RECONEXIĂ“N PEDREGAL riassetto degli spazi pubblici e connettivi a partire dalle ecologie residuali
| Elisa Brunelli UniversitĂ degli studi di Ferrara | Sessione di laurea marzo 2016 | Dipartimento di Architettura | relatori Romeo Farinella | Elisa Spada
ReconexiĂłn Pedregal riassetto degli spazi pubblici e connettivi a partire dalle ecologie residuali.
Laureanda Elisa Brunelli Primo relatore Romeo Farinella Secondo relatore Elisa Spada Tesi di laurea A.A 2014-2015 UniversitĂ degli studi di Ferrara Laurea Magistrale in Architettura
15Abstract 17Introduzione
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MEGALOPOLI INFRASTRUTTURATA
UNA CITTA’ DI TEXTURE
22evoluzione delle infrastrutture
48rapida crescita, città
33Le ferite nella mobilità
destrutturata
36Muoversi in una megalopoli
51da centro a policentrismo
40Problematiche del
52le texture
trasporto su gomma: lentezza
82differenze spaziali come
spostamenti e inquinamento
confine
42Non è un paese per pedoni 43Proposte alternative: colectivo: camina, haz ciudad!
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IL CONFINE COME SEGREGAZIONE
CASO STUDIO: La lezione modernista della cu
86Differenziazione socio
102antecedenti:
spaziale
l’università nella città
89Segregazione
105il simbolo dell’istruzione,
91La cultura della difesa
nascita CU
94Conjuntos cerrados
106isole funzionali
97Alienazione dello spazio
differenziazioni di flusso
pubblico
109crescita anarchica e nascita delle barriere 112salvaguardia dell’habitat originale: la REPSA 113plan unesco 114barriere 118spazi pubblici
PEDREGAL
5
STRATEGIA
122storia di antropizzazione:
154Intenzioni amministrative:
6
136i residui non urbanizzati
verso uno sviluppo sostenibile:
137difficoltà di accesso:
166Rafforzamento del sistema
barriere
ecologico del Pedregal
140strade come cesura,
169Riconfigurazione del sistema
modelli di mobilità
di spazi pubblici
141texture e spazio pubblico:
171Promozione di un sistema di
linguaggi diversi
mobilità sostenibile
144tra spazi di prossimità e riserve 146un paesaggio di alta qualità 149i rischi
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PROGETTO
218Conclusioni
176nodo del sistema
220Bibliografia
177Spazi residuali come
227Allegati
occasione d’intervento 178Corridoio ecologico resistente 185Parco roccioso accessibile 186Mobilità tangenziale 188Flusso continuo 189Permeabilizzazione della cinta, porte e accessi 192Percorsi tematici 202Muro: da confine a bordo 206Leggibilità del paesaggio e riuso dell’aucalipto 208Dalla città al Pedregal 209Rapporto con le rocce: la lezione di Barragan
ab stra ct
Città del Messico, una delle maggiori conurbazioni del mondo, conosce una crescita esponenziale dopo la metà del secolo scorso passando da centro storico di dimensioni ridotte, con grandi spazi pedonali, a enorme megalopoli solcata da infrastrutture. La velocità della crescita urbana caratterizzata dalla costruzione informale, configura oggi la città come destrutturata a livello di tessuti, con una mancanza di disegno su grande scala e una forte carenza di spazi pubblici. Tra questi spicca la città universitaria, patrimonio dell’Unesco, grazie alle sue caratteristiche architettoniche e paesaggistiche di alta qualità. Questa diviene a metà del secolo scorso un catalizzatore urbano, direzionando l’espansione della città verso sud dove si trova il territorio del Pedregal, una distesa di lava vulcanica. Per due millenni il Pedregal era rimasto un paesaggio completamente non antropizzato e luogo di culto e ispirazione artistica grazie al paesaggio aspro e suggestivo. Oggi, dell’ecosistema che si espandeva per 90km2 rimangono solo dei frammenti: riserve ecologiche protette da alte mura, piccoli giardini e la rete di spartitraffico. La strategia propone di intervenire sugli spazi residuali, presenti in tutta l’area, trasformandoli in infrastrutture alternative verdi, parchi di prossimità e corridoi ecologici rispetto alle vocazioni di ciascuna area. Il nodo di passaggio tra la città strutturata e il Pedregal si colloca nel campus universitario posizionato a nord dell’area. I filamenti residuali qui divengono degli spazi su cui è possibile innestare un parco ecologico didattico che fornisca gli elementi per la lettura di tutto il sistema. La sensibilizzazione verso i temi ambientali e l’approccio alle ecologie diviene il metodo di salvaguardia dell’ambiente e del direzionamento verso uno sviluppo sostenibile a partire dai cittadini: “cuidalo, es tuyo”
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iN tro du zio ne
occasione di lavoro la tesi nasce dall’interesse maturato negli anni verso culture urbanistiche estranee a quelle europee, che riescono a dare un lettura urbanistica di livelli differenti. L’occasione di lavoro sfruttata è stata la proposizione di un workshop proposto dal Citer a Città del Messico. L’area metropolitana è stata ed è tuttora oggetto di numerosi studi urbanistici poiché condensa al suo interno una serie di problematiche che la rendono un laboratorio urbano estremamente interessante. Il workshop “la ciudad universitaria y sus relaciones urbana”, ha avuto come campo di lavoro il campus della Unam, sito Unesco di grande qualità urbana, che si pone come isola, nucleo definito e ben strutturato, rispetto alla città che lo circonda. Durante questo periodo sono state strutturate ipotesi progettuali volte alla risoluzione degli spazi di transizione tra la città universitaria e il suo intorno con particolare attenzione verso la dimensione socioculturale e verso il sistema della mobilità. Le lezioni tenute dai professori della Unam, cosi come la collaborazione con gli studenti messicani, che vivono il campus tutti i giorni con occhi da architetto, sono stati fondamentali per approcciarsi ad una realtà così diversa da quella europea e con dimensioni mai approcciate nel corso di questi cinque anni di studio. All’approccio sul campo, si è affiancato un lavoro di studio e analisi con la volontà e la necessità di andare ad inquadrare le problematiche riscontrate a livello metropolitano.
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prime impressioni Città del Messico è contraddittoria. Passeggiando si incontrano strade che pullulano di gente, che i mercati sono talmente fitti che non si riesce a camminare. E alla fine si staglia alto il muro di una gate community avvolto dal filo spintato Vi sono punti in cui i giardini sono così grandi che l’orizzonte vi si perde, in cui si deve circumnavigare una collina per arrivare dall’altra parte, e altri in cui, anche continuando a camminare, ancora e ancora, ci sono solo piccole case, tutte attaccate, senza spazio di respiro; non si vede un filo d’erba. Le strade che nel centro sono luogo di incontro e di collegamento, diventano limiti invalicabili senza marciapiedi e senza semafori, dove i taxi si muovono a zig zag per raggiungere il più velocemente possibile la destinazione e fare un’altra corsa Uscendo dalla metropolitana a volte non sembra di essere neppure nella stessa città da cui si era partiti. Tutto è diverso, i colori, le dimensioni degli edifici, delle strade e anche la gente. Le piazze sono affollate da manifestanti, giovani e vecchi, contadini e studenti, ma vi sono militari con i camion in ogni luogo affollato. Non si riesce a capire subito com’è strutturata la città, perchè di fatto è una metropoli destrutturata, contraddittoria e scissa, quasi una distopia dell’immaginario di vita urbana. Dall’altra città del Messico è accogliente, propositiva, un laboratorio di idee a cielo aperto, dove i cittadini si muovono in prima persona per migliorare la propria città. Il campus universitario è allo stesso tempo espressione delle problematiche e delle potenzialità esistenti nella metropolitana e un luogo completamente sconnesso da essa. Scesi dalla metro percorrendo una strada stretta con tante case piccole e tutte diverse, bisogna farsi strada con difficoltà tra bancarelle di ogni genere. Si costeggia un muro alto, con il filo spinato e i vetri sulla sommità fino a trovare finalmente un varco. Superate le sei corsie di macchine parcheggiate e che cercano di superarsi si è dentro. È un altro mondo.Non c’è rumore, non si sente l’odore dello smog, gli spazi verdi sono ampissimi e gli edifici armonici. E poi, quando volti lo sguardo, trovi la biblioteca, con il murales di Juan O’Gorman. Li, tra il moderno e l’azteco, si percepisce il ruolo dell’istruzione e l’importanza della conoscenza.
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Evoluzione delle infrastrutture
Tenochititlan: piazze e paesaggio Le origini di quella che oggi è la metropoli di Città del Messico vanno ricercate nella città scomparsa di Tenochititlan. Questa venne fondata dai Mexita nel 1325 su un’isola all’interno del lago di Texoco che faceva parte di un sistema di bacini molto estesi caratterizzanti la Valle del Messico. Una peculiarità delle popolazioni preispaniche era quella di mantenere un forte contatto con la natura anche a livello urbanistico, perciò possiamo dire che in questo periodo vi fu un grande rispetto per l’ecosistema che caratterizzava la valle. La progettazione urbanistica assunse un valore fondamentale per le popolazioni di origine azteca fin da secoli molto antichi; in particolare il rapporto con l’ambiente circostante e con l’astrologia faceva si che fossero gli spazi aperti ad assumere un ruolo di rilievo. La città quindi non era regolata da sistemi di assi o di vie ma piuttosto da una concatenazione di spazi che tramite l’utilizzo di dislivelli e gradonate assumevano diversi ruoli, divenendo più pubblici o privati rispetto alla permeabilità visiva che li caratterizza. È però necessario specificare che questi sistemi rappresentavano solamente la parte monumentale e religiosa della città mentre è più difficile stabilire i connotati dei luoghi residenziali poiché non ne abbiamo traccia. Nel 1338 venne colonizzata un’isola vicina a Tenochititlan, Tlatelolco, che divenne uno dei principali mercati dell’impero azteco. Durante il regno di Axayácatl nel XV secolo la città si sviluppò andando a
1325d.C.
1000a.C. 340d.C
colonizzare le cosiddette isole primitive e ad unirle tramite sistemi di chinapas, lottizzazioni di terra essicata galleggiante con un complesso sistema di chiuse che permetteva di regolare le piene e pertanto portava ad esercitare una specie di controllo su tutti gli insediamenti situati sulla riva del lago [ricostruzione dello storico Manuel Carrera Stampa] La Gran Tenochititlan, capitale del regno Azteco, non è da immaginare come un insediamento isolato poichÊ era connessa ad un sistema di nuclei urbani localizzati sulle coste lacustri. Il sistema infrastrutturale dei collegamenti era in buona parte artificiale; vennero infatti costruite tramite chinapas cinque infrastrutture per collegare l’isola alla terra ferma. Questo sistema di connessione era affiancato da canali per l’accesso delle canoe. 23
Griglia coloniale e conquista geomorfologica (calles: luogo di scambio) I conquistadores entrarono nella Valle del Messico nel 1519. Per due anni i capitalini di Tenochititlan opposero resistenza agli spagnoli per poi essere sconfitti il 13 agosto del 1521. Dell’antica città azteca poco si era conservato a causa delle continue sconfitte, così gli spagnoli, sotto volontà di Cortez che voleva stabilire in quel luogo la capitale del regno di Nueva Espana, andarono a ridisegnare in modo molto forte l’assetto urbanistico. Il tracciato strutturante la nuova città, ricalcato sulla capitale indigena, seguì lo schema iniziale di fondazione ma con strade che correvano da nord a sud e da est a ovest e che incrociandosi ad angolo retto formavano dei blocchi rettangolari prendenti il nome di barrios. Su questo tracciato alcune vie si snodavano senza seguire la rigorosità del cardo e del decumano, poiché corrispondevano a fiumi che in un secondo momento vennero coperti e pavimentati. Vi era una gran generosità di spazi pubblici con dimensioni e connotati differenti rispetto alla loro funzione; lo spazio aperto più grande era lo Zocalo, una piazza d’armi, dove furono situati i palazzi del potere (edificio di governo, chiesa, dogana, e cantieri navali) e numerose erano le piazze ecclesiastiche. Nel centro della città si svilupparono sontuose abitazioni per i nobili che seguivano la tradizione costruttiva spagnola, con palazzi disposti attorno a cortili e chiostri, abbelliti dall’artigianato mexita locale, in forte contrasto con le baracche indigene al limitare della città. Durante l’epoca coloniale la città si espanse e gli indios iniziarono a lavorare anche nel centro, per questo motivo la divisione in classi
tra centro e periferia divenne sempre meno marcata. I luoghi privilegiati di incontro tra ceti diversi diventarono le strade poiché luogo vivo e di commercio. Il centro della città era in continuo abbellimento sia per quanto riguarda la cura nelle facciate dei palazzi, che la pavimentazione delle strade e la riprogettazione di alcune piazze. Nella mappa di Uppsala del 1555 attribuita a Alonso de Santa Cruz, disegnata sicuramente con l’aiuto di un indios, si può osservare come durante il Reinato de la Nueva Espana vi fosse un rapporto completamente diverso con gli elementi naturali, vi fu la scomparsa della laguna a ponente già nei primi anni di conquista. Durante l’epoca coloniale, a causa della distruzione del sistema azteco di gestione delle acque e dell’ampliamento della città, vi furono sette grandi inondazioni e per questo si decise di prosciugare il sistema lacustre tramite un canale. 25
Porfiriato: ejes arboleados della belle epoque Nel XIX secolo si costituì un movimento indipendentista di rivoluzione popolare, che dopo svariati scontri portò, nel 1821, alla proclamazione dell’Impero Messicano con capitale Città del Messico. Nel 1824 il congresso decise di creare il Distretto Federale, che comprendeva la capitale, come entità distinta dagli altri stati e che avrebbe rappresentato la sede dei poteri federali. Questo secolo fu caratterizzato da un periodo di disordini interni, due invasioni straniere (francese e nordamericana) e una guerra civile che si concluse con il trionfo dei liberali e il governo di Juarez. Degli interventi effettuati dal presidente Juarez è importante ricordare la confisca dei beni del clero, collocati tanto nel centro città quanto in periferia. Con la loro vendita o demolizione si rese disponibile una gran quantità di suolo da urbanizzare dove furono aperte strade e create piazze. Molti terreni rimasero però alla mercé della speculazione permettendo la formazione di un mercato dei lotti e, su macroscala, di un’economia capitalista. Inoltre in questo periodo vi fu un primo impulso verso la creazione di una rete di trasporti: nella capitale si sviluppò come mezzo di trasporto quello dei tram, a vapore e benzina in periferia e a trazione animale nel centro storico rendendo più fluido il trasporto di merci e di persone. Dopo la morte di Juarez, Lerdo fu per un breve tempo presidente fino alla rivoluzione di Tuxtepec, guidata da Porifirio Diaz, che si concluse con l’ascesa di quest’ultimo al comando del governo. Il porfiriato, che vide Diaz al potere per 35 anni, fu un periodo fortemente legato alla corrente positivista. Città del Messico divenne
simbolo di un paese in corsa verso la modernità. L’urbanistica divenne strumento dimostrativo della modernizzazione della città come collegata all’industrializzazione avanzata e all’impulso culturale e scientifico possibile grazie continuità politica e alla crescita economica. Con l’industrializzazione iniziò l’emigrazione dalle aree rurali alla città che necessitava di mano d’opera e che prometteva una vita migliore, iniziando il processo che avrebbe reso Città del Messico una megalopoli. A cavallo tra il XIX e il XX secolo si verificò una forte crescita in ogni settore economico e sociale, non solo a Città del Messico ma in tutto il territorio nazionale. 27
Caratteri importanti assunsero le prime lottizzazioni, l’introduzione di servizi urbani come elettricità e acqua potabile, la creazione di scuole e ospedali, le opere di drenaggio profondo, la pavimentazione stradale e l’espansione della ferrovia. In particolare, una volta consolidato il potere, Diaz spinse molto sulle connessioni ferroviarie sopratutto la linea che collegava Città del Messico a Veracruz, principale porto dello stato. A fine secolo i tram della capitale furono convertiti da mezzi a vapore o alimentati a benzina a mezzi di trasporto elettrici. Nella nuova immagine prodotta dall’architettura industriale si evidenziò un approccio formalista e estetico con l’influenza della progettazione straniera. L’attenzione alla progettazione urbana produsse spazi di grande qualità come parchi da passeggio, viali alberati e piazze che continuarono ad essere gli elementi urbani portanti delle principali città del paese con un gusto allineato a quello della belle epoque. Durante l’epoca del porfiriato la città raddoppiò in numero di abitanti espandendosi a stella seguendo direzioni parallele alle strade dei tram, del treno e delle vie di comunicazione con le città vicine. A nord si insediarono le fabbriche e le industrie, con i quartieri popolari non del tutto disegnati e urbanizzati, con scarsi servizi, bassa qualità di vita e alta densità di popolazione, dove vivevano i manovali e gli operai. A ovest si svilupparono i quartieri destinati alle classi medie e alte che poco a poco abbandonavano le vecchie case del centro storico, che conservava ancora la vocazione di cuore politico, culturale e commerciale.
Indipendenza: infrastrutture pubbliche Agli inizi del ‘900 la rivoluzione messicana pose fine al porfiriato; durante questo periodo di guerra la capitale fu dominata da vari movimenti politici quali, in sequenza, maderistas, zapatistas, villistas e carrancistas. Questi ultimi andarono a costituire il PRI, Partido Revolucionario Institucional, che rimarrà al governo fino al 2000. Se la decade successiva alla rivoluzione è segnata da un arresto nello sviluppo e nella crescita urbana e dalla povertà, durante il secondo terzo del secolo il partito al potere si fece promotore della costruzione di molte opere pubbliche per adempiere al suo compito sociale e a scopo propagandistico. Vennero costruite scuole pubbliche, tra cui la città universitaria, ospedali, opere viarie e infrastrutture. In questo periodo di ottimismo e crescita economica le industrie erano state lasciate in mano ai privati che, in linea generale, non si occuparono di creare quartieri fabbrica per i propri operai. La domanda delle case operaie superava in gran numero l’offerta. Per questo motivo lo stato finanziò lo sviluppo di conjuntos habitacionales a alta densità e si fece responsabile di dotare delle principali reti di servizi i quartieri cresciuti informalmente. I grandi megaprogetti realizzati tra gli anni ‘40 e ‘60 volevano mostrare, tramite l’utilizzo di un linguaggio modernista, le capacità di un stato benefattore. Alla metà del secolo la città andava espandendosi esponenzialmente. Negli anni sessanta la metropoli contava all’incirca 5 milioni di abitanti che si basavano per gli spostamenti principalmente sul trasporto pubblico che però disponeva solo 7200 unità. Così nel
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225 KM METRO 203 KM TRAM
4.2 MILIONI DI PASSEGGERI
1967, per rispondere ai bisogni della popolazione, venne costruita la prima linea della metropolitana a spese statali. Nel decennio successivo vennero inaugurate altre quattro linee, seguendo il piano di espansione della metro, per arrivare oggi alla presenza di 12 linee. Al sistema di metro va ad agganciarsi quello del tren ligero, presente ancora oggi, e che rappresenta il rimanente dell’antico sistema dei tram.
Importazione del modello di fluidità razionalista I manifesti di le Corbousier arrivarono in molti paesi del Sud America come prototipo di modernismo. Una delle ideologie più radicate fu quella dell’automobile come rappresentativa del culto della velocità che si concretizzò a Città del Messico con la stesura del piano “Arterias Urbanas”. L’anello “Periferico” e il sistema di assi rettilinei ad alta velocità segnarono profondamente il tessuto storico della città. Queste infrastrutture divennero i simboli forti della modernità e della bellezza meccanica simbolo del Messico avanzato. Durante gli anni sessanta vi fu un forte trasferimento dal centro alla periferia dei ceti medio alti per avvicinarsi ai luoghi di lavoro e per avere un contatto maggiore con la natura andando a creare un’edilizia conforme a quella della città giardino. Questo modello, di stampo modernista, si basava a livello infrastrutturale sulla divisione dei flussi e, all’interno di esse, già era implicito l’utilizzo dell’automobile privata come mezzo di spostamento privilegiato da un nucleo ad un altro. La cultura della velocità unita ad un basso costo della benzina, soprattutto relativo al decennio del ‘70, portò ad un aumento del parco veicolare privato, anche se solo nei ceti più abbienti. Per quanto riguarda invece le popolazioni di ceti più bassi, residenti sopratutto all’interno dei grandi complessi popolari statali e dei barrios informali, diveniva sempre più difficile muoversi soprattutto a causa delle forti carenze e dei costi relativamente elevati delle infrastrutture pubbliche costituite prevalentemente da tram elettrici. Per questo motivo venne rimodernizzato il parco veicolare pubblico
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che, unito al sistema della metro, si dotò di autobus su gomma. A partire dagli anni ‘70, quindi, a causa di una forte crescita demografica e del traffico veicolare si rese necessario riorganizzare i tracciati urbani. Nel piano “Arteria urbanas” si propose di trasformare alcune calles della città in ejes viales a scorrimento più rapido. Vennero in primo luogo eliminate le linee dei tram, poiché ingombranti e sostituibili dal sistema degli autobus; in seguito si rispose alla necessità di allargare le strade tramite espropriazione dei terreni e demolizione degli immobili. Gli ejes viales, posti a maglia reticolare non omogenea, a senso unico o doppio, divennero la nuova possibilità di movimento all’interno della città, forniti anche di mezzi pubblici su gomma quali i trolebus, che godevano di una corsia preferenziale. Tuttora la maggior parte di queste vie si fermano all’interno del circuito interior, mentre le più importanti arrivano a superare anche l’anello periferico. Quest’ultimo era stato creato da un lato per fornire
una mobilità più agevole dalla periferia e dall’altra per cercare di definire i limiti della maglia urbana. La costruzione dell’anello periferico non fermò la crescita della città dando invece luogo ad un cambiamento nell’espansione di questa; se infatti prima della creazione di questa infrastruttura la megalopoli si espandeva a stella tenendo come direttrici le principali vie di collegamento, in seguito andò espandendosi in senso radiale attorno alla circonvallazione e andando quindi a definire una seconda periferia.
Le ferite della mobilità Ci troviamo di fronte ad un’infrastrutturazione molto forte che è andata a cambiare completamente il volto della città. Ad oggi Città del Messico è solcata da 420 km di ejes viales, 320 km di arterias principales (tra le quali ad esempio Avenida Insurgentes che corre da nord a sud), 172 km di autostrade urbane; questi 913 km rappresentano unicamente la viabilità principale. La problematica che questo sistema di mobilità porta con se è quella di aver trasformato paradossalmente delle vie di comunicazione in forti sbarramenti che vanno a scindere le diverse parti della città. Questo fa si che i quartieri, racchiusi tra vie ad alto scorrimento non possano comunicare con i barrios circostanti, andando molto spesso a creare nel migliore dei casi solo delle barriere fisiche quando queste non si trasformano in veri e propri confini ghettizzanti. Possiamo prendere ad esempio la realizzazione dell’anillo periferico. Questo, creato al limitare di una periferia che era abitata da ceti medio-alti e che si basava sulla configurazione
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della città giardino, si pose come barriera alle future espansioni. L’anillo periferico non assolse alla funzione di chiusura che gli era stata assegnata poiché, durante il periodo del milagro messicano, caratterizzato da un forte boom economico e demografico, la città si ampliò ulteriormente. Si venne a creare quindi una seconda periferia, che si espandeva in modo radiale attorno all’anello e che andava inglobando i pueblos della Valle del Messico. Le costruzioni che si trovano in questa seconda espansione periferica sono di tipo autocostruito ed informale, abitati principalmente da un ceto molto basso. Possiamo quindi evidenziare come l’infrastruttura rigida, sia un elemento forte delle ghettizzazioni e, anzi, che renda quasi impossibile il loro disfacimento. Altro esempio importante è l’analisi della costruzione di ejes viales. Questi si vanno a costruire demolendo parti di tessuto cittadino e sopratutto andando a modificare integralmente quello che era il rapporto casa-via. Come evidenzia Peter Krieger nel saggio Megalopolis Mexico: perspectivas criticas “Le fotografie che preservano la memoria dell’inizio del Messico contemporaneo mostrano una mescolanza, creativa e ricca di vita tra pedoni e macchine durante gli anni venti e trenta.” che verrà completamente negata dagli ejes viales in quanto, sebbene questi presentino la possibilità di attraversamento, a differenza delle autostrade urbane, rimangono comunque pensati per una mobilità strettamente automobilistica con un senso di connessione longitudinale e sicuramente non trasversale. Come ultimo esempio, ma non meno importante, è da citare la problematica di connessione urbana dovuta alla creazione di complessi che hanno seguito le linee moderniste. Ci troviamo di fronte ad una separazione netta di flussi, quello pedonale e quello carrabile, che a livello progettuale nasce per garantire migliore fluidità e velocità ad entrambi. Di fatto questo sistema si può vedere come funzionante solo nel caso in cui questi complessi edificatori siano isole immerse nel nulla, poiché se trasportate all’interno di una maglia urbana è facile osservare come queste vadano a costituire delle isole a se stanti. Che, proprio in nome della fluidità carrabile che scorre tangenzialmente attorno ad esse, difficilmente si possono connettere le une alle altre tramite flussi pedonali o ciclabili.
PACHUCA
QUERETARO
TOLUCA
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CUERNAVACA
affluenza giornaliera cetram 25000-85000
2000-4000
5000-24000
90000-250000
500000-1000000
Muoversi nella megalopoli In una metropoli in continua crescita e di tale estensione la mobilità assume un ruolo fondamentale. I residenti nell’area della ZMVM (Zona Metropolitana della Valle del Messico) effettuano all’incirca 22 milioni di viaggi al giorno, di cui quasi un terzo tramite mezzi privati, due terzi tramite mezzi pubblici ed una piccola parte tramite uso misto delle due modalità. Per quanto riguarda i mezzi pubblici utilizzati il 64,5% avviene in colectivo; questa è una tipologia di piccolo autobus che compie percorsi prestabiliti ma non solo: una delle problematiche maggiori legate a questo mezzo di trasporto è che, oltre ad essere uno delle cause maggiori di inquinamento, compie fermate non autorizzate sul tragitto andando ad aumentare la congestione del traffico. Al secondo posto di utilizzo si colloca il taxi con il 16,4% facendo guadagnare a Città del Messico il primato per taxi procapite tra le metropoli del mondo. Al terzo posto la metro con solo l’8,2% nonostante sia la decima metopolitana al
6%
2%
43 %
30 %
5%
3%
11 % 67% trasporti pubblici
33% trasporti privati
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mondo per estensione con i sui 213 km e la settima per fruizione con circa 4 milioni e mezzo di viaggiatori giornalieri (world metro data bank). Gli autobus suburbani raccolgono il 7,3% delle fruizioni mentre gli autobus RTP si aggirano intorno al 2%. Gli altri mezzi utilizzati sono il trolebus (tram di dimensione simile a quella di un autobus), il metrobus (sistema di autobus veloci poiché scorrono in una corsia preferenziale con fermate predefinite, il cui utilizzo è in continuo aumento), e il tren ligero che si configura come un’estensione della metropolitana con una sola linea. In generale i trasporti pubblici hanno un costo abbastanza ridotto (10 pesos per la metro che rappresenta in proporzione uno dei più bassi a livello mondiale, 5 pesos per l’autobus) ma non sono sempre affidabili. Soprattutto i mezzi su gomma che non possiedono corsie preferenziali, a causa dei forti ingorghi di traffico, accusano forti ritardi. Per quanto riguarda i trasporti privati la gran maggioranza di questi avviene in automobile, il 92%, e la restante percentuale si suddivide tra motocicli e biciclette. L’aumento del parco veicolare ha subito negli ultimi decenni una forte impennata fino ad arrivare al tasso procapite di 0,65 nel distretto federale. Questo risulta molto elevato se confrontato con il tasso di veicoli procapite nazionale di 0,13 ma è di gran lunga inferiore paragonato a molti paesi europei. Trattandosi di una megalopoli, l’elevata densità di veicoli risulta particolarmente problematica sia per quanto riguarda l’aumento della possibilità di ingorghi nel traffico sia evidentemente per l’impatto sull’ambiente. Bisogna inoltre ricordare che ai quasi sei milioni di automobili (presenti solo nel distretto federale) si vanno a sommare tutti quei mezzi pubblici che circolano su gomma. L’83% dei viaggi giornalieri avviene tramite questa tipologia di mezzi. Se a questo dato andiamo ad aggiungere che le automobili trasportano di media 1,6 passeggeri e che i mezzi pubblici più comunemente usati, i colectivos, sono a bassa capienza, ci rendiamo conto di come questo vada ad influire negativamente sulla possibilità di muoversi nella città. I mezzi di trasporto ad alta capacità, che dovrebbero costituire la colonna portante del sistema di trasporto pubblico diventano invece accessori ai microbus, creando in questo modo una sovraofferta di servizi, da un lato, e di domanda, dall’altro. Un elemento che vale la pena citare come interessante, anche se di fatto fallimentare, è quello dei CETRAM. Questi sono centri intermodali studiati per effettuare cambiamenti di mezzo pubblico; ne esistono 46 nel distretto federale e servono per passare da autobus e microbus a metro e tren ligero. Uno dei motivi del fallimento è da ricercare nella loro capienza. Infatti questi, nacquero nel 1969 assieme alla rete della metropolitana e vennero incrementati negli anni successivi senza tener però conto
emissioni
70% 22% 8%
del continuo aumento di domanda ed utilizzo dei trasporti pubblici. Nelle ore con più afflusso diventano estremamente congestionati in modo tale da impedire un cambio di mezzo efficace. Inoltre spesso al loro esterno si vanno a creare dei luoghi di sosta non prevista e del commercio informale che influiscono, oltre che sullo scorrimento della viabilità, anche sull’accessibilità agli stessi. Un altro dei problemi fortemente legati all’infrastruttura pubblica, oltre alla sua disarticolazione, riguarda la percezione di pericolo dei passeggeri; secondo un’inchiesta realizzata da Dinamiael l’80% degli intervistati considera il trasporto pubblico insicuro. Alle inefficienze e alla continua espansione della città forse è da attribuire il numero di auto private che cresce in modo esponenziale. Si stima infatti che nel 2030 il parco veicolare privato, seguendo la curva odierna, arriverebbe a raddoppiare. È pertanto indispensabile proporre dei modelli di movimento alternativi.
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9.8%
1.2%
9.4%
9.7%
7.4%
0.2%
7.8%
28.2% 3.7%
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Rank
mln T
Rank
mln T
Cina USA India Russia Giappone
7711 5425 1602 1572 1098
Germania Canada UK Messico Italia
766 541 520 444 400
56 mln t
Problematiche del trasporto su gomma: lentezza spostamenti e inquinamento Secondo la ricerca IBM Commuter Pain Index che valuta con un punteggio da uno a cento il costo economico, emotivo e a livello di salute in una città, Città del Messico si colloca con il punteggio massimo, insieme a Beijing, nella classifica delle città invivibili per il traffico urbano. La forte crescita di veicoli su gomma ha avuto negli ultimi decenni un forte impatto sulle velocità di percorrenza che oggi si registra attorno ai 17 km/h per le auto private e i 15 km/h per i mezzi pubblici sull’85% della viabilità principale; secondo le statistiche Setravi (Encuesta Origen Destino 2011) dal 2007 al 2011 il tempo medio dei viaggi nella ZMVM è aumentato da 53 minuti a un’ora e venti e continua ad aumentare. Questo avviene a causa dei maggiori congestionamenti che portano con se, oltre alla diminuzione delle velocità, anche un aumento dei tempi di percorrenza e quindi dell’inquinamento. Secondo i dati della Banca mondiale (estudio de disminucion de carbono) il 79% della contaminazione da black carbon presente nella città deriva dai trasporti. Anche se rispetto agli anni passati l’inquinamento è diminuito molto anche grazie ai programmi governativi, questo rimane un problema ancora forte per Città del Messico anche a causa di fattori esterni. Uno degli elementi che portano la zona ad essere così inquinata è proprio la conformazione geografica. Città del Messico si colloca all’interno di un cratere di un vulcano estinto a circa 2240 metri dal livello del mare; il livello di ossigeno a quest’altitudine è minore e
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Índice Metropolitano de la Calidad del Aire
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LA CITTA PIÙ INQUINATA
HOY NO CIRCULA
Nel 1989 l’ONU descrive Città CITTAcome PIÙ INQUINATA del LA messico l’area metropolitana più inquinata del pianeta Nel 1989 l’ONU descrive Città
Si impedisce alle vetture private di circolareHOY in determinati giorni NO CIRCULA della settimana rispetta alla catalogazione emissioni ealle viene Si impedisce vetture private imposta la revisione del mezzo di circolare in determinati giorni ogni 6 mesi.
del messico come l’area metropolitana più inquinata del pianeta
della settimana rispetta alla catalogazione emissioni e viene imposta la revisione del mezzo ogni 6 mesi.
PICCA
PROAIRE
Utilizzo di carburanti di qualità più ecologica sia nei trasporti che nelle industrie con controlli PICCA in ambito industriale. Riforestazione delle zone non urbanizUtilizzo di carburanti di qualità zate
Chiusura delle fabbriche più inquinanti, sostituzione parco trasporti pubblici con mezzi più PROAIRE ecologici, introduzione dei Metrobus, programma Ecobici. Chiusura delle fabbriche Insegnamento ecologia.
più ecologica sia nei trasporti che nelle industrie con controlli in ambito industriale. Riforestazione delle zone non urbanizzate
più inquinanti, sostituzione parco trasporti pubblici con mezzi più ecologici, introduzione dei Metrobus, programma Ecobici. Insegnamento ecologia.
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questo determina una combustione incompleta del carburante ed emissioni più alte di monossido di carbonio e altri composti. Inoltre la città è circondata da massicci montuosi e l’aria inquinata non riesce a venir spazzata via dai venti. Questo fenomeno all’interno della conca si accentua ancor più a causa delle frequenti inversioni termiche che si verificano circa 250 giorni l’anno e che provocano un’immobilità delle masse d’aria nell’atmosfera. Negli anni ‘90 venne registrato che l’88% delle giornate in un anno erano da ritenersi, a norma di legge, sotto la soglia della salute. Vennero attuati quindi i programmi PIICA e PROAIRE, ai quali venne aggiunto successivamente “Hoy no Circula”, per migliorare la situazione. Questi includono la riduzione delle attività manifatturiere entro determinate soglie, il divieto dell’utilizzo dell’auto privata per un giorno a settimana e di guidare auto obsolete, l’obbligo di controllo annuale dei veicoli e ogni sei mesi dei mezzi pubblici su ruota, oltre alla sostituzione di buona parte di questi ultimi. Tali provvedimenti sono stati fondamentali per la riduzione entro termini accettabili di monossido di carbonio e di ozono mentre non sono stati in grado di fronteggiare il problema della materia particolata. Il PM 10 deriva dallo scarico dei mezzi di trasporto, degli incendi delle foreste e dall’incendio di rifiuti all’aria aperta; in particolare a Città del Messico le emissioni maggiori avvengono attraverso i camion. Questo materiale è particolarmente difficile da contrastare poiché, essendo idrofobico, rimane nell’aria anche dopo la pioggia. L’idrofobia del PM10 e la morfologia della conca che rende i composti volatili stagnanti rendono i livelli di questo inquinante superiori a quelli ammissibili, causando molti problemi di salute.
Non è un paese per pedoni L’inquinamento va ad incidere fortemente sulla poca fruizione pedonale e ciclabile della strada. Tra gli effetti principali vi sono l’aumento di frequenza delle malattie respiratorie croniche e acute, le morti premature dovute ad inquinamento atmosferico, la diminuzione delle capacità respiratorie, l’aumento degli attacchi d’asma e l’incremento di malattie di tipo cardiovascolare. Si stima che, secondo i dati dell’Instituto Mexicano de la competitividad (IMCO) del 2013, questo abbia portato in un solo anno nella ZMVM a 1723 morti che corrispondo al 34% dei decessi nazionali per inquinamento, a 4284 degenze ospedaliere e a 234.209 consultazioni mediche. La città si manifesta come luogo antagonista della mobilità pubblica.Uno degli elementi, già citati in precedenza, che crea una barriera alla percorrenza lenta è proprio la progettazione delle strade e del traffico veicolare. Le infrastrutture non nascono pensando anche ai pedoni e quindi
diventano un ostacolo nella promozione di una nuova mobilità più sostenibile. Spesso i marciapiedi hanno dimensioni ridotte, molte volte sono inesistenti o trascurati con buche e pavimentazioni distrutte e con ostacoli che rendono difficile la loro fruizione come lampioni o segnali stradali posizionali nel mezzo; inoltre una parte dei marciapiedi viene occupata dalle automobili come parcheggio abusivo, le piste ciclabili sono pressoché inesistenti, e continuano a venire eliminati molti spazi verdi, rendendo difficile la percorrenza in senso parallelo alla strada. L’Observatorio de Movilidad Urbana pone un accento sull’assenza, fino al 2009, di strade esclusive per pedoni. Un altro elemento che rende difficile la circolazione riguarda gli attraversamenti; questi infatti ovviamente non sono previsti sulle superstrade urbane, il che le trasforma in vere e proprie barriere, ma anche sulle strade a scorrimento veloce, come gli ejes viales. Sulle strade di viabilità secondaria spesso non sono previsti punti di attraversamento e quando questi esistono nella maggioranza dei casi non presentano semafori che regolino il flusso e l’accessibilità dei pedoni. Anche nell’ottica, non auspicabile, di non spingere sui sistemi di mobilità alternativa come quello ciclabile, la sicurezza dei pedoni andrebbe comunque migliorata poiché questi esistono e rappresentano la parte di popolazione che o non si può permettere di viaggiare tramite altri mezzi, o ha vocazioni verso la sostenibilità, o compie parte dei suoi viaggi per arrivare ai mezzi pubblici in questo modo rischiando di fatto la vita ogni giorno. I programmi del governo, anche con l’introduzione di ecobici e hoy no circula, non stanno portando a delle vere alternative rispetto all’uso dell’automobile nè stanno dando ai pochi, ma in crescita, ciclisti e pedoni, la possibilità di muoversi in modo sicuro e fluido all’interno della città.
Proposte alternative: colectivo: camina, haz ciudad! Per sopperire alle mancanze legislative si sono formate varie iniziative popolari tra cui una molto interessante del colectivo: camina, haz ciudad! Nel loro manifesto si schierano contro le politiche statali che a livello urbanistico nella realtà continuano a portare avanti un modello di spostamenti che verte principalmente sull’automobile senza che questo sia in alcun modo reso sostenibile ed evidenziano come “ il modello autocentrico attenti alla costruzione di spazi pubblici e alla fruizione della città da parte di tutti con conseguenze negative sulle relazioni sociali.” Si propongono, con gran sostegno popolare, di andare contro la logica della “strada come sentiero per il conducente e limite per il pedone traformandola in un luogo che leghi i diversi centri abitati anziché dividerli”. Tra gli interventi più interessanti è da evidenziare la pittura abusiva del manto stradale.
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9298
km viabilità principale
130 km piste ciclabili 300 km piste ciclabili informali
Da un lato questo è stato fatto per creare delle corsie, anche su alcune strade di viabilità primaria, con accesso preferenziale o unico per le biciclette tramite la segnaletica verticale e orizzontale: armati di vernice e rulli i cittadini sono riusciti a creare in un solo giorno più di 5 km di pista ciclabile, con le metodologie proprie della corrente Guerrilla Bike Lane, arrivando in alcuni casi al riconoscimento del lavoro da parte delle autorità. Altro intervento che riguarda la configurazione del manto stradale è stato creato per gli attraversamenti pedonali, creando o riconfigurando strisce pedonali esistenti con un linguaggio nuovo, colorato, tipico della street art, che sia più visibile da parte dei conducenti e appertanga di più agli stessi pedoni. A queste opere si vanno a sommare diverse iniziative di camminata nei barrios e nei quartieri. È evidente che, se da un lato le politiche per un nuovo sistema di mobilità siano carenti e poco convincenti, dall’altra vi sia una necessità molto sentita da parte della popolazione di riprendere in mano le strade come luoghi pubblici e di incontro.
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Rapida crescita, città destrutturata Oggi “dalla vista aerea, la città appare come un magma grigio che si espande fino ai propri confini topografici: le montagne”. Ci troviamo di fronte ad una megalopoli, la cui crescita rapida non è stata gestita da piani urbanistici, andando a creare un meccanismo non sostenibile e privo di continuità infrastrutturale. Interessante è la definizione di Felipe Leal di megalopoli. Essa diviene la spiegazione generica di alcuni dei fenomeni che stanno alla base della crescita della città e che ne caratterizzano l’odierna configurazione. “Le megalopoli non si pianificarono né si concepirono come tali, una complessità di fattori e situazioni di indole diversa propiziò la loro apparizione e il loro sviluppo nella seconda metà del XX secolo. Influirono principalmente l’alta concentrazione di attività economiche di carattere industriale, amministrativo e commerciale. […] È necessario menzionare che nella popolazione sorse il desiderio di vivere nelle città, per la diversità di opzioni che offrivano, rinforzanti dalle idee della modernità. Essere moderno era vivere nella città, la visione del futuro si radicava li. […] La città portava lavoro, servizi, intrattenimento, diversità e futuro. Queste furono le premesse base che contribuirono alla sua crescita.” La megalopoli di Ciudad de Mexico, che oggi ospita 22 milioni di abitanti ed è la quarta città al mondo per estensione e la settima per numero di abitanti, cento anni fa non contava più di 750 mila abitanti. A partire dagli anni 30 lo sviluppo economico del Messico si
popolazione
22mln
moderatamente poveri molto poveri
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colonia popular
“Incidencia e intensidad de la pobreza en Mexico” national survey of househol Income and expenditure
basò sull’espansione del mercato interno tramite un processo di sostituzione delle importazioni. L’inversione verso una privatizzazione nazionale, con la regolazione e il guadagno di un forte consenso da parte dello stato capeggiato dal partito del PRI, portò una grande crescita economica e una diminuzione sensibile della povertà. La forte metropolizzazione iniziò però negli anni 40 del secolo scorso. Il boom industriale vide Città del Messico come centro trainante del paese. La megalopoli in formazione rappresentava la maggiore forza del paese; il PIL misurato nel 1975 rappresentava il 45% di quello nazionale. Questo fu uno dei motivi che portarono al continuo investimento da parte dei promotori industriali nella città: essa infatti era un mercato sicuro e la continua crescita della popolazione rappresentava un aumento dei potenziali consumatori. La città si configurò come polo industriale con forti conseguenze negative dal punto di vista ambientale. Iniziò un fenomeno molto forte di migrazione dalle campagne alle città che continua tutt’oggi. Nel 1900 solo il 28% della popolazione viveva in conglomerati urbani, negli anni sessanta, invece, le città ospitavano la metà della popolazione; oggi solo il 25% dei cittadini messicani vive in territorio rurale. Il ruolo di Città del Messico fu primario durante il secolo scorso, quando, negli anni ‘60, un terzo della popolazione urbana viveva proprio nella capitale. L’urbanizzazione fu fondamentale nel miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti e portò con se un un forte aumento della natalità. Queste condizioni fecero si che la popolazione della città passasse da meno di tre milioni di abitanti nel 1950 a quasi 9 milioni nel 1970.
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Nei primi anni di crescita il governò provò a rispondere alla domanda di abitazione ma ben presto l’azione si dimostrò inefficiente, con il risultato di una forte tendenza all’autocostruzione che si manifestò come un diritto a poter accedere ad uno stile di vita che avrebbe permesso un futuro migliore. L’esplosione demografica quindi non permise allo stato di pianificare la crescita della città né regolamentando il permesso a costruire né per quanto riguarda la localizzazione delle industrie. La città si espanse andando a creare un tessuto non coeso, a causa della mancanza di una pianificazione d’insieme e di una veduta lungimirante. Se da un lato le amministrazioni non sono stigmatizzabili per la grande crescita incontrollata, poiché non possedevano gli strumenti per indirizzarla, dall’altro è necessario ammettere che furono proprio le stesse amministrazioni a non voler combattere il fenomeno della costruzione informale, in quanto estremamente radicato nella cultura. La crescita demografica nella città portava infatti ad un aumento della mano d’opera, e quindi all’aumento dell’offerta della forza lavoro e del PIL, senza richiedere alcuna spesa da parte dello stato. Se questa crescita portò ad una forte ricchezza nel momento del boom economico, nel momento della crisi degli anni ‘90 fece emergere tutte le problematiche di una città che era cresciuta senza controllo. Il governo dovette, e tutt’ora deve, affrontare le problematiche di una città divenuta meno attrattiva rispetto al secolo scorso. Negli ultimi vent’anni si è assistito ad una forte diminuzione del tasso di natalità, che è ora è di 15 punti su mille abitanti diversamente dal secolo scorso in cui si aggirava di media sui 40 punti su mille,e ad una generale migrazione dalla megalopoli verso nuclei urbani di minori dimensioni. Ciò non è indice di un arresto nella crescita della popolazione della città, ma è un dato che permette di intravedere una futura stabilizzazione nel numero di cittadini, per arrivare forse un domani ad un stasi simile a quella delle antiche metropoli europee, come afferma Klaus Humpert nel saggio “La Gran epoca de la urbanizacion del mundo”. Il mercato edile comunque non ha subito un arresto poiché esistono fenomeni migratori all’interno della stessa città verso le periferie, e molte abitazioni non sono in grado di rispondere alle richieste avanzate dai nuovi abitanti. L’espansione della macchia urbana, per quanto continui inesorabile, non mantiene più i ritmi dei forti processi di urbanizzazione degli anni 70.
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DF ZMVM
Da centro a policentrismo “Le megalopoli si differenziano dal principio che definiva tradizionalmente le città come prodotto di una sola identità.” L’espansione della città porta con sè la perdita della definizione di un un’unica centralità. Il centro storico rimane ancora, nella mente degli abitanti, legato alla definizione di centro ma, come asserisce Felipe Leal, non perché questo venga vissuto come nucleo reale, piuttosto perché legato ad un immaginario. La città storica, infatti, è il luogo urbano della megalopoli che tende a rimanere più costante e uguale a se stesso e che, inoltre, si propone come rappresentazione identitaria specifica di una determinata città. Il nucleo storico è unico a livello formale e viene universalmente riconosciuto come tale. Nella vita dei cittadini, però, le centralità divengono altre. La megalopoli, basti pensare anche solo all’estensione territoriale, non viene vissuta nella propria totalità dagli abitanti ma diviene spesso un luogo di passaggio tra luoghi differenti. La costruzione settorializzata di quartieri con regole proprie, così come l’inglobamento di pueblos, va a definire dei sottogruppi di delegazioni o quartieri, rispetto al caso specifico, che si vanno a configurare come delle piccole città nella megalopoli nella misura in cui rappresentano un’identità specifica.
