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Quale idea di cittadinanza, invece, caratterizza

diventare “cittadini”; anche se di fatto questa cittadinanza era limitata a chi possedeva la virtù rivoluzionaria e faceva quindi parte della nuova comunità politica. Perciò la famosa Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 ( { : ) si chiamò così: dell’«uomo» in generale e del «cittadino» in particolare; e quei «diritti» erano i diritti politici che scaturivano dalla nuova idea “orizzontale” di cittadinanza.

Contro questa visione nacquero i progetti della Rivoluzione americana (1776) e di quella francese (1789). Soprattutto la seconda volle creare una nuova identità collettiva, che unisse tutti gli individui in una comunità civile (e quindi in una cittadinanza) di tipo nuovo: per essere “cittadini” (i rivoluzionari francesi si chiamavano l’un l’altro “cittadino tal dei tali”, come noi oggi diciamo “signor tal dei tali”) bisognava aderire al nuovo ideale politico (all’epoca si chiamava “virtù”), sostenuto dai tre valori fondanti di libertà, ugua‑ glianza, fraternità. Dunque, la nuova cittadinanza scaturita, almeno inizialmente, dalla Rivoluzione francese non guardava più alle norme giuridiche (non era cioè una cittadinanza verticale), ma ai contenuti dell’essere cittadino: era una cit‑ tadinanza di tipo orizzontale, che legava ogni individuo l’uno all’altro e non più allo Stato, cioè al sovrano. Teoricamente tutti gli uomini potevano acquisire la “virtù” necessaria a

La cittadinanza per gli Stati-nazione

Dopo la Rivoluzione francese si affermarono in Europa, nel corso del secolo XIX, gli Stati liberali ( { Liberalismo , p. 30). Essi elaborarono un ideale in parte diverso: dalla comunità politica dei “cittadini” – in teoria, larga quanto il mondo – si passò all’idea di nazione ( { p. 8), ristretta a coloro che erano nati in uno stesso territorio e che condividevano una medesima identità etnica, linguistica, culturale e religiosa. La cittadinanza caratterizzava chi apparteneva (per nascita) alla comunità, ma non più alla comunità politica in generale, bensì alla comunità nazionale. Negli Stati liberali, il vero soggetto politico, cioè l’elemento più importante, era la nazione; chi ne faceva parte contava solo in virtù di tale appartenenza: dirsi cittadino italiano o francese o inglese, nella visione degli Stati liberali, significava solo far parte di quella particolare comunità nazionale. Gli Stati liberali, dunque, mantenevano una visione verticale della cittadinanza, in cui erano le leggi a dettare le condizioni per essere dentro quella comunità o fuori di essa. Spesso, però, anche coloro che erano dentro non lo erano pienamente: le leggi affermavano sì che tutti i cittadini erano uguali di fronte a esse, ma poi il suffragio ({ p. 15), cioè la possibilità di votare alle elezioni ({ p. 30), veniva concesso esclusivamente a una minoranza di individui. Solo questi erano considerati (per censo, istruzione ecc.) veri “cittadini”; gli altri erano cittadini di quella nazione soltanto in teoria, visto che

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