di formazione culturale. L’aggettivo clara può significare «famosa», «illustre»; ma anche «luminosa», con riferimento alla felicità del suo clima e alla genealogia mitica dei suoi primi sovrani, gli Eliadi, figli del Sole (Helios) e di Rhode o Rhodos, divinità eponima dell’isola, figlia di Poseidon e di Anfitrite oppure, secondo altre versioni tramandate dai mitografi, di Afrodite.
▰ Mytilene: la città principale dell’isola di Lesbo nel mare Egeo, patria dei poeti Alceo e Saffo.
▰ Ephesos: al tempo di Orazio capitale della provincia
romana d’Asia, Efeso era una delle più floride colonie greche ioniche sulla costa dell’Asia Minore, famosa, come Mitilene, per le bellezze naturali e la magnificenza degli edifici, in particolare il celebratissimo tempio di ArtemideDiana Efesia; più tardi, anche per le sue scuole di retorica.
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▰ Corinthus: Corinto è detta da Orazio bimaris
(«dai due mari»). L’epiteto, di probabile coniazione oraziana, che rende l’aggettivo greco dithálattos (o amphithálattos), allude alla singolare posizione della città: situata sull’istmo che divideva il mare Ionio dal mare Egeo, si affaccia da una parte al golfo che da lei prende il nome, dall’altra al golfo Saronico. Degni di lode il poeta dichiara i Corinthi/ moenia (vv. 2-3), «le mura» ma anche, per metonimia, «i monumenti di Corinto». In entrambi i casi, agisce qui soprattutto il ricordo dell’antico splendore della città, prima che fosse completamente distrutta dai Romani nel 146 a.C.; venne poi ricostruita per volontà di Cesare, che vi stanziò una colonia, ma certo la nuova Corinto non doveva possedere, al tempo di Orazio, un complesso monumentale tanto imponente quanto l’antica.
▰ Thebae: Tebe (Thebae, arum), antichissima città
della Beozia sul fiume Ismeno, patria del poeta Pindaro, è detta qui «insigne per Bacco». Il dio Bacco-Dioniso nacque infatti dagli amori di Zeus e di Semele, figlia di Armonia e di Cadmo, mitico fondatore della città di Tebe, celebre per le sue sette porte e per le mura innalzate secondo la leggenda dal musico Anfione, che
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PERCORSO ANTOLOGICO
perpetuo, sic tu sapiens finire memento tristitiam vitaeque labores molli, Plance, mero, seu te fulgentia signis 20 castra tenent seu densa tenebit la morte di Cesare, contrariamente alle aspettative, non si schierò a fianco dei suoi uccisori, ma passò dalla parte di Antonio, con il quale collaborò a lungo in Egitto; alla vigilia di Azio abbandonò Antonio per legarsi a Ottaviano, contribuendo a organizzare la propaganda contro lo stesso Antonio. Nel 27 fu Planco a proporre di conferire a Ottaviano il titolo di Augusto. Questi suoi reiterati passaggi da una parte all’altra in momenti cruciali gli procurarono ovviamente la nomea di opportunista, e non gli furono risparmiate critiche neppure da parte degli amici, fra cui Cicerone. – sapiens: ha valore predicativo; pertanto si può tradurre anche con un avverbio («saggiamente»). – memento: imperativo futuro di seconda persona del verbo difettivo memini, meminisse («ricordare»), da cui dipende l’infinito presente finire. Etimologicamente affine a moneo, ˉere («ammonire»), non di rado coniuga,
come in questo caso, entrambi i significati. – finire: «porre fine» (temporaneamente, s’intende), «porre un limite»; ha per oggetto tristitiam (vitae)que labores (v. 18). – molli... mero: ablativo strumentale. L’aggettivo mollis significa «dolce», sia in senso proprio sia metaforico: «dolce» in quanto atto a rasserenare, “addolcire” appunto, l’animo (e si vedano i significati del verbo mollıˉre). Il motivo del vino (merus, «vino puro») come phármakon, medicina dell’animo e rimedio agli affanni, risale a Omero e fiorisce nei carmi simposiaci della più antica lirica greca, ma perviene a Orazio soprattutto attraverso Alceo (cfr. ad es. I, 9 [ T11 e Dialogo con i modelli, p. 222]). – Plance: vocativo di Plancus, il destinatario dell’ode. Il nome è collocato in posizione di rilievo tra l’aggettivo e il sostantivo (molli... mero). – seu te fulgentia... umbra tui: costruisci seu castra fulgentia signis tenent te seu umbra
densa Tiburis tui tenebit (te). – fulgentia: participio presente neutro plurale in caso nominativo di fulgeo, ˉere («risplendere»), concordato con castra, da collegare a signis, ablativo di valore causale. Le insegne militari degli eserciti romani, ornate d’oro e d’argento, splendevano di bagliori metallici. – tenent... tenebit: poliptoto. I diversi tempi del verbo lasciano supporre che ora, nel presente, Planco sia impegnato in operazioni militari e si trovi in un accampamento, e che il ritorno all’amata Tivoli (Tiburis... tui) si collochi nel futuro, forse soltanto un augurio all’amico e un desiderio del poeta. Anche la proposizione introdotta dal primo seu (v. 19), peraltro, potrebbe rappresentare soltanto un’eventualità, un’alternativa possibile; non una situazione concreta e attuale. – umbra: un altro significativo contrasto di colori e di atmosfere; l’ombra riposante e protettiva di Tivoli verde e boscosa si
attirò le pietre da costruzione con il suono della sua lira. L’antica Tebe fu completamente distrutta da Alessandro Magno nel 335 a.C.
Atene è opportunamente simboleggiato da una corona d’olivo, per metonimia olivam (il nome della pianta per la ghirlanda composta con le sue fronde).
▰ Delphi: Delfi (Delphi, orum) nella Focide, considerata
▰ Argos/Mycenae: la dea Giunone, Hera presso i Greci, era oggetto di speciale venerazione in Argo e Micene, città dell’Argolide predilette dalla dea e poste sotto la sua protezione. Argo è detta «adatta», «propizia ai cavalli» (aptum... equis, v. 9); traduce l’epiteto omerico hippóbotos («che nutre», «che alleva cavalli»; Iliade II, 287). A sua volta Micene è definita «ricca», «opulenta» (ditis, v. 9); in Omero polychrýsos, «ricca d’oro» (Iliade VII, 180).
il centro del mondo, era sede del celeberrimo oracolo di Apollo; là il dio, dopo aver ucciso con le saette infallibili il mostruoso serpente Pitone, aveva consacrato il santuario più importante del suo culto e fondato i giochi Pitici.
▰ Thessala Tempe: la valle di Tempe in Tessaglia, una gola profondamente incassata fra le pareti rocciose dell’Olimpo e dell’Ossa, ove scorre il fiume Peneo; famosa non solo per la sua bellezza, amena e al tempo stesso grandiosamente selvaggia, ma anche per essere a sua volta uno dei più insigni luoghi di culto del dio Apollo. ▰ Athenae: la città di Atene (Athenae, -arum) non
viene nominata, ma vi si allude mediante perifrasi: «la città della vergine Pallade» (v. 5). Al v. 7 viene poi citato l’olivo, l’albero sacro a Pallade Atena, la quale ne fece dono agli abitanti dell’Attica ottenendo che la città di Atene fosse a lei consacrata e portasse il suo nome. Nel contesto, pertanto, il premio serbato ai cantori di
▰ Lacedaemon: Lacedemone o Sparta in Laconia nel Peloponneso, tam patiens (v. 11) poiché i costumi degli Spartani o Lacedemoni erano notoriamente improntati a una severa frugalità; proverbiale era (ed è ancora oggi) la loro capacità, effetto di una rigorosa disciplina cui si sottoponevano fin dalla prima infanzia, di sopportare disagi e fatiche. ▰ Larisa: Larissa, città della Tessaglia sulle rive del fiume Peneo, è detta in Omero «dalle larghe zolle» (Iliade II, 841), in lode delle sue ricche coltivazioni; perciò opima («fertile», «copiosa di frutti») nell’ode di Orazio (v. 11).
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
Tiburis umbra tui. Teucer Salamina patremque cum fugeret, tamen uda Lyaeo tempora populea fertur vinxisse corona, sic tristis adfatus amicos:
PERCORSO ANTOLOGICO
25 «Quo nos cumque feret melior fortuna parente, ibimus, o socii comitesque.
contrappone al fulgore degli accampamenti. Si notino la sequenza allitterante (tenent... tenebit... Tiburis... tui) e il doppio iperbato incrociato, ancora una volta in enjambement (densa... Tiburis... umbra... tui). [21-24] Si narra che Teucro, mentre si apprestava ad abbandonare Salamina e il padre, si cingesse tuttavia le tempie umide di vino con la corona di pioppo, così parlando agli amici afflitti: Teucer: con una transizione improvvisa, alla maniera di Pindaro, irrompe nel corpo stesso del v. 21 il mitico protagonista dell’ultima parte dell’ode, Teucro. Figlio di Telamone sovrano di Salamina, vasta isola presso le coste dell’Attica, fratellastro di Aiace, già nell’Iliade Teucro viene ricordato per la sua perizia di arciere; notevole rilievo assume poi il suo personaggio nella tragedia antica, nell’Aiace di Sofocle e poi in Roma nel dramma più celebre e popolare di Pacuvio, il Teucer, che ancora si rappresentava al tempo di Orazio. Secondo quanto narravano i poemi del Ciclo epico, allorché Teucro ritornò da Troia, il padre non gli permise di rientrare in patria, accusandolo di non aver vendicato la morte di Aiace, il quale, impazzito per l’ingiustizia patita a causa degli intrighi di Odisseo nell’assegnazione delle armi di Achille, si era ucciso gettandosi sulla propria spada. Così Teucro, esule e fuggiasco, riprese il mare verso altre terre, giungendo infine a Cipro, dove fondò una nuova città di nome Salamina. – Salamina: accusativo con desinenza greca, oggetto di fugeret come patrem (v. 22). – cum fugeret: costruzione di cum narrativo con l’imperfetto congiuntivo (di fugio, ĕre), con valore insieme concessivo («sebbene fuggisse») in correlazione con tamen. – uda... tempora: le tempie sono «umide» (uda; cfr. nota al v. 13) in quanto la corona che Teucro si pone in capo è bagnata di vino. Lyaeo, in caso ablativo, epiteto di Bacco-Dioniso (Lyaeus, «colui che scioglie», «che libe-
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ra» dagli affanni; dal verbo greco lýo), è metonimia per «vino». – fertur: feror, nel significato di «si dice», «si tramanda», «si narra»; nelle forme del presente segue la costruzione personale con il nominativo (Teucer, v. 21); da fertur dipende vinxisse, infinito perfetto (di vincio, vinxi, vincıˉre), che a sua volta ha per oggetto tempora (v. 23). – populea... corona: ablativo strumentale da unire a vinxisse. Nei conviti era usanza degli antichi cingersi il capo di corone, in questo caso intrecciate con fronde di pioppo, pianta sacra a Eracle, protettore dei viandanti (e Teucro appunto, insieme ai compagni, si accinge a salpare per un viaggio periglioso verso terre ancora ignote) e, si aggiunga, specialmente venerato proprio a Tivoli. – tristis = tristes, accusativo plurale concordante con amicos. – adfatus: participio di valore attivo da adfor (ad + for, fatus sum, fari); «parlare», «rivolgersi a». [25-32] Dovunque ci condurrà la fortuna, più benigna del padre, andremo, o compagni di ventura e di viaggio. Non c’è da disperare, sotto la guida e gli auspici di Teucro: poiché Apollo infallibile mi ha promesso che su una nuova terra sorgerà una seconda Salamina. O forti guerrieri, che spesso avete affrontato con me prove ancora più ardue, ora con il vino scacciate gli affanni; domani torneremo a solcare il mare infinito. Quo nos... ibimus: costruisci Quocumque fortuna melior parente feret nos, ibimus. – Quo... cumque = quocumque; tmesi. – melior... parente: la fortuna sarà in ogni caso, vuol dire, meno dura e crudele del padre che lo ripudia e lo costringe all’esilio. Nel suo breve discorso Teucro mira a infondere coraggio e determinazione ai compagni avviliti e rattristati. – socii comitesque: due sostantivi in caso vocativo. Entrambi significano «compagni»; tuttavia il primo allude alla comunanza di vita, al fatto che condividono volontariamente una medesima sorte («associati», «alleati»); @ Casa Editrice G.Principato
il secondo al viaggio che stanno per intraprendere insieme («accompagnatori», «compagni di viaggio»). – Nil desperandum: sottinteso est; costruzione perifrastica passiva (lett. «non si deve disperare»). Nil = nihil; con valore avverbiale («per nulla»), costituisce una negazione più forte ed energica del semplice non. – Teucro duce... auspice Teucro: ablativi assoluti. Scolpita nello stile eroico-sacrale delle formule rituali del linguaggio militare romano (ductu auspicioque), la dichiarazione assume particolare solennità grazie alla scelta di parlare di sé in terza persona e alla disposizione chiastica, che conferisce ulteriore forza enfatica alla ripetizione del nome. – certus... futuram: costruisci enim certus Apollo promisit ambiguam Salaminam futuram (esse) tellure nova. – certus: epiteto del dio Apollo «che non erra», i cui responsi oracolari sono certi e veritieri. – ambiguam: propriamente l’aggettivo ambiguus («che inclina da due parti», da ambı̆go) significa «incerto», «dubbio», «confuso»; nel contesto s’intende che la «seconda Salamina», portando lo stesso nome, sarà indistinguibile dalla prima. – O fortes... viri: costruisci O viri fortes, saepe passi peiora mecum; lett. «O uomini forti, che avete spesso sopportato con me mali peggiori». Si è soliti accostare a questi versi un luogo dell’Eneide virgiliana (I, 198-199), al principio del discorso che Enea tiene ai compagni per confortarli dopo essere scampati alla tempesta: «O compagni – né infatti, da tempo, siamo ignari di sventure – o voi che avete sopportato mali ben più gravi, un dio porrà fine anche a questi». Se l’ode oraziana risalisse effettivamente alla fine degli anni 30 (ma non è certo), Virgilio potrebbe essersi ispirato a Orazio. – passi: participio perfetto con valore attivo (da patior, pati, deponente). – nunc... cras: i due avverbi di tempo formano un’antitesi che riconduce al motivo dominante dell’ode (finire... tristitiam vitaeque labores, vv. 17-18). –
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Nil desperandum Teucro duce et auspice Teucro: certus enim promisit Apollo
ambiguam tellure nova Salamina futuram. 30 O fortes peioraque passi mecum saepe viri, nunc vino pellite curas; cras ingens iterabimus aequor». iterabimus: futuro di iterare, che nel significato più esteso e generico vale «riprendere», «rinnovare», «ripetere», ma che etimologicamente rinvia all’arcaico lessico rurale: iterum arare, «arare», «solcare una seconda volta». La scelta di questo verbo si rivela intensamente espressiva a più livelli: Teucro e i compagni hanno appena affrontato una lun-
ga navigazione ritornando a Salamina dalla Troade e ora devono «di nuovo» (iterum) prendere il mare; l’allusione etimologica al duro lavoro dell’aratura evoca le fatiche del viaggio, da sostenere ancora una volta di lì a poche ore, senza poter godere dello sperato riposo in patria. – ingens: neutro singolare in caso accusativo, da unire a aequor. L’agget-
tivo, che significa «molto grande», «smisurato», «straordinario», non manca di evocare per analogia l’idea dell’ignoto e del pericolo. Si noti l’allitterazione, intensamente espressiva, ingens iterabimus; ma in tutta l’orazione di Teucro le serie allitteranti contribuiscono efficacemente a sostenere l’epica solennità dello stile.
LETTURA e INTERPRETAZIONE Datazione e destinatario dell’ode
Il destinatario dell’ode, cui il poeta si rivolge con il vocativo (Plance) soltanto al v. 19, è molto probabilmente Munazio Planco, personaggio politico di un certo spicco nell’età cesariano-augustea. Non sappiamo quando Orazio strinse amicizia con lui, né conosciamo l’epoca e le circostanze di composizione della lirica; dal testo emerge con certezza soltanto la condivisa predilezione per Tivoli. Il metro archilocheo fa propendere per una datazione alta, non lontana dalla stesura degli Epodi, cui la accomuna anche lo stile severo ed energico; forse poco dopo il 32.
Strutture del componimento: il catalogo-preambolo o Priamel
Il componimento si apre con un ampio catalogopreambolo nelle forme di una particolare struttura retorica (denominata dagli studiosi tedeschi Priamel, da preambulum) ricorrente nella poesia oraziana, che si sviluppa attraverso l’elencazione delle varie sorti e dei diversi gusti degli uomini, cui il poeta oppone recisamente le proprie scelte (v. 10). Qui Orazio dispone in lunga serie i prestigiosi nomi delle più splendide località del mondo greco, e a tutte dichiara di preferire l’italica Tivoli con il suo paesaggio di ombre boschive e di acque precipiti, contrapponendo agli dèi dell’Olimpo, numi tutelari di città assai più illustri, le rustiche divinità del Lazio arcaico.
Strutture del componimento: il me-Stil
In posizione di rilievo e in forte antitesi con alii (v. 1), il pronome di prima persona vale a contrapporre energicamente, secondo una movenza stilistico-espressiva ricorrente in Orazio (me-Stil) l’atteggiamento e le scelte del poeta a quelli altrui (cfr. Carmina I, 5, 13 [ T9]; Epistulae I, 4 [ T25]). Si può dire anzi che questo personalissimo stilema si imprima fin dall’inizio sulla raccolta dei Carmina; infatti segna la chiusa della lunga ode I, 1 a Mecenate.
Tivoli, luogo reale e simbolico: una scelta di vita e di poesia
La scelta del luogo più amato, propizio al riposo e alle gioie del convito, rappresenta una scelta di vita in chiave epicurea, e insieme di poesia: egli lascia ben volentieri ad altri cantori il compito di tessere per l’ennesima volta le lodi delle città tante volte celebrate dai poeti (fittissime le reminiscenze e le allusioni letterarie, in particolare le citazioni omeriche), non senza inserire spunti polemici di stampo callimacheo e neoterico contro gli attardati, ripetitivi cultori del carmen perpetuum (v. 6). La vivida descrizione del paesaggio tiburtino (vv. 1217) assume esplicitamente un significato simbolico sul piano esistenziale e morale, preparando il monito a scacciare gli affanni con il dolce vino che il poeta rivolge all’amico (vv. 17-21), così come aveva saputo fare Teucro, esule sul mare.
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
Irruzione “pindarica” dell’exemplum mitico e chiusa in alto stile epico
L’exemplum mitico di Teucro, che senza transizione alcuna, alla maniera di Pindaro, irrompe nel v. 20, e soprattutto il discorso che l’eroe tiene ai compagni (vv. 25-32), chiudono su una tonalità di alto stile epico il
PERCORSO ANTOLOGICO
Analizzare il testo
1. Suddividi il testo dell’ode in sequenze distinte. È possibile individuare dei nessi che colleghino le varie parti? Si rintracciano uno o più fili conduttori tali da conferire unità e coerenza al componimento? 2. In che cosa consiste la struttura retorica della Priamel e che cosa significa questo termine? In quali versi Orazio vi fa ricorso, e a quale fine? 3. Chi è l’eroe greco Teucro? Quale relazione, sul piano tematico e strutturale, si stabilisce fra la sua improvvisa apparizione, con la sua apostrofe ai compagni, e i versi precedenti? 4. L’elogio dell’italica Tivoli, preferita a tante famose e magnifiche città elleniche, esprime anche una scelta di vita e di poesia? In particolare, vi sono indizi che permettono di considerare quest’ode un testo di poetica? Quali sono i passaggi che più
componimento. Ai motivi dell’angulus e del convito, del carpe diem e dell’aequa mens, centrali in quest’ode come in tutta la poesia di Orazio, si affianca e si impone in primo piano quello, intimamente connesso ai precedenti, della resistenza che l’uomo forte deve saper opporre alla Fortuna.
chiaramente rivelano un’intenzione polemica? 5. Quibus unum opus est (v. 5): di quale costrutto si tratta? Qual è la funzione logico-sintattica dell’infinito celebrare (v. 6)? 6. Evidenzia nel testo le numerose figure di allitterazione, cercando di illustrarne di volta in volta la funzione espressiva. Vi sono altre figure retoriche che ricorrono più volte nel testo?
Confrontare i testi
7. Il motivo del vino che scaccia gli affanni, caratteristico della lirica oraziana, ricorre in numerosi altri testi del poeta. Traccia un confronto fra l’ode a Munazio Planco che hai appena letto e uno o più componimenti di Orazio a te noti in cui tale motivo emerga con speciale rilievo, evidenziando analogie e differenze.
Dialogo con i MODELLI Un frammento di Alceo Le prime due strofe dell’ode oraziana [ T11] sono ispirate a un testo di Alceo (fr. 338 LobelPage), giunto in cattive condizioni. Orazio rielabora originalmente i versi del poeta greco, evocando una nitida visione invernale della campagna nei dintorni di Roma. Nello stesso tempo dà rilievo simbolico al paesaggio, là dove in Alceo finivano invece per prevalere le singole sensazioni vissute nella loro fisica immediatezza: «per Orazio l’inverno e la neve sono non soltanto avvenimenti naturali ma anche fatti interni, stati d’animo» (Pasquali).
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Piove, e dal cielo grande tempesta scende e sono gelate le correnti dei fiumi... ... ... Scaccia il freddo ammucchiando gran fuoco e mescendo senza risparmio vino dolce, le tempie tutt’intorno cingendo di soffice lana.
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(trad. di R. Cantarella)
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T 11 Il monte Soratte Carmina I, 9 LATiNO ITALIANO
LETTURA METRICA
Nota metrica: sistema alcaico, composto di due endecasillabi alcaici seguiti da un enneasillabo e da un decasillabo alcaici.
La poesia inizia (vv. 1-8) con la descrizione di un raggelato paesaggio invernale, cui il poeta oppone una scena d’interno domestico allietata dal fuoco e dal vino: lo spunto è già in Alceo [ Dialogo con i modelli], ma Orazio lo rinnova rendendolo concreto e familiare con la visione del Soratte innevato e il richiamo al vino sabino. Seguono tre strofe (vv. 9-18) di carattere gnomico, che svolgono motivi caratteristicamente oraziani: la brevità della vita, l’esortazione a godere del presente (come in I, 11 [ T12]) prendendo atto con lucida, rassegnata consapevolezza che tutto «il resto» (v. 9) è in mano agli dèi, cioè alle forze ignote e possenti che governano quanto sfugge al controllo umano. Nell’ultima parte dell’ode ci spostiamo dalla campagna alla grande città (e dall’inverno alla primavera): in una Roma galante e notturna si svolge una graziosa scena di gusto realistico e alessandrino (la ragazza nascosta che ride e poi si lascia sfilare, fingendo ritrosia, un braccialetto o un anello, pegno d’amore per il prossimo appuntamento).
Vides ut alta stet nive candidum Soracte nec iam sustineant onus silvae laborantes geluque flumina constiterint acuto. 5 Dissolve frigus, ligna super foco large reponens atque benignius deprome quadrimum Sabina, o Thaliarche, merum diota.
Vedi come si erge candido di neve alta il Soratte, né più sostengono il peso le selve affaticate e per il gelo acuto i fiumi si sono fermati. Sciogli il freddo gettando legna sul fuoco senza risparmio, e più largamente mesci vino vecchio di quattro anni, o Taliarco, dall’anfora sabina. 5
2. Soracte: monte di modesta altezza che sorge a una quarantina di chilometri a nord di Roma. 8. Thaliarche: forse un giovane amico
del poeta; verosimilmente si tratta di un nome fittizio e simbolico, dato che in greco significa «re del convito» (nonché, al tempo stesso, «re della gioia»). @ Casa Editrice G.Principato
– merum: vino schietto, non miscelato (com’era costume nel mondo antico) con acqua. – diota: significa «a due orecchi », dunque un’anfora a due anse.
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
Permitte divis cetera, qui simul stravere ventos aequore fervido deproeliantis, nec cupressi nec veteres agitantur orni. 10
Quid sit futurum cras fuge quaerere, et quem Fors dierum cumque dabit, lucro 15 adpone, nec dulcis amores sperne puer neque tu choreas, donec virenti canities abest morosa. Nunc et Campus et areae lenesque sub noctem susurri 20 conposita repetantur hora,
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nunc et latentis proditor intumo gratus puellae risus ab angulo pignusque dereptum lacertis aut digito male pertinaci.
Lascia il resto agli dèi: appena hanno placato 10 i venti sul mare fervido furiosi, né i cipressi né i vecchi frassini più agitano le cime.
Del domani non darti pensiero, qualunque giorno ti darà la sorte 15 contalo tra i guadagni e i dolci amori non disprezzare, e le danze, già che sei giovane e la canizie scontrosa ti è lontana. Ora il Campo e le piazze e i lievi sussurri sul far della notte 20 devi cercare all’ora convenuta, ora il gradito riso che da angolo appartato tradisce la fanciulla nascosta e il pegno d’amore strappato al braccio o al dito che finge di resistere. (trad. di A. Roncoroni) 17. virenti canities: esempio di callida iunctura oraziana, dove all’antitesi concettuale (giovinezza/vecchiaia) si ag-
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giunge un vivido contrasto coloristico: virenti (da vireo) significa propriamente «a te che verdeggi»; canities deriva da ca-
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nus («bianco», «canuto»). 18. Campus: il Campo Marzio.
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T 12 Carpe diem Carmina I, 11 LATINO
Nota metrica: asclepiadei maggiori.
Rivolgendosi a una ragazza, ansiosa di conoscere il suo futuro, Orazio detta alcune semplici norme di vita in un’ideale sintesi di saggezza: alla precarietà e fugacità della vita, all’impossibilità di sapere quello che porterà il domani (gli dèi hanno posto limiti invalicabili alla conoscenza umana: scire nefas), corrisponde l’esortazione ad accettare il proprio destino (Ut melius, quicquid erit, pati) e a godere del tempo presente, a vivere come se ogni giorno della nostra esistenza fosse l’ultimo (carpe diem).
Tu ne quaesieris (scire nefas) quem mihi, quem tibi finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios temptaris numeros. Ut melius quicquid erit pati! Seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam, 5 quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
[1-3] Tu non chiedere – non è lecito saperlo – quale sorte a me, quale a te gli dèi abbiano assegnato, Leuconoe, e non tentare i calcoli babilonesi. Tu: il pronome personale, di norma sottinteso, è qui posto in forte rilievo, forse per esortare la fanciulla a non seguire l’esempio di tanti altri che ansiosamente (e vanamente, s’intende) si adoperano per conoscere il futuro. – ne quaesieris: costruzione dell’imperativo negativo con l’avverbio ne + congiuntivo perfetto; analogamente nella coordinata nec... temptaris (vv. 2-3). Il verbo quaerere («chiedere», «indagare») era d’uso corrente per la consultazione degli indovini. – scire nefas: proposizione incidentale, sott. est. L’inciso rafforza l’ammonimento già espresso mediante l’imperativo negativo, rendendolo perentorio e indiscutibile. – quem... dederint: interrogativa indiretta nel modo congiuntivo perfetto (da do, dedi, datum, dare), intro-
dotta dall’aggettivo interrogativo quem, accusativo di quis («quale»), raddoppiato in anafora, da unire a finem (sott. vitae); il soggetto della proposizione è il nominativo plurale di, forma dell’uso comune alternativa a dei e dii. – Leuconoe: la maggior parte degli interpreti ritiene che si tratti di un nome fittizio, probabilmente simbolico (“nome parlante”). Il significato generalmente accreditato è «dalla candida mente» (dal greco leukós, «bianco» e noûs, «mente») a indicare una ragazza inesperta, di animo semplice e ingenuo, che si preoccupa del domani e crede nell’astrologia e negli oroscopi. – nec... temptaris = temptaveris. Il verbo temptare («tentare», «provare», «saggiare»; perciò anche «interrogare») esprime con finezza uno stato d’animo inquieto e ansioso. – Babylonios... numeros: i «calcoli» (numeri) degli astrologi o mathematici babilonesi, provenienti cioè dalla Mesopotamia (o che si pretendevano
tali). Fin dalla più remota antichità i Babilonesi (o Chaldaei, secondo la denominazione più corrente in Roma) godevano fama di maestri nell’osservazione dei fenomeni celesti e nell’astromantica. In Roma, dopo una fase iniziale di diffidenza e di ostilità culminata con l’espulsione degli astrologi nel 139, all’epoca di Orazio erano ormai numerosissimi e riscuotevano notevole successo, trovando credito non solo in ambito popolare ma anche presso le classi sociali più elevate; non occorre aggiungere che molti di questi sedicenti indovini “caldei” erano in realtà dei ciarlatani. [3-7] Quanto è meglio accettare ciò che sarà! Sia che Giove ci abbia concesso molti inverni, o per ultimo questo, che adesso affatica il mare Tirreno sulle opposte scogliere, sii saggia, filtra il vino e tronca, poiché il tempo [della vita] è breve, le [troppo] lunghe speranze.
Nomi e parole degli antichi Nefas/ Fas Il sostantivo neutro
indeclinabile nefas appartiene al linguaggio religioso-sacrale romano e indica ciò che «non è lecito» in quanto contravviene a un divieto imposto dalla legge divina, e che pertanto, secondo la visione degli antichi, va contro anche alla legge di natura e al senso morale. È composto di ne (prefisso negativo) + fas, che indica
invece ciò che «è lecito» secondo la stessa legge; si ricordi il verso di Catullo ille, si fas est, superare divos (51, v. 2). L’etimologia rinvia al verbo for, fatus sum, fari «dire», «pronunziare», «esprimere»; fas significa dunque «espressione», e propriamente «parola divina», «comando divino». Di qui la compilazione di un elenco, dapprima affidato ai soli pontefici,
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poi reso pubblico, con la rigorosa distinzione fra giorni fasti e per contro nefasti, durante i quali era interdetta l’amministrazione della giustizia o ius civile. In seguito la lista dei dies fasti (o senz’altro dei fasti) si ampliò a poco a poco fino a comprendere tutti i giorni dell’anno, con l’indicazione delle feste e degli avvenimenti notevoli, diventando insomma il calendario romano. 225
L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
PERCORSO ANTOLOGICO
Tyrrhenum, sapias, vina liques et spatio brevi spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum credula postero. Ut melius: sott. est; il soggetto è l’infinito pati. Ut è avverbio esclamativo: lett. «come è meglio». – quidquid erit: proposizione relativa (lett. «qualsiasi cosa sarà»), oggetto dell’infinito pati (da patior, deponente), che non indica qui rassegnazione passiva («subire», «sopportare»), ma la forza di una consapevole accettazione della propria sorte, secondo l’insegnamento di Epicuro. – Seu pluris... Tyrrhenum: costruisci Seu Iuppiter tribuit pluris (= plures) hiemes seu (tribuit) ultimam (hiemem) quae nunc debilitat mare Tyrrhenum oppositis pumicibus. – tribuit: indicativo perfetto (non presente) da tribuo, ĕre («attribuire», «assegnare»); secondo dottrine e credenze diffuse nel mondo antico, si riteneva che il destino di ogni uomo fosse stabilito una volta per tutte fin dalla nascita. – hiemes: sineddoche per annos, motivata dall’ambientazione invernale della lirica, come chiarisce il nunc del verso successivo. – ultimam: «come ultimo», «per ultimo»; predicativo da unire a hiemem sottinteso. – quae nunc... Tyrrhenum: lett. «che ora fiacca il mare Tirreno per mezzo delle opposte rocce». L’ablativo oppositis... pumicibus ha valore strumentale, ma nella traduzione è preferibile «contro le opposte rocce», ovvero le scogliere «che si oppongono» all’impeto delle onde, contro le quali cioè si infrangono incessantemente le onde del mare Tirreno; di qui l’impiego del verbo debilitare, come
se l’inverno «fiaccasse», «affaticasse» il mare, agitato dalle burrasche stagionali. – sapias: congiuntivo esortativo, come i successivi liques e reseces; da sapio, ĕre, «esser saggio». – vina liques: filtrare il vino con un colino (colum) o con un sacchetto (sacculus vinarius) era un’operazione necessaria, date le tecniche di vinificazione antiche, per togliere sedimenti e impurità dal vino e renderlo più limpido; liques è congiuntivo esortativo (da liquo, aˉre), vina è plurale poetico per vinum. – spatio brevi: probabilmente ablativo assoluto nominale di valore causale («poiché lo spazio [= il tempo della vita] è breve»); oppure, secondo altri commentatori, ablativo di causa o di separazione o di luogo; non manca chi lo interpreta come dativo di vantaggio. – reseces: terzo congiuntivo esortativo; da reseco, aˉre, propriamente «recidere», «tagliare». È probabile che la metafora sia debitrice al linguaggio dell’agricoltura («potare», «troncare», «accorciare» i rami troppo lunghi), come carpĕre («cogliere i frutti») al v. 8. Da notare la serie allitterante in s (sapias... liques... spatio... reseces) e l’antitesi brevi... longam. [7-8] Mentre parliamo, il tempo invidioso sarà [già] fuggito: cogli il momento presente, fidando il meno possibile nel domani. Dum loquimur, fugerit: la congiunzione Dum introduce una proposizione temporale all’indicativo presente (di loquor, loqui, deponente) in dipendenza da
fugerit, futuro anteriore. La fuga rapidissima e inesorabile del tempo viene mirabilmente espressa, con fine sensibilità psicologica, dalla scelta dei due diversi tempi verbali: «Questa fuga così istantanea che il poeta non appena l’ha veduta nel futuro, già era nel passato» (nota di G. Pascoli). – invida/ aetas: aetas, soggetto di fugerit, indica il tempo nella sua continuità e nel suo fluire ininterrotto, immagine enfatizzata dal forte enjambement; è detta invida, con una sorta di personificazione, quasi una forza ostile che ci sottrae con vertiginosa rapidità i momenti di piacere, come se il tempo fosse «invidioso» della nostra felicità. – carpe diem: lett. «cogli», «afferra il giorno»; dies nel significato pregnante dell’«oggi», del «presente» (spesso tradotto con «l’attimo»). Come si è accennato nella nota al v. 7 (reseces), il verbo evoca il gesto vivace di cogliere un frutto o un fiore. – credula: lo stesso che in italiano; anche «[troppo] fiduciosa». L’aggettivo, riferito naturalmente a Leuconoe, in funzione predicativa del soggetto sottinteso, ha una lieve sfumatura di affettuosa ironia. – postero: neutro sostantivato dell’aggettivo posterus («seguente», «che viene dopo») in caso dativo, retto da credula. Senza alcun mutamento di significato, si può intendere propriamente come aggettivo, con sottinteso diei («al giorno dopo», «al domani»); in ogni caso indica «il futuro» e si contrappone a diem, «il presente».
Nomi e parole degli antichi Aetas Etimologicamente il sostantivo femminile aetas, nella lingua arcaica aevitas, deriva da aevum, sostantivo neutro il cui primo significato è «tempo senza limiti», «eternità» (cfr. il greco aión). Sia aevum sia il derivato aetas hanno il significato di «tempo» nelle più varie accezioni, che non mancano in diversi casi di sovrapporsi. Le principali:
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- il «tempo della vita», l’intera naturale durata di una vita umana; - il tempo di una «generazione»; - l’«età», gli «anni» di un uomo, ossia il momento della sua vita in cui presentemente si trova; - «età» nel senso di «periodo», «epoca» (aetas aurea è l’«età dell’oro»; ma anche la «generazione», la «stirpe aurea»);
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- «tempo» in generale, tempo cronologico, considerato nel suo scorrere. Nell’ode oraziana è quest’ultimo il significato di invida/ aetas (v. 8), non senza l’inevitabile interferenza di «tempo [breve] della vita umana».
PERCORSO ANTOLOGICO
LETTURA e INTERPRETAZIONE Carpe diem: da una sentenza di Epicuro
Il concetto era epicureo, e Orazio poteva trovarlo espresso in una massima del Gnomologium Vaticanum (XIV), una raccolta di 81 sentenze di carattere etico riscoperta poco più di un secolo fa: «Si nasce una volta, due volte non è concesso, ed è necessario non essere più in eterno; tu, pur non essendo padrone del tuo domani, procrastini la gioia, ma la vita trascorre in questo indugio e ciascuno di noi muore senza aver mai goduto della pace».
Un linguaggio sobrio ed essenziale
Orazio condensa le sue ammonizioni in un linguaggio sobrio ed essenziale, che tocca i moduli della conversazione e del parlato. Ma le parole semplici,
Analizzare il testo
1. Nel trasmettere a Leuconoe insegnamenti di saggezza, il poeta usa ora le forme dell’imperativo, ora del congiuntivo esortativo. Rintraccia nel testo e analizza dal punto di vista grammaticale tutte le forme in questione; cerca anche di spiegare le differenze che comporta la scelta dell’uno o dell’altro modo verbale sul piano espressivo. Illustra infine come si esprime in latino l’imperativo negativo, e se abbia una sola o più costruzioni. 2. Nella nota a spatio brevi (v. 6) sono state elencate varie possibilità di interpretazione a livello grammaticale del sintagma. Prendile in esame e fornisci una traduzione adeguata di ognuna; osserva poi se, e in quali casi, emergono diverse sfumature di significato.
Confrontare i testi
3. Si è visto che il poeta ha evocato nella lirica un paesaggio invernale. Da quali elementi del testo
quasi spoglie, vengono attratte nell’onda dolce e malinconica dei versi, irradiando una misteriosa intensità di significato.
Immagini simboliche
I pensieri sono fissati in immagini di forte carica simbolica tratte dall’esperienza comune di ogni giorno: le onde che si infrangono sugli scogli durante le tempeste invernali rappresentano la condizione della vita umana, sempre in balìa di eventi imprevedibili; il vino, che Leuconoe viene esortata a filtrare (accenno al consueto motivo simposiaco della poesia oraziana), è un segno di vitalità e di pienezza esistenziale. Come osserva il Traina, anche l’espressione conclusiva (carpe diem), divenuta quasi proverbiale, conserva in sé la concretezza di un semplice e gioioso gesto agreste, «come sfogliare una margherita o piluccare un grappolo d’uva».
lo si evince? Quale significato assume? Ricordi almeno un’altra ode di Orazio, quasi altrettanto famosa, che presenta un’analoga ambientazione stagionale? 4. Leggi i versi qui di seguito riportati, tratti da un’ode epicurea in metro alcaico dello stesso Orazio (III, 29, 29-34) dedicata a Mecenate: Prudens futuri temporis exitum / caliginosa nocte premit deus, / ridetque si mortalis ultra / fas trepidat. Quod adest memento / componere aequus; cetera fluminis / ritu feruntur [...] («Provvido un dio nasconde in una densa tenebra gli esiti del tempo futuro, e ride se i mortali si affannano oltre il lecito. Ricordati di occuparti [solo] di ciò che è presente; tutto il resto è trascinato via come da un fiume»). Individua nel brano citato i concetti e le espressioni che si richiamano e corrispondono nei due testi (anche se con diverse parole e/o immagini), eventualmente compilando un elenco su due colonne.
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
T 13 Invito a pranzo per Mecenate Carmina I, 20 ITALIANO
Il motivo dell’invito a cena era diffuso nella letteratura ellenistica e neoterica, come dimostrano il carme 13 di Catullo e un epigramma di Filodemo di Gadara (filosofo epicureo e poeta ancora attivo durante la giovinezza dell'autore); Orazio lo utilizza per sviluppare con garbo e delicatezza alcuni dei suoi temi più cari: il convito rallegrato dal vino; un ideale di vita semplice confortato dall’amicizia. Anche il motivo encomiastico, che occupa l’intera seconda strofa e parte della prima, è risolto con discrezione entro un clima di piacevole e scherzosa intimità. L’episodio rievocato permette di datare l’ode oltre il 30 a.C., anno nel quale Mecenate, ricomparso in pubblico a uno spettacolo teatrale per la prima volta dopo una lunga malattia, fu accolto con un caloroso applauso.
