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Cultura
I FIORI DEL BAROCCO
Ciro Lomonte*
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Figura 1. Palermo, navata destra di Casa Professa. Foto di Domenico DiVincenzo.
La cultura cattolica dalla quale è gioiosamente scaturita l’arte barocca, come da una sorgente da cui zampillano perennemente acque abbondanti, viene alimentata dalla Rivelazione divina, contenuta nelle Sacre Scritture ed in quella trasmissione viva da una generazione di credenti alla successiva che viene denominata Tradizione. Nelle prime pagine della Bibbia l’agiografo compone con sapienti pennellate un affresco mozzaAiato di cui potrebbero sfuggire tanti particolari, simbolici e non. L’uomo, dopo essere stato creato, venne posto nel giardino dell’Eden per coltivarlo e custodirlo. Dio afAidò all’uomo — prima del peccato originale — la sorprendente responsabilità di rendere più bella la natura. Conseguenze della caduta luciferina furono il sudore e la fatica, il travaglio, non il lavoro in sé, che avrebbe dato grandi gioie a donne e uomini nel Paradiso Terrestre anche se Adamo ed Eva avessero superato la prova. Che consisteva nell’obbedienza, nell’umiltà, nel riconoscersi creature, non in altre fantasticherie proposte a più riprese nei secoli.
*Questo saggio è pubblicato in: Romano T. (a cura di), In Natura Symbolum et Rosa. Thule, 2019.
Ciro Lomonte (Palermo 1960) è un architetto, personaggio pubblico e politico, esperto in arte sacra. Dopo la maturità ha studiato presso le facoltà di architettura dell’Università di Palermo e del Politecnico di Milano. Dopo la laurea ha iniziato a lavorare presso studi privati di architettura; in uno di essi conobbe l’architetto Guido Santoro, con il quale strinse amicizia e sodalizio professionale. Dal 1987 al 1990 ha partecipato all’elaborazione del piano di recupero del centro storico di Erice. Nel 1988 inizia le sue ricerche nel campo dell’arte sacra. Ha partecipato alla rideAinizione di molte chiese, in particolare Maria SS. delle Grazie a Isola delle Femmine, Maria SS. Immacolata a Sancipirello, Santo Curato d’Ars a Palermo ed altre. Attualmente, insieme a Guido Santoro, sta adeguando l’interno della chiesa di Santa Maria nella città di Altofonte vicino Palermo. Dal 1990 al 1999 ha diretto la Scuola di Formazione Professionale Monte Grifone (attuale Arces) a Palermo. Dal 2009 è docente di Storia dell’Architettura Cristiana Contemporanea nel Master di II livello in Architettura, Arti Sacre e Liturgia presso l’Università Europea di Roma. Nel 2017 è stato candidato sindaco di Palermo per il partito indipendentista Siciliani Liberi. È autore e traduttore di numerosi libri e articoli dedicati alla architettura sacra contemporanea. Nel 2009, insieme a Guido Santoro, ha pubblicato il libro “Liturgia, cosmo, architettura” (Edizioni Cantagalli, Siena).
«E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”. Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra”. Poi Dio disse: “Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo [1]».
«Quando il Signore Dio fece la terra e il cielo, nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata — perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e nessuno lavorava il suolo e faceva salire dalla terra l’acqua dei canali per irrigare tutto il suolo —; allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e sofAiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male [2]».
«Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse.
Figura 2. Palermo, Casa Professa. Foto di Domenico DiVincenzo.
Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti” [3]».