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Questi luoghi creano dei microcosmi che seguono delle regole specifiche a livello di distribuzione spaziale, così come a livello socio economico degli abitanti. Andando ad agire in progettualmente sull’urbanistica di Città del Messico non si può non tenere conto di questo policentrismo. Il policentrismo in questo caso è rappresentativo di realtà eterogenee che possono però essere meglio comprese tramite una classificazione che si basi sulle tipologie abitative e le implicazioni socio-economiche che ne derivano. Il tentativo seguente di lettura dei diversi tessuti urbani è necessario per avvicinarsi alla comprensione delle meccaniche che riguardano la megalopoli, la sua destrutturazione e i confini interni che si vanno a creare tra queste diverse “tipologie di città”.
Le texture Il tessuto urbano può essere suddiviso in un numero limitato di texture che, ripetendosi ed interfacciandosi con modalità differenti, vanno a definire il sistema complesso della Zona Metropolitana della Valle del Messico, ZMVM. Gli studi principali su cui si basa la seguente classificazione sono “Tipos de poblamiento en la Ciudad de México” del 2005 effettuato da OCIM-SIG e “Centro de La Vivienda y Estudios Urbanos” del 1998 del CENVI. Alla base di entrambi gli studi si pone la definizione di área geoestadística básica (AGEB). Queste aree possono essere in prima istanza suddivise tra rurali e metropolitane. Secondo la definizione INEGI, le AGEB urbane sono delle aree costituite da un insieme di isolati delimitate in modo specifico da strade o elementi facilmente identificabili il cui uso del suolo sia prevalentemente abitativo, industriale, commerciale, di servizio etc. L’introduzione del concetto di AGEB è fondamentale perché essa rappresenta un’area metropolitana molto più piccola rispetto agli studi precedenti e costituisce un punto di restituzione più preciso e reale. Anche se queste aree sono molto diverse tra loro a livello dimensionale e al loro interno è possibile che vi siano dei tessuti non perfettamente congruenti, deve essere possibile, per definizione dell’area, andare a definire una tipologia caratteristica propria di quella zona. L’identificazione delle texturizzazioni e l’evidenziazione delle caratteristiche specifiche di ciascuna diventa necessaria per comprendere le forme dello spazio pubblico, spesso carenti, e le ghettizzazioni, che interessano tutti i livelli della popolazione, che portano ad ulteriori destrutturazioni e ad una minor possibilità di crescita sostenibile per la città.
conjunto habitacional
colonia popular1
pueblo no conurbado
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ciudad colonial
ciudad central
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Ciudad Colonial Per definire gli AGEB della città coloniale ci si può basare sulle direttive dell’OCIM-SIG utilizzate nella redazione de “Los tipos de poblamiento”. Queste indicazioni risultano di particolare interesse perché vanno a definire il perimetro dell’area con un confronto tra la cartografia “Plan General de la Ciudad de Mexico” del 1793, elaborata dal tenente Coronel Don Diego García Conde, e quella attuale. La carta costituisce l’ultimo documento planimetrico redatto prima della Guerra di Indipendenza del Messico, del 1808, che porrà fine all’impero ispanico e, quindi, rappresenta la massima estensione della città coloniale. L’area così definita si estende per 9,7 km nel cuore della città ed i suoi limiti corrispondo anche al perimetro “A” del centro storico, in accordo con il decreto presidenziale “Declaratoria de Zona de Monumentos Históricos”, pubblicato nel 1980, che utilizza i medesimi criteri di definizione. Il territorio urbano racchiuso dal perimetro “A” viene dichiarato nel 1987 patrimonio dell’umanità da parte dell’Unesco, a cui vanno a sommarsi circa 1500 edifici tra chiese, musei, hotel, gallerie e teatri catalogati come monumenti storici o artistici. Il tessuto del centro storico si basa sul principio a griglia che va a definire i quartieri, barrios, e gli isolati. Su questo sistema rigido a cardo e decumano si vanno ad inserire le piazze, oggi luoghi pubblici che si distinguono per dimensioni e connotati spaziali. Queste caratteristiche vanno fatte risalire alla loro diversa storia di fondazione per cui ogni piazza veniva disegnata per rispondere a delle specifiche funzioni, non sempre di carattere totalmente pubblico. I parchi pubblici, ad esclusione di qualche piazza convertita ad area verde durante il periodo borbonico, sono pressoché assenti. Gli isolati più antichi del centro sono costituiti da palazzi di 5 o 6 piani che spesso si configurano seguendo il modello della casa a corte, in ricordo dell’architettura Spagnola di origine arabocattolica. Vengono importati quindi i modelli europei man mano che si sviluppano nuove correnti artistico architettoniche; è importante ricordare come lo stile barocco entri nell’architettura della colonia ibridandosi con il gusto mexita, più colorato e ricco di figure surreali. Ad oggi molti di questi palazzi sono stati suddivisi in appartamenti per più famiglie. Alcuni hanno subito un processo di saturazione degli spazi aperti a patio, oppure cambi di destinazione d’uso ad ufficio, a struttura ricettiva, oppure a negozio ma solo nel basamento. Il centro storico è ricco di vie commerciali ciascuna relativamente specializzata ed omogenea; ha una forte importanza anche il mercato informale ambulante che, soprattutto di giorno, contribuisce ad accrescere la grande vivacità delle strade. Il centro, in aggiunta al configurasi come punto centrale di commercio, si conferma come polo culturale, sociale e politico.
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ciudad colonial luoghi pubblici
polo culturale
mixite funzioni
spazio pubblico
Oltre ad ospitare le sedi dei vari organi statali, la presenza di musei, teatri, biblioteche e circoli culturali è molto elevata ed è possibile trovare pressoché qualsiasi tipo di servizio. Durante gli anni ‘70 vi fu, per le quattro delegazioni centrali, un forte decremento demografico poiché il lavoratori si spostarono verso la periferia. Un altro evento di migrazione dal centro fu causato dal terremoto del 1985 che creò gravi danni al patrimonio immobiliare. Negli ultimi decenni, anche grazie ad un piano di recupero del centro storico, è stata posta molta cura nella salvaguardia degli edifici e secondo le indagini di OCIM-SIG “Clasificación de las AGEBs por conglomerado de calidad habitacional Censal 2000” lo stato delle abitazioni è classificato come molto buono, per il 73% dei casi, e buono, nel 27%. Questo ha fatto sì che vi sia stata una gentrificazione della ciudad colonial, ora abitata da classi di popolazione con reddito medio-alto. Il centro, con edifici di elevata qualità architettonica e spazi pubblici, si configura come un luogo storicizzato, eterogeneo ma coeso con una molteplicità di funzioni e occasioni.
Ciudad central Nella definizione di ciudad central vi sono delle prese di posizione diverse tra le ricerche del CENVI e quelle dell’OCIM-SIG. Nella catalogazione del CENVI, nel documento “Centro de La Vivienda y Estudios Urbanos”, si va ad includere quest’area tra le sottocategorie delle colonie popolari, che sono definite semplicemente come abitazioni del ceto popolare, senza specifiche riguardo alla natura formale o informale degli insediamenti, alle modalità costruttive e alla lottizzazione. Essendo questa definizione estremamente generica è più interessante seguire le linee degli studi OCIM-SIG. Viene qui definita “ciudad central” l’area urbanizzata che venne costruita nel periodo di indipendenza e lotte interne che va dal 1808, caduta dell’impero ispanico, al 1929, ascesa al potere del PRI, Partido Revolucionario Institucional. Per la ricostruzione dei limiti dell’area si opera un confronto tra il piano catastale del distretto federale del 1929 e la cartografia odierna. La ciudad central si sviluppa attorno alla ciudad colonial, si estende principalmente verso sud, fino ad includere delle porzioni di Coyoacán, Chimalistac e Miguel Ángel de Quevedo, ed ovest, i cui confini arrivano a Tacubaya, Mixcoac y la Villa de Azcapotzalco, e in modo minore verso nord con il limite massimo di La Villa de Guadalupe. Quest’area urbanizzata di forma continua si va a definire come porzione compresa tra il perimetro “A” e il perimetro “B” del decreto presidenziale “Declaratoria de Zona de Monumentos Históricos”. La città conobbe un iniziale periodo di espansione nella prima metà del XIX secolo con l’affermazione del modernismo e dell’industria. L’entrata in vigore di leggi che prevedevano l’espropriazione dei beni del clero e la soppressione delle proprietà comunali, portò all’immissione sul mercato edilizio di molti terreni prima considerati
verde pubblico
polo economico
svago
ciudad central
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senza valore di scambio. L’esplosione dell’offerta di terreni edificabili e la previsione della crescita della domanda abitativa diedero origine ad una forte speculazione edilizia da parte di alcuni agenti immobiliari incuranti dell’assenza delle infrastrutture necessarie. Oggigiorno possiamo osservare barrios con caratteristiche differenti, tanto nelle architetture quanto negli spazi pubblici, dovute alle vendite in blocco rivolte ad acquirenti appartenenti a fasce economiche omogenee. Le categorie appartenenti ai ceti più bassi, dopo la compravendita del terreno, attuavano dei processi di autocostruzione, prima a livello della singola proprietà, e poi, tramite l’istituzione di organizzazioni di vicinato, anche nei riguardi del sistema infrastrutturale. Nei casi di acquirenti benestanti spesso il processo di progettazione e costruzione del quartiere era gestito dal promotore immobiliare, ed andava ad includere, oltre alle abitazioni private, anche boulevard e parchi. In entrambi i casi la creazione di reti idriche e di drenaggio, così come la pavimentazione delle strade non fu il risultato di politiche urbanistiche ma degli stessi proprietari o dei promotori immobiliari. Gli interventi amministrativi si collocarono unicamente durante il periodo del porfiriato. e riguardarono principalmente la creazione di reti del gas e elettriche, e del trasporto pubblico Lo stile predominante della belle epoque è quello ecletticoromantico, importato dall’Europa. Sui viali alberati, come il Paseo de la Reforma, si vanno ad installare quartieri costituiti da villette che ricordano chalet francesi, bungalow inglesi o ville palladiane italiane. I terreni non edificati rimanenti dagli espropri ecclesiastici vengono trasformati in piazze e parchi. Un’altra tipologia che ritroviamo nella ciudad central è quella dell’architettura razionalista, anch’essa di matrice europea e incoraggiata durante il porfiriato come simbolo della modernità messicana. Si vanno a creare quindi anche edifici con uno sviluppo maggiore in altezza, immersi in aree verdi pedonali, con infrastrutture tangenziali. La zona è molto fornita di servizi pubblici fin dai tempi del porfiriato che là videro terreno per la creazione di scuole e di ospedali. Per quanto riguarda il commercio, invece, la tipologia caratteristica, al di là della continua espansione degli ipermercati e dei supermercati, è quella del mercato coperto. Sebbene il costruito residenziale sia di carattere eterogeneo, in particolare a causa dei differenti profili economici dei primi abitanti, la qualità delle abitazione risulta essere nel 91% dei casi molto alta e nella restante percentuale di livello buono, secondo la “Clasificación de las AGEBs por conglomerado de calidad habitacional Censal 2000” effettuata da OCIM-SIG. In conclusione possiamo dire che le differenze architettoniche,così come la presenza di piazze e parchi pubblici e paseos, diventano caratterizzanti la ciudad central; un territorio che, forte della sua eterogeneità, diviene uno dei luoghi più vivibili e attraenti della città.
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Colonia popular Nelle ricerche OCIM-SIG di definisce l’insediamento colonia popular seguendo i criteri di fondazione informale del quartiere, dalla mancanza dei titoli di proprietà alle realizzazioni non conformi ai piani, e miglioramento progressivo delle infrastrutture. Le colonie informali rappresentano all’incirca il 60% del patrimonio edificato di Città del Messico, e si costituiscono con modalità molto differenti. Ai fini dello studio, che non prevede la catalogazione in diversi tessuti solo rispetto alla loro fondazione ma anche e particolarmente alla situazione attuale riguardante, ad esempio, spazi aperti, qualità architettonica e infrastrutturale, è più interessante prendere in considerazione gli studi effettuati dal CENVI. Nel “Centro de La Vivienda y Estudios Urbanos” si vanno a dividere le colonie in tre sottocategorie, in origine quattro ma una rappresenta la ciudad central che è stata trattata separatamente. Queste sottofamiglie fanno proprio l’assunto che una colonia di densità minore è in formazione mentre una di densità maggiore è consolidata con tutte le osservazioni che ne concernono. Se da un lato questa teoria è vista come non infallibile, e quindi non utilizzata nelle ricerche di OCIM-SIG, dall’altro è molto interessante assumere lo sguardo del CENVI perché tenta di trattare la temporalità che va a definire in modo sostanziale gli insediamenti autocostruiti, certo, con qualche eccezione. Uno dei dati esplicativi riguarda la qualità edilizia degli insediamenti architettonici. È proprio l’ OCIM-SIG che nello studio “Calidad habitacional censal de AGEBs correspondientes a colonias populares por fecha de urbanización” dimostra come vi sia una forte correlazione tra l’età della colonia e la qualità delle abitazioni: nei quartieri costruiti nella prima metà del secolo scorso la catalogazione si suddivide tra molto buona e buona, mentre l’80% dei quartieri più recenti si trova in condizioni pessime. La descrizione dei differenti tipi di colonias è stata effettuata seguendo le tesi di Alex Walker in “The social context of built form: the case of informal housing and production in mexico city” ponendo però una semplificazione rispetto alla quantità di tipologie evolutive, e di Eckhart Ribbeck in “Densificacion y verticalidad en urbanizaciones espontaneas en la Ciudad de Mexico”.
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Colonia popular de densidad baja (en formacion) La pratica della costruzione informale è fortemente radicata in Messico. Essa si va ad affermare in particolare durante gli anni dell’industrializzazione quando ebbe luogo una forte migrazione dalle campagne verso le città. L’offerta di abitazioni popolari venne saturata velocemente e, poiché il mercato formale non riusciva a coprire la crescente domanda, le famiglie con minori introiti decisero di occupare illegalmente alcuni terreni nelle periferie della città. Uno dei motivi che portò alla grande proliferazione di questo modello risiede nel fatto che, seppur illegale, questa pratica era, ed è tutt’ora, appoggiata dallo stato. Per le istituzioni tale situazione, oggi come allora, è vantaggiosa in quanto questa modalità di costruzione risulta poco onerosa per le casse statali. A partire dagli anni ‘70 i programmi istituzionali appoggiarono addirittura la creazione di cooperative per la casa e l’autocostruzione. Anche oggi coloro che decidono di costruire la propria dimora seguendo il tipo di costruzione informale, pur appartenendo ad un background culturale e sociale eterogeneo, sono accomunati dallo stato economico che non permette loro di accedere al mercato edilizia formale. Un fattore interessante è come questi quartieri non nascano in modo disorganizzato ma seguano delle logiche ben definite. Viene tracciata innanzitutto una trama viaria ortogonale che permetta l’accesso efficace ai diversi isolati e quindi ai vari lotti, sia per la costruzione, sia in vista di una successiva infrastrutturazione. All’interno di questo reticolo ordinato, dove non sono previste abitazioni isolate, si può osservare un paradosso costruttivo tra l’ordine ed il caos: da un lato si crea un impianto urbanistico ferreo, mentre dall’altro le singole abitazioni crescono in modo autonomo e con forti diversità. Le capacità economiche di ciascun nucleo familiare incidono fortemente sullo sviluppo delle abitazioni e sulla loro conformazione. Nonostante le varie differenze è possibile andare a definire un modulo edificatorio. Queste costruzioni infatti sono costituite normalmente da una o più strutture di 4x4 m; sono posizionate all’interno di un lotto che viene in prima istanza murato lungo i suoi confini per definire sia la proprietà che le linee viarie. Il materiale costruttivo spesso non è durevole ed è costituito da legname da opera di piccole dimensioni, di prima e seconda mano, ed il tetto è realizzato in lamiera grecata o con fogli di plastica ondulata inclinati da un solo lato. Le abitazioni sono ad un solo piano e non vi sono finestre. Lo spazio interno è costituito da un unico ambiente multifunzionale senza distinzione tra zona giorno e zona notte. I servizi igienici, quando
colonia popular1 informalità
carenza acqua
spazio aperto
esistono, si trovano in una piccola struttura a sè stante, costruita come l’abitazione, posizionata in un angolo del lotto. L’abitazione principale può trovarsi o al centro del lotto o adiacente al perimetro, con un’ampia zona aperta, spesso abbellita da fiori e piante. Le colonie di formazione hanno come scopo unicamente quello di rispondere alle impellenti necessità abitative di un gruppo di persone; pertanto non sono presenti spazi commerciali o di lavoro. La qualità di queste strutture di carattere precario, è molto bassa; non sono presenti né acqua potabile né allacciamento alla rete elettrica. Le strade non sono pavimentate e vanno a segnare un netto distacco dalla città formale con cui la colonia confina, andando spesso a creare delle ghettizzazioni.
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Colonia popular de densidad media (en proceso de consolidacion) La teoria perseguita da CENVI evidenzia come nelle colonie popolari spesso si produca una curva ascendente di sviluppo, dovuta al miglioramento delle condizioni economiche. Questo porta al passaggio da domicili precari a edifici più consolidati. Sebbene questa non sia una regola scientifica è stato constatato empiricamente che, se le condizioni al contorno lo permettono, vi è la propensione verso un consolidamento delle singole case e dei sistemi strutturanti la colonia. In questa fase le dimensioni dell’abitazione crescono per rispondere alla domanda delle famiglie, le strutture leggere vengono sostituite da una struttura con travi e pilastri in cemento armato dove le fondazioni sono di carattere rudimentale. L’utilizzo del modulo 4x4m viene perpetuato poiché permette di mantenere al minimo le dimensioni degli elementi portanti. Lo sviluppo in pianta si espande e si vanno a creare degli ambienti specifici per ciascuna funzione che possono essere suddivisi da pareti in mattoni, non portanti, o da tendaggi. Il modello tipico delle abitazioni autocostruite può essere rappresentato dalla casa patio. Sebbene le viarie unità siano differenti tra loro presentano di norma un patio di grandi dimensioni che diventa la connessione tra i moduli di cui è costituita l’abitazione e il luogo di svariate attività come quelle manifatturiere. Poiché non vi è una caratterizzazione spaziale dei vari ambienti, che hanno tutti uguale forma e dimensione, gli spazi sono flessibili e possono cambiare funzione delle necessità familiari di un dato momento. Le uniche stanze caratterizzate, a causa dell’impiantistica, sono la cucina e il bagno, che in questa fase viene integrato nella struttura. Per quanto riguarda gli insediamenti più recenti, invece, non sempre vi è una così stretta relazione con il tipo casa patio; le case che non seguono questa tradizione spesso presentano giardini nella parte anteriore o posteriore del lotto con una pianta più moderna e compatta i cui ambienti sono maggiormente correlati con la funzione. Anche in questi casi però il tetto rimane in lamiere grecate, a volte collocate su di una struttura leggera in legno, come nelle colonie en formaciòn. Il pavimento può essere costituito da uno strato di cemento, posato sopra alla fondazione, o semplicemente da terra battuta. Le porte e finestre, spesso dotate di telaio, si affacciano sulla strada o sul cortile interno poiché il perimetro del lotto confina con spazi saturati da altre famiglie. Gli elementi decorativi si manifestano sia tramite piantumazione del patio che attraverso l’imbiancamento delle pareti. A differenza delle colonie appena fondate quelle in proceso de consolidacion hanno come scopo anche quello di garantire la base del sostentamento di una parte dei propri abitanti. Alcuni moduli dello spazio abitativo vengo quindi convertiti in luoghi lavorativi. Spesso
colonia popular 2 informalità
no luoghi pubblici
commercio
si possono incontrare piccoli negozi e botteghe di riparazione. Ci troviamo di fronte ad un quartiere che mira ad integrarsi nella città; proprio per questo motivo spesso vengono effettuate delle opere di carattere infrastrutturale da parte delle istituzioni o ad opera degli stessi abitanti. Ciò che va ad incidere maggiormente nella decisione di intervento delle istituzioni è la posizione delle colonie e l’impatto sui quartieri vicini. In questi casi accade anche che le abitazioni vengano riconosciute dalle amministrazioni ed inizi un processo di integrazione con la ciudad formal. Nonostante queste colonie abbiano delle condizioni abitative quasi accettabili per quanto riguarda le abitazioni, è da segnalare la totale mancanza di spazi pubblici. Questa è da imputare proprio alla lottizzazione rigida effettuata nella vendita dei terreni che, non lasciando nessuno spazio di respiro, e andrà a negare la possibilità di spazi pubblici anche durante le fasi di miglioramento del quartiere. Le strade divengono luogo di incontro e di commercio, configurandosi come dei luoghi in prevalenza pedonali, dove la viabilità carrabile ha un ruolo secondario.
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colonia popular de densidad alta (consolidadas) L’allargamento della famiglia porta spesso ad un miglioramento economico, generando un surplus che potrà essere investito nel miglioramento della casa. Questa fase va a segnare il netto passaggio da struttura precaria a durevole e consolidata. Il modello rimane quello della casa a patio anche se spesso questo assume dimensioni ridotte rispetto alle fasi precedenti. Lo spazio aperto centrale non si configura più come un luogo di attività ma piuttosto di transito. Il motivo principale del suo mantenimento è quello di dare luce alle stanze che vi si affacciano; a causa del muro che corre lungo il perimetro gli unici affacci possibili per l’abitazione sono quello sul fronte strada, di dimensioni ridotte, e verso l’interno del lotto stesso. Sebbene esistano delle casistiche di densificazione quasi totale al piano terreno con l’eliminazione di qualsiasi spazio aperto, nella maggior parte dei casi, quando si raggiunge la copertura dei due terzi del lotto, si inizia l’edificazione di nuovi appartamenti. Quest’ultima fase, infatti, è segnata dalla crescita in alzato. Il tetto viene sostituito da una soletta in cemento che diventerà il solaio tra il piano primo e il piano secondo. La struttura della pianta nei livelli superiori al piano terra, ricalca la struttura di base. Le divisioni interne sono erette in muratura leggera e spesso intonacate. I pavimenti sono costituiti da piastrelle, per lo più colorate, e le abitazioni vengono dipinte con colori sgargianti. Quando lo spazio aperto diminuisce a causa di una parziale edificazione del patio vengono creati dei terrazzamenti per compensarne la perdita. Questi, così come le le coperture, possono essere utilizzati per essiccare la frutta venduta poi nei piccoli esercizi commerciali del pianterreno oppure per asciugare vestiti di un servizio lavanderia. È infatti caratterizzante di questa tipologia di colonie l’esercizio commerciale e produttivo. A volte la pianta del piano terreno viene riconfigurata come bottega manifatturiera per divenire la modalità di sostentamento della famiglia. Queste abitazioni arrivano ad avere delle superfici abitabili che si aggirano sui 150 m2. Se le superfici eccedono rispetto alle necessità familiari si mettono in affitto delle stanze o degli interi piani. Secondo gli studi di Eckhart Ribbeck questa risulta la fonte di maggior guadagno delle colonie. A differenza delle precedenti, questa fase è caratterizzata da una stretta conformità con le normative; proprio per questo motivo le colonias consolidadas vengono classificate spesso nel patrimonio edilizio di buona qualità. La scelta delle decorazioni e dei dipinti sgargianti delle facciate è fortemente influenzata da una ricerca di status symbol della classe media.
colonia popular 3 riconoscimento
no luoghi pubblici
commercio
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Diventa difficile identificare questi quartieri come di nascita autocostruita e informale, soprattutto nei casi di dislocazioni favorevoli in cui si trovano vie commerciali, infrastrutture funzionanti e zone produttive. Le colonias consolidadas sono dei luoghi estremamente attivi e vivaci, forniti delle infrastrutture adeguate, che si possono catalogare come quartieri di classe media.
Conjunto habitacional Le aree dei conjuntos habitacionales vengono identificate e descritte secondo le stesse modalità nelle ricerche OCIMSIG e CENVI. Sono costituite da AGEB isolate con un indice di edificazione almeno del 50% residenziale e sono state identificate tramite delle analisi della traccia urbana e lo studio di documenti pubblici. Infatti la principale caratteristica di questi complessi abitativi risiede nella dipendenza dal finanziamento, totale o parziale, da parte dello stato. Nei primi anni del secolo scorso vi fu una forte proliferazione delle teorie moderniste ed in particolare lo stato assunse il principio fondamentale della frammentazione dei fenomeni complessi. Il risvolto di questo principio dal punto di vista urbanistico è quello di scomporre il sistema complesso “città” in sottosistemi che contengano, una sola per volta, le funzioni e le attività che caratterizzano la città. Questo, unito ad uno scopo propagandistico, diede il via alla costruzione di grandi complessi finanziati con fondi statali caratterizzati dalla monofunzionalità. Tra queste opere, che vanno dalla realizzazione della città universitaria a quella di parchi industriali, passando per complessi ospedalieri, si ritrovano anche i conjuntos habitacionales. Questi complessi vengono costruiti per rispondere alla domanda abitativa di una specifica fascia di popolazione, utilizzando di conseguenza unità abitative differenti. Si possono dividere le tipologie di conjuntos in tre macro categorie. Le prime sono quelle che si vanno a costruire negli anni ‘30 del secolo scorso per rispondere alla crescente domanda di lavoratori per l’industria, in arrivo dalle campagne. Viene utilizzata la tipologia di appartamento unifamiliare seguendo gli esempi europei di città fabbrica di livello medio alto sviluppati in Germania e in Olanda. La seconda tipologia è quella che viene perseguita negli anni ‘50 del secolo scorso, soprattutto grazie alla riproposizione delle teorie lecorbuseriane da parte di Mario Pani. Vengono edificati dei complessi che si sviluppano principalmente in verticale all’interno di isole verdi pedonali circumnavigate da strade ad alto scorrimento. Anche questi appartamenti vengono creati per rispondere alla domanda abitativa dei lavoratori ma fanno riferimento principalmente ai dipendenti di classe media. Negli anni successivi le opere diventano di minore estensione e meno frequenti. In quest’ottica va a collocarsi la terza tipologia di conjunto habitacional, che è costituita da abitazioni multifamiliari che si sviluppano in orizzontale e non più in verticale. Questa scelta è stata effettuata perché, andando a collocarsi nelle estreme periferie, risulta più conveniente un uso estensivo del terreno piuttosto che la progettazione di un edificio sviluppato in altezza. La tipologia abitativa trattata, ad oggi presenta una quantità consistente di problematiche. Prima fra tutte è quella che risiede
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conjunto habitacional luoghi pertineziali
monofunzionalità
aree pedonali
nella monofunzionalità che, soprattutto nei casi di dislocazione nelle estreme periferie, crea non pochi disagi ai propri abitanti che si devono spostare dal quartiere per l’espletamento di qualsiasi attività. Gli unici casi fortuiti a questo riguardo sono quelli di conjuntos che, grazie alla propria localizzazione, hanno ritrovato un plusvalore e possono esservi pressioni imprenditoriali per trasformare parte degli alloggi in uffici, con i conseguenti servizi. In generale, però, rimangono spazi rigidi che difficilmente possono riuscire a rispondere alle esigenze dei propri abitanti. La maggior parte dei complessi rientrano in un livello buono per la “Clasificación de las AGEBs por conglomerado de calidad habitacional Censal 2000” effettuata da OCIM-SIG principalmente perché non hanno carenze a livello infrastrutturale e di allacciamento alle forniture pubbliche, nascendo essi come architettura pubblica. Spesso, a causa della manutenzione negligente, questi spazi presentano un livello conservativo molto basso. Per questo motivo oggi sono dimora principalmente dei ceti meno abbienti e si vanno a definire come quartieri ghettizzati, privi di servizi, e lontani dal centro e dai luoghi di lavoro.
Residencial medio OCIM-SIG e CENVI sono congruenti nella definizione delle AGEB di livello medio ed alto, ad eccezione della definizione delle aree dei lotti. Le specifiche aggiunte dalle due ricerche per la differenziazione tra medio ed alto riguardano, nel caso dell’OCIMSIG, i salari percepiti dagli abitanti e, nel caso del CENVI, alcune specifiche riguardo all’evoluzione edificatoria. Queste due tesi non vanno necessariamente in contrasto l’una con l’altra ma possono essere viste come complementari. Le metodologie utilizzate per l’individuazione sono l’analisi cartografica, lo studio dei documenti di qualità dei tessuti residenziali e gli indicatori salariali dei censimenti. Le AGEB del residencial de nivel medio comprendono quei terreni che sono stati urbanizzati principalmente da promotori privati su terreni legalmente edificabili. Questi complessi, per essere definiti tali, devono essere congruenti con la normativa vigente al momento della costruzione e dotati di infrastrutture urbane complete. Secondo le fonti OCIM-SIG i guadagni percepiti dagli abitanti sono maggiori di 15 volte il salario medio mensile e i terreni sono di dimensioni comprese tra i 100 e i 500 m2 . L’ampio margine nella definizione dell’area del lotto è dovuto alle differenze riferibili all’epoca della realizzazione del quartiere, al costo della terra, e alla capacità economica specifica degli acquirenti. Nella maggior parte dei casi la tipologia abitativa è quella della casa unifamiliare, ma possono rientrare in questa categoria anche dei condomini a sviluppo verticale o orizzontale. Spesso questi quartieri sono localizzati nella prima periferia a causa della loro storia di fondazione. I quartieri di livello residenziale medio che ricalcano la tipologia della città giardino trovarono infatti ampia diffusione durante il periodo di spinta industriale. La condizione di vita all’interno della città erano in continuo deterioramento e, per questo motivo, i cittadini appartenenti alle classi più benestanti espressero la volontà di trasferirsi in periferia, in cerca di una vita a contatto con la natura, più sana e tranquilla. Il nuovo mercato divenne un’occasione economicamente favorevole per i promotori immobiliari che iniziarono a vendere. Nei quartieri giardino a base strettamente residenziale, l’utilizzo dell’automobile, più che dei mezzi di trasporto, divenne necessario. Il tracciato del quartiere partiva da un centro generatore a blocchi simmetrici; da un grande parco, si estendevano alcuni viali alberati, e una serie di strade perpendicolari identiche. Generalmente, questi modelli, ripetutamente copiati, avevano come destinatari le classi lavoratrici, e con variazioni minime imitavano le case della classe alta, con rifiniture simili, ma realizzate spesso con cattivo gusto. Questa tipologia urbana, monofunzionale e di bassa densità è una delle meno sostenibili. Certo, con il passare del tempo, se la localizzazione era favorevole, era molto comune il sorgere di
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residencial medio verde privato
luoghi semipubblici
monofunzionalità
piccole botteghe commerciali o la nascita di altre funzioni diverse da quella abitativa. Succede anche che questi quartieri, una volta ottenuta l’autonomia, si trasformino in barrios cerrados. Questi vicinati però rimangono in generale carenti di servizi e gli abitanti risolvono le loro necessità muovendosi in automobile verso altre parti della città. Rimane invece elevata la qualità architettonica degli insediamenti a città giardino secondo la “Clasificación de las AGEBs por conglomerado de calidad habitacional Censal 2000” effettuata da OCIM-SIG.
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Residencial alto La definizione delle AGEB di livello alto segue l’utilizzo degli stessi metodi di quelle di livello medio. Anche questi quartieri vengono costruiti sotto la spinta di promotori immobiliari su terreni a destinazione residenziale. Si differenziano da los fraccionamentos de nivel residencial medio sia per quanto riguarda il reddito degli abitanti, che in questo caso deve essere maggiore di trenta salari minimi mensili, e le aree dei lotti, che normalmente superano i 500 m2. La tipologia predominante è quella della villetta unifamiliare. Questi quartieri sono costruiti in conformità alle normative e presentano un’infrastruttura urbana completa, eccetto nei casi dei sobborghi di tipo ecologico o campestre. Le due AGEB di livello basso sono rappresentative proprio di questi due esempi; tutte le altre vengono classificate come insediamenti di alto livello. La fondazione dei quartieri di livello economico alto può essere fatta risalire in alcuni casi a particolari configurazioni di città giardino, ma nella maggior parte dei casi riguarda complessi di realizzazione più recente. Nel caso si tratti di promozioni immobiliari di nuova costruzione, il piano di sviluppo della colonia prevede spesso la creazione di un sobborgo chiuso. All’interno vengono quindi progettate, oltre a infrastrutture di alto livello, anche servizi urbani ricreativo culturali rivolti all’uso esclusivo degli abitanti della colonia. Esistono anche colonie a stretto carattere residenziale che vanno a collocasi preferibilmente nelle prossimità di centri commerciali, che offrano funzioni commerciali e di svago. Trattandosi di terreni che i piani urbanistici di competenza classificano come residenziali, le funzioni alternative possono occupare unicamente superfici ristrette. I proprietari di questo tipo di colonia negli ultimi anni hanno iniziato ad esercitare molte pressioni sulle autorità affinché si modifichi la normativa sull’uso del suolo. Gli abitanti auspicano una crescita di servizi commerciali e ricreativi all’interno delle proprie colonias in modo tale da creare una zona residenziale ma molto autonoma. Questi quartieri sono degli spazi omogenei, sia a livello architettonico che socio economico che, grazie alla programmazione del suolo a uso misto, si configurano come delle isole autonome rispetto alla città.
verde privato
monfunzionalità
svago
residencial alto
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Pueblo conurbado La descrizione del los pueblos conurbados è molto simile in OCIMSIG e CENVI ma la catalogazione delle AGEB da parte dei primi risulta essere più specifica e precisa. Si vanno a definire pueblos conurbados quei paesini presenti sul territorio prima del 1929 e che oggi sono stati inglobati nel tessuto della megalopoli. Nello specifico si leggono come conurbati quegli insediamenti che al momento dello svolgimento delle analisi sono in contiguità fisica con le aree centrali di città del Messico, ovvero dove le AGEB analizzate si trovano a meno di cento metri di distanza. L’identificazione avviene tramite un confronto tra il piano catastale del distretto federale del 1929 e la cartografia odierna. I sobborghi si svilupparono negli anni passati con autonomia rispetto alla città centrale, ma in collegamento con essa tramite le vie di comunicazione. Normalmente i pueblos conurbados sono cresciuti in modo irregolare, ovvero senza seguire le regole normative. La natura di questi insediamenti è la più svariata proprio perché hanno seguito dei processi evolutivi differenti e senza contatto, configurandosi come spazi diversi ed eterogenei. Secondo le fonti CENVI è possibile osservare come nella maggioranza dei casi la funzione residenziale sia quella predominante e come le funzioni amministrative e commerciali si trovino nello spazio centrale del paesino. Entrando a far parte della città le amministrazioni hanno previsto delle opere di urbanizzazione e di dotazione di servizi pubblici; anche questi si configurano in modo differente rispetto al caso, alla situazione di partenza dell’insediamento antico e alle regole del municipio che deve incorporarlo. Proprio per questo motivo la classificazione qualitativa di queste AGEB si distribuisce in modo abbastanza uniforme tra molto buono, buono, basso e molto basso. La densità di questi nuclei rimane normalmente piuttosto bassa tranne nei casi in cui i pueblos vengano convertiti in centri di urbanizzazione. È molto interessante la lettura dei pueblos conurbados di Elisa Drago che nel saggio “Urbanistica e regime a Città del Messico” li va a cogliere come differenze spaziali quasi impreviste, in una città che conta delle tipologie costruttive diversificate ma definite. Si va a scorgere la presenza di questi insediamenti tramite delle tracce irregolari, chiamate del “piatto rotto”, che seguono i disegni imposti dalle inclinazioni naturali dei terreni, i flussi delle acque stagionali e i ruscelli perenni o le difformità geografiche. Queste piccole strade contorte e strette, tracciate dal passo dell’uomo, soddisfano il bisogno di ombra ed incanalano le correnti d’aria. Il contatto e il rapporto con la natura è molto diverso rispetto
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luoghi pubblici
opere infrastrutturali
mixite funzioni
pueblo conurbado
a quello perpetuato dalla megalopoli. Questi paesini, anche se sono stati assorbiti dalla crescita della macchia urbana, conservano le strutture sociali, conosciute come barrios, dove si sviluppa tuttora la vita comunitaria legata alle attività domestiche ed espressa soprattutto nelle feste religiose e civili locali. I pueblos conurbados quindi, pur costituendo elementi differenti, vengono accomunati dalla costituzione di paese che, seppur inglobato in una macchia metropolitana, mantiene le proprie caratteristiche sociali ed abitative.
Pueblo no conurbado Questa definizione viene inserita per la prima volta negli studi “Los tipos de poblamiento” dell’OCIM-SIG e non compare nelle ricerche più datate del CENVI. La definizione raggruppa territori urbanizzati che non fanno parte dell’area urbanizzata continua di Città del Messico ma che si dislocano nelle delegazioni facenti parte dell’area metropolitana. Il motivo per cui questa definizione non può comparire in studi meno recenti è proprio la data di introduzione della definizione della zona metropolitana della Valle del Messico. Nel 2005 il governo del Distrito Federal e quello Estado de Mexico si sono accordati per definire la ZMVM. Questa comprende le 16 delegazioni del Distrito Federlal, 59 municipi del Estado de Mexico e uno del Estado de Hidalgo. La redazione di quest’entità è stata necessaria al fine di creare piani urbanistici e di gestione congiunti tra i tre stati su cui si estende la Megalopoli. La definizione delle AGEB come pueblo no conurbado si basa
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su un confronto tra le cartografie contemporanee agli studi e sui perimetri del conglomerato continuo di Città del Messico e della ZMVM. I pueblos, ranchos e barrios che si trovano in quest’area sono stati costruiti secondo criteri informali e non si trovano su aree che vengano definite come edificabili. Le caratterizzazioni dei vari insediamenti sono molto differenti tra loro ed eterogenee al proprio interno. In generale questi nuclei abitati sono di carattere pressoché rurale con una densità di popolazione molto bassa. A causa delle tecniche precarie utilizzate per la costruzione, tipiche dell’area rurale, e della forte carenza di servizi di acqua potabile, elettricità ed infrastrutture non esiste nemmeno un pueblo no conurbado che rientri nella categoria di qualità abitativa più alta; tranne qualche eccezione vengono catalogate dall’Observatorio Urbano nelle categorie basso e molto basso.
pueblo no conurbado informalità
carenza acqua
campi coltivati
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Differenze spaziali come confine La classificazione effettuata, se da un lato può rimanere una sistematizzazione acerba di quella che è la complessità della metropoli, dall’altro fornisce gli strumenti per comprendere come nel grande conglomerato della Valle del Messico esistano diversi tipi di “città”. L’appartenenza ad una “città” piuttosto che ad un’altra, per quanto studiato, è da ricercarsi principalmente nelle condizioni economiche. Ciò che diviene interessante all’interno di questa analisi non è tanto come vadano a crearsi dei connubi tra status economico e abitazione quanto piuttosto come si crei una forte relazione di percezione dello spazio pubblico e “città” di appartenenza; la tesi sulle identità socio-spaziali, riferita a Città del Messico, viene ampiamente dimostra dagli autori Emilio Duhau e Angela Gliglia nel testo “Las reglas del desorden: habitar la metrópoli”. Le ipotesi seguite nella determinazione di identità socio-spaziale si possono anche ritrovare nella definizione di sociologia degli spazi di Bauman: “Un primo modo di considerare lo spazio consiste nell’osservare come esso si fa elemento, insieme ad altri elementi, per spiegare la società; e cioè le rappresentazioni sociali, le strutture, le relazioni, rispettivamente come base conoscitiva, come intelaiatura di supporto, come rete organizzativa per l’agire e il vivere la società.” Le “città” sono quindi caratterizzate da una tipologia di abitanti che condivide un determinato status economico e un approccio comune verso la percezione di spazio pubblico. Il rapporto tra tipologia di spazio e relazioni sociali contiene un nesso causale reciproco come viene descritto in modo interessante da Augè in Nonluoghi: introduzione a una antropologia della surmodernità; si possono quindi definire le città come “luoghi carichi di significato: da un lato, sono i soggetti ad attribuire un senso al luogo che abitano, tramite le relazioni che instaurano con esso, dall’altro sono i luoghi stessi a conferire significato ai soggetti e alla loro identità, perché la loro appartenenza a un gruppo, a una comunità e la loro identità si esprimono anche tramite il legame con il luogo. Questa attribuzione di senso è reciproca: sono luoghi significativi per il tipo di legami che si creano e contemporaneamente i luoghi stessi concorrono alla formazione di relazioni significative e diventando parte della loro identità, restituiscono così senso ai soggetti. In rapporto al luogo (ma non solo), l’identità individuale e l’identità collettiva possono prendere forma.” Si tratta quindi di un rapporto causa effetto che tende a divenire un circolo, continuando ad affermarsi. La particolarità di Città del Messico, come probabilmente quella di altre grandi conurbazioni policentriche, risiede nella presenza di una molteplicità di luoghi di appartenenza. Le differenziazioni architettonico-urbanistiche danno luogo ad una molteplicità di tipologie di reti sociali; il problema risiede nella non coesione tra
Rank Tokyo Seoul Shanghai Guangzhou Beijing Delhi Ciudad deMexico São Paulo
pop (mil) 36,9 25,6 34,0 25,1 24,9 21,7 21,2 21,1
57 ab/km2
5920 ab/km2
I quartieri informali, o colonias populares, sono caratterizzati dalla quasi completa assenza di spazio pubblico Ciudad de Mexico
65% costruzione informale
i tessuti, in una netta differenziazione spaziale che si riflette su una diversa percezione di spazio pubblico da parte degli abitanti stessi. Ogni gruppo sociale porta quindi con sé un’appropriazione dello spazio che si manifesta sul tessuto in cui essi vivono. Non vi sono spazi di bordo in cui due realtà si possono confrontare, ma una netta giustapposizione tra tessuti e reti sociali differenti. A livello percettivo si creano dei forti confini che possono derivare da modalità diverse di viabilità, come la predominanza pedonale o carrabile, tipologie specifiche di commercio, differenza tra socialità di strada e ritrovo nelle piazze, orari di fruizione e in generale qualsiasi abitudine sociale connessa alla spazialità specifica. Come asserisce Bauman “la capacità di vivere con le differenze, e ancor più quella di apprezzare un altro stile di vita e goderne appieno, non è una qualità che si acquista facilmente, e ancor meno che arriva da sola. In quanto capacità è un arte che, come tutte le arti, richiede studio e applicazione. Tuttavia la capacità di far fronte all’irritante pluralità degli esseri umani e l’ambiguità delle decisioni di classificazione si ripetono e si rinforzano da sole […] Il progetto di sfuggire all’impatto della multitonalità urbana e trovare rifugio nell’uniformità comunitaria, è autolesionistico quanto autoperpetuante”. Questo fa sì che la presenza stessa di diverse texture porti a modalità sociali che spesso si autoescludono e non si relazionano, seguendo un iter abitudinale, perdendo una grande opportunità di incontro e crescita.
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Differenziazione socio spaziale Le realtà urbane presenti a Città del Messico presentano dei connotati estremamente differenti. Precedentemente è stata fatta una differenziazione a livello di texture per definire le caratteristiche dei modelli di “città” che si sviluppano all’interno della megalopoli, e poi sulla base degli studi di “Diferenciación sociodemográfica del espacio urbano de la Ciudad de México” di Aguilar si è definito come queste vadano ad influenzare fortemente la tipologia di socialità vissuta dai capitalini. Al fine di comprendere dove possano sorgere segregazioni causate dalla frammentazione, è però di interesse definire quali gruppi socio-economici siano situati all’interno dei diversi tessuti. Se determinate parti di città furono edificate proprio in risposta alla domanda di una certa categoria economica, non sempre questa vi permane tutt’ora. Per riuscire a comprendere che genere di relazione vi sia tra tessuto urbano specifico e classe economica predominante, seguendo le ricerche effettuate da OCIM-SIG si è andato dapprima a definire un gruppo economico dominante all’interno di ciascuna AGEB, e successivamente, sovrapponendo i risultati economici con la divisione delle texture, tramite rielaborazione propria, si è andato a definire il tipo economico più comune all’interno di ciascuna “città”. Gli autori Duhau e Giglia hanno cercato di dividere la AGEB in 6
basso
medio
alto
ciudad colonial
ciudad central
pueblo conurbado
conjunto habitacional
colonia popular
residencial medio
residencial alto
pueblo no conurbado
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categorie socio-economiche che vanno da molto basso a alto. Gli indicatori utilizzati per l’analisi cluster sono relativi a parametri di status economico. Il primo parametro è relativo alla popolazione occupata che guadagna più di cinque salari minimi, in quanto questo crea una forte differenziazione tra popolazione in povertà e in agio. Altri indicatori utilizzati riguardano invece lo status della casa, considerando abitazioni che dispongono di acqua corrente, abitazioni che dispongono di un boiler, famiglie che possiedono almeno un computer; non sono stati invece utilizzati i dati relativi ad altri comfort casalinghi poiché ripetitivi e non utili all’analisi cluster. Infine, avendo verificato una correlazione tra livello di studi e stato economico, è stato inserito il parametro: popolazione dai 18 anni in su con un istruzione superiore. Tramite una sovrapposizione dei due livelli di analisi si è evidenziato come vi siano delle forti corrispondenze tra tessuto e strato economico. In generale ad ogni tipologia abitativa corrisponde la predominanza di un paio di strati socio-economici. Al residencial medio e al residencial alto corrispondono alle classi abitative per cui questi erano stati progettati: al residencial medio corrisponde il ceto medio e, in casi di particolare qualità architettonica il ceto alto, al residencial alto corrisponde il ceto alto poiché, soprattutto a causa dell’ampia metratura è l’unico a poter accedere a questo mercato. Nella ciudad colonial risiedono in piccoli appartamenti derivati da frazionamento o dalla ricostruzione di edifici antichi dovuta al programa de recostrucin del vivienda dopo il terremoto principalmente lavoratori, piccoli commercianti, impiegati, appartenenti in maggioranza alla classe media ed in qualche caso a una classe più bassa che vive di mercato informale. La ciudad central risulta meno facilmente catalogabile poiché possiede un tessuto urbano eterogeno sia spazialmente che socialmente. Per quanto riguarda invece i conjuntos habitacionales, questi erano stati pensati principalmente per la classe media e ceti lavoratori piuttosto bassi ma comunque in grado di accedere al mercato della casa; nel caso in cui questi complessi siano andati in decadenza a causa della bassa manutenzione sono abitati dal ceto meno abbiente. Rari i casi in cui i conjuntos erano stati costruiti fin dal principio per la classe bassa con fine di trasfeire parte della popolazione dai barrios informal. Ancora più raro è il caso di conjuntos costruiti da privati con prestiti pubblici per la classe medio alta. La colonia popolare rappresenta, per quanto evidenziato nella classificazione delle texture, una porzione di città in costante evoluzione socio-economica e urbanistica che arriva però solo di rado a sfiorare lo status di classe media. I pueblos, sia conurbati che non, sono lo specchio di una struttura rurale con prevalenza di contadini, e sono rappresentati in prevalenza dalla classe più bassa.
Segregazione Se si cercasse di definire come entità urbanistiche segregate quei quartieri che ospitano un target di popolazione con uno specifico livello economico, bisognerebbe concludere che praticamente tutte le aree di Città del Messico risultino come segregate. Ma questo non corrisponderebbe alla realtà poiché i fruitori di una data area non sono unicamente i residenti ma anche coloro che vi si recano per svolgere delle attività. Seguendo gli studi “Urban segregation and local retail environments. Evidence from Mexico City” di Ruiz-Rivera, Suarez e Delgado-Campos si definiscono come realtà segregate quelle aree, che oltre ad avere una connotazione specifica per il livello economico dei residenti, presentano servizi, funzioni, possibilità lavorative e di consumo dei beni dedicati specificatamente alla classe socio-economica che vi abita. Questi fattori infatti sono rappresentativi di realtà chiusa su sé stesse. La presenza di servizi rivolti alla classe specifica degli abitanti del quartire, fa si che quelli che dovrebbero di nascita essere dei servizi pubblici per la comunità divengano di fatto servizi privati rivolti ad un gruppo specifico di individui. Le funzioni sono un evidente indice di segregazione, ma possono essere sia la causa che l’effetto di essa. Se da un lato succede che determinati servizi nascano per rispondere ad una realtà omogenea di abitanti dall’altra può anche accade che per la presenza di un determinato tipo di servizi una data area cresca di valore o che si decida di costruirvi un complesso residenziale dedicato ad una specifica classe economica, andando così a creare una realtà segregata. Nelle ricerche effettuate si evidenzia come le segregazioni tendano a nascere in luoghi con una stessa base economica. Se il gruppo preso in esame è molto omogeneo, la segregazione tende a manifestarsi in modo più forte. Un altro fattore che interviene in modo considerevole è quello di prossimità; le zone omogenee tra loro, o con piccole disparità, tendono ad integrarsi molto di più rispetto a zone con forti disparità. Andranno quindi a crearsi delle barriere di segregazione soprattutto sui confini che vedono adiacenti zone economiche con forti divergenze. Attraverso un’analisi cluster che include variabili quali, “popolazione senza istruzione”, “assenza di strutture di servizio sanitario”, “presenza di acqua corrente e fognature”, correlate con la presenza di determinate tipologie di commercio e aziende del lavoro, sono emerse due tipologie di aree segregate: a basso e ad alto reddito. Queste aree sono caratterizzate da tre fattori principali: “prossimità fisica tra spazi residenziali occupati da diversi gruppi sociali, omogeneità sociale interna delle varie divisioni territoriali, concentrazione di gruppi sociali in zone specifiche della città” come evidenziato Aguilar e Mateos in “Diferenciación sociodemográfica del espacio urbano de la Ciudad de México”.
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ferenze architettoniche una molteplicità di ede nella non coesione ssuti, in una netta cesura e, economica e sociale. è spazio di bordo in cui -
finiscono come realtà ate quelle aree, che d avere un connotazione a di status economico, tano servizi e aziende e specificatamente alla
aree segregate alto reddito aziende di alto livello università private cliniche private
centri commerciali
commercio informale sanità pubblica non specializzata scuole primarie pubbliche
aree segregate basso reddito
Le aree segregate a basso reddito, inferiori in quantità rispetto a quelle elitarie, presentano il minor numero di aziende. Unica eccezione sono i megastore a basso costo che si vanno a sommare ad una tipologia di commercio informale fortemente radicata. Per quanto riguarda i servizi pubblici, le aree segregate a basso reddito possiedono un numero maggiore di scuole primarie e secondarie e di cliniche pubbliche locali rispetto alle aree a reddito elevato. Ma queste ultime, in cui i servizi sono spesso espletati da privati, vedono localizzati nei propri ambiti un numero di impiegati 10 volte maggiore rispetto alle aree più povere, garantendo infine una maggior efficienza. In queste stesse aree, inoltre, vanno a collocarsi un maggior numero di università e aziende di alto livello. Le aree ad alto reddito sono in numero di gran lunga maggiore rispetto a quelle a basso reddito e vanno a ricalcare quasi completamente gli insediamenti abitativi di livello medio alto. Se le elitè si vanno a trovare in una situazione di perdita di vivacità della vita di strada e di isolamento dalla metropoli ben più critica è la situazione dei ceti meno abbienti che hanno difficoltà ad accedere a spazi pubblici, salute ed educazione presenti in altri nuclei segregati. A questo proposito è interessante una riflessione di Bauman: “Le élites hanno prescelto l’isolamento e, per ottenerlo, pagano generosamente e volentieri. Il resto della popolazione si trova
tagliata fuori e costretta a pagare l’alto prezzo culturale, psicologico e politico del nuovo isolamento in cui è caduta. Quanti non hanno i mezzi per scegliere di stare separati e di pagare i costi di servizi di sicurezza, si trovano a vivere gli aspetti passivi di questo fenomeno attuale.” Egli evidenzia come l’auto segregazione delle classi alte vada a creare, come effetto collaterale, una segregazione dei ceti meno abbienti. Questa si manifesta con modalità molto forti anche in relazione alle possibilità di mobilità; coloro che dispongono di un’automobile sono liberi di spostarsi nella città per arrivare ad altre enclave con lo stesso tenore di vita, mentre coloro che utilizzano i mezzi pubblici o si muovono a piedi, se si trovano confinati da aree segregate, perdono la possibilità di vivere la metropoli. La cultura della difesa A partire dalla fine del secolo scorso, basandoci sulle statistiche dell’UNODOC “International statistics on crime and Justice”, possiamo affermare che la criminalità è aumentata in varie metropoli mondiali. L’aumento della criminalità può essere dovuto a vari fattori che vengono evidenziati dai diversi analisti. Una delle teorie che possono sembrare più accreditate è quella che pone alla base del fenomeno l’iniquità sempre crescente; un report del Banco Mondiale riporta “sembra esistere una chiara correlazione tra iniquità economiche e crimine […] perché i paesi con una distribuzione di introiti molto iniqua tendono ad avere maggiori tassi criminali rispetto a quelli con entrate più eque.” Città del Messico potrebbe rispecchiare questa teoria. Il pensiero comune che Città del Messico sia una metropoli particolarmente pericolosa va sfatato, poiché il tasso di criminalità non sembra avere dei picchi rispetto ad altre megalopoli. Possiamo a questo proposito citare gli studi riguardanti il numero di omicidi annuali, registrato ogni 100.000 abitanti; la Repubblica Messicana si colloca al 23esimo posto per la zona delle Americhe, secondo gli studi dell’UNODC, United Nations Office on Drugs and Crime, ed in particolare il Distretto Federale è al 27esimo posto per omicidi tra gli stati del Messico con un tasso di 8,4. Secondo la stessa inchiesta si evidenzia come il tasso di aggressioni sia diminuito quasi del 20% negli ultimi dieci anni. Per quanto riguarda invece i reati comuni i tassi sono molto più elevati: il Messico si attesta al quinto posto su 112 stati presi in esame per quanto riguarda le rapine; nel solo distretto federale il 20% degli abitanti dichiarano di aver subito un crimine. Un altro elemento da citare per riuscire a comprendere la criminalità della città è la poca efficienza delle forze dell’ordine che, nel 90% dei casi, non assicura i colpevoli alla giustizia. Infatti secondo le statistiche della ”encuesta nacional sobre insiguridad” del 2010 l’88% delle vittime non denuncia i crimini subiti
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+insicurezza -insicurezza
71%
79%
85%
73%
65% 52%
esposizione ai notiziari
poiché, nel 38% dei casi, la ritiene una perdita di tempo e, nel 15% dei casi, ripone poca fiducia nelle autorità. Confrontando le statistiche Ensi 3 del 2004 con Ensi 7 del 2010 notiamo come i cittadini che percepiscono il proprio municipio come insicuro siano aumentati di 11 punti percentuali, e più della metà dei cittadini, in ciascuna inchiesta annuale, afferma di essere certa che il numero dei crimini sia cresciuto. Il numero di crimini, sempre in riferimento alle medesime inchieste risulta costante o altalenante in pochi punti percentuali. È evidente come vi sia una forte discrepanza tra quella che è la criminalità reale e quella percepita. Secondo le inchieste più recenti l’85% della popolazione residente nel Distretto Federale e il 78% dello Stato del Messico valutano il proprio stato come insicuro. L’elemento che sta alla base di un continuo aumento della percezione di pericolo è l’immaginario sociale della paura; concordemente con la proposta di Cornelius Castoriadis, si definisce immaginario sociale la decodifica della percezione degli eventi condivisa dai soggetti appartenenti ad una società. In quest’ottica possiamo andare a definire la cultura della paura che si basa sulla lettura non tanto delle statistiche reali di criminalità quanto più sulla percezione del pericolo. Un ruolo fondamentale è quello dei mezzi di comunicazione di massa, che il 93% della popolazione utilizza per informarsi sulla sicurezza, che trasmettendo costantemente notizie di delitti aumenta molto la percezione della quantità di essi. Un altro elemento basilare è da riscontrarsi nella poca forza della
78% crimini senza denuncia
90% crimini impuniti
61%
2013
2011
ENSU
2010
ENSU
ENSI 7
2007
ENSI 6
ENSI 5
fiducia bassa autorità
autorità a fronteggiare il problema della delinquenza; secondo Alfonso Valenzuela Aguilera “anche se la corruzione e il crimine generano in Messico una sensazione di insicurezza tra i cittadini, il problema più forte è quello dell’impunità perché significa che i crimini possono essere commessi con una sicurezza relativa piuttosto alta da parte dei criminali di non essere presi”. La cultura della paura si trasforma così in volontà di difendersi, autodifendersi, poiché le forze dell’ordine non garantiscono dei risultati. L’immaginario quindi, per quanto nasca come volontà di comprensione da parte di una società della realtà e delle sensazioni, si concretizza in scelte ed azioni di difesa che tendono a renderlo una cosa reale; in questo senso, riferito all’immaginario sociale della paura, la megalopoli si trasforma in una distopia di sè stessa, portando i cittadini a creare delle barriere per difendersi. La città si trasforma in tanti nuclei che, per paura tendono ad autosegregarsi, con modalità parziali o totali, rispetto alle proprie possibilità. La megalopoli, per come ci appare oggi, è un groviglio di barriere, alti muri e filo spinato, che non trasmette un’immagine di sicurezza. Le modalità di difesa della propria abitazione vanno a caratterizzare il paesaggio cittadino e trasmettono l’immagine di una popolazione che per difendersi necessita di avvolgere le proprie abitazioni nel filo spinato. Questa realtà architettonica e la percezione che si ha di essa, vanno ad alimentare un immaginario sociale basato sulla paura del vicino, di chiunque sia altro rispetto al nucleo familiare, e di conseguenza la cultura della difesa.
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Conjuntos cerrados Il clima di paura, unito alla crescente polarizzazione sociale degli ultimi anni, ha costituito terreno fertile per gli imprenditori immobiliari che, sfruttando le debolezze della popolazione, hanno lucrato sulla costruzione di nuovi complessi architettonici. Sebbene il principio di gate community nasca alla fine del XIX secolo, in questo clima, trova le basi per una forte espansione. Seguendo la teoria ipotizzata da Liliana López Levi in “Utopias y distopias residenciales en Mexico” possiamo osservare come la forza degli agenti immobiliari risieda nella capacità di creazione di un immaginario sociale alternativo a quello della paura, e che va a caratterizzarsi come una sorta di utopia circoscritta all’interno della megalopoli distopica. I “valori” rappresentati dai conjuntos cerrados sono più complessi di una semplice risposta alla necessità di protezione. Proprio attraverso un’analisi delle strutture propagandistiche si possono comprendere ed evidenziare quali siano gli immaginari, spesso disattesi, legati alle comunità chiuse. Con riferimento agli studi di Lucía Demajo Meseguer gli elementi che emergono dalle pubblicità sono molteplici. Uno degli elementi basilari è quello della ricerca della sicurezza anche se non sempre gli elementi impiegati sono utili allo scopo. La presenza di muri di cinta, telecamere e personale di sorveglianza rappresentano una “estetica della sicurezza” che porta a diminuire la percezione di pericolosità da parte degli abitanti, ma che non necessariamente influisce sulla quantità dei crimini. Un altro elemento che si fa forte in contrapposizione alla città è quello della presenza di aree verdi, rievocando gli ideali di città giardino e di benessere, ma che modificano fortemente il paesaggio messicano trasformandolo in un “american way of”. Due caratteristiche interessanti sono l’omogeneità sociale e lo status esclusivo. La prima si pone nel riconoscimento di un nucleo di persone con rango economico e posizione sociale molto simile andando a ricreare una sorta di vita di vicinato senza paure. La seconda fa sì che il gruppo omogeneo si vada ad identificare in quanto diverso dall’esterno, con un surplus di comfort che ne migliorano la posizione sociale. Questa caratteristica di status esclusivo vale in modo particolare per la fascia media. Ogni barrio cerrado è un mondo specifico ma vi sono alcuni elementi caratterizzanti quali la delimitazione perimetrale tramite mura o recinzioni, l’accesso controllato, la presenza di un’unica classe socio-economica spesso in prossimità di una di livello inferiore (diversamente non si sentirebbe il bisogno di creare un barriera), presenza di luoghi disegnati come pubblici che però sono sfruttati dall’elite degli abitanti. Questi complessi abitazionali nascono per rispondere alle esigenze della classe alta alla fine del secolo scorso ma, con il passar del tempo, gli imprenditori hanno
barrio cerrado
conjunto cerrado
calle cerrada
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proposto soluzioni di questo tipo anche alla classe media o mediobassa inserendosi in una domanda in crescita. Di norma i conjuntos cerrados, per le classi meno abbienti, contano al proprio interno un numero maggiore di abitazioni (fino a 10.000) e gli spazi pubblici e architettonici sono di qualità minore. Il modello tipico di questa tipologia è quello che si basa sulla città giardino, viene progettato in periferia con villette unifamiliari, giardini privati, con aree verdi e piazze “pubbliche”. Spesso però, soprattutto per i territori maggiormente centrali, vengono proposi degli edifici a torre o in linea che si trovano all’interno di uno spazio aperto recintato. L’ultima tipologia, di nascita informale, è quella delle “calles cerradas”; questa va ad inserirsi su un’edificazione preesistente in cui los vecinos si organizzano per murare il territorio del proprio quartiere o strada di appartenenza. Sebbene questa modalità di appropriazione del suolo pubblico siano illegali vengono accettate dalla municipalità poiché, avendo questi guardie di sicurezza proprie, riducono l’impegno necessario da parte delle forze dell’ordine. I conjuntos cerrados costituiscono una problematica urbana: le mura che li contraddistinguono formano delle barriere sia dal punto di vista fisico che sociale, “stabilendo così i limiti e le differenze esistenti nel tessuto sociale”. Essi portano ad una frammentazione dello spazio urbano configurandosi come aree impenetrabili. Città del Messico, come molte grandi città latino-americane, è costituita da quartieri in cui, rispetto al livello architettonico urbanistico, è presente principalmente una sola classe socioeconomica; la presenza di questi quartieri, si va ad imporre come inflessibile in una situazione che già in partenza risulta abbastanza critica, andando a segnare una divisione fisica e netta tra realtà differenti. Questa frammentazione va ad incidere fortemente sulle infrastrutture, soprattutto nel caso di calles cerradas, rompendo la continuità di circolazione e rendendo impossibile l’attraversamento del territorio alla maggior parte dei cittadini. A questo si somma l’impossibilità di accesso a luoghi pubblici e a determinate funzioni che da comuni si privatizzano per rivolgersi unicamente ad un’elitè, dando quindi qualità ad uno spazio ma togliendolo alla città. Il paradosso dei conjuntos cerrados risiede però nel fatto che questi non siano una vera protezione dalla criminalità, ma unicamente una metodologia per sentirsi più protetti. La proliferazione di questa tipologia costruttiva continua, segna sempre più la segregazione tra i tessuti della metropoli, che va a perdere il suo significato sociale come luogo di aggregazione tra cittadini differenti, perpetuando l’immaginario individualista della difesa.
Alienazione dello spazio pubblico La privatizzazione degli spazi è uno degli effetti collaterali maggiori dovuti alla presenza dei conjntos habitacionales. La problematica si riversa sugli spazi aperti della città sia in modo diretto che indiretto. Nel primo caso il problema risiede nella negazione dell’accesso libero a tutti i cittadini verso spazi che appartenevano alla città o che potrebbero appartenervi, quali piazze, parchi e strade. La negazione di questi spazi come aperti al pubblico, oltre a generare delle disuguaglianze nella spartizione del territorio, influisce indirettamente, seguendo la tesi di Caldeira, sulla “perdita di significato sociale degli spazi pubblici e porta al disprezzo di tutto ciò che è pubblico nella città aperta”. Il clima di paura presente nella città non appartiene solo ai cittadini dei ceti più alti che trovano conforto all’interno delle gate community; quasi tutta la popolazione ha trovato sistemi per mettere in sicurezza la propria casa (dal filo spinato alle tecnologie di allarme) per poi “rinchiudersi nello spazio privato”. Alfonso Valenzuela Aguilera su “encuesta nacional sobre seguridad” riporta come la paura percepita dai cittadini vada ad influire sulle abitudini urbane. Per timore di divenire vittime di un crimine, durante l’anno 2008, il 44% dei messicani afferma di aver smesso di uscire la sera, il 25% di andare a passeggiare, il 21% di uscire per cena e il 17% di utilizzare i trasporti pubblici. Queste statistiche sono preoccupanti perché evidenziano come la paura vada ad incidere sulla vita dei cittadini in luoghi pubblici. Diminuendo la frequentazione dei luoghi comunitari da parte di una fetta della popolazione, sempre più cittadini tenderanno a rinchiudersi nelle proprie case perché un ambiente meno vissuto diviene percettivamente più pericoloso. Secondo le tesi di Aguilera, una delle conseguenze dell’abbandono dei luoghi pubblici “è che i controlli sociali e informali, nei quali i membri di una rete di prossimità si pongono come garanti del rispetto di determinate regole sociali, vanno via via diminuendo, andando in tal modo a perdere questo vincolo di sicurezza”. In
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questo senso non è solo la percezione del pericolo che aumenta ma piuttosto la possibilità vera e propria per i criminali di agire indisturbati. L’alienazione dello spazio pubblico avviene quindi contemporaneamente su due linee: da un lato la privatizzazione del territorio da parte dei conjuntos cerrados e dall’altra per l’abbandono di piazze e strade. Entrambi i comportamenti si collocano all’interno di un immaginario sociale che pone la sicurezza come problema predominante nella città, sebbene non vi siano dati reali che vadano a confermare una tale insicurezza e l’ambiente si associ a quello di una psicosi collettiva. Come già accennato, i mezzi di comunicazione di massa sono tra i principali perpetuatori di questo immaginario che trova le sue basi all’interno del mondo della politica, in quanto in un clima di paura “lo stato può legittimare politiche di controllo e repressione” come evidenziato da Liliana Lopez Levi. Inoltre “la segregazione spaziale e l’abbandono dello spazio pubblico rendono difficile la comunicazione tra membri di una società […] che anziché unirsi per combattere per i propri interessi non confidano l’uno nell’altro e cercando soluzioni individuali fanno cadere i propri diritti sulla società”. I muri dei conjuntos cerrados e i chilometri di filo spinato che si arrotolano attorno ai muri della città, sono solo la rappresentazione fisica di una società che, non entrando in comunione quotidianamente nei luoghi pubblici, si sta disgregando.
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Antecedenti: l’università nella città La “Real Universidad de Mexico” venne fondata nel 1551, dopo soli trent’anni dalla conquista spagnola, e fu la prima università del nuovo continente. Occupò fino al 1594 un edificio alle spalle della cattedrale per poi essere ricollocata nel palazzo Marquez del Valle di fronte a Plaza Volador. L’anno successivo, tramite bolla papale, acquisì gli stessi riconoscimenti delle istituzioni del vecchio continente divenendo “Real y Pontificia Universidad de Mexico”. L’università rappresentava un istituzione di grande potere all’interno della città poiché si proponeva di formare la classe dirigente senza doversi appoggiare alla madrepatria. L’edificio che ospitava le quattro facoltà di cui era costituita l’università, Medicina, Legge, Diritto Canonico e Teologia, divenne presto il luogo simbolo della cultura messicana. Il palazzo, poiché emblema dell’università, venne rimodernato per seguire i gusti artistici dell’epoca: a metà del ‘700 seguendo lo stile barocco e all’inizio del secolo successivo secondo i canoni neoclassici. Esso conteneva quella che fu la prima biblioteca messicana. Durante il regime borbonico del XVIII, alla tradizionale università si sommarono cattedre di stampo illuminista quali la Real Academia de Bellas Artes de San Carlos, di cui faceva parte l’insegnamento dell’architettura neoclassica, e il Real Seminario de Minas, che successivamente sarebbe diventato la scuola di ingegneria, situati in due palazzi anch’essi nel centro storico. Qualche anno più tardi venne formata la scuola di medicina che si collocò
nell’antico palazzo dell’inquisizione e i college di San Pedro e San Paolo, che già facevano parte dell’università, vennero spostati all’interno del convento di San Ildefonso, non più di proprietà dei gesuiti. L’università possedeva all’inizio dell’ottocento un numero considerevole di edifici nel centro della città, dando un contributo significativo alla vita nella capitale. L’università mantenne comunque un carattere conservatore, anacronistico rispetto al sentimento illuminista, che la idebolì come istituzione. Dopo l’indipendenza messicana, sebbene entrambi i partiti ritenessero l’istruzione di fondamentale importanza per una crescita del paese, i liberali si schierarono a favore della chiusura dell’Università poiché ritenuta simbolo del vecchio regime. In seguito a vari dibattiti e sospensioni temporanee delle attività, nel 1865 venne chiusa definitivamente. Nel 1867, tramite la Ley Organica de Instruccion Publica, vennero fondate delle “escuelas nacionales” per supplire alla mancanza dell’Università. Successivamente, durante il periodo del porfiriato, vennero introdotte, secondo i pensieri illuministi, delle scuole di primo grado aperte a tutti. Questo periodo, definito anche come “Era de las Escuelas”, fu fondamentale per diminuire l’analfabetismo che interessava circa il 90% della popolazione. Solamente durante gli ultimi mesi della dittatura di Porfirio Diaz, nel 1910 venne ricostituita l’Università che prese il nome di “Universidad Nacional de Mexico, in celebrazione dei 100 anni dell’indipendenza. La “Universidad Nacional de Mexico” venne a crearsi dall’unione delle scuole di livello superiore che avevano caratterizzato il periodo storico precedente, quali giurisprudenza, medicina, odontoiatria, ingegneria, architettura; anche gli istituti superiori entrarono a far parte dell’amministrazione universitaria. La neonata corporazione si pose in questo primo momento in opposizione all’antica “Real y Pontificia Universidad de Mexico” andando a distruggere l’edificio di Plaza Valador, che ne era stato il simbolo. Solo due mesi dopo la fondazione dell’istituzione, Porfirio Diaz venne destituito ed iniziò la lotta armata della rivoluzione che sarebbe durata per una decade. Questo periodo venne caratterizzato da una lato dalla scarsa offerta accademica, dovuta a all’insicurezza sociale e alla crisi economica, e dall’altro da forti schieramenti e manifestazioni degli studenti che esprimevano il loro credo politico e chiedevano di avere delle loro rappresentanze all’interno del governo. Scrive Javier Garciadiego “la rivoluzione obbligò l’Università a sviluppare un progetto sull’educazione superiore che rendesse viva la tradizione culturale di tutta la nazione messicana; l’identità nazionale aveva dotato di contenuto il progetto universitario” andando a porre le basi di un meccanismo che non doveva più essere elitario ma divenire un diritto ed un punto di forza per la nazione. Dagli anni ‘20, fine della lotta armata, in un contesto di stabilità politica
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maggiore, l’Università iniziò a riorganizzarsi ottenendo nel 1929, dopo mesi di manifestazioni studentesche, l’autonomia, divenendo così “Universidad Nacional Autonoma de Mexico” (UNAM). Il centro storico della città tornò ad ospitare una vita studentesca molto vivace specchio della vita intellettuale, sociale e culturale di un paese in rinnovamento. La vita degli universitari era strettamente collegata al cuore delle città poiché le facoltà erano tutte collocate nel raggio di un chilometro dalla Piazza della Costituzione, in palazzi d’epoca, di grande qualità architettonica ed artistica, nel casco viejo, che prese anche il nome di Ciudad de los Palacios. Sono da ricordare la Rectoría e la Escuela Nacional Preparatoria ubicate nel Colegio de San Ildefonso, l’antica scuola di medicina, collocati di fronte a Plaza Santo Domingo nel palazzo che era stato sede dell’Inquisizione durante il XVIII secolo, quindi la Escuelas de Artes Plasticas e la Escuela Nacional de Arquitectura, che erano invece collocate nell’Academia de San Carlos de la Nueva España ornata da dipinti e sculture, ed il Colegio de Minas, situato in un palazzo creato appositamente dallo scultore e architetto neoclassico Manuel Tolsa. Inoltre, nel barrio, erano presenti la Biblioteca Nacional, che aveva sede nel Templo de San Agustín, ed un museo universitario collocato nel Palacio Nacional. La Ciudad de los Palacios venne rinominata Barrio Universitario, per la presenza preponderante di studenti. Offriva molte funzioni e attività quali librerie, cinema, ristoranti, luoghi di intrattenimento e commercio a loro dedicati, ma che venivano sfruttate anche dagli abitanti della città. Nella prima metà del secolo, grazie ad un clima di ottimismo e vivacità economica, la domanda studentesca aumentò notevolmente portando con sé un ampliamento del corpo docenti e la fondazione di nuovi indirizzi. Si arrivò al numero di ventisette facoltà e ciò rese inadatti gli edifici del Barrio ad ospitare le attività universitarie, sia per capienza che per specializzazione degli spazi. La crescita di questa categoria di popolazione portò con sé anche una maggior intensità di manifestazioni politiche, che non erano appoggiate dal governo. Al il fine di trovare degli edifici più adatti alle attività di insegnamento e di allontanare i manifestanti dal centro cittadino, le volontà del governo e quelle dell’amministrazione universitaria si unirono nell’intento di creare un campus universitario esterno alla città, dando credito alla tesi del 1928 sulla creazione di una Città Universitaria. Il primo progetto riguardante un campus universitario venne infatti elaborato nel 1928 da Mauricio de María y Campos e Mariscal Gutiérrez Camarena; questo progetto si situava sull’area a sud
di Città del Messico dove oggi è collocato l’ospedale di Huipulco. Negli anni successivi, più volte venne riproposta l’idea di fondare una Città Universitaria, con diverse dislocazioni, per rispondere alle problematiche sopracitate. Queste volontà si concretizzarono nel 1943 con la scelta di un’area non urbanizzata a sud della città e tramite una colletta per acquisire i territori dai contadini. La colletta, unita ai fondi statali, permise all’Università di mantenere anche gli edifici all’interno del centro storico, che inizialmente si pensava di vendere per ricavarne del capitale, e di destinarli a funzioni culturali.
Il simbolo dell’istruzione, nascita CU Nel 1921 Vasconselos, divenuto Ministro dell’Educazione, avvia un progetto su scala nazionale di educazione del popolo. La situazione era drammatica poiché il tasso di analfabetismo si aggirava sui 70 punti percentuale. ”Il progetto era basato su una concezione dell’educazione come attività di evangelizzazione , finalizzata a suscitare il risveglio della coscienza culturale della nazione. La volontà di Vasconcelos, come sarà poi quella dei suoi successori, era quella di creare un nazionalismo culturale forte, in grado di interfacciarsi alle potenze della modernità, recuperando da un lato le tradizioni preispaniche e dall’altro spingendo sull’industrializzazione e sulla modernità.” La costruzione della Città Universitaria (CU) è possibile grazie ad un favorevole clima economico e politico. Ci troviamo in un periodo in cui il PRI (Partito Rivoluzionario Istituzionale) costruisce vari complessi di diverso carattere sia per la vocazione socialista del partito, sia per propaganda; in particolare la CU diviene rappresentazione di un Messico che vuole mostrarsi moderno e all’avanguardia. Per questo motivo “Il campus centrale mostra chiaramente l’adesione ai postulati internazionali dell’architettura moderna e l’utilizzo dell’architettura tradizionale messicana”, rappresentazione di un paese in evoluzione che però sta ritrovando le proprie origini. A seguito della vincita del concorso, il progetto fu portato avanti da un’equipe di più di 60 professionisti coinvolti nelle attività universitarie e studenti. Tra i professionisti che presero parte alla redazione del progetto non figurò nessuno straniero, poiché una delle volontà era quella di coniugare l’innovazione moderna con le radici della tradizione messicana.
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Isole funzionali differenziazioni di flusso Il concorso istituito nel 1947 poneva alcune linee guida di stampo razionalista e lecorbuseriano che caratterizzeranno fortemente l’impianto della Città Universitaria. Tra queste, quelle che emergono maggiormente nel progetto realizzato sono le differenziazioni funzionale e di flusso. L’impianto della CU viene connesso alla città tramite Via Insurgentes che corre da nord a sud collegando il nuovo complesso al centro storico e dividendo in due il lotto. La volontà di mantenere forti differenziazioni tra pedoni e automobili si concretizza nella progettazione di quattro isole pedonali, due a est e due a ovest della superstrada, perimetrate da circuiti carrabili. I circuiti, costituiti da tre carreggiate per senso di marcia separate da spartitraffico, non presentano incroci ma solo immissioni tangenziali al fine di garantire un sistema di flussi continuo. L’accesso alle grandi aree pedonali poteva avvenire attraverso le fermate dei mezzi pubblici o dei parcheggi collocati sul perimetro di queste. Non era prevista nessuna metodologia di accesso pedonale o ciclabile al complesso poichè trovandosi questo nel 1950 a 9 km dal tessuto urbano consolidato sarebbe stato difficile da raggiungere. Il sistema di collegamento tra le isole pedonali venne anch’esso impostato in base ad una differenziazione dei flussi: vennero progettate delle cuciture di sovrappassi e sottopassi, andando a sfruttare ove possibile i dislivelli del terreno, per consentire ai pedoni di non dover mai incrociare il flusso carrabile, tenendo ben distinti fra loro i due sistemi. Ciascuna delle isole pedonali era caratterizzata da una funzione specifica: la zona accademica, lo stadio, i campi sportivi e le residenze per docenti e alunni (che non verranno mai realizzate). Le isole contano una grande presenza di spazi aperti come dettato dai principi della Carta di Atene: “si dovranno trascorrere le ore libere in luoghi adeguatamente predisposti: parchi, boschi, campi sportivi, stadi”. Inoltre l’ampia
manifestazioni
carenza di spazio
dimensione di questi spazi rievoca l’architettura urbana dei grandi complessi preispanici, come quello di Monte Alban, dove vi è “connessione tra i grandi edifici e gli spazi aperti tramite scalinate” e lo sfruttamento “di livelli differenti viene utilizzato per raggiungere l’armonia con la scala umana”. Inoltre i grandi spazi aperti del campus centrale seguono caratterizzazioni differenti, andando a creare, tramite giochi plastici e gradonate, luoghi che potevano essere utilizzati in modo differente. Il materiale lavico viene ripreso nelle piazze e sulle gradonate, per i percorsi si utilizzarono dei blocchi in cemento rosso, mentre i grandi spazi di incontro sono dei prati all’inglese, in contrasto con la vegetazione del Pedregal che rimane semplicemente lo sfondo dell’opera modernista. Anche gli edifici sono rappresentazione del connubio tra architettura modernista e mexita. Da un lato vi sono l’astrazione e il rigore geometrico che si concretizzano con il cemento, dall’altro vi è l’utilizzo delle arti plastiche come integrazione all’architettura, con l’utilizzo di simbologie tradizionali e colori scelti da pittori, scultori e muralisti. La volumetria del complesso è caratterizzata da nitidi parallelepipedi che si stagliano in orizzontale e in verticale seguendo un linguaggio proprio, dovuto anche alla progettazione da parte di gruppi diversi di progettisti, ma con dettami comuni. Gli edifici che si sviluppavano in altezza erano utilizzati per definire lo spazio architettonico e diventano dei punti focali che gerarchizzano lo spazio, questi erano seguiti da volumi più bassi che indirizzavano la prospettiva. Il complesso, nel suo insieme, risulta di altissima qualità architettonica e urbanistica. Clementina Díaz y de Ovando afferma: “La Città Universitaria, equilibrio tra tecnica e bellezza così come tra scienza e umanesimo: complesso di edifici e ambizioni monumentali, artistiche e proiezioni culturali e scientifiche verso il futuro, si presenta dal punto di vista architettonico come la miglior ricerca dell’originalità e dell’integrazione plastica che si è realizzata in Messico nel nostro secolo”
I PRINCIPI DEL CONCORSO
Il concorso pone come basi alcuni principi del razionalismo lecorbuseriano.
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DIFFEREZIAZIONE FUNZIONALE
DIFFERENZIAZIONE DI FLUSSO
Crescita anarchica e nascita delle barriere La Città Universitaria era stata progettata per contenere 20 mila studenti, un numero molto maggiore rispetto all’epoca di stesura del masterplan. Alla fine degli anni ‘60 la popolazione studentesca si era moltiplicata arrivando a 60000 universitari, con una crescita esponenziale che non era stata prevista. La necessità di creare nuove costruzioni non corrispose alla stesura di alcun piano; la mancanza di un disegno generale ha contribuito alla diminuzione della qualità architettonica e spaziale del campus. Le tipologie di ampliamento hanno connotazioni differenti. Vi fu la creazione di nuove isole: una dove si collocarono le nuove facoltà di stampo scientifico, una con il polo museale, ed una relativa alle attività di ricerca e dottorato. Ad eccezione della zona culturale, le altre mostrano una forte carenza di qualità, non tanto per quanto riguarda i singoli edifici, ma per gli spazi pubblici che risultano interstiziali, non concatenati e poco progettati. Un altro processo per rispondere all’aumento della domanda studentesca fu quello della superfetazione del tessuto esistente. Vennero saturati i piani terra degli edifici e le corti interne, andando a compromettere il principio della permeabilità resa grazie alla pianta libera, e vennero costruiti alcuni blocchi ex novo accanto a quelli esistenti andando a minare le concatenazioni spaziali precedentemente progettate. La maggioranza delle problematiche esistenti a livello di flusso ed accessibilità presenti oggi nella Città Universitaria sono da attribuire proprio a queste espansioni senza disegno. I nuovi circuiti carrabili che vengono realizzati presentano degli incroci eliminando così la continuità di flusso; questo, unito al forte aumento del traffico
123mil studenti 109
25mil ricercatori e docenti 27mil personale amministrativo
100mil visitatori
M
M
taxi interni
vettura privata
pumabus
taxi e colectivos
pumabici
M
metropolitana trasporto pubblico
automobilistico, per cui non sono state pensate delle soluzioni, ha portato alla presenza di forti congestioni di traffico nei circuiti della Città Universitaria. Per far fronte alla domanda di parcheggi si è agito in modo caotico, andando ad aumentare la quantità di parcheggi a raso sui bordi delle isole preesistenti e ancor più in quelle di nuova progettazione. Le nuove isole inoltre non contano la presenza di sistemi di attraversamento per pedoni a livelli differenti da quello carrabile, portando a delle forti difficoltà di attraversamento.
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Salvaguardia dell’habitat originale: la REPSA Lo sfondo della Città Universitaria, al momento della sua creazione, era il paesaggio suggestivo del Pedregal. La forte urbanizzazione alla fine degli anni ‘70 aveva quasi completamente inglobato la Ciudad Universitaria, e la continua espansione della stessa al proprio interno, fece si che gruppi di studenti e professori si ponessero di fronte al problema della conservazione di questo ecosistema sollevando l’urgenza di conservare i relitti esistenti. Nel 1983 si andò a definire una “zona ecológica inafectable” di 124,5 ettari, che comprendeva le parti più suggestive dei territori non ancora edificati appartenenti alla UNAM. La RESPA, divenne così la prima, e tutt’ora unica, riserva ecologica urbana di città del Messico. Nell’accordo che pubblicato sul “Cuaderno de Ecología núm. 1” della facoltà di scienze è chiaramente descritto l’utilizzo possibile di questa zona: “In quest’area, per la sua importanza naturale, si perseguirà la preservazione e la reintroduzione di flora e fauna e, per le sue caratteristiche uniche, sarà possibile l’accesso solo per attività accademiche e di ricerca, strettamente legate all’Università. Per contribuire al miglioramento ambientale non sarà possibile destinarla a funzioni differenti”. Viene creata una commissione tecnica che in questi primi anni di vita della riserva svolgerà un fondamentale ruolo di salvaguardia. Nel 1991 nel Programa de Mejoramiento Ecológico del Campus si inserisce un subprogramma per il controllo della crescita di specie infestanti quali gli eucalipti. Gli sforzi compiuti dagli studenti delle facoltà di scienze e biologia fanno si che nel 1996 venga stipulato un secondo accordo con il rettore che preveda l’ampliamento della riserva a 172 ettari e la riconversione della “Cantera Oriente” da cava a riserva ecologica. L’accordo più importante è quello stilato nel 2005, poiché va a ridisegnare i confini della REPSA con modalità incontestabili usando coordinate gps anzichè disegni, e da più forza al comitato tecnico. Quest’ultimo va a costituire la segreteria tecnica SEREPSA che dettando linee guida e di progetto, si propone di organizzare lavori di conservazione e didattica con la collaborazione delle diverse facoltà e dei cittadini.
Plan Unesco Il Campus testimonia la modernizzazione del Messico postrivoluzionario nel quadro di ideali e valori universali relativi all’accesso alla formazione, al miglioramento della qualità della vita, all’educazione intellettuale e fisica e all’integrazione tra urbanistica, architettura e arte plastica. L’urbanistica e l’architettura del Central University City Campus di UNAM costituiscono un esempio eccezionale di applicazione dei principi del modernismo del XX secolo, fuso con caratteristiche derivanti dalla tradizione messicana pre-ispanica. Il complesso è diventato una delle icone più significative di urbanistica e architettura moderna in America Latina, riconosciuto a livello universale. Nel 2005 il Campus è stato dichiarato patrimonio modiale dell’UNESCO. In particolare tre sono gli aspetti che lo rendono, secondo i documenti di approvazione, un sito da salvaguardare. “Criterio 1: Il Central University City Campus di UNAM costituisce un esempio unico nel XX secolo in cui oltre sessanta professionisti hanno lavorato insieme, nell’ambito di un piano generale, per creare un complesso architettonico urbano che testimonia valori sociali e culturali di portata universale. Criterio 2: Le tendenze più importanti del pensiero architettonico del XX secolo convergono nel Central University City Campus della UNAM: l’architettura moderna, il regionalismo storicista, e l’integrazione plastica; gli ultimi due di origine messicana. Criterio 3: Il Central University City Campus di UNAM è uno dei pochi modelli in tutto il mondo in cui i principi proposti dalla moderna architettura e urbanistica sono stati completamente applicati; l’ultimo scopo era quello di offrire all’uomo un notevole miglioramento della qualità della vita. Il piano dell’Unesco si propone diversi punti di azione: aggiornamenti tecnologici, miglioramento dei sistemi di trasporto pubblico e delle piste ciclabili, eliminazione dei parcheggi a bordo strada e sfruttamento dei parcheggi dello stadio, regolamento del commercio informale, restauro e conservazione degli edifici e degli spazi aperti. Sebbene alcuni di questi punti riguardino il Campus nella sua totalità la zona iscritta al patrimonio mondiale comprende solo il Campus Central, le zone sportive e lo stadio, quindi le realizzazioni del progetto originario. La restante zona del Campus è suddivisa tra buffer zone di primo e secondo livello e non presenta forti vicoli.
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Barriere Il progetto originario era basato su di una forte continuità spaziale e di flusso. Ad oggi la situazione a livello di impianto urbanistico appare molto differente. Sebbene le isole pedonali mantengano al loro interno una predominanza di spazi aperti, ad eccezione del nuovo polo scientifico, i bordi sono diventati dei confini invalicabili. E’ stata effettuata un analisi attraverso campionature dei confini tra la CU e il tessuto urbano, e all’interno della CU tra le diverse isole. Le tipologie di barriere riscontrate sono molteplici. Vi è una forte divisione tra interno ed esterno dovuta al muro che corre lungo il perimetro del Campus. Questo venne eretto nel 1962 con la volontà di salvaguardare il territorio della UNAM dall’espandersi della costruzione informale nei quartieri limitrofi. Il muro è divenuto parte integrante delle abitazioni che sono state costruite lungo il perimetro, rendendo difficile l’apertura di nuovi ingressi. La seconda barriera riscontrata nell’analisi riguarda il tessuto viario. I circuiti carrabili sono stati progettati come strade ad alto scorrimento senza prevedere l’attraversamento poichè non vi era territorio urbanizzato al di fuori del perimetro della Città Universitaria. Ad oggi la CU è immersa nella macchia urbana e le strade, a tre corsie per senso di marcia, divengono una barriera per pedoni
sovrappassi del progetto originario
passerella su terreno lavico
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marciapiedi =60 cm
recinzioni
portici
ampio spazio pedonale
fermata pumabus con marciapiede 60 cm
marciapiede 60 cm con ingresso con scale
verde infrastrutturale residuale con ve
e biciclette. Inoltre, a divisione dei sensi di marcia, sono posti degli spartitraffico di dimensioni variabili che spesso presentano dei dislivelli rispetto al sistema carrabile, che rendono le strade un confine ancor piĂš invalicabile. Le recinzioni presenti in prossimitĂ delle differenti facoltĂ rapprentano una barriera sia per quanto riguarda il perimetro esterno che tra le isole interne. Queste, costruite per ragioni di sicurezza dettate dalla cultura della difesa, cingono il perimetro delle isole e vanno a frazionarne le parti interne rendendo ancor
facoltà con pertinenze recintate
egetazione del pedregal
dislivelli
mancanza marciapiede
abitazioni costruite sul muro
muro di recinzione
più difficile il passaggio da un’isola ad un altra. La presenza delle recinzioni perimetrali fa si che i fruitori debbano camminare tangenzialmente alle isole fino all’ingresso desiderato. La totale assenza o il sottodimensionamento dei marciapiedi rende pericolosa la percorrenza parallela ai circuiti viari. Risulta evidente come il sistema della CU, progettato per avere continuità di flusso per i pedoni, presenti ad oggi delle forti barriere che vanno ad estraniarlo completamente dalla volonà del progetto originario.
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Spazi pubblici Il Campus presenta una grande quantità di spazi aperti con caratteristiche molto variabili sia a livello paesaggistico che di fruizione. L’analisi effettuata evidenzia come questi possano essere catalogati in sei categorie. Las islas, costituite dagli spazi aperti del Campus Central, rappresentano lo spazio con vocazione più pubblica. Questo luogo, costituito da sequenze spaziali di piazze, prati, zone alberate, scalinate e piattaforme, durante i week end viene sfruttato dai cittadini e non solo dagli studenti come parco e luogo di incontro. Gli spazi relativi alle facoltà che sono state costruite negli anni ‘70 hanno una vocazione pertinenziale, sono spesso recintati e quindi accessibli solo agli studenti di quella specifica facoltà. Dal punto di vista paesaggistico la qualità è molto inferiore rispetto a quella de las islas sebbene ne vengano riprese le essenze esotiche. Le riserve ecologiche sono costituiscono 237 ettari del territorio della Città Universitaria e rappresentano un luogo di biodiversità e resistenza ecologica. Proprio a causa della loro funzione non sono però accessibili: sono
spazio pubblico: las Islas
SPAZIO PUBBLICO utenti
accessibilità
PAESAGGIO tipologia
qualità
verdi pertinenziali
riserva ecologica
delimitate da mura e recinzioni e vi possono accedere unicamente ricercatori e personale autorizzato. Gli spazi scultorei, situati in prossimità della REPSA, sono un’area molto interessante che viene fruita sia dagli studenti che dalla popolazione grazie alla sua forza estetica. Il paesaggio storicizzato del Pedregal viene esaltato dalla presenza di sculture moderne ed è fruibile tramite percorsi che si insinuano tra le rocce. Gli orari di apertura di queste aree sono abbastanza restrittivi e l’utilizzo è condizionato dalla scarisità di parcheggi e dalla necessità di utilizzo del Pumabus che però non possiede orari fissi delle corse. I verdi residuali infrastrutturali, a causa delle dimensioni importanti degli spartitraffico, rappresentano una parte ingente degli spazi verdi della CU. Questi, così come le aree destinate a futura costruzione non sono luoghi fruibili a causa dei dislivelli del terreno lavico e della fitta vegetazione. Rappresentano però un baluardo di vegetazione pedregalina resistente poichè a causa della mancata progettazione sono rimasti incontaminati e non progettati mantenendo un paesaggio suggestivo.
spazio scultoreo
aree futura edificazione
verdi residuali
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Storia di antropizzazione Nascita del pedregal La zona del Pedregal, alle rive del lago Texoco era abitata dai Cuicuilcos. Questo luogo, delimitato a sud dalla cordigliera vulcanica e a nord dal lago era ritenuto dai Maya luogo sacro. L’insediamento era suddiviso in due luoghi, quello abitativo di Copilco e quello cerimoniale di Cuicuilco, di cui è sopravvissuta la piramide circolare, rappresentativi di una delle civiltà più evolute del tardo periodo preclásico mesoamericano. Dopo l’eruzione del vulcano Xitle del 300 a.c e questa popolazione fu costretta a spostarsi più a nord, andando poi a collaborare alla creazione della grande civiltà di Tenochititlan. Il vulcano Xitle, vulcano monogenico a cono di scorie, fa parte del “Eje vulcanico trasversal” che si estende da est a ovest nel centro del Messico. Il Pedregal di San Angel, il più esteso di tutto lo stato con un’estensione di 90 km2, si creò in seguito a quest’unica eruzione. L’eruzione provocò la totale scomparsa dei campi agricoli e dei boschi originari. La lava solidificandosi creò uno strato di basalto di spessore variabile che si estende senza interruzioni su tutta l’area e rappresenta uno dei luoghi di ricarica del manto acquifero più importanti di tutta la valle del Messico grazie alle proprietà di porosità e permeabilità di roccia lavica. Proprio grazie a queste proprietà, il terreno desertico, inizia a popolarsi dapprima
attivi inattivi xitle
XITLE
di organismi pionieri trasportati dal vento, quali muschi e licheni, che preparano le condizioni per un’evoluzione ecologica, di felci e piante da fiore prima, piante grasse e cactus poi. A partire dall’anno mille il Palo Loco “Senecio Praecox” divenne la vegetazione caratterizzante questo paesaggio vulcanico. La flora continua ad evolversi caratterizzata dalla presenza di agave, nopales, piante erbacee con fiori molto colorati fino ad arrivare ad ospitare arbusti e alberi resistenti alle condizioni di aridità e di elevato soleggiamento. La fauna diviene con il passare del tempo molto ricca, contando specie di tutte le classi, ed alcune specie endemiche. La topografia vulcanica, caratterizzata da profili spigolosi e tunnel rocciosi, crea un luogo con microambienti differenti ed un paesaggio di altissima qualità. Il Pedregal inoltre è caratterizzato da un forte dislivello partendo dalla cima dello Xitle di 3100 mslm fino ad arrivare ai 2240 metri della zona lacustre della valle con condizioni di temperatura, umidità e pendenza differenti, creando bosque de encino, matorral de encino y matorral de Senecio praecox. Jerzy Rzedowski afferma nel 1978 che il Pedregal ospita il maggior numero di specie vegetali e animali del Messico, a parità di area. Il Pedregal diviene un paesaggio unico grazie ad una storicizzazione ecologica durata 2000 anni, senza contaminazione umana.
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El Malpais, ispirazione artistica Il Pedregal era considerato un luogo poco adatto alla vita umana a causa della mancanza di terreni coltivabili e per la pericolosità delle specie animali presenti nel luogo quali Serpientes de Cascabel, tarantole, puma e scorpioni. Per il suo carattere inospitale e roccioso questo luogo venne soprannominato “el Malpais”. Texcallan, “paisaje de rocas”, rimase un isola di paesaggio vergine per quasi due millenni; creandosi uno status di luogo sacro e impenetrabile. Alcuni grandi artisti vennero catturati dalle caratteristiche peculiari di questo luogo. Durante il romanticismo vi fu un forte interesse verso questo paesaggio sublime, caratterizzato da rocce con andamenti bruschi e una forte distanza dall’essere umano. Durante questo periodo si colloca l’opera di Jose Maria Velasco e Joaquin Clausel. Le opere rappresentano il cambiamento del volto del Pedregal nelle diverse stagioni, la spigolosità delle rocce nei periodi di secca, e le fioriture colorate dei periodi di pioggia. Successivamente, con la corrente positivista, le attenzioni rivolte a questo luogo furono perlopiù di natura scientifica con l’esaltazione delle caratteristiche ecologiche storicizzate durante un periodo tanto lungo. All’inizio del ‘900 risalgono i primi trattati di botanica. Interessante è il ruolo che assume Tetetlan, “lugar de piedras”, durante il modernismo messicano. Nel XX secolo Diego Rivera, esploratore e amante del paesaggio messicano, ritrae scorci di rocce e cielo a rappresentare la tensione tra due elementi fortemente differenti. Gerardo Murillo noto come “Dr. Atl”, concentrò la propria produzione nel campo della pittura paesaggistica poiché la riteneva “la più alta esperienza dello spirito umano”. Dopo aver seguito studi di vulcanologia e aver dipinto le eruzioni del Popocatepetl, il Dr. Atl studiò approfonditamente el Pedregal de San Angel, dipingendo paesaggi rocciosi pressoché privi di presenza umana e vegetale. La pietra rappresentata da questo artista non è statica ma assume un “aspetto liquido”, come se fosse una colata lavica in movimento, forza naturale ancora attiva.Questi artisti, come anche Carlos Pellicer y Juan O’Gorman sono accomunati dalla visione del Pedregal non solo come un paesaggio di grande ricchezza estetica ma come un simbolo culturale da valorizzare e salvaguardare. Questo territorio assume importanza per la sacralità attribuitagli dagli antichi maya e per essere rimasto inalterato durante la conquista spagnola. Esso diviene quindi simbolo della sopravvivenza della cultura messicana intatta, resistente al dominio spagnolo, inserendosi nelle legittimazioni culturali ricercate dal neo stato rivoluzionario.
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L’approccio di Barragan Barragan iniziò ad interessarsi al Paesaggio del Pedregal tramite la conoscenza di tre artisti quali il Dr. Atl, Orozco e Rivera. I primi due, sia attraverso le proprie opere che per conoscenza diretta, trasmisero a Barragan la visione del Pedregal come di un paesaggio unico dalla forte valenza spirituale ed estetica. L’apporto di Rivera fu differente; egli infatti già nel 1930 aveva visto nel Pedregal un luogo di possibile espansione della città, per far fronte alla continua crescita demografgica e ai forti costi del mercato della casa. Nello scritto “Requisitos para la organizacion del Pedregal” egli poneva le basi urbanistiche del rapporto con il luogo, quali la necessità di creare grandi lotti in modo tale da non snaturare il paesaggio originario, restrizioni rispetto alla densità e all’altezza degli edifici, rispetto del substrato basaltico e la possibilità di creare dei giardini utilizzando unicamente le essenze locali, affermando infine che “non si sarebbe ottenuto nulla di buono da costruzioni distruttrici del sito paesaggistico”. Queste proposte verranno poi assunte da Barragan nella progettazione dei “Jardines del Pedregal de San Angel”. Barragn vede nel progetto dei Giardini del Pedregal la possibilità di creare dei nuovi modelli abitativi, rispondenti alle esigenze moderne, ma lontani dal caos della città. La volontà era quella di ritrovare la socialità di quartiere all’interno di un’oasi, discostandosi dall’alienazione provocata dalle metropoli moderne. Nel Pedregal, con il suo mare di basalto indomito, egli vede l’occasione per risvegliare la religiosità dell’uomo tramite la contemplazione della natura e il forte rapporto con essa. Fondamentale nell’approccio urbanistico è quindi la presenza dei giardini, atti a ricreare un ordine ed una spiritualità, andando ad intervenire sul paesaggio con elementi che rendessero più semplice la contemplazione e che allo stesso tempo non snaturassero i caratteri del luogo; a questo proposito egli afferma “non si deve violare né uccidere la natura, ma bisogna aiutarla e indirizzarla per nuove vie”. Barragan si dovette però confrontare, nella realizzazione dell’opera, con il lato imprenditoriale, comportato dalla costruzione di una zona di nuova espansione. Nel 1943 egli acquistò i terreni nella zona est del Pedregal. Con l’architetto Max Cetto egli progettò dapprima il sistema infrastrutturale che doveva seguire le linee rocciose del Pedregal, dopodiché effettuò una suddivisione in lotti, di dimensione minima di 2000 m2, che sarebbero stati progettati da differenti architetti successivamente. Sebbene vi fosse un piano stilato da Barragan, regolamentante le scelte da compiersi a livello progettuale, si possono distinguere due diverse periodi architettonici segnati dall’abbandono nel 1956 da parte dell’architetto promotore.Tra il 1948 e il 1952 vennero costruiti all’incirca 800 immobili sul terreno lavico. Questi erano
caratterizzati, ne sono sopravvissuti solo 60 ad oggi, da un rapporto interessante con il paesaggio: la volontà di Barragan era creare un contrasto tra l’elemento architettonico, caratterizzato dalla linea retta e da forme razionaliste, e l’elemento naturale, di silhouette organica, che potesse dare un’importanza artistica maggiore ad entrambi gli elementi. Si vanno a sviluppare le “Solucion Pedregal”. Il primo approccio è quello di modellare l’elemento architettonico, in forma di solido elementare, direttamente sulle forme rocciose. La compenetrazione tra i due elementi differenti pur creando un’antitesi tra antropico e naturale, disegna un elemento continuo e unitario, di fusione, creando una situazione adatta, dal punto di vista dell’architetto, alla contemplazione sia dell’architettura moderna che della natura dai richiami ancestrali. La seconda soluzione è rappresentata dalla creazione di lame orizzontali di sottile spessore, in parte in compenetrazione con la roccia, in parte a sbalzo. La distinzione tra i due elementi diventa più evidente andando a creare una situazione più tensiva. L’elemento architettonico nasce dalle forme organiche per arrivare poi ad avere un propria forma in contrasto con la topografia. Aumentando la differenza tra i due elementi, ed utilizzando la lastra piana contro la materialità della roccia, si crea una situazione più dinamica: la contemplazione non è più statica ma diviene un tendere tra due componenti differenti andando a esaltare ciascuno maggiormente. Il terzo approccio, facente parte della Solucion Pedregal anche se non ideato da Barragan, è un’evoluzione del secondo: si utilizzano piani orizzontali scostati dalle forme naturali e sostenuti tramite pilotis: questa è la soluzione più dinamica, che crea una sorta di movimento e dialogo continuo tra l’antropizzato e il naturale.
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Le forme architettoniche utilizzate sono quelle tipiche dello stile lecorbuseriano moderno, semplici bianche, unite però alla corposità messicana dei materiali locali e resistenti e degli intonaci spatolati. Le volontà di Barragan erano quelle di utilizzare un “repertorio formale di linee rette, piani tesi e forme geometriche elementari che non si ponessero in antagonismo con la bellezza del luogo, ma che con la loro semplicità potessero armonizzarsi per contrasto con le forme barocche delle formazioni laviche e la rigogliosa vegetazione”. Oltre alle soluzioni specifiche ideate per rapportarsi alle peculiarità della lottizzazione si possono ritrovare in quest’opera molti tratti caratteristici dello stile paesaggistico di Barragan. Tra questi è importante nominare l’utilizzo del muro. I muri in roccia basaltica, così come le recinzioni in legno grezzo e in metallo dipinto, vanno a stagliarsi nei giardini, creando punti di vista particolari, angoli contemplativi, percorsi e zone di sosta, tentando di differenziare e dare un carattere specifico agli elementi naturali preesistenti. L’inserimento di barriere ha come scopo quello di indirizzare l’approccio al paesaggio, andando a differenziare i caratteri tipici di ciascuna conformazione rocciosa e vegetale. Le mura avrebbero cinto ciascun lotto, in modo tale da dare la sensazione che ciascuno di questi fosse emanato direttamente dalla terra, senza distinzione tra spazi pubblici e spazi privati ma con la volontà di creare degli ambienti intimi, indipendentemente dal fruitore specifico. Lavorarono alla progettazione di queste case molti architetti importanti, sia messicani che stranieri, che, seguendo i dettami di Barragan, trasformarono quest’area in un complesso di estremo valore architettonico. Nonostante le qualità elevate dell’insediamento vi fu inizialmente una reticenza nell’acquisto dei terreni dovuta a una difficoltà nell’immaginare la vita nel “Malpais”. Vennero quindi progettati dei lotti sperimentali e attuata una campagna pubblicitaria, promossa dallo stesso Barragan, i cui annunci recitavano: “Jardines del Pedregal de San Angel, il luogo ideale per vivere. La dimensione dei lotti di almeno di 2000 m2 garantisce una zona residenziale di prim’ordine, dove incontrerete le comodità della città unite alle bellezze panoramiche” oppure “Scegliete la vostra residenza nella zona dove si costruisce il Messico del futuro, e non ve ne pentirete! Acquistate ora il vostro lotto con un piccolo acconto e potrete pagare il resto comodamente tra cinque anni! Presto questi terreni varranno molto di più” e ancora “Date la possibilità ai vostri figli di raggiungere la favolosa Città Universitaria”. Quest’ultimo annuncio spiega una dinamica interessante: le immagini dei giardini dimostrativi vennero utilizzati da parte dei promotori della Città Universitaria per convincere della fattibilità e del valore dell’area, ma solo dopo la costruzione della Città Universitaria vi fu un vero impulso nella compravendita dei lotti del frazionamento Giardini del Pedregal.
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Città Universitaria come nuovo polo Il primo progetto riguardante un campus universitario venne elaborato nel 1928 da Mauricio de María y Campos e Mariscal Gutiérrez Camarena; questo progetto si svolgeva sull’area a sud di Città del Messico dove oggi è collocato l’ospedale di Huipulco. Negli anni successivi, più volte venne riproposta l’idea di fondare una città universitaria, con diverse dislocazioni, sempre al di fuori del nucleo urbanizzato. Queste volontà si concretizzarono nel 1943 con la scelta di un’area non urbanizzata a sud della città e tramite una colletta per acquisire i territori dai contadini. L’area prescelta di 700 ettari fu quella del “Pedregal de San Angel” per il basso costo del terreno. La scelta del lotto all’epoca fu molto contestata, tra le varie opposizioni, riportate da María de Lourdes Alvarado, vi furono che “la dotazione di acqua e drenaggio sarebbe stata estremamente costosa e che sarebbe stato impossibile costruire sopra un terreno vulcanico, dato che le numerose faglie avrebbero impedito un’adeguata consolidazione per le fondazioni o che l’avrebbero resa eccessivamente costosa”, si affermava in oltre che “l’unione di studenti in uno stesso luogo avrebbe creato dei focolai di rivolta” e anche che “spostare l’Università in periferia avrebbe richiesto un costo molto alto per la creazione di nuove infrastrutture”. Gli oppositori rappresentavano principalmente due categorie: da un lato vi erano coloro che avrebbero avuto una perdita a livello di introiti se la UNAM si fosse spostata, quali commercianti e imprenditori collocati nel Barrio Universitario, dall’altra vi erano coloro che possedendo terreni periferici in altri luoghi della città avrebbero preferito che la CU venisse realizzata in essi, in modo tale da aumentare il valore dei propri possedimenti. Le opposizioni furono facilmente accantonate sia utilizzando le immagini pubblicitarie create da Barragan, che evidenziavano come la costruzione su quella tipologia di terreno non fosse soltanto possibile ma anche di forte valenza estetica, sia evidenziando come le opere infrastrutturali sarebbero state di dimensioni piuttosto relative, trovandosi l’area tangente l’anello periferico ad alto scorrimento e tagliata da Via Insurgentes, asse lineare che collega nord e sud di Città del Messico. La Città Universitaria nasce come un’isola, all’interno del mare di lava, sfondo suggestivo della vita studentesca. Soprattutto a causa dell’eliminazione in fase progettuale della presenza di residenze e commercio fu evidente che la CU non sarebbe stata un città autonoma. Per questo motivo si crearono grandi flussi in movimento, di studenti, docenti e personale, dalla città consolidata al nuovo elemento satellite. Se in un primo momento, grazie ai nuovi progetti di viabilità e all’utilizzo dell’automobile da parte di una fasce ristretta di popolazione, lo spostamento verso il nuovo complesso
polarità
isolamento
risultava abbastanza agevole, in pochi anni, con l’aumento del traffico veicolare, le volontà dei fruitori furono quelle di abitare in prossimità al luogo di studio o di lavoro creando la domanda per il mercato della casa. Dall’altro lato, la presenza di un tale flusso e la carenza di alcuni servizi all’interno dell’università attirò piccoli commercianti ed imprenditori. Questi fattori fecero si che in breve tempo l’espansione della megalapoli si concentrasse quasi unicamente verso sud arrivando prima a toccare e poi ad inglobare completamente la Città Universitaria. Il grande plusvalore che caratterizzò, e che tutt’ora denota l’area, fece si che il secondo periodo costruttivo, quindi a partire dal ‘56, divenisse molto più speculativo. La dimensione dei lotti venne ridotta a 750 m2 e molti dei luoghi comuni, previsti nell’opera iniziale vennero saturati; la qualità architettonica di questo periodo non è paragonabile a quella del primo.
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Iperurbanizzazione e informalità L’espansione della città in questa direzione e la presenza dell’Università fecero si che i terreni destinati a costruzione ricevessero un grandissimo plusvalore dando il via ad un processo fortemente speculativo. In questa cornice si va ad inserire la speculazione edilizia dei giardini del Pedregal, dove vengono eliminati spazi pubblici ed abbattute case originarie di altissimo valore per far fruttare il più possibile il terreno. Si creano diversi complessi abitativi dedicati alla classe più ricca , di cui a metà del secolo scorso faceva parte quasi la totalità della popolazione studentesca. Accanto a questi modelli, che per quanto commerciali garantivano comunque la sopravvivenza del paesaggio originario grazie alla dimensione dei giardini privati, si svilupparono conjuntos habitacionales e quartieri informali che andarono a minare in maniera definitiva l’integrità dell’ecosistema. Tra questi è esplicativo analizzare il caso della colonia di Santo Domingo de los Reyes. Nel 1971 vi fu un’invasione del territorio a ovest della Città Universitaria. Questo insediamento di origine informale differisce dalle tipiche colonie autocostruite nella città. Di norma a Città del Messico la costruzione dei quartieri informali avviene su lottizzazioni illegali di terreni agricoli ma dove è presente una compravendita e dove i terreni hanno un loro prezzo di mercato, anche se solo a livello informale. Il terreno di Santo Domingo viene invece invaso, nel giro di soli tre giorni, da 4000 famiglie che vi si stanziano. Questo fu possibile grazie ad una particolare situazione politica. Da un lato, il capo del Governo, che aveva utilizzato una forte repressione nei confronti degli studenti a partire dal ‘68, in quel momento stava cercando un riavvicinamento con l’opposizione politica, e sarebbe stato controproducente intervenire con la
forza per cacciare i coloni. Dall’altro, l’occupazione avvenne in quel momento perché probabilmente trapelò il disegno di legge che era in discussione. Questo riguardava la trasformazione degli insediamenti rurali informali in regolari, ove questi rispondessero a requisiti minimi. Il quartiere di Santo Domingo de los Reyes occupa 2,5 km2 del terreno del Pedregal. Soprattutto nella fase di insediamento la presenza di terreno lavico andò a creare molte difficoltà. L’assenza di fonti d’acqua e la difficoltà di perforare il terreno per creare dei pozzi, obbligò i colonos a creare sistemi di drenaggio, atto molto complesso su un terreno impervio come quello del Pedregal. Altra problematica fu la presenza della fauna autoctona pericolosa per l’uomo, come scorpioni e serpenti velenosi. Inoltre la disconnessione e la durezza del terreno resero molto difficile la creazione di un sistema viario anche solo abbozzato. La collocazione dell’insediamento però conteneva caratteri molto positivi: la presenza di infrastrutture urbane, di quartieri con servizi e dell’Università stessa sarebbero stati in grado di provvedere alle carenze tipiche di una colonia popolare e con ogni probabilità di permetterne miglioramenti. La prima fase del processo di occupazione comprese la divisione in lotti, la creazione della rete viaria e la costruzione di tubazioni per l’acqua. Nel 1971 il terreno era stato diviso in 20.000 lotti, di superficie compresa tra i 90 e i 200 m2, dagli stessi coloni sotto la guida dei propri capi. Per collegare e definire gli isolati vennero tracciate le strade, secondo viabilità principale e secondaria. Queste, che inizialmente non potevano essere percorse da mezzi, verreno rese complanari tramite l’uso della dinamite e sistemi molto invasivi. Per quanto riguarda le caratteristiche abitative si rimanda al capitolo Texture: Ciudad Colonial, poiché questo insediamento non presenta particolarità da questo punto di vista ma segue l’iter precedentemente analizzato. La seconda fase attraversata dalla colonia fu quella di “transformacion”. Si proseguì nel miglioramento viario e delle abitazioni (passaggio da “colonia en formacion” a colonia “en proceco de consolidacion”); ciò che caratterizzò in particolare questa colonia fu la rapidità di formazione di scuole informali e di commercio, anche specifico. L’opera notevole dei coloni unita alla dislocazione ottimale favorì, nel giro di soli tre anni dalla fondazione, l’interesse da parte delle amministrazioni a legalizzare l’insediamento. Nel 1974 Fideurbe, dopo aver acquistato i terreni dai legittimi proprietari, iniziò un processo di riconoscimento di proprietà della terra ai colonos. Le autorità intervennero nel normalizzare il sistema degli acquedotti, nel miglioramento dell’infrastruttura viaria, e nell’introduzione di alcuni servizi igienici e medici. Lo sviluppo di consolidazione della colonia si accompagna ad una densificazione abitativa. Questo processo, che avviene grazie
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al miglioramento della situazione economica degli abitanti, oltre a corrispondere ad un miglioramento della qualità degli edifici, dà anche la possibilità ai coloni di aumentare i propri introiti con l’affitto di stanze o interi appartamenti. La collocazione nei pressi dell’Università ha fatto si che il mercato degli affitti divenisse molto vivace, grazie alla domanda continua degli studenti e al prezzo relativamente basso dell’offerta. Inoltre, sempre grazie alla presenza della CU, il commercio localizzato nella zona ha goduto, e continua a farlo tutt’ora, della presenza degli studenti andando a specializzarsi in cartolerie, librerie, copisterie, e ristoranti a basso prezzo rispondendo quindi alla mancanza di servizi e commercio della UNAM. Sicuramente uno dei guadagni maggiori, grazie alla localizzazione, è stato l’inserimento di una fermata della metropolitana che ha connesso definitivamente questa colonia con il resto della città. Ad oggi il quartiere di Santo Domingo rientra nella categoria delle colonie di densità media e ancora non si può parlare di una zona consolidata poiché non sono stati eliminati completamente i problemi di insicurezza tipici delle zone irregolari, e perché l’accesso rimane precario e non sono presenti tutti i servizi necessari, soprattutto per quanto riguarda la parte meridionale. Inoltre solo l’80% delle costruzioni è stato regolarizzato e legalizzato, mentre il restante 20% non si è potuto convertire spesso a causa della superfetazione dei lotti in modo non conforme alla legislazione.Nella costruzione informale, densa e senza regolamentazioni, possiamo ritrovare la causa maggiore di perdita di biodiversità, frammentazione e indebolimento del sistema ecologico del Pedregal.
participacion ciudadana
piccole parti con percorsi che si interrompono veg encinos y pinos
veg pino encinos curata
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I residui non urbanizzati
Per divenire l’entità ecologica presente a metà del secolo scorso, il Pedregal ha impegato due millenni; negli ultimi 50 anni, invece, a causa dell’iperurbanizzazione, il paesaggio è stato fortemente frammentato e messo a rischio. Oggi solo un un terzo del territorio che conta le caratteristiche ambientali storicizzate; la perdita ecologica è invece molto maggiore poiché è esponenziale rispetto alla frammentazione e alla diminuzione delle aree pedregaline. Nonostante le difficoltà tecniche derivanti dalla costruzione sul basalto, irregolare e con cavità sotterranee, quasi tutta la parte bassa, che si trova più a nord e quindi più vicino al centro, è stata occupata da colonie e opere di viabilità. L’iperurbanizzazione è andata a minare fortemente la zona ecologica del Pedregal de San Angel andando a distruggere quasi completamente e in modo irrecuperabile l’ecosistema del Senecionetum. Gli unici frammenti del paesaggio di Palo Loco sono rappresentati dalla REPSA, riserva ecologica del Pedregal de San Angel. Le aree resistenti di Matorral de Encino di dimensioni consistenti, e che quindi possono ancora dirsi nicchie ecologiche, sono il Predio Los Encinos e parte del Bosque de Talplan. Il Bosque de Encino, la parte più resistente del paesaggio, è l’area a Sud, che si dispiega ripidamente sulle pendici della cordigliera vulcanica più difficile da raggiungere. Questa zona corrisponde al suolo di conservazione, definito a livello legislativo come entità naturale da salaguradare, e, essendo molto ampio e difficilmente controllabile, presenta casi di abusivismo che andrebbero a minare ancora di più le resistenze paesaggistiche. L’urbanizzazione incontrollata, oltre ad aver distrutto flora e fauna, è andata ad incidere sulle caratteristiche geomorfologiche. Durante gli anni ‘70 vi fu un forte impulso alla costruzione con pietra locale a basso costo e quindi la creazione di cave. L’estrazione della roccia basaltica ha portato alla rottura strutturale del substrato geologico, comportando la diminuzione irreversibile dell’estensione del Pedregal. Solo nella Cantera Oriente furono estratti cinque milioni e mezzo di metri cubi di pietra. L’utilizzo compulsivo del materiale locale durante questi anni ha portato anche alla perdita di importanti beni archeologici, distrutti o utilizzati come materiale da costruzione. La situazione del paesaggio del Pedregal ad oggi è critica; per proteggerlo si tende a chiuderlo e renderlo inaccessibile. Questo atto di salvaguardia comporta però delle problematiche: la chiusura fa si che non vi sia scambio di fauna e flora tra i relitti resistenti
e rende impossibile alla popolazione la conoscenza e quindi l’interessamento alla salvaguardia di questo paesaggio. Anche i frammenti di dimensioni minori, non sottoposti a salvaguardia perché molto piccoli o perché hanno subito cambiamenti di vegetazione, sono difficilmente accessibile, sicché la conoscenza di questo paesaggio unico risulta difficile se non impossibile.
Difficoltà di accesso: barriere L’area presa in esame è una delle zone di Città del Messico con la maggior quantità spazi aperti. Questo però non è indicativo delle possibilità dei cittadini di accedere agli spazi aperti ed in particolare ai luoghi con valore paesaggistico elevato, che storicamente avevano caratterizzato quest’area. Si è proceduto a sistematizzare le barriere fisiche da cui sono circondate le 58 aree prese in esame. Le barriere sono state differenziate in base al grado di forza e alla tipologia di cesura che creano sul territorio, distinguendole tra: dislivelli, recinzioni, mura, cortina di edifici. I dislivelli sono la tipologia di cesura meno forte. Questi infatti, sebbene non permettano la fruizione di una data area o il passaggio, sono caratteri naturali del luogo, che non vengono
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associati all’invalicabilità di una proprietà, e non sono definibili quindi come confine psicologico. Inoltre, nella maggior parte dei casi, questi permettono una continuità a livello visivo e non spezzano il paesaggio; sono delle barriere per lo spostamento umano ma permettono la continuità ecologica e la migrazione faunistica. La seconda tipologia di confine è segnata dalla recinzione: queste non creano una barriera visiva poiché lo sguardo riesce a percepire cosa chiudono, sono però un simbolo forte di proprietà privata. Con semplici accorgimenti, quali l’apertura di cancelli, o la colorazione delle recinzioni la forza come barriera va diminuendo sia dal punto di vista fisico che psicologico. Il muro, spesso terminante con il filo spinato, è il simbolo più forte della cultura della difesa. A meno che non sia di dimensioni ridotte rende impossibile capire cosa nasconda dietro di sè. Esso rappresenta una barriera fisica, visiva e psicologica molto forte, ed è difficilmente riconvertibile. É stata infine sistematizzata come barriera la cortina continua di edifici: questa non viene percepita come una barriera perchè non risponde all’estetica della chiusura. Rappresenta però una barriera fisica forte, poiché, oltre a non permettere il passaggio verso una data area, è difficilmente eliminabile, trattandosi spesso di costruzioni private. D’altro canto, proprio il fatto di non essere percepita come barriera, nega nella coscienza il fatto che stia schermando un luogo pubblico; non vi è la volontà di scoprire cosa nasconde come accade invece nella circumnavigazione del muro o nella ricerca di un cancello. La suddivisione in diverse tipologie di barriere darà indicazioni per agire a livello progettuale, evidenziando quali siano le barriere più facilmente eliminabili o rese porose. Il secondo elemento analizzato, che riguarda la forza delle barriere, è relativo alla fruibilità delle aree. Esistono infatti spazi pubblici che non dovrebbero necessariamente essere chiusi da barriere mentre vi sono aree destinate a fruizione ristretta. E’ stata effettuata una catalogazione delle aree rispetto all’accessibilità. La categoria più restrittiva è “accessibile solo con permessi” che va
accessibilità completa
accessibile a orari
accessibile ma con barriere
accessibile solo con permessi
! 45°
accessibilità completa
accessibile a orari
accessibile ma con barriere
accessibile solo con permessi
! 45°
dislivelli paesaggistici
recinzioni permeabilità visiva ma non fisica
? ! mura impermeabilità totale, simbolo chiusura
?? cortina di edifici non percezione presenza spazio pubblico
a denotare quelle aree che, pur avendo una caratterizzazione classificabile come luogo pubblico, sono fruibili solo da una fetta ristretta di popolazione; di questa tipologia fanno parte i parchi comuni dei quartieri chiusi accessibili solo ai residenti, le aree ecologiche dove possono entrare solo ricercatori o visitatori con permessi, aree su suolo di privati quali club sportivi di alto livello, aree destinate a futura costruzione e scuole private. Se la volontà progettuale sarà quella di agire su queste aree risulterà necessario andare a rivedere le funzioni dei luoghi e creare un dialogo con il proprietario. La seconda tipologia di accessibilità riguarda gli spazi accessibili in date fasce orarie fuori dalle quali queste vengono chiuse. Coincidendo le fasce orarie con la normale fruizione di giardini e parchi, questa categoria è stata accomunata a quella degli spazi pubblici accessibili ma con barriere. Questi luoghi, seppur fruibili da tutta la popolazione presentano delle barriere forti con pochi varchi, che rendono difficile l’accesso e in alcuni casi nascondono gli spazi pubblici. Delle aree analizzate solo 11 su 58 risultano facilmente accessibili; prendendo in considerazione la dimensione delle aree possiamo dire che solo il 5% del territorio non urbanizzato è facilmente fruibile. Inoltre, facendo un’analisi riguardo al verde urbano pro capite accessibile, possiamo notare come questo sia estremamente al di sotto degli standard. Se i valori di urbano pro capite risultano essere di 14,7 m2/persona le aree effettivamente fruibili equivalgono a soli 2m2/persona, valore decisamente sotto la soglia di accettabilità (fissata a 9m2/ab).
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Strade come cesura, modelli di mobilità Analizzando le barriere a livello territoriale è necessario evidenziare come la presenza di strade ad alto scorrimento crei delle cesure che impediscono il facile raggiungimento dei territori pubblici. Le due strutture viarie che incidono più fortemente sul territorio sono Avenida Insurgentes, con direttrice nord sud, ed il circuito periferico, che seziona l’area del Pedregal secondo l’asse est-ovest. Altre strade ad alto scorrimento vanno a segnare fortemente il perimetro del Pedregal e la gestione interna della Città Universitaria. Queste strutture rappresentano tagli netti nel tessuto poiché sono difficilmente oltrepassabili, soprattutto nel caso di superstrade. La gestione dei flussi avviene tramite sovrappassi e sottopassi che permettono un attraversamento sicuro; questi sono però piuttosto radi e posti in punti non ottimali. I quartieri ricchi a prevalenza residenziali presentano una rete di strade principali piuttosto forte, con una sezione che spesso non comprende una zona pedonale. Questo deriva dall’uso totalizzante dell’automobile come mezzo di spostamento. Questi luoghi infatti ospitano poche funzioni di servizio per la comunità. La necessità degli abitanti di espletare i propri bisogni presuppone l’uscita dal quartiere stesso, quindi un percorso di lunghezza non trascurabile
avenida insurgentes
circuito periferico
superstrade alto scorrimento principali secondarie
e conseguentemente un forte utilizzo di mezzi su gomma. I quartieri più popolari, a causa della presenza di commercio nella abitazioni al piano terra e di mercati informali presentano una struttura viaria molto differente. Le vie vengano occupate principalmente dai pedoni, andando a creare una sorta di “zona 30” naturale. L’utilizzo dell’auto è fortemente disincentivato a causa della non differenziazione dei flussi e della forte presenza pedonale. Dal quadro che emerge dall’analisi risulta come in tutta l’area vi sia una forte mancanza di infrastrutture dedicate appositamente alla mobilità lenta e pubblica. Vi sono infatti solo 8 fermate dell’autobus, di cui appena la metà all’interno del territorio e non sul perimetro. La metro invece conta tre fermate concentrate nella parte nord. Non esistono vie pedonali e unicamente due percorsi ciclabili di cui uno all’interno della città universitaria. Il secondo percorso ciclabile rappresenta l’unica infrastruttura ciclabile di dimensioni importanti al di fuori del centro storico e pur essendo un elemento interessante per la possibilità connettiva rimane autoreferenziale.
Texture e spazio pubblico: linguaggi diversi Il territorio del Pedregal può divenire un caso studio estremamente esplicativo della situazione di frammentazione del tessuto urbano di Città del Messico. In soli 80m2 di territorio possiamo infatti ritrovare le tipologie precedentemente analizzate del residencial alto, residencial medio, conjunto habitacional, pueblo conurbado e colonia popular nei diversi stati di evoluzione. Le differenze tra questi tessuti creano un territorio disomogeneo e poco coeso sia dal punto di vista urbanistico che sociale. I servizi pubblici e gli spazi presenti nelle differenti texture vanno a caratterizzare, e allo stesso tempo si caratterizzano, per la composizione sociale di quel dato quartiere creando delle isole poco comunicanti. Senza ripetere le distinzioni socioeconomiche precedentemente analizzate su macroscala, che si ritrovano anche in questo luogo, è interessante analizzare come si dispiega la vita pubblica e lo spazio che genera. I 7 conjuntos habitacionales sono costituiti principalmente da edifici sviluppati in altezza con piazze centrali destinate ai residenti che con il passare del tempo sono state trasformate in parcheggi; solo due casi presentano delle zone verdi private. I pueblos conurbados, come copilco el alto, e los pueblos viejos presenti nella zona nord est dell’area presentano una struttura costituita da vie strette e irregolari rappresentative dei paesini rurali;questi luoghi sono caratterizzati da una forte vita pubblica di strada e dall’unità del quartiere soprattutto durante le feste religiose e tradizionali. La maggior parte del territorio si suddivide però tra colonie informali
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colonia popular residencial alto pueblo conurbado conjunto habitacional
e quartieri ricchi. Le differenze spaziali sono fortissime. Nel caso de los Jardines del Pedregal e de los Jardines de la Montaña, vi sono spazi verdi di alta qualità sebbene pochi di questi siano completamente pubblici. Infatti, anche se questi quartieri non erano stati concepiti come gate community, in molti casi si è assistito alla formazione di colonias cerradas e all’appropriazione illegale delle calles cerradas, che sono andate a chiudere spazi prima pubblici e che hanno inficiato sulla rete della mobilità.Grazie alla presenza di abitanti benestanti le aree verdi presenti sono curate e di valore elevato, anche se spesso presentano una tipologia di paesaggio importata che ricorda l’ “american way of”. In questi quartieri, a prevalenza residenziale, gli spostamenti avvengono principalmente in auto anche verso le zone pubbliche a meno che queste non facciano parte di un complesso chiuso. Modalità opposte appartengo invece le colonias populares quali
spazi pubblici strade vita pubblica metro
il pedregal di Santo domingo, San Nicolas e Santa Ursula Xitla che sono fortemente carenti di spazi verdi e spazi pubblici. Ciò deriva dalla lottizzazione abusiva intensiva che segna la nascita di questi quartieri. Si crea in questi luoghi una forte aggregazione di strada e una vita di quartiere molto vivace. Sono molteplici i caratteristici mercati informali che vanno a creare delle zone pedonali e pubbliche di socialità. Le esigenze di avere spazi pubblici di prossimità, quali parchi gioco, aree sportive e verdi attrezzati, si sono espletate nel recupero degli spazi di risulta quali gli spartitraffico e le zone destinate a costruzione ma non edificate o abbandonate. Sebbene non vi siano delle barriere fisiche che separino i differenti tessuti, ad eccezione dei conjuntos cerrados, vi è una forte divisione sociale; questa si rispecchia nella forte differenza della vita degli spazi pubblici senza trovare elementi comuni che possano creare un’unitarietà nel territorio.
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Tra spazi di prossimità e riserve Gli spazi aperti esistenti nel Pedregal presentano caratteristiche molto differenti sia rispetto alla destinazione d’uso, sia per quanto riguarda i caratteri naturali e paesaggistici. Al fine di comprendere quali siano i luoghi che conservano il paesaggio storicizzato e le caratteristiche dei luoghi pubblici e di aggregazione, è stata fatta una sistematizzazione delle aree verdi per funzione e tipologia di vegetazione, associandole successivamente all’accessibilità precedente studiata. La catalogazione delle aree si basa sulle categorie ISTAT ponendo come prima differenziazione aree urbane e aree rurali. Nel territorio analizzato le aree non urbane si trovano nella delegazione di Talplan e corrispondono con il perimetro dettato dalla zona di conservazione. Di quest’area fanno parte quindi Suelo Conservaciòn y Biodiversidad, il Parque Ecologico de la Ciudad de Mexico e il centro ambientale Ecoguardas, per una superficie totale di oltre 2000 ettari che rappresentano più di due terzi del verde totale. In questa zona si è mantenuta la vegetazione storicizzata pedregalina caratterizzata dal Bosque de Encinos. Per quanto riguarda invece le aree urbane è stata effettuata una prima differenziazione tra aree naturalistiche e verdi attrezzati. Della prima categoria fanno parte i boschi urbani, le aree verdi dedicate a futura costruzione, gli spazi residuali infrastrutturali; tutti questi elementi conservano la vegetazione originaria del luogo poichè non vengono sfruttati e non sono stati progettati, e nella maggior parte dei casi sono luoghi di difficile accesso a causa di barriere fisiche o di dislivello. I restanti 370 ettari sono di verde attrezzato e si suddividono tra parchi urbani, aree sportive, parchi gioco e aree culturali. I campi sportivi non presentano in nessun caso la vegetazione originaria ma anche nelle altre categorie questa difficilmente supera il 25%. Da queste analisi risulta evidente come sia molto difficile accedere agli spazi aperti nell’area di analisi ma soprattutto come vi sia una forte correlazione tra spazi accessibili e tipologia di vegetazione. Il paesaggio del Pedregal è nascosto alla popolazione e difficilmente fruibile salvo rari casi. Questo porta alla poca conoscenza da parte degli abitanti della presenza di questo paesaggio di alto VERDE URBANO PRO CAPITE (stima senza il contributo del suolo valore e conseguentemente undi conservazione disinteressamento verso la sua non stimabile come verde urbano) salvaguardia.
verde urbano 14,7 m2/pers accessibile 2,4 m2/pers
aree culturali
1,44 specie/ ha
didattica museo reperti storici
97 ha
14,9°
17,8°
AMMORTIZZAZIONE TEMPERATURE
verdi residuali
DIVERSITÀ BIOLOGICA
parcogiochi 14 ha
aree sportive
88 ha
RICARICA DELLA FALDA
PRODUZIONE DI O2
parco urbano
161 ha
361 ha verde attrezzato:
aree naturalistiche: 370 ha
riserve ecologiche
aree protette: 2322 ha
suolo di conservazione
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Un paesaggio di alta qualità I relitti di verde urbano del Pedregal rappresentano uno dei pochi ecosistemi sopravvissuti all’espandersi della megalopoli. L’alta biodiversità non è data soltanto dalla lunga storicizzazione del paesaggio ma anche dalla migrazione in questo luogo delle specie presenti in tutta la Valle del Messico. Il Pedregal, luogo di incontro e rifugio per quelle specie animali che non possono trovare altrove un habitat adatto, divene un laboratorio naturale di eccezionale valore “per lo studio dei processi evolutivi delle comunità su un isola di lava”. Solo nel territorio della REPSA sono presenti 377 specie di piante vascolari, 800 specie di artropodi, sei specie di anfibi, 15 di rettili e 37 di mammiferi, 148 specie di uccelli, che rappresentano quasi il 70% dell’avifauna presente nella Valle del Messico, delle quali 84 residenti e 54 migratorie. Vi si trovano inoltre alcune specie endemiche tra cui la leutherodactylus grandis, una rana a rischio di estinzione, e quattro specie di volatili. Vi sono residenti inoltre api, pipistrelli e colibrì che garantiscono l’impollinazione non solo della zona pedregalina ma di tutta la conca. Anche la flora costituisce un lato molto interessante soprattutto per quanto riguarda la presenza di molteplici tipi di orchidee tra cui due endemiche. Questo luogo, proprio per le sue caratteristiche di biodiversità è stato oggetto di studio a partire dal 1787, data della “Real Expedicion de Historia Natural de la Nueva Espana”. Ricercatori escursionisti quali Paul Moury e Joseph N. Rose hanno dato un forte contributo nella schedatura di flora e fauna trai XIX e l’inizio del XX secolo, rendendo possibile comprendere in parte l’evoluzione degli ecosistemi e l’impatto negativo portato dalla forte urbanizzazione. Altri studiosi che all’inizio del secolo passato si sono interessati a quest’area sono stati gli archeologi Gamio e Robles. Quando il Pedregal divenne una cava per l’estrazione di pietra da costruzione vennero ritrovati reperti archeologici quali sepolcri, pavimenti, filari di pietra e ceramiche appartenenti all’epoca arcaica. Il ruolo storico di questo luogo è estremamente significativo poiché vi si ritrovano i reperti più antichi della Repubblica Messicana. Sebbene molti di questi siano stati distrutti dalla costruzione incontrollata di carattere informale, è plausibile che alcuni resti siano ad oggi presenti sul territorio lavico; ad esempio all’interno della riserva della REPSA sono stati scoperti alcuni tumuli di roccia basaltica che segnavano i luoghi di culto. Purtroppo la protezione e l’attenzione data a questi ritrovamenti è scarsa, eccezion fatta per la piramide di Cuicuilco che è stata valorizzata. Gli antichi trovavano questo luogo tanto suggestivo da
Lichene
Helecho Cheilantes bonariensis
Hierba del pollo Commelina coelestis
Biznaga Mammillaria magnimamma
Oreja de burro Echeveria gibbiflora
Palo loco Senecio praecox
Magueyes GĂŠnero Agave
Nopal Opuntia tomentosa
Orquidea Bletia urbana
Pata de gallo Sprekelia formosissima
TepozĂĄn Buddelia cordata
Oreja de burro Echeveria gibbiflora
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ritenerlo sacro; in epoche più recenti la forza estetica di questo paesaggio ha colpito anche pittori e poeti. Le opere di questi artisti, spaziando dallo stile romantico a quello moderno, rivelano la bellezza di questo paesaggio. Il valore del Pedregal, si manifesta soprattutto dal punto di vista ambientale. Grazie alla presenza di roccia lavica, di permeabilità medio alta, il terreno assorbe l’acqua piovana per poi rilasciarla nel manto freatico; questa funzione è particolarmente importante all’interno della Valle poiché i terreni su cui sorgeva il lago Texcoco sono di composizione argillosa e non permettono l’infiltrazione delle acque. Il sistema del Pedregal funziona inoltre come importante regolatore microclimatico, essendo un dissipatore di calore durante la stagione calda delle piogge, e una fonte di umidità durante il periodo più freddo in cui vi è secca. Altri benefici apportati dai frammenti resistenti, oltre alla mitigazione del clima, sono il controllo della contaminazione dell’aria, grazie all’assorbimento e alla fissazione di o2, il riciclaggio di nutrienti, la riduzione del rumore.
I rischi dell’iperurbanizzazione Il territori del Pedregal di San Angel ha subito forti modifiche a causa dell’iperurbanizzazione iniziata a metà del secolo scorso. La crescita rapida e incontrollata del tessuto urbano ha portato alla perdita di due terzi di territorio naturale e alla frammentazione dei relitti rimanenti. Questo ha indebolito moltissimo l’ecosistema riducendone fortemente la biodiversità: le specie di mammiferi sono diminuite del 75% mentre i rettili, specie più adattabile e resistente, del 35%. Anche la flora ha subito danni irreparabili, con una perdita di un terzo delle specie. Le problematiche portate dall’urbanizzazione e dalla presenza dell’uomo sono molteplici, e non riguardano unicamente la distruzione di una parte di habitat. È stata fatta una comparazione tra differenti articoli per determinare quali siano i caratteri che portano all’indebolimento continuo di questo ecosistema trovando nel documento “Atlas de riesgos” le informazioni più complete. La frammentazione dell’ecosistema, non si manifesta soltanto nella presenza geografica di isole biodiversità pedregalina, ma anche nell’esistenza di barriere antropiche. La creazione di muri e reti, nata per la salvaguardia delle aree protette, non è efficace nella risoluzione delle problematiche di sicurezza poiché i confini, se non sorvegliati, possono essere facilmente superati dalla popolazione, comportando in alcuni casi il furto di piante e animali. La presenza di recinzioni va inoltre ad impedire il passo alla fauna del luogo, creando debolezza genetica nelle varie isole a causa della diminuzione di biodiversità. Anche le strade ad alto scorrimento rappresentano delle forti barriere sia a livello di inquinamento acustico, che spesso impedisce agli animali di sentire i richiami, sia per la salvaguardia della fauna; le strade rette ove si superino i 40 km/h sono spesso luogo di incidenti mortali per gli animali. Altra problematica rilevante, oltre alla diminuzione delle specie native, è l’introduzione di specie esotiche. Per quanto riguarda la flora molto dannoso è stato l’inserimento dell’essenza Penisetum clandestinum, per la creazione di prati all’inglese, che impedisce la crescita delle piante vascolari andando ad alterare le caratteristiche del terreno. Nociva è stata l’introduzione di alberature quali azaleas, clavos, piracantos, jacarandas, truenos che hanno modificato 149
30%
35%
50%
75%
la composizione originale di questo ecosistema distruggendo il paesaggio xerofilo che muta durante le stagioni; l’alberatura più problematica è l’eucalipto, che si espande con modalità infestanti anche sul suolo roccioso e che da un lato impedisce all’acqua di penetrare nel manto freatico, dall’altro crea forti zone ombreggiate che impediscono la crescita di piante vascolari. Una delle problematiche più forti di Città del Messico riguarda la produzione di residui che non vengono smaltiti. Anche nella zona analizzata questo ha dei risvolti critici. L’abbandono di residui nelle zone ecologiche poco sorvegliate, siano questi rifiuti domestici o accumulazione di potature, implica l’inquinamento del suolo con conseguente impossibilità di crescita della vegetazione e l’aumento della probabilità di incendi. Questi ultimi, soprattutto a causa della presenza di essenze importate quali gli eucalipti, tendono ad espandersi molto velocemente distruggendo grandi aree naturali. Inoltre la presenza di cassonetti e cestini non progettati adeguatamente fa si che le zone con spazzatura attirino cani e roditori, e conseguentemente serpenti e gatti, rendendole luoghi pericolosi sia per la fauna autoctona che per gli esseri umani. Risulta evidente dalle problematiche sovracitate che per la salvaguardia di questo ecosistema oltre alla diminuzione delle barriere e alla riconnessione tra i vari frammenti, sia necessaria un’opera didattica volta alla sensibilizzazione della popolazione.
infiltrazione benzina
incendi
!
!
specie esotiche
rubare piante
accumulazione rifiuti
traffico
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