Il Sabino berrai di poco pregio in bicchieri modesti; l’ho serbato e chiuso io stesso in un’anfora greca quando in teatro, o caro Mecenate cavaliere, t’accolse quell’applauso tanto forte che l’Eco dalla riva del paterno fiume e dal monte
PERCORSO ANTOLOGICO
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Vaticano lo ripeté scherzosa. 10 Vino di Cales, Cècubo tu bevi: io non ho vigne a Formia né a Falerno per le mie tazze. (trad. di E. Cetrangolo)
5-6. paterno / fiume: il Tevere nasce in Etruria, regione d’origine di Mecenate. 9-11. Vino di Cales, Cècubo... Falerno: tutti vini pregiati: il Cecubo proveniva dal Lazio meridionale; Cales corrisponde all’odierna Calvi, in Campania; campano è anche il Falerno, più volte ricordato da Orazio.
Natura morta da Pompei. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
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PERCORSO ANTOLOGICO
T 14 Per la morte della regina Cleopatra Carmina I, 37 LATINO
Nota metrica: sistema alcaico, composto da due endecasillabi alcaici seguiti da un enneasillabo e da un decasillabo alcaici.
L’ode testimonia del clima di esultanza e del senso di sollievo che si diffusero in Roma alla notizia del suicidio di Cleopatra (agosto del 30 a.C.), poco dopo la resa di Alessandria e la morte di Antonio, a quasi un anno di distanza dalla battaglia di Azio (2 settembre del 31). Lo spunto iniziale è già in un carme di Alceo (fr. 332 Lobel-Page), che esprime con irruenza passionale la propria gioia alla notizia della morte di Mírsilo, tiranno di Mitilene: «Ora bevete tutti, ubriacatevi, / magari a forza: è morto Mirsilo!» (trad. di G. Perrotta). Ma il tono impetuoso subito si smorza nel ricordo solenne delle antiche cerimonie sacre di Roma (vv. 2-4) e l’interesse si sposta gradatamente sulla figura drammatica di Cleopatra, caratterizzata prima dal delirio dei suoi rovinosi piani politici (vv. 6-8) e dalla depravazione dei costumi (vv. 9-14), poi dal senso di paura e di fragilità che l’assale nella sconfitta e nella fuga (le similitudini al v. 18), infine dal coraggio che dimostra nell’affrontare la morte da regina piuttosto che cadere prigioniera del vincitore (vv. 21-32).
Nunc est bibendum, nunc pede libero pulsanda tellus, nunc Saliaribus ornare pulvinar deorum tempus erat dapibus, sodales. 5 Antehac nefas depromere Caecubum cellis avitis, dum Capitolio regina dementis ruinas funus et imperio parabat
[1-4] Ora si deve bere, ora con piede libero si deve danzare, ora è tempo di ornare il letto degli dèi con vivande degne dei Salii, o amici. Nunc ... nunc ... nunc: l’ode si apre con un impetuoso, liberatorio scatto di esultanza; la triplice anafora scandisce l’intensità della gioia evocando mimeticamente il ritmo della danza cui il poe ta invita ad abbandonarsi senza freno. Nunc si contrappone con forza ad Antehac (v. 5). – est bibendum: costruzione perifrastica passiva impersonale con il gerundio di bibo, ĕre («bere»). – pede ... tellus: lett. «si deve battere la terra con piede libero», ossia lanciarsi in una danza sfrenata. La costruzione perifrastica passiva (pulsanda [est]), come la precedente (bibendum est), non esprime una semplice esortazione, ma equivale a un imperativo ineludibile («si deve»). Il ritmo frenetico della danza viene sottolineato anche dall’allitterazione in p (pede ... pulsanda). – nunc ... tempus erat: l’imperfetto erat, unito a nunc, ha suscitato non poche perplessità; ma certo si tratta di un modo felicemente ardito di esprimere il desiderio di veder subi-
to attuato ciò che si attendeva con impazienza: «ora – ed era tempo! – si deve ornare». – Saliaribus... dapibus: i banchetti dei Salii, uno dei più antichi collegi sacerdotali romani, erano proverbiali per fasto e abbondanza. Dapibus, dal femminile daps, dapis, è vocabolo di ascendenza rituale e sacrale che designa il «cibo», la «vivanda» imbandita in un banchetto sacrificale, comunque festivo, e per metonimia il banchetto o convito stesso. – pulvinar: lett. «cuscino»; per sineddoche vale lectus. Orazio allude alla solenne cerimonia religiosa del lectisternium, durante la quale alle statue degli dèi, adagiate su letti tricliniari, veniva offerto un banchetto di supplica o di ringraziamento. [5-12] Prima d’ora non era lecito trar fuori il Cècubo dalle cantine degli avi, fintanto che una regina preparava folli rovine al Campidoglio e sterminio all’impero col [suo] branco infetto di uomini deturpati dal morbo, sfrenata [tanto da] sperare ogni cosa ed inebriata dalla dolcezza della fortuna. Antehac: si contrappone a Nunc (v. 1); l’antitesi è rafforzata dalla collocazione @ Casa Editrice G.Principato
simmetrica dei due avverbi di tempo in apertura di strofe consecutive. – nefas: sott. erat, da cui dipende l’infinitiva soggettiva depromere Caecubum. Il vocabolo esprime «ciò che non è lecito» secondo la legge divina, pertanto l’espressione vale «era sacrilegio», in quanto violazione di un sacro divieto. – Caecubum: vino pregiato del Lazio meridionale. La menzione del Cecubo vale a contrapporre il vino italico, da versare durante un rituale rendimento di grazie agli dèi, all’egizio, inebriante vino Mareotico (v. 14), che scatena il furor di Cleopatra (e dell’innominato Antonio [ Leggere un testo critico , p. 234]). – cellis avitis: ablativo di separazione o allontanamento. Al sostantivo femminile cellis (cella, ae; genericamente «deposito») occorre sottintendere vinariis. – regina: Cleopatra, che non viene mai nominata nel testo. Si noti che non compare qui alcun riferimento, neppure indiretto, ad Antonio: la guerra aziaca viene presentata, secondo l’impostazione ufficiale della propaganda augustea, come un conflitto fra la res publica romana e il dispotismo orientale, non già come una guerra civi-
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
contaminato cum grege turpium morbo virorum, quidlibet inpotens sperare fortunaque dulci ebria. Sed minuit furorem 10
vix una sospes navis ab ignibus, mentemque lymphatam Mareotico 15 redegit in veros timores Caesar ab Italia volantem
PERCORSO ANTOLOGICO
le. – dementis: accusativo plurale concordato per ipallage con ruinas invece che con regina, alla quale logicamente si riferisce («una folle regina»); la figura retorica, conservata nella traduzione («folli rovine»), ha una potenza espressiva che ben si addice alla ricerca stilistica oraziana in quest’ode. – Capitolio: dativo di svantaggio da collegare a parabat, in vistoso iperbato. Il colle del Campidoglio, sede dell’antichissimo e venerato tempio di Giove Ottimo Massimo, è qui assunto dal poeta a simbolo per eccellenza della civiltà romana fin dalle più remote origini, minacciata dalla distruttiva brama di dominio della regina egiziana. E si osservi infatti l’accostamento antitetico, enfatizzato dall’enjambement (vv. 6-7) Capitolio/regina, nome (come il corrispondente maschile rex) notoriamente inviso ai Romani. – funus et = et funus, anastrofe; il sostantivo neutro in caso accusativo, oggetto di parabat (come ruinas, v. 7) ha come primo significato «funerale», «sepoltura»; per estensione, «morte»; pertanto, nel contesto, «rovina», «catastrofe». – imperio: dativo di svantaggio (come Capitolio, v. 6). – contaminato ... virorum: costruisci cum grege contaminato virorum turpium morbo. Sprezzante e sarcastica l’immagine, sottolineata dalle scelte lessicali: gli eunuchi della regina sono detti ironicamente «uomini» (virorum) dopo essere stati definiti spregiativamente «branco», «mandria» (grege). – contaminato cum: anastrofe. Il costrutto di cum + ablativo (contaminato ... grege), da collegare a regina ... parabat, esprime il complemento di compagnia. – morbo: dal
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punto di vista semantico, il termine può designare la perversione sessuale o, in senso più specifico, la condizione degli eunuchi, evirati che spesso acquisivano notevole influenza e venivano innalzati a posizioni di potere secondo un diffuso costume orientale, ripugnante per i Romani. – quidlibet: lett. «qualsiasi cosa», pronome indefinito neutro in accusativo, oggetto di sperare. – fortunaque dulci ebria: lett. «ebbra per la dolce fortuna»; fortuna ... dulci è ablativo di causa retto dal nominativo ebria, aggettivo (riferito come il precedente inpotens a regina) usato qui in senso metaforico, ma che già allude all’ebbrezza provocata dal vino (v. 14). Cleopatra è detta ebria sia perché incapace di cogliere la realtà effettuale e posseduta da una sorta di invasamento; sia perché dedita al vino, nello scenario degli orgiastici banchetti di corte che fornivano abbondante materia alle accuse di corruzione morale mosse dalla propaganda augustea contro la regina e contro Antonio. [12-21] Ma frenò la sua follia una sola nave a stento scampata alle fiamme, e la sua mente sconvolta dal vino Mareotico ricondusse a reali timori Cesare, incalzando a forza di remi lei che fuggiva a volo dall’Italia, come lo sparviero [insegue] le tenere colombe o il veloce cacciatore la lepre sui campi della nevosa Emonia, per dare alle catene quel fatale prodigio. Sed: l’avversativa in forte rilievo introduce la sezione centrale dell’ode, nella quale vengono in primo piano le immagini della battaglia di Azio e la figura salvifica di Ottaviano. – minuit: perfet@ Casa Editrice G.Principato
to indicativo di minuo, ĕre («diminuire», «reprimere», ma anche «distruggere», «spegnere»). Il soggetto è una ... navis (v. 13) – furorem: la folle frenesia di Cleo patra, anticipata da termini quali dementis (v. 7) ed ebria (nello stesso v. 12); Orazio vi insiste ancora, poco più oltre, con lymphatam (v. 14). – sospes ... ab ignibus: l’aggettivo sospes, ı̆tis («salvo», «incolume») è costruito con l’ablativo di separazione o allontanamento retto da ab. Si noti nel v. 13 il doppio iperbato incrociato. – mentem ... lymphatam: oggetto di redegit, il cui soggetto è Caesar. L’aggettivo lymphatus (o lymphaticus) deriva dal greco nýmphe («ninfa») e propriamente designa, secondo un’antica credenza, chi è impazzito per aver veduto una ninfa. – Mareotico: «per il vino di Mareia»; ablativo di causa dell’aggettivo neutro Mareoticum (sott. vinum), un vino bianco e dolce che si produceva sulle rive del lago o palude Mareotide, ove sorgeva Mareia, città non lontana da Alessandria, celebre per i suoi vini. – in veros timores: Ottaviano «riconduce», «riporta» (redegit, da redı̆go, ĕre, composto di ago) la mente di Cleopatra, in preda al delirio della follia, dalle infondate speranze alla realtà, e perciò alla paura. – Caesar: viene infine espresso il soggetto della proposizione coordinata (vv. 14-15), in realtà soggetto logico anche della principale (Sed minuit ... ab ignibus, vv. 12-13), lungamente rinviato per acuire l’attesa, con l’effetto di conferire al nome il massimo rilievo. Si noti che Ottaviano è designato con il cognomen Caesar, assunto per adozione da Giulio Cesare, il che non manca di sottolinear
PERCORSO ANTOLOGICO
remis adurgens accipiter velut mollis columbas aut leporem citus venator in campis nivalis 20 Haemoniae, daret ut catenis fatale monstrum. Quae generosius perire quaerens nec muliebriter expavit ensem nec latentis classe cita reparavit oras;
ne il prestigio e la potenza guerriera. – ab Italia volantem: sott. eam (= reginam); il participio presente in accusativo è oggetto di adurgens. – remis: ablativo strumentale («con i remi»), retto da adurgens; verosimilmente sineddoche per navibus, sebbene non sia affatto da escludere la possibilità di una traduzione più vicina al significato proprio («a forza di remi»), che metta in rilievo la tempestività e l’efficacia dell’accanito inseguimento espresso dal verbo. – adurgens: participio presente in nominativo (da adurgeo, ˉere, «incalzare», «dare la caccia») riferito a Caesar, in funzione di participio congiunto dipendente da redegit (v. 15). – accipiter ... columbas: costruisci velut accipiter (adurget) mollis (= molles) columbas. – aut leporem ... venator: costruisci aut (velut) citus venator (adurget) leporem. Ellissi del verbo in entrambe le similitudini, dove inoltre i soggetti (accipiter; venator) e i complementi oggetti (columbas; leporem) si dispongono con studiata eleganza in un chiasmo; in modo altrettanto raffinato sono dosati poi gli attributi, l’uno (mollis) a qualificare il complemento oggetto della prima similitudine, l’altro (citus), all’estremo opposto del verso 18, il soggetto della seconda similitudine. – nivalis: l’aggettivo in caso genitivo concorda con Haemoniae, ma potrebbe riferirsi per ipallage a campis («nei campi innevati dell’Emonia»). – Haemoniae: antico e poetico nome della Tessaglia; da Emone, padre di Tessalo, eroe eponimo della regione. – daret ut = ut daret, anastrofe (come al v. 17 accipiter velut). La congiunzione ut introduce una proposizio-
ne finale in dipendenza da adurgens, il cui soggetto è sempre Caesar. – catenis: dativo plurale retto da daret; «per dare alle catene», ossia «per mettere in catene». Il disegno di Ottaviano era di catturare viva la regina per condurla incatenata dietro al suo carro nel corteo del trionfo. – fatale monstrum: oggetto di daret ... catenis, ovviamente riferito a Cleopatra. L’espressione, rilevata dall’enjambement, nella sua ambiguità prepara il passaggio all’ultima parte dell’ode, in cui la figura dell’egiziana viene investita di una nuova luce di tragica dignità. Infatti monstrum significa «mostro», «prodigio» in quanto fenomeno contro natura, che suscita orrore, ma anche stupore per la sua eccezionalità; soprattutto, è un «segno» degli dèi, che rappresenta, secondo etimologia, un «ammonimento» (da moneo). D’altro canto fatale designa ciò che avviene per decreto del fato, e può assumere quindi il significato di «letale», «funesto» (fatum, nel suo statuto di vox media, è anche uno dei numerosi eufemismi per «morte», «rovina»). Il sintagma dunque, nel contesto, vale «essere prodigioso voluto dal fato». [21-24] Ma essa, volendo morire più nobilmente, non ebbe paura, da donna, della spada, e neppure cercò un rifugio con la veloce flotta su lidi remoti; quae = at illa. Il pronome relativo ha valore avversativo e si riferisce al soggetto logico dominante, la regina, che viene da questo momento in poi rappresentata nella sua dignità regale. – generosius: comparativo dell’avverbio generose, dall’aggettivo generosus («nobile», @ Casa Editrice G.Principato
«magnanimo»), a sua volta derivato dal sostantivo neutro genus, ĕris («stirpe», «schiatta»; specialmente usato per indicare una «nobile origine»). Cleopatra sceglie di morire «più nobilmente», «in modo più onorevole» rispetto alla sorte che le avrebbe riservato Ottaviano. – quaerens: participio congiunto, regge l’infinito perire (costrutto poetico di quaero). – muliebriter: lett. «come una donna», ossia «con debolezza femminile»; dopo generosius (v. 21), è il secondo avverbio cui è affidato (qui mediante la forma negativa della proposizione) l’aperto riconoscimento della dignità e del virile coraggio della regina. – nec ... expavit ensem: la prima delle due proposizioni coordinate introdotte da nec in anafora; ensem, oggetto di expavit, perfetto indicativo di expavesco, ĕre («paventare», «aver paura di»), indica «la spada» di Ottaviano, metonimia che storicamente si riferisce all’avanzata delle sue legioni verso l’Egitto. – nec latentis ... oras: latentis = latentes, accusativo plurale del participio-aggettivo latens («nascosto» da lateo, eˉ re) concordato con oras, oggetto del perfetto indicativo reparavit. Si allude probabilmente a un tentativo degli sconfitti di trovar rifugio sulle rive lontane, inaccessibili (latentis ... oras) del Mar Rosso, trasportandovi la flotta dalle acque del Mediterraneo attraverso l’istmo di Suez, fallito per l’opposizione degli abitanti dell’Arabia Petraea (Plutarco, Vita di Antonio 69). – classe cita: ablativo strumentale, in allitterazione.
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
25 ausa et iacentem visere regiam voltu sereno, fortis et asperas tractare serpentes, ut atrum corpore conbiberet venenum,
deliberata morte ferocior: saevis Liburnis scilicet invidens privata deduci superbo non humilis mulier triumpho.
PERCORSO ANTOLOGICO
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[25-28] anzi, ebbe anche il coraggio di guardare con volto sereno la sua reggia abbattuta, e di maneggiare da forte i serpenti irti di squame, per berne con [tutto] il corpo il nero veleno, ausa: sott. est; lett. «osò», perfetto indicativo di audeo, ausus sum, ˉere, semideponente; oppure participio perfetto con valore di presente («osando»). – et ... visere: et = etiam («anche», «persino»); è possibile che et sia invece correlativo dell’altro et al verso seguente (fortis et ... tractare, v. 26). L’infinito presente visĕre (viso, intensivo di video) è retto da ausa. – iacentem ... regiam: oggetto di visere. Il participio presente in accusativo (da iaceo, ˉere) significa che Cleopatra ebbe la forza di contemplare impassibile la sua «reggia», per metonimia la sua corte, umiliata e sconfitta, «prostrata»; ossia l’annientamento del suo potere regale. Il poeta rende qui omaggio alla regina attribuendole una stoica fermezza, qualità notoriamente ammirata dai Romani. – fortis et ... serpentes: la struttura sintattica qui è ambigua; nella traduzione proposta si interpreta come una proposizione coordinata mediante la congiunzione et posposta in anastrofe a fortis predicativo, per cui tractare dipende da ausa (est). Discussa anche l’interpretazione di asperas, aggettivo in caso accusativo riferito a serpentes (femminile), oggetto di tractare: può valere «ruvidi», «squamosi» al tatto, come sembrerebbero confermare il verbo e l’insistita allitterazione in s; oppure «terribili», «feroci»; o ancora, forse meglio, «inferociti», aizzati dalla regina stessa che, secondo una delle varie versioni della sua fine, riferita da Plutarco, irritò l’aspide nascosto in un
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orcio pungendolo con un fuso d’oro. – ut ... conbiberet: proposizione finale; conbiberet, più intenso ed espressivo del verbo semplice (cum + bibo, ĕre) vale qui «assorbire». – corpore: ablativo strumentale. L’allitterazione in c lega i due termini contigui dando impressionante rilievo al deciso gesto di morte della regina, che non indietreggia e non trema di fronte all’orrore. – atrum: «nero», «fosco» è detto il veleno degli aspidi per gli effetti che provoca (annerimento e gonfiore della pelle), ma soprattutto perché il nero è il colore della morte. Per traslato, in ogni caso, atrum è ampiamente attestato nel significato di «atroce», «terribile», «funesto». [29-32] più fiera dopo aver deciso la morte, vietando – s’intende – alle spietate Liburne di condurla in qualità di privata, lei donna regale, nel superbo trionfo. deliberata morte: ablativo assoluto con valore causale-temporale, oppure ablativo di causa retto dal comparativo ferocior («più fiera per la morte [da lei] decisa»). – saevis ... triumpho: costruisci scilicet invidens saevis Liburnis deduci superbo triumpho, privata, non humilis mulier. La costruzione sintattica è discussa: in quella da noi accolta saevis Liburnis è dativo retto da invidens, mentre superbo triumpho è ablativo strumentale retto da deduci. Secondo altri saevis Liburnis sarebbe ablativo strumentale retto da deduci e superbo triumpho dativo di scopo: «rifiutando di essere condotta sulle spietate Liburne... per il superbo trionfo». – saevis Liburnis: le Liburnae, così chiamate dai Liburni, una popolazione marinara dell’Illiria, erano navi velocissi-
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me e leggere particolarmente adatte agli spazi ristretti per la loro agilità di manovra, usate da Ottaviano; al contrario le navi di Antonio erano più grandi, lente e pesanti, fattore non secondario nell’esito della battaglia aziaca. Mediante l’aggettivo saevae («spietate», «crudeli»), alle navi Liburne personificate viene attribuita l’implacabilità del vincitore, ovviamente deciso a infliggere un’offesa e una degradazione intollerabili per la dignità regale di Cleopatra. – scilicet: avverbio (= scire licet, lett. «è lecito sapere»); «evidentemente», «naturalmente». – invidens: participio presente di invideo, ˉere («rifiutare», «togliere la possibilità»). – privata: «da donna privata», «come una donna qualunque», non più regina; predicativo del soggetto connesso a deduci. In latino privatus (da privo, aˉre), aggettivo e sostantivo, si contrappone a publicus; il «privato» etimologicamente designa colui che è «privo» di cariche. – deduci: infinito presente passivo di deduco, ĕre, lett. «essere condotta», retto da invidens. – non humilis mulier: litote; lett. «donna di non umile condizione». Nelle tre ultime strofe (dal v. 21, quae generosius) si registra una graduale espansione dei cola sintattici, fino al più ampio (vv. 3032) che «chiude con energica grandiosità tutta l’ode» (A. La Penna). E si noti, nei due versi conclusivi, la ricercata e complessa disposizione dei vocaboli: non humilis si colloca in antitesi con privata (v. 31), simmetricamente entrambi in principio di verso, mentre superbo corrisponde a triumpho in fin di verso; nel v. 31 privata forma un’ulteriore antitesi con superbo ai due estremi del verso, come non humilis nel v. 32 con triumpho.
PERCORSO ANTOLOGICO
LETTURA e INTERPRETAZIONE Nunc est bibendum: la “risposta” all’Epodo 9
Orazio riprende l’esordio irruente di Alceo, citato nell’introduzione, secondo un modulo caratteristico della sua tecnica compositiva (il “motto” iniziale), ma al tempo stesso si richiama a un proprio precedente componimento, “rispondendo” finalmente, dopo un anno di ansiosa attesa, alla domanda posta nei versi d’apertura dell’Epodo 9 [ T2 ONLINE] a Mecenate per la vittoria di Azio: «Quando sarà che il Cecubo riposto per i conviti festivi, lieto per la vittoria di Cesare io beva insieme a te (se a Giove sarà grato) nella tua alta casa, o Mecenate beato, mentre la lira farà risuonare il suo canto misto a quello dei flauti, questa sul ritmo dorico, quelli sul ritmo barbarico [= frigio o lidio]?»
La figura di Ottaviano
Il riconoscimento della grandezza dell’avversario non era inconsueto nella tradizione epica e storiografica latina: d’altra parte, rendere omaggio al valore dei nemici vinti era anche un modo di esaltare la potenza dei vincitori. I furori della regina sono domati dalla risolutezza di Ottaviano, disegnato nelle strofe centrali dell’ode (vv. 15-20) come su un bassorilievo celebrativo nell’atto di inseguire la sua preda. Alla figura drammatica e mossa di Cleopatra, al pathos tragico della sua morte, fanno riscontro la solidità olimpica e la forza interiore di Ottaviano: i moduli sono quelli della propaganda contemporanea, che aveva fatto della guerra combattuta con Antonio e Cleopatra uno scontro fra l’Oriente irrazionale e mostruoso e l’Occidente romano fondato sull’ordine della legge e della ragione.
sui monti, il più veloce degli uccelli, si avventa speditamente dietro una trepida colomba» (trad. di G. Tonna). Nella seconda similitudine, invece, la precisa ambientazione della scena venatoria e la scelta della nominazione ricercata, mitologicamente allusiva, nonché dell’epiteto convenzionale (la Tessaglia «nevosa») rispondono al gusto alessandrino dell’erudizione geografica; la probabile fonte del vivido quadretto è un epigramma di Callimaco (che già Orazio aveva ripreso in Sermones I, 2, 105-106).
Lo stile dell’ode: il modello pindarico
Rispetto allo stile tenue e classicamente equilibrato delle Odi, qui Orazio sceglie un modello più complesso, ispirato agli epinici («canti di vittoria») pindarici: stile grandioso, potenza vigorosa delle immagini, periodo sintattico in continua espansione, con l’uso, tipicamente pindarico, di participi e di aggettivi che aprono nuove proposizioni al di là della misura composta del verso e della strofa. Nei versi 10-11, ad esempio, è particolarmente audace l’insolita costruzione del participio-aggettivo inpotens, «incapace di frenarsi» (in + possum), riferito a regina (v. 7), con l’infinito (sperare), rilevata dal forte enjambement.
Al centro dell’ode due similitudini: Omero e Callimaco
Testa della regina Cleopatra, I secolo a.C. Londra, British Museum.
Due similitudini, immediatamente consecutive ma molto diverse fra loro (vv. 17-19), conferiscono bellezza eroica all’impresa e tensione immaginativa al motivo encomiastico. La prima è omerica: proviene da Iliade XXII, 138 sgg., con l’immagine di Achille che si slancia su Ettore tremante «come uno sparviero
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
Analizzare il testo
1. Individua nel testo i diversi momenti della rappresentazione oraziana di Cleopatra, segnalando i punti di svolta nell’atteggiamento del poeta verso la regina, e i mutamenti più significativi nel linguaggio e nelle immagini. 2. Chi è e come viene rappresentato l’altro “personaggio” dell’ode, l’antagonista di Cleopatra? In quale sezione del testo appare dominante la sua figura? Quali aspetti della sua personalità emergono, in modo più o meno diretto ed esplicito? In base a quali rilievi testuali è lecito affermare che il poeta si sia proposto di disegnare due personaggi (e due mondi) in antitesi? 3. Analizza il lessico impiegato nell’ode, con particolare riguardo ai motivi, insistentemente richiamati, della follia e del vino.
4. Nel delineare la figura e le azioni di Ottaviano, il poeta fa palesemente ricorso ai colori epici: da quali espressioni, immagini e allusioni letterarie lo si rileva?
Confrontare i testi
5. Confronta attentamente i versi 1-6 dell’Epodo 9 [ T2 ONLINE], citati anche nella rubrica Lettura e interpretazione, con le prime due strofe dell’ode per la morte di Cleopatra, rilevando e analizzando parole, espressioni, immagini che ricorrono in entrambi i testi o che si richiamano per significative analogie. Puoi estendere il confronto all’intero testo epodico, svolgendo per iscritto un’analisi dei punti di contatto e/o di divergenza che presenta rispetto all’ode.
PERCORSO ANTOLOGICO
Gli SCRITTORI e la STORIA Trasfigurazione epico-eroica dell’impresa aziaca ▰ Amplificazione epica Se la rappresentazione, mossa e cangiante, della regina Cleopatra volge con sempre maggiore intensità al clima e alle tonalità della tragedia, nella celebrazione di Ottaviano e della vittoria aziaca il poeta fa evidentemente ricorso ai colori dell’epos. Lo attestano, insieme alla similitudine omerica dei vv. 17-18, le riconoscibili alterazioni della realtà storica, che al di là delle esigenze propagandistiche contingenti, rispondono a un procedimento caratteristico del codice epico, la condensazione e l’amplificazione degli eventi. ▰ Due esempi significativi Al v. 13 leggiamo:
vix una sospes navis ab ignibus («una sola nave a stento scampata alle fiamme»). Si tratta di un’iperbolica alterazione della realtà storica in funzione celebrativa, del resto, come si è detto, caratteristica
dell’amplificazione epica; secondo il racconto di Plutarco (Vita di Antonio 66, 5-6) Cleopatra si diede improvvisamente alla fuga con sessanta navi, quando la battaglia non era ancora decisa, salvando quasi per intero la sua flotta. Poco più avanti, al v. 16, si dice che Ottaviano (Caesar) inseguì Cleopatra ab Italia volantem («che fuggiva a volo dall’Italia»). Certo, benché il combattimento avvenisse in acque greche, era l’Italia il vero obiettivo di Cleopatra. Ma, in ogni caso, ecco un’altra deformazione dei dati storici: Ottaviano non inseguì subito la flotta egiziana in fuga, ma svernò a Samo, e solo nell’estate dell’anno successivo si recò ad Alessandria. Evidente il colorito sarcastico dell’accenno all’Italia, come pure della metafora del volo: la regina fugge dalle acque di Azio, ma la meta dei suoi folli sogni era l’Italia; volantem, che evoca piuttosto una fulminea azione d’attacco, si riferisce invece a una precipitosa ritirata.
Leggere un TESTO CRITICO Ottaviano/Apollo contro Antonio/Dioniso Nella prima parte dell’ode di Orazio «la regina, avvolta in una luce cupa e fosca, è presentata come una donna ebbra, invasata da folli sogni di conquista, circondata da una corte di gente abietta e pervertita, incapace di moderazione, simbolo del furor, della libido, dell’inpotentia orientali» (Cremona). Questo genere di rappresentazione rientrava perfettamente nella
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campagna di diffamazione scatenata da Ottaviano nei confronti di Antonio, contro il quale vennero rivolte le medesime accuse di vita viziosa, di ubriachezza e di immoralità. L’identificazione mitologica promossa dallo stesso Antonio con Dioniso, dio dell’ebbrezza, del vino e dell’estasi, facilitò il compito di Ottaviano e dei suoi amici, come dimostra il saggio di Paul Zanker.
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PERCORSO ANTOLOGICO
Nella campagna di diffamazione che impegnava i due rivali a colpi di lettere, pamphlets e pubblici discorsi, Antonio fece ricorso ai soliti topoi della vecchia maniera aristocratica, accusando Ottaviano di vigliaccheria e di slealtà e rinfacciandogli l’oscurità delle sue origini, mentre i seguaci di Ottaviano sfruttarono senza pietà il tema della sua identificazione mitologica col dio Dioniso. Le parole d’ordine che avevano già guidato la reazione ai misteri dionisiaci offrivano un comodo arsenale per denunciare le fantasie dionisiache di Antonio come espressione di luxuria e di esotica immoralità: il genere di vita che Antonio conduceva in Oriente con Cleopatra e la sua corte era un esempio di quella corruzione e di quella effeminatezza che stavano portando Roma verso l’abisso. Gli anziani ricordavano come il re Mitridate avesse minacciato la potenza di Roma presentandosi come un nuovo Dioniso alla testa dell’Oriente, mentre Ottaviano, il favorito di Apollo, appariva come uomo d’ordine e tutore della moralità. Già in passato, del resto, Apollo si era schierato a fianco dei Romani nei momenti critici. Dopo la rottura definitiva, gli attacchi contro Antonio si fecero brutali: lo accusavano di essere ormai un degenerato, un effeminato e un senza dio, sempre ubriaco e succube di Cleopatra. Come spiegare altrimenti il fatto che un generale romano donasse i territori conquistati ai figli della regina d’Egitto, e disponesse nel suo testamento di essere sepolto in Alessandria al fianco di Cleopatra? Antonio non era più un Romano, e una guerra contro di lui non poteva essere una guerra civile: «La sede del comando militare diventò il suo palazzo reale. Antonio talvolta portava alla cintola un pugnale di tipo orientale, e si abbigliava in un modo incompatibile con i costumi della sua patria. Anche in pubblico si mostrava sdraiato su un divano [come Dioniso] o su un trono dorato [come un re]. Nei dipinti e nelle statue si faceva raffigurare insieme a Cleopatra come Osiride o Dioniso, mentre la regina era Selene o Iside. Fu soprattutto questo a suscitare l’impressione che Antonio fosse stregato da lei» (Dione Cassio 50, 5). Questa campagna di diffamazione volta a mobilitare l’Italia in vista della guerra ebbe naturalmente il suo punto forte nei pubblici discorsi, ma non mancano testimonianze figurative da cui risulta, anche in questo caso, un intreccio indissolubile di parola e immagine: ed è proprio dal ricorso a determinate immagini che l’attacco verbale traeva la propria efficacia. Le statue che raffiguravano Antonio nelle vesti di Dioniso si potevano vedere solo in Oriente, ma il partito di Ottaviano fece tutto il possibile per evocare il fatto scandaloso, né la cosa presentava difficoltà. Dappertutto si potevano vedere statue di Dioniso su cui richiamare l’attenzione, e i loro tratti femminei potevano suggerire facilmente l’immagine di Antonio. Rivolgendosi a un pubblico colto, Marco Valerio Messalla Corvino fece ricorso probabilmente a un’argomentazione più articolata: le sue due orazioni polemiche (perdute), de Antonii statuis e contra Antonii litteras nacquero in ogni caso in questo clima, ed è probabile che attaccassero le statue di Dioniso e il sontuoso stile asiano dei discorsi di Antonio come manifestazioni della stessa immoralità. [...] Contro l’accusa di ubriachezza Antonio si difendeva in un’orazione, purtroppo andata perduta (ma conservatasi fino ai primi anni dell’impero), dall’eloquente titolo de ebrietate sua. Oltre a respingere le accuse ingiustificate è probabile che Antonio vi facesse anche l’elogio del suo dio, il Liberatore e il nemico degli affanni. (P. Zanker, Augusto e il potere delle immagini, Einaudi, Torino 1989, pp. 62-66 passim)
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
T 15 Convito simbolico
PERCORSO ANTOLOGICO
LATINO
LETTURA METRICA
Nota metrica: strofe saffica minore, composta da tre endecasillabi saffici e un adonio.
Siamo sul principio dell’autunno (come si ricava dall’accenno alle ultime rose dei vv. 3-4), nella luce tenue e quieta di un pergolato (vv. 7-8). Il poeta si rivolge a un puer, uno schiavo giovinetto premurosamente affaccendato nei preparativi del convito, esortandolo a tralasciare ogni lusso superfluo: basteranno ghirlande di «semplice mirto» (v. 5). L’ammonimento affettuosamente ironico al ragazzo (interlocutore “ingenuo” della lirica, come Leuconoe [ T12]) tocca il cuore della poesia oraziana, rinnovando alcuni dei suoi grandi temi: il motivo simposiaco, un ideale di aurea mediocritas, la dolcezza della vita rustica. Ma l’ode è anche l’ultima del I libro, e svolge funzione di commiato, assumendo implicitamente (come accadeva spesso nei poeti ellenistici) il valore di una dichiarazione di poetica. Il richiamo alla semplicità non è solo una scelta morale ed esistenziale ma anche stilistica ed estetica: come la vita, anche la poesia deve essere improntata a un ideale di sobrietà e di equilibrio. Il vino e il mirto, i due oggetti più luminosi della lirica, acquistano così un improvviso valore simbolico, e finiscono per rappresentare la poesia conviviale (il vino) e la poesia amorosa (il mirto, da sempre Natura morta, affresco da Pompei. Napoli, Museo consacrato a Venere). Archeologico Nazionale.
Carmina I, 38
Persicos odi, puer, adparatus, displicent nexae philyra coronae; mitte sectari, rosa quo locorum sera moretur.
[1-4] Non amo, ragazzo, lo sfarzo persiano, né mi piacciono le corone intrecciate con filo di tiglio; lascia di cercare dove ancora indugi la rosa tardiva. Persicos... adparatus: lett. «gli apparati persiani»; lo sfarzo dei banchetti orientali era proverbiale. Il sostantivo plurale adparatus della IV declinazione (da adparo, aˉre, «preparare», «allestire») designa i «preparativi» del convito e indica, per metonimia, i banchetti stessi, in particolare lussuosi e magnifici. – odi: perfetto con valore di presente, dal verbo difettivo odisse; in italiano il primo significato («odiare») sarebbe troppo forte, così come suonerebbe eccessiva la traduzione letterale («mi dispiaccio-
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no»), nel verso successivo, di displicent; è opportuno quindi ricorrere all’attenuazione della litote. – displicent... coronae: nexae, participio perfetto di necto, nexui e nexi, nexum, ĕre («legare insieme», «connettere», «intrecciare») è riferito a coronae, nominativo plurale soggetto di displicent (dis + placeo, ˉere); philyraˉ, ablativo strumentale da unire a nexae, è un grecismo prezioso in luogo del latino e più domestico tilia. Le ghirlande di fiori che i convitati si ponevano sul capo venivano intrecciate con un filo sottile (detto anch’esso philyra) ricavato dalla corteccia interna del tiglio. – mitte = omitte: «tralascia», «smetti»; usato correntemente in latino come formula, @ Casa Editrice G.Principato
lievemente eufemistica, di proibizione. – sectari: infinito presente di sector, aˉri, deponente, frequentativo-intensivo di sequor, vale «cercare alacremente», «continuamente», anche «affannosamente». L’imperativo di mittĕre (o di altro verbo dal significato analogo, come fugĕre) + infinito equivale a un imperativo negativo (cfr. fuge quaerere in Carmina I, 9, 13 [ T11]). – rosa... moretur: proposizione interrogativa indiretta dipendente da sectari, dove l’anastrofe dell’ablativo quo e l’iperbato in enjambement danno rilievo al soggetto e all’attributo rosa... sera, forse un singolare per il plurale, le ultime rose sul finire dell’estate o nei primi giorni autunnali. L’immagine del-
PERCORSO ANTOLOGICO
Simplici myrto nihil adlabores sedulus curo: neque te ministrum dedecet myrtus neque me sub arta vite bibentem. 5
la «rosa tardiva» suscita l’idea della rarità e della ricercatezza, ma nel contempo allude forse, nel suo languore lievemente malinconico, al motivo della fuga del tempo. Il genitivo locorum ha valore partitivo (lett. «in quale dei luoghi»); moretur è congiuntivo presente di moror, aˉri, deponente («indugiare», «attardarsi»). [5-8] Non voglio che tu, premuroso, ti affanni ad aggiungere altro al semplice mirto; il mirto non è sconveniente né a te che servi a tavola né a me che bevo sotto il folto pergolato. Simplici myrto: il mirto, arbusto assai comune nei giardini mediterranei, è detto «semplice» in contrapposizione ai fiori rari e preziosi; lo conferma la posizione forte del sintagma all’inizio della strofe, in simmetrica antitesi con Persicos... adparatus (v. 1). Ma l’espressione si può tradurre anche «al solo mirto», in quanto è l’unica pianta delle cui fronde il poeta
desidera incoronarsi; non è improbabile che i due significati siano compresenti. – nihil adlabores... curo = non curo quicquam adlabores. Il pronome nihil nega curo (lett. «non m’importa», «non ci tengo») ed è nel contempo oggetto di adlabores (ad + laborare), che regge il dativo Simplici myrto; un verbo molto probabilmente coniato da Orazio, che unisce l’azione di «aggiungere» (ad) con quella di «affaticarsi»; infatti nella traduzione italiana è necessario ricorrere a due verbi distinti, per non perdere l’uno o l’altro dei significati. – sedulus: «premuroso», «zelante», con una sottintesa sfumatura di eccesso («troppo premuroso»); aggettivo in funzione predicativa del soggetto sottinteso tu, che si può rendere anche con un avverbio («premurosamente»). – neque... bibentem: costruisci myrtus neque dedecet te ministrum neque me bibentem sub arta
Analizzare il testo
1. Che cosa significa adlabores (v. 5)? Definisci a livello sintattico la proposizione di cui è il predicato, nonché la struttura dell’intero periodo. Cerca inoltre sul dizionario i significati dell’aggettivo simplex e traduci nei diversi modi possibili. 2. Individua gli enjambement presenti in questi versi, e osserva se pongono in rilievo parole-chiave. 3. Nel testo dell’ode compaiono vari nomi di fiori e di piante: si può darne un’interpretazione sul piano simbolico?
T 16
Aequa mens
vite. – neque... dedecet = et decet, litote, che intensifica il concetto anziché attenuarlo; dedecet, come il suo contrario decet («si addice», «è conveniente») regge l’accusativo della persona a cui conviene o sconviene qualcosa (te... me). – ministrum: sostantivo maschile singolare in caso accusativo, apposizione di te; equivale a ministrantem (da ministro, aˉ re, «servire a tavola»). In taluni casi, tuttavia, minister è usato nel significato più specifico di «coppiere» (cfr. Catullo 27): «a te che fungi da coppiere», «che mesci il vino». – arta: ablativo femminile singolare dell’aggettivo artus, a, um («stretto») che nel contesto dell’ode può avere due significati: «fitto», «folto», a indicare un luogo gradevolmente fresco e ombroso; oppure «angusto», «ristretto», un altro emblema di vita semplice. – vite: ablativo concordante con arta; un pergolato formato di tralci di vite.
4. Spiega in che senso e per quali aspetti l’ode I, 38 rappresenta una dichiarazione di poetica.
Confrontare i testi
5. Leggi l’ode II, 7 a Pompeo Varo [ T18]: in quali versi si parla dei preparativi di un banchetto? Vi si possono riconoscere alcune analogie con il “convito semplice” che si apparecchia nell’ode I, 38; ma appaiono evidenti anche le differenze (di tono, di situazione...). Sviluppa il confronto in un breve commento.
Carmina II, 3
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
T 17 Il luogo ideale Carmina II, 6 LATINO
PERCORSO ANTOLOGICO
ITALIANO
Nota metrica: strofe saffica minore, composta di tre endecasillabi saffici seguiti da un adonio.
L’ode è rivolta a Settimio e rinvia allusivamente al carme 11 di Catullo, rinnovando un topos di origine probabilmente ellenistica, quello dell’amico disposto ad accompagnare il poeta fino in capo al mondo, già impiegato da Orazio stesso negli Epodi (1, 11-13). Il motivo del viaggio immaginario in terre lontane, contenuto in un giro di versi più breve (4 contro 12) rispetto al testo catulliano, offre lo spunto alla costruzione di un discorso assai diverso, esistenziale e morale anziché emotivo e fantastico: il poeta, attraverso una serie di forti opposizioni, indica a se stesso e all’amico una scelta di vita. All’itinerario fisico-geografico si sostituisce perentoriamente un altro itinerario, verso un luogo che è una dimora dello spirito. I temi sono quelli prediletti della poesia oraziana: il desiderio di quiete e di una vita appartata (contrapposta alle fatiche dei viaggi e della milizia, vv. 7-8); la ricerca di un angulus, qui identificato con i paesaggi idillici della campagna tiburtina e tarentina (in netta antitesi con le immagini di regioni insidiose e remote evocate nella prima strofa); l’amicizia, capace di alleviare il pensiero triste della morte; il convito, cui si allude nella terza e quarta strofa con il riferimento simbolico a tre prodotti delle piane di Taranto (il miele, l’olio, il vino). Al v. 21 Orazio dà forma retorica e stilistica al proprio ideale di vita creando con raffinata eleganza una disposizione chiastica fra i pronomi designanti i due amici (te mecum) e il nucleo sostantivoaggettivo che esprime l’immagine fisica e mentale del luogo appartato (Ille... locus).
Septimi, Gades aditure mecum et Cantabrum indoctum iuga ferre nostra et barbaras Syrtes, ubi Maura semper aestuat unda, 5 Tibur Argeo positum colono sit meae sedes utinam senectae, sit modus lasso maris et viarum militiaeque.
O Settimio, disposto a venire con me sino a Cadice e fra i Cantabri ancora indocili al nostro giogo, e nelle barbare Sirti, dove sempre ribolle l’onda maura: Tivoli, fondata dal colono argivo, sia la sede della mia vecchiaia, sia il termine per me stanco del mare e dei viaggi e della milizia.
1-3. Gades... Cantabrum... Syrtes... Maura (unda): Cadice (nella penisola iberica) sta a indicare nel codice letterario classico l’estremo limite del mondo occidentale; i Cantabri, abitanti delle montuose regioni nord-occidentali della Spagna, erano una popolazione fiera e ribelle (dovettero affrontarli in quegli anni sia Augusto, fra il 25 e il 24, che
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Agrippa, fra il 20 e il 19 a.C.); Sirti erano dette due vaste insenature lungo le coste libiche (Syrtis maior e Syrtis minor, i golfi di Sidra e di Gabes), tradizionalmente considerate pericolose a causa dei fondali bassi e sabbiosi, delle frequenti tempeste e dei predoni costieri; a occidente delle Sirti si trovava invece la Mauritania (ma l’imprecisione geografi-
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ca era un vezzo della poesia ellenistica e alessandrina, che spesso alludeva a una località o a una popolazione con il nome di luoghi e di popoli limitrofi). 5. Tibur... colono: mitico fondatore di Tivoli era considerato Tiburno, originario dell’Argolide.
PERCORSO ANTOLOGICO
Unde si Parcae prohibent iniquae, dulce pellitis ovibus Galaesi flumen et regnata petam Laconi rura Phalanto. 10
Ille terrarum mihi praeter omnes angulus ridet, ubi non Hymetto 15 mella decedunt viridique certat baca Venafro,
ver ubi longum tepidasque praebet Iuppiter brumas et amicus Aulon fertili Baccho minimum Falernis 20 invidet uvis.
Ille te mecum locus et beatae postulant arces: ibi tu calentem debita sparges lacrima favillam vatis amici.
Se le Parche inique mi terranno lontano di qui, mi dirigerò verso la dolce corrente del Galeso caro alle pecore coperte di pelli, campagne su cui regnò lo spartano Falanto. Mi sorride più di tutti quell’angolo di terra, dove il miele non è inferiore a quello dell’Imetto e l’olivo gareggia con quello della verde Venafro, dove il cielo offre lunghe primavere e tiepidi inverni, e Aulone caro al fertile Bacco non ha nulla da invidiare all’uva di Falerno. Te insieme con me aspetta quel luogo con le sue beate rocche: là tu bagnerai con le dovute lacrime la cenere ancor calda dell’amico poeta. (trad. di L. Perelli)
10. pellitis ovibus: le pecore, bene prezioso dell’economia italica, venivano ricoperte di pelli di cuoio atte a salvaguardarne il vello. – Galaesi: un torrente che scorreva vicino a Taranto. 11-12. Laconi... Phalanto: ancora un riferimento prezioso alle mitiche vicende
di fondazione: secondo tradizione era stato Falanto, proveniente da Sparta (in Laconia), a fondare nel 708 a.C. la città di Taranto. 14. Hymetto: monte dell’Attica, noto nella tradizione letteraria per la qualità del suo miele.
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16. Venafro: una cittadina della Campania, rinomata per la produzione di olio. 18. Aulon: Aulo o Aulone (in greco «avvallamento»), probabilmente una località ricca di vigneti situata nei pressi di Taranto.
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
T 18 Per il ritorno di un antico compagno d’arme Carmina II, 7 ITALIANO
Dopo molti anni Orazio può riabbracciare un amico, Pompeo Varo, con il quale aveva combattuto a Filippi condividendo l’infamia della fuga. Si rinnovano i motivi più vivi e profondi della sua poesia: l’amicizia, il convito, il vino simbolo di vitalità e ospitalità, il racconto di memorie comuni, il desiderio di un angulus (il giardino del poeta nella sua villa sabina) dove vivere riparati dalle tempeste del mondo. L’ode ha carattere autobiografico, ma Orazio inserisce gli episodi forse più delicati della sua storia personale all’interno di una cornice intenzionalmente letteraria, utilizzando un tono elegantemente scherzoso: nella terza strofa ricorre al topos antichissimo dello scudo abbandonato (presente in poeti greci come Alceo e Archiloco); in quella successiva fa la parodia di una tipica situazione omerica. Invitando l’amico a riposarsi all’ombra del suo lauro (v. 19), può così riaffermare dinanzi al lettore il proprio ruolo di poeta, dispensatore di conforto e di superiore saggezza.
PERCORSO ANTOLOGICO
O tu che spesso con me fosti spinto nell’estremo pericolo sotto il comando di Bruto, chi ti ha restituito cittadino romano1 agli dèi patrii e all’italo cielo, o Pompeo, il più caro fra i miei compagni, insieme col quale spesso spezzai col vino il giorno che indugiava, con la corona sui capelli lucenti di unguento di Siria? Con te provai Filippi2 e la veloce fuga, abbandonato poco onorevolmente lo scudo3, quando la virtù fu infranta e i soldati prima minacciosi toccarono il turpe suolo col mento4.
1. cittadino romano: nel testo originale Quiritem, cittadino romano optimo iure, che gode cioè di tutti i diritti civili e politici. Ottaviano nel 29 a.C. aveva concesso un’amnistia ai nemici sconfitti. 2. Filippi: località tra Tessaglia e Macedonia, dove si combatté, nel 42, una celebre battaglia tra l’esercito di Bruto e Cassio da una parte e quello di Ottaviano e Marco Antonio dall’altra: il combattimento, dapprima di esito incerto, solo dopo due giorni di furibondi scontri si trasformò in una disfatta per i cesaricidi, che sbandarono e furono costretti a un’ingloriosa fuga. La descrive Plutarco nella Vita di Bruto (38-52). 3. abbandonato... lo scudo: il motivo è già in numerosi poeti
greci arcaici, in particolare Archiloco, che aveva scritto (fr. 6 D.): «Del mio scudo ora qualcuno dei Sai si fa bello: presso un cespuglio abbandonai quell’arma perfetta, a malincuore; ma salvai la vita: che m’importa di quello scudo. Vada alla malora: me ne procurerò un altro non peggiore» (trad. di A. La Penna). I Sai erano una popolazione della Tracia. Il riferimento letterario permette a Orazio di ridimensionare scherzosamente la vergogna del gesto inglorioso; e del resto il poeta stesso si era già definito imbellis («non fatto per la guerra») in Epodi 1, 16. 4. il turpe... mento: si allude alla resa umiliante del vinto, costretto a prostrarsi davanti ai vincitori.
Ritratto a encausto dell’uomo con vino rosso e corona di petali di rosa da Er-Rubayat, IV secolo d.C. Santa Monica, Getty Museum.
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PERCORSO ANTOLOGICO
Ma me il veloce Mercurio5 trasportò impaurito attraverso i nemici in una fitta nube6, te assorbendo di nuovo nella guerra l’onda trascinò per mari tempestosi7. Dunque rendi a Giove il dovuto banchetto, e deponi il fianco stanco per la lunga milizia sotto il mio lauro8, e non risparmiare le anfore a te destinate. Riempi le tazze levigate di Massico9 che dona l’oblio, effondi l’unguento dalle capaci conchiglie. Chi10 si cura di intrecciare prontamente corone di umido appio o di mirto? Chi Venere proclamerà arbitro del banchetto11? Io mi abbandonerò all’ebbrezza non meno intemperantemente dei Traci12: mi è dolce folleggiare per l’amico ritrovato. (trad. di L. Perelli)
5. Mercurio: il dio inventore della lira e protettore dei poeti (che vengono chiamati da Orazio, in un’altra ode, Mercuriales viri). 6. in una fitta nube: richiamo scherzoso e parodistico all’Iliade, dove spesso celebri eroi, durante il combattimento, vengono avvolti in un denso vapore e sottratti alla mischia. 7. te assorbendo... tempestosi: diversamente da Orazio, Pompeo Varo aveva
continuato a combattere anche dopo Filippi, probabilmente agli ordini di Sesto Pompeo. 8. sotto il mio lauro: oltre al senso letterale (un lauro che si trovava nel giardino di Orazio), è possibile anche leggere un significato simbolico, con l’accenno alla fama poetica conquistata. 9. Massico: un vino campano molto pregiato. 10. Chi: un puer, giovane servo incarica-
to, com’era abitudine durante i conviti romani, di intrecciare per gli invitati corone di mirto e di appio. 11. Chi Venere... banchetto?: durante un convito veniva estratto a sorte con un colpo di dadi il rex convivii, che diveniva, come dice Orazio, arbiter bibendi. Il colpo più fortunato era quello di Venere, quando uscivano quattro numeri tutti diversi. 12. Traci: popolo noto per l’uso smodato del vino.
T 19 Labuntur anni Carmina II, 14 LATINO ITALIANO
Il carme svolge alcuni dei temi dominanti della lirica oraziana: la brevità della vita, l’inesorabilità della morte, l’invito a godere degli effimeri piaceri di ogni giorno (implicito, quest’ultimo, nelle due ultime strofe). Nell’assenza di ogni forma di ironica bonomia, prevalgono i toni mesti e pensosi, cadenzati su un ritmo severo e solenne. Le immagini (in parte tratte dal tradizionale repertorio mitologico, in parte ispirate alla vita quotidiana di Roma) sono contenute ed essenziali. Orazio disegna il destino dell’uomo (di ogni uomo, come viene sottolineato ai vv. 11-12) con l’implacabile fermezza di un linguaggio che non conosce sbavature sentimentali. La tensione emotiva e gli elementi patetici sono disciplinati entro precise movenze retoriche: l’esclamazione iniziale (Eheu), la reduplicazione del nome Postumus, l’anafora dell’avverbio frustra, il rilievo sintattico dei tre gerundivi (enaviganda... visendus... linquenda), il polisindeto della penultima strofa (che sottolinea l’ineluttabilità della separazione dalla vita e dai suoi beni più cari).
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
Nota metrica: sistema alcaico, composto di due endecasillabi alcaici seguiti da un enneasillabo e da un decasillabo alcaici.
Eheu fugaces, Postume, Postume, labuntur anni nec pietas moram rugis et instanti senectae adferet indomitaeque morti, 5 non si trecenis quotquot eunt dies, amice, places inlacrimabilem Plutona tauris, qui ter amplum Geryonen Tityonque tristi
compescit unda, scilicet omnibus, quicumque terrae munere vescimur, enaviganda, sive reges sive inopes erimus coloni. 10
Frustra cruento Marte carebimus fractisque rauci fluctibus Hadriae, 15 frustra per autumnos nocentem corporibus metuemus Austrum:
PERCORSO ANTOLOGICO
visendus ater flumine languido Cocytos errans et Danai genus infame damnatusque longi 20 Sisyphus Aeolides laboris; linquenda tellus et domus et placens uxor, neque harum quas colis arborum te praeter invisas cupressos ulla brevem dominum sequetur. 25
Absumet heres Caecuba dignior servata centum clavibus et mero tinget pavimentum superbo, pontificum potiore cenis.
1. Postume: è ignota l’identità del destinatario: il nome potrebbe anche essere fittizio e simbolico. 7-8. Plutona... Geryonen Tityonque: Plutone è il dio dei morti; Gerìone è il gigante triforme ucciso da Ercole; Tizio
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è un altro mostruoso gigante ucciso da Apollo per vendicare l’oltraggio recato alla madre Latona. 13-16. cruento Marte... fluctibus Hadriae... Austrum: exempla di pericoli che il saggio deve saper evitare: la guerra, i
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viaggi per mare, i climi malsani (l’Austro o scirocco è un vento caldo-umido del sud che soffia su Roma fra settembre e ottobre, provocando febbri e disagi). 18-20. Cocytos... Danai genus... Sisyphus Aeolides: il Cocito (in greco
PERCORSO ANTOLOGICO
Ahimè fuggiaschi, Postumo, Postumo, scivolano via gli anni, né un animo devoto potrà ritardare l’incalzante vecchiaia, le rughe, l’inesorabile morte, 5 neanche se tu voglia, amico, ogni giorno che passa, placare con trecento tori lo spietato Plutone che rinserra il vasto Gerione dai tre corpi e Tizio nella triste
onda su cui tutti noi che nutre il raccolto della terra dovremo senza scampo navigare, sia se saremo re, o poveri coloni. 10
Invano ci asterremo dal sanguinoso Marte e dai flutti infranti del rauco Adriatico, 15 invano in autunno fuggiremo timorosi l’Austro che nuoce alle membra. Dovremo vedere il fosco Cocito errante con torpido flusso, e la stirpe maledetta di Danao, e l’eolio Sisifo 20 condannato ad un lungo travaglio; dovremo lasciare la nostra terra, la casa, l’amata sposa: degli alberi che coltivi, nessuno, fuorché l’inviso cipresso, seguirà te, effimero padrone. 25
Un più degno erede berrà quei vini cecubi serbati ora con cento chiavi, e bagnerà il pavimento di vino superbo, migliore che nelle cene dei pontefici. (trad. di L. Canali)
«fiume del pianto») è uno dei tradizionali fiumi infernali; le cinquanta figlie di Danao, o Danaidi, uccisero (con l’eccezione di Ipermestra) i rispettivi mariti la prima notte di nozze, e per questo furono condannate agli inferi a riempi-
re eternamente d’acqua dei vasi forati sul fondo; Sisifo, figlio di Eolo (perciò Eolide) fu condannato nell’oltretomba a spingere fin sulla cima del monte un masso, che subito rotolava lungo il versante opposto.
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25. Caecuba: cfr. la nota a I, 37, 5 [ T14]. 28. pontificum... cenis: cene notoriamente sontuose.
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
Leggere un TESTO CRITICO Il tempo e la morte in Orazio Concentrando in particolare l’attenzione sull’ode a Postumo, Alfonso Traina individua nella categoria
della temporalità il centro ispiratore di tutta la poesia oraziana.
PERCORSO ANTOLOGICO
Il tema della morte è inscindibile dal tema del tempo. È la morte che dà all’uomo l’angoscia del tempo, perché è la morte, ultima linea rerum («ultima meta»: Epist. I, 16, 79) che toglie al tempo la rassicurante ciclicità della natura per distenderlo nella breve linea della vita umana. Brevis: ecco un altro aggettivo le cui occorrenze temporali in Orazio superano la somma delle analoghe occorrenze in Lucrezio Catullo Virgilio. Nimium breves, «di troppo breve durata» sono i fiori della rosa che nell’ode II, 3, 13 sg. [ T16 ONLINE ] simboleggiano le gioie del canto e della vita in contrasto con l’eternità dell’oltretomba, iconicamente rappresentata dall’ipermetro che, alla chiusa dell’ode, prolunga oltre i confini del verso l’epiteto antonimico (aeternus) e lo salda al suo sostantivo (v. 26 sg.): in aeter[num / exilium. Brevem chiama Orazio il padrone di un giorno, spossessato dalla morte (Carm. II, 14, 24 [ T19]), con un’audacia semantica che trasferisce per la prima volta brevis, predicato a persona, dalla sfera fisica («di corta statura») a quella temporale di aevi brevis (Sat. II, 6, 97: [ T7]). È nel carme II, 14 (vv. 1-4) che si fa più esplicita la connessione del tempo e della morte: Eheu fugaces, Postume, Postume, / labuntur anni nec pietas moram / rugis et instanti senectae / adferet indomitaeque morti [ T19]. L’incalzare del tempo è reso non solo da lessemi nominali (fugaces) e verbali (labuntur, instanti), ma anche dall’affannosa geminatio del vocativo (un nome che «sa di morte», diceva il Pascoli), donde viene alla strofa un convulso dinamismo che va a infrangersi sul blocco eptasillabico della clausola indomitaeque morti. Nessuna traduzione può riprodurre tutte le connotazioni di questo latino. «Fugace», per noi, è solo un sinonimo letterario di «passeggero». Ma fugax, connotato negativamente dal suffisso -ac-, è il soldato che fugge dal suo posto di combattimento (Carm. III, 2, 14): riferirlo agli anni, con una metafora oggi logora, ma allora inedita, significa farne dei traditori che ci abbandonano a nostra insaputa (come altrove, con diversa ma sempre inedita metafora, ne fa dei banditi che ci spogliano; Epist. II, 2, 55: singula de nobis anni praedantur euntes: «gli anni portano via tutto, un bene dopo l’altro»); lo conferma il verbo, labuntur, che è uno scivolare furtivo e silenzioso (cfr. Carm. I, 13, 7: furtim labitur: «[il pianto] scivola [sulle mie guance] senza che mi accorga»). Seneca, erede del senso e del lessico oraziano del tempo, userà il medesimo verbo in De brevitate vitae VIII, 5: «il tempo non darà segno della sua velocità, scorrerà via senza rumore (tacita labetur)». Non c’è dubbio: Orazio appartiene a quel tipo d’uomini i quali «vivono più sotto gli auspici del tempo che passa e della morte che si avvicina che del tempo che progredisce e che facciamo progredire in noi» (Minkowski). Questa angoscia del tempo, questo senso del precario tradiscono un fondo d’insicurezza che potrebbe avere radici lontane, nell’assenza di una figura materna, se così deve interpretarsi il silenzio di Orazio sulla madre, sorprendente non in se stesso, ma di fronte alle tante menzioni del padre (e, una volta in Carm. III, 4, 10, della nutrice). (A. Traina, introduzione a Orazio, Odi e Epodi, trad. e note di E. Mandruzzato, Rizzoli, Milano 1985, pp. 10-11)
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PERCORSO ANTOLOGICO
T 20 Canto amebeo d’amore Carmina III, 9 ITALIANO
La passione d’amore non conduce mai Orazio a esiti rovinosi: l’amore è trattato nella sua poesia come un gioco delizioso e leggero, alieno da ogni forma di eccessivo coinvolgimento. Ne è un esempio questo carmen in forma di dialogo tra il poeta e una ragazza di nome Lidia: il tema dell’abbandono e della riconciliazione non dà origine a stati di sofferenza e di approfondimento psicologico, ma a una melodica scenetta a due voci. Sullo sfondo, il nome di un’altra donna (Cloe) e di un altro uomo (Calais), avventure erotiche (si immagina) prive anch’esse di complicazioni sentimentali. Prevalgono in questa lirica l’elemento strutturale e il gusto per le simmetrie: le sei strofe sono equamente divise fra i due amanti; ciascuna delle tre coppie rappresenta un momento diverso della storia, proiettato il primo nel passato, il secondo nel presente, il terzo nel futuro. Nelle prime due coppie le battute di Lidia ricalcano quelle di Orazio: l’ultima strofa si discosta dallo schema, consegnando al lettore, nei versi centrali (22-23), un realistico e icastico ritratto del poeta.
«Finché io ti piacevo, e nessun giovane, più di me amato, cingeva le braccia intorno al tuo collo splendente, io vissi più felice dei re d’Oriente». 5
«Fino a che per un’altra non bruciasti d’amore, e Lidia non venne dopo Cloe, Lidia dalla molta fama, io vissi più gloriosa di Ilia romana». «Cloe di Tracia ora mi tiene, maestra 10 nei soavi accordi, padrona della cetra, e io non avrei paura di affrontarla, la morte, solo che i fati, vita mia, risparmino lei». «M’infiamma, con mutuo ardore, Càlais figlio d’Ornito di Turi, per cui 15 due volte vorrei morire, solo che i fati, vita mia, risparmino lui». «E se l’antica Venere tornasse, riunendo sotto un bronzeo giogo chi fu diviso? Se la bionda Cloe fosse congedata, e la porta 20 si riaprisse per Lidia scacciata?» «Anche se è più bello di un astro, lui, e tu più leggero di un sughero, più iroso dello sfrenato Adriatico, è con te che vorrei vivere, con te morrei contenta». 4. dei re d’Oriente: «I re di Persia erano proverbiali per i loro tesori e beatus esprime innanzitutto la felicità fondata
sulla ricchezza» (La Penna). 8. Ilia: Rea Silvia, madre di Romolo e Remo.
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14. Turi: città greca della Lucania, sul mar Ionio.
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
T 21 O fons Bandusiae Carmina III, 13
PERCORSO ANTOLOGICO
LATINO
Nota metrica: sistema asclepiadeo terzo, composto di due asclepiadei minori seguiti da un ferecrateo e da un gliconeo.
È il 12 ottobre, vigilia dei Fontanalia, una festa italica delle fonti a cui accenna anche Varrone nel De lingua Latina (VI, 22). Durante la festa era consuetudine offrire in dono alla sorgente delle corone di fiori, che venivano gettate nella corrente o appese a festoni intorno ai pozzi. Anche Orazio parteciperà a questi riti in onore di una piccola fonte che sgorga nei pressi della sua villa sabina. Come sempre nella poesia di Orazio, i dati affettivi e realistici della vita quotidiana vengono incanalati nelle forme della tradizione letteraria: il locus amoenus, la fonte dove gli animali e gli uomini ristorano la propria sete, la promessa di un sacrificio rientrano nella tradizione dell’epigramma ellenistico e della poesia bucolica [ Dialogo con i modelli, p. 249]. Ma il poeta sa dare un accento nuovo e personale a questi topoi figurativi: la piccola fonte diventa un emblema di vita semplice e pura, condotta nella quiete appartata della campagna laziale. Da questo quadro di vita semplice e serena Orazio trae anche, nell’ultima strofa, un motivo di poetica: la sua poesia è come una cristallina fonte d’acqua pura, e per questo il fons Bandusiae diventerà un giorno famoso come le grandi fonti greche sacre alle Muse e ad Apollo. Il carme presenta una tessitura elegante e raffinata: il paesaggio è risolto in pochi tratti di impressionistica immediatezza (la limpidezza delle acque; il rosso del sangue del capretto che si disperde nella corrente; il mormorio zampillante dell’onda, reso onomatopeicamente nei due ultimi versi mediante l’uso della consonante liquida l e l’abbondanza delle vocali). Il solenne vocativo iniziale e l’anafora in poliptoto dei vv. 9-13 (Te... tu... tu) ritmano la lettura sul passo di un inno religioso.
O fons Bandusiae splendidior vitro, dulci digne mero non sine floribus, cras donaberis haedo, cui frons turgida cornibus
[1-8] O fonte di Bandusia più chiara del cristallo, degna di dolce vino puro non senza [corone di] fiori, domani ti verrà offerto un capretto, cui la fronte turgida delle corna che già spuntano promette amori e battaglie. Invano: la prole del gregge vivace tingerà le tue gelide acque di rosso sangue. fons Bandusiae: c’è chi intende Bandusiae come un genitivo epesegetico (nel qual caso si tratterebbe semplicemente del nome della sorgente; come noi diciamo ad esempio «la città di Roma»), chi come un genitivo di appartenenza (e si tratterebbe allora del nome della ninfa che abitava le acque). – splendidior vitro: «più splendente», «più brillante del cristallo» oppure «del vetro». Il comparativo dell’aggettivo splendidus (da splendeo, eˉ re), che loda la trasparenza luminosa di quelle acque purissime, è vocativo come fons; l’ablativo vitro costituisce il secondo termine di paragone. – digne: vocativo dell’aggettivo dignus
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(in latino fons è di genere maschile), che regge l’ablativo. – dulci... mero: si tratta di libagioni di vino puro ritualmente offerte alla divinità della fonte in occasione della festa annuale. Merum è aggettivo sostantivato per vinum merum. Quanto all’aggettivo dulcis, cfr. molli ... mero di Carmina I, 7, 19 [ T10]. – non sine floribus: litote. Nel De lingua Latina Varrone, il grande erudito studioso di antichità romane, ricordando la festa dei Fontanalia scrive: in fontes coronas iaciunt et puteos coronant («gettano ghirlande di fiori nelle fonti e coronano i pozzi»;VI, 22). – cras: il 13 ottobre, giorno dei Fontanalia. – donaberis haedo: il soggetto di donaberis, futuro passivo di II persona singolare (da dono, aˉre), è sottinteso (tu); da sottintendere anche il complemento d’agente (a me). Il verbo donare nella forma attiva ha una doppia costruzione: l’accusativo della persona cui si dona e l’ablativo della cosa donata (donare aliquem aliquaˉ re), quella pre@ Casa Editrice G.Principato
supposta nella forma passiva del testo oraziano, dove haedo è appunto ablativo strumentale; oppure, come in italiano, l’accusativo della cosa donata e il dativo della persona cui si dona (donare aliquid alicui). Secondo Ovidio (Fasti III, 300), agnelli o capretti venivano ritualmente offerti alle divinità delle fonti fin dalla mitica età di Numa. – cornibus primis: lett. «per le prime corna», ablativo di causa retto da frons turgida; l’enjambement mette in rilievo con delicatezza la giovanissima età dell’animale. – et venerem et proelia: accusativi dipendenti da destinat. – Frustra: l’avverbio, dopo uno stacco di notevole effetto, introduce il pensiero, venato di pietà, della triste sorte riservata al capretto; l’inevitabile sacrificio (necessario in quanto dovuto alla fonte secondo il rito), descritto mediante l’immagine dell’acqua limpida arrossata di sangue, troncherà il suo commovente slancio verso la vita. – nam gelidos ... gregis: costruisci nam subo-
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5 primis et venerem et proelia destinat. Frustra: nam gelidos inficiet tibi rubro sanguine rivos lascivi suboles gregis.
Te flagrantis atrox hora Caniculae nescit tangere, tu frigus amabile fessis vomere tauris praebes et pecori vago. 10
les lascivi gregis inficiet tibi gelidos rivos rubro sanguine. – inficiet: futuro di inficio, ĕre (in + facio) «mescolare», «tingere», «macchiare» (in particolare, appunto, «di sangue»); ma anche, in accezione esplicitamente negativa, «contaminare», «guastare»; è possibile che alla suggestione coloristica e visiva si aggiunga quest’ulteriore sfumatura, come se il rammarico per la sorte del capretto si estendesse anche all’inevitabile intorbidarsi delle acque cristalline della fonte. – tibi: dativo di fine, che si preferisce tradurre con il possessivo. – gelidos ... rubro san-
guine rivos: entro l’elegantissima ed espressiva disposizione a chiasmo degli accusativi e degli ablativi, i legami fra le parole-immagini sono enfatizzati dalle allitterazioni in r e in s, nonché dall’omoteleuto (gelidos ... rivos); al contrasto cromatico, visivo, si aggiunge in un intreccio complesso quello delle sensazioni tattili, fra la gelida freschezza dei rigagnoli (rivi) d’acqua sorgiva e il calore del sangue, evocato sinesteticamente dal colore rosso. – lascivi: genitivo concordato con gregis, da unire a suboles. – subŏles: soggetto di inficiet; c’è chi lo intende in-
vece come apposizione di un soggetto sottinteso (haedus). [9-16] Te la feroce stagione dell’ardente Canicola non sa toccare, tu offri deliziosa frescura ai tori stanchi del vomere, al bestiame errante. Anche tu sarai tra le fonti illustri, poiché io canto l’elce che sovrasta la grotta donde sgorgano le tue acque mormoranti. Te flagrantis ... vago: costruisci atrox hora flagrantis Caniculae nescit tangere te, tu praebes frigus amabile tauris fessis vomere et pecori vago. – nescit = nequit, «non può». – tu ... praebes: anafora in
Nomi e parole degli antichi Lascivus: l’aggettivo lascivus
ha vari significati, e anche nel contesto dell’ode oraziana viene interpretato in diversi modi: «[del gregge] lascivo» nel senso di «libidinoso», propenso agli amori; oppure «scherzoso», «vivace», «spensierato»; anche «irrequieto», «sfrenato», che variamente evocano le rapide corse e i salti di questi animali sui prati, alludendo con un’ulteriore punta di rammarico alle felici speranze di vita della vittima sacrificale. Subŏles: il sostantivo femminile suboles, is significa «prole», «rampollo», «figlio». Collegato alla radice di alo, ĕre («nutrire», «far crescere»), come proles, indica tutto ciò che nasce e cresce, la discendenza degli uomini e degli animali così come i germogli delle piante. Canicula: diminutivo di canis,
propriamente significa «cagnolina»; per traslato è detta Canicula Sirio, la stella più luminosa della costellazione del Cane, che sorge alla fine di luglio; il suo levarsi segna dunque l’avvento del periodo più caldo dell’anno. Così, al verso 9 di Carmina III, 13, il participio-aggettivo flagrantis (da flagro, āre; «fiammeggiare», «ardere»), si riferisce sia all’ardore dell’estate al suo culmine sia all’intensa luminosità dell’astro. Come si sa, «canicola», quale nome comune, e l’aggettivo «canicolare» da esso derivato, sono tuttora di uso corrente nella lingua italiana. Atrox: l’aggettivo atrox, ōcis deriva da ater (atra, atrum), «nero», che per traslato, secondo i diversi contesti, vale «triste», «maligno», «lugubre», «funesto» (il nero è il colore della morte); anche «oscuro», in quanto difficile a
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intendersi. Nel testo oraziano la stagione (hora) in cui Sirio «ardente» fiammeggia nel cielo è detta atrox, cioè «spietata», «feroce», «violenta», ossia «ferocemente torrida», in quanto coincide con i grandi calori estivi; anche «mortifera», «funesta», «fatale» (= «che porta disgrazia»), poiché nel periodo più arido dell’anno la terra soffre per la scarsità d’acqua; talora la siccità può giungere a bruciare i raccolti e a provocare morìe del bestiame. Si noti (v. 9) il sapiente accostamento dei due aggettivi flagrantis (genitivo concordante con Caniculae in iperbato) e atrox: non solo si intensificano a vicenda sul piano semantico, ma l’insistenza sui suoni aspri dei gruppi consonantici evoca a livello fonoespressivo la violenta oppressione della calura.
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
Fies nobilium tu quoque fontium, me dicente cavis impositam ilicem 15 saxis, unde loquaces lymphae desiliunt tuae.
PERCORSO ANTOLOGICO
poliptòto del pronome di II persona (Te ... nescit tangere, vv. 9-10), stilema caratteristico degli inni alle divinità, che scandisce l’elencazione delle prerogative del dio celebrato e invocato (cfr. il proemiale inno a Venere di Lucrezio, De rerum natura I, 1-43). – frigus amabile: accusativo neutro oggetto di praebes; in disposizione chiastica con atrox hora (v. 9) forma un vivo contrasto, enfatizzato dall’allitterazione in a che lega i due aggettivi, vistosamente discordanti per significato e per suono (aspro e duro atrox; liquido e dolce amabile). – vomere: sineddoche per l’aratro (la parte per il tutto); ablativo di causa da collegare al dativo fessis. – fessis ... tauris ... et pecori vago: un altro chiasmo; al centro si colloca felicemente il verbo praebes, da cui i dativi dipendono. L’aggettivo vago, evocando immagini care alla poesia bucolica, si riferisce al bestiame libero di «errare» sui pascoli e nei boschi, a differenza dei tori, o meglio dei buoi (in latino taurus ha entrambi i significati), adibiti al duro
Analizzare il testo
lavoro dell’aratura. – Fies: «diventerai», «sarai»; futuro di fio, fieri. – nobilium ... fontium: cioè le fonti sacre della poesia, come quelle di Castalia (a Delfi), di Aganippe e di Ippocrene (in Beozia). È genitivo partitivo da unire direttamente a fies; sottintende una. – tu quoque: il pronome di II persona riprende e continua la serie aperta ai vv. 9-10; e ancora tuae (v. 16). – Me ... desiliunt tuae: costruisci Me dicente ilicem impositam saxis cavis unde tuae lymphae loquaces desiliunt. – Me dicente: ablativo assoluto di valore causale-temporale. Il poeta vuol dire che in virtù del suo canto anche l’italica fonte di Bandusia (tu quoque) sarà d’ora in poi annoverata fra le sacre fonti della tradizione ellenica, ispiratrici di poesia e a loro volta rese illustri (nobiles) dal canto dei poeti. – cavis ... saxis: lett. «il leccio [o elce] sovrastante le rocce incavate»; ilicem (accusativo di ilex, ilicis, probabilmente un singolare per il plurale) è oggetto di dicente; la collocazione in enjambement dà rilievo all’immagine
1. La fonte di Bandusia cantata da Orazio è una sorgente immaginaria o reale? In questo caso, dove si trovava? 2. L’ode ha una chiara struttura bipartita. Enuncia sinteticamente il contenuto delle due parti, dopo averle identificate, illustrandone i temi e i motivi dominanti. Il componimento si può definire nel complesso unitario? 3. Qual è nella lingua latina la costruzione dell’aggettivo dignus (v. 2)? E del verbo donare (v. 3)? 4. L’ode alla fonte di Bandusia è intessuta di suggestioni letterarie, e d’altra parte di precisi richiami ad antiche tradizioni ed usanze romane e 248
dell’albero (forse più d’uno) che distende i rami frondosi sulla sorgente, proteggendola con la sua fresca ombra. Il participio perfetto impositam (da impoˉno, ĕre, «porre sopra») concorda con ilicem; l’ablativo semplice cavis ... saxis, retto da un verbo composto con in, esprime il complemento di stato in luogo (non manca peraltro chi lo intende come un dativo); è perifrasi per «grotta». – desiliunt: predicato della relativa introdotta da unde, è indicativo presente di desilio, ˉı re (de + salio, lett. «saltare», «balzare giù») che evoca il vivace, sonoro (loquaces) sprizzare e scorrere giù «saltellando» delle acque sorgive. – loquaces: lett. «parlanti», «chiacchierine» (da loquor, loqui). – lymphae ... tuae: soggetto di desiliunt, è un grecismo poetico. La scelta del vocabolo non è casuale: lympha (dal greco nymphe, «ninfa») indica in particolare un’acqua limpida, sorgiva; inoltre è attestato Lymphae in luogo di Nymphae, a designare specialmente le ninfe delle acque (personificazione).
italiche. Distingui nel testo i diversi spunti sui quali è costruita la lirica, facendo seguire all’analisi un breve commento.
Confrontare e interpretare i testi
5. Sebbene il poeta non lo affronti qui in modo del tutto esplicito, l’ultima strofa tocca uno dei temi oraziani per eccellenza, quello dell’immortalità (o quanto meno della perennità) del canto lirico, e più in generale della poesia. Sviluppa questo tema leggendo in particolare almeno l’ode III, 30 [ T22], estendendo ove possibile il discorso ad altri testi e ad altri autori, antichi e/o moderni, a te noti.
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Dialogo con i MODELLI La «limpida gelida fonte» nell’epigramma ellenistico «Come i bucolici, così i poeti di epigrammi non finiscono mai di celebrare la limpida gelida fonte che, spicciando dalla viva roccia su cui si erge un albero alto, offre ristori agli armenti e ai pastori»: così Pasquali in un celebre saggio (Orazio lirico). Si veda, da questi pochi esempi, il grado di raffinata e personale rielaborazione con il quale Orazio sa confrontarsi con i propri modelli.
Ermocreonte (Ant. Pal. IX, 327) Ninfe dell’acqua, trovata una splendida polla, v’offerse Ermocreonte questi doni. Salve! Sempre coi vostri piedini la rorida sede calcate! Fatela colma d’una linfa pura. (trad. di F. M. Pontani)
Anonimo (Ant. Pal. XVI, 227) Abbandonato sull’erba prativa, riposa, viandante, le molli membra dal duro travaglio, dove ammaliato dal pino sarai che lo Zefiro muove, mentre ascolti il frinío delle cicale, e dal pastore dei monti che zufola presso una fonte, sotto un platano folto, nel meriggio. Presto avrai, nel boschetto, dall’aspra canicola scampo. Questo ti dice Ermete: dàgli retta! (trad. di F. M. Pontani)
Anite (Ant. Pal. XVI, 228) Straniero, qui sotto l’olmo, le membra affrante ristora: soave tra le verdi fronde l’aura susurra; gelida bevi l’acqua alla fonte: ristoro gradito nella calura ardente questo è per i viandanti. (trad. di R. Cantarella)
Paesaggio bucolico-sacrale da Pompei. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
Leonida di Taranto (Ant. Pal. XVI, 230) Calda è quest’acqua di forra, di mota erbosa ricolma: attento a te, viandante, non la bere! Fa’ pochi passi e va’ dove pascono in cima i vitelli: presso quel pino dov’è il gregge, un’acqua che tra le rocce ridenti di polle rimormora, fredda più che nordica neve, troverai. (trad. di F. M. Pontani)
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
T 22 Non omnis moriar Carmina III, 30
PERCORSO ANTOLOGICO
LATINO
Nota metrica: asclepiadei minori.
Questo celebre carme congeda il III libro e insieme i primi tre libri delle Odi, pubblicati nel 23 a.C. Composto sullo stesso metro dell’ode a Mecenate che apre il I libro, chiude retrospettivamente in compatta unità la prima raccolta dei Carmina, che certo Orazio doveva allora considerare definitiva. Tema dominante, l’immortalità del canto (unica forma di perenne sopravvivenza concessa agli uomini) che vince il tempo e la morte, insieme al legittimo orgoglio del poeta per la grande opera compiuta. Orazio rivendica un primato, quello di essere stato il fondatore di un genere nuovo, che ancora mancava alla letteratura di Roma: egli per primo (princeps) ha trasferito e ricreato nella lingua latina i modi della lirica greca classica, ispirandosi al «canto eolio» di Saffo e di Alceo (vv. 13-14). La gioia di essere ricordato nel paese natale (vv. 10-12) è un motivo ricorrente nei carmi di commiato, ma Orazio ravviva i consueti cenni autobiografici sottolineando il contrasto fra le proprie umili origini e l’altezza della gloria poetica conquistata (ex humili potens). Mediante un’unica, indimenticabile immagine di ieratica solennità (vv. 8-9), l’immortalità del canto lirico (e della propria fama) viene associata all’immortalità di Roma. Così, nel breve giro di versi dell’ode, il poeta rende plasticamente sensibile, con mirabile concentrazione espressiva, l’innesto della cultura greca sul terreno latino-italico. Orazio assume qui il ruolo sacrale del poeta vates; coerentemente, sul piano della poetica e delle forme, la ricerca si orienta verso i modelli di stile sublime, sopra tutti Pindaro e Simonide [ Dialogo con i modelli, p. 254].
Exegi monumentum aere perennius regalique situ pyramidum altius, quod non imber edax, non Aquilo impotens possit diruere aut innumerabilis 5 annorum series et fuga temporum.
[1-5] Ho innalzato un monumento più duraturo del bronzo e più alto della regale mole delle piramidi, tale che non la pioggia corrosiva, non l’impetuoso Aquilone potranno distruggerlo, né la serie innumerevole degli anni, né la fuga del tempo. Exegi: perfetto indicativo di exı̆go (ex + ago); lett. «ho compiuto», «ho portato a termine». – aere perennius: il comparativo neutro dell’aggettivo perennis, e («che dura per molti anni»; per + annus) concorda con monumentum; l’ablativo aere (da aes, aeris) esprime il termine di paragone. Nel bronzo, materiale nobile e resistente, si forgiavano le statue degli dèi e degli uomini illustri. – regalique... altius: con perfetta simmetria, che scandisce il ritmo solenne dell’esordio, il v. 2 è chiuso da un altro comparativo neutro (altius), pure concordato con monumentum e preceduto dal termine di paragone in ablativo (regali... situ) specificato dal
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genitivo plurale pyramı̆dum. È detta «regale», la «mole» delle piramidi, in quanto notoriamente erano i monumenti funebri dei Faraoni, sovrani dell’antico Egitto. – quod non... possit diruĕre: relativa impropria di valore consecutivo, introdotta dal pronome neutro in accusativo quod, riferito a monumentum. Il predicato singolare possit (diruere) si riferisce a quattro soggetti (imber... Aquilo... series... fuga) introdotti da scandite e perentorie negazioni: l’avverbio non in anafora; le congiunzioni aut... et, con variatio (si ricordi che in frase di significato negativo aut vale «né»). Il verbo diruere (dis + rŭo) significa propriamente «demolire», «ridurre a rovine» (cfr. ruina, ae). – edax: da ĕdo, ĕre («mangiare», «consumare»); perciò «divoratrice», ossia, fuor di metafora, «che corrode», «che disgrega». – Aquilo impotens: l’Aquilone o Borea, freddo e tempestoso vento invernale che spira dal Nord, è detto @ Casa Editrice G.Principato
impotens, «violento», «impetuoso»; lett. «che non sa frenarsi» (cfr. Catullo 8, 9). – innumerabilis annorum: non solo il significato in sé, ma anche la lunghezza delle parole e la posizione in enjambement (vv. 4-5) evocano l’incommensurabile, ininterrotto scorrere del tempo. – fuga temporum: anche «la fuga delle stagioni» (tempora anni) o «dei secoli»; il plurale temporum, che vale a designare le più diverse sequenze temporali, conferisce all’espressione un’indefinita suggestione, dilatata dalla metafora (fuga). Se l’espressione precedente evocava l’immensità del tempo, qui l’accento è posto sulla rapidità della sua inarrestabile corsa. Si osservi ancora la disposizione chiastica, enfatizzata dall’omoteleuto che lega i due genitivi (annorum series... fuga temporum).
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Non omnis moriar, multaque pars mei vitabit Libitinam: usque ego postera crescam laude recens, dum Capitolium scandet cum tacita virgine pontifex. 10 Dicar, qua violens obstrepit Aufidus et qua pauper aquae Daunus agrestium [6-9] Non morirò del tutto, e la più gran parte di me sfuggirà a Libitina: io crescerò continuamente rinnovato nella lode dei posteri, finché salirà al Campidoglio il pontefice con la tacita vergine. Non omnis moriar: lett. «non morirò tutto»; omnis, predicativo del soggetto sottinteso (ego), si può tradurre con un avverbio («interamente», «del tutto»); moriar è futuro di morior, mori, deponente. – multaque pars mei: l’enclitica -que ha valore avversativo («anzi»); pars è soggetto di vitabit (futuro di vito, aˉre; lett. «eviterà»); mei è genitivo del pronome di I persona singolare. – Libitıˉnam: accusativo oggetto di vitabit, è metonimia per «morte». – usque: avverbio da unire sia al futuro crescam, sia all’aggettivo recens. – postera... laude: ablativo di valore causale-strumentale («grazie alla», «per la lode»), dove l’aggettivo postera = posterorum. – recens: «recente» nel senso di «sempre nuovo», «fresco»,
«giovane»; predicativo del soggetto ego, di norma sottinteso, qui espresso in funzione enfatica. – dum... pontifex: costruisci dum pontifex scandet Capitolium cum tacita virgine; proposizione temporale dipendente da crescam. [10-14] E di me si dirà, là dove violento strepita l’Aufido, e dove Dauno povero d’acqua regnò su popoli agresti, che da umili natali divenuto illustre per primo ho trasferito il canto eolio nei ritmi italici. Dicar qua... populorum: mediante due perifrasi atte a designare l’Apulia, ove sorge Venosa, Orazio ricorda qui la terra natale, immaginando che partecipi della gloria conseguita dal figlio. Il motivo ricorre fra gli altri in Virgilio, Properzio e Ovidio. – Dicar: lett. «io sarò detto» = «si dirà di me»; costruzione personale dei verba dicendi con l’infinito (deduxisse). – qua... obstrepit... et qua regnavit: due proposizioni relative introdotte da qua, avverbio di moto per
luogo in anafora, dipendenti da Dicar. – violens... Aufidus: l’Ofanto, fiume a regime torrentizio, e perciò detto violens («violento», «impetuoso») nei periodi di piena, scorre in Apulia, attraversando anche Venosa. Il predicato obstrepit (da obstrĕpo, ĕre, «strepitare», «rumoreggiare») evoca il fragore delle acque; l’aggettivo violens è predicativo del soggetto (Aufidus). – Daunus: re leggendario di una parte della regione àpula, detta Apulia Daunia; secondo il racconto mitico, padre o progenitore di Turno re dei Rùtuli (personaggio di spicco nell’Eneide) e suocero dell’eroe omerico Diomede. A tutt’oggi una parte della Puglia conserva la denominazione di Daunia. – pauper aquae: Dauno è detto «povero d’acqua» in quanto regnava su una terra che altrove Orazio stesso definisce siticulosa («assetata», «sitibonda»; Epodi III, 16). – agrestium... populorum: genitivo plurale retto da regnavit, secondo la costruzione dei verba imperandi in
Nomi e parole degli antichi Monumentum: il sostantivo neutro
monumentum, -i (dalla stessa radice di moneo, memini, mens, memoria) in accezione più ampia di «monumento» nell’italiano corrente, designa tutto ciò che vale a «ricordare», a conservare la memoria di quanto è ritenuto degno di essere tramandato ai posteri, oltre gli angusti termini della vita individuale e delle singole generazioni. In particolare, l’esordio dell’ode ricalca il linguaggio degli artefici (scultori, architetti, ceramisti...) che, terminata la loro opera, ossia un «monumento» artistico, ne rivendicano il merito e vi appongono la sphraghís (in greco, «sigillo»; la «firma»). Formule del tutto analoghe compaiono
anche nelle iscrizioni di carattere politico-militare, dove magistrati e uomini di guerra affidano il ricordo della propria grandezza alla dichiarazione delle imprese compiute. Situs: tra i vari significati del sostantivo maschile situs, -ūs della IV declinazione («sito», «situazione», «posizione», «regione») vi è anche «edificio», «costruzione», che nel contesto dell’ode è appropriata consuetudine tradurre «mole»; altri preferiscono intendere «decrepitezza», «squallore», «disfacimento»; o addirittura «muffa», «ruggine», tutti significati pure attestati, che si sviluppano da quello di «posizione stabile», «immobile». Va detto peraltro che
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qui il confronto con qualcosa che cade in rovina appare inopportuno; altius evoca un’immagine imponente e grandiosa, così che il paragone assume il valore di un superlativo: «l’alta e immobile mole concreta l’impressione della perenne resistenza al tempo» (A. La Penna). Libitīna: Libitina, nome di origine etrusca, era la dea romana dei funerali. Al suo tempio, situato in un bosco sacro presso l’Aventino, dove erano custoditi gli apparati e gli addobbi che servivano alla celebrazione delle esequie, si versava fin dall’età regia un obolo per ogni cerimonia; libitinarii erano detti gli impresari delle pompe funebri.
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
regnavit populorum, ex humili potens, princeps Aeolium carmen ad Italos deduxisse modos. Sume superbiam 15 quaesitam meritis et mihi Delphica lauro cinge volens, Melpomene, comam.
PERCORSO ANTOLOGICO
greco (ad es. basiléuein). – ex humili potens: sott. factus; lett. «da umile [divenuto] grande», «famoso». Il participio-aggettivo potens (da possum) assume qui il valore di clarus atque magnus, in quanto si riferisce alla grandezza poetica e al prestigio che ne deriva. Non è l’unico luogo dell’opera oraziana in cui il poeta rivendica con orgoglio il riscatto dalle sue umili origini; il motivo ricorre in un altro celebre componimento di commiato (Epistulae I, 20, 20-22 [ T27 ONLINE ]). Ma già parecchi anni prima, nell’ancor più famosa satira sesta del I libro, ne riconosceva il merito, prima che a se stesso, a suo padre e all’educazione che gli aveva impartito (Sermones I, 6, 65-88). – princeps... modos: costruisci (Dicar...) princeps deduxisse Aeolium carmen ad modos Italos. – princeps: predicativo del soggetto, da connettere direttamente a deduxisse. Da Lucrezio ai poeti augustei, ricorre insistente nella poesia latina l’aspirazione alla gloria dell’inventor (da invenio, «trovare»; traduce esattamente il greco euretés), ossia dell’«iniziatore», del «fondatore» di un genere nuovo nella letteratura di Roma, mediante la composizione di un’opera degna di emulare i modelli greci. Il motivo del “primato” compare in Lucrezio (I, 922-934), Virgilio (Georgiche II,
173-176 [ T8, cap. 2], Properzio (III, 1, 3-4). – Aeolium carmen: accusativo oggetto di deduxisse. – ad Italos... modos: moto a luogo figurato. «I modi (ritmi, metri) possono dirsi italici (qui latini) solo nel senso che sono ricreati in parole latine, con le loro quantità sillabiche: giacché i metri (indicati altrove anche con numeri) sono greci» (A. La Penna). In ogni caso, è indiscutibile che Orazio abbia operato non un semplice “trapianto” della lirica greca nella lingua latina, ma una ricreazione originale di impronta autenticamente romana; e tuttavia non è fuori luogo aggiungere che almeno per certi aspetti – non secondari – è lecito dire lo stesso della poesia di Catullo. – deduxisse: infinito perfetto di deduco, ĕre (de + duco; «trasportare», «trasferire», «trapiantare»). Secondo altri deducere va inteso nell’accezione di «elaborare con cura» (immagine connessa in origine alla filatura della lana), significato attestato in due luoghi dell’opera oraziana (Sermones II, 1, 4; Epistulae II, 1, 125). [14-16] Prenditi l’orgoglio conquistato con i meriti, e propizia cingimi la chioma, o Melpomene, con il lauro delfico. Sume superbiam: «assumi», «prendi il [giusto] orgoglio»; cioè «siine orgogliosa» (= puoi esserlo, l’hai meritato). Il
poeta rivolge l’invito alla Musa che ha ispirato il suo canto per evitare un’autocelebrazione troppo diretta, ma è ovvio che queste parole sono riferite in realtà a se stesso. Sume (= assume), imperativo che si lega enfaticamente in sequenza allitterante con l’oggetto in accusativo superbiam. – quaesitam meritis: participio congiunto (da quaero, ĕre, «cercare», «chiedere»; quindi «procurarsi», «ottenere»), e ablativo strumentale (meritis): il sintagma vale «meritato». Così il sostantivo superbia, in latino vox media, assume qui il significato pienamente positivo di «giustificata fierezza». – Delphica/ lauro: ablativo strumentale in enjambement di forte spicco; metonimia per la corona d’alloro, premio e simbolo della gloria poetica, detta Delphica in quanto il lauro o alloro era sacro ad Apollo, dio della poesia e della musica. A Delfi nella Focide sorgeva il più celebre santuario dedicato al suo culto. – volens: predicativo del soggetto, il participio-aggettivo volens (da volo, velle; lett. «volente») è termine del linguaggio cultuale che ricorre nelle formule di invocazione alla divinità, cui si chiede di mostrarsi «benigna», «propizia». – Melpomene: qui genericamente Musa della poesia; soltanto nella tradizione posteriore Melpomene verrà associata alla tragedia.
LETTURA e INTERPRETAZIONE Emblemi della grandezza e dell’eternità di Roma
Dum Capitolium/ scandet cum tacita virgine pontifex (vv. 8-9): nel breve spazio di questa frase Orazio ha concentrato i tre più eminenti simboli della grandezza e dell’eternità di Roma: il Pontifex Maximus, il collegio delle Vestali custodi del fuoco sacro, il colle capitolino con il tempio di Giove eretto dai Tarquinii, detto da Livio arcem... imperii caputque rerum («la rocca 252
dell’impero e il capo del mondo»; Ab urbe condita I, 55, 6); a questi potenti emblemi di perennità associa e affida la sopravvivenza della sua opera e di una «gran parte» di sé.
Una processione rituale
Ma di quale cerimonia sacra si tratta? È probabile che si alluda qui genericamente alle solenni processioni rituali cui partecipavano i pontefici e le
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PERCORSO ANTOLOGICO
vergini Vestali (in questo caso virgo, come pontifex, sarebbe un singolare collettivo). D’altra parte non è escluso che Orazio faccia riferimento a una cerimonia particolare, che secondo una tarda testimonianza erudita si svolgeva ogni anno alle Idi di marzo, quando la Virgo o Vestalis Maxima (la Vestale più anziana) saliva al tempio di Giove sul Campidoglio ad implorare dagli dèi la prosperità di Roma; non è certo tuttavia se fosse o meno accompagnata dal pontefice massimo (o comunque da un pontefice).
Potenza evocativa di un verbo
Scandĕre è voce poetica ed elevata per ascendĕre; dalla Via Sacra, donde muovevano i cortei rituali, al tempio di Giove Capitolino la strada saliva in ripido pendìo. La potenza evocativa di questo verbo, atto a raffigurare un’ascesa ritmata («scandita», appunto) da un passo lento e solenne, viene rafforzata dalla collocazione in enjambement, che lo isola in fortissimo rilievo, ma ancor più dall’aggettivo tacita, che pervade tutta la scena di un silenzio ieratico.
Analizzare il testo
1. L’ode, che conclude e congeda i primi tre libri dei Carmina, riveste particolare importanza nell’ambito della raccolta, verosimilmente considerata in quel momento definitiva dall’autore. Ripercorri il testo individuando i concetti fondamentali enunciati dal poeta in merito al significato dell’opera compiuta e della propria esperienza di poeta lirico, sottolineando i termini e le espressioni più rilevanti in tal senso. Dividi poi, per maggiore chiarezza, il testo in sequenze, apponendo a ognuna una breve didascalia esplicativa. 2. In quest’ode, dove Orazio esprime l’ormai raggiunta consapevolezza dell’immortalità della propria opera, occorre soffermarsi in particolare sui vocaboli e sulle immagini che esprimono perennità e durata: quali sono? Come si configura e come dobbiamo interpretare, in riferimento alla visione epicurea dell’autore, l’immortalità, ossia la vittoria sul tempo fugace e sulla morte, di cui qui si parla?
Aeolium carmen
Il «carme» o «canto eolio» (v. 13) designa la lirica dei poeti eolici; dell’Eolia, regione dell’Asia Minore, faceva parte l’isola di Lesbo, dove erano nati Saffo e Alceo e dove era fiorita la loro poesia. In senso stretto, l’espressione potrebbe riferirsi ai sistemi metrici dei poeti di Lesbo: tuttavia, se è vero che prima di Orazio nessun poeta latino aveva usato la strofe alcaica, è pure noto che già Catullo, nei carmi 11 e 51, aveva riprodotto il sistema saffico minore; anche se nel Liber catulliano si tratta di esperimenti isolati, il vanto di Orazio può suonare esagerato. Ma l’affermazione va intesa in un senso molto più esteso e impegnativo, che trascende l’ambito delle forme metriche: Orazio rivendica il merito di aver composto per primo, nel genere lirico, un’opera organica e di ampio respiro (un monumentum) «trasferendo» nella lingua e nella cultura di Roma anche e soprattutto i grandi modelli della lirica greca classica, non solo Saffo e Alceo ma anche, fra gli altri, Pindaro e Anacreonte, senza concentrarsi prevalentemente sulla poesia di età ellenistica come avevano invece fatto Catullo e i neóteroi.
3. È lecito affermare che anche in questo componimento Orazio tocchi il tema civile? Dove, precisamente, e secondo quali modalità? 4. Analizza parola per parola, spiegandone l’esatto significato, la dichiarazione espressa nei vv. 13-14: princeps Aeolium carmen ad Italos/ deduxisse modos. 5. Ricerca nel testo gli aggettivi che rivestono funzione predicativa. 6. Secondo quale costruzione sintattica è impiegato il verbo Dicar (v. 10)? E come si spiega il genitivo agrestium... populorum in dipendenza da regnavit?
Confrontare i testi
7. Confronta l’ode che hai appena letto con altri due componimenti oraziani in cui il poeta affronta il tema della poesia, in modo esplicito o in chiave simbolica: il congedo del primo libro dei Carmina (I, 38) [ T15] e l’ode alla fonte di Bandusia (III, 13) [ T21], avendo cura di evidenziare i motivi dominanti e le dichiarazioni più significative in ciascuno di essi, non senza rilevare analogie e differenze.
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
Dialogo con i MODELLI La parte iniziale dell’ode (vv. 1-5) trae ispirazione da un epinicio (= «canto di vittoria») di Pindaro (Pitiche VI, 10-14), nel quale il poeta greco afferma la superiorità della parola poetica sulle arti figurative. Pindaro si affida completamente a immagini naturalistiche, potenziate dalla metafora dell’«esercito invasore»; Orazio introduce immagini nuove e diverse: quella nuda e monumentale delle piramidi e quella, che ripropone il tema centrale di tutta la sua lirica, della fuga inarrestabile del tempo distruttore. Ma certo in questa perentoria affermazione dell’eternità della poesia risuona anche l’eco di un threnos (= «canto funebre») composto in onore dei caduti delle Termopili da un altro grande poeta greco, Simonide di Ceo, vissuto tra VI e V secolo a.C. (e dunque contemporaneo di Pindaro).
un tesoro d’inni [...] che né pioggia invernale, immite1 esercito invasore di nube tonante, né il vento potranno mai sospingere negli abissi del mare, sotto i colpi di una congerie di melma e di sassi. (Pindaro, Le Pitiche, trad. di B. Gentili, Fondazione Lorenzo Valla A. Mondadori, Milano 1995)
Questa funebre veste non la ruggine, né il tempo oscurerà, che tutto vince. (Simonide, fr. 362 Page, in Lirici greci, trad. di G. Perrotta, Garzanti, Milano 1976)
1. immite: feroce, crudele.
T 23 Pulvis et umbra sumus Carmina IV, 7 LATINO ITALIANO
LETTURA ESPRESSIVA IN LINGUA ITALIANA
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La lirica si apre serenamente su immagini di vitalità e di rinascita: ritorna la primavera (vv. 1-4), accompagnata dal luminoso quadretto mitologico delle Grazie danzanti (vv. 5-6). Ma il grave ammonimento dei versi successivi richiama improvvisamente l’idea del trascorrere del tempo (v. 8) e dell’inesorabilità della morte (v. 7). Al ciclico avvicendarsi delle stagioni (vv. 9-13) corrisponde infatti, in malinconica antitesi, il tempo, lineare e finito, della vita umana (vv. 14-16). Anche il motivo del carpe diem (vv. 17-20), che di solito nella poesia oraziana contrappone un’intensa carica di vitalità al pensiero del tempo e della morte, appare qui solo accennato in pochi e desolati versi. Il ricorso agli exempla illustria, storici e mitologici, ribadisce l’irreversibile caducità della vita umana: Enea, Tullo Ostilio e Anco Marzio (v. 15) non hanno potuto, benché re o eroi, sottrarsi al destino di morte; Diana e Teseo (vv. 25-28), benché solleciti o coraggiosi, non hanno potuto salvare i loro protetti dalla fine; il genus, la facundia e la pietas (vv. 23-24) non restituiranno a Torquato la vita, quando gli occorrerà discendere per i cammini dell’Ade. @ Casa Editrice G.Principato
Danzatrice o baccante, affresco dalla Casa del Cicerone a Pompei, I secolo d.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
PERCORSO ANTOLOGICO
Pindaro e Simonide di Ceo
PERCORSO ANTOLOGICO
Nota metrica: sistema archilocheo secondo, composto di esametri dattilici alternati a trimetri dattilici catalettici in syllabam.
Diffugere nives, redeunt iam gramina campis arboribusque comae; mutat terra vices, et decrescentia ripas flumina praetereunt. 5 Gratia cum Nymphis geminisque sororibus audet ducere nuda choros. Immortalia ne speres, monet annus et almum quae rapit hora diem.
Frigora mitescunt Zephyris, ver proterit aestas interitura, simul pomifer autumnus fruges effuderit, et mox bruma recurrit iners. 10
Damna tamen celeres reparant caelestia lunae: nos ubi decidimus 15 quo pater Aeneas, quo Tullus dives et Ancus, pulvis et umbra sumus.
Svanirono le nevi, tornano già le erbe nei campi, agli alberi le chiome; la terra muta vicenda, e i fiumi decrescendo scorrono fra le rive; 5
la Grazia, con le Ninfe e le sue gemine sorelle, osa guidare ignuda le danze. Ma l’anno e l’ora che rapisce i fecondi giorni, ti ammoniscono a non nutrire speranze immortali.
Il freddo si mitiga agli Zefiri, la primavera 10 cede all’estate che morrà appena il fruttuoso autunno avrà effuso i frutti, e presto torna l’inerte inverno. Il danno del cielo tuttavia riparano veloci lune; noi, come cademmo 15 dov’è il padre Enea, e dove il ricco Tullo e Anco, polvere e ombra siamo.
5. Gratia... sororibus: le tre Grazie (Aglaia, Eufròsine, Talía), dee della bellezza e della gioia serena, compagne di Afrodite. Abitavano, come le Muse, in Olimpo.
9. Zephyris: venti tiepidi che giungono da occidente e annunciano la primavera. 15. Tullus... Ancus: Tullo Ostilio e Anco Marzio, re di Roma, noti il primo per la
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sua ricchezza (dives), il secondo per la mitezza dell’animo.
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
Quis scit an adiciant hodiernae crastina summae tempora di superi? Cuncta manus avidas fugient heredis, amico 20 quae dederis animo. Cum semel occideris et de te splendida Minos fecerit arbitria, non, Torquate, genus, non te facundia, non te restituet pietas. 25 Infernis neque enim tenebris Diana pudicum liberat Hippolytum, nec Lethaea valet Theseus abrumpere caro vincula Pirithoo.
PERCORSO ANTOLOGICO
Chi sa se i superni dèi alla somma dell’oggi vorranno aggiungere il tempo d’un domani? Tutto ciò che avrai concesso al tuo caro cuore, 20 sfuggirà alle avide mani d’un erede. Una volta perito, quando Minosse abbia pronunciato su di te una pur splendida sentenza, la nobile stirpe, o Torquato, la facondia, la pietà, non ti restituiranno alla vita; 25 ché neanche Diana libera dalle tenebre inferne il casto Ippolito, né Teseo riesce a spezzare i ceppi letei a Piritoo suo diletto.
(trad. di L. Canali)
17-18. Quis... superi?: cfr. I, 11 [ T12]. 21. Minos: re di Creta e giudice infernale. 23. Torquate: probabilmente un discendente dell’antica e illustre famiglia dei Manlii, come conferma l’allusione al genus. La facundia testimonia invece della sua valentia di oratore.
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25-26. Diana... Hippolytum: Ippolito, figlio di Teseo, si era votato al culto di Diana e viveva castamente. Fu ingiustamente calunniato dalla matrigna, di cui aveva respinto l’amore, e maledetto dal padre, che lo fece perire con l’aiuto di Poseidone. Secondo una versione del mito, Diana scongiurò inutilmente il dio @ Casa Editrice G.Principato
Esculapio di sottrarlo alla morte. 27-28. Lethaea... Pirithoo: il Lete è il fiume infernale che dà l’oblio; Piritoo, innamorato di Proserpina, discese agli inferi con l’amico Teseo per rapire la dea: catturato, fu messo in catene; Teseo riuscì invece a fuggire e a ritornare sulla terra.
PERCORSO ANTOLOGICO
Dialogo con i MODELLI Pulvis et umbra: dai tragici greci a Catullo L’espressione pulvis et umbra sumus (v. 16) richiama un motivo tradizionale della poesia classica, sviluppato con immagini molto affini già dai poeti tragici: «noi non siamo che parvenza e vana ombra» (Sofocle, Aiace 152); «invece della persona diletta cenere e vana ombra» (Sofocle, Elettra 1158-59); «ogni uomo, una volta che sia morto, è terra ed ombra» (Euripide,
fr. 536 N). E anche in Asclepiade: «nell’Acheronte giaceremo ossa e polvere» (Antologia Palatina V, 85). Rispetto alle sue fonti, Orazio isola e rafforza l’immagine, che diventa il vero centro lirico del componimento. Ma la fonte più esplicita dell’ode sono tre versi di un famoso carme di Catullo (5, 4-6):
Soles occidere et redire possunt: nobis cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua una dormienda.
Orazio riecheggia il passo di Catullo in due luoghi diversi: al v. 14 (nos ubi decidimus) e al v. 21 (Cum semel occideris), proponendo una clausola monosillabica di analoga intensità e suggestione fonica al v. 11 (mox). Va infine considerato che l’intero
componimento è un’evidente ripresa, con significative variazioni, di un’altra ode oraziana (I, 4): secondo una consuetudine tipica della poesia ellenistica Orazio, a dieci anni di distanza dalla precedente raccolta, istituisce un confronto diretto con se stesso.
Le FORME dell’ESPRESSIONE Misura classica e armonia compositiva nell’ode IV, 7 ▰ Perfezione classica della struttura Nella più
bella e più intensa ode del IV libro, i temi tradizionali della poesia oraziana ritornano, modulati in toni più cupi e severi, ma ancor più nobilmente inquadrati nella misura classica ed essenziale delle immagini e nella perfetta struttura architettonica e ritmica del testo. In particolare, in questo componimento Orazio riprende il motivo centrale e numerosi spunti dall’ode “parallela” a Sestio (I, 4 [ T8]), ancora in parte debitrice al gusto alessandrino dei “quadretti” aggraziati e dei vivaci particolari descrittivi; è dunque il poeta stesso a richiedere un confronto tra l’ode giovanile e lo svolgimento più maturo ed essenziale del medesimo motivo.
▰ Perfetto dosaggio di ogni elemento La forza lirica della meditazione scaturisce dal perfetto
dosaggio di ogni elemento. Si osservi, sul piano concettuale e tematico, la concatenazione logicoaffettiva delle immagini: dall’apertura luminosa sul ritorno della primavera (vv. 1-6) al rapido susseguirsi ciclico delle ore e delle stagioni (vv. 7-12), da cui scaturisce il grave ammonimento (Immortalia ne speres...), alla constatazione della finitezza lineare della vita umana (vv. 13-16), al motivo del carpe diem (vv. 17-20), all’inesorabilità della fine (vv. 21-28). Sul piano retorico-sintattico, da notare innanzitutto gli enjambement fortissimi dei vv. 10-11 e 11-12, dove una congiunzione e un avverbio di tempo (simul, v. 10; mox, v. 11) scandiscono ed enfatizzano (si direbbe paradossalmente, con una pausa ritmica) l’inarrestabile fuga del tempo; inoltre, l’uso intensivo delle anafore dislocate nei punti patetici del discorso: quo... quo (v. 15); non... non... non... (v. 23). L’ode, nella sua armonica limpidezza, si avvale infine di una rete di citazioni allusive che amplificano il motivo lirico dominante della morte [ Dialogo con i modelli].
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
T 24 L’età di Augusto Carmina IV, 15 LATINO ITALIANO
Nota metrica: sistema alcaico, composto di due endecasillabi alcaici seguiti da un enneasillabo e da un decasillabo alcaici.
Posto a conclusione del IV libro, e dunque dell’intero ciclo delle Odi, il carme fu composto nell’estate del 13, appena dopo il ritorno di Augusto dalla Spagna e dalla Gallia: il princeps, di cui Orazio nell’ode precedente (IV, 14) celebrava la gloria militare, è ora esaltato come restauratore dell’antica prosperità, garante della pax, vendicatore delle offese partiche, custos rerum (v. 17), e cioè non solo di Roma e d’Italia (comunque privilegiate) ma del mondo intero.
Phoebus volentem proelia me loqui victas et urbis increpuit lyra, ne parva Tyrrhenum per aequor vela darem. Tua, Caesar, aetas 5
fruges et agris rettulit uberes et signa nostro restituit Iovi derepta Parthorum superbis postibus et vacuum duellis Ianum Quirini clausit et ordinem rectum evaganti frena licentiae iniecit emovitque culpas et veteres revocavit artis,
PERCORSO ANTOLOGICO
10
Febo, quando io volevo cantar battaglie e vinte città, mi ammonì sulla lira perché le mie piccole vele non affidassi al mar Tirreno. Ma la tua età, o Cesare, 5
ha riportato ai campi pingui messi e ha restituito al nostro Giove le insegne strappate alle superbe porte dei Parti e ha chiuso il tempio di Giano Quirino
libero da guerre, e alla licenza che sbandava 10 oltre la giusta misura, i freni ha imposto e ha allontanato le colpe e richiamato le antiche usanze,
4. Caesar: Ottaviano Augusto. 6-8. signa... postibus: Augusto recuperò nel 20 a.C. (mediante un’operazione diplomatica e non militare: derepta è dunque una forzatura per dare rilievo
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epico alla spedizione) le insegne perdute in battaglia con i Parti da tre diversi eserciti romani nei decenni precedenti. – duellis: termine arcaico per bellis. 9. Ianum... clausit: il tempio di Giano fu @ Casa Editrice G.Principato
Il cosiddetto “Augusto Bevilacqua”, busto del princeps con la corona civica, età augustea. Monaco, Glyptothek.
chiuso da Augusto in due momenti diversi, una prima volta nel 29, la seconda nel 25; qui, tuttavia, il riferimento è generico e simbolico.
PERCORSO ANTOLOGICO
per quas Latinum nomen et Italae crevere vires famaque et imperi 15 porrecta maiestas ad ortus solis ab Hesperio cubili. Custode rerum Caesare non furor civilis aut vis exiget otium, non ira, quae procudit ensis 20 et miseras inimicat urbis. Non qui profundum Danuvium bibunt edicta rumpent Iulia, non Getae, non Seres infidique Persae, non Tanain prope flumen orti.
con le quali il nome latino e le forze d’Italia sono cresciute e la fama e il prestigio 15 dell’impero si sono estesi dall’esperio giaciglio del sole fin là dov’esso sorge. Fin quando Cesare sarà custode dello stato, né il furore civile o la violenza scacceranno la pace, né l’ira che affila le spade 20 e inimica le infelici città. Non coloro che bevono le acque del profondo Danubio violeranno gli editti giulii, non i Geti, non i Seri o gli infidi Persiani, non coloro che sono nati presso il fiume Tanai.
16. ab Hesperio cubili: immagine preziosa per indicare l’estremo occidente, dove il sole s’inabissava mitologicamente nel sonno. 21-24. Danuvium... Getae... Seres...
Persae... Tanain: sintetica ed elegante galleria di popoli sottomessi a Roma: lungo le rive del Danubio abitavano Daci, Vindèlici e Pannoni; in Tracia, al confine con i Daci, i Geti; nel lontano
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Oriente i Seri; gli Sciti lungo le rive del Tanai (l’odierno Don); i Persiani sono (con variatio onomastica) gli stessi Parti precedentemente indicati.
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
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Nosque et profestis lucibus et sacris inter iocosi munera Liberi cum prole matronisque nostris rite deos prius adprecati
virtute functos more patrum duces 30 Lydis remixto carmine tibiis Troiamque et Anchisen et almae progeniem Veneris canemus. 25
E noi, nei giorni feriali e festivi, fra i doni del giocoso Libero, coi figli e le nostre spose, rivolte prima secondo il rito preghiere agli dèi,
i capi che, alla maniera dei padri, hanno dato prova di valore, con un canto accompagnato da flauti lidii, Troia e Anchise e la progenie dell’alma Venere canteremo.
PERCORSO ANTOLOGICO
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(trad. di V. Cremona) 26. Liberi: Bacco-Dioniso, il dio del vino e del convito.
32. progeniem: da Enea, figlio di Venere e di Anchise e padre di Iulo, si faceva derivare la gens Iulia.
LETTURA e INTERPRETAZIONE Un carme celebrativo
Antichi valori romani e italici
Stile elevato e solenne
Dalla recusatio all’annuncio di un canto civile
A conferma del valore ufficiale e celebrativo dell’ode basti osservare, ai vv. 5, 6, 12, l’uso di tre verbi tipici del linguaggio lapidario ed elogiativo (rettulit... restituit... revocavit), dove il prefisso re- mette l’accento sul carattere conservativo e restauratore dell’operato di Augusto. La solennità del carme è segnalata anche dalla presenza di stilemi elevati ed epicizzanti: allitterazioni e anastrofi (v. 5: fruges et = et fruges), la serie polisindetica illustrante le imprese e i meriti di Augusto (vv. 4-16), la stessa collocazione del nome Caesar fra sostantivo e attributo al v. 4 (Tua, Caesar, aetas), la significativa climax ai vv. 13-15 (che sottolinea l’espansione irresistibile del Latinum nomen oltre le Italae... vires sino alla famaque et imperi... maiestas).
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I temi panegiristici e ufficiali (le lodi del princeps e dell’impero) sono tuttavia inseriti entro un orizzonte più vasto, che abbraccia i valori antichi di Roma (veteres... artis, v. 12) e dell’Italia (Italae... vires, vv. 13-14), i miti etnici originari (vv. 31-32), la poesia stessa (donatrice di immortalità).
In un contesto tematico di tale ampiezza, non sorprende che la lirica, aperta dalla rituale recusatio della poesia epica (vv. 1-4), si concluda con l’annuncio di un canto civile (vv. 25-32). Ma il canto civile di Orazio si orienta in una direzione assai affine a quella intrapresa in quegli stessi anni da Properzio: non canto di gesta ma di origini; celebrazione della pax e non della guerra; recupero delle antiche virtù italiche.
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PERCORSO ANTOLOGICO
T 25 Ad Albio Tibullo: conforti per il poeta malinconico Epistulae I, 4 LATINO
Nota metrica: esametri.
Orazio si rivolge all’amico Albio (con ogni probabilità Albio Tibullo, il poeta elegiaco), che vive appartato nelle sue terre, in regione Pedana. Si delinea il ritratto di un giovane malinconico, incapace di godere dei beni che la fortuna gli ha elargito. Orazio lo immagina mentre erra fra le selve pensoso e solitario; come scrive La Penna, reptare «suscita non solo l’impressione della lentezza e della pigrizia, ma anche dello strisciare furtivo, lontano dagli uomini». Il ritratto prende rilievo dal confronto con l’immagine scherzosa che l’autore dà di se stesso, porcus del gregge di Epicuro (v. 16). Orazio riprende alcuni temi fondamentali della propria poesia (la fugacità del tempo, l’invito al godimento dell’oggi, lo stato di fragilità e di finitezza della vita umana), ponendoli sotto il segno dell’amicizia, tema epicureo per eccellenza.
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Albi, nostrorum sermonum candide iudex, quid nunc te dicam facere in regione Pedana? Scribere quod Cassi Parmensis opuscula vincat, an tacitum silvas inter reptare salubris, curantem quidquid dignum sapiente bonoque est? Non tu corpus eras sine pectore: di tibi formam, di tibi divitias dederunt artemque fruendi.
[1-5] O Albio, giudice sincero delle nostre satire, che cosa posso dire che tu faccia ora nella regione di Pedo? Che tu stia scrivendo un’opera che superi i brevi carmi di Cassio Parmense, oppure che silenzioso ti aggiri fra i boschi salubri, intento a meditare ciò che è degno di un uomo saggio e onesto? Albi... iudex: il vocativo iniziale (del nome Albius) concorda in iperbato con candide iudex, da cui dipendono i genitivi plurali nostrorum (= «delle mie») e sermonum, cioè le Satire, come intendono i più. In tal caso, le espressioni del primo verso alluderebbero forse a giudizi pronunciati da Tibullo in passato; ma, dato che Orazio designa con il termine sermones anche le Epistulae, si potrebbero riferire a queste ultime, e a tempi molto più recenti. – candide: l’aggettivo candidus, che come in italiano indica un «bianco» immacolato e luminoso, per traslato significa anche «sincero», «puro», «leale». È possibile che Orazio abbia inteso costruire un gioco di parole allusivo al nome del destinatario: Albius da albus («bianco»). – quid... facere: dall’interrogativa diretta quid... dicam, congiuntivo dubitativo («che posso», «che debbo dire?») oppure futuro («che cosa dirò?»), con la stessa sfumatura di dubbio, dipende l’infinitiva oggettiva
te... facere. – in regione Pedana: fra Tivoli, Tuscolo e Preneste, non lontano da Roma, dove sorgeva l’antica Pedum, cittadina all’epoca di Orazio già scomparsa. Tibullo, nato forse a Gabii sulla via Prenestina, possedeva terre in quella regione. – Scribere... vincat: sott. dicam te. Dall’infinito Scribere dipende la relativa impropria consecutiva nel modo congiuntivo quod... vincat (lett. «ciò che superi», «qualcosa [tale] da superare»), che ha per oggetto opuscula, specificato dal genitivo Cassi Parmensis. Cassio di Parma partecipò all’uccisione di Cesare; intransigente nemico di Ottaviano, combatté a Filippi nelle file repubblicane, schierandosi quindi con Sesto Pompeo e poi con Antonio. Dopo la battaglia di Azio del 31 non cessò di avversare Ottaviano, che lo fece uccidere ad Atene. È qui citato come autore di elegie e di epigrammi, cui si addice il diminutivo opuscula (che allude a componimenti di esigua ampiezza e di stile tenue), sebbene da una fonte antica gli vengano attribuite anche tragedie; in ogni caso, della sua opera sopravvive un solo verso. – an tacitum... salubris: costruisci an (dicam te) reptare tacitum inter silvas salubris (= salubres); an introduce il secondo membro dell’interrogativa diretta doppia disgiuntiva. L’aggettivo tacitum, accusa@ Casa Editrice G.Principato
tivo, concorda con il soggetto sottinteso dell’infinitiva (te) reptare dipendente da dicam; silvas inter = inter silvas per anastrofe; salubris, accusativo concordante con silvas, sottolinea implicitamente il contrasto fra l’aria pura e salutare della verde campagna e quella malsana della città, ma certo allude anche alla pace della vita appartata nel rus, benefica all’animo. – quidquid: lett. «qualunque cosa che», pronome relativo neutro (quisquis, quidquid); soggetto di dignum... est, predicato nominale. – sapiente bonoque: ablativi retti da dignum. [6-11] Non sei mai stato un corpo senz’anima: gli dèi ti diedero bellezza, ti diedero ricchezze e l’arte di goderne. Che cosa potrebbe augurare di più la cara nutrice al suo dolce figlio di latte, se non che egli possa essere saggio ed [in grado di] esprimere il suo pensiero, e che gli tocchino in abbondanza favore, buon nome, salute, e un decoroso tenore di vita con una borsa non sprovvista? Non... eras: il tempo verbale non implica che ora Tibullo sia mutato; in tal caso il poeta avrebbe impiegato il perfetto, mentre l’imperfetto esprime una condizione che perdura nel presente. Orazio vuol dire che l’amico non era privo, quando lo conobbe, di quelle doti di
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
Quid voveat dulci nutricula maius alumno, qui sapere et fari possit quae sentiat, et cui 10 gratia, fama, valetudo contingat abunde, et mundus victus non deficiente crumina?
PERCORSO ANTOLOGICO
intelligenza e sensibilità che secondo gli antichi albergano nel pectus (noi diremmo «nell’anima») e che tuttora le possiede (= «non eri e non sei»). – di tibi... di tibi: l’enfasi asseverativa dell’anafora è potenziata dalle vistose serie allitteranti (vv. 6-7). – formam: nella breve Vita svetoniana Tibullo è detto insignis forma cultuque corporis observabilis («insigne per bellezza e degno di nota per l’eleganza e la cura della persona»). – divitias: sappiamo che Tibullo era di condizione agiata, sebbene avesse perduto parte delle sue terre in seguito agli espropri di cui beneficiarono i veterani delle guerre civili. – dedĕrunt: la desinenza del perfetto di terza persona plurale con la penultima sillaba breve è un arcaismo dovuto a esigenze metriche. – artemque fruendi: artem, accusativo oggetto, come formam e divitias, di dederunt, regge il gerundio genitivo di fruor, frui, deponente. È la dote più importante, e l’espressione-chiave che segna il passaggio alla seconda parte dell’epistola: senza la «capacità di goderne» (o la volontà di esercitarli) i doni degli dèi sono
vani, come Orazio ricorda in diversi luoghi della sua opera. – Quid... alumno: costruisci Quid maius nutricula voveat dulci alumno. – voveat: congiuntivo presente potenziale di voveo, ˉere («far voti», «augurare»). Nelle neniae che cantavano cullando i lattanti per farli dormire, le nutrici e le madri scongiuravano le forze ostili di tenersi lontane dal piccolo e invocavano per lui un felice avvenire. – dulci... alumno: dativo di vantaggio. Propriamente alumnus designa chi viene «nutrito», «alimentato» (da alo, alĕre): il «lattante», perciò anche il «figlio»; per la balia o nutrice si usava l’espressione «figlio di latte». – nutricula: diminutivo-vezzeggiativo del sermo cotidianus, soggetto di voveat. Intraducibile, richiede in italiano l’ausilio di un aggettivo («cara», «tenera»). – qui... et cui: i due pronomi introducono proposizioni relative improprie dipendenti da voveat nel modo congiuntivo, che alcuni studiosi considerano completive di valore finale (= nisi ut is possit... eique... contingat: così nella nostra traduzione); altri le ritengono proposizioni temporali («quan-
do uno può... e a lui tocchino»), altri infine ipotetiche («se uno può... e se gli tocchino»). – gratia, fama, valetudo: enumerazione per asindeto; gratia non sembra alludere qui esclusivamente allo speciale «favore» dei potenti, ma piuttosto alla felice condizione di chi può contare nella vita sul confortante appoggio di sicure «amicizie»; fama non indica necessariamente una «gloria» eccezionale, ma il «buon nome», una reputazione senza macchia; infine valetudo, vox media, vale ovviamente qui «buona salute». – contingat: il verbo al singolare si riferisce a ben quattro soggetti, enumerati nei vv. 10-11 (gratia, fama, valetudo... victus). – mundus: l’aggettivo significa propriamente «pulito», e per traslato «dignitoso», «decoroso». – non deficiente crumina: ablativo assoluto di valore causale-strumentale; la crumıˉna, altro vocabolo del sermo familiaris (attestato in Plauto), è una piccola borsa che si portava appesa al collo, ed indica per metonimia il denaro in essa contenuto.
Le FORME dell’ESPRESSIONE Collocatio verborum Nei testi oraziani l’attenzione è rivolta in modo particolare alla sapiente collocazione delle parole, che si rivela uno degli espedienti tecnico-stilistici di maggiore efficacia espressiva messi in atto dal poeta.
▰ Omnem crede diem tibi diluxisse supremum (v. 13) In posizione forte, al centro dell’esametro prima della cesura, e ulteriormente enfatizzata dalle espressive allitterazioni, sta diem, la parola-chiave; diluxisse, il verbo che indica precisamente il sorgere del sole e l’inizio del nuovo giorno, evoca con singolare intensità anche a livello fonico e quasi irradia da sé, nelle sillabe centrali, la «luce» (lux) che è fonte concreta e insieme metafora poetica della vita, mentre con l’aggettivo che immediatamente lo segue, supremum («estremo», «ultimo») subentra il pensiero della morte.
▰ Grata superveniet quae non sperabitur hora (v. 14) Anche nel verso successivo la scelta e la 262
collocazione delle parole sono curate con magistrale perizia e straordinaria efficacia: all’inizio e alla fine del verso l’aggettivo (grata, predicativo) e il sostantivo (hora), esprimono la serena felicità conquistata dal saggio e insieme l’accettazione consapevole della brevità e fugacità di ogni cosa umana; al centro, legati dall’allitterazione, i due verbi nel tempo futuro, superveniet («giungerà in sovrappiù», «si aggiungerà») e non sperabitur, in antitesi, mediante la decisa negazione, con spem (v. 12).
▰ Un monito di matrice epicurea In questi tre
versi (12-14) è racchiuso il monito che il poeta rivolge all’amico Tibullo, un vero e proprio Leitmotiv oraziano di chiara matrice epicurea. Già Filodemo di Gàdara, filosofo epicureo e poeta ancora attivo durante la giovinezza di Orazio, aveva scritto che il saggio deve essere «grato per ogni istante raggiunto, come se avesse conseguito una fortuna insperata» (De morte IV, 14).
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PERCORSO ANTOLOGICO
Inter spem curamque, timores inter et iras omnem crede diem tibi diluxisse supremum: grata superveniet, quae non sperabitur, hora. 15 Me pinguem et nitidum bene curata cute vises, cum ridere voles, Epicuri de grege porcum. [12-14] Fra la speranza e gli affanni, fra i timori e le collere, fa conto che ogni giorno spuntato sia per te l’ultimo: gradita si aggiungerà l’ora non sperata. Inter spem... et iras: enumerazione delle passioni che turbano e affliggono la vita; spem e timores si riferiscono al futuro, curam e iras al presente. L’anafora della preposizione inter, che regge l’accusativo, esprime il dibattersi dell’uomo assalito da ogni parte e senza tregua dalle passioni; timores inter = inter timores, per anastrofe. – omnem... supremum: costruisci crede omnem diem diluxisse tibi supremum, lett. «credi che ogni giorno sia spuntato per te [come] ultimo»; supremum è predicativo del soggetto dell’infinitiva oggettiva (omnem...
diem... diluxisse) dipendente da crede. – grata... hora: costruisci hora quae non sperabitur superveniet grata. [15-16] Quando vorrai ridere, verrai a trovare me, grasso e lustro con la pelle ben curata, un porcello del gregge di Epicuro. Me... voles: costruisci cum ridere voles, vises me pinguem et nitidum bene curata cute. – pinguem: habitu corporis... brevis atque obesus («di piccola statura e ben pasciuto») lo dice Svetonio nella Vita Horatii, citando poi una lettera in cui Augusto lo prendeva amichevolmente in giro per il suo aspetto (tibi statura deest, corpusculum non deest, «ti manca la statura, non ti manca la pancia»). Peraltro il biografo ricorda che così Orazio si descriveva da sé
Analizzare il testo
1. Suddividi il testo in sezioni o parti strutturali distinte, assegnando a ciascuna un titolo adeguato, con una breve didascalia esplicativa. 2. Di quali elementi si compone il ritratto del poeta malinconico? Rintraccia e analizza le precise espressioni latine usate da Orazio. 3. Si può definire il componimento un’epistola consolatoria? Spiega per quali motivi, mediante puntuali riferimenti al testo. A quali argomenti ricorre Orazio per porgere conforto all’amico? 4. Individua i vocaboli che appartengono al registro colloquiale del sermo cotidianus o familiaris,
Un giocoso autoritratto Epicuri de grege porcum: la conclusione scherzosa e autoironica dell’epistola è diventata famosa e quasi proverbiale. Ma un’analisi puntuale dei versi 15-16 permette di individuare una complessa rete di richiami e di allusioni: con una movenza tipicamente oraziana il pronome Me (v. 15) si contrappone circolarmente a te (v. 2); all’aura malinconica che pervade il ritratto di Tibullo fa riscontro un autoritratto giocosamente caricaturale modellato sul tipo dell’epicureo “volgare” costruito dagli avversari, dotti e indotti. Particolarmente efficace l’ambiguità dell’espressione de grege: infatti
nelle sue opere (cfr. ad es. Epistulae I, 20, 24 [ T27 ONLINE]). – bene curata cute: ablativo causale che spiega nitidum («lucido», «splendente»). Ma la pelle ben tesa e lustra, grazie alla cura del corpo ma anche per la florida pinguedine, era un tratto caratteristico dell’epicureo dedito ai piaceri materiali, quale se lo raffigurava la gente comune secondo uno stereotipo denigratorio, avallato dai filosofi stoici. – vises: futuro di viso, ĕre (intensivo di video), «visitare»; è cortese formula d’invito. – Epicuri... porcum: nei versi finali la serietà profonda dell’ammonimento filosofico si stempera in uno scherzo affettuosamente autoironico che culmina nella chiusa arguta e inattesa, un vero e proprio aprosdóketon.
commentandoli con riferimento allo stile oraziano dei Sermones (Satire ed Epistole). 5. Anche in questo componimento il poeta fa un uso mirato e intensamente espressivo dell’allitterazione. Individua e commenta i casi più significativi.
Confrontare i testi
6. Grata superveniet quae non sperabitur hora: in quali componimenti oraziani a te noti il poeta esprime, in altri termini, il medesimo concetto?
grex, che designa un «gregge», una «mandria» di animali, è anche termine tecnico per indicare una «scuola», una «setta» filosofica. Quanto a porcum, mentre riprende ed esaspera con spiccato sense of humour l’immagine del poeta «grasso e lustro» (v. 15), non manca di alludere ancora una volta a un luogo comune nella rappresentazione popolare degli epicurei, ossia il paragone con gli animali, e specialmente con i porci. Già Cicerone, in un’orazione pronunciata nel 56, così si rivolgeva all’epicureo Lucio Calpurnio Pisone Cesonino: Epicure noster ex hara producte, non ex schola («o nostro Epicuro, uscito dal porcile, non dalla scuola di filosofia»; In Pisonem 37).
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L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
T 26 Funestus veternus: una malattia dell’anima Epistulae I, 8 LATINO
PERCORSO ANTOLOGICO
ITALIANO
Nota metrica: esametri.
Orazio risponde a Celso Albinovano, amico e poeta che nell’inverno del 21-20 sta accompagnando il giovane Tiberio Nerone (futuro imperatore e successore di Augusto) durante una missione diplomatica in Oriente. La lettera segue lo schema consueto del galateo epistolare: i saluti iniziali all’amico, cui si augura successo e felicità (vv. 1-2); notizie dello scrivente (vv. 3-12); richiesta di informazioni sulla salute e le vicende del destinatario, con l’aggiunta di un precetto finale (vv. 13-17). Il tono è giocosamente solenne: il poeta affida il compito di salutare l’amico alla Musa, che resta mediatrice di ogni messaggio fino al termine dell’epistola. All’interno di questa cornice manierata e cortese, Orazio inserisce una confessione riguardante il proprio abituale stato d’animo, dominato dall’insoddisfazione e dall’irrequietezza, da una sorta di smania e insieme di torpore esistenziale, quel taedium vitae di cui l’epicureo Lucrezio aveva già denunciato le manifestazioni in versi di impressionante forza descrittiva (De rerum natura III, 1046-1070) e che può essere accostato allo spleen di Baudelaire e alla «noia» leopardiana [ Letture parallele, p. 265]. I due avverbi del v. 4 (recte; suaviter) definiscono i due obiettivi diversi, e quasi opposti, delle due maggiori scuole filosofiche del tempo, la rettitudine stoica e il piacere epicureo, considerati fonti di felicità e di benessere spirituale: ma Orazio è costretto ad ammettere il proprio scacco, l’inefficacia della saggezza filosofica nei confronti del suo insidioso malessere, sul quale non sembrano aver potere i fidi medici del v. 9 (sia che di veri medici si tratti, sia, metaforicamente, dei filosofi «medici dell’anima»). Anche per questo suona amaramente ironica la scherzosa esortazione alla misura che conclude l’epistola.
Celso gaudere et bene rem gerere Albinovano Musa rogata refer, comiti scribaeque Neronis. Si quaeret quid agam, dic multa et pulchra minantem vivere nec recte nec suaviter, haud quia grando 5 contuderit vitis oleamve momorderit aestus, nec quia longinquis armentum aegrotet in agris, sed quia mente minus validus quam corpore toto nil audire velim, nil discere, quod levet aegrum; fidis offendar medicis, irascar amicis, 10 cur me funesto properent arcere veterno, quae nocuere sequar, fugiam quae profore credam, Romae Tibur amem, ventosus Tibure Romam. Post haec, ut valeat, quo pacto rem gerat et se, ut placeat iuveni, percontare utque cohorti. 15 Si dicet «recte», primum gaudere, subinde praeceptum auriculis hoc instillare memento: «Ut tu fortunam, sic nos te, Celse, feremus».
2. comiti scribaeque: i comites erano i componenti della cohors al seguito di Tiberio durante la sua spedizione in Oriente. Celso era scriba, cioè segretario personale del futuro imperatore (figliastro di Augusto e figlio di Tiberio Claudio Nerone). 10. veterno: veternus è aggettivo sostantivato (da vetus). Indica uno stato di tor-
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pore caratteristico della vecchiaia, ma anche una sorta di indolenza accidiosa che provoca la paralisi dei centri vitali e una forma di depressione psico-fisica. Cfr. anche Epistole I, 11, 28, dove Orazio parla di strenua... inertia. 12. Tibur: dove Orazio possedeva una villa amatissima. Roma e Tivoli rappresentano due diversi modelli di vita. Si
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osservi l’elegante costruzione chiastica del verso. 17. Ut tu fortunam... feremus: il poeta ammonisce Celso (noto da altri luoghi per la sua presuntuosa vanità) a non insuperbire per il fatto di appartenere alla prestigiosa cohors di Tiberio.
PERCORSO ANTOLOGICO
Musa, ti prego di dire a Celso Albinovano, compagno e segretario di Nerone, di star bene e di passarsela bene. Se ti chiederà che cosa faccio, digli che promettevo di fare molte belle cose e invece non riesco a vivere né bene, né lietamente, non perché la grandine abbia colpito le mie viti e il caldo bruciati gli ulivi, né perché il mio armento giaccia ammalato in luoghi lontani; ma perché meno sano d’animo che di tutto il corpo, non voglio imparare nulla, non voglio ascoltare nulla che possa alleviarmi il male, mi disgustano i fidi medici, mi arrabbio con gli amici perché si danno tanta premura per liberarmi di questo letargo funesto, vado dietro a ciò che mi può nuocere e fuggo ciò che penso mi gioverebbe, e, volubile come il vento, sento la nostalgia di Tivoli, quando sono in Roma, e quella di Roma quando sono a Tivoli. Dopo ciò, domandagli come sta in salute, come attende ai suoi affari e a se stesso e se è entrato nelle grazie del giovane Tiberio e del suo séguito. Se quello dirà che tutto gli va bene, ricordati di congratularti con lui e poi di sussurrargli agli orecchi questo precetto: «Come tu saprai regolarti con la fortuna, così noi, o Celso, ci regoleremo con te». (trad. di A. Gustarelli)
Letture PARALLELE Inquietudine esistenziale e taedium vitae In tutte e due le epistole oraziane che proponiamo (I, 4 e I, 8), è presente il tema dell’inquietudine esistenziale e del taedium vitae. Per un ulteriore approfondimento, si può leggere anche l’epistola I, 11 insieme ad altri passi contenuti in Satire II, 7 (22 sgg. e 111 sgg.) e Epistole I, 1, 97 sgg. Significativo il confronto con il brano
lucreziano già ricordato e con diversi luoghi delle opere filosofico-morali di Seneca (ad esempio De tranquillitate animi 2, 6-15; Epistulae ad Lucilium 2; 28; 69). Il tema godrà di ampia fortuna nella lirica moderna. Scrive Leopardi, in un passo dell’epistola poetica Al conte Carlo Pepoli (78-87):
Altri, quasi a fuggir volto la trista umana sorte, in cangiar terre e climi l’età spendendo, e mari e poggi errando, tutto l’orbe trascorre, ogni confine degli spazi che all’uom negl’infiniti campi del tutto la natura aperse, peregrinando aggiunge. Ahi ahi, s’asside su l’alte prue la negra cura, e sotto ogni clima, ogni ciel, si chiama indarno felicità, vive tristezza e regna. Spleen e Ideale si intitola la prima e fondamentale sezione dei Fiori del male (1857) di Charles Baudelaire, da leggere nella classica traduzione in versi di Luigi de Nardis
T 27
Al suo libro
(Universale Economica Feltrinelli), oppure nella versione in prosa di Attilio Bertolucci (Grandi Libri Garzanti).
Epistulae I, 20
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ONLINE
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LABORATORIO
Nell'officina di Orazio Rectius vives, Licini Carmina II 10
Rectius vives, Lı̆cini, neque altum semper urgendo neque, dum procellas cautus horrescis, nimium premendo 4 litus iniquum.
SINEDDOCHE PER DOMUS
FIGURA ETIMOLOGICA
COSTRUTTO PARALLELO, ANTITESI E OMOTELEUTO
Auream quisquis mediocritatem dilı̆git, tutus caret obsoleti sordibus tecti, caret invidenda 8 sobrius aula.
Saepius ventis agitatur ingens pinus et celsae graviore casu decı̆dunt turres feriuntque summos 12 fulgura montis.
COSTRUTTO SIMMETRICO CON DISPOSIZIONE A CHIASMO DEI DUE AGGETTIVI RISPETTO AL VERBO
POSIZIONE ENFATICA IN CESURA O IN FINE DI VERSO DEGLI AGGETTIVI CHE INDICANO ALTEZZA
Sperat infestis, metuit secundis alteram sortem bene praeparatum pectus. Informis hiemes reduˉcit 16 Iuppiter, idem
summŏvet. Non, si male nunc, et olim sic erit: quondam cithăra tacentem suscitat Musam neque semper arcum 20 tendit Apollo.
VARIATIO TRA IMPERATIVO E FUTURO
COSTRUZIONE A CHIASMO E OMOTELEUTO
Rebus angustis animosus atque fortis appare; sapienter idem contrăhes vento nimium secundo 24 turgida vela.
IPERBATO
ALLITTERAZIONE CHE INTENSIFICA LA METAFORA VITA-VIAGGIO
Vivrai meglio, Licinio, senza spingerti sempre verso l’alto mare, e senza rasentare troppo, mentre cauto temi le tempeste, la costa pericolosa. Chiunque segua l’aurea via di mezzo, si mantiene al sicuro lontano dallo squallore di una casa cadente, lontano nella sua moderazione da un palazzo che desti invidia. Molto spesso l’alto pino è scosso dai venti e le torri elevate crollano con più fragorosa rovina e le folgori colpiscono le cime dei monti. Un animo ben preparato spera nelle situazioni sfavorevoli, teme in quelle favorevoli la sorte contraria. Zeus riporta gli squallidi inverni, lui stesso li ricaccia. Se ora le cose vanno male, non sarà così anche un domani: talvolta con la sua cetra Apollo desta la Musa che tace, e non sempre tende l’arco. Nelle avversità mostrati coraggioso e forte; tu stesso saggiamente ammainerai le vele gonfie per il vento troppo favorevole. 266
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I dati
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Il carme, tratto dal secondo libro delle Odi (II, 10), fu composto probabilmente intorno al 23 a.C.
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Il metro
È la strofe saffica minore, composta da tre endecasillabi saffici e un adonio. Un metro che Orazio dovette prediligere: lo impiega infatti nel Carmen Saeculare e con grande frequenza nei quattro libri delle Odi.
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Le fonti
«Gioisci delle gioie e non affliggerti troppo dei mali: riconosci il ritmo che regola la vita degli uomini» (Archiloco, fr. 128 West) «Ogni persona saggia fugge l’eccesso al pari del difetto, e va sempre in cerca di ciò che sta nel mezzo» (Aristotele, Etica Nicomachea II, 6, 5) Cicerone osserva come gli aristotelici in omnibus fere rebus mediocritatem esse optimam existiment (Tusculanae disputationes IV, 20) [Mediocritas] quae est inter nimium et parum (Cicerone, De officiis I, 25, 89)
Passi paralleli dell'autore
Est modus in rebus, sunt certi denique fines, / quos ultra citraque nequit consistere rectum (Sermones I, 1, 106-107).
Dentro il testo 1
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Il componimento presenta, già al primo verso, un dedicatario, che in questo caso è Licinio Lucio Murena, un altolocato personaggio dell’epoca. È una scelta consueta del poeta? Per ottenere quali effetti? E quali sono i suoi dedicatari privilegiati? Nella prima e nell’ultima strofa ricorre la metafora della navigazione. Ricordi altri testi, antichi o moderni, in cui tale metafora venga riutilizzata?
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Si può parlare, per questo carme, di una composizione ad anello (Ringkomposition)? L’intero componimento vive di immagini concrete, spesso tratte dal mondo della natura, che ravvivano concetti ben noti da tempo alla filosofia morale antica: fai qualche esempio testuale. Procellas (v. 2): si può interpretare anche come «tempeste politiche»? L’epoca in cui vive Orazio lo autorizza? Si può definire un ossimoro l’espressione aurea mediocritas? E può essere considerato un esempio di callida iunctura oraziana? Sapienter (v. 22): «da vero sapiente». Ma Orazio si sarebbe mai definito tale? Ricerca i passi, non solo dei Carmina, in cui Orazio parla del suo rapporto con la saggezza; in particolare leggi, nel secondo libro delle Satire, i brani II, 3, 305-326; II, 6, 1-19; II, 7, 95-115. Le frasi sono costruite secondo il gusto della simmetria e della correlazione. Ad esempio, nella prima strofe: neque altum / semper urgendo neque [...] / nimium premendo litus iniquum. Spesso tali simmetrie esaltano il movimento antitetico del pensiero, come al v. 13: Sperat infestis, metuit secundis.
Oltre il testo
Il classicismo di Orazio significa innanzi tutto saper dialogare con i maestri, utilizzare immagini e concetti già presenti nella letteratura del passato, eppure rinnovarli, rigenerarli. Quali altri poeti, in Roma, avevano già avviato questo percorso? 10 Il latino e il greco fanno uso dei seguenti termini per parlare del «giusto mezzo»: l’aggettivo medius e i sostantivi modus, mediocritas, mesótes, metriótes. E in italiano? Qual è il significato attuale dei termini “mediocre”, “mediocrità”? 11 La cetra e l’arco sono due degli attributi più noti di Apollo: ricerca alcuni episodi della letteratura antica in cui Apollo è protagonista come dio dell’arco o come dio della luce, delle arti e della musica. Comincia dall’episodio iniziale narrato nell’Iliade di Omero. 12 Traduci, facendo uso del vocabolario, le seguenti coppie oppositive: aequuum / iniquuum; sobrius / ebrius; informitas / forma; contrăho / distrăho. 9
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267
L’ETÀ DI AUGUSTO
MAPPA QUINTO ORAZIO FLACCO
65-8 a.C.
Epodi (42-30 a.C.)
• metri giambici • modelli: Archiloco e Callimaco • varietà tematica e stilistica: invettive,
Satire (42-30 a.C.)
• esametri • modello: Lucilio • satire narrative e discorsive • tono medio, talvolta ironico
erotiche, simposiache
poesie civili,
e autoironico, assenza di attacchi ad personam (presenti in Lucilio) • ricerca dell’autarkeia e della metriotes come mezzi per raggiungere la saggezza
• metri vari, in prevalenza metri lirici greci • modelli: Alceo e Saffo, ma anche Pindaro • varietà tematica: poesie religiose, d’amore, Odi libri I-III: (30-23 a.C.) libro IV: (dopo il 17 a.C.)
Epistole libro I: (dopo il 23 a.C.) libro II: (19-13 a.C.)
268
filosofiche, simposiache, civili dello scorrere del tempo e della fugacità della vita • tema del valore della propria poesia • poeta come vates e immortalità della poesia • elogio della vita appartata e ricerca di un angulus, di un luogo ideale • tema del convito come momento di condivisione filosofica e amicizia • celebrazione della grandezza di Roma nelle «odi romane» • stile estremamente curato (labor limae), callida iunctura
• tema
• esametri • forma epistolare in versi • ricerca della saggezza, riflessione
filosofica (I libro in particolare) • elogio della campagna come luogo ideale • temi di critica letteraria (II libro in particolare) • Ars poetica: trattato sulla poesia
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Vero / Falso
1 Indica se ciascuna delle seguenti affermazioni è vera (V) o falsa (F). a. La fonte più autorevole della biografia di Orazio è la Vita di Svetonio b. Orazio nacque nel 65 a.C. a Verona c. Il poeta si recò ad Atene nel 45-44 a completare i suoi studi d. In Grecia Orazio si arruolò nell’esercito dei cesaricidi e. Dopo Filippi poté ritornare a Roma grazie a un’amnistia f. In seguito alla confisca dei suoi beni Orazio si impiegò come coactor g. Vario e Virgilio presentarono Orazio a Mecenate h. Intorno al 33 a.C. Mecenate donò a Orazio la villa sabina i. Nel 17 a.C. il poeta compose il Carmen Saeculare j. Orazio morì nell’8 a.C., due mesi prima di Mecenate
V|F V|F
5. L’Epistula ad Pisones, meglio nota come Ars poetica, è ■ un trattato in esametri sulla poesia ■ un’epistola in distici elegiaci che illustra la poetica oraziana ■ un trattato in metri vari sulla poesia ■ un trattato in esametri sul tema del teatro latino p._____/5
V|F V|F V|F V|F V|F V|F V|F V|F
p._____/10
Quesiti a scelta multipla
2 Indica il completamento corretto. 1. I modelli greci di Orazio negli Epodi sono ■ Archiloco ed Alceo ■ Archiloco e Callimaco ■ Alceo e Pindaro ■ Ipponatte e i poeti alessandrini 2. Il I libro delle Satire fu pubblicato nel ■ 30 a.C. ■ 33 a.C. ■ 35 a.C. ■ 31 a.C. 3. Le “odi romane” sono ■ le prime sei odi del III libro, di argomento civile e celebrativo ■ un corpus di sei odi di argomento politico, pubblicate in appendice ■ le ultime sei odi del IV libro, di argomento civile e celebrativo ■ un ciclo di odi del II libro, dedicate a Ottaviano Augusto 4. Nel IV libro delle Odi si accentua l’interesse per ■ il tema amoroso ■ la ricerca della saggezza ■ i temi civili e nazionali ■ il tema della temporalità
Vero / Falso
3 Indica se ciascuna delle seguenti affermazioni è vera (V) o falsa (F). Nelle Odi...
a. Orazio si dissocia dalla figura del poeta vates b. è dominante la tematica erotica c. ricorre spesso il motivo del ritiro in un angulus appartato d. sono presenti inni alle divinità e. il poeta si ispira soprattutto alla lirica di Saffo f. si delinea un’architettura ricca di simmetrie e rispondenze g. è centrale il motivo della fuga del tempo h. le liriche sono suddivise in due libri i. il poeta si mantiene fedele al precetto del labor limae j. c’è affinità di toni e di stile con le Satire
V|F V|F V|F
V|F
V|F V|F
V|F
V|F V|F V|F
p._____/10 Totale p._____/25
Quesiti a risposta singola
4 Svolgi in breve i seguenti argomenti (max 5/ 10 righe per ciascuno). 1. I concetti-cardine nella ricerca oraziana della saggezza. 2. L’amore nelle liriche di Orazio. 3. La callida iunctura oraziana. Trattazione sintetica
5 Sviluppa le tracce proposte (max 15/20 righe per ciascuna). 1. La figura del poeta nelle Satire. 2. Le Odi e i rapporti con i modelli. 3. Linguaggio e scelte stilistico-espressive nelle opere di Orazio.
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269
Orazio
Verifica finale
Giancarlo Pontiggia Maria Cristina Grandi
Aurea dicta Storia e testi della letteratura latina
3 Dalla prima età imperiale ai regni romano-barbarici
LABORATORI DIDATTICI MAPPE DI SINTESI COMPITI DI REALTÀ NUOVO ESAME DI STATO
Didattica inclusiva
Realtà aumentata
Giancarlo Pontiggia Maria Cristina Grandi
Aurea dicta Storia e testi della letteratura latina
3
LABORATORI DIDATTICI MAPPE DI SINTESI
Dalla prima età imperiale ai regni romano-barbarici
COMPITI DI REALTÀ NUOVO ESAME DI STATO
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Aurea dicta
Exegi monumentum aere perennius
Aurea mediocritas brevitas Aequa mens Miscere utile dulci Fortuna dias in luminis oras Carpe diem
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III
INDICE
1 L’età giulio-claudia Lo scenario temporale
Dal principato di Tiberio alla morte di Nerone (14-68 d.C.)
1 Storia e storiografia dell’età giulio-claudia
2 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 Gli eventi: dal principato di Tiberio a quello di Nerone (14-68 d.C.) sulloscaffale Uno studio su Tiberio; due poemetti di Giovanni Pascoli fontivisive La gemma Claudia
2 5 6
2 Storici e biografi di tendenza senatoria
7
3 Le Historiae di Velleio Patercolo 10 T 1 Elogio di Seiano, homo novus (Historiae II, 127-128) IT 11
4 I Factorum et dictorum memorabilium libri di Valerio Massimo 13 T 2 Clamoroso esempio di ingratitudine (Factorum et dictorum memorabilium libri V, 3, 4)
IT
14
5 Le Historiae Alexandri Magni di Curzio Rufo 16 Gli SCRITTORI e la STORIA La figura di Alessandro nella letteratura antica 16 Curzio Rufo, Storie di Alessandro Magno 18 T 3 In viaggio verso l’oracolo di Giove Ammone (Historiae Alexandri Magni IV, 7, 5-31) LAT IT 19 Letture PARALLELE Alexandros di Pascoli e L’immortale di Borges 23 Bibliografia essenziale 25 Sintesi 25
26
Verifica finale
27
28
PROFILO STORICO
1 Poesia e cultura nell’età giulio-claudia 28 Le nuove forme del dissenso nell’età del principato 30 Spettacoli nel I secolo dell’impero 32
2 La poesia didascalica: Manilio e Germanico 33 T 1 Un solo spirito abita e regge l’universo (Astronomica II, 57-81) IT 34 Dialogo con i MODELLI I Fenomeni di Arato 35
3 Le favole di Fedro 36 T 2 T 3
IV
BIBLIOGRAFIA ESTESA
MAPPA
2 Poesia nell’età giulio-claudia
DOCUMENTI E TESTIMONIANZE • Il processo e la morte di Cremuzio Cordo nei racconti di Seneca e di Tacito
Il genere LETTERARIO La favola 37 La favola del lupo e dell’agnello (Fabulae I, 1)
LAT IT
38
Dialogo con i MODELLI Fedro ed Esopo 40 Un aneddoto di attualità (Fabulae II, 5)
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IT
41
Materiali ONLINE PROFILO STORICO
4 La poesia bucolica: Calpurnio Siculo 42
Calpurnio Siculo, Eclogae 43 T 4 Dall’Ecloga IV: prodigi naturali all’avvento di Nerone (Eclogae IV, 82-116) IT 44 Bucolica Einsidlensia: due ecloghe celebrative di età neroniana 46
5 La poesia erotica: i Priapea 47 6 La poesia satirica: Persio 48 T 5 Una dichiarazione di poetica (Choliambi) LAT IT 49 Le Satire II-VI di Persio: i temi trattati 51 Le FORME dell’ESPRESSIONE Oscurità di Persio: un esempio di iunctura acris 52 Persio nel tempo 54
7 La poesia epica: Lucano 55
PERCORSO ANTOLOGICO
Le opere perdute di Lucano 56 T 6 «Guerre più atroci delle civili»: il proemio (Pharsalia I, 1-7) LAT IT 58 Mundi ruina: il crollo dell’universo nella Pharsalia 62 Lucano nel tempo 65 FEDRO NEL TEMPO COMPITO DI REALTÀ Un mondo di favole molto reali 67 CALPURNIO SICULO NEL TEMPO Lucano, Bellum civile o Pharsalia 67 BIBLIOGRAFIA ESTESA Bibliografia essenziale 69 Sintesi 70
Manilio T 7 Il proemio (Astronomica I, 1-37) T 8 Le influenze zodiacali sulle diverse regioni del corpo (Astronomica II, 448-465)
LAT IT
72
LAT IT
74 ONLINE
Persio T 9 T 10 T 11 T 12
O curas hominum, o quantum est in rebus inane! (Saturae I) Malattie del corpo e malattie dell’animo (Saturae III, 60-118) Elogio del maestro Anneo Cornuto (Saturae V, 1-51) Sulla spiaggia di Luni, d’inverno (Saturae VI, 1-33)
75 75 LAT IT 79 LAT IT 81 LAT IT
ONLINE
LAT IT
ONLINE
Lucano T 13 La quercia ed il fulmine (Pharsalia I, 129-157)
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LAT IT
82
V
PERCORSO ANTOLOGICO
INDICE
1 L’età giulio-claudia
Leggere un TESTO CRITICO Il simbolismo della quercia e del fulmine (E. Narducci) T 14 Macabro rito di necromanzia (Pharsalia VI, 719-729; 750-821) IT Dialogo con i MODELLI Il monologo della maga Erìttone nel Faust di Goethe T 15 Cesare contempla il campo di Farsalo dopo la strage (Pharsalia VII, 786-846) LAT IT T 16 La virtù di Catone (Pharsalia IX, 378-410) LAT IT T 17 «Al nume non occorrono parole» (Pharsalia IX, 544-586) IT Un personaggio contraddittorio: il Catone di Lucano
84 85 89 90 94 95 95
Materiali ONLINE
ONLINE
MAPPA
96
Verifica finale
97
3 Saperi specialistici e cultura enciclopedica nella prima età imperiale
98 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 La prosa tecnica e scientifica nel I secolo d.C. 98 2 Il progetto enciclopedico di Celso 100
La medicina in Roma 100
3 Gastronomia: il De re coquinaria di Apicio 101 T 1 Un piatto di acciughe (De re coquinaria IV, 2, 11)
LAT IT 102
4 Medicina: le Compositiones di Scribonio Largo 103 5 Geografia: la Chorographia di Pomponio Mela 103
Studi geografici e cartografia in Roma 104
6 Agricoltura: il De re rustica di Columella 105 T4 Varie dicerie sui Mani T 2 La crisi dell’agricoltura italica: analisi e proposte (Naturalis historia VII, (De re rustica, praefatio1-4 passim) IT 106 188-190)
7 La Naturalis historia di Plinio il Vecchio 107
T5 Notizie sui lupi (Naturalis historia VIII, 80-84)
Le opere non pervenute di Plinio: un vasto e variegato catalogo 108 DOCUMENTI E T 3 Miracula naturae: le popolazioni dell’India TESTIMONIANZE • Vita e morte di Plinio il (Naturalis historia VII, 21-32 passim) IT 112 Vecchio nelle lettere del
nipote Plinio il Giovane 8 I trattati di Sesto Giulio Frontino, curator aquarum 113
Bibliografia essenziale 115 Sintesi 115
VI
BIBLIOGRAFIA ESTESA
MAPPA
116
Verifica finale
117
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4 Seneca
118 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 La vita e le opere 118
Le opere di Seneca non pervenute 121
2 Filosofia e potere 122 3 La scoperta dell’interiorità 124 4 Le forme del filosofare 126
5 Filosofia e scienza: le Naturales quaestiones 129 Prologhi ed epiloghi delle Naturales quaestiones: una cornice etico-filosofica 129 6 Una satira menippea: l’Apokolokyntosis 130
Un titolo oscuro e variamente decifrato: Apokolokyntosis 131 Il genere LETTERARIO La satira menippea 132
7 Le tragedie 133
PERCORSO ANTOLOGICO
Le tragedie spurie o sospette 133 DOCUMENTI E fontivisive La Medea di Euripide 136 TESTIMONIANZE Seneca nel tempo 137 • La morte di Seneca nel racconto di Tacito Opere filosofiche di Seneca 139 BIBLIOGRAFIA ESTESA Bibliografia essenziale 141 Sintesi 142 T 1 Solo la morte ci rende liberi (Consolatio ad Marciam 19, 3-20, 3) IT 144 T 2 Esempi di ferocia bestiale: Alessandro, Silla, Catilina, Caligola (De ira III, 17-19) LAT IT 146 T 3 L’esame di coscienza (De ira III, 36) LAT IT 146 T 4 Elogio di Claudio (Consolatio ad Polybium 7) LAT IT 147 T 5 Otiosi e occupati (De brevitate vitae 14) LAT IT 147 T 6 Elogio di Nerone (De clementia I, 1) IT 150 Leggere un TESTO CRITICO Seneca e l’utopia stoica del rex iustus (I. Lana) 152 T 7 Beata est vita conveniens naturae suae (De vita beata 3) LAT IT 153 T 8 Taedium vitae e commutatio loci (De tranquillitate animi 2, 13-15) LAT 153 Dialogo con i MODELLI Il motivo del taedium vitae in Lucrezio e in Orazio 155 T 9 L’uso del tempo (Epistulae ad Lucilium 1) LAT 156 @ Casa Editrice G.Principato
ONLINE
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VII
INDICE
1 L’età giulio-claudia
PERCORSO ANTOLOGICO
Materiali ONLINE Le FORME dell’ESPRESSIONE Il linguaggio dell’interiorità 157 T 10 Le letture (Epistulae ad Lucilium 2) LAT IT 159 Leggere un TESTO CRITICO Un tema centrale nelle filosofie ellenistiche: la «cura di sé» (M. Foucault) 161 T 11 Il potere corruttore della folla (Epistulae ad Lucilium 7, 1-5) LAT 162 Vita QUOTIDIANA a ROMA Gli spettacoli circensi nell’epistola 7 a Lucilio 165 Confronti INTERTESTUALI Dalle Confessioni di Agostino: il contagio della folla 166 T 12 La libertà del saggio (Epistulae ad Lucilium 8, 1-7) IT 167 T 13 Cotidie morimur (Epistulae ad Lucilium 24, 17-21) LAT 168 Il dibattito FILOSOFICO I timori delle pene infernali: anche Cicerone confuta Epicuro 171 T 14 Dio è in noi (Epistulae ad Lucilium 41, 1-5) LAT 171 Leggere un TESTO CRITICO Il senso del sacro nei culti di Roma arcaica (R. Bloch) 175 T 15 Anche gli schiavi sono uomini (Epistulae ad Lucilium 47, 1-6; 15-21) IT 176 Seneca, De beneficiis: «Nessuno è escluso dalla virtù» 176 La condizione degli schiavi nel pensiero cristiano delle origini: le lettere degli apostoli 177 T 16 Membra sumus corporis magni (Epistulae ad Lucilium 95, 51-53) LAT 179 T 17 Un’altra nascita ci attende (Epistulae ad Lucilium 102, 21-30) LAT IT 181 T 18 L’epoca della mia prima giovinezza: gli studi filosofici (Epistulae ad Lucilium 108, 1-7; 13-29) IT 181 T 19 Claudio sale in cielo (Apokolokyntosis 5-7, 1) LAT IT 181 T 20 Il furore di Medea (Medea 116-178) LAT IT 184 Leggere un TESTO SCENICO Staticità dell’azione, dinamismo tragico delle parole 188 T 21 Un nefando banchetto (Thyestes 920-1068) IT 189 LABORATORIO
Magni animi est magna contemnere (Epistulae ad Lucilium 39, 4-5)
ONLINE ONLINE
192
MAPPA
194
Verifica finale
195
5 Il Satyricon di Petronio
196 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 L’autore e l’opera 196
2 Il Satyricon 198 La questione petroniana 198 Satyricon: che cosa significa questo titolo? 199 3 Il problema del genere e i modelli 201 Il genere LETTERARIO Il romanzo antico 202
4 Struttura del romanzo e strategie narrative 204
Leggere un TESTO CRITICO Nam Daedalus vocatur (P. Fedeli) 205 Leggere un TESTO CRITICO Soggettivismo e obiettività: un’illusione di vita concreta nello «specchio doppio» della narrazione (E. Auerbach) 207 Ambiguità prospettica del Satyricon: le discussioni letterarie 208
5 Realismo mimetico ed effetti di pluristilismo 209 Bibliografia essenziale Il Satyricon nel tempo Sintesi
VIII
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210 211 212
DOCUMENTI E TESTIMONIANZE • Ritratto di Petronio (Tacito) • Il Satyricon di Des Esseintes (Huysmans) BIBLIOGRAFIA ESTESA
PERCORSO ANTOLOGICO
Materiali ONLINE T 1 Una disputa de causis corruptae eloquentiae (Satyricon 1-4) IT 213 T 2 Cena Trimalchionis: l’ingresso di Trimalchione (Satyricon 32-34) LAT IT 216 I conviti di Nerone in Svetonio e la Cena del Satyricon 221 T 3 Cena Trimalchionis: il lupo mannaro e altre storie (Satyricon 61-64) LAT IT 221 T 4 Cena Trimalchionis: conclusione e fuga (Satyricon 75-78) IT 226 T 5 La novella della matrona di Efeso (Satyricon 110, 6-113, 2) IT 229 Dialogo con i MODELLI Un racconto filosofico di Voltaire: Zadig 231 T 6 La città rovesciata: Crotone (Satyricon 116) LAT IT 232 Le FORME dell’ESPRESSIONE Il discorso del villico 232 Leggere un TESTO CRITICO Una chiave di lettura per l’episodio di Crotone: la legge dell’inversione (P. Fedeli) 234 T 7 Contro l’epica storica (Satyricon 118) IT 235 ONLINE T 8 Un’ambigua dichiarazione di poetica (Satyricon 132, 15) LAT IT 235 ONLINE T 9 Una suasoria antropofagica (Satyricon 141) LAT IT 235 LABORATORIO
Dum versas te, nox fit (Satyricon 41, 9-12)
236
MAPPA
237
Verifica finale
238
2 L’età dei Flavi e di Traiano Lo scenario temporale
Dall’anno dei quattro imperatori alla morte di Traiano (69-117 d.C.)
6 Società e cultura nell’età dei Flavi e di Traiano
240 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 Gli avvenimenti 240 2 I prìncipi e la cultura 244
Fine del mecenatismo nell’età dei Flavi 245
3 Grammatici e filologi nel I secolo d.C. 247
Grammatici della prima età imperiale: Remmio Palèmone, Asconio Pediano, Valerio Probo 248
4 Quintiliano 249
Institutio oratoria Struttura e contenuti dell’opera: i dodici libri 250 T 1 Vantaggi della scuola pubblica (Institutio oratoria I, 2, 17-22) IT 251 T 2 Lo stile corruttore di Seneca (Institutio oratoria X, 1, 125-131) LAT IT 253 Quintiliano nel tempo 256 Bibliografia essenziale 256 Sintesi 257
T3 Il valore formativo delle letture (Institutio oratoria I, 8, 1-5) BIBLIOGRAFIA ESTESA
MAPPA
258
Verifica finale
259
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IX
INDICE
2 L’età dei Flavi e di Traiano
7 Epica nell’età dei Flavi
260 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 Stazio 260 fontivisive Un mondo prezioso ed elegante T 1 Invocazione al Sonno (Silvae V, 4) LAT IT Tebaide Riassunto del poema fontivisive Achille e Chirone T 2 Dal proemio della Tebaide (Thebais I, 1-4) LAT IT Achilleide Riassunto del “frammento”: i versi scritti (libro I; libro II, incompleto)
262 262 264 266 266 268
2 Gli Argonautica di Valerio Flacco 270 Argonautica Riassunto del poema 270 T 3 Dal proemio delle Argonautiche (Argonautica I, 1-4) LAT IT 271
PERCORSO ANTOLOGICO
3 I Punica di Silio Italico 273 Punica Riassunto del poema 274 Bibliografia essenziale 276 Sintesi 276
BIBLIOGRAFIA ESTESA
T 4 Il duello mortale fra Eteocle e Polinice (Thebais XI, 518-579) LAT IT 277 T 5 Il dissidio interiore di Medea (Argonautica VII, 305-326) IT 281 T 6 La traversata delle Alpi (Punica III, 477-534) IT 282 MAPPA
284
Verifica finale
285
8 Marziale e la poesia epigrammatica
286 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 La vita e le opere 286 T 1
Istituzioni ROMANE I Saturnali 289 fontivisive Preziose suppellettili 289 Doni preziosi e doni umili (Apophoreta 97; 98)
LAT IT
290
Il genere LETTERARIO L’epigramma in Grecia e in Roma 291 fontivisive Un cruento spettacolo 292
2 La poetica 292 T 2 Hominem pagina nostra sapit (Epigrammata X, 4) T 3 Lasciva est nobis pagina, vita proba (Epigrammata I, 4)
LAT IT LAT IT
293 295
3 Aspetti della poesia di Marziale 296 4 La tecnica e lo stile 297 Marziale nel tempo Bibliografia essenziale 300 Sintesi 300
X
@ Casa Editrice G.Principato
299
DOCUMENTI E TESTIMONIANZE • Ricordo di Marziale (Plinio il Giovane) BIBLIOGRAFIA ESTESA
PERCORSO ANTOLOGICO
T 4 T 5 T 6 T 7 T 8 T 9 T 10 T 11 T 12
La vita a Bilbili (Epigrammata XII, 18) LAT IT Spettacoli: la sfilata dei delatori (Liber de spectaculis 4) LAT IT Spettacoli: un cruento pantomimo (Liber de spectaculis 7) LAT IT Spettacoli: i ludi venatorii (Liber de spectaculis 13) LAT IT Spettacoli: una naumachia (Liber de spectaculis 24) LAT IT Epigrammi satirici (Epigrammata I, 10; I, 47; II, 38; VIII, 10; X, 8; X, 91) LAT IT Leggere un TESTO CRITICO Il realismo di Marziale (M. Citroni) Quadri di vita romana: lo sfratto di Vacerra (Epigrammata XII, 32) LAT IT Dialogo con i MODELLI Carlo Emilio Gadda e Marziale: il trasloco della signora Inzaghi Epigrammi funebri (Epigrammata V, 34 e 37) LAT IT Nuovi spettacoli: il pugnale di ghiaccio (Epigrammata IV, 18) LAT IT
302 303 304 305 305 306 307 308
Materiali ONLINE
ONLINE ONLINE
310 311 313
MAPPA
314
Verifica finale
315
9 La satira di Giovenale
316 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 La vita 316
2 La poetica dell’indignatio 318 T 1 Facit indignatio versum (Saturae I, 63-80) LAT IT 318 Il genere LETTERARIO Una satira “tragica”? 320
3 Aspetti delle Satire di Giovenale 321 Le Saturae di Giovenale 322 4 Lingua e stile 324 Giovenale nel tempo Bibliografia essenziale 326 Sintesi 326
@ Casa Editrice G.Principato
325 BIBLIOGRAFIA ESTESA
XI
PERCORSO ANTOLOGICO
INDICE
2 L’età dei Flavi e di Traiano
T 2 Una satira programmatica: Facit indignatio versum (Saturae I, 1-87; 147-171) LAT IT T 3 La ridda infernale nelle strade di Roma (Saturae III, 232-267) LAT IT Leggere un TESTO CRITICO Una poetica della deformazione (I. Lana) T 4 Ritratti di donne: la letterata saccente e la dama che si fa bella (Saturae VI, 434-473) LAT IT Letture PARALLELE Accenti misogini in Lucrezio e in Carlo Emilio Gadda T 5 Panem et circenses (Saturae X, 56-107) LAT IT
Materiali ONLINE 327 327 330 331 333 333
ONLINE
ONLINE
MAPPA
334
Verifica finale
335
10 Le epistole di Plinio il Giovane
336 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 La vita e le opere 336
2 Il Panegirico di Traiano 338 T 1 Inviando a un amico il Panegirico di Traiano (Epistulae III, 13)
IT
338
3 L’Epistolario 339
T 2 Dalla villa in Tuscis: la mia giornata-tipo (Epistulae IX, 36) IT 340 fontivisive La villa in Tuscis 341
4 Il carteggio Plinio-Traiano 342
5 Lo stile e i modelli delle Epistole 342
PERCORSO ANTOLOGICO
Plinio il Giovane nel tempo Bibliografia essenziale 344 Sintesi 344
XII
T 3 Un rito mondano: le recitationes (Epistulae I, 13) LAT IT T 4 Le fonti del Clitumno (Epistulae VIII, 8) LAT IT T 5 Elogio di Traiano, il migliore degli imperatori possibili (Panegyricus Traiano imperatori 64) LAT IT T 6 Carteggio Plinio-Traiano: due lettere sui cristiani d’Asia (Epistulae X, 96-97) IT
343
BIBLIOGRAFIA ESTESA
345 345
ONLINE
347
ONLINE
348
MAPPA
350
Verifica finale
351
@ Casa Editrice G.Principato
11 La storiografia di Tacito
352 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 La vita e le opere 352
2 Il Dialogus de oratoribus 355 Dialogus de oratoribus Struttura e contenuti dell’opera 355
3 Le monografie: Agricola e Germania 356 Agricola Struttura e contenuti dell’opera 357 Germania Struttura e contenuti dell’opera 359 Le FIGURE e gli EVENTI della STORIA I Germani e Roma 360
4 Le Historiae e gli Annales 361 DOCUMENTI E Historiae Struttura e contenuti dell’opera 362 TESTIMONIANZE • Plinio scrive a Tacito: Annales Struttura e contenuti dell’opera 363 5 Principato e libertà: realismo politico e giudizio morale 364 6 Una visione problematica della storia e della storiografia 365 7 Lingua e stile 369 Tacito nel tempo Bibliografia essenziale
370 372
COMPITO DI REALTÀ L’immagine del nemico e dello straniero Sintesi
373 374
due lettere
LETTURE PARALLELE • Due testi di G. Leopardi: Del sole, Saggio sopra gli errori popolari degli antichi IX, passim; Canzone Ad Angelo Mai, vv. 76-105 BIBLIOGRAFIA ESTESA
PERCORSO ANTOLOGICO
T 1 T 2 T 3 T 4 T 5
L’antica fiamma dell’eloquenza (Dialogus de oratoribus 36) LAT IT 376 Il proemio (Agricola 1-3) LAT IT 378 L’anti-eroismo esemplare di Agricola (Agricola 42) LAT IT 380 I confini della Germania (Germania 1) LAT 382 Autoctonia, origine e divisione del popolo germanico (Germania 2) LAT 384 Nomi e parole degli antichi Germania, Germani 384 Le FIGURE del MITO Genealogia mitica dei Germani secondo Tacito 388 T 6 Purezza della stirpe germanica (Germania 4) LAT 389 Leggere un TESTO CRITICO Arbitrarie interpretazioni del testo tacitiano (L. Canfora) 391 T 7 Natura e risorse del territorio germanico (Germania 5) LAT 393 T 8 La consegna delle armi e il comitatus (Germania 13) LAT 397 T 9 Passione dei Germani per la guerra (Germania 14) LAT 400 T 10 Fierezza e integrità delle donne germaniche (Germania 18-19) LAT IT 403 Leggere un TESTO CRITICO La Germania di Tacito: una meditazione sulle perdute virtù di Roma (A. Michel) 405 T 11 Un popolo di navigatori: i Suioni (Germania 44) LAT IT 406 ONLINE T 12 Il mare immoto e l’ambra (Germania 45) LAT 406 Nomi e parole degli antichi I nomi dell’ambra 408 I LUOGHI dell’ANTICO Tra indagine geografica e immaginazione favolosa: il mare glaciale e l’ultima Thule 410 Due epigrammi di Marziale 414 Le FIGURE del MITO «Si ode il suono del sole che sorge…» 414 T 13 Notizie dai confini del mondo (Germania 46) LAT IT 416 T 14 Il proemio (Historiae I, 1-3) LAT IT 418
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XIII
INDICE
PERCORSO ANTOLOGICO
T 15 T 16 T 17 T 18 T 19 T 20 T 21 T 22
2 L’età dei Flavi e di Traiano
Discorso di Galba a Pisone (Historiae I, 16) IT Il degrado morale del popolo romano (Historiae III, 83) LAT IT Morte ingloriosa di Vitellio (Historiae III, 84, 4-85) IT Gli SCRITTORI e la STORIA La morte di Vitellio nella Vita di Svetonio Sine ira et studio: dal proemio degli Annales (Annales I, 2-3) LAT IT Doppiezza di Tiberio e servilismo dei senatori (Annales I, 7-12 passim) IT Infelicità dello storico moderno (Annales IV, 32-33) LAT IT La morte di Britannico (Annales XIII, 14-16) LAT IT Il matricidio (Annales XIV, 3-10) LAT IT LABORATORIO
421 422 423 424 425 425 428 429 429
Materiali ONLINE
ONLINE ONLINE
430
Discorso di Galba alle truppe (Historiae I, 18)
MAPPA
432
Verifica finale
433
12 Le biografie di Svetonio
434 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 La vita e le opere 434
2 De viris illustribus 436
Le perdute opere erudite di Svetonio 436 T 1 Erudizione e compilazione: la biografia del grammatico Aurelio Opilio (De grammaticis et rhetoribus 6) IT 437 DOCUMENTI E
3 De vita Caesarum 437 TESTIMONIANZE
PERCORSO ANTOLOGICO
T 2 Per tempora / per species: Svetonio parla del suo metodo di lavoro (Vita Augusti 9,1; 61,1) Bibliografia essenziale 440 Sintesi 440
XIV
T 3 T 4 T 5
IT
438
Regalità e divinità in Caligola (De vita Caesarum IV, 22) IT Nomi e parole degli antichi I soprannomi di Caligola Dialogo con i MODELLI Il Caligola di Camus Ritratto di Caligola (De vita Caesarum IV, 50) LAT IT Morte e sepoltura di Caligola (De vita Caesarum IV, 58-59) LAT IT
441 442 443 445 447
• Plinio, in una lettera, parla di Svetonio
BIBLIOGRAFIA ESTESA
MAPPA
449
Verifica finale
450
@ Casa Editrice G.Principato
3 L’età di Adriano e degli Antonini Lo scenario temporale
Dal principato di Adriano alla morte di Commodo (117-192 d.C.)
13 Società e cultura nell’età di Adriano e degli Antonini
452 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 Il «secolo d’oro» dell’impero 452 I LUOGHI dell’ANTICO Villa Adriana 454
2 Seconda Sofistica e tendenze arcaizzanti 456 3 Floro retore, storico e poeta 458
Epitoma de Tito Livio 458
4 I poetae novelli 459 I poetae novelli: le personalità e le opere 459 5 Frontone 460
L’epistolario di Frontone 462
6 Le Notti attiche di Aulo Gellio 463
PERCORSO ANTOLOGICO
Bibliografia essenziale 465 Sintesi 466
BIBLIOGRAFIA ESTESA
Poetae novelli T 1 Un nuovo gusto poetico LAT IT 467 sulloscaffale Marguerite Yourcenar Memorie di Adriano 469
Frontone T 2 Feroci giudizi sullo stile di Seneca e di Lucano (De orationibus 1-7) T 3 Sullo stile (Epistulae ad Marcum Caesarem IV, 3, 1-3) T 4 Elogio del fumo e della polvere (Laudes fumi et pulveris)
469 472 LAT IT 472
ONLINE
472 473
ONLINE
LAT IT LAT IT
ONLINE
Aulo Gellio T 5 La lettera h (Noctes Atticae II, 3) T 6 Indice del libro IX (Noctes Atticae, praefatio)
LAT IT LAT IT
MAPPA
474
Verifica finale
475
@ Casa Editrice G.Principato
XV
INDICE
3 L’età di Adriano e degli Antonini
14 Apuleio
476 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 La vita e le opere 476
Apuleio enciclopedico e multiforme: opere perdute, spurie o dubbie 478
2 Eloquenza e filosofia 479 Apologia: struttura e contenuti 479 T 1 Magia e filosofia (Apologia 27) IT 480 Opere filosofiche di Apuleio 482 LEGGERE UN TESTO 3 Le Metamorfosi ovvero L’asino d’oro 483 CRITICO
PERCORSO ANTOLOGICO
Il genere LETTERARIO Reductio ad fabulam 484 • R.E. Witt, Diffusione Apuleio nel tempo 490 del culto di Iside nel Mediterraneo Le Metamorfosi ovvero L’asino d’oro 492 BIBLIOGRAFIA ESTESA Bibliografia essenziale 493 Sintesi 494
T 2 Prologo dell’opera (Metamorphoseon I, 1) LAT IT T 3 Storia di Telifrone (Metamorphoseon II, 19-30) IT Leggere un TESTO CRITICO Lector, intende: laetaberis (G.F. Gianotti) T 4 Metamorfosi di Lucio in asino (Metamorphoseon III, 21-25) LAT IT Le FORME dell’ESPRESSIONE Come Apuleio descrive le due metamorfosi sulloscaffale Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov T 5 La novella di Amore e Psiche (1) (Metamorphoseon IV, 28-V, 20) IT T 6 La novella di Amore e Psiche (2) (Metamorphoseon V, 21-23) LAT IT sulloscaffale Mario l’epicureo di Walter Pater T 7 La novella di Amore e Psiche (3) (Metamorphoseon V, 24-VI, 24) IT T 8 Peripezie di Lucio-asino: la contesa fra l’ortolano e il soldato (Metamorphoseon IX, 39-42) IT T 9 Apparizione di Iside (Metamorphoseon XI, 1-7) IT Dialogo con i MODELLI Dalla Venus lucreziana alla Regina della Notte T 10 Nuova metamorfosi di Lucio e discorso del sacerdote di Iside (Metamorphoseon XI, 13-15) LAT IT sulloscaffale Il manoscritto trovato a Saragozza di Jan Potocki LABORATORIO
XVI
La prima metamorfosi di Lucio (Metamorphoseon III, 24)
495 496 497 497 500 502 502 503 504 507
ONLINE
ONLINE
ONLINE
507 510 514 515 518 519
MAPPA
521
Verifica finale
522
@ Casa Editrice G.Principato
4 Dalla crisi dell’impero alla fine del mondo antico Lo scenario temporale
Da Settimio Severo ai regni romano-barbarici (193-secolo VI d.C.)
15 La crisi dell’impero e la cultura pagana del III secolo
524 Materiali ONLINE
1 La crisi politica, sociale e spirituale dell’impero 524
Marco Aurelio «A se stesso» 526 fontivisive La famiglia imperiale 527 fontivisive I Tetrarchi 529
2 Filosofia e religione nell’età della crisi 530 Il Corpus Hermeticum e gli Oracoli caldaici 531 Vita e opere di Plotino 532 3 Poeti pagani del III secolo 533 4 Giuristi, eruditi e grammatici 535 Bibliografia essenziale 537 Sintesi 537
BIBLIOGRAFIA ESTESA
MAPPA
538
Verifica finale
539
16 Le nuove forme della letteratura cristiana
540 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 Nascita della letteratura cristiana latina 540 2 Le traduzioni della Bibbia 541 Le FORME dell’ESPRESSIONE Caratteri del latino cristiano 542
3 Le testimonianze: Atti e Passioni dei Martiri; Vite dei Santi; Confessioni; Racconti di pellegrinaggio 544
T 1 Un processo contro i cristiani (Acta Martyrum Scilitanorum) IT 544 Un caso di renitenza alla leva: gli Acta Maximiliani 546 Il genere LETTERARIO L’autobiografia cristiana 547
4 Il testo apologetico 548 5 La letteratura esegetica: il commento ai testi sacri 549 T 2 L’interpretazione figurale (Paolo, I Corinthiis 10, 1-13)
@ Casa Editrice G.Principato
IT
550
XVII
INDICE
4 Dalla crisi dell’impero alla fine del mondo antico
PROFILO STORICO
Materiali ONLINE
6 Riconversione delle forme tradizionali: epistolografia, oratoria, storiografia 552 Il genere LETTERARIO Le forme della storiografia cristiana 553
7 La poesia 554
LABORATORIO • Un passo dall’Apocalisse di Giovanni: «La grande meretrice»
Carmen de ave Phoenice 555 BIBLIOGRAFIA ESTESA Bibliografia essenziale 558 Sintesi 559 MAPPA
560
Verifica finale
561
17 Scrittori cristiani fra II e IV secolo
562 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 Un dialogo “ciceroniano”: l’Octavius di Minucio Felice 562 2 L’energia morale e dottrinale di Tertulliano 564 L’Apologeticum di Tertulliano 565
3 Un martire della Chiesa: Cipriano, vescovo di Cartagine 567 Le FIGURE e gli EVENTI della STORIA La persecuzione di Decio 568
4 Il pessimismo eterodosso di Arnobio 569 5 L’umanesimo cristiano di Lattanzio 570 6 Due opposti modelli di poesia cristiana: Commodiano e Giovenco 571 T 1 Evangeliorum libri (Praefatio 1-27)
IT
572
7 L’intolleranza di Firmico Materno 574 8 Ilario di Poitiers e la questione ariana 574
Una controversia teologica: la questione ariana 575
9 Mario Vittorino, da retore pagano a scrittore cristiano 576 10 Un grande “successo” del IV secolo: la Vita di Antonio di Atanasio tradotta da Evagrio di Antiochia 577 Bibliografia essenziale 579 Sintesi 580
DOCUMENTI E TESTIMONIANZE • Il martirio di Cipriano nella testimonianza del diacono Ponzio • Dalle Confessioni di Sant’Agostino: Simpliciano narra la conversione di Mario Vittorino • Dalle Confessioni di Sant’Agostino: sconvolgimenti e risoluzioni prodotti dalla lettura della Vita di Antonio LETTURE PARALLELE • Des Esseintes legge il De cultu feminarum di Tertulliano (Huysmans) BIBLIOGRAFIA ESTESA
Minucio Felice
T 2 Parla il pagano Cecilio: dicerie infamanti sui cristiani (Octavius 9, 3-7) IT 582 fontivisive Un graffito ingiurioso 583 T 3 Parla il pagano Cecilio: attratti dalle vuote speranze di una salvezza futura, i cristiani si astengono dai piaceri terreni (Octavius 12) IT 584 ONLINE
XVIII
@ Casa Editrice G.Principato
PERCORSO ANTOLOGICO
T 4 Un ribaltamento di prospettive: i poveri sono i più vicini alla saggezza (Octavius 16, 5-6) LAT IT 584 T 5 Roma, città empia e brutale (Octavius 25, 1-7) IT 584
Materiali ONLINE ONLINE ONLINE
Tertulliano T 6 I paradossi giuridici dei tribunali pagani (Apologeticum 2) IT T 7 Uno spettacolo grandioso e definitivo: il Giudizio universale (Liber de spectaculis 30) LAT IT T 8 Contro gli ornamenti femminili (De cultu feminarum I, 1, 1-2) LAT IT T 9 Quod infingitur, diaboli negotium est (De cultu feminarum II, 5, 1-5) LAT IT
584 587 587 588
ONLINE
ONLINE
Cipriano T 10 Lettera sui lapsi (Epistulae 34) IT 588
Arnobio T 11 La condizione umana (Adversus nationes II, 16-19)
LAT IT
590
ONLINE
Lattanzio T 12 La retorica al servizio della verità (Divinae institutiones V, 1, 10-21) LAT IT 590 ONLINE T 13 Dio punisce chi perseguita i cristiani: la morte di Valeriano (De mortibus persecutorum 5) IT 590 ONLINE
Commodiano T 14 Il Giudizio universale (Carmen apologeticum 1001-1040)
LAT IT
591
LAT IT
593
ONLINE
LAT IT
593
ONLINE
LAT IT
594
Firmico Materno T 15 Imperatori, perseguitate il paganesimo! (De errore profanarum religionum 28, 12-13; 29)
Ilario di Poitiers T 16 Alla ricerca di Dio (De Trinitate I, 1-5)
Vita Antonii T 17 Antonio e i filosofi (Vita Antonii 72-73) MAPPA
596
Verifica finale
597
18 La rinascita della cultura pagana
598 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 La cultura pagana del IV secolo 598
Difesa e recupero dei classici latini 600
2 La poesia: Optaziano Porfirio, Tiberiano, Pervigilium Veneris, De rosis nascentibus, Naucellio, Avieno, Aviano 601 T 1 «Sfogliando i dotti libri degli antichi» (Epigrammata Bobiensia 5)
IT
603
3 Ausonio di Bordeaux 604
fontivisive Simboli del potere 604 Opere varie di Ausonio 605
4 Oratoria ed epistolografia: Simmaco 606
Opere di Simmaco: orazioni ed epistole 607
5 I Panegyrici Latini 608 Il genere LETTERARIO Evoluzione del termine «panegirico» 608
6 Storici e biografi 609
@ Casa Editrice G.Principato
XIX
INDICE
4 Dalla crisi dell’impero alla fine del mondo antico
Materiali ONLINE PROFILO STORICO
7 L’ultimo grande storico di Roma: Ammiano Marcellino 610 Rerum gestarum libri Struttura e contenuti dell’opera 610
LEGGERE UN TESTO
8 Historia Augusta 614 CRITICO 9 Un poeta di corte: Claudiano 617 De raptu Proserpinae Struttura e contenuti dell’opera 618
10 Trattati grammaticali e commenti 619 11 La prosa tecnico-scientifica 620
PERCORSO ANTOLOGICO
Bibliografia essenziale 622 Sintesi 623
• F. Canfora, I concettichiave dell’ideologia pagana senatoria
• M. Yourcenar, Il lettore moderno nell’Historia Augusta è a casa propria BIBLIOGRAFIA ESTESA
Optaziano Porfirio T 2 Un carme figurato: la nave del mondo (Carmina 19)
LAT IT
626
ONLINE
Pervigilium Veneris T 3 La veglia di Venere
IT
626
Ausonio T 4 Poesie per Bissula (Bissula 4-5) T 5 Sulla via della Mosella (Mosella 1-22) T 6 Lodi del fiume (Mosella 23-81)
630 630 IT 631
ONLINE
LAT IT
631
ONLINE
LAT IT
632 638
ONLINE
LAT IT LAT IT LAT
ONLINE
Simmaco T 7 L’altare della Vittoria (Relatio de ara Victoriae 1-10)
Ammiano Marcellino T 8 Morte di Giuliano (Rerum gestarum XXV, 3) T 9 I Goti attraversano il Danubio (Rerum gestarum XXXI, 4, 1-6)
LAT IT
Historia Augusta T 10 Vita dissoluta e stravagante di Carino (Carus et Carinus et Numerianus 16-18, 2)
IT
639
Claudiano T 11 Il Tartaro in festa (De raptu Proserpinae II, 326-360) T 12 Il sogno di Cerere (De raptu Proserpinae III, 67-110)
LAT IT LAT IT
641 643
ONLINE
MAPPA
644
Verifica finale
645
19 Il trionfo del cristianesimo
646 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 Un’affaire del IV secolo: l’altare della Vittoria 646 fontivisive La Vittoria alata di Brescia 648
2 Ambrogio 650 Exameron 651 3 Gerolamo 655
De viris illustribus 657
4 Agostino 659 fontivisive Una Natività protocristiana 662
5 Prudenzio 664 6 Paolino di Nola 666 7 Sulpicio Severo 667 fontivisive Il martirio di san Lorenzo 668 Bibliografia essenziale 669 Sintesi 671
XX
@ Casa Editrice G.Principato
DOCUMENTI E TESTIMONIANZE • Dalla Vita Ambrosii: l’elezione di Ambrogio a vescovo di Milano • La vita quotidiana di Ambrogio, vescovo di Milano, nel racconto di Agostino BIBLIOGRAFIA ESTESA
PERCORSO ANTOLOGICO
Materiali ONLINE
Ambrogio T 1 Doveri medi e doveri perfetti (De officiis I, 36-37) LAT IT 674 T 2 La tigre e lo specchio (Exameron IX, 21) LAT IT 674 T 3 In difesa dei poveri (De Nabuthae 1-2) LAT IT 674 T 4 Dottrina cristiana e sermo humilis (De Isaac vel anima 7, 57) LAT IT 674 Leggere un TESTO CRITICO Lo stile è umile, ma l’oggetto è sublime (E. Auerbach) 675 T 5 Aeterne rerum conditor (Hymni) LAT IT 676
ONLINE ONLINE ONLINE
Gerolamo T 6 T 7 T 8 T 9
La vita nel deserto (Epistulae 22, 7) Ciceronianus es, non Christianus (Epistulae 22, 30) Le rovine del paganesimo (Epistulae 107, 2) LAT Quid salvum est, si Roma perit? (Epistulae 123, 15-16)
677 IT 678 IT 679 IT 679 IT
ONLINE ONLINE
Agostino T 10 T 11 T 12 T 13 T 14 T 15 T 16 T 17 T 18
Recordari volo (Confessionum II, 1) LAT 680 Il furto delle pere (Confessionum II, 9) LAT IT 682 Nondum amabam et amare amabam (Confessionum III, 1) LAT IT 683 Lettura della Bibbia (Confessionum III, 9) LAT IT 684 Leggere un TESTO CRITICO Sermo humilis e tradizione letteraria negli scrittori cristiani (H. Hagendahl) 685 La divina chiamata (Confessionum X, 38) LAT IT 686 Leggere un TESTO CRITICO Evoluzione del genere autobiografico dal mondo pagano al mondo cristiano (Chr. Mohrmann) 686 Le insidie del piacere estetico (Confessionum X, 49-50) LAT IT 688 Cosa fare della cultura pagana (De doctrina Christiana II, 60) LAT IT 688 Esortazione allo studio delle Sacre Scritture (Epistulae 132) LAT IT 689 Sul servizio militare Epistulae 189, 4-6) 674 LAT IT 689
ONLINE
ONLINE ONLINE
Prudenzio T 19 Il martirio di Eulalia (Peristephanon III, 126-170)
IT
690
IT
691 ONLINE
Paolino di Nola T 20 Ausonio e Paolino: uno scambio epistolare (Ausonio, Epistulae 24; Paolino, Carmina 10, 19-42; 103-155)
Sulpicio Severo T 21 Martino e il diavolo (Vita Martini 24) LABORATORIO
Lettura dell’Hortensius di Cicerone (Confessiones III, 4, 7-8)
LAT IT
691
ONLINE
692
MAPPA
694
Verifica finale
695
@ Casa Editrice G.Principato
XXI
INDICE
4 Dalla crisi dell’impero alla fine del mondo antico
20 Dal sacco di Roma alla fine del mondo antico
696 Materiali ONLINE
PROFILO STORICO
1 Il sacco di Roma (410 d.C.) e le reazioni dei contemporanei 696 2 Un’opera su commissione: le Historiae adversus paganos di Orosio 698 T 1 Funzione provvidenziale dell’impero romano (Historiae adversus paganos VI, 22)
IT
699
3 La nuova visione del mondo di Salviano 700 4 La poesia della fine di Rutilio Namaziano 701 5 Querolus sive Aulularia: una commedia ambientata sulle sponde della Loira 703 Querolus sive Aulularia Personaggi e trama della commedia 703
6 L’enciclopedia del paganesimo ideale: i Saturnalia di Macrobio 704 7 Una nuova sintesi culturale: De nuptiis Mercurii et Philologiae di Marziano Capella 705 8 Le storie romanzate 706 9 Verso il Medioevo 708
De consolatione philosophiae di Boezio Struttura e contenuti dell’opera 711 La comunità monastica di Vivarium 712 COMPITO DI REALTÀ Una lezione di fine studi 715 BIBLIOGRAFIA ESTESA Bibliografia essenziale 716 Sintesi 717
PERCORSO ANTOLOGICO
Rutilio Namaziano T 2 Risalendo in autunno le coste italiche (De reditu suo I, 217-644 passim)
LAT IT
719
Macrobio T 3 Un metodo di studio: apes debemus imitari (Saturnalia, praefatio, 1-10) LAT IT 723 T 4 Virgilio, fonte di ogni sapienza (Saturnalia I, 24, 10-25) IT 723
ONLINE
MAPPA
726
Verifica finale
727
Verso il nuovo Esame di Stato 729 Nozioni di metrica e prosodia latina ONLINE Glossario dei termini retorici e stilistici ONLINE Indice dei nomi 739 Indice delle traduzioni ONLINE Referenze iconografiche 744
SchedeONLINE 1 La traduzione nel mondo latino 2 La dottrina epicurea 3 Libri, lettori e biblioteche nel mondo antico
XXII
4 Retorica e oratoria nel mondo antico 5 La storiografia greca 6 La satura
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8 Marziale e la poesia epigrammatica 1 La vita e le opere La vita Di origine spagnola (come Seneca Padre, Seneca Filosofo, Lucano e Quintiliano), di condizione sociale modesta, Marco Valerio Marziale nasce a Bìlbili, centro montano della Spagna Tarraconense, in un anno compreso fra il 38 e il 41 d.C. Compiuti i tradizionali studi di grammatica e di retorica, intorno al 64 si trasferisce a Roma, forse per intraprendere l’attività di avvocato. Accolto nelle case di Seneca e di Lucano, perde ben presto i suoi potenti protettori, costretti al suicidio in seguito alla congiura antineroniana del 65. Ha inizio per lui, da questo momento, la vita convulsa e precaria del cliente, desti nata a protrarsi durante tutto il trentennio della permanenza romana. Solo nell’80, grazie alla pubblicazione e al successo del Liber de spectaculis [ T5-8], Marziale raggiunge una certa notorietà come scrittore. Tito, più volte elogiato nel corso del libro, lo benefica concedendogli il ius trium liberorum, cioè il privilegio di usufrui re dei diritti riconosciuti ai padri di almeno tre figli. Più tardi, con il successore Domiziano, diviene tribuno ed è ammesso nel rango equestre. Stringe rapporti d’amicizia e di stima con Quintiliano, Giovenale, Plinio il Giovane e Silio Italico. Migliora il suo livello di vita, che continua però a restare subordinato ai favori dei protettori: in quest’epoca lascia la modesta soffitta in Trastevere, uno dei quartieri più poveri della città, per trasferirsi in una casa sul Quirinale. 286
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Toto notus in orbe Martialis Hic est quem legis ille, quem requiris, toto notus in orbe Martialis, argutis epigrammis libellis: cui, lector studiose, quod dedisti viventi decus atque sentienti, rari post cineres habent poetae. Ecco quel Marziale che tu leggi, quello di cui vai in cerca, noto in tutto il mondo per i suoi arguti libretti di epigrammi: tu gli hai dato, devoto lettore, mentre era vivo e vegeto, una fama che a ben pochi poeti tocca dopo la morte. (Epigrammata I, 1, trad. di M. Scàndola)
Hominem pagina nostra sapit Aprosdóketon Lusus Iocus
Fulmen in clausula
Enumeratio
Alla morte di Domiziano (settembre 96), nei confronti del quale Marziale si era prodi gato in ripetute adulazioni, cerca inutilmente di entrare nelle grazie dei nuovi potenti. Nel 98 decide infine di far ritorno a Bilbili: Plinio il Giovane gli regala il denaro per il viaggio, e una ricca matrona sua ammiratrice un podere. Ma a Bilbili non c’erano biblioteche, sale di recitazione, terme dove passare la giornata a conversare: insoddi sfatto, con il pensiero nostalgicamente rivolto alla grande città, muore tra il 101 e il 104.
Il corpus delle opere Di Marziale ci sono giunti quindici libri di epigrammi: in tutto 1561 componimenti per quasi diecimila versi. Tre di essi, i primi pubblicati, presentano un titolo autonomo: Liber de spectaculis, Xenı̆a, Apophoreˉta. Gli altri sono numerati da I a XII. Xenı̆a e Apophoreˉta costituiscono tradizionalmente i libri XIII e XIV, mentre il Liber de spectaculis, normalmente premesso a tutti gli altri libri, non viene numerato. Liber de spectaculis Il Liber de spectaculis (o Liber spectaculorum) fu pubblicato nell’80, durante gli spettacoli organizzati dall’imperatore Tito per l’inaugurazione dell’anfiteatro Flavio (più noto come Colosseo). Comprende poco più di trenta epigrammi in distici elegiaci, nei quali vengono descritti giochi e spettacoli svoltisi durante i giorni delle manifestazioni. Originariamente il libro dovette essere ben più ampio di quello a noi pervenuto. @ Casa Editrice G.Principato
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L’ETÀ DEI FLAVI E DI TRAIANO
8. Marziale e la poesia epigrammatica
PROFILO STORICO
I primi tre carmi esaltano la grandiosità e la bellezza del Colosseo, venerabilis... moles (II, 5-6) che sopravanza le prodigiose piramidi e le mura di Babilonia (tra dizionali esempi di mirabilia architettonici nell’antichità). Non mancano versi di carattere platealmente celebrativo: dinanzi a Tito finisce per inginocchiarsi in adorazione perfino un elefante, non perché addestrato a compiere quel gesto ma perché nostrum sentit et ille deum («riconosce anche lui in te il nostro dio»). Già si impone, fin da questa prima raccolta, il carattere scenografico e visivo della poesia di Marziale, tesa ad abbagliare il lettore con effetti speciali. Pur aderendo con meticolosa precisione alla realtà degli spettacoli, il poeta ordina i materiali in modo da «maravigliare» il lettore, sorprendendolo con imprevedibili accostamenti e ingegnose pointes epigrammatiche [ T5].
Due libri per i Saturnali Durante i Saturnali dell’anno 84 oppure 85 furono pub blicati (insieme, secondo altri separati) gli Xenia e gli Apophoreta, due libri che portano entrambi titoli greci: xenia significa «doni ospitali», quelli che venivano inviati agli amici durante i giorni dei Saturnalia, accompagnati da un bigliettino augurale; apophoreta (dal greco apophéro, «porto via») erano invece i doni estratti a sorte e offerti durante il banchetto agli invitati, doni che venivano poi «portati» a casa. Xenia Gli Xenia comprendono 127 epigrammi: a parte i primi tre, di carattere proe miale, sono tutti composti di un solo distico e recano un titolo che è opera del poeta. I doni a cui i bigliettini fanno riferimento sono cibi e bevande od oggetti associati al convito (incensi, unguenti e corone di rose). Si comincia con vivande di vario genere (ortaggi, frutti, formaggi, uova, carni, pesci, prosciutti) per passare all’olio, al miele e infine ai vini. La tendenza è quella di accorpare tutti gli xenia dedicati a un singolo prodotto. Gli epigrammi 106-125, ad esempio, passano in rassegna le varie qualità dei vini: passito, alla pece, mielato, d’Alba, di Sorrento, Falerno, ecc.
Rilievo marmoreo con scena di mercato da Ostia, II secolo d.C. Museo del Parco Archeologico di Ostia Antica.
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PROFILO STORICO
fonti
visive
Preziose suppellettili In primo piano, fra le preziose suppellettili accuratamente disposte sul piano di un tavolino dal vivido colore giallo, figurano quattro coclearia («cucchiai per chiocciole») di varie dimensioni, allineati in ordine di grandezza. «Il cocleare era uno speciale cucchiaio a due capi: uno, appuntito, serviva a prendere la chiocciola dal suo guscio; l’altro, cavo, faceva la funzione di portauovo» (G. Norcio). Così Marziale fa parlare il curioso oggettino in uno dei suoi Apophoreta (121): «Sono adatto per le chiocciole, e non sono meno utile per le uova. Sai forse perché preferiscono chiamarmi cucchiaio per chiocciole?»
Affresco raffigurante un servizio di argenteria da tavola, I secolo d.C. Pompei, Tomba di Vestorio Prisco.
Istituzioni ROMANE I Saturnali ▰ Una festa in continua espansione I Saturnalia
erano una festività che si celebrava a Roma in onore di Saturno. In origine durava un solo giorno (il 17 dicembre), più tardi due, tre, quattro e infine, al tempo di Domiziano, sette giorni, dal 17 al 23 dicembre. La tradizione ne faceva risalire le origini all’età regia; ma la vera e propria organizzazione della festa risale al 217 a.C., al tempo dei rovesci militari subiti dai Romani nella guerra annibalica, quando si trasformò da una festività del ciclo agrario nella celebrazione di un rito in cui riviveva la mitica età dell’oro, che rimase ancora in vigore nel tardo impero, persino in età teodosiana, quando Macrobio (fine IV-V sec. d.C.) compose i Saturnali [ cap. 20.6].
▰ Il dio Saturno Saturno era un’antichissima
divinità agreste; secondo gli antichi, il suo nome era collegato a sata, i «campi seminati». Aveva un altare presso il Campidoglio, che si riteneva dedicato da Ercole; la terra intorno era denominata Saturnia tellus, espressione invalsa poi ad indicare tutta l’Italia (si veda Virgilio, Georgiche II, 173). In seguito l’italico Saturno fu identificato con il dio greco Cronos. Secondo la leggenda, Cronos-Saturno, spodestato dal figlio Zeus-
Giove, aveva trovato rifugio nel Lazio (il cui nome deriverebbe proprio dal verbo lateˉre, che significa appunto «nascondersi»). L’epoca felice del suo regno veniva fatta coincidere con l’età dell’oro, allorché gli uomini vivevano nella pace e nell’eguaglianza, godendo senza fatica degli abbondanti doni della natura.
▰ Le feste dei Saturnalia in Roma Durante i giorni dei Saturnali si scambiavano doni, si offrivano banchetti con regali per gli ospiti (apophoreta, «[doni] da portar via») accompagnati da epigrammi composti per l’occasione (xenia «[versi] ospitali», «per gli ospiti»); gli schiavi avevano temporaneamente gli stessi diritti dei padroni, che ne prendevano il posto (ad esempio servendo a tavola in loro vece); tutti, a rammemorare l’eguaglianza primitiva, vestivano semplicemente, in tunica e pilleo (il pilleus era il copricapo degli uomini liberi; simbolo della libertà, lo si poneva in testa allo schiavo durante la cerimonia dell’affrancamento). Una sorta di felice mondo alla rovescia, una sospensione “carnevalesca” delle gerarchie e delle consuetudini della vita quotidiana. Da notare che fra gli atti rituali degli antichi Saturnalia non pochi sopravvivono nel costume moderno e negli stessi giorni, in occasione delle feste del Natale cristiano e dell’Anno Nuovo.
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L’ETÀ DEI FLAVI E DI TRAIANO
8. Marziale e la poesia epigrammatica
PROFILO STORICO
Apophoreta Gli Apophoreta comprendono 223 epigrammi, anch’essi tutti com posti di un solo distico con l’eccezione dei primi due, che svolgono funzione di proemio. Qui i doni a cui si fa riferimento sono più vari e preziosi: tavole da gioco, coppe d’oro, scrigni per anelli, mantelli, sciarpe, tovaglie, cinture, statuine, qua dri, libri, perfino schiavi. Spesso a doni ricchi si accompagnano doni poveri, con accostamenti giocosi intonati al clima del convito, che è la cornice entro la quale tali epigrammi vanno collocati. Gli epigrammi 183-196 sono tutti doni di libri, e comprendono i notissimi distici sulla Monobiblos di Properzio, su Tito Livio (con densato, a causa della mole, pellibus exiguis), su Tibullo (infiammato d’amore per Nemesi lasciva) o su Lucano. Pur nei limiti imposti dal tema, Marziale rivela in questi due libri la sua originale attenzione per il mondo concreto e lussureggiante degli oggetti, la ricerca della battuta scherzosa, l’inesauribile ricchezza dell’invenzione linguistica, il gusto del catalogo. Gli Epigrammata I primi undici libri degli Epigrammata furono pubblicati singo larmente, pressappoco uno all’anno, tra gli inizi dell’86 e il dicembre 96; il libro XII fu composto a Bilbili e pubblicato lontano da Roma, negli anni 101-102. La materia, ricchissima benché spesso ripetitiva, comprende carmi di vario genere: autobiografico, erotico, simposiaco, funerario, descrittivo, encomiastico, satirico. Quasi tutti i libri si aprono con un testo di tono proemiale (in versi o in prosa) PERCORSO ANTOLOGICO
T 1 Doni preziosi e doni umili Apophoreta 97; 98 LATINO
Il carme 97 è dedicato a piatti cesellati d’oro, il successivo a comuni vasi d’Arezzo. In entrambi i casi sono gli stessi oggetti a parlare, rivolgendosi a colui che li riceve in dono.
ITALIANO
Nota metrica: distici elegiaci.
97 Lances chrysendetae Grandia ne viola parvo chrysendeta mullo: ut minimum, libras debet habere duas.
Non svilire questi grandi piatti cesellati d’oro con una piccola triglia: come minimo, deve pesare due libbre.
98 Vasa Arretina Arretina nimis ne spernas vasa monemus: lautus erat Tuscis Porsena fictilibus.
Non disprezzare troppo questi vasi d’Arezzo, mi raccomando: per Porsenna le terraglie toscane erano un lusso. (trad. di M. Scandola)
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PROFILO STORICO
dove l’autore parla di sé, della propria poetica, dei libri già pubblicati. Dal punto di vista metrico predominano il distico elegiaco e l’endecasillabo falecio, ma non mancano trimetri giambici e alcuni componimenti in esametri. I singoli epigram mi sono ordinati in modo apparentemente casuale, per dare una sensazione di naturalezza ed evitare la monotonia.
Il genere LETTERARIO L’epigramma in Grecia e in Roma ▰ Origini dell’epigramma Epigramma (epígramma in greco) significa etimologicamente «iscrizione», «cosa scritta sopra» (un cippo, una lapide, un oggetto votivo). Nasce in Grecia già negli ultimi decenni dell’VIII secolo, in forma anonima, con intenti pratici e celebrativi. I testi tramandati sono iscrizioni in metro vario, per lo più di carattere funebre o votivo, che commemorano persone, luoghi, monumenti, episodi di vita civile o quotidiana; si diffondono largamente dal VI secolo in avanti, quando alcuni epigrammi cominciano ad essere attribuiti, talvolta falsamente, a noti poeti: Simonide di Ceo, Archiloco, Saffo, Alceo, Anacreonte. ▰ L’epigramma ellenistico Solo in età ellenistica l’epigramma acquista valore propriamente letterario, assumendo i suoi caratteri specifici e permanenti: un componimento d’occasione, brevissimo o comunque di misura limitata, di metro libero (con una decisa prevalenza del distico elegiaco), stilisticamente elegante e raffinato, atto ad esprimere contenuti assai vari, soprattutto di natura privata e soggettiva. L’epigramma ellenistico può essere d’argomento erotico, conviviale, satirico, parodistico, giocoso, funebre. Può comprendere, nella sua estrema libertà formale, battute di dialogo, descrizioni, spunti narrativi; passare dal tono malinconico a quello dell’invettiva, dalla tenerezza alla passione, dalla polemica letteraria all’idillio agreste. Sul piano strutturale, tratto distintivo del testo epigrammatico è l’estrema concentrazione espressiva del discorso poetico, che tende a risolversi rapidamente, con un effetto di calcolata sorpresa, nella battuta finale. ▰ L’Antologia Palatina La storia dell’epigramma letterario in lingua greca si estende per circa quindici secoli e tocca l’intero Mediterraneo, dalla Siria e dalla Fenicia all’Egitto, dalla Grecia all’Italia. I testi vengono diffusi, a partire dall’età alessandrina, in forma antologica: notissima, in particolare, fu la raccolta organizzata da Meleagro di Gadara nel I secolo a.C. La maggior parte degli epigrammi greci che conosciamo si trovano conservati nella monumentale Antologia Palatina, così chiamata dalla Biblioteca Palatina di Heidelberg, dove fu scoperto agli inizi del XVII secolo l’unico manoscritto tuttora in nostro possesso, redatto con ogni probabilità verso il X-XI secolo da uno studioso bizantino. La silloge contiene, divisi in quindici libri, circa
3700 epigrammi attribuiti a oltre trecento poeti di varie epoche e culture.
▰ L’epigramma in Roma A Roma l’epigramma di
tipo ellenistico compare con i poeti del circolo di Lutazio Catulo (II-I secolo a.C.), per conoscere poi una rigogliosa fioritura in ambiente neoterico. È l’epoca in cui a Roma operano famosi poeti greci come Antipatro di Sidone ed Archia, o un filosofo epicureo dedito alla poesia come Filodemo di Gadara, che compongono raffinati epigrammi di tono leggero e mondano. In età augustea sono autori epigrammatici Domizio Marso, autore di una Cicuta, e Albinovano Pedone [ vol. II, cap.1.6]. A Roma, in età neroniana, operò un Lucillio, autore in lingua greca di epigrammi di forte segno realistico e di intonazione satirica, nei quali veniva accentuato il momento dell’arguzia finale. Nello stesso periodo vanno probabilmente collocati gli epigrammi compresi nella raccolta dei Priapea [ cap. 2.5]. A questi poeti, ma in particolare a Catullo, dovette ispirarsi Marziale, l’unico epigrammista latino di cui ci sia giunta l’opera in forma integrale. Ancora alla fine del I secolo d.C. il termine «epigramma» è solo uno dei tanti con i quali si fa riferimento a questo tipo di poesia. «Ma epigramma è la denominazione che Marziale adotta stabilmente, preferendola alle altre alternative possibili, per indicare tutta la tipologia dei propri carmi, e cioè qualsiasi componimento breve, di metro vario, di carattere occasionale, legato a fatti concreti, a tipi sociali, a esperienze di vita. E proprio la grande fortuna dell’opera di Marziale presso i posteri imporrà questa denominazione alla terminologia moderna della classificazione dei generi, portando anche a una tendenziale identificazione tra i caratteri del genere letterario e i caratteri dell’opera di Marziale, con un’accentuazione dell’elemento comico-satirico e della tendenza alla battuta finale, e cioè delle caratteristiche del tipo epigrammatico che Marziale ha sviluppato più originalmente » (Citroni). Dopo Marziale composero epigrammi i poetae novelli [ cap. 13.4]. Interessanti, benché su un piano esclusivamente virtuosistico e sperimentale, furono anche gli epigrammi in distici ecoici composti nel III secolo da Pentadio [ cap. 15.3]. Più varia e ricca fu la produzione epigrammatica di Ausonio [ cap. 18.3], che esercitò fra l’altro un’influenza decisiva nei confronti della poesia epigrafica cristiana [ cap. 16.7].
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L’ETÀ DEI FLAVI E DI TRAIANO
8. Marziale e la poesia epigrammatica
fonti
PROFILO STORICO
visive
Un cruento spettacolo Nell’ottobre 2019, dagli scavi in corso nella Regio V di Pompei, è riemerso uno straordinario affresco di circa m 1,12 x 1,5, raffigurante due gladiatori al termine del combattimento. Su uno sfondo bianco, delimitato su tre lati da una fascia rossa, si compone una scena di lotta: sulla sinistra un Mirmillone della categoria degli Scutati, armato di gladium (la corta spada romana) e di scutum (il grande scudo rettangolare), e con un elmo a tesa larga (galea) dotato di visiera e cimiero a pennacchi. L’altro, ferito e soccombente, è un Trace, della categoria dei Parmularii; il suo scudo è a terra; con la mano accenna un gesto singolare, forse per implorare salvezza.
Affresco “dei gladiatori combattenti”. Pompei, Regio V.
Guida allo studio
1. Ripercorri in sintesi le varie fasi della biografia di Marziale. 2. Descrivi il corpus poetico di Marziale, indicando il numero, l’ordinamento e la cronologia dei libri di cui si compone. 3. Come si intitola la prima raccolta epigrammatica di Marziale e quanti
componimenti include? In quale occasione venne composta e pubblicata? 4. Illustra le caratteristiche-base degli epigrammi che portano i titoli di Xenia e Apophoreta. A quali festività del calendario romano sono collegati?
2 La poetica Obiettivi polemici L’opera di Marziale è non solo vasta, ma anche varia: sia per i temi trattati, sia per i metri adottati. Che cosa unifica una così dispersa e colorata materia? La voce del poeta, che seleziona e descrive; una poetica rigorosa, quella che l’autore enuncia con orgoglio e precisione in numerosi epigrammi. Anche gli obiettivi polemici sono chiari e precisi: l’epos mitologico (quello di Stazio ad esempio) e la tragedia, generi dai quali la sua poesia si allontana per la forma (breve e non lunga), per il linguaggio (non ampolloso ed enfatico, ma scherzoso, ironico e realistico), per i contenuti. Marziale sente ormai la mitologia come pura evasione, qualcosa in cui gli uomini del suo tempo non riescono più a riconoscersi. 292
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PROFILO STORICO
PERCORSO ANTOLOGICO
T 2 Hominem pagina nostra sapit Epigrammata X, 4 LATINO ITALIANO
Nota metrica: distici elegiaci.
In questo epigramma Marziale proclama con forza il suo rifiuto della mitologia, accennando a numerosi miti consacrati dalla tradizione; li definisce monstra e vana ludibria privi di interesse, da cui non si può trarre alcun giovamento. Celebri i versi 8 e 10, dove l’autore esorta la poesia contemporanea ad appropriarsi della vita reale. Nella chiusa consiglia a chi non vuole conoscere se stesso né i propri costumi di leggere piuttosto Callimaco, che negli Aitia aveva cantato le mitiche origini di culti rari e antichi.
Qui legis Oedipoden caligantemque Thyesten, Colchidas et Scyllas, quid nisi monstra legis? Quid tibi raptus Hylas, quid Parthenopaeus et Attis, quid tibi dormitor proderit Endymion? 5 Exutusve puer pinnis labentibus? Aut qui odit amatrices Hermaphroditus aquas? Quid te vana iuvant miserae ludibria chartae? Hoc lege, quod possit dicere vita «Meum est». Non hic Centauros, non Gorgonas Harpyasque 10 invenies: hominem pagina nostra sapit. Sed non vis, Mamurra, tuos cognoscere mores nec te scire: legas Aetia Callimachi. Tu che leggi un Edipo e un tenebroso Tieste e Colchidi e Scille, che altro leggi se non racconti di mostruosi miti? Che interesse puoi trovare nel rapito Ila o in Partenopeo o in Attis? Che giovamento puoi trarre da un Endimione che dorme, o da un fanciullo che ha perduto le ali che gli si sono staccate, o da un Ermafrodito che odia le acque che lo amano? A che ti servono i frivoli virtuosismi di una misera carta? Leggi i carmi, di cui la vita possa dire: «Questo è mio». Qui non troverai né Centauri, né Gorgoni, né Arpie: la nostra pagina ha il sapore dell’uomo. Ma tu, o Mamurra, non vuoi conoscere i tuoi costumi, né te stesso: leggi allora gli Aitia di Callimaco. (trad. di G. Norcio)
2. Colchidas: la Colchide, patria di Me dea, è la meta del viaggio degli Argonauti. – Scyllas: due le Scille del mito: l’una fu trasformata da Circe in mostro marino; l’altra per amore di Minosse recise il ca pello cui era legata la vita del padre, e fu trasformata in airone. 3. Hylas: durante la spedizione degli Argonauti fu rapito dalle ninfe, attirate
dalla sua bellezza. – Parthenopaeus: uno dei Sette all’assedio di Tebe (cfr. la Tebaide di Stazio [ cap. 7.1]. – Attis: dio frigio compagno di Cibele. 4. Endymion: il bellissimo pastore di cui s’innamorò, dopo averlo veduto dormire, Artemide-Selene (la Luna). 6. Hermaphroditus: figlio di Afrodite e di Hermes, fu invano amato dalla na
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iade Salmacide. 9. Centauros... Gorgona Harpyasque: creature mostruose e semiferine: per metà uomini e per metà cavalli i Centau ri; anguicrinita la Gorgone; laidi uccelli dalla testa di donna le Arpie.
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L’ETÀ DEI FLAVI E DI TRAIANO
8. Marziale e la poesia epigrammatica
PROFILO STORICO
Analogie e differenze con la satira La pagina di Marziale vuole dunque avere il «sapore» dell’uomo, ritrarre la vita in tutti i suoi aspetti: non vuole essere finzione retorica ma verità; e la verità non si trova più nelle terre lontane del mito ma qui, per le strade affollate di Roma, tra la Suburra e il Quirinale. Sotto questo aspetto, le posizioni di Marziale si riallacciano strettamente a quelle di Lucilio – il fonda tore della satura – e di Persio. Altrettanto nette sono tuttavia le differenze rispetto alla tradizione satirica: intento dello scrittore non è correggere il vizio, denunciare l’immoralità o additare esempi di vita beata, ma ritrarre la realtà nelle sue molteplici prospettive. Non è un caso che manchi in Marziale uno degli aspetti che più avevano caratterizzato la poesia luciliana, e cioè l’attacco ad personam: i nomi che affollano i dodici libri degli Epigrammi sono tutti rigorosamente fittizi (eccettuati, s’intende, i nomi di amici, protettori, potenti personaggi che figurano nei carmi di omaggio e celebrazione). Il poeta e il suo pubblico Marziale segue una tradizione che si era aperta con Lucilio ed era proseguita con Catullo, il modello più amato. Già Catullo aveva definito la propria poesia con termini quali nugae, iocus, lusus, gli stessi a cui ricorre frequentemente Marziale [ T3], il quale si premura di far notare che la propria poesia è leggera, ma che quella leggerezza è la vera serietà di un poeta contemporaneo. Al contrario, frivola ed evasiva viene giudicata la poesia mitologi ca, come si afferma negli epigrammi X, 4 (vana... ludibria, v. 7 [ T2]) e IV, 49 («È più frivolo chi descrive il banchetto del violento Tereo o la tua cena, dispeptico Tieste, o Dedalo che adattò al figlio le ali che si sarebbero sciolte, o Polifemo che pascolava le sue greggi», vv. 3-6), dove Marziale adduce anche una prova circa la giustezza della strada intrapresa: nella chiusa proclama infatti che tutti laudant illa (cioè la poesia epica e tragica) sed ista legunt (i suoi epigrammi). Giambattista Marino, un millennio e mezzo più tardi, affermerà che il giudizio estetico è basato sul successo dell’opera. Non è questa, come avremo modo di vedere, la sola affinità tra Marziale e la poesia barocca. Il committente ideale Con Marziale si affaccia una nuova figura di poeta, che non soltanto vincola la propria poesia a uno sfruttamento sistematico delle oc casioni mondane offerte dalla vita cittadina, ma concentra tutte le proprie attese di gloria poetica sulla risposta immediata del pubblico e sul consenso dei lettori contemporanei. Qual è il committente e il giudice più ambito? Ovviamente il princeps, Domiziano in particolare, costantemente lodato con una tecnica raffinata quanto impudente, ma già Tito al tempo del Liber de spectaculis [ T5]. Il sogno più grande di Marziale resta in fondo quello di trovare un vero Mecenate, come toccò a Orazio e a Virgilio (Epigr. I, 107): sogno che si infrange contro la dura realtà di una dinastia, quella dei Flavi, solo parzialmente interessata alla poesia e alle arti [ cap. 6.2]. Poesia celebrativa e poesia di intrattenimento Tutta la poesia di Marziale può essere suddivisa essenzialmente in due filoni: versi di carattere celebrativo, spesso legati ad occasioni pubbliche (emblematico, sotto questo aspetto, il Liber de spectaculis); versi d’intrattenimento, indirizzati agli amici o ai potenti patroni, da leggersi nei conviti, nei teatri o nei salotti della capitale (si pensi in particolare agli Xenia e agli Apophoreta). I due filoni possono ovviamente interagire: il Liber de spectaculis si propone come un omaggio a Tito, ma insieme come un libretto 294
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PROFILO STORICO
mondano che prolunga l’eco di un evento pubblico nella cerchia dei lettori. Vista la finalità pratica assegnata alla poesia, è naturale che gli Epigrammi di Marziale debbano continuamente fare i conti con il gusto del pubblico contemporaneo, cui l’autore ammicca si può dire ad ogni verso, ora gratificandolo sul versante dell’o sceno, ora su quello del pettegolezzo mondano. Nonostante questo, Marziale rie sce sostanzialmente a salvaguardare la propria dignità ed autonomia, ponendosi in una prospettiva comico-realistica che esclude ogni identificazione con la materia descritta: lasciva est nobis pagina, vita proba (I, 4, 8).
PERCORSO ANTOLOGICO
T 3 Lasciva est nobis pagina, vita proba Epigrammata I, 4 LATINO ITALIANO
Nota metrica: distici elegiaci.
Il poeta si rivolge a Domiziano, che aveva assunto la potestas censoria nell’85, rammentandogli il costume degli antichi carmina triumphalia, quando i soldati si permettevano ogni licenza nei confronti dei propri generali in occasione di un trionfo militare. Nella lapidaria battuta finale, Marziale definisce il suo programma di poesia: lasciva la materia, proba l’ispirazione e la vita. Si osservi il chiasmo, che enfatizza l’antitesi. Tradizionale, e di origine neoterica, l’uso di parole quali iocus e lusus per definire la propria poesia.
Contigeris nostros, Caesar, si forte libellos, terrarum dominum pone supercilium. Consuevere iocos vestri quoque ferre triumphi, materiam dictis nec pudet esse ducem. 5 Qua Thymelen spectas derisoremque Latinum, illa fronte precor carmina nostra legas. Innocuos censura potest permittere lusus: lasciva est nobis pagina, vita proba. Se per caso, o Cesare, ti capiteranno nelle mani i miei libretti, spiana la tua fronte padrona del mondo. Anche i vostri trionfi sono abituati a tollerare gli scherzi e il generale non si vergogna di divenire oggetto di maldicenze. Ti prego di leggere i miei carmi con quello spirito con cui ammiri Timele e quel burlone di Latino. L’ufficio di censore può permettere gli scherzi innocenti: i miei versi sono lascivi, ma la mia vita è onesta. (trad. di G. Norcio)
5. Thymelen... Latinum: due noti mimi dell’epoca di Domiziano.
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L’ETÀ DEI FLAVI E DI TRAIANO
8. Marziale e la poesia epigrammatica
PROFILO STORICO
Svelamento del reale La rappresentazione crudamente realistica e spregiudicata del formicolante, degradato mondo cittadino è giustificata dall’autore con il pe culiare carattere giocoso e liberatorio del genere epigrammatico: una sorta di zona franca, di carnevalesca sospensione delle regole che viene paragonata ora alle feste dei Saturnali, ora agli spettacoli licenziosi dei Floralia, ora al clima sboccato dei carmina triumphalia. Ma è proprio in quella zona franca che può aver luogo lo svelamento del reale: senza voler esagerare le ambizioni poetiche di Marziale, che rimane pur sempre un poeta d’occasione vincolato alle esigenze del suo vasto ed eterogeneo pubblico, gli Epigrammi restano un grande affresco, libero e lucidissi mo, della società imperiale romana.
Guida allo studio
1. Esponi i punti fondamentali della poetica di Marziale, mediante un’opportuna scelta di citazioni testuali, corredate da un breve commento. 2. A quali modelli letterari si richiama Marziale? Qual è la sua posizione nei confronti dei monstra mitologici? 3. Indica le più significative analogie e differenze fra la poesia di Marziale e la tradizione della satira. 4. Con Marziale si affaccia una nuova figura
di poeta: prova a tratteggiarne i lineamenti essenziali, soprattutto per quanto riguarda i rapporti con la committenza e con il pubblico. 5. L’intera produzione poetica di Marziale può essere suddivisa in due filoni: indica quali. 6. Si è parlato per la sua poesia dell’assunzione di una prospettiva comico-realistica a carattere giocoso e “carnevalesco”: quali sono le implicazioni e le potenzialità conoscitive che ne scaturiscono?
3 Aspetti della poesia di Marziale Il poeta parla di sé I temi affrontati da Marziale nei suoi libri sono numerosi e vari. Possiamo distinguere una prima serie di epigrammi in cui il poeta parla di sé: sono dichiarazioni di poetica, spunti di polemica letteraria, confessioni autobiografiche che riguardano la sua vita quotidiana di cliente non povero ma sempre sul punto di diventarlo, e che perciò deve continuamente affannarsi per difendere il proprio status sociale e mantenere un livello di vita decoroso. Città e campagna Il contrasto tra la propria condizione reale e il desiderio di un otium stabile e sereno prende spesso la forma – e si tratta di una forma tutta letteraria – del contrasto fra la vita di città e quella di campagna [ T4]. Tuttavia la campagna di Marziale non assume mai i riflessi idillici, né il significato morale, che si ritrovano in Virgilio o in Orazio; tanto meno la potenza sacrale della Natura lucreziana, o la suggestione archeologica e remota del Latium vetus di Properzio. Marziale, come Ovidio, è un poeta di città; la campagna rappresenta per lui solo un luogo di svago e di riposo. Un mondo di “cose” Tutta la sua poesia, del resto, appare segnata dai valori materiali: il suo è un mondo di cose concrete che si possono mangiare, toccare, possedere. Marziale sente la povertà come miseria morale, come diminuzione sociale: i valori tipicamente romani della sobrietà e della misura scompaiono di fronte agli inesauribili cataloghi di oggetti che il poeta inventaria libro dopo libro 296
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PROFILO STORICO
[ T10]. Quando talvolta, molto raramente, compare il tema del giusto mezzo, esso si configura come un topos di derivazione puramente letteraria. Il motivo economico assume un rilievo preponderante nell’intero corpus degli epigrammi, e segna con icastico realismo la vita del poeta come quella dei suoi concittadini. Quadri di vita romana La seconda serie degli epigrammi, la più ampia, è rivolta invece a descrivere ambienti, personaggi, figure, oggetti, cose. Qui appaiono caricature di personaggi di vario genere, per lo più sordidi e degradati: medici che uccidono invece che guarire [ T9b], barbieri che scorticano invece di radere, pro stitute, invertiti, lesbiche, mariti impotenti [ T9f], mezzani, impostori, cacciatori di dote e di testamenti [ T9a; T9e], matrone infedeli e viziose, vecchie in cerca di marito [ T9e], ciarlatani, poetastri, filosofi da quattro soldi, adulatori, parassiti, avari, imbroglioni [ T9d], sfaccendati, bellimbusti, scocciatori di ogni risma, clien ti perennemente in affanno, poveri diavoli ai margini della società [ T10]. Come descrive questo mondo Marziale? Né con tono moralistico, né con la vo lontà di denunciare mali o vizi. Nell’assenza di una prospettiva pedagogica, lo sguardo si indirizza alle cose e ai fatti, agli uomini guardati con l’interesse del collezionista curioso ed estraneo a ogni forma di partecipazione emotiva.
Guida allo studio
1. Individua i temi e i motivi fondamentali della poesia di Marziale.
2. Qual è l’atteggiamento di Marziale nel descrivere i suoi quadri di vita romana?
4 La tecnica e lo stile Strutture epigrammatiche Brevità, concisione, arguzia erano i caratteri essenzia li dell’epigramma ellenistico, che Marziale sfrutta con originalità, potenziando in particolar modo due aspetti: la concretezza (dell’osservazione e della descrizione) e l’effetto-sorpresa (concentrato nella chiusa epigrammatica). Uno schema-base Già il Lessing, nel Settecento, aveva individuato una sorta di schema-base nell’epigramma di Marziale, che risulterebbe composto di due parti: un momento descrittivo-rappresentativo, finalizzato a creare attesa nel lettore; lo scatto conclusivo, che risolve il primo momento con un’arguzia ingegnosa. Spesso la chiusa epigrammatica è costruita secondo il procedimento dell’aprosdóketon (o inopinatum): l’elemento «inatteso», che adempie una funzione conoscitiva e in sieme liberatoria, gettando all’improvviso una luce nuova sulla situazione descritta in precedenza per volgerla a un esito impreveduto e paradossale. Tale schema sembra adattarsi perfettamente agli epigrammi più brevi e di intonazione giocosa, che tendono a sovvertire mediante la battuta della chiusa le prospettive consuete, ma può anche assumere una forma più complessa, tripartita: dopo il momento descrittivo, si inseriscono allora le domande di un immaginario interlocutore, che consentono all’autore di concludere con la rituale arguzia [ T9]. L’attrazione del finale Data la destinazione dell’epigramma, una forma poetica di consumo legata alla pratica delle recitationes o al momento della festa conviviale, è @ Casa Editrice G.Principato
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L’ETÀ DEI FLAVI E DI TRAIANO
8. Marziale e la poesia epigrammatica
PROFILO STORICO
naturale che il poeta concentri l’attenzione sulla parte finale del componimento. Marziale seleziona gli avvenimenti da descrivere, solo se da essi può ricavare una battuta che colpisca e sorprenda. Riprendendo lo schema di cui si è detto, si può dire che la conclusione “precede” la parte iniziale, la quale viene allestita in fun zione del gioco ingegnoso e sfavillante della clausula. La poesia di Marziale è un gioco dell’intelligenza e della meraviglia: anche là dove sembra di rintracciare il segno, assai raro in verità, di un’emozione, il poeta è già volto verso la pointe sen tenziosa, verso la ricerca di un effetto capace di strappare l’applauso (si vedano, come esempio, i due epigrammi funebri dedicati alla piccola Erotion [ T11]). Il catalogo L’attenzione al particolare, l’accentuato interesse per le persone e per gli oggetti, rappresentati nella loro fisica concretezza, possono spiegare la tendenza della poesia di Marziale al catalogo. Si legga il componimento ov’è descritto, me diante un’impressionante enumerazione di tono grottesco e realistico, il trasloco di Vacerra [ T10], o il catalogo iperbolico che apre il secondo carme di Erotion [ T11b], le cui grazie sono confrontate, in fantastico accumulo, con i prodotti più celebri della geografia letteraria antica (le agnelle del Galeso, le perle del Lucrino, gli avori indiani, le rose di Paestum, il miele attico...). Il poeta vuole ammaliare i suoi lettori-ascoltatori con incalzanti cataloghi di cose, ora sordide ora preziose. Il procedimento tecnico è quello dell’accumulazione enumerativa, che consente effetti di icastica potenza rappresentativa e insieme di grottesca deformazione. Ci troviamo di fronte a una variazione dello schema epigrammatico più ricorrente: il centro di gravità del discorso poetico si sposta; la battuta conclusiva è ri mandata e come tenuta sospesa, mentre il poeta dà libero sfogo alla propria inventiva. Varietà della lingua e dello stile Marziale coltiva un ideale stilistico di naturalezza e di semplicità: insistente, nei suoi libri, è la polemica contro l’artificio linguistico, la vuota erudizione, l’eleganza affettata. Modello prediletto è il Catullo delle nugae e degli epigrammata, dove la raffinatezza delle forme è al servizio dell’immediatez za espressiva. L’epigramma, come leggiamo nel proemio del primo libro, pretende una scrittura cruda e scabra, che non rinunci ad esplorare alcun livello linguistico, compresi i vocaboli osceni e volgari. Né mancano, nella poesia di Marziale, grecismi, termini tecnici o tratti dal linguaggio infantile; banditi sono invece gli arcaismi, se non in funzione parodistica: una condanna che corrisponde, sul piano dello stile, alla polemica contro la poesia vuota e declamatoria della tradizione epico-tragica. La poesia di Marziale presenta una gamma varia e articolata di registri stilistici, che mutano a seconda del tipo di componimento: più eleganti e manierati quelli di carattere celebrativo; più sobri e composti quelli di argomento autobiografico e familiare; scintillanti e virtuosistici, infine, i carmi di carattere comico-realistico. In tutti i casi, non viene mai meno la finezza letteraria, il culto della pagina limata ad arte e innervata di frequenti citazioni.
Guida allo studio
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1. Illustra la tecnica compositiva di Marziale, descrivendo lo schema-base ricorrente nei suoi epigrammi, con le eventuali varianti. 2. Quali sono gli aspetti essenziali della lingua e dello stile di Marziale?
3. Spiega il significato dei seguenti termini ed espressioni: aprosdóketon; clausula o pointe o chiusa epigrammatica; accumulazione enumerativa.
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Marziale
nel TEMPO
Presso i contemporanei La fortuna di zato anche dai lettori cristiani (si pensi solo ai Marziale, privilegio toccato a pochissimi poeti dell’antichità, non conosce interruzione. Già in vita le sue opere erano lette, recitate, imparate a memoria da un pubblico vasto ed eterogeneo: laudat, amat, cantat nostros mea Roma libellos,/ meque sinus omnes, me manus omnis habet («La mia Roma loda, ama, canta i miei epigrammi; io sono in ogni piega della toga e in ogni mano»), come scrive orgogliosamente l’autore stesso (VI, 60, 1-2). Una fama che si era rapidamente estesa anche al di fuori dei confini italici: i suoi libri si leggevano a Vienne, sul Rodano (VII, 88) e per sino nella remota Britannia (XI, 3, 1-5): Non urbana mea tantum Pipleide gaudent / otia nec vacuis auribus ista damus, / sed meus in Geticis ad Martia signa pruinis / a rigido teritur centurione liber, / dicitur et nostros cantare Britannia versus («della mia poesia non si compiace soltanto la gente oziosa di Roma, ed io non scrivo questi epigrammi per uomini sfaccendati: il mio libro è assiduamente letto dal duro centurione accampato nel freddo paese dei Geti presso le insegne di guerra, e mi dicono che anche i Britanni cantano i miei ver si»). Non c’è da stupirsene: Marziale ricerca il consenso del pubblico e ne soddisfa ogni esigen za. La sua è una poesia piacevole e raffinata che non disdegna battute spiritose, oscenità, invettive alla moda, adulazioni ben congegnate. Mostra al mondo com’è Roma, in un’epoca in cui il mon do parla solo di Roma e in cui tutti i provinciali (come già lo stesso Marziale) sognano di venire ad abitarvi.
In età imperiale e nel Medioevo Assi duamente letto nel secolo successivo, special mente nell’ambiente dei poetae novelli [ cap. 13.4], citato da grammatici ed eruditi nella tar da età imperiale, imitato da poeti come Ausonio [ cap. 18.3] e Claudiano [ cap. 18.9], apprez
nomi di Gerolamo, di Prudenzio e di Paolino da Nola), Marziale continuò ad essere conosciuto e trascritto nei monasteri anche dopo la cadu ta dell’impero. Mentre si perdono i testi di Lu crezio o di Tito Livio, gli Epigrammata vengono trasmessi senza interruzione in numerosi codici paralleli. Tracce e citazioni si ritrovano in diversi autori durante tutta l’epoca medievale.
In età moderna Ma è con l’età umanistica che nasce e si sviluppa l’epigramma moderno, uno fra i generi più apprezzati e coltivati tra XV e XVI secolo: il via lo diede il Panormita, con gli ottanta epigrammi osceni e provocatorii con tenuti nell’Hermaphroditus (1425); seguirono il Filelfo, Pio II Piccolomini, il Pontano, Sannazaro (con gli splendidi Epigrammata), il Poliziano, l’Alamanni, che scrissero epigrammi sia in lingua italiana che latina su imitazione di Marziale. E il genere avrà immensa fortuna in ogni parte d’Eu ropa per secoli: ancora Voltaire, Goethe (autore anche di Xenien), Alfieri vi si misureranno con notevoli risultati. La stessa poesia barocca, fonda ta sulla poetica della meraviglia e sul concettismo, sulla ricerca di ingegnosità e di argutezze, deve molto alla tecnica epigrammatica di Marziale.
Nell’Ottocento e in età contemporanea Il XIX secolo screditò l’opera di Marziale, condannando sia l’oscenità sia il servilismo di una parte della sua opera. Resta il fatto che l’im pronta fortemente satirica del genere epigram matico, ancora oggi abbondantemente praticato, deriva direttamente dai libri di Marziale: si legga no, per misurare fino in fondo la tenuta e la forza di questa tradizione, gli Epigrammi (seguiti dai Nuovi epigrammi) presenti in una delle raccolte poetiche più felici di Pasolini, La religione del mio tempo (1958).
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L’ETÀ DEI FLAVI E DI TRAIANO
8. Marziale e la poesia epigrammatica
Materiali
essenziale
Bibliografia
B
S Sintesi
PROFILO STORICO
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DOCUMENTI E TESTIMONIANZE • Ricordo di Marziale (Plinio il Giovane) BIBLIOGRAFIA ESTESA
� Fra le numerose edizioni dell’opera di Marziale si con siglia: Marco Valerio Marziale, Epigrammi, voll. I-II, saggio introduttivo di M. Citroni, trad. di M. Scandola, no te di E. Merli, Rizzoli BUR,
Milano1996. Per il libro d’e sordio: Marziale, Gli spettacoli, a cura di F. Della Corte, Università di Genova, Istituto di Filologia classica e medie vale, Genova 1986. � Sulla poesia epigrammatica, e
Marziale e la poesia epigrammatica Marco Valerio Marziale nasce a Bilbili, nella Spagna Tarraconense, fra il 38 e il 41 d.C. Intorno al 64 si trasferisce a Roma, dove risiede per trent’anni conducendo la vita convulsa e precaria del cliente subordinato ai favori, sempre più o meno incerti, dei protettori. Solo dopo la pubblicazione del Liber de spectaculis (80 d.C.), composto durante la grandiosa inaugurazione dell’anfiteatro Flavio, raggiunge una certa notorietà; l’imperatore Tito e poi Domiziano gli concedono alcuni benefici; stringe rapporti di amicizia con gli scrittori più importanti dell’epoca, fra cui Quintiliano e Plinio il Giovane. Nell’84 (o nell’85) pubblica Xenia e Apophoreta, due libri di epigrammi legati alle festività dei Saturnali; tra l’86 e il 96 si succedono, uno all’anno, i primi undici libri degli Epigrammata, che trattano un’amplissima varietà di temi, dai componimenti autobiografici a quelli encomiastici, dal pettegolezzo mondano alle divertite, ammiccanti oscenità, alle descrizioni, spesso caricaturali, di ambienti, personaggi, oggetti. Nel 98 fa ritorno a Bilbili, dove compone il dodicesimo e ultimo libro di Epigrammata. Nel lontano paese natale il poeta muore fra il 101 e il 104 d.C. Marziale scrive esclusivamente epigrammi, ed è l’unico epigrammista di cui ci sia pervenuta integralmente l’opera. Alla sua copiosa produzione (quindici libri: in tutto 1561 componimenti per
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le sue connessioni con la sati ra: M. Citroni, Musa pedestre, in Lo spazio letterario di Roma antica, vol. I: La produzione del testo, Salerno editrice, Roma 1989, pp. 311-341.
quasi diecimila versi) toccò in ogni tempo grande fortuna, tanto da portare all’identificazione fra i caratteri della sua opera e il genere letterario dell’epigramma. La pagina di Marziale vuole avere il «sapore» dell’uomo, ritrarre la vita così com’è, in un linguaggio semplice, naturale e scherzoso; il poeta dichiara polemicamente il suo rifiuto della mitologia e dei generi “alti” (epos e tragedia), sentiti come inattuali, ripetitivi e lontani dalla vita reale. Brevità, concentrazione espressiva in vista dell’arguzia finale con effetto-sorpresa (la pointe o chiusa epigrammatica), inesauribile ricchezza dell’invenzione linguistica, attenzione per il mondo concreto degli oggetti, gusto del catalogo, accentuazione dell’elemento comico-satirico in assenza di intenzioni moralistiche e di denuncia così come di partecipazione emotiva, sono gli elementi che caratterizzano gli epigrammi di Marziale e che riescono a conferire unità alla varia, dispersa e multicolore materia trattata. Poeta d’occasione, legato alle esigenze del suo vasto ed eterogeneo pubblico sia nei versi di carattere celebrativo sia in quelli di intrattenimento mondano, Marziale si pone in una prospettiva comico-realistica e carnevalesca da cui può sortire un sorprendente svelamento della realtà: nella rappresentazione crudamente spregiudicata del formicolante mondo cittadino, gli Epigrammi restano un grande affresco, libero e lucidissimo, della società imperiale romana.
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Percorso antologico Apophoreta T1
Due distici: doni preziosi e doni umili (Apoph. 97, 98)
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Epigrammata T2
Hominem pagina nostra sapit (Ep. X, 4)
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T3
Lasciva est nobis pagina, vita proba (Ep. I, 4)
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IT
T4
La vita a Bilbili (Ep. XII, 18)
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Liber de spectaculis T5
Spettacoli: la sfilata dei delatori (Liber de spectaculis 4)
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IT
T6
Spettacoli: un cruento pantomimo (Liber de spectaculis 7)
LAT
IT
T7
Spettacoli: i ludi venatorii (Liber de spectaculis 13)
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T8
Spettacoli: una naumachia (Liber de spectaculis 24)
LAT
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ONLINE ONLINE
Epigrammata T9
Epigrammi satirici (Ep. I, 10; I, 47; II, 38; VIII, 10; X, 8; X, 91)
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T10
Quadri di vita romana: lo sfratto di Vacerra (Ep. XII, 32)
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T11
Epigrammi funebri (Ep. V, 34 e 37)
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T12
Nuovi spettacoli: il pugnale di ghiaccio (Ep. IV, 18)
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L’ETÀ DEI FLAVI E DI TRAIANO
8. Marziale e la poesia epigrammatica
T 4 La vita a Bilbili Epigrammata XII, 18 LATINO ITALIANO
PERCORSO ANTOLOGICO
Nota metrica: endecasillabi faleci.
Il libro XII degli Epigrammata, ultimo del poeta, fu composto interamente in Spagna, nella natia Bilbili, dove Marziale era ritornato nel 98. Questo componimento è dedicato al poeta Giovenale, tuttora costretto alla vita faticosa e spesso umiliante del cliente, mentre Marziale può finalmente dedicarsi all’ozio, al sonno, alle piccole gioie della vita rurale.
Dum tu forsitan inquietus erras clamosa, Iuvenalis, in Subura aut collem dominae teris Dianae; dum per limina te potentiorum 5 sudatrix toga ventilat vagumque maior Caelius et minor fatigant: me multos repetita post Decembres accepit mea rusticumque fecit auro Bilbilis et superba ferro. 10 Hic pigri colimus labore dulci Boterdum Plateamque – Celtiberis haec sunt nomina crassiora terris –: ingenti fruor inproboque somno, quem nec tertia saepe rumpit hora, 15 et totum mihi nunc repono quidquid ter denos vigilaveram per annos. Ignota est toga, sed datur petenti rupta proxima vestis a cathedra. Surgentem focus excipit superba 20 vicini strue cultus iliceti, multa vilica quem coronat olla. Mentre tu, o Giovenale, forse ti aggiri indaffarato per la rumorosa Subura o consumi la strada del colle di Diana, mentre varchi le soglie dei palazzi dei signori, ventilato dalla toga, che ti fa sudare, e ti affatichi correndo per il Celio maggiore e minore, io vivo la mia vita campagnola nella mia Bilbili, superba di oro e di ferro, ove sono tornato dopo molti anni. Passo qui le mie giornate in pigrizia e tra piacevoli lavori a Boterdo e a Platea – nella Celtiberia s’incontrano questi rustici nomi –, mi godo le mie profonde e accanite dormite, che spesso non rompe neppure l’ora terza, e mi rifaccio ora di tutto quel sonno che ho perduto in trent’anni d’insonnia. Qui la toga è sconosciuta: mi viene dato, quando lo richiedo, quel vestito che mi sta vicino sulla sedia sgangherata. Quando mi alzo, mi accoglie il focolare ben guarnito di grossi ciocchi portati dal vicino querceto, su cui pendono tutto all’intorno le molte pentole della fattoressa.
2. Subura: quartiere popoloso e malfa mato, sito tra i monti Celio ed Esquilino.
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3. collem: l’Aventino, su cui sorgeva un tempio di Diana.
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14. tertia... hora: le nove del mattino.
PERCORSO ANTOLOGICO
Scena di vita in un villaggio sulla riva del Nilo. Dettaglio di un mosaico da Uzalis, El Alia, Tunisia. II secolo d.C. Tunisi, Museo del Bardo.
Venator sequitur, sed ille quem tu secreta cupias habere silva; dispensat pueris rogatque longos 25 levis ponere vilicus capillos. Sic me vivere, sic iuvat perire. Poi arriva il cacciatore, un giovane che tu vorresti avere con te nel segreto del bosco; e il fattore sbarbato assegna il lavoro agli schiavi e mi chiede il permesso di far tagliare i loro lunghi capelli. Così mi piace vivere, così mi piace morire. (trad. di G. Norcio)
T 5 Spettacoli: la sfilata dei delatori Liber de spectaculis 4 LATINO ITALIANO
La sfilata dei delatori, figure di cui si era costantemente servito Vespasiano, va inquadrata nella politica di moralizzazione della vita pubblica romana perseguita da Tito. Il fenomeno ritornò peraltro in auge sotto il successore Domiziano. I delatori percorsero l’arena dell’anfiteatro, esposti al pubblico ludibrio; furono poi venduti come schiavi o esiliati in terre inospitali. Il motivo dell’adulazione, centrale nel liber di Marziale, compare al v. 4 nella forma di un elegante motto: poiché parte della vendita dei beni degli accusati finiva per legge nelle casse dello Stato, Tito, privandosi delle delazioni, si privava di una ricca fonte di proventi; perciò Marziale può affermare a buon diritto che anche lo spettacolo dei delatori andava aggiunto alle «spese» dell’imperatore. La poesia, come prevedeva il codice epigrammatico, si conclude con una battuta: chi un tempo dava l’esilio, ora lo riceve. Si osservi come un tema serissimo diventi occasione per un lusus letterario sostanzialmente indifferente alla rilevanza politica e civile dell’evento. @ Casa Editrice G.Principato
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L’ETÀ DEI FLAVI E DI TRAIANO
8. Marziale e la poesia epigrammatica
Nota metrica: distici elegiaci.
Turba gravis paci placidaeque inimica quieti, quae semper miseras sollicitabat opes, traducta est, togulas nec cepit harena nocentes: haec licet inpensis principis adnumeres. 5 Exulat Ausonia profugus delator ab urbe: et delator habet quod dabat exilium.
La schiera dei delatori, pericolo permanente di discordia e ostile all’acquetarsi pacifico degli animi, quella che sempre insidiava le ricchezze, fonti d’affanno, è stata data come spettacolo al popolo; l’arena non poté contenere tutti questi uomini colpevoli. Anche questo si può aggiungere alle spese dell’imperatore. Profugo il delatore è bandito dalla città d’Italia e quell’esilio, che procurava ad altri, ora sopporta.
5. Ausonia... urbe: Roma. Il territorio degli Ausoni si estendeva, all’incirca, da
Benevento al Tevere; ma con Ausonia si indicava poeticamente, per antica con
suetudine, l’intera Italia. Cfr. Virgilio, Eneide VI, 807 [ vol. II, T24, cap. 2].
T 6 Spettacoli: un cruento pantomimo Liber de spectaculis 7 LATINO ITALIANO
Svetonio, nella Vita di Caligola (cap. 57), racconta che l’imperatore aveva assistito poco prima di morire a un pantomimo intitolato Laureolus, dal nome di un celebre ladro punito con la crocifissione e offerto in pasto alle fiere. Lo spettacolo cui Marziale allude è una nuova rappresentazione di quella fabula, ma con un attore che non può fingere, trattandosi di un criminale condannato a morte per parricidio, omicidio, sacrilegio e incendio della città (come viene detto ai vv. 8-10): lo sventurato viene davvero crocifisso e dilaniato da autentiche fiere. Anche in questo caso, Marziale non pare toccato dall’avvenimento; la sua attenzione è rivolta esclusivamente a sottolineare gli effetti più vistosi e sconvolgenti della scena. Tutto è misurato in termini letterari: i crimini del condannato vengono giudicati secondo il metro dell’aemulatio (v. 11); la descrizione della pena è introdotta mediante una similitudine mitologica, con il richiamo alla celebre vicenda di Prometeo incatenato. La battuta finale esalta l’incredibile prodigio di una finzione scenica che si è tramutata in un Gladiatore assalito dalle fiere, mosaico, II secolo d.C. supplizio vero. El Djem, Tunisia, Musée Archéologique.
PERCORSO ANTOLOGICO
(trad. di F. Della Corte)
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PERCORSO ANTOLOGICO
Nota metrica: distici elegiaci.
Qualiter in Scythica religatus rupe Prometheus assiduam nimio pectore pavit avem, nuda Caledonio sic viscera praebuit urso non falsa pendens in cruce Laureolus. 5 Vivebant laceri membris stillantibus artus inque omni nusquam corpore corpus erat. Denique supplicium <expendit namque ille parentis> vel domini iugulum foderat ense nocens, templa vel arcano demens spoliaverat auro, 10 subdiderat saevas vel tibi, Roma, faces. Vicerat antiquae sceleratus crimina famae, in quo, quae fuerat fabula, poena fuit.
Non diversamente da Prometeo che, legato sulla rupe scitica, nutrì con il sempre ricrescente petto l’uccello che mai l’abbandonava, Laureolo, appeso a una non irreale croce, offrì le sue nude viscere a un orso caledonio. Erano ben vivi quegli arti lacerati dalle membra grondanti sangue, e in tutto il corpo non v’era più nulla che avesse forma umana. Questi pagò alfine il fio dei suoi delitti; perché l’assassino tagliò con la spada la gola di suo padre e persino del suo padrone; folle, aveva rapito ai templi l’oro che v’era nascosto, e a te, o Roma, aveva appiccato fuoco con empie fiaccole. Lo scellerato aveva superato i delitti dell’antica fama. Per lui, quello che fino allora era stata una scena teatrale, divenne una pena reale. (trad. di F. della Corte)
1. Prometheus: Prometeo, per aver più volte ingannato gli dèi, era stato con dannato ad un atroce supplizio: incate
nato a una rupe del Caucaso (la Scythica... rupe cui allude Marziale), ogni giorno aveva il fegato lacerato da un’a
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Spettacoli: i ludi venatorii
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Spettacoli: una naumachia
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quila; e ogni notte il fegato ricresceva. 3. Caledonio: della Caledonia, l’odier na Scozia.
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8. Marziale e la poesia epigrammatica
T 9 Epigrammi satirici Epigrammata I, 10 [a]; I, 47 [b]; II, 38 [c]; VIII, 10 [d]; X, 8 [e]; X, 91 [f] LATINO ITALIANO
Nota metrica: distici elegiaci [b; c; e; f] e trimetri giambici scazonti [a; d].
Nella varietà tematica degli Epigrammata, ampio spazio occupano le composizioni di intonazione comica e aggressiva, fra le più divertenti e incisive per forza di sintesi e realismo della rappresentazione. In particolare si osservi, in [a], lo sviluppo tripartito dell’epigramma: racconto del fatto (vv. 1-2); dialogo a botta e risposta tra il poeta e l’immaginario interlocutore (vv. 3-4); risposta conclusiva (Tussit), che spiega in modo arguto e umoristico il fatto apparentemente strano e paradossale (la donna è tisica, e si suppone che morirà presto, consentendo al marito di ereditare una vasta fortuna).
[a]
Petit Gemellus nuptias Maronillae et cupit et instat et precatur et donat. Adeone pulchra est? Immo foedius nil est. Quid ergo in illa petitur et placet? Tussit.
PERCORSO ANTOLOGICO
Gemello vuole sposare Maronilla: lo desidera ardentemente, si dà un gran da fare, prega la donna, le invia regali. È dunque tanto bella? Tutt’altro: non c’è nulla di più repellente. Che cosa dunque cerca in lei, che cosa gli fa gola? Tossisce.
[b] Nuper erat medicus, nunc est vispillo Diaulus: quod vispillo facit, fecerat et medicus. Poco fa Diaulo era un medico, ora è un becchino: ciò che fa da becchino lo aveva fatto anche da medico.
[c]
Quid mihi reddat ager quaeris, Line, Nomentanus? Hoc mihi reddit ager: te, Line, non video. Mi chiedi, o Lino, che cosa mi renda il mio poderetto nomentano? Ecco cosa mi rende: non vedo la tua faccia, o Lino.
[d]
Emit lacernas milibus decem Bassus Tyrias coloris optimi. Lucri fecit. «Adeo bene emit?» inquis. Immo non solvet.
Basso ha comprato per diecimila sesterzi un mantello di porpora tiria di uno splendido colore. Ha fatto un ottimo affare. «L’ha comprato così a buon mercato?» tu dirai. Certo, dal momento che non lo pagherà. 306
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PERCORSO ANTOLOGICO
[e] Nubere Paula cupit nobis, ego ducere Paulam nolo: anus est. Vellem, si magis esset anus. Paola vuole sposarmi, ma io non voglio sposarla, perché è vecchia. La sposerei volentieri, se fosse più vecchia.
[f] Omnes eunuchos habet Almo nec arrigit ipse: et queritur pariat quod sua Polla nihil. Almone ha tutti i servi eunuchi e lui stesso è impotente: e poi si lamenta perché la sua Polla non fa bambini. (trad. di G. Norcio)
Leggere un TESTO CRITICO Il realismo di Marziale Mario Citroni ha scritto pagine significative sulla particolare qualità del realismo di Marziale, volto non tanto a indagare delle ragioni sociali o morali, quanto
a rappresentare i comportamenti umani nella loro molteplice e contraddittoria varietà.
A differenza che nella tradizione satirica, nell’epigramma comico-realistico di Marziale l’interesse non è però rivolto all’analisi e alla valutazione morale del comportamento, bensì in primo luogo alla sua rappresentazione in quanto tale. La forza attiva che sentiamo operare in questa poesia è il gusto nel ritrarre la realtà quotidiana, il piacere di scoprire gli aspetti curiosi, contraddittori, ed anche spregevoli, del suo funzionamento. È un tipo di realismo che trova dei precedenti in certi quadri mimici di Catullo (che sono però sempre fortemente legati all’esperienza emotiva dell’io del poeta) e nei mimi satirici oraziani (in cui a volte il giudizio morale sul comportamento rappresentato, per quanto sia ben chiaro, resta implicito) e che certo doveva trovare notevoli precedenti nella tradizione dell’epigramma, ma che probabilmente non ha mai avuto una applicazione così sistematica prima di Marziale e che potrebbe essere accostato a quello petroniano. [...] Il gusto per la rappresentazione realistica della società è una motivazione artistica che va al di là della sola parte «satirica» della produzione di Marziale: esso è largamente presente anche negli epigrammi cerimoniali, nei carmi autobiografici, negli epigrammi di «consumo» quali i bigliettini per i doni ai Saturnali, componimenti che tutti si integrano con gli epigrammi comico-realistici nel dare al lettore un quadro complessivo più ricco dei molteplici aspetti della realtà. Un quadro che deve la sua grande efficacia non alla capacità di penetrazione nelle ragioni dei comportamenti, ma appunto alla ricchezza e vivacità dell’osservazione fenomenica del comportamento, del dettaglio, dell’oggetto. Una lingua duttile, di disinvolta eleganza ovidiana, si apre senza remore a questa funzione artistica, facendo entrare per la prima volta nella poesia con i loro nomi usuali tanti oggetti e figure del mondo quotidiano di cui la poesia non si era mai occupata e ammettendo una larga @ Casa Editrice G.Principato
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L’ETÀ DEI FLAVI E DI TRAIANO
8. Marziale e la poesia epigrammatica
Leggere un TESTO CRITICO
presenza di parole volgari e oscene. L’epigramma di Marziale segna il trionfo del genere poetico più tipicamente «minore» nella dimensione che la poetica antica identificava come più propriamente «minore»: quella della vita quotidiana rappresentata in chiave comica. Marziale, come a suo tempo Lucilio, accetta questa dimensione «minore», ne fa l’impegno unico della sua vita di poeta e crea, entro questa dimensione, un’opera di grande mole e di grande respiro che egli, come Lucilio, contrappone orgogliosamente, in nome dell’autenticità e dell’aderenza alla realtà, ai generi maggiori con i loro temi mitologici lontani dalla vita (monstra in Marziale X, 4, 2; portenta in Lucilio, 587 Marx) e col loro linguaggio gonfio e artefatto. (M. Citroni, Musa pedestre, in Lo spazio letterario di Roma antica, I, La produzione del testo, Salerno editrice, Roma 1989, pp. 339-340)
T 10 Quadri di vita romana: lo sfratto di Vacerra Epigrammata XII, 32
PERCORSO ANTOLOGICO
LATINO ITALIANO
Nota metrica: trimetri giambici scazonti.
Marziale è anche il poeta di una Roma miserabile e degradata, descritta con sguardo crudo e distaccato, realistico e insieme caricaturale. Vacerra è stato da poco sfrattato con tutta la sua famiglia: Marziale si sofferma sui poveri oggetti maleodoranti e sgangherati che ancora gli appartengono, insistendo impietosamente sugli aspetti più sordidi e ripugnanti. In assenza di una prospettiva morale o civile, il poeta sembra tutto preso dal suo tour de force sperimentale: si osservino i riferimenti mitologici (le Furie, Iro) in funzione grottesca e deformante, l’implacabile tecnica enumerativa e la necessaria battuta finale, strumenti adibiti non tanto a interpretare la realtà quanto a creare, presso il lettore, effetti di compiacimento e di «maraviglia».
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O Iuliarum dedecus Kalendarum, vidi, Vacerra, sarcinas tuas, vidi; quas non retentas pensione pro bima portabat uxor rufa crinibus septem et cum sorore cana mater ingenti. Furias putavi nocte Ditis emersas. Has tu priores frigore et fame siccus et non recenti pallidus magis buxo Irus tuorum temporum sequebaris.
O Vacerra, vergogna delle calende di luglio!, ho visto, sì, ho visto le tue masserizie che, non essendo state accettate in cambio dell’affitto di due anni, portavano tua moglie coi suoi sette capelli rossi e la tua canuta madre insieme alla tua gigantesca sorella. Ho creduto che le Furie fossero emerse dal buio dell’Inferno. Tu, Iro dei tuoi tempi, insecchito dal freddo e dalla fame e più pallido d’un ramo secco di bosso, le seguivi. 1. Iuliarum... Kalendarum: giorno in cui a Roma scadevano i contratti di lo cazione.
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9. Irus: il mendico di Odissea XVIII, 1 ss.
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PERCORSO ANTOLOGICO
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Migrare clivom crederes Aricinum. Ibat tripes grabatus et bipes mensa et cum lucerna corneoque cratere matella curto rupta latere meiebat; foco virenti suberat amphorae cervix; 15 fuisse gerres aut inutiles maenas odor inpudicus urcei fatebatur, qualis marinae vix sit aura piscinae. Nec quadra derat casei Tolosatis, quadrima nigri nec corona pulei 20 calvaeque restes alioque cepisque, nec plena turpi matris olla resina Summemmianae qua pilantur uxores. Quid quaeris aedes vilicosque derides, habitare gratis, o Vacerra, cum possis? 25 Haec sarcinarum pompa convenit ponti.
Uno l’avrebbe creduto un trasferimento dei mendicanti di Ariccia. Sfilavano un misero lettuccio a tre piedi, e un tavolo a due piedi: con una lucerna e un cratere di corniolo un vaso da notte crepato pisciava dal fianco sbreccato; il collo di un’anfora stava sotto un braciere di colore verderame; il puzzo nauseabondo del vaso, peggiore di quello che proviene da una piscina di acqua marina, diceva chiaramente che c’erano state acciughe e misere sardelle. Non mancava un pezzo di formaggio di Tolosa, una ghirlanda di nera menta vecchia di quattro anni, reste sguarnite dei loro agli e cipolle e la pentola di tua madre piena di quella lurida resina, con cui si depilano le donne Summemmiane. Perché, o Vacerra, cerchi una casa e vuoi beffare gli amministratori, quando puoi trovare un alloggio gratis? Questa fila di masserizie si addice a un ponte. (trad. di G. Norcio)
10. clivom... Aricinum: sito abitualmente frequentato da mendicanti. 19. pulei: erba odorosa, con proprietà affini alla menta piperita. 22. Summemmianae... uxores: il Summemmio (da sub moenia: «dietro le mura») era un luogo frequentato da prostitute di infimo rango. Marziale vi accenna anche in I, 34 e III, 82.
Natura morta, affresco da Pompei, Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
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L’ETÀ DEI FLAVI E DI TRAIANO
8. Marziale e la poesia epigrammatica
Dialogo con i MODELLI Carlo Emilio Gadda e Marziale: il trasloco della signora Inzaghi
PERCORSO ANTOLOGICO
La scrittura “barocca” di Carlo Emilio Gadda divide con quella di Marziale il gusto naturalistico e insieme grottesco dell’osservazione, il piacere dell’enumerazione, la fascinazione dei nomi e degli oggetti, la concretezza della nominazione, l’uso stravolto e parodistico dell’universo mitologico. In un «disegno milanese» del Gadda, compreso nell’Adalgisa (1944), possiamo leggere la stupefacente descrizione
di un altro trasloco dove campeggiano oggetti di ogni tipo, compresi il «pitale» che dà inizio al comico disastro (e che già si trovava nel nauseabondo catalogo di Marziale) e un cagnaccio che latra «come un Agamènnone in furie» (secondo un procedimento di riappropriazione comico-realistica dell’immaginario mitologico non ignoto allo stesso poeta latino: cfr. XII, 23, 6).
Qualunque mestiere, avrebbe fatto.... I calcagni si assottigliavano di giorno in giorno senza rimedio bilanciàbile. Aveva lucidato pavimenti alla fiera campionaria, nel padiglione dell’arredamento e degli spazzoloni elettrici, fin sotto il baffo del sottosegretario inaugurante, e poi dopo, per più giorni. S’era stiacciato un dito col martello, imballatore d’occasione. Aveva aiutato la signora Inzaghi a traslocare in economia, «cont el caretìn del Sciscia»: e quel san michele di cadrèghe e seggette celebrato a san Policarpo, era anche riuscito mica male in una bufera di neve-grandine: con piena esultanza della Inzaghi, e mancia imprevista oltre il guiderdone pattuito. Nonostante i quattordici tavolini da notte, «domandi mì, quatòrdes cifòn!», e le relative lastre di marmo, «me recomandi i mè làster!», discese a spalla tre a tre, quattro a quattro, da parere il Profeta in corruccio decedente dal Sinai; lui invece intenebràtosi nella chiocciola buia della scala, che l’architetto Basletta aveva progettata e, quel che è peggio, costruita, nella forma razionale del cavatappi: o elica. E in quell’altra mano ogni volta un qualche altro aggeggio, «per gòt el viàcc», per usufruire della gita: l’arcolaio, la gabbia, mestoli mandolino e ombrelli, un vaso di peperoni. Era andato tutto bene fino in fine. Proprio in cima delle scale «de l’ültim viàcc», slàffete! che non gli va a scivolar di mano un pitale, di ferro smaltato! con dentro, a sforzare, un pacco tutto ghìngheri e nastrini celesti: «oh poera mì, i òstrik del mè viàcc de nòzz!»: e aveva principiato a rotolare e a rotolare di gradino in gradino, uniformandosi in disciplina perfetta all’andatura elicoide di quel capo d’opera, della ratio baslettiana, ed evacuando gusci d’ostriche centrifugati a ogni nuovo tonfo, che ne seminò giù per tutte le rampe e i ripiani. E rimbalzò come una trottola ad ogni pianerottolo, fra la trepidazione dei casigliani allarmati: «Cose diavol sücéd?»: e nell’acquisita accelerazione a cavaturaccioli verso l’abisso eccitò a una rincorsa precipite il Mustafà dei signori Vanzaghelli: un cucciolone lupo con quattro sciamannate zampacce, più grullo d’uno scolare del liceo. Latrando come un Agamènnone in furie dietro quell’armadillo piroettante e canoro, che seminava ostriche ad ogni gradino, il pazzo quadrupede aveva sorpassato a rompicollo la signora Inzaghi, la quale discendeva a sua volta con tutte le valenze sature, delle più inverosimili carabàttole. All’altezza dello stambugio della portinaia era pervenuto ad azzannare il riottoso recipiente, e a sbuzzargli fuora le trippe, cioè un due o tre ostriche ancora e tutti gli spaghi e la cartaccia, prolungandone però fino all’infinito i rimbalzi e le piroette orbitanti, (vuoto com’era adesso), e quello scampanare del diavolo; con
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PERCORSO ANTOLOGICO
forsennati latrati. La portinaia Teresa Fioroni era coraggiosamente accorsa, granata alla mano, per intimargli il «cúcia lì!» e carpirgli, possibilmente, la preda: checché! non osò nemmeno avvicinarlo, quel bolide, e Astarotte in figura di lupo: da tanto il lupo le ghiacciava le budella, intermessa per un momento la giostra, piantato a gambe larghe sulle sue quattro zampacce: gli orecchi ritti, puntuti, discoprendo un acuminato avorio nel buio, ringhiando, bavando, fissandola e sfiammeggiando dagli occhi con il demonio in corpo: ch’era doventato un dragone. (C.E. Gadda, L’Adalgisa. Disegni milanesi, Einaudi, Torino 1963, pp. 45-47)
T 11 Epigrammi funebri Epigrammata V, 34 e 37 LATINO ITALIANO
Nota metrica: distici elegiaci (v, 34) e trimetri giambici scazonti (v, 37).
[a] L’epigramma V, 34 è stato tradizionalmente letto come un esempio di autentica
commozione del poeta, rattristato dalla morte della piccola Erotion (letteralmente «Amorino»), una schiavetta di sua proprietà che egli affida nell’oltretomba alla protezione dei propri genitori (vv. 1-2): difficile trovare, nella letteratura latina, un carme di altrettanto gentile e patetica delicatezza. [b] Ma si legga, subito dopo, l’epigramma V, 37, dedicato alla medesima bimba. Marziale quasi dimentica l’evento luttuoso, assorbito dalle possibilità di invenzione letteraria che esso gli schiude: ed ecco il lungo catalogo iniziale, nel quale si fa uso del più tradizionale armamentario esotico e figurativo del mondo latino; o la battuta finale, che ripete il modulo tipico dell’epigramma aggressivo e sarcastico. La collocazione ravvicinata dei due testi denuncia, in Marziale, la volontà di stupire il lettore con due pezzi di bravura intorno al medesimo soggetto.
Hanc tibi, Fronto pater, genetrix Flaccilla, puellam oscula commendo deliciasque meas, parvola ne nigras horrescat Erotion umbras oraque Tartarei prodigiosa canis. 5 Inpletura fuit sextae modo frigora brumae, vixisset totidem ni minus illa dies. Inter tam veteres ludat lasciva patronos et nomen blaeso garriat ore meum. Mollia non rigidus caespes tegat ossa, nec illi, 10 terra, gravis fueris: non fuit illa tibi. [a]
O padre Frontone, o madre Flaccilla, vi raccomando questa bambina, mia boccuccia e mia delizia, affinché la piccola Erotion non tremi di terrore davanti alle nere ombre e alle mostruose fauci del cane tartareo. Avrebbe appena compiuto il sesto inverno, se fosse vissuta almeno altri sei giorni. In compagnia di così vecchi protettori, giuochi spensierata e pronunzi il mio nome con la sua bocca balbettante. Non copra le sue delicate ossa una dura zolla, e non esserle pesante, o terra: lei infatti non lo fu per te. (trad. di G. Norcio)
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L’ETÀ DEI FLAVI E DI TRAIANO
8. Marziale e la poesia epigrammatica
Puella senibus dulcior mihi cycnis, agna Galaesi mollior Phalantini, concha Lucrini delicatior stagni, cui nec lapillos praeferas Erythraeos, 5 nec modo politum pecudis Indicae dentem nivesque primas liliumque non tactum; quae crine vicit Baetici gregis vellus Rhenique nodos aureamque nitelam; fragravit ore quod rosarium Paesti, 10 quod Atticarum prima mella cerarum, quod sucinorum rapta de manu gleba; cui conparatus indecens erat pavo, inamabilis sciurus et frequens phoenix: adhuc recenti tepet Erotion busto, 15 quam pessimorum lex amara fatorum sexta peregit hieme, nec tamen tota, nostros amores gaudiumque lususque. Et esse tristem me meus vetat Paetus, pectusque pulsans pariter et comam vellens:
PERCORSO ANTOLOGICO
[b]
La bambina, la cui voce era per me più dolce del canto di un vecchio cigno, che era più tenera di un’agnella del Galeso falantino, e più delicata di una conchiglia dello stagno Lucrino, a cui non avresti preferito le perle eritree né la zanna della belva indiana or ora levigata, né la neve appena caduta, né il giglio immacolato, che con la chioma vinceva il vello delle pecore betiche, i capelli annodati dei Germani e lo splendore dell’oro, che dalla boccuccia emanava il profumo dei roseti di Pesto e del primo miele dei favi attici e di pezzetti d’ambra strappati dalle mani, al cui confronto era brutto il pavone, privo di grazia lo scoiattolo e uccello comune la fenice, Erotion, è ancora tiepida sul rogo intatto, che la dura legge del più crudele destino mi ha rapito nel sesto anno, e non ancora compiuto, mio amore, mia gioia e mio svago. E Peto non vorrebbe che io fossi triste, egli che battendosi a un tempo il petto e strappandosi i capelli
1. senibus... cycnis: i cigni, secondo l’antica leggenda, cantavano in punto di morte un canto dolcissimo e melodioso. 2. agna Galaesi... Phalantini: il Galeso scorreva nei pressi di Taranto, città fon data, secondo la tradizione, dal re spar tano Falanto.
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3. concha Lucrini... stagni: il lago Lucri no, che si trovava nelle vicinanze di Baia, era ricco di pescagione, e in particolare di ostriche. 5. politum... dentem: l’avorio.
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7. Baetici: la Betica era una provincia della penisola iberica. 9. Paesti: la celebre città campana, già lodata da Virgilio nelle Georgiche (IV, 119) per i suoi roseti.
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«Deflere non te vernulae pudet mortem? Ego coniugem» inquit «extuli et tamen vivo, notam, superbam, nobilem, locupletem». Quid esse nostro fortius potest Paeto? Ducentiens accepit et tamen vivit.
mi dice: «Non ti vergogni di piangere la morte di una schiavetta? Io ho seppellito la moglie, una donna illustre, superba, nobile e ricca, e tuttavia vivo». Chi potrebbe essere più forte del nostro Peto? Ha ereditato venti milioni di sesterzi e tuttavia vive. (trad. di G. Norcio)
T 12 Nuovi spettacoli: il pugnale di ghiaccio Epigrammata IV, 18 LATINO ITALIANO
Nota metrica: distici elegiaci.
La poesia di Marziale non è mai poesia di emozioni e di sentimenti: un fatto, anche il più doloroso, diventa subito occasione di invenzioni linguistiche e di ingegnosità concettuali. Qui non c’è commozione davanti alla morte del fanciullo, solo meraviglia per l’episodio inconsueto, intorno al quale il poeta elabora per analogia una rete di immagini e di metafore prodigiose: la lastra di ghiaccio che diventa un fragile pugnale; la gelida lama d’acqua che, disciogliendosi nella ferita, si mescola (e si metamorfosa) nel caldo sangue della morte. Le interrogative del distico finale enfatizzano in tono declamatorio lo “spettacolo” offerto agli stupefatti e deliziati lettori.
Qua vicina pluit Vipsanis porta columnis et madet adsiduo lubricus imbre lapis, in iugulum pueri, qui roscida tecta subibat, decidit hiberno praegravis unda gelu: 5 cumque peregisset miseri crudelia fata, tabuit in calido volnere mucro tener. Quid non saeva sibi voluit Fortuna licere? Aut ubi non mors est, si iugulatis aquae?
Là dove gocciola la porta, nelle vicinanze del portico di Agrippa, e la strada sdrucciolevole è sempre umida di acqua, cadde sulla nuca di un fanciullo, che passava sotto la volta gocciolante, una pesante lastra di ghiaccio: dopo avere portato a termine il crudele destino dell’infelice, il fragile pugnale si liquefece nel caldo sangue. Che cosa mai la crudele Fortuna non ha voluto che le fosse permesso? O dove mai non si annida la morte, se voi, o acque, uccidete? (trad. di G. Norcio)
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L’ETÀ DEI FLAVI E DI TRAIANO
MAPPA MARCO VALERIO MARZIALE (fra 38 e 41 – fra 101 e 104 d.C.)
• 15 L’opera
libri di epigrammi: 1561 componimenti per circa 10.000 versi – Liber de spectaculis (80 d.C.) – Xenia e Apophoreta (84-85 d.C.) – Epigrammata I-XI (86-96 d.C.) – Epigrammata XII (101-102 d.C.)
• ritrarre
La poetica
la realtà contemporanea così com’è – hominem pagina nostra sapit • rifiuto della poesia mitologica – inattuale, ripetitiva, frivola, evasiva – quid nisi monstra legis? • modelli – epigramma ellenistico: brevità, concisione, arguzia – Catullo: nugae, lusus, iocus – tradizione satirica: concretezza, ironia, spunti autobiografici; – ma: nessun intento moralistico; assenti i luciliani attacchi ad personam • nuova figura di poeta – poesia d’occasione, risposta immediata del pubblico
• varietà
Aspetti della poesia di Marziale
Tecnica e stile
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tematica – il poeta parla di sé: vita del cliens, spunti polemici – descrizioni e caricature di ambienti e personaggi • svelamento del reale – carattere carnevalesco e liberatorio – grande affresco della società imperiale romana
• ampia varietà di registri stilistici • naturalezza e semplicità, immediatezza espressiva • scrittura cruda e scabra: lasciva verborum veritas • accumulazione enumerativa, gusto del catalogo • arguzia finale, aprosdóketon @ Casa Editrice G.Principato
Completamento
1 Inserisci i dati mancanti della biografia di Marziale.
Marco Valerio Marziale nasce fra a nella . Si trasferisce a Roma intorno al . È accolto nelle case di , ma nel 65 perde i suoi protettori, costretti al suicidio durante la repressione della congiura pisoniana. Conduce d’ora in poi la vita precaria del , finché nell’80, in seguito al successo del , ottiene i favori di e poi di . Alla morte di quest’ultimo, nel , cerca inutilmente di ingraziarsi i nuovi potenti. Nel decide di tornare nel paese natale, dove muore tra .
■ 13 libri, oltre al Liber de spectaculis 2. I metri più usati nelle sue composizioni sono ■ il trimetro giambico e l’endecasillabo falecio ■ l’esametro e il distico elegiaco ■ la strofe saffica e l’esametro ■ il distico elegiaco e l’endecasillabo falecio 3. I generi che Marziale rifiuta sono ■ la satira esametrica e l’epica storica ■ l’epos mitologico e la tragedia ■ la tragedia e l’epica celebrativa ■ l’epos mitologico e la commedia 4. Marziale loda e celebra sopra ogni altro ■ Vespasiano ■ Plinio il Giovane ■ Domiziano ■ Quintiliano p._____/4
p._____/12
Totale p._____/25
Vero / Falso
2 Indica se ciascuna delle seguenti affermazioni è vera (V) o falsa (F). a. Oltre all’epigramma, Marziale coltiva altri e diversi generi poetici V|F b. Xenia e Apophoreta sono raccolte di epigrammi per le feste dei Saturnalia V|F c. A Roma Marziale scrisse e pubblicò i libri I-XII degli Epigrammata V|F d. Marziale continua la tradizione degli attacchi ad personam aperta da Lucilio V|F e. Giudica frivola e sorpassata la poesia mitologica V | F f. Conclude quasi sempre l’epigramma con una battuta giocosa e sorprendente V|F g. Come i poeti satirici, inserisce sovente nei suoi versi riflessioni morali V|F h. Scrive in sintonia con il gusto del pubblico contemporaneo V|F i. Quasi tutti i suoi libri si aprono con un testo proemiale V|F
Quesiti a risposta singola
4 Svolgi in breve i seguenti argomenti (max 5/10 righe per ciascuno). 1. Caratteri dell’epigramma ellenistico ricorrenti nella poesia di Marziale. 2. Descrivi lo schema-base degli epigrammi di Marziale. 3. Il catalogo: esempi di accumulazione enumerativa negli Epigrammata. Trattazione sintetica
5 Sviluppa le tracce proposte (max 15/20 righe per ciascuna). 1. Hominem pagina nostra sapit: la poetica di Marziale. 2. Carattere comico-realistico e “carnevalesco” della poesia di Marziale. 3. Quadri di vita romana: lo sguardo e gli intenti espressivi del poeta.
p._____/9
Quesiti a scelta multipla
3 Indica il completamento corretto. 1. Il corpus degli epigrammi di Marziale comprende ■ 14 libri per oltre 10.000 versi ■ 12 libri per circa 8.000 versi ■ 15 libri per quasi 10.000 versi @ Casa Editrice G.Principato
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Marziale e la poesia epigrammatica
Verifica finale