cp. Galassia Filosofia 1 12/07/16 11.02 Pagina 1
Materiale di supporto e approfondimento per una didattica inclusiva su 20 autori della storia della filosofia SLIDE DI SINTESI
LINEE DEL TEMPO INTERATTIVE • contesti storici • filosofici • artistici • tecnico-scientifici
BRANI ANTOLOGICI AGGIUNTIVI
Sergio Givone Francesco Paolo Firrao Bruno Meucci
37 VIDEO • videopresentazioni biografiche • videolezioni di Sergio Givone • video tematici
AUDIOANTOLOGIA • letture di opere integrali
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GALASSIA FILOSOFIA
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Versione digitale attiva
VOLUME 1 + FILOSOFIA DEL CITTADINO + CLIL ISBN 978-88-234-3548-3
VOLUME 1 + FILOSOFIA DEL CITTADINO + CLIL ISBN 978-88-234-3553-7
FILOSOFIA DEL CITTADINO • ISBN 978-88-234-3549-0
VOLUME 2 • ISBN 978-88-234-3554-4
CLIL • ISBN 978-88-234-3552-0
VOLUME 3 • ISBN 978-88-234-3555-1
VOLUME 2 • ISBN 978-88-234-3550-6 VOLUME 3 • ISBN 978-88-234-3551-3
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Questo volume, sprovvisto del talloncino qui a lato, è da considerarsi SAGGIO-CAMPIONE GRATUITO, fuori commercio (vendita e altri atti di disposizione vietati: art. 17, c. 2 L. 633/1941). Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n. 633, art. 2, lett. d). Esente da bolla di accompagnamento (D.P.R. 6-101978, N. 627, ART. 4, N.6).
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GALASSIA FILOSOFIA 1 + FILOSOFIA DEL CITTADINO + GALASSIA FILOSOFIA CLIL
BULGARINI
Sergio Givone Francesco Paolo Firrao Bruno Meucci
GALASSIA FILOSOFIA Le vie del pensiero
1
Dalle origini al Medioevo
Confezione indivisibile
E
28,80
IN ALLEGATO:
FILOSOFIA DEL CITTADINO CLIL FILOSOFIA
con video e testi inglese-italiano
Per una cittadinanza digitale e planetaria
1
BULGARINI
Sergio Givone • Francesco Paolo Firrao • Bruno Meucci
GALASSIA FILOSOFIA Le vie del pensiero
Dalle origini al Medioevo
1
Perché un nuovo testo di Filosofia
S
arà pur vero, come dice Amleto, che ci sono più cose in cielo e in terra di quante non ne immagini la filosofia, ma è altrettanto vero che non c’è cosa, in cielo e in terra, che la filosofia non possa prendere a oggetto della sua riflessione: ponendo domande, chiedendo perché, interrogandosi sul senso e sul non senso non solo di tutto ciò che è, ma addirittura dell’essere in quanto tale. La filosofia non produce la realtà – questa semmai è stata un’illusione a lungo coltivata, ma che la filosofia stessa ha provveduto a demolire. La realtà sta lì, di fronte a noi, misteriosa e al tempo stesso trasparente alla ragione, e perciò trascende il pensiero (in questo non si può dar torto ad Amleto). Ma il pensiero è instancabile nel suo sforzo di venire a capo degli infiniti problemi che si agitano nel cuore della realtà. Il fatto è che le buone domande esigono buone risposte. E le buone risposte sono tali proprio perché sollecitano sempre di nuovo buone domande. Ipotizzare, come qualcuno oggi vorrebbe, che la filosofia abbia esaurito il suo compito, e sia da relegare a un passato magari fascinoso ma inattuale, contraddice la natura stessa del pensiero. Non c’è aspetto della realtà che la filosofia non sia chiamata a illuminare o a mettere in questione. Scienza, arte, religione: ecco gli ambiti dell’esperienza umana che la filosofia esplora, spinta da una curiosità e anzi da una passione che sono tipicamente sue e guidata da una stella polare che non può essere se non la verità. Naturalmente gli scienziati, gli artisti e gli uomini di fede possono ignorare la filosofia. Essi sanno quel che devono fare senza che siano i filosofi a dettare l’agenda. Anzi, quando questo accade – e accade anche troppo spesso – è giusto sospettare e temere un’intromissione indebita da parte di qualcuno il cui compito è un altro. Ma quanto sarebbe più povera e più opaca l’esperienza di ciascuno di noi, che magari non siamo né scienziati né artisti né uomini di fede, ma desideriamo sapere che cosa significa scienza, che cosa significa arte e che cosa significa religione? Desideriamo sapere: questa è precisamente la parola che connota la filosofia, che non è sapere, ma desiderio di sapere, amore per il sapere. Altrettanto importante è constatare che la filosofia nei secoli ha perseguito i suoi obiettivi servendosi dei mezzi più disparati. Ci sono stati filosofi che hanno espresso il loro pensiero in forma poetica o narrativa. Altri hanno adottato modelli ispirati alla logica matematica. Altri ancora schemi di ragionamento che sono propri dell’argomentazione giuridica. Sono praticamente infinite le prospettive sul mondo delineate dalla filosofia. Così come gli stili di pensiero sono tanti quanti sono i filosofi. E allora che cosa ci autorizza a collocare sotto il comun denominatore della filosofia i documenti e le opere che attestano questa tensione verso ciò che non possiamo chiamare
3
altrimenti che la verità? Il fatto è che la filosofia non è un genere letterario fra gli altri. E non è neppure un sapere. Semmai è un’intenzione conoscitiva, una volontà di far luce, un approfondimento continuo che scava in questo o quel sapere al fine di trovare una risposta alla domanda prima e ultima, la più ingenua e la più difficilmente aggirabile: «Che cosa ci stiamo a fare noi qui?» Perciò la filosofia può apparire come una galassia. Ossia: non solo come una pluralità di prospettive e di stili di pensiero, ma addirittura come una pluralità di mondi. Naturalmente, se da una parte c’è di che entusiasmarsi per uno spettacolo tanto meraviglioso, dall’altra c’è di che sentirsi smarriti in una vastità senza confini. Ma la «galassia Filosofia» non è una nebulosa, bensì un universo che non è frutto del caos, bensì opera del logos. E logos significa linguaggio, parola: parola che non possiede la verità in esclusiva, ma che è detta in nome della verità, anche quando è erronea o fallace (non potrebbe esserlo, se non in forza del suo contrario). Da questo punto di vista il primo nodo da sciogliere è esattamente quello già segnalato da Kant, il quale chiedeva a se stesso e a tutti: come ci si può orientare nel pensiero, come ci si può orientare in un universo così sgomentante da sembrare senza principio né fine? Orientarsi nel pensiero – questa la preziosa indicazione di Kant – significa trovare l’oriente del pensiero. E l’oriente del pensiero è il logos, è la ragione. Quella ragione che non ci è data come un tutto interamente dispiegato, ma come una bussola grazie alla quale è possibile tracciare mappe, individuare sentieri, trovare ciò che si va cercando. La galassia Filosofia è solcata da rotte che coincidono con le vie del pensiero. Ed è un vero e proprio viaggio interstellare quello che sta per compiere chiunque si accinga a studiar filosofia. Verrà un tempo, forse, in cui tale viaggio sarà fattibile nell’universo fisico. Contentiamoci per ora di farlo nell’universo dei concetti e delle idee. Certo si tratta di una grande avventura: perché, se in un futuro neanche troppo lontano possiamo aspettarci avventure nell’universo fisico, avventure perfino più affascinanti possono aver luogo nell’universo spirituale. Dove la posta in gioco è il senso del nostro essere al mondo. Né più né meno: e non a caso Platone a questo proposito parlò di un vero e proprio «volo dell’anima». Cosa, questa, per la quale occorre anzitutto acquisire le competenze specifiche. Vale a dire: bisogna attrezzarsi. Ebbene, questo manuale, con le sue diverse sezioni (storia, testi, approfondimenti ecc.) intende precisamente offrire la strumentazione necessaria. E poiché la riuscita dell’impresa dipenderà dall’uso che studenti e docenti (insieme) sapranno farne, esso viene affidato a loro con tutte le premure e le avvertenze del caso, ma anche, se possiamo esprimerci così, con un senso di complicità e di condivisione. Gli Autori
4
Indice
Unità
1
Natura e lógos: il pensiero dei presocratici
Quando ha inizio la filosofia La testimonianza di Aristotele Nuovi inizi Il problema delle fonti
Alle origini di una tradizione
La filosofia prima della filosofia
18
Una lunga storia alle spalle
18 Un poeta tra i filosofi 18 Filosofia perenne o filosofia che nasce? 19 La filosofia non ha sempre saputo di esistere 19
I filosofi e il mito La voce delle piante e delle rocce La forza del mito e della tradizione L’origine della filosofia dalla meraviglia
Le origini del pensiero nella lingua e nella letteratura La lingua accoglie la filosofia Omero e la verità nel mito I poemi omerici e la storia Esiodo, il maestro di verità
La sapienza che salva e che guida Il segreto, il mistero, la scoperta Oracoli, labirinti, enigmi La tradizione dei Sette Sapienti
Uno sguardo a Oriente L’età assiale dell’umanità La sapienza cinese Upanishad e Buddha in India Etica e religione in Persia e Palestina
La filosofia nasce grande
20 20 21 21 22 22 23 23 25 26 26 27 28 29 29 29 30 31
L’origine del pensiero filosofico La discontinuità: il miracolo greco La continuità: dal mýthos al lógos
31 31 31 32
Bibliografia
32
I presupposti della filosofia La ricerca dei principi L’indagine della natura I temi della filosofia presocratica
33 34 34 35 35 36 36 36 36 37
Capitolo 1
Il problema del principio
38
1. Talete e la scuola di Mileto
38
La vita di Talete, Anassimandro e Anassimene I Milesi e l’indagine sulla natura Il pensiero di fronte a «cose meravigliose» La potenza generatrice della natura La ricerca dell’arché
I principi della natura L’acqua di Talete L’ápeiron di Anassimandro L’aria di Anassimene
2. Pitagora e i pitagorici La figura e l’insegnamento di Pitagora Il cosmo dei pitagorici Una concezione concreta del numero L’armonia cosmica
La scuola pitagorica e la dottrina dell’anima Una pratica di vita L’anima e la dottrina della metempsicosi Il pitagorismo nella storia del pensiero
3. Eraclito di Efeso Eraclito e il suo tempo La verità e la sua legge Tutto scorre La dialettica degli opposti Interpretazioni di Eraclito
39 39 40 40 41 41 41 42 43 44 44 45 45 47 48 48 48 50 51 51 52 53 53 54 5
In sintesi Antologia
55
Tutti i conflitti sono dannosi?
56 56
Esercizi
59
Eraclito
Analisi testuale
J.P. Vernant – La nascita del pensiero razionale in Occidente
60
Parmenide e la scuola eleatica
62
1. I pensatori della scuola di Elea
62
2. Parmenide: la riflessione sull’essere 63 La via della verità 63 La via dell’opinione 64 La divinità secondo Senofane L’essere infinito di Melisso La dialettica di Zenone Contro la molteplicità Contro il movimento
La discussione sui paradossi di Zenone
In sintesi Antologia
65 65 66 67 67 68 69 70
È possibile pensare il non essere? Quando sono utili i paradossi?
71 71 74
Esercizi
76
Parmenide · Zenone
Analisi testuale
G. Reale – L’aporia eleatica
77
Capitolo 3
I fisici pluralisti 1. Empedocle e Anassagora Amore e odio: il sistema di Empedocle Le quattro radici Il ciclo cosmico L’anima e la conoscenza La concezione dell’uomo
6
La natura del movimento L’organizzazione della vita La teoria della conoscenza
2. L’atomismo di Democrito La formazione dei corpi e dei mondi L’uomo, la conoscenza e l’etica L’anima e la conoscenza umana La felicità La natura convenzionale della società e del linguaggio
Capitolo 2
3. La fecondità del pensiero eleatico
L’intelligenza ordinatrice: Anassagora
In sintesi Antologia
84 84 86 86 86 87 88
Scienza o dogma?
89 89
Esercizi
91
Democrito
Temi in discussione La natura e i suoi principi Talete: l’animazione universale della natura Anassimandro e Anassimene: l’infinito e l’eterno divenire I pitagorici: l’ordine e l’armonia del mondo Empedocle: i principi dell’essere e le cause del divenire Anassagora: l’intelligenza ordinatrice Democrito: gli atomi, il vuoto e le qualità delle cose
La verità, l’opinione e la conoscenza umana Eraclito: la verità ama nascondersi Parmenide: la ricerca della verità Empedocle e Anassagora: due modelli alternativi di conoscenza Democrito: la conoscenza e i suoi gradi
78 78 78 78 79 80 80
81 81 81 82
92 94 95 97 99 100 101 104 106 107 108 110
Nel digitale Temi in discussione L’immagine del mondo
Bibliografia
112
Indice Unità
2
I sofisti e Socrate: la filosofia nella pólis
113
In sintesi Antologia È tutto relativo? Fu proprio colpa di Elena?
134 134 137
Esercizi
141
Protagora · Gorgia
Atene: la pólis della filosofia Il primato di Atene nel V secolo La filosofia vanto di Atene
Una rivoluzione filosofica I filosofi ad Atene Trasformazioni della pratica filosofica
114 114 115 115 115 116
I protagonisti della svolta antropologica 116 La filosofia come sapere critico
116
Un sapere sospetto
117
Capitolo 2
Socrate e le scuole socratiche 1. La filosofia come missione di vita Socrate, maestro di virtù
2. Il «caso Socrate»
Capitolo 1
I sofisti 1. Immagini del sofista La condanna platonica I sofisti nella storia della filosofia
2. La prima sofistica Atene e i sofisti Il contributo della sofistica alla filosofia
3. Protagora: tutto è soggettivo «L’uomo è misura di tutte le cose» La dottrina del relativismo Il criterio dell’utile Giustizia e democrazia
4. Gorgia: la potenza della parola La verità non esiste Come interpretare le tesi di Gorgia
L’arte oratoria
5. I sofisti, la retorica e l’arte della disputa La retorica psicagogica L’eristica
6. La seconda generazione dei sofisti I sofisti e la politica Il dibattito sul rapporto fra natura e legge Phýsis e nómos Sviluppi della discussione
118 118 118 119
Le testimonianze che portarono al processo Platone e Senofonte: il riscatto della memoria di Socrate
3. Filosofare insieme: i frutti di Socrate Le testimonianze di biografi e discepoli Il percorso filosofico di Socrate
120 120 120
4. Virtù è sapere
121 121 122 123 123
5. Il metodo socratico
125 125 127 127
Il sapere di non sapere Conoscenza e agire morale Il demone socratico
Il dialogo L’ironia e la maieutica La ricerca del «che cos’è»
6. Le scuole socratiche minori Caratteri comuni delle scuole socratiche Euclide e la scuola megarica Gli eristici e il gusto per il paradosso
129 129 129 130 130 131 131 132
133
Antistene e la scuola cinica Diogene, cittadino del mondo
Aristippo e i cirenaici
In sintesi Antologia Socrate L’ignoranza è utile al sapere?
142 142 143 145 145 146 147 147 148 149 149 150 151 153 153 153 154 156 156 156 157 158 158 159 160 161 161
7
Indice Esercizi
165
3
Analisi testuale
G. Reale – La rivoluzione socratica della tavola dei valori
Il nuovo significato di filosofia Retori e filosofi ad Atene Socrate: la filosofia come desiderio di sapienza L’amore filosofico di Platone L’ideale di felicità di Aristotele
Videointroduzione biografica Video – Dialoghi con gli Autori La filosofia come guida per la vita Slide di sintesi Filosofia oltre la filosofia Potere
Filosofia e vita politica Platone: il filosofo come buon politico La crisi dell’Accademia Aristotele: distinzione tra attività teoretica e pratica
Temi in discussione Protagora: il fondamento naturale del potere politico e la giustificazione della democrazia Callicle e Trasimaco: la forza, fondamento del potere e delle leggi Antifonte: la tirannia della legge Socrate: il fondamento etico della legge
La formazione dell’uomo e del cittadino Socrate e Protagora: virtù è sapere? Socrate e Gorgia: la funzione del sapere Socrate: bene pubblico e privato
168
170
Platone e Aristotele a confronto Platone: la trascendenza delle idee Aristotele: le cause dei fenomeni
Scienza e opinione 172 174 175 178 180 184 186
Temi in discussione I filosofi, gli dei e la religione La verità e la parola
Epistéme e dóxa
Platone: la battaglia per la verità 1. Il filosofo dei dialoghi Perenne attualità dei dialoghi Il dialogo come esercizio del pensare filosofico Il conflitto tra oralità e scrittura
2. Il mito come genere filosofico 188
Il mito Funzioni del mito platonico
3. Una vita alla ricerca della vera filosofia La morte di Socrate e la passione politica I dialoghi socratici e l’esperienza siracusana L’Accademia e i dialoghi di transizione I dialoghi della maturità e della vecchiaia
4. Il discepolo di Socrate I limiti del metodo socratico Fondamento dei valori e contenuto del sapere
8
189 190 190 191 191 191 192 192 193 193 194 194 195 195 195
Capitolo 1
Nel digitale
Bibliografia
Platone e Aristotele: l’età classica della filosofia
166
Nel digitale
I filosofi e le leggi
Unità
196 196 196 197 198 198 198 199 201 201 202 203 203 204 204 204
Indice 5. La dottrina delle idee Il superamento del socratismo La teoria delle idee contro il relativismo sofistico La dottrina dell’anamnesi
6. Il corpo come tomba dell’anima Conoscenza delle idee e immortalità dell’anima
205 205 206 206 208
Corpo e anima: il dualismo platonico Tre argomenti per l’immortalità dell’anima
208 208 209
La ricerca filosofica come preparazione alla morte
7. Il mito della caverna Dal mondo delle opinioni a quello della scienza Il mondo invisibile e intelligibile Il dovere del filosofo
8. La città ideale Identità tra Bene e Giustizia Lo Stato ideale Forme imperfette di governo I filosofi governanti e le leggi
9. Lo stato educatore L’educazione dei cittadini di Kallípolis Il comunismo dei beni e la formazione dei governanti Problemi sollevati dallo Stato ideale di Platone
10. Retorica e dialettica Il sapere retorico e il sapere filosofico I caratteri della dialettica platonica I generi dell’essere Il metodo dicotomico e l’idea del Bene Mimesi e metessi: mondo intelligibile e sensibile Problemi della teoria delle idee
11. La condanna dell’arte Arte e imitazione
12. L’amore filosofico La tensione amorosa Educare ad amare la bellezza
13. Il mondo: origine, forma e vita L’artefice divino: il mito del Demiurgo La struttura matematica del mondo
Un mondo intelligente e animato
14. Platone nell’Accademia La testimonianza di Aristotele Il testamento di Platone
In sintesi Antologia
231 232 232 233 234
209
Il nostro è un mondo di apparenze? Cosa significa apprendere? Esiste uno scopo nell’universo? Cosa significa amare?
237 237 241 245 248
210
Esercizi
252
Platone
Analisi testuale
210 212 213
A. Koyré – Politica e filosofia in Platone
Nel digitale Videointroduzione biografica
215 215 215 217 217
Linea del tempo interattiva
218 218
Video – Temi filosofici Realtà e illusione
219
Filosofia oltre la filosofia Illusione
220 222 222 222 223 224
254
Slide di sintesi Video – Dialoghi con gli Autori Quale dignità ontologica ha il mondo del divenire per Platone?
Brani antologici Il dualismo anima-corpo (Fedone) Il carro alato. Natura dell’anima e visione delle idee (Fedro) L’assomigliarsi del filosofo a Dio (Teeteto) La favola di Gige. Una sfida all’agire giusto (Repubblica) La città bella (Repubblica) L’invenzione della scrittura (Fedro) Audioantologia Settima lettera
225 225 226 226 227 227 229 230 230 231
Capitolo 2
Aristotele: la costruzione delle scienze 1. Il rapporto con il platonismo Platone e Aristotele nella tradizione Il senso della ricerca aristotelica Il primo storico della filosofia
256 256 256 258 258 9
Indice 2. La vita, gli scritti, il contesto storico-culturale Da discepolo di Platone a fondatore di una nuova scuola Una grande quantità di testi
3. L’origine e la classificazione dei saperi La meraviglia è all’inizio del sapere L’organizzazione del sapere
4. L’etica: la ricerca della felicità La felicità: fine ultimo dell’agire umano La felicità: vivere secondo ragione
Le virtù etiche Le virtù dianoetiche Il piacere e l’amicizia
5. La società: l’uomo come animale politico La socialità: dalla famiglia alla pólis Le forme di governo La politía: il governo migliore
259 259 262 262 262 264 265 265 266 267 268 268 270 270 271 271
7. La fisica: la terra, il cielo e il movimento
281 I presupposti della fisica aristotelica 281 Il finalismo naturale 282 Il movimento come caratteristica della natura 282 Le funzioni dell’anima La conoscenza sensibile Il pensiero La mortalità dell’anima La gerarchia dei viventi
10
Pensiero e linguaggio Le proposizioni categoriche Le proposizioni modali La teoria del sillogismo La teoria della conoscenza scientifica La teoria dell’argomentazione
10. Le arti della parola La retorica La poetica
11. Il Liceo
In sintesi Antologia
284 284 284 285 285 286
287 287 288 289 290 291 292 294 294 295 297 298
La scienza deve avere un’utilità pratica? Che cos’è l’anima? Cosa fare per essere felici? Perché vivere nella società?
302 302 305 309 312
Esercizi
316
Aristotele
6. La metafisica: l’ente in quanto ente 273 La filosofia prima 273 L’ente e le sue cause 274 L’identità di un ente 276 La discussione intorno alla sostanza 276 Caratteristiche generali della sostanza 276 Che cos’è la sostanza 277 Sostanze prime e sostanze seconde 278 Le dieci categorie 278 La definizione e i suoi elementi 279 La sostanza soprasensibile 280 Il Dio aristotelico 281
8. Il vivente, l’uomo e la conoscenza
9. La logica: le regole del ragionamento
Analisi testuale
H. Arendt – Sfera domestica e sfera politica nel pensiero di Aristotele
Nel digitale Videointroduzione biografica Linea del tempo interattiva Slide di sintesi Video – Dialoghi con gli Autori La meraviglia e le origini della filosofia Qual è il significato del concetto di sostanza? Video – Temi filosofici Imitare e apprendere Filosofia oltre la filosofia Illusione Potere Brani antologici La sostanza soprasensibile (Metafisica) La conoscenza: sensazione e intelletto (Sull’anima) La giustizia: diritto di natura e leggi scritte (Etica Nicomachea) L’amicizia: un bene che rende felici (Etica Nicomachea) Il significato dell’arte poetica (Poetica) Audioantologia Etica Nicomachea, Libro 1
318
Indice Temi in discussione
2. La comunità del Giardino Epicuro: una nuova filosofia
Amore e immortalità Aristotele: l’amicizia dei buoni e la felicità
320 322 325
Giustizia e ingiustizia
330
Platone: quali vantaggi dall’agire giustamente? Aristotele: giustizia naturale e legale
332 337
Éros, philía, philosophía
Nel digitale Temi in discussione L’origine delle conoscenze
Bibliografia
3. L’etica: come vivere felici La dottrina del piacere «Il bene è facile a procurarsi» «Facile a tollerarsi il male» «Non sono da temere gli dei» «Non è cosa da cui si debba stare in sospetto la morte» Un bene irrinunciabile: l’amicizia
4. La fisica: l’universo e gli atomi 341
Le tesi fondamentali La dottrina della deviazione
5. La canonica: il criterio della verità
Unità
4
Le filosofie ellenistiche
Nuovi impieghi della sapienza antica La cura dell’anima Filosofia come saggezza e arte di vivere
La Grecia davanti all’immensità del mondo Il periodo ellenistico Decadenza o trasformazione culturale?
L’ideale della tranquillità interiore Le nuove scuole e la terapia filosofica Le influenze orientali Lo spirito socratico e la cura dell’anima
Le scuole ellenistiche I metodi di insegnamento Il problema delle fonti
343
La nascita della canonica epicurea La dottrina della sensazione La formazione dei concetti
6. La fortuna di Epicuro 344 344 345 345 345 346 347 347 348 348 348 348 349
In sintesi Antologia
Il Giardino di Epicuro 1. Un sapere alla portata di tutti Cattive interpretazioni della dottrina di Epicuro Una medicina per l’anima
350 350 350
357 359 360 360 361 362 362 363 363 364 365 366 366 371
Esercizi
375
Capitolo 2
Lo stoicismo: l’ideale dell’uomo virtuoso 1. Le origini dello stoicismo Il movimento dei cinici Una vita secondo natura
Lo stoicismo nell’antichità greca e romana Le fasi dello stoicismo
350
353 353 354 356 356
La felicità è possibile? Com’è fatto l’universo?
Epicuro
L’immagine del saggio stoico
Capitolo 1
351 351
2. La logica: criterio di verità e scienza del discorso Articolazioni della logica stoica La canonica La logica La logica del sillogismo La teoria del significato
376 376 377 377 378 378 378 379 379 380 381 382 382 11
Indice 3. La fisica: razionalità dell’universo
383 383 Il lógos divino 384 Il materialismo stoico 384 L’apocatastasi: distruzione e rinascita del cosmo 385 Destino e provvidenza 385 Natura e ragione
4. L’etica: armonia con la ragione universale
Il comportamento ideale nella vita concreta
387 387 387 388 388 389
La dottrina delle cose preferibili e non preferibili
390
La bontà della natura Il conflitto tra desideri e realtà
La virtù dell’uomo Il saggio stoico
5. Lo stoicismo dalla Grecia a Roma
Epitteto: la virtù come libertà interiore Marco Aurelio: la provvidenza che governa il mondo
393
Seneca: la tranquillitas animi
In sintesi Antologia
394
Quanto siamo liberi? Ragione o emozione?
395 395 398
Esercizi
403
Epitteto · Marco Aurelio
Lo scetticismo antico: la felicità nel dubbio 1. Le origini dello scetticismo Il fondatore: Pirrone di Elide
2. La critica della conoscenza I sensi e le percezioni La ragione
3. L’etica degli scettici Sospensione del giudizio Imperturbabilità dell’anima
405 405 406 406 406 407 408 408 408
4. Gli ultimi scettici antichi 391 391 392 392 393
Il medio stoicismo Il nuovo stoicismo
Capitolo 3
410 La critica dell’epicureismo e dello stoicismo 410
In sintesi Esercizi
412 413
Temi in discussione Il saggio e la politica Epicuro: «Vivi nascosto!» Gli stoici: l’uomo cittadino dell’universo
La natura dell’anima La scuola epicurea: la natura corporea dell’anima Il principio egemonico degli stoici
414 416 417 420 422 425
Analisi testuale
M. Vegetti – L’etica individuale delle filosofie ellenistiche
Nel digitale
404
Temi in discussione L’origine del male
Bibliografia
12
429
Indice Unità
5
La filosofia nell’età imperiale e tardo antica
Un mondo in trasformazione Le nuove scuole L’illusione di una cultura unitaria
Cultura, filosofia, teologia Età della decadenza o con una sua originalità? Rinascita del platonismo e del pensiero religioso Fonti della teologia pagana
Paganesimo e cristianesimo Scontri e contaminazioni Plotino, geniale interprete di una tradizione La teologia dell’esistenza e della storia in Agostino
Andronico di Rodi Alessandro di Afrodisia
431 432 432 433 433
1. L’epicureismo a Roma Gli insegnamenti di Lucrezio
2. La tradizione filosofica latina Il ruolo di mediazione di Cicerone
3. Il pensiero ebraico-cristiano Il Dio biblico La diffusione del cristianesimo La novità del cristianesimo Difficoltà di trasmissione del cristianesimo
4. Ellenismo ed ebraismo: Filone Alessandrino La ricerca del significato delle Scritture La filosofia come preparazione alla conoscenza di Dio
5. Rinascita delle grandi tradizioni filosofiche La nuova geografia culturale
In sintesi Esercizi
449 450
433
Capitolo 2 434 434 434 434 435 435
Plotino e il neoplatonismo pagano 1. Filosofia e ricerca spirituale Plotino: la vita e gli scritti
2. L’Uno, l’Intelligenza, l’Anima Due movimenti cosmici La prima ipostasi: la semplicità dell’Uno La seconda ipostasi: l’Intelligenza o Mente divina La terza ipostasi: l’Anima
Capitolo 1
Filosofia e religione nell’età imperiale
445 446 446 La tradizione platonica: il medio platonismo 447 Plutarco di Cheronea: gli scritti morali 447 Altri interpreti di Platone 448 La fortuna del Corpus aristotelicum
436 436 436 437 438 439 439 440 441 441 443 443 444
451 451 452 454 454 454 455 456
3. La filosofia come «fuga» verso l’Uno 458 La purificazione dell’anima 458 4. Il neoplatonismo pagano antico Le scuole neoplatoniche La scuola di Roma: Porfirio La scuola siriaca: Giamblico La scuola di Pergamo: Giuliano l’Apostata La scuola di Atene: Proclo e Simplicio Il neoplatonismo latino
In sintesi Antologia
460 460 460 461 462 462 463 464
È possibile uscire da se stessi?
465 465
Esercizi
468
Plotino
Analisi testuale
M. Isnardi Parente – Il ritorno dell’anima all’Uno-Bene
469
445 445
13
Indice Antologia
Capitolo 3
Da chi apprendo quello che so? C’è un senso nella storia? Cos’è il tempo? Chi sono io?
499 499 502 505 508
Esercizi
511
Agostino
Agostino e i Padri della Chiesa 1. Agostino uomo moderno La ricerca insaziabile della sapienza L’avventura biografica e intellettuale
2. Il significato delle Confessioni Intreccio tra vita e pensiero Una teologia che parte dall’esistenza
3. Dio e l’anima Cercare Dio dentro di sé La teoria dell’illuminazione L’anima e la sua indipendenza dal corpo
4. Fede, ragione e insegnamento Ragionevolezza del credere Ragione e Rivelazione
5. La Trinità e l’Incarnazione Il mistero trinitario Il mistero dell’Incarnazione
6. La creazione e il tempo Dio causa del mondo Il problema del tempo
7. Il problema del male Da dove viene il male? La dottrina della Grazia
8. Il bene, la felicità, la storia L’inclinazione della volontà verso il bene La Città di Dio: una teologia della storia
471 471 472 476 476 477 478 478 478 479 480 480 481 482 482 483 484 484 484 485 485 486 488 488 489
Analisi testuale
É. Gilson – Agostino e la teoria dell’illuminazione 512
Nel digitale Videointroduzione biografica Linea del tempo interattiva Slide di sintesi Video – Dialoghi con gli Autori In cosa consiste la novità del pensiero che nasce con il cristianesimo? Il pensiero cristiano: filosofia e teologia Video – Temi filosofici Volere e non volere Filosofia oltre la filosofia Dio Brani antologici La ricerca della felicità (Confessioni) Due tipi di amore: «uti» e «frui» (De doctrina christiana) Il tempo lineare (De civitate Dei contra Paganos) Cristianesimo e filosofia pagana (De civitate Dei contra Paganos) Audioantologia Confessioni, libro X
Temi in discussione La ricerca di Dio
514
Filone: l’erede delle cose divine Plotino: l’Uno sorgente di tutte le cose Agostino: la ragione scopre l’ordine divino
516 518 520
492 492 492
L’ideale del bello
La scuola di Alessandria I Padri cappadoci La patristica occidentale latina
493 494 495 495
524 526 528
Nel digitale
In sintesi
496
9. I Padri della Chiesa Filosofia e teologia nei Padri della Chiesa Le controversie cristologiche e trinitarie
10. I Padri apologeti Gli apologeti greci Gli apologeti latini
11. L’età d’oro della patristica
14
471
490 490 491
Plotino: la bellezza purifica l’anima Agostino: la bellezza è inno di lode a Dio
Temi in discussione L’esperienza della felicità
Bibliografia
531
Indice Unità
6
La filosofia nel Medioevo
533
La metafisica di Avicenna L’aristotelismo di Averroè Fede e ragione: la ricerca della verità
Come nani sulle spalle di giganti I filosofi medievali di fronte alla tradizione
534 534
I confini del Medioevo
535 Quando ha inizio il Medioevo per la filosofia? 535
Istituzioni e luoghi del sapere La «rinascita» culturale del XII secolo I maestri medievali
Il rapporto tra fede e ragione Il problema tra fede e ragione L’armonia tra fede e ragione La rottura dell’equilibrio tra fede e ragione
536 536 536 536 536 537 537
Svalutazione della filosofia Il pensiero ebraico: Mosè Maimonide
4. Anselmo d’Aosta e le dispute tra dialettici e antidialettici La rinascita culturale dopo il Mille Fede e ragione in Anselmo d’Aosta Le ragioni della fede Il Monologion: le prove dell’esistenza di Dio Il Proslogion: l’argomento a priori Le obiezioni di Gaunilone di Marmoutier
La disputa tra dialettici e antidialettici
In sintesi Antologia
Le origini del pensiero medievale
538
556 556 556 557 558 558 559 560 561
Si può dimostrare che Dio esiste?
563 563
Esercizi
566
Anselmo
Capitolo 1
550 551 552 554 555
Analisi testuale
1. La filosofia nell’alto Medioevo latino 538 Oriente e Occidente dopo la caduta di Roma 538 Severino Boezio e la trasmissione della filosofia antica Flavio Cassiodoro e il suo ideale enciclopedico Isidoro di Siviglia e la sapienza degli antichi Il monachesimo benedettino La scuola Palatina e Giovanni Scoto Eriugena
538
540 541 542 543 Il grande progetto di Carlo Magno 543 Giovanni Scoto Eriugena: il primo filosofo originale 543
2. La filosofia nel mondo bizantino Teologia e mistica in Dionigi Areopagita I teologi bizantini Massimo il Confessore e l’affermazione dell’umanità di Cristo Giovanni Damasceno e la difesa delle immagini Gli ultimi protagonisti dell’attività filosofica bizantina
3. La filosofia nel mondo islamico L’incontro dell’Islam con la filosofia greca I primi filosofi arabi Al-Kindı̄ e la tradizione greca Al-Farābı̄ e la ripresa del platonismo
545 545 546 546 547
A. Ghisalberti – Verità rivelata e ricerca razionale 567
Capitolo 2
Le filosofia delle scholae
569
1. La nascita delle università
569 569 569 571
Lo sviluppo del sapere nel XII secolo Il metodo della scolastica La nascita degli intellettuali
2. La questione degli universali
571
Le tre teorie: naturalista, realista e concettualista
572
3. Pietro Abelardo e la rivalutazione della dialettica Abelardo, «primo uomo moderno»? La logica come scienza del discorso
547
Il metodo dialettico applicato alla teologia
548 548 548 549 549
L’etica secondo Abelardo
573 573 574 574 575
4. La filosofia dei monaci e dei mistici 577 Filosofia scolastica e misticismo monastico 577 Bernardo di Chiaravalle e la spiritualità cistercense
577 15
Indice 579 579 579 580 La mistica dei domenicani e dei francescani 581 La scuola di San Vittore
Ugo di San Vittore: dalla natura a Dio Riccardo di San Vittore: la mistica speculativa Pietro Lombardo: le Sentenze
5. Bonaventura da Bagnoregio e il cammino verso Dio Teologia e filosofia L’esemplarismo e l’ilemorfismo universale L’itinerario della mente verso Dio La dottrina dell’illuminazione
6. La mistica femminile
In sintesi Antologia
582 582 583 583 585
In sintesi Antologia
608
Che rapporto c’è tra fede e ragione? Il mondo rimanda oltre se stesso? Quali sono i fondamenti della legge?
610 610 612 616
Esercizi
619
Tommaso
Analisi testuale
É. Gilson – Teologia rivelata e teologia naturale 620 in Tommaso d’Aquino
Nel digitale
586
Videointroduzione biografica
587
Slide di sintesi Video – Dialoghi con gli Autori La questione della verità
Pietro Abelardo
589
Con quali criteri giudichiamo che un’azione è immorale?
589
Esercizi
593
Filosofia oltre la filosofia Dio
Capitolo 4 Capitolo 3
La grande sintesi di Tommaso d’Aquino
Gli sviluppi del sapere medievale 594
1. Gli studi, l’insegnamento, l’incontro con la filosofia aristotelica 594 2. L’armonia tra fede e ragione
596 L’opera di Tommaso 596 Teologia e filosofia: l’aristotelismo cristiano 597
1. Le nuove tendenze della scolastica
621
La nuova sintesi di Giovanni Duns Scoto La via Scoti Filosofia e teologia
621 621 622
Guglielmo di Ockham e la fine della scolastica
625
2. La filosofia della natura 3. Dio e il mondo: la metafisica Essenza ed esistenza Cinque prove per l’esistenza di Dio L’analogia entis La creazione del mondo Il problema del male
4. L’uomo: l’anima e la conoscenza L’anima e le sue funzioni Il processo della conoscenza
5. L’uomo: l’etica e la politica La legge di Dio La società umana e il bene comune
16
598 598 599 600 601 603 604 604 605 606 606 607
621
La scuola di Chartres Guglielmo di Conches: la fisica razionale Teodorico di Chartres: la spiegazione del mondo secondo la fisica Gilberto Porretano: l’ultrarealismo Bernardo Silvestre: la cosmologia
La scienza nel XII-XIII secolo: Ruggero Bacone e Roberto Grossatesta Ruggero Bacone e il nuovo ideale di scienza Roberto Grossatesta e la dottrina sulla luce Giovanni Buridano e Nicola di Oresme: il moto dei corpi
627 627 628 628 629 629 629 630 631 631
Indice 3. La mistica tedesca La ricerca mistica di Meister Eckhart L’esperienza mistica di Suso e Taulero
632 632 633
4. La filosofia della politica
634
Il potere politico e la Chiesa
634 635 635
Teorie del primato del papa
Teorie della separazione dei poteri
In sintesi Esercizi
637 638 639
Temi in discussione La ricerca della verità Anselmo d’Aosta: la fede che ricerca l’intelletto Averroè: l’accordo tra religione e filosofia Bonaventura da Bagnoregio: luce della ragione e luce della fede Meister Eckhart: l’esperienza mistica Guglielmo di Ockham: il criticismo della ragione
640 642 645 647 649 652
Nel digitale
Natura
658
Motivi di meraviglia
659
Dalla materia non vivente alla materia vivente
Enigmi filosofici Cosmo, città e anima Di fronte alla meraviglia: ragione e/o fede
FISICA – L’interminabile ricerca sulle origini e sugli elementi fondamentali dell’universo BIOLOGIA – Lo strano caso della materia che diventa vivente
Per leggere il mondo contemporaneo
659 663 663 665 668 668 670
Vulnerabilità della natura «Secondo natura» e «contro natura» La vita artificiale
673 673 675 676
Bibliografia
677
Vivere bene
678
Motivi di meraviglia
679
Farsi del male in modo quasi inconsapevole 679
Temi in discussione La libertà di scelta e la salvezza
Bibliografia
657
Intersezioni tra filosofia e scienze
Analisi testuale
O. Todisco – L’onnipotenza divina per Duns Scoto
Filosofia oltre la filosofia
Enigmi filosofici 655
Il sommo bene La vita sulla terra e le prospettive escatologiche Educare mente e corpo
Intersezioni tra filosofia e scienze PSICOLOGIA – L’istinto morale NEUROSCIENZE – Piacere e desiderio secondo la scienza
682 682 683 685 687 687 689
Per leggere il mondo contemporaneo
693
La moda: il piacere di uniformarsi e distinguersi L’industria del benessere Si può misurare dove si vive meglio?
693 694 695
Bibliografia
697
17
La filosofia prima della
Q
uando appare nel preludio del poema di Parmenide, Aletheia, Verità, ha una lunga storia alle spalle. M. Detienne, I maestri di verità nella Grecia arcaica
Una lunga storia alle spalle Un poeta tra i filosofi
Tra Ottocento e Novecento, la filologia classica, la disciplina che si occupa della ricostruzione e dell’interpretazione rigorosa dei documenti letterari dell’antichità, conobbe uno sviluppo eccezionale. Tra le opere di maggiore spicco figura la raccolta curata da Hermann Diels e Walther Kranz, I frammenti dei Presocratici, del 1903, che riunisce i testi dei primi pensatori e filosofi greci, precedenti o contemporanei a Socrate (469-399 a.C.). Questi pensatori, nonostante siano conosciuti solo grazie a frammenti o testimonianze in opere di altri, fin da Aristotele sono considerati gli iniziatori del pensiero filosofico greco. La raccolta Diels-Kranz si apre, però, addirittura con Orfeo, che sicuramente non fu un filosofo, nemmeno presocratico, ma un leggendario poeta greco anteriore ad Omero, cioè all’VIII secolo a.C., e legato al culto del dio Dioniso Zagreo, cioè addirittura ad una dimensione religiosa e non direttamente filosofica.
18
Perché un poeta in mezzo ai primi filosofi? Gli uomini non aspettarono certo la filosofia per cominciare a domandarsi come stessero le cose e a darsi delle risposte, cioè per pensare, riflettere, progettare e nemmeno per esprimere in modo profondo e complesso pensieri, riflessioni, interpretazioni circa lo stato delle cose presente, passato e futuro. Oltre che nella filosofia, problemi e soluzioni, discussioni, visioni del mondo e anche argomentazioni sono sviluppati dall’impulso creativo dell’immaginazione e della ragione in molte altre straordinarie esperienze e produzioni culturali proprie degli uomini. Le idee degli uomini, infatti, abitano il linguaggio, i miti, la poesia, le religioni, le profezie, la morale, la magia, le istituzioni, i monumenti, le grandi saghe, le economie e le monete, gli usi e i costumi, la politica, la dimensione sociale, l’arte nelle sue diverse manifestazioni. L’indagine sulle origini della filosofia andrà quindi svolta a partire da quelle forme culturali che più o meno immediatamente la precedono o che assistono al suo primo movimento nella storia. È infatti rispetto a quelle esperienze culturali che si dice che la filosofia nasca, cioè affermi il proprio peculiare modo di essere.
a filosofia Filosofia perenne o filosofia che nasce?
A dire il vero, alcuni sono dell’opinione che la filosofia propriamente non nasca, ma esista da sempre, perché i problemi che essa si pone e le soluzioni che essa profila sono così importanti che non possono non esserci sempre stati e non potranno che esserci sempre. C’è un’espressione latina emblematica, coniata da un filosofo umbro del XVI secolo, Agostino Steuco, che rispecchia questo modo estremo di intendere la filosofia: philosophia perennis, cioè filosofia perenne, che non conosce né alba né tramonto. Altri pensano invece che la filosofia non sia sempre esistita e che faccia il suo ingresso nella storia dell’umanità nell’area del Mediterraneo tra VII e V secolo a.C., per esempio con quel Talete di Mileto (624546 a.C.) che immaginava che l’acqua fosse principio di tutte le cose; oppure con Parmenide di Elea (515450 a.C.) che smise di pensare cose ordinarie e corpose come l’acqua e pensò addirittura l’essere in generale; oppure più tardi, con Socrate di Atene (469-399 a.C.) che, per essere il fondatore di un sapere così importante, faceva un’affermazione quantomeno un po’ strana, cioè di non sapere nulla, anzi di sapere una cosa soltanto, di non sapere, e proprio per questo non scrisse niente; oppure più tardi ancora, con il maggiore discepolo diretto di Socrate, Platone (427-347 a.C.), attivo sempre ad Atene e, al contrario del maestro, scrittore molto prolifico valore letterario veramente straordinario.
La filosofia non ha sempre saputo di esistere
Perenne o storica che sia, più lontana o più vicina che appaia, sicuramente la filosofia non ha sempre saputo di esistere. Intanto molti autori che noi oggi a buon diritto chiamiamo filosofi, perché la tradizione storica di questa disciplina li riconosce tali, non chiamavano filosofia la loro attività, ma historìa, termine greco che significa indagine o ricerca. E le indagini e le ricerche evidentemente non sono soltanto filosofiche. Siccome, però, se una disciplina non ha un nome sicuro e definitivo, non è detto che essa non esista ancora e che chi la pratica non ne abbia una concezione chiara, non è tanto il mancato uso del termine a contare, quanto il suo uso vasto e indifferenziato. Insomma, la parola esisteva, ma non designava ancora quella attività specifica che oggi chiamiamo filosofia.
La cultura e la civiltà greche nel loro complesso, e in particolare quelle ateniesi nel V secolo a.C., in realtà riconoscevano e identificavano se stesse nel termine filosofia, con il quale si intendeva l’atteggiamento di chi si orienta verso la saggezza e la sapienza, facendone la propria massima aspirazione e la propria ragione di vita. In questo senso filosofia certamente vuol dire amore della saggezza e della sapienza, perché philía significa amore, amicizia, buona disposizione, piacere e gusto di qualcosa, e sophía è il termine greco che designa l’unità di sapere, sapienza e saggezza. Questa filosofia, però, è peculiarità di tutti i Greci o almeno della loro parte più valente e rappresentativa, non certo dei soli filosofi. Così Erodoto, il padre della storiografia (484-426 a.C. ca.), racconta che Creso, l’ultimo re della Lidia, rimasto proverbiale per le sue favolose ricchezze, chiese una volta al grande legislatore e sapiente ateniese Solone (640-561 a.C.) chi fosse l’uomo più felice e che quest’ultimo rispose saggiamente che della felicità di una persona non si può giudicare finché non se ne veda la morte. Creso si era rivolto al suo ospite conquistato dalla fama della sua saggezza e sapienza (sophía), alimentate dai viaggi, dal desiderio di vedere, cioè proprio dalla filosofia (philosopheîn), nel senso di gusto di sapere e scoprire direttamente come stanno le cose. Questa accezione ampia della filosofia è testimoniata anche da una delle pagine più importanti della letteratura e della storiografia elleniche, il discorso in memoria dei caduti ateniesi del primo anno della Guerra del Peloponneso tra le città greche che il grande storico Tucidide (460-399 a.C.) mise in bocca all’insigne statista ateniese Pericle (495-429 a.C.) e che è noto come Elogio della democrazia e della città che attraverso essa si governava, Atene. Tra le ragioni del primato di Atene, c’è proprio la filosofia come gusto della saggezza e della sapienza: «Noi coltiviamo il gusto della bellezza con semplicità e filosofiamo senza mancare di fermezza». (La guerra del Peloponneso, II, 40). Dunque, nella rappresentazione che Atene dà di se stessa, gusto della bellezza e del sapere e gusto della sapienza o filosofia vanno di pari passo. Ai tempi di Pericle i pensatori che la tradizione designa inequivocabilmente come filosofi c’erano già, anche ad Atene, e anzi Pericle stesso fu molto amico di uno di loro, Anassagora (496-428 a.C. ca.), al quale evitò, con la propria influenza, le conseguenze più pesanti di un processo per empietà; ma quando Tucidide fa usare a Pericle il termine filosofia per illustrare il primato ateniese, non si riferisce esclusivamente ad Anassagora e alla tradizione di cui Anassagora fa parte, cioè non si riferisce solo alla filosofia intesa come disciplina a sé.
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La filosofia prima della Del resto, anche i filosofi si occuparono di questa generica, ma diffusa filosofia qualificandola come eterna giovinezza dei Greci (espressione che troviamo nel Timeo di Platone), cioè come dedizione al sapere e alla scoperta, cui nessuno può porre limiti. Per esempio, Senofane di Colofone (570-467 a.C. ca.) scrisse che «Gli dei non hanno mostrato agli uomini tutto fin dal principio, ma gli uomini cercano e col tempo trovano il meglio» (DK 21.B.18) e Platone stesso (427-347 a.C.), il più grande filosofo dell’età classica insieme al suo discepolo Aristotele, nel dialogo intitolato Timeo, immagina un incontro tra il sapiente ateniese Solone e un venerando sacerdote egizio che così a lui si rivolge: «O Solone, Solone, voi greci siete sempre ragazzi e un greco vecchio non esiste!» (Timeo, 22b).
I filosofi e il mito La voce delle piante e delle rocce
Nel dialogo intitolato Fedro, Platone fa evocare al proprio maestro Socrate, con un atteggiamento misto di nostalgia e di ironia, un passato ormai lontano che non potrà tornare. Sono i tempi in cui gli uomini accoglievano con reverente stupore le verità enigmatiche che venivano intese come l’espressione diretta della natura, degli alberi e delle rocce, preoccupandosi solo della verità stessa, desiderosi di conoscerla e di metterla in pratica. Pensa che alcuni, mio caro Fedro, hanno asserito che i primi discorsi profetici nel tempio di Zeus a Dodona venivano da una quercia! Agli uomini di allora, dato che non erano sapienti come voi giovani, bastava, nella loro semplicità, ascoltare una quercia o una roccia, purché dicessero il vero. Platone, Fedro, 275c-d
Un mondo scomparso in cui le rocce e le querce sanno parlare perché attraverso di esse parlano le divinità, con il loro modo misterioso, autorevole e potente di pronunciare la verità, senza imporla, ma affidandola agli uomini che sono disposti ad accoglierla. Ma la società greca, almeno ai suoi livelli più colti, già all’epoca di Socrate e Platone, non credeva più molto nei grandi racconti della tradizione, non ascoltava già più le rocce, le querce, i fiumi, i miti. Un anziano interlocutore di Socrate, per esempio, nel dialogo platonico intitolato Repubblica, ricorda quando da giovane si prendeva gioco dei racconti tradizionali sul giudizio e il destino dopo la morte, mentre adesso che è vecchio e
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sente avvicinarsi la fine, qualche volta ci ripensa e ha qualche dubbio: se per caso fossero veri? In questa domanda è significativo che il dubbio è se siano veri, non se siano falsi, perché questo lo si dà per scontato. Un mondo scomparso perché gli uomini per la maggior parte non sembrano più disposti a misurarsi con le verità consegnate dai racconti della tradizione, come dimostra il fatto, contro cui Platone per bocca di Socrate polemizza sempre nel Fedro, che essi esercitano la ragione per minimizzare la portata dei miti. Uno di questi racconti è il mito di Orizia, figlia del re di Atene Eretteo. Mentre giocava con la ninfa Farmacea, cui era sacra la fonte del fiume Illisso, che scorre appena fuori Atene, Orizia fu rapita da Borea, il vento del nord, il quale in cambio aiutò gli Ateniesi negli scontri navali. Nulla di più facile che razionalizzare il racconto: niente di divino e misterioso, ma un colpo di vento che fece cadere la giovinetta dalla rupe, uccidendola. È in fondo un po’ quello che ancora viene insegnato nelle scuole, che gli uomini, stupefatti e impauriti di fronte ai fenomeni naturali, non sapendo spiegarli scientificamente, inventarono dei miti, cioè dei bellissimi racconti, pieni di dei ed eroi, fantastici e ricchi di significati, ma ormai superati. In questa prospettiva sui miti, l’unico dubbio può riguardare semmai una situazione di fatto, per esempio da quale altura cadde Orizia, se dal colle dell’Areopago ad Atene, come risulta da alcune versioni del mito, o da altri luoghi. I miti diventano muti, incapaci di parlare agli uomini e di suggerire loro un cammino di verità, e diventano oggetto di studio per attestare la loro veridicità e attendibilità, come fossero un racconto storico difettoso. Socrate rifiuta nettamente la razionalizzazione dissacrante del mito perché riconosce al mito una propria ragion d’essere e una propria logica, cui non ha senso contrapporne altre, in un inutile e sterile esercizio di decifrazione, adatto a chi abbia tempo da perdere e non a chi si debba occupare di cose serie, cioè della verità. Socrate inoltre esalta altre riflessioni della tradizione antica che, come il mito, gli sembrano adatte a scuotere più profondamente l’uomo a lui contemporaneo e le sue facoltà. Una di queste è la scritta enigmatica sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, sacro a tutta l’Ellade, «Conosci te stesso»: Ma io non ho proprio tempo per queste cose; e il motivo, caro amico, è il seguente. Non sono ancora in grado, secondo l’iscrizione delfica, di conoscere me stesso; quindi mi sembra ridicolo esaminare le cose che mi sono estranee, quando ignoro ancora questo. Platone, Fedro, 229e
a filosofia La forza del mito e della tradizione
I poeti avevano tramandato le vicende straordinarie del passato più remoto – come quella di Borea, Orizia e Farmacea – e le avevano raccontate in opere grandiose affidate al loro canto, cioè trasmesse soprattutto oralmente, di generazione in generazione. Quei canti erano la voce del mito, cioè racconti meravigliosi delle gesta di dei e semidei, dei loro rapporti reciproci e con gli uomini. In quei racconti erano l’origine dell’universo, l’origine dell’uomo, l’origine del sapere, l’origine della vita, nonché i saperi stessi degli uomini e degli dei e i comportamenti da assumere a modello. Semplificando, quei racconti erano l’enciclopedia degli antichi, il repertorio delle loro credenze, delle loro convinzioni, delle loro competenze, dei loro atteggiamenti e dei loro comportamenti. Il rapporto della filosofia con altre espressioni della cultura degli antichi, per esempio proprio con i miti, sarà, in molte occasioni, un rapporto anche conflittuale. Senofane di Colofone, per esempio, polemizza esplicitamente con i miti della tradizione, sconsigliando addirittura che tra persone veramente sapienti si discorra delle battaglie di Titani, Giganti o Centauri, che, alla lettera, egli considera «fantasie da primitivi». Intollerabile è per lui l’antropomorfismo della religione tradizionale, per cui gli uomini si fingono gli dei a loro immagine e somiglianza, peggiori difetti compresi. Più in generale Senofane polemizza contro l’universo di valori da banda guerriera dei poemi omerici (VIII sec. a.C.), non solo per l’aspetto del mito, ma per la cultura eroica e agonistica che propongono, basata sulla forza e il valore, e non sull’intelligenza, come invece, a suo parere, i tempi nuovi richiedono. Altrettanto polemico nei confronti della cultura dei miti e in particolare dell’altro suo grande cantore oltre Omero, cioè il poeta Esiodo del VII secolo a.C., fu il filosofo Eraclito di Efeso (544-483 a.C. ca.), per il quale letteralmente Esiodo «non sapeva nulla», nonostante i Greci lo tenessero ancora per maestro affidabile.
L’origine della filosofia dalla meraviglia
Al di là di queste posizioni polemiche, però, attraverso le quali precisa e costruisce di fatto la propria identità, la filosofia si preoccupò anche di stabilire una continuità con le espressioni della cultura umana che l’avevano preceduta e che ne avevano accompagnato la nascita e lo sviluppo. Sempre Platone, infatti, in un suo dialogo
sulla conoscenza, che si intitola Teeteto, individua nella meraviglia un indizio sicuro dell’inclinazione alla filosofia: «Codesto sentimento, codesta meraviglia, è veramente da filosofo; né altro inizio ha il filosofare all’infuori di questo» (Teeteto, 155d). Aristotele, discepolo di Platone, comprese e condivise la complessità della posizione del maestro nei confronti della sapienza arcaica, remota e tradizionale e la ripropose, non più in quella forma drammatica, rappresentativa, ricca di sfumature e letterariamente altissima, che Platone aveva usato nei Dialoghi, ma in una forma di pura interpretazione concettuale. Anche per Aristotele il rapporto tra filosofia e tradizione mostra in realtà una continuità di medesimi sguardi sul mondo ispirati dallo stesso sentimento, la meraviglia: Gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, grazie alla meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi riguardanti i fenomeni della Luna e quelli del Sole e degli astri, o problemi riguardanti la generazione dell’intero universo. Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in certo qual modo, filosofo: il mito, infatti, è costituito da un insieme di cose che destano meraviglia. Cosicché, se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dell’ignoranza, è evidente che ricercarono il conoscere solo al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità pratica. Aristotele, Metafisica, 982b
In forma sintetica, la nozione aristotelica di meraviglia esprime efficacemente un complesso gioco di coinvolgimento e presa di distanza, di identificazione ed estraneità rispetto alla verità della tradizione. Infatti, per Aristotele la meraviglia non riguarda solo lo stato d’animo dell’uomo arcaico di fronte alla natura, destinato a essere superato nell’uomo evoluto grazie a una progressiva crescita delle conoscenze, ma è la spinta che muove e accompagna la ricerca filosofica. Quindi, nell’interpretazione di Aristotele, la meraviglia – generata dai miti o dai problemi più a portata di mano o dagli stati di cose più complessi – non è soltanto la «premessa» della filosofia che, a sua volta, è la condizione della sophía, cioè del sapere e della sapienza finalmente acquisiti dopo il superamento dell’ignoranza e del dubbio. Meraviglia è la «compagna inseparabile» della filosofia o, meno astrattamente, di chi la pratica.
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La filosofia prima della Aristotele, in questo ordine di considerazioni, mette ulteriormente a fuoco il gusto del sapere proprio della filosofia, attraverso i requisiti della consapevolezza espressa nella gratuità e del disinteresse. Praticare la filosofia vuol dire essere presi dalla meraviglia e dal dubbio su come stanno le cose, quindi diventare consapevoli di ignorare – e non semplicemente ignorare – e impegnarsi a fuggire l’ignoranza, senza nessun tornaconto pratico. In conclusione, per Platone e Aristotele, la filosofia non deve né accogliere supinamente il lascito dei miti della tradizione, né rifiutarlo irridendolo o stravolgendolo, ma lo deve interpretare, cioè deve renderne vivo il messaggio di verità, vivendolo come una consegna, un impegno, una sfida.
Le origini del pensiero nella lingua e nella letteratura La lingua accoglie la filosofia
Invece dello spirito polemico di Senofane ed Eraclito, seguiremo nelle pagine successive il consiglio di Platone e Aristotele disponendoci, per quanto ancora ci è possibile, alla confidenza e alla meraviglia, addentrandoci, almeno un po’, in un mondo di eroi, demoni, dei, ninfe e ciclopi, battaglie furibonde, arditi stratagemmi, magici incantamenti, indovini ciechi, profetesse inascoltate, viaggi agli inferi, passioni intense, querce e rocce che parlano agli uomini che li sanno ascoltare. Raccoglieremo, allora, il suggerimento di Platone, nel Gorgia: Ascolta, come si dice, un gran bel racconto (lógos), che tu considererai un mito (mýthos), credo, e che io, invece, considero un discorso (lógos). Infatti io ti narrerò ciò che sto per narrarti come cose vere. Platone, Gorgia, 523a
I primi discorsi intorno alle «cose vere» sono i racconti giunti fino a noi attraverso i grandi poemi di Omero ed Esiodo, le prime voci della letteratura greca, in cui troviamo quelle stesse domande che la filosofia farà sue, pur dandone risposte originali e diverse. Il viaggio nella sapienza così come ha preso forma nella letteratura può utilmente cominciare dalla lingua. Le idee infatti sono tipicamente impresse nella lingua che le esprime. Il latino, per esempio, è meno generoso del greco. In questo senso il caso emblematico è quello del filosofo e uomo politico romano Cicerone
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(106-43 a.C.) che, volendo esprimere in latino il patrimonio della filosofia greca che tanto ammirava, trovò difficoltà, a cominciare dalla mancanza dell’articolo. In effetti l’articolo consente alla ragione di maneggiare nozioni come il bene, il male, il giusto, l’ingiusto, il bello, il brutto, la cosa, l’idea, cioè di svincolarsi dai contesti immediati dell’esperienza, attraverso nomi astratti. Nel pensiero mitico, che testimonia una fase della lingua greca in cui l’articolo non ha ancora sviluppato tutta la propria potenzialità espressiva, i nomi astratti come ad esempio l’amore, la paura, il pudore, la memoria sono individui, espressi da nomi propri di divinità, come Eros, Phobos, Aidós, Mnemosyne. In questo modo, la lingua greca – nell’analisi di uno dei massimi filologi classici, Bruno Snell – offre, nel suo sviluppo, le proprie caratteristiche a idee molto generali ma non generiche, cioè in grado di prendere le distanze dall’esperienza, tanto da non restare schiacciate su di essa, ma anche da poter ritornare ad essa per interpretarla nuovamente con efficacia: ad esempio la divinità Eros contiene in sé la dimensione dell’esperienza amorosa e quella che sarà, nello sviluppo successivo del pensiero, l’idea generale di amore. Si tratta di un tipo di idee preziose per la filosofia e il sapere in generale, in qualsiasi senso li si consideri. Questa proprietà di essere generale e non generica è il fondamento della mobilità e plasticità della lingua greca, da cui deriva quella speciale modernità, come capacità di accogliere ed esprimere il nuovo, che il poeta italiano Giacomo Leopardi (1798-1837), ammirato, le attribuisce in più luoghi dello Zibaldone: La lingua greca ch’è la più antica delle colte ben conosciute, è anche fra tutte le lingue colte la più capace di significar l’idee e gli oggetti più propriamente moderni cioè i più difficili a significarsi e di supplire ai bisogni d’espressioni, prodotti dall’ampiezza, varietà e profondità delle nozioni moderne. G. Leopardi, Zibaldone, 2635-2636
Vantaggiosa poi è la presenza dell’infinito che dà occasione e modo di pensare le azioni e gli stati oltre il loro svolgimento e il loro esito. Altro punto di forza filosofico della lingua greca è la presenza della copula, come nell’espressione «questo è un libro». Concettualmente, la copula offre la possibilità di separare l’essere dalla cosa che lo contiene, manifestando ciò che è implicito, per farlo diventare una questione a sé, quella di una cosa che non solo è immediatamente un libro, un topo, un dio o un uomo, ma «è», «esiste». Ciò rende possibile quella che taluni considerano la questione più decisiva della filosofia,
a filosofia quella dell’essere, e che tradizionalmente va sotto il nome di «metafisica». La copula, inoltre, collega il soggetto e il predicato, come le preposizioni collegano verbi e nomi ad altri nomi e verbi e le congiunzioni stabiliscono il rapporto reciproco tra intere proposizioni. Articolare, collegare, unire e distinguere, premettere e trarre conseguenze sono atti tipici della narrazione e del pensiero logico e argomentativo, e quindi anche della filosofia o della maggior parte delle sue manifestazioni. Tanto le sapienze remote quanto le filosofie e altre forme di sapere si espressero in una comune matrice linguistica particolarmente feconda, che sempre le tenne in comunicazione, consentendo loro di fraintendersi, comprendersi, combattersi, ma comunque di confrontarsi.
Omero e la verità nel mito
Abbiamo già accennato alla primitiva sapienza dei Greci che si depositò, a partire da tempi immemorabili, non in resoconti storici, né in opere letterarie, ma in «miti». Un racconto storico vuole essere un resoconto attendibile di eventi fondato su testimonianze. Un racconto letterario invece è una finzione dichiaratamente creata da un artista che in essa mette a frutto il proprio talento e la propria fantasia. Anche un mito è un racconto, ma molto diverso, tanto da non collocarsi, come gli altri due tipi, nell’orizzonte della scrittura e della lettura, ma in quello della tradizione, dell’oralità, cioè della voce, e dell’auralità, cioè dell’ascolto. Il mito è immediatamente riconoscibile in ogni cultura, perché offre se stesso come senza tempo, senza origine, senza testimoni, senza creatori e autori, senza una versione unica e definita, ma anzi nuovamente vivo ogni volta nelle infinite variazioni del canto di aedi e rapsodi a cui era affidata la recitazione in versi dei racconti mitici. Si capisce, così, perché la Memoria, nel contesto della cultura orale, fosse una divinità, Mnemosyne, madre, tramite Zeus, delle Muse, cioè delle divinità protettrici delle arti e delle attività intellettuali. Memoria, prima dell’introduzione in Grecia della scrittura, è addirittura la condizione di tutti gli dei, in quanto possibilità di raccontarli di bocca in bocca, di orecchio in orecchio, di generazione in generazione. La memoria mitica però, a differenza della scrittura, non è la garanzia dell’identità del mito come stabilità, ma come continuo cambiamento, anzi continuità nel cambiamento, come succede alle cose vive.
Nella mobilità del racconto mitico trovano risposta domande e bisogni rilevanti entro la comunità umana in cui il mito circola ed è riconosciuto. Domande sull’origine dell’universo e sul senso, sull’origine e la fine della vita, sulle scelte da compiere, sui rapporti da intrattenere con le forze della natura e con gli uomini, sull’organizzazione della comunità. Domande, risposte, indicazioni, però, che solo uno sguardo retrospettivo sul mito rende esplicite, perché il mito è vita, non riflessione sulla vita. È in quanto vita che esso costituì il patrimonio orale comune di idee dei Greci dell’epoca preclassica. Patrimonio di idee e quindi anche di comportamenti, di pratiche e di competenze, da come si arma una nave, a come si entra in un porto, da come si esegue un sacrificio a come ci si comporta in un banchetto.
I poemi omerici e la storia
Le tracce dell’oralità, dell’auralità e della memoria che custodiscono e rendono disponibile questo patrimonio sono evidenti nelle due opere scritte attribuite ad Omero, il poeta cieco dalla nascita incerta, e che risalgono all’VIII-VII secolo a.C., cioè Iliade e Odissea. Si tratta di due poemi in versi che narrano, rispettivamente, 51 giorni della vittoriosa spedizione militare condotta da una coalizione di popolazioni della penisola ellenica, gli Achei, contro la città di Troia (o Ilio), nell’Asia minore nordoccidentale (l’odierna Hissarlik), per vendicare il rapimento della bellissima Elena, e il travagliato decennale percorso di ritorno in patria, a Itaca, di uno degli eroi greci, Odisseo. Dal punto di vista storico, i poemi omerici contengono un nucleo attendibile relativo alla distruzione della città di Troia alla metà del XIII secolo a.C. da parte di popolazioni micenee. La civiltà micenea era fiorita nella penisola ellenica tra il 1400 e il 1200 a.C. e aveva i suoi centri in Argo, Pilo, Tirinto, Tebe e particolarmente Micene. Utilizzava una forma antica di lingua greca, detta oggi Lineare B (per metterla in rapporto, ma anche per distinguerla dalla Lineare A, in uso a Creta, nella civiltà cosiddetta minoica), e conosceva l’uso del bronzo e dei carri da combattimento. Espresse inoltre una mitologia e una religione fondamentali per la cultura greca, anche dopo la sua fine, dovuta all’ondata migratoria dei Dori, di lingua greca. Tracce importanti di quel passato remoto sono rinvenibili nei poemi omerici, ma la cultura e la società che essi effettivamente descrivono e propongono come modello sono sicura-
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La filosofia prima della mente posteriori, cioè quelle che si sono formate nel corso della cosiddetta «età oscura», dall’invasione dei Dori fino all’800 a.C. circa. Oscura perché poco nota e perché si persero alcune acquisizioni della precedente, come l’inumazione dei cadaveri, sostituita dall’incinerazione, ma soprattutto l’arte della scrittura. Oscura, ma nel cui corso, oltre all’uso del ferro ignoto ai Micenei e l’adozione dell’alfabeto fenicio, nacque la società greca. Una società assai diversa dall’antica monarchia micenea, fondata, come le civiltà coeve del Vicino Oriente, sulla sacralità del re unico e la centralità del Palazzo che ne custodisce ed esprime la regalità e il complesso sistema del potere, articolato in rigide gerarchie. Nella società dei poemi omerici valgono valori come l’onore, il coraggio e l’eccellenza delle doti, riassunti nell’espressione dell’eroe Achille: «essere il primo e distinguersi dagli altri». Sono gli ideali, soprattutto nell’Iliade, di una società aristocratica e guerriera, centrata sulla casa intesa anche come persone, schiavi, concubine, proprietà e ricchezze di un gruppo familiare. Gli uomini sono eroi e tra essi eccelle il re, ma ogni banda guerriera ha il proprio. Dal punto di vista letterario, né Iliade né Odissea sono semplici trascrizioni della precedente tradizione orale, ma vere e proprie opere poetiche che presuppongono cioè un uso già maturo della scrittura e una sviluppata dimensione letteraria. Esse tuttavia affondano le proprie radici nell’antico canto eroico corale, la cui eco risuona nelle lunghe esposizioni paratattiche, vale a dire in cui le proposizioni sono tutte sullo stesso piano e coordinate tra loro tramite la congiunzione, nelle descrizioni ripetitive delle battaglie, delle vestizioni del guerriero, della discesa del sonno, nei cataloghi interminabili, negli epiteti formulari che ritornano sempre uguali nel variare dei contesti (piede veloce, dalle dita rosate, dai molti inganni, guancia graziosa, begli schinieri…) e nelle incoerenze dei comportamenti dei personaggi, che non sono caratteri psicologici in senso proprio, da cui fare derivare azioni conseguenti che li manifestino, ma nomi cui vengono riferite azioni e condotte che preesistono nella tradizione. In questo senso i due poemi contemporaneamente concludono un’epoca, quella dell’oralità, e ne avviano un’altra, quella della letteratura, anche se la seconda si nutre della prima e la prima prosegue a lungo nella e tramite la seconda, conservando almeno il tratto tipico dell’auralità. I poemi omerici, ad esempio, per tutta l’antichità continuarono ad essere letti ed ascoltati da un pubblico di uditori, non letti in silenzio e in solitudine come avviene per lo più con i libri al giorno d’oggi.
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È esistito un vero e proprio autore di entrambi i poemi o di ciascuno dei due oppure dobbiamo considerare Omero come il simbolo di un’operazione collettiva? I due poemi, i quali riflettono mondi abbastanza diversi per cultura e sono scritti in lingue un po’ diverse, ma di cui gli antichi percepivano l’unità profonda, ammesso che abbiano ciascuno un solo autore, possono essere dello stesso? In queste domande e nelle diverse risposte che sono state date loro consiste la cosiddetta questione omerica. Si può ricordare, per esempio, la posizione del maggiore filosofo italiano del XVIII secolo, il napoletano Giambattista Vico (1668-1744), secondo il quale Omero non è nemmeno una persona, ma un carattere, ovvero il compendio del proprio tempo. Tuttavia la questione omerica può essere assunta come simbolo dell’assenza di autori e creatori propria del racconto mitico solo indirettamente, perché in realtà già implica di per sé una prospettiva letteraria e di scrittura estranea al mito. Secondo lo storico Erodoto, i poeti Omero ed Esiodo crearono gli dei della Grecia, raccontandoli per iscritto:
Costoro sono quelli che crearono per i Greci la storia della nascita dei loro dei, e diedero loro i nomi e distinsero le loro competenze e la loro attività e ne indicarono l’aspetto. Erodoto, Storie, II, 53
Ciò è senz’altro vero per noi, almeno nel senso che dall’Iliade e dall’Odissea di Omero e dalla Teogonia e dalle Opere e i giorni di Esiodo ricaviamo la maggior parte delle informazioni sui miti e sulla religione dei Greci. È vero anche per i Greci dall’VIII-VII secolo a.C. in poi, cioè a partire dall’età di Omero e di Esiodo, perché quei poemi epici divennero il punto di riferimento dell’intera cultura greca – e in larga misura dell’intera cultura occidentale – comprese la mitologia e la religione, rese disponibili al racconto storico e a quello letterario. In realtà, Omero ed Esiodo, creando gli dei, per così dire, li «uccisero» attraverso la scrittura che prima soccorre l’oralità, aiutando la memoria, ma poi le vanifica. Scrivendoli, cominciarono a sottrarli al loro mondo mitico, senza tempo, senza origine, senza testimoni, senza autori né creatori, senza un’unica versione, perché assegnarono loro dei nomi, distinguendo, illustrando, permettendo e stimolando confronti fra tradizioni. Con Omero ed Esiodo comincia la letteratura, nei suoi diversi generi, compreso quello filosofico.
a filosofia Esiodo, il maestro di verità
In Esiodo (700 a.C.) questa dimensione letteraria e poetica è molto più spiccata rispetto a Omero, perché legata a un’intenzione culturale esplicita, potremmo dire, in senso molto generale, a una «filosofia». Egli presenta se stesso come autore, parla di sé e si assume la responsabilità della verità di ciò che insegna. Un tratto del tutto assente in Omero. Peraltro, nella tradizione orale che confluisce nei poemi omerici, si pretende semplicemente di riferire fedelmente i fatti del mito, senza la volontà di organizzarli in una interpretazione complessiva del mondo; mentre Esiodo, con l’illustrazione del mito, vuole spiegare il senso vero delle cose. Alla fine dell’età oscura, la società aristocratica e guerriera lascia gradualmente spazio all’attività e alle aspirazioni di piccoli proprietari terrieri non nobili, per cui l’ideale omerico della competizione rischia di favorire lo scontro sociale e di compromettere la convivenza. Esiodo in Opere e giorni e nella Teogonia si fa portavoce da un lato della nobiltà del lavoro, in particolare quello dei campi, come valore in sé e dall’altro dell’esigenza di una giustizia che scaturisca dall’ordine cosmico e politico garantito da Zeus, sovrano degli dei. Ciò che è tipico di Esiodo è l’utilizzo della mitologia per delineare un ideale di ordine e giustizia.
Zeus sposa in seconde nozze Temi, la Consuetudine, da cui traggono alimento le leggi consuetudinarie che regolano i rapporti umani, e da Temi si generano Ore, la Norma, Eunomie, il Buon Ordine, Dike, la Giustizia e finalmente Eirene, la Pace. Più in generale, gli dei sono utilizzati per spiegare il mondo in un’operazione razionale di associazione sistematica di parti e forze dell’universo a divinità. Caos, cioè la voragine, le fauci spalancate in cui tutto in origine era indistinto, partorì Erebo e Notte, il mondo degli inferi, ed Etere e Giorno, il mondo celeste. Da Gaia, la Terra, nacquero Mare e Urano, il Cielo, e da quest’ultimo la violenta stirpe dei Titani. Uno di questi, Crono, dominò gli dei, dopo aver orrendamente castrato il padre, finché suo figlio Zeus gli sottrasse il potere. A Zeus si ribellarono i Titani e la loro definitiva sconfitta segnò l’avvento di un mondo finalmente ordinato e giusto, in cui ogni sfera di esperienza è saldamente legata a una divinità. In quel mondo una stirpe di eroi fu generata dalle unioni di mortali e divini, quegli eroi che sono protagonisti delle vicende già narrate nei poemi omerici. In questa impresa di conferimento di ordine e leggibilità al mondo, Esiodo mette in campo, di volta in volta, tipi diversi di personaggi divini, più o meno evidentemente legati ai processi naturali. In generale, è stato dimostrato lo stretto legame di queste teogonie con il pensiero dei filosofi presocratici
Gigantomachia, Ecate e Artemide con i loro avversari (part.), Altare di Zeus di Pergamo, fregio est, II sec. a.C., Berlino, Pergamonmuseum.
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La filosofia prima della e in particolare con le prime cosmogonie, cioè teorie della nascita del mondo, che delle teogonie mantengono lo schema di base: a uno stato iniziale d’indistinzione fa seguito una separazione di coppie di opposti, che infine trovano una sostanziale ricomposizione in un ritmo ciclico universale. Il secondo tipo di miti esiodei manifesta invece un legame minore con i processi naturali, e se ne può facilmente dimostrare il rapporto strutturale con miti e soprattutto con rituali affini, per esempio babilonesi, in cui il Sovrano degli uomini, trionfando su un mostro, ripristina, nell’equinozio di primavera, l’ordine universale, cioè del cosmo, delle stagioni e quindi del tempo, nonché della struttura sociale che su essi si modella. Così, anche in molte delle prime cosmologie dei filosofi, le occasioni di rottura dell’ordine costituito, presente nell’universo, saranno interpretate come momenti necessari di un ciclo ininterrotto, in cui il disordine è funzionale alla vita dell’universo, in quanto è seguito dal ripristino dell’ordine.
La sapienza che salva e che guida Il segreto, il mistero, la scoperta
Accanto alla religione degli dei dell’Olimpo, di cui molto sappiamo attraverso i poemi omerici ed esiodei, la cultura ellenica si nutre di una seconda espressione religiosa che talvolta si integra e talvolta si scontra con la prima e che con essa costituisce uno straordinario patrimonio ideale cui anche la filosofia si rapporta. È una religione, questa, fatta di percorsi dall’oscurità alla luce, di visioni dirette, di trasformazioni interiori, di ricerca di senso, di anticipazioni e prefigurazioni del futuro, che complessivamente fanno capo ad una realtà senza nome, che il poeta Pindaro (518-438 a.C.) chiama enigmaticamente «quello», cioè qualcosa da scoprire lasciandosene catturare. Si tratta di una forma religiosa che, pur aperta a tutti, donne comprese, si affida meno alla dimensione pubblica e all’ordinamento politico e civile e si esprime invece nei misteri, cioè esperienze del divino affidate a forme più o meno segrete di culto riservate agli iniziati. Essere «iniziati» non significava necessariamente essere in pochi, ma voleva dire vedere svelato un segreto che, assunto come impegno, avrebbe assicurato la beatitudine in vita e soprattutto dopo la morte. Misteri rilevanti si celebravano ufficialmente a Eleusi ed erano legati a Demetra, sorella di Zeus, dea delle messi, e a
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Persefone, la figlia che le fu sottratta da Ade, dio degli Inferi, e poi restituita periodicamente. Un mito che interpreta il ciclo della natura e la penetrazione del divino nella terra, come il seme che darà frutti. I misteri sono legati anche al nome del dio Dioniso, il figlio di Zeus, la cui madre fu incenerita alla vista dell’aspetto divino di Zeus e che per questo continuò la gestazione dentro una coscia del padre. Dioniso, divenuto adulto nonostante le trame della sposa di Zeus, Era, impugna un ramo intrecciato di foglie d’edera, il tirso, e con la sua grazia quasi femminea, unita a una potenza violenta e oscura, conquista gradualmente il mondo al proprio culto, circondandosi di uomini e donne ebbri e in preda al delirio, satiri, sileni, menadi, baccanti. Il suo simbolo è la maschera, perché la sua azione modifica e porta a compimento l’identità profonda degli adepti, che diventano il dio stesso. Egli è il dio del vino, dell’ebrezza, dell’estasi e l’ubriachezza e il delirio sono le vie per incontrarne l’azione improvvisa di liberazione dalla sofferenza e dalle cure. I riti prevedono il ritiro su un monte e orge sacre. Al culmine dell’estasi dionisiaca i fedeli uccidono un animale selvatico e lo divorano crudo, assumendo in tal modo il dio in se stessi. Il vertice dell’intera esperienza è la partecipazione diretta e terribile alla verità segreta. Strettamente legata ai misteri dionisiaci è anche la figura di Orfeo, un leggendario poeta, vissuto in Tracia, che la tradizione vuole antecedente a Omero, più antico degli eroi della guerra di Troia e in grado di ammansire con il suono della lira le fiere e di commuovere le piante e le rocce. A lui fu concesso di sottrarre al regno dei morti l’amata Euridice, uccisa dal morso di un serpente, a patto di non cedere alla tentazione di guardarla durante il tragitto verso la vita. A quella tentazione Orfeo cedette, Euridice scomparve per sempre ed egli fu dilaniato da donne furiose, forse perché non si era affidato a Dioniso. La testa mozzata continuò però a cantare. I poemi a lui attribuiti svolgevano un ruolo determinante in alcune versioni dei misteri dionisiaci, cioè nel culto del dio Dioniso Zagreo, figlio di Zeus e di Persefone (l’altro Dioniso era figlio di Semele, ma le due figure si sovrappongono), sbranato e divorato dai Titani, su istigazione di Era, e che rinacque dal proprio cuore risparmiato dallo scempio. Una rinascita che dà sostanza alla metempsicosi, cioè alla trasmigrazione delle anime di corpo in corpo, cui gli adepti di questo culto credevano. Passare di corpo in corpo e purificarsi ad ogni passaggio, tramite l’esercizio della virtù, avrebbe finalmente assicurato la purificazione da una colpa originaria (forse la morte stessa di Dioniso) e la conseguente piena felicità.
a filosofia Oracoli, labirinti, enigmi
Filosofo contemporaneo e studioso degli antichi, Giorgio Colli (1917-1979) ha sostenuto che la passione per ciò che è difficile e nascosto, per ciò che deve essere risolto e manifestato e per i nodi da sciogliere, è un tratto tipico del pensiero degli antichi fin dalle epoche più remote. Una passione che dipende dall’intreccio tra dimensione umana e dimensione divina, che si scontrano, ma anche si alimentano reciprocamente. Simbolo del versante divino di questa passione è lo stesso Apollo, cui era dedicato il tempio di Delfi, e del quale Eraclito di Efeso (544-483 a.C. ca.) scrive: «Il signore, cui appartiene l’oracolo che sta a Delfi, non dice né nasconde, ma accenna». (DK 22.B.93). Accennare un significato senza chiarirlo, indicare una via d’uscita lasciando all’interprete il compito di percorrerla senza fraintenderla, lanciare sfide alla capacità degli uomini di comprendere i segni della verità, assumendosi i rischi che derivano tanto dal coglierla quanto dal mancarla, sono tratti propri della divinazione degli oracoli, cioè della predizione del futuro e dell’ignoto attraverso l’interpretazione di segni divini. La Grecia è cosparsa di oracoli: Delfi, Dodona, Oropo, Ammone. Lì operavano sacerdoti e Sibille, cioè profetesse, come la Pizia a Delfi. Dagli oracoli provengono segni ambigui, per l’incommensurabile distanza tra sapienza divina e sapienza umana, che però mostra la grandezza stessa dell’uomo quando costui cerca di comprendere i segni ambigui del divino. Altro simbolo di questo gusto pericoloso per la sfida che anima il pensiero dei Greci e quindi la filosofia è il labirinto costruito a Cnosso, secondo la tradizione, da Dedalo su richiesta del re Minosse di Creta, per tenervi rinchiuso il Minotauro, mostro mezzo uomo e mezzo toro, nato dall’unione della regina Pasifae con un toro sacro di cui Poseidone l’aveva fatta invaghire, irato perché non gli era stato sacrificato. Il labirinto è una costruzione umana, connessa a una dimensione sacra e divina e a un segreto terribile, da cui la ragione e l’astuzia umana possono uscire, ma non sempre vi riescono. Ad uscire dal labirinto riuscì l’eroe ateniese Teseo, grazie al gomitolo donatogli da Arianna, la figlia di Minosse, destinata a Dioniso. Analoga natura è propria dell’enigma, il cui simbolo è la Sfinge, nome che significa «colei che lega», un mostro con testa di donna e corpo di leone. Fu la Sfinge a porre a Edipo, figlio di Laio re di Tebe, un enigma,
risolvere il quale gli avrebbe risparmiato la vita: che cosa è che cammina a quattro gambe al mattino, a due nel meriggio e a tre nella sera? Oggi tutti sappiamo che è l’uomo, nelle diverse età della vita, perché Edipo risolse l’enigma e la Sfinge, sconvolta, si uccise, ma Edipo, per sciogliere l’enigma, in un certo senso fece filosofia, perché intuì il significato reale espresso dall’unione di cose impossibili, secondo la definizione che Aristotele darà dell’enigma. Quello che colpisce in tutte queste situazioni è che quando l’uomo si trova di fronte alla verità ne va della vita, nel senso che la conoscenza impegna totalmente l’esperienza umana. Anche a Socrate interpretare il motto delfico costò la vita, così come un frammento di Aristotele racconta che costasse la vita a Omero, la matrice di ogni sapienza ellenica, non saper rispondere a un enigma: Omero, una volta cresciuto e diventato già famoso per la sua arte poetica, interrogò la divinità per sapere chi fossero i suoi genitori e quale la sua patria; e la divinità rispose così: «È l’isola di Io patria di tua
Apollo citaredo, copia romana di originale ellenistico, Roma, Museo Nazionale Romano, Palazzo Altemps.
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La filosofia prima della madre, ed essa te morto / accoglierà; ma tu bada all’enigma di uomini giovani.» Non molto tempo dopo, navigò verso Tebe per le gare in onore di Crono […]; giunse a Io. Quivi, seduto sugli scogli e osservando dei pescatori che si avvicinavano alla spiaggia, chiese loro che cosa avessero. Essi, per il fatto che non avevano pescato nulla, si spidocchiavano, e a causa della difficoltà della pesca, risposero: «Ciò che abbiamo preso lo abbiamo lasciato, ciò che non prendemmo lo portiamo con noi», alludendo enigmaticamente con ciò al fatto che quei pidocchi che essi avevano preso li avevano gettati via dopo averli uccisi e quelli che invece non avevano preso li portavano nelle vesti. Omero, non riuscendo a risolvere l’enigma, per lo scoraggiamento morì. Aristotele (76 Rose)
La tradizione dei Sette Sapienti
L’unità profonda di vita e sapere che caratterizza il pensiero degli antichi fin dagli esordi, nella straordinaria varietà delle sue manifestazioni, è evidente nella figura spirituale e nella tradizione dei Sette Sapienti. Sette per un motivo religioso e speculativo antichissimo, di origine orientale, ma, a contarli nei diversi elenchi che la tradizione ci affida, assai di più e non sempre gli stessi: Solone, Talete, Pittaco, Biante, Chilone, Misone, Cleobulo, Periandro, Anacarsi, Acusilao, Epimenide, Leofanto, Ferecide, Aristodemo, Laso, Ermioneo, Anassagora, Orfeo, Epicarmo, Leofanto, Aristodemo, Panfilo e Pitagora. Un’indeterminatezza che non piacque neanche a loro, se è vero, come racconta una tradizione, che cinque si proclamarono autentici e, siccome 5 in greco si indica con la lettera dell’alfabeto E, quella lettera fu incisa sul tempio di Apollo a Delfi. Cinque, sette, diciassette o più, furono figure spesso molto diverse tra loro, alcune delle quali leggendarie, come Orfeo, altre di cui in effetti non sappiamo nulla, altre, come Acusilao, Epimenide e soprattutto Ferecide di Siro, impegnate nella ricostruzione delle genealogie divine per delineare un assetto del mondo, secondo il modello di Esiodo, ma con variazioni anche notevoli; altre ancora, come Talete, Anassagora e Pitagora, assegnate dalla tradizione alla filosofia e impegnate nella sfera politica; ma anche uomini d’azione, come i tiranni Cleobulo e Periandro. Nel loro insieme questi personaggi delineano il fermento culturale e intellettuale che caratterizzò la Grecia intorno al VII-VI secolo a.C. e che coinvolgeva tanto la
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sfera pubblica – Solone, per esempio, fu un legislatore ateniese di primaria importanza, ma anche Pittaco di Mitilene – quanto quella esistenziale, tanto l’ambito della morale quanto quello della conoscenza, tanto la dimensione divina quanto quella umana, in un intreccio caratteristico e affascinante. La tradizione vuole che si riunissero, si incontrassero, banchettassero tra loro in gare di sapienza in cui era in palio un tripode che toccava al più sapiente e in ultimo veniva offerto ad Apollo. Anche loro furono dunque legati alla sapienza di Apollo e proprio a Delfi, sede del celebre oracolo di Apollo, sulla facciata del tempio erano incise le massime dei Sette, sintesi di sapienza morale e civile rivolta agli uomini: «conosci te stesso», «nulla di troppo», «nel mezzo il meglio». A Solone gli antichi ne attribuirono venti, raccolte ora nel Diels-Kranz: Nulla di troppo. Non sedere come giudice, altrimenti sarai inviso all’accusato. Fuggi il piacere, che genera afflizione. Conserva la probità del carattere, più degna di fede del giuramento. Suggella i discorsi con il silenzio e il silenzio con l’opportunità. Non mentire ma sii veritiero. Occupati di cose oneste. Non dire cose più giuste dei genitori. Non fare amicizie in fretta e non interrompere frettolosamente quelle che hai fatto. Imparando ad ubbidire, imparerai a comandare. Se ritieni giusto che gli altri rendano conto, assoggettati anche tu. Consiglia ai cittadini non le cose più piacevoli, ma le migliori. Non ti vantare. Non accompagnarti ai malvagi. Sii in rapporto con gli dei. Venera gli amici. Ciò che non sai, non dirlo. Sapendo, taci. Sii benevolo con i tuoi. Testimonia le cose invisibili con quelle visibili. I Presocratici, pp. 73-74
Secondo Plutarco (46-120 d.C.), quella stessa E sul tempio non vuol dire 5, ma è la seconda persona dell’indicativo del verbo «essere» in greco, «Tu sei», riferita ad Apollo, e vuole distinguere l’ambito del divino, che solo propriamente è, perché semplice, stabile, puro, e l’ambito dell’umano, complesso, mobile, misto, perché continuamente cerca se stesso, ridefinisce la propria dimensione. Se il dio è sempre identico a se stesso, gli uomini, al contrario, cambiano e trasformano di continuo se stessi e la società in cui vivono. Ai Sette Sapienti e all’esperienza culturale che simboleggiano era affidato il compito di ricercare un assetto nuovo della società greca, una possibile dimensione dell’umano. Una società la cui unità si fondasse non più sul potere assoluto del monarca e sulle gerarchie che da lui dipendono, né sull’agonismo eroico dei poemi omerici o soltanto sulla regolazione divi-
a filosofia na del cosmo, ma sulla ricerca faticosa di regole condivise, di mediazioni, di integrazioni di ruoli diversi nella compagine sociale. Regole, mediazioni, ruoli che trovano ormai espressione in leggi scritte, controllabili pubblicamente. Emblematica la figura di Solone (640-561 a.C.), le cui riforme ad Atene esaltarono proprio l’ordine buono, non più come manifestazione della volontà divina, come era in Esiodo, ma come faticoso equilibrio tra qualità umane: l’essere «giusti», cioè fare bene, con equilibrio; l’essere «ricchi», cioè poter fare realmente, disponendo dei mezzi effettivi per agire sul corso delle cose, ma senza eccessi tracotanti; l’essere rispettosi della legge che permette, vieta, dirime. La virtù principale diventa perciò la moderazione, l’uso retto della ragione nelle circostanze concrete. Un buon ordine che implica persuasione delle parti in gioco e quindi l’uso della parola come esercizio di mediazione e come orizzonte comune, ormai anche nella forma scritta. Non tutti i Sapienti della lista antica hanno però lo stesso volto austero, ma anche familiare e rassicurante di Solone, in cui sfera del divino e sfera dell’umano si contemperano senza confondersi. Tra essi compare infatti Epimenide, il prototipo di un sapiente che i Greci chiamavano «uomo divino», profeta, mago, taumaturgo, cioè operatore di eventi meravigliosi e miracolosi, eccezionalmente longevo, anche perché dormì per 57 anni in una grotta e si nutrì di malva e di asfodelo. Capace di uscire a piacimento dal proprio corpo, fu chiamato come sacerdote a purificare Atene dopo il sacrilego sterminio presso l’altare di Atena dei complici di Cilone, il tiranno mancato che aveva tentato di impadronirsi di Atene senza riuscirvi. Egli ha forse un legame, diretto o indiretto, anche con la sfera dell’enigma, se è vero che a lui, cretese, si deve l’affermazione secondo cui «tutti i Cretesi mentono», uno dei più eccitanti rompicapi della ragione, al centro ancora oggi della riflessione filosofica, logica e matematica. Epimenide ha in parte i tratti dello sciamano, cioè di quelle figure tipiche soprattutto delle culture asiatiche che intrattengono uno speciale rapporto con il divino e, in grado di comunicare con esso, diventano specialisti di religione nei momenti critici, di tensione e di ansietà nella comunità. Tratti che condivide con figure altrettanto magnifiche come Abari, che dal Nord raggiunse la Grecia viaggiando su una freccia di Apollo e senza nutrirsi di nulla, o come Ermotino di Clazomene che abbandonava per anni il proprio corpo per fare visita all’aldilà e carpire profezie, o come Aristea di Proconneso, che in stato di estasi compiva viaggi in terre lontane, oltre il Mar Nero, presso gli Issedoni, per desiderio di sa-
perne di più, aveva il dono dell’ubiquità, di abbandonare il proprio corpo, di farlo scomparire e di farvi ritorno e che, sotto le sembianze di un corvo, pare accompagnasse Apollo, di cui introdusse il culto in Magna Grecia, a Metaponto. Figure di uomini divini i cui destini si intrecciano con il favoloso popolo degli Iperborei, letteralmente abitanti oltre il vento di tramontana, cioè nel lontano Nord, in cui conducevano, in una società perfetta, una vita di armonia e di beatitudine, tanto che Apollo stesso, di cui essi erano devoti, vi trascorreva l’inverno. Queste ultime figure di sapienti, in special modo Epimenide, testimoniano il contributo della sfera religiosa alla costituzione di un nuovo ordine sociale e politico, anche attraverso la scrittura di teogonie ulteriori rispetto a quella di Esiodo, che sono attribuite peraltro anche ad Aristea.
Uno sguardo a Oriente L’età assiale dell’umanità
Il VI secolo a.C., periodo in cui è datata la nascita del pensiero filosofico greco, è il fulcro di un arco di tempo decisivo nella storia dell’umanità che un filosofo tedesco contemporaneo, Karl Jaspers (1883-1969), nella Piccola scuola del pensiero filosofico del 1965, ha definito assiale. In quell’arco di tempo hanno infatti avuto luogo «eventi spirituali – pressoché indipendenti gli uni dagli altri – che hanno originato la coscienza della quale ancor oggi viviamo. Furono allora posti i fondamenti religiosi e filosofici e date le risposte che ancor oggi ci vincolano». Qui è possibile soltanto accennare ad alcuni di essi, tappe emblematiche di un percorso del pensiero umano dall’est all’ovest, che sembra segnato da una crescita di autonomia e consapevolezza di sé rispetto alla sfera sacra e divina.
La sapienza cinese
In Cina il regno feudale della dinastia Zhou, dall’XI secolo a.C., è segnato da una progressiva crisi politica e dall’affermazione di molti centri di potere in contrasto reciproco. Taoismo e confucianesimo, rispettivamente legati al pensiero e all’opera di Lao-Tse e Kung-fu-tse (Confucio, nel latino del XVI secolo del gesuita padre Matteo Ricci), offrono risposte diverse ai bisogni spirituali degli uomini di questo travagliato periodo storico.
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La filosofia prima della Lao-Tse – che la tradizione vuole contemporaneo di Confucio (VI-V sec. a.C.) – propose un’etica centrata sull’autonomia dell’individuo e un’ideale di vita naturale, libera e gioiosa. Lao-Tse indicava nella natura, chiamata anche il Grande-Tutto, l’esempio a cui l’uomo deve guardare se desidera essere felice. La natura infatti è caratterizzata dal non-agire e ciò le conferisce quiete, armonia, silenzio e serena indifferenza. Il principio cosmico che regola la vita dell’universo è il Tao, cioè la via, inteso anche come «modo di condursi, sistema» a cui l’uomo deve rifarsi per vivere felice. Il Tao è un principio che non si definisce, non si vede, non si ascolta, non si dice, in una parola è l’origine innominabile che genera il tutto e che conferisce alle cose individuali vigore, potenza, efficacia. Tutte le cose che esistono, esistono nel Tao e il Tao è presente in tutte le cose. Finché le cose si comportano naturalmente, tutto l’universo si trova in armonia e niente turba il suo equilibrio. Anche l’uomo, se desidera vivere bene, deve seguire il Tao, senza ostacolarlo, cioè non deve modificare l’armonia dell’universo. Lao-Tse non dice che l’uomo deve rimanere ozioso, senza fare nulla, ma non deve imporre i propri desideri al corso delle cose. Piuttosto, si deve porre in armonia con tutto l’universo e trasformare ogni sua azione in una manifestazione del Tao che fluisce attraverso di lui. Sul piano politico, Lao-Tse afferma che il governo deve agire in modo spontaneo e naturale, senza ricorrere a leggi troppo dure e alle guerre, perché il popolo se non è oppresso non è spinto a ribellarsi ed è portato naturalmente a vivere in pace e in armonia. Al contrario, a Confucio (551-479 a.C.), uomo di stato, maestro e moralista, la dipendenza di tutto dal Tao ispirò una religione senza Dio, senza vita ultraterrena, consistente in un modo di vivere, un’etica e un’antropologia della responsabilità dell’uomo nei confronti del bene comune, nella vita familiare, sociale e politica, entro i termini di una rigida gerarchia sociale che discende dal monarca investito dal Cielo, e in cui ciascuno è chiamato a riconoscere il proprio posto e ad identificarsi con esso, esercitando le virtù della pietà filiale, della sapienza, della sincerità, della lealtà, della giustizia e dell’altruismo, nel rispetto del punto di vista degli altri, cioè con benevolenza. A un geniale generale cinese, Sun Tzu, la dipendenza di tutto dal Tao suggerì, grosso modo nella stesso periodo, ma ancora più radicalmente, i termini dell’autonomia della sfera umana, a partire dalla strategia militare che diventa strategia di conduzione dell’esistenza intera, concepita un po’ come una guerra. Egli affidò le sue riflessioni all’opera L’arte della guerra,
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che, già molto amata da Napoleone Bonaparte (17691821), ha conosciuto un rinnovato successo in tempi recenti in Occidente, addirittura come manuale per dirigenti. Il grande stratega, dotato di potere e autorità, non vince le battaglie sul campo, ma prima e senza che siano combattute, perché conosce se stesso, il proprio avversario, la Via, le condizioni atmosferiche, il terreno, il comandante e la tattica. Lo stratega, inversamente, non si fa conoscere dal proprio avversario, cui si presenta «senza forma», cioè imprevedibile, flessibile e interiormente già morto, quindi inattaccabile.
Quasi nello stesso periodo in cui in Cina vissero Lao-Tse e Confucio, in India tra il VII e il VI secolo a.C. fu realizzata la composizione delle Upanishad, cioè interpretazioni autorevoli della sapienza atavica espressa negli antichissimi testi Veda (Visioni della verità, XI sec. a.C.), da accogliere «stando ai piedi del maestro», e si svolse la predicazione di Gotama Siddharta (560-483 a.C.), o Buddha, dopo l’illuminazione che questi ricevette presso un fico sacro, cioè un improvviso accesso alla verità universale. Dopo l’illuminazione, Gotama cominciò a percorrere le rive del Gange predicando e insegnando, come monaco, e attirando a sé molti discepoli. L’insegnamento del Buddha si può riassumere nella dottrina delle «quattro nobili verità»: tutto è dolore; il dolore ha una causa; il dolore ha una fine, cioè il Nirvana; esiste un cammino che conduce al Nirvana. Le quattro verità sul destino dell’uomo si stagliano sullo sfondo di una concezione cosmica in cui il principio universale, Brahma, è un’assoluta forza creatrice inaccessibile, ignota, avvolta nell’ombra, da cui tutto procede e a cui tutto ritorna, compresa l’anima umana che ne è una scintilla, una goccia. Ciascun essere vivente è soggetto a un ciclo infinito di reincarnazioni: ogni uomo è stato e sarà altri uomini, animali, demoni e in ciascuna delle vite successive sconterà la colpa delle azioni commesse nella vita precedente. Tutto è dolore: la prima delle quattro verità nasce da una meditazione sulla vita dell’uomo che è accompagnata dal dolore in ogni sua fase, il nascere e il morire, la malattia e la vecchiaia, l’essere legati a cose non preziose, di cui non si ha bisogno, e separati invece da quelle di cui abbiamo bisogno. Ma il dolore ha soprattutto una causa: nasce dal desiderio insaziabile, alimentato dalle passioni e dalle sensazioni. Spinto dal desiderio l’uomo crede che il proprio Io, la propria indiviUpanishad e Buddha in India
a filosofia dualità, sia qualcosa di reale e di consistente, mentre si consegna alla via dell’illusione che caratterizza l’esistenza ordinaria della maggior parte delle persone, tormentate da passioni e da desideri insaziabili. Il sapiente invece riconosce il Sé come parte della totalità, rinuncia all’identità illusoria dell’Io e riconosce se stesso in ogni cosa, liberandosi, anche aiutato dalle pratiche dell’ascesi e della meditazione, dal desiderio di vivere. Così può iniziare il cammino verso il Nirvana, cioè verso la serenità interiore che coincide con l’annullamento dell’Io. Per giungere al Nirvana, però, bisogna percorrere il cosiddetto «ottuplice sentiero», praticare cioè la retta comprensione (della dottrina); il retto pensare (e decidere); il retto parlare; il retto agire e il retto sostentarsi che a sua volta comprende altri cinque comandamenti: non mentire, non rubare, non commettere adulterio, non uccidere alcun essere vivente, non fare uso di bevande inebrianti. Per i monaci questi comandamenti si traducono nei voti corrispondenti di sincerità, povertà, castità, non violenza, astinenza da bevande fermentate. Al pieno del desiderio, in tal modo, il saggio contrappone il vuoto della rinuncia e dell’esclusione dal mondo, una condizione né di morte né di vita, una straordinaria sospensione, in cui il vento cessa di soffiare, perché la fiamma si è finalmente spenta: il Nirvana.
Etica e religione in Persia e Palestina
Forse nello stesso periodo o forse prima e anche molto prima (X-VII secolo a.C.), in Persia, Zarathustra, un profeta illuminato dalla verità, componeva e raccoglieva testi sacri nell’Avesta, e intraprendeva una radicale riforma religiosa, oscillante, nei suoi sviluppi, tra monoteismo, dualismo e politeismo, affidando la sorte degli uomini a due principi contrapposti Ormuzd, il bene, e Ariman, il male, in cosmico conflitto. Agli uomini si impone la scelta di lottare con il bene contro il male, con la luce contro le tenebre, nella consapevolezza che questa lotta è vinta da sempre dal bene, Ormuzd, nell’atto stesso di creare il mondo, cioè in una scelta comunque positiva e benevolente. Una religione della libertà e della consapevolezza che non è tanto il frutto di una rivelazione, quanto di un’interrogazione su Dio da parte dell’uomo. È l’eta in cui, nella prossima Palestina sono attivi i profeti, come Isaia (740 a.C.). Il profeta è colui che parla per un altro, in questo caso il portavoce del Dio unico degli Ebrei, Jahvè, Signore di tutta la terra e di tutti gli uomini che la abitano, buono e soprattutto giusto, misericordioso. Il profetismo, almeno in Isaia, è ten-
denzialmente universalistico: Jahvè sbaraglia le altre divinità, punisce gli empi e premia tutti i suoi fedeli, se essi testimoniano la propria fede con la pietà, la giustizia e il bene. Il profetismo dà voce all’esigenza di un culto religioso meno formale e non più basato sull’osservanza puramente esteriore delle prescrizioni, in favore di una religiosità che dà il primato alla coscienza dell’uomo ed è attenta alla dimensione sociale.
La filosofia nasce grande L’origine del pensiero filosofico
Il quadro culturale dell’antica civiltà greca di cui si sono accennati alcuni aspetti è altamente complesso e in molti passaggi incerto, per difetto di documentazione. In esso interagiscono tradizioni, esperienze, personalità, sensibilità, epoche, culture, intenzioni diverse, distribuite in un arco di tempo molto lungo, ma che l’incompletezza dell’informazione tende inevitabilmente ad appiattire. Se ne sapessimo di più e se avessimo trattato altri aspetti, come la tragedia o l’educazione, il quadro risulterebbe ancora più complesso. In questo mondo di miti, dei, re, eroi, poeti, sapienti, oracoli, enigmi, labirinti, maghi e misteri, la filosofia trovò di fatto la sua strada, percorsa da figure che non sapevano di essere filosofi. «La filosofia nasce grande» è un’affermazione lasciata in eredità alla nostra riflessione da quello che alcuni considerano il maggiore filosofo del secolo scorso, il tedesco Martin Heidegger (1889-1976). Al di là delle intenzioni di Heidegger, essa può servire a farsi un’idea appropriata circa la nascita della filosofia in quel mondo e da quel mondo così complesso. Infatti conserva il meglio di due interpretazioni tradizionali di quella nascita: il miracolo greco e la transizione dal mythos al lógos.
La discontinuità: il miracolo greco
Quella del miracolo è una prospettiva drastica, centrata sulla discontinuità, secondo cui la filosofia sarebbe una manifestazione assolutamente nuova della ragione, finalmente affrancata da altre forme di pensiero, magari affascinanti, ma più infantili e inadeguate. C’è qualcosa di seducente in questa impostazione, perché è difficile non rimanere colpiti dalla novità, dalla grandezza speculativa e dall’audacia delle nuove pro-
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spettive filosofiche: non più dei, ma nozioni impersonali, potenze. E soprattutto, nel giro di pochissimo tempo a partire dai presocratici, una rivoluzione marcata, con autori come Platone e Aristotele, con le cui ragioni è possibile molto spesso confrontarsi anche oggi come fossero nostri contemporanei. Si tratta, però, di un’interpretazione molto condizionata dal pregiudizio del primato della cultura occidentale come civiltà dell’unica ragione possibile e, dentro questa, del pensiero europeo, che nella civiltà greca trovò le proprie origini.
La continuità: dal mýthos al lógos
La prospettiva della transizione dal mýthos al lógos sostiene invece che l’avvento della ragione non fu brusco, ma graduale, per cui si tratterebbe di intravedere nel passato i segnali, prima timidi e poi via via più consistenti, della ragione, che gradualmente si libera, tra incertezze ed esitazioni, del passato mitico e fantasioso, irrazionale o poco o diversamente razionale. Anche in questo schema c’è del vero, come dimostra, per esempio, il lascito delle teogonie tradizionali nelle prime cosmogonie. Anche questa lettura, però, ha dei limiti evidenti. Per esempio, i primi filosofi rischiano di assomigliare a bambini balbettanti che si danno spiegazioni elementari del mondo: per Talete principio delle cose è l’acqua, per Anassimene l’aria, perché aria e acqua sono in tutto ciò che vive. Vedremo, invece,
nel capitolo successivo, quanta ricchezza di pensiero in quelle gocce d’acqua e in quel soffio d’aria. Inoltre questa interpretazione si fonda su una concezione quasi necessaria dello sviluppo della cultura, la cui meta sarebbe l’avvento della ragione pura. La storia, compresa quella delle idee, è invece tutt’altro che lineare. Non solo, ma tutta la complessità del quadro che abbiamo cercato di tratteggiare non si lascia racchiudere nel solo concetto di mito, come punto di partenza del pensiero verso il lógos. Infine, anche ammesso che effettivamente tra VII e V secolo a.C. nelle aree di cultura greca sia avvenuta una contesa tra concezioni del mondo condizionate dalla sfera religiosa e mitica e concezioni più libere da quell’eredità, quel processo non riguarda specificamente la filosofia, ciò che essa è, ma investe l’intera cultura greca, la geografia, la medicina, la storiografia, la letteratura, la stessa religione, i modi di vita, l’organizzazione sociale e politica. Per di più, probabilmente investe, come abbiamo potuto intravedere, seppure per cenni, l’intera epoca assiale. L’idea che la filosofia nasca grande, come nel detto di Heidegger, ha il vantaggio di mantenere la giustificata impressione di potenza che le concezioni dei primi filosofi suscitano in chi le incontra e contemporaneamente di evitare l’equivoco che esse nascano dal nulla, in un deserto del pensiero, mentre esse si inseriscono in un complesso sistema di debiti e crediti nei confronti della cultura entro cui furono concepite e cui devono, almeno in parte, la loro indiscutibile, monumentale grandezza.
BIBLIOGRAFIA Opere da cui sono tratti i testi
Testi citati o consigliati
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