Ribelli ma pur sempre classici
Roma — a causa della cattività avignonese dei Papi — non conobbe la stagione del Gotico, uno dei momenti più proliAici per elaborazione di simboli nella rappresentazione artistica. La ritrovata capitale universale del mondo cattolico, dopo il ritorno del Successore di Pietro, divenne invece territorio propizio per la rinascita dell’arte romana, riletta alla luce della dottrina rivelata e dell’approfondimento teologico. L’Umanesimo ebbe diversi centri di irradiazione, ma Rinascimento, Manierismo e soprattutto Barocco, trovarono nell’intramontabile Urbe uno straordinario laboratorio di
sperimentazioni corali. Da lì esse vennero diffuse e declinate in modo originale in tutto il mondo. Per coralità, in arte, non dovrebbe intendersi un’imprevedibile sinfonia di solisti che rinuncino per prodiga longanimità al proprio narcisismo. È anacronistico attribuire «Per coralità, in arte, non dovrebbe intendersi un’imprevedibile sinfonia di caratteristiche dell’arte concettuale all’arte autentica, anche nel caso di giganti solisti che rinuncino per prodiga burberi come Michelangelo. longanimità al proprio narcisismo. È Le orchestre, in particolare anacronistico attribuire caratteristiche nelle arti Aigurative, sono dell’arte concettuale all’arte autentica, anche nel caso di giganti burberi come Michelangelo» piuttosto comunità formate da committenti colti che facciano richieste ben soppesate, architetti che sappiano comporre luoghi in cui tutti gli artisti possano esprimersi al meglio, creativi e artigiani di tutti gli ambiti della trasAigurazione della materia. A volte c’è anche un popolo umile che dona generosamente piccoli risparmi per contribuire alla realizzazione dell’opera. Il termine “barocco” è impiegato comunemente per indicare un gusto bizzarro, fantasioso, esuberante,
Figura 3. Palermo, Chiesa di S. Mamiliano. Foto di Domenico DiVincenzo.
trasgressivo, tutti elementi reali, a condizione che li si legga nell’alveo di una continuità classica accettata da tutti gli artisti. Del resto si era in un’epoca in cui non esisteva l’incasellamento dei caratteri formali entro il rigido schema degli “stili”, categoria elaborata dagli autori dell’Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers. Artigiani ed artisti non si affannavano ad elaborare mode efAimere o marchi di fabbrica. Cercavano la bellezza, innovando nella continuità. Due straordinari protagonisti della nascita del barocco, Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini (più scultore il primo, più architetto il secondo), operarono nel solco della classicità, fornendo interpretazioni originali del sistema degli ordini classici codiAicato nei trattati. Il termine fu inizialmente coniato in senso derisorio, in quanto i più algidi epigoni del Neoclassicismo, come Francesco Milizia, mal tolleravano esagerate libertà di linguaggio. L’etimologia può avere differenti derivazioni: - tre sillabe che sintetizzano un sillogismo della scolastica medievale, il ba-roc-co, - il francese baroque, una perla irregolare, in italiano scaramazza,
- lo spagnolo barueco oppure il portoghese barroco, sempre riferito ad una perla irregolare. Il profondo realismo del barocco, che attinge a piene mani all’osservazione della natura creata ed è volto a meravigliare con asimmetrie e negazioni delle regole, si registra non soltanto nelle arti meccaniche ma anche nelle arti liberali, in particolare nella musica. Il primo “descrittivo” dell’opera a soggetto fu Antonio Vivaldi, il quale nelle Quattro Stagioni raccontò con le note e gli strumenti ciò che in altre epoche era stato dipinto sui muri o su tela oppure scolpito sui capitelli. Sul concetto di simmetria nell’arte classica imperano oggi un po’ di equivoci. Uno degli accorgimenti proposti per ottenere la venustas (bellezza) dall’architetto romano Vitruvio, la cui opera è alla base dei trattati rinascimentali e barocchi, è proprio la simmetria. Essa non è la specularità delle due parti della facciata, rispetto all’asse centrale, adottata dagli architetti eclettici nella progettazione degli ediAici:
«La symmetria è l’armonico accordo tra le parti di una stessa opera e la rispondenza dei singoli elementi all’immagine d’insieme della Aigura. Come nel corpo umano la caratteristica euritmica sta nel rapporto simmetrico dato dal piede, dalla mano, da un dito e dalle altre membra, così dev’essere nella realizzazione dell’opera architettonica» [4].
Figura 4. Trapani, Chiesa di Maria SS. Annunziata. Foto di Domenico DiVincenzo.
Figura 5. Giacomo Serpotta, controfacciata dell’Oratorio di Santa Cita, Palermo. Foto di Domenico DiVincenzo.
Simmetria è quindi con-misurazione, studio dinamico del rapporto fra le parti, non banale disposizione statica degli elementi della facciata. Per l’architetto romano simmetria è sinonimo di quella commodularità che deve essere determinata tra gli elementi costitutivi dell’opera architettonica dalla presenza di un denominatore comune, che deve essere per l’appunto un modulo o un sottomultiplo. L’architettura romana si fondava in gran parte sull’uso di multipli del modulo, l’unità di base, o sui suoi semplici derivati geometrici. L’architetto del Pantheon, per esempio, deve avere cominciato dividendo la circonferenza interna in 4, 8, 16 e 32 parti simmetriche. Non può essere un caso che, nell’alzato, la distanza fra la cornice dell’ordine inferiore e la sommità della cupola sia uguale al lato del quadrato inscritto nello stesso cerchio [5]. Per capire Aino in fondo cosa intendesse Vitruvio per simmetria bisogna ricordare che egli faceva riferimento alle proporzioni della Aigura umana. Il corpo umano perfetto, sulla scorta dei canoni
dell’arte greca, sarebbe inscrivibile dentro un cerchio (a braccia e gambe allargate) e dentro un quadrato (a braccia aperte e gambe chiuse). Non avendo a disposizione i disegni originali del De architectura è possibile fare solo supposizioni sul modello vitruviano. È la famosa questione dell’uomo iscritto nel cerchio e nel quadrato, che fece scervellare tanti artisti del Rinascimento e fu risolta nella maniera più convincente da Leonardo «Il Barocco portò fino agli estremi le da Vinci, il quale raggiunse potenzialità della simmetria e del contrappunto, generando armonie la maggiore perfezione nelle proporzioni della Aigura. stupefacenti con soluzioni inedite e ardite, Questi principi hanno benché un punto di riferimento reale ci fosse condizionato in senso sempre: la meravigliosa rassegna di forme antropomorAico lo esuberanti offerta dalla natura, repertorio sviluppo della ricerca reso ancora più ricco dalle recenti scoperte di piante e animali dei nuovi continenti» architettonica Aino all’Ottocento. Per intendere Aino a che punto questo sia vero, basta guardare alcune piante di chiese medievali e rinascimentali in cui è iscritta la Aigura di un uomo. Il Barocco portò Aino agli estremi le potenzialità della simmetria e del contrappunto, generando armonie stupefacenti con soluzioni inedite e ardite, benché un punto di riferimento reale ci fosse sempre: la meravigliosa rassegna di forme esuberanti offerta
Figura 6. Giacomo Serpotta, controfacciata dell’Oratorio di Santa Cita, particolare della battaglia di Lepanto, Palermo. Foto di Domenico DiVincenzo.
dalla natura, repertorio reso ancora più ricco dalle recenti scoperte di piante e animali dei nuovi continenti.
Al servizio della Riforma cattolica
La Roma che promosse l’arte barocca era quella Roma che assecondava gli intenti elaborati dal Concilio di Trento. Per la pastorale e per la liturgia apparve allora necessaria un’arte che non fosse intellettuale come quella rinascimentale o intellettualistica come quella manierista. Servivano linguaggi capaci di esprimere l’Incarnazione in modo eloquente e positivo, per rispondere al pessimismo teologico e antropologico di Lutero, Melantone, Calvino, Zwingli. Esisteva da tempo l’esigenza di una riforma cattolica in tanti settori della vita della Chiesa. Il terremoto prodotto da Martin Lutero e dagli altri riformatori protestanti, a cui si aggiunse l’apostasia della Chiesa inglese sotto Enrico VIII, accelerarono il processo di studio di un rinnovamento oramai inderogabile. Il XIX concilio ecumenico venne convocato a Trento e si
protrasse per ben 18 anni, dal 1545 al 1563. Il Concilio non giunse a ricomporre l’unità della Chiesa, ma produsse una dottrina organica e completa sui sacramenti e sull’importanza del libero arbitrio nel disegno divino della salvezza. Grandi attuatori del concilio tridentino furono il papa Pio V, cui si deve la riforma liturgica, e il card. Carlo Borromeo, principale «La Roma che promosse l’arte barocca era curatore del catechismo quella Roma che assecondava gli intenti elaborati dal Concilio di Trento. Per la cosiddetto romano, nonché autore di prescrizioni per la pastorale e per la liturgia apparve allora realizzazione delle nuove necessaria un’arte che non fosse intellettuale chiese. Sebbene a Trento come quella rinascimentale o fossero stati formulati solo intellettualistica come quella manierista» princìpi generali sulla liceità dell’uso delle immagini, l’arte che ne seguì fu molto attenta ad accompagnare una catechesi ed una liturgia in cui si sottolineava un rapporto più Aisico tra l’essere umano e il suo Creatore. In questa Aisicità ebbe un grande ruolo il teatro. Non più le sacre rappresentazioni del Medioevo, ieratiche, bensì la ritualità partecipe delle solenni celebrazioni, nelle quali il corpo dei fedeli veniva coinvolto con tutti e cinque i sensi, all’interno di basiliche grandiose in cui si perdeva la linea di
Figura 7. Giacomo Serpotta, controfacciata dell’Oratorio di Santa Cita, particolare della battaglia di Lepanto, Palermo. Foto di Domenico DiVincenzo.
demarcazione fra pareti e volte, simbolo esse stesse di un cosmo indagato con nuovi strumenti. La creatività degli artisti diede vita a forme sontuose, in cui l’horror vacui del Manierismo assunse un ruolo nuovo nella narrazione. Non più inquietudine di fronte all’inconoscibile, bensì sorpresa per l’innumerevole varietà degli enti creati. Tuttavia la riforma liturgica pose un freno alle molteplici sperimentazioni distributive dell’architettura, tipiche nelle chiese medioevali, in cui i fedeli si muovevano da un luogo simbolico ad un altro. L’obiettivo di sottolineare la presenza reale del Risorto nell’Eucaristia comportò la creazione di monumentali macchine teatrali per altare e tabernacolo, in un presbiterio ampio ma statico e nettamente separato dalla navata. Il Barocco si sviluppava di pari passo alla scienza sperimentale, che comportava un nuovo approccio conoscitivo alla realtà. La grande Aiducia nella ragione era un portato dell’Alto Medioevo, quando si era indagato sul Logos, senza il quale nulla era stato creato di ciò che era stato creato. Nel Cinquecento si andò sviluppando un certo scetticismo gnoseologico,
in quanto venne dato un crescente valore agli aspetti quantitativi degli enti rispetto a quelli qualitativi. Paradossalmente la scienza sperimentale così concepita comportò un impoverimento nella visione della realtà. La Terra venne ricollocata al suo posto, come pianeta e non come centro, con maggiori dubbi sull’entità dell’universo. L’arte supplì con l’enfasi retorica, esprimendo i rapporti fra il mondo celeste e quello terrestre con la «La creatività degli artisti diede vita a forme metafora e la metamorfosi. sontuose, in cui l’horror vacui del Manierismo assunse un ruolo nuovo nella Il giardino ritrovato Fiori e vegetali furono narrazione. Non più inquietudine di fronte impiegati in abbondanza all’inconoscibile, bensì sorpresa per nell’arte barocca. Essi l’innumerevole varietà degli enti creati» avevano sempre fatto parte del repertorio Aigurativo. Anche in questo caso il loro impiego obbediva a precisi intenti pedagogici, senza per questo ridursi a noiosi apparati didascalici. La vera arte travalica gli obiettivi utilitaristici. Potremmo applicare anche ai mirabili artiAici il detto «Poiché la bocca parla dalla pienezza del cuore» (Matteo 12, 34). Nel Medioevo il fantastico faceva parte del linguaggio dell’arte sacra. Animali e piante immaginarie simboleggiavano i misteri della storia della salvezza. Il Barocco aderì maggiormente alla riproduzione
delle forme reali, trasAigurate in metafore delle convinzioni di allora. Sgombriamo subito il campo da un altro equivoco. Una cosa è il simbolo che fa riferimento alla realtà studiata con passione, un’altra è il simbolismo che attribuisce un valore magico o alchemico alle cose. Questo è un procedimento tipico delle diverse forme di gnosi degli ultimi duemila anni di storia. L’arte cattolica è per essenza popolare, destinata a tutti, senza discriminazioni. Il gusto dei singoli viene educato con pazienza, sapendo che il godimento estetico è tanto più intenso quanto maggiore è l’uso dei sensi, dell’intelligenza, della volontà, delle passioni. In più vale quanto descritto all’origine di tutto: Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona [6]. Il mondo materiale è intrinsecamente buono, è il peccato dell’uomo che lo rende cattivo. Gli gnostici sono invece elitari, esoterici, iniziatici, razzisti. Disprezzano le masse. In fondo non cercano la bellezza, perché si nutrono di una visione negativa della materia, vista non come creazione buona, voluta ed amata, bensì come processo di caduta dal Principio iniziale [7]. I dietrologi ossessivi, insoddisfatti Aino a quando non trovano signiAicati occulti in qualsiasi opera d’arte, o non colgono la differenza esposta precedentemente oppure sono gnosticheggianti essi stessi. Nel caso del Barocco i virtuosismi, le anamorfosi, le metafore, sono così
comuni nell’armamentario degli artisti e degli artigiani che si rischia di cercare arcani ed enigmi anche laddove essi non ci sono affatto. È certo piuttosto che gli uomini del tempo possedevano una cultura sapienziale che, nonostante si fosse cominciata a perdere l’unità del sapere tipica dell’età dell’oro medievale, permetteva loro di conoscere e rappresentare il reale con maggiore ricchezza e profondità di quanto riesca a noi. L’Eden in cui si muovevano gli uomini dell’epoca barocca era una terra irrorata dalla grazia, a cui attingevano a piene mani, per cercare di ovviare al male mentre si incamminavano verso la meta Ainale della vita eterna, il vero paradiso ritrovato. Figura 8. Giacomo Serpotta, controfacciata dell’Oratorio di Santa Cita, particolare del giovane che rappresenta l’esercito musulmano sconfitto a Lepanto, Palermo. Foto di A rappresentare tutto ciò erano di aiuto le risorse dell’arte classica, come i capitelli Domenico DiVincenzo. corinzi così frequentemente usati, le cui foglie d’acanto richiamano l’aneddoto del cesto votivo posto sulla tomba di una vergine greca, attorno al quale sarebbe cresciuto spontaneamente il fogliame cardiforme. C’erano poi le innumerevoli decorazioni “a grottesca”, ispirate alle grotte del Colle Esquilino di Roma, scoperte nel 1480, che poi altro non erano che i resti della Domus Aurea di Nerone. Importante è anche la famosa opera di Cesare Ripa, Iconologia overo descrittione d’imagini delle virtù. Vitij, affetti, passioni humane, corpi celesti, mondo e sue parti. Ma le fonti sono parecchie, anche di semplice botanica. Basti pensare agli studi di Rodolfo Papa sull’uso frequente che Caravaggio fece del tasso Figura 9. Giacomo Serpotta, controfacciata dell’Oratorio di Santa Cita, particolare del giovane che rappresenta l’esercito cristiano vittorioso a Lepanto, Palermo. Foto di Domenico DiVincenzo.
Figura 10. Rametto di fiori, Museo Pepoli, Trapani.
barbasso, altrimenti detto candelaria, simbolo della Risurrezione. I Aiori in quanto bellezze naturali e in quanto simboli vennero usati in tutte le arti, non soltanto in architettura, pittura e scultura. Li ritroviamo anche nelle arti decorative o applicate, una volta spregiativamente deAinite arti minori. Su questo argomento si trovano abbondante documentazione e pregevoli ricerche sulla rivista dell’OADI (Osservatorio delle Arti Decorative in Italia, dell’Università degli studi di Palermo, intitolato a Maria Accascina). Sono straordinarie le suppellettili di uso domestico o di uso liturgico dell’epoca, in particolare i prodotti di oreAiceria e argenteria, come pure i gioielli e gli ex voto. Pensiamo al rametto di Aiori, con tanto di mosca d’argento posata sulla sommità, esposto al Museo Pepoli di Trapani. O ai tanti tabernacoli e paliotti cesellati e impreziositi di corallo e pietre preziose. Sono meravigliosi gli arazzi ed i paramenti da cerimonia, in cui Ailati e tessuti preziosi vennero impiegati per riprodurre fantasiose composizioni Aloreali, paesaggi e volatili. Sono strepitosi i prodigi di ebanisteria in tavoli, mensole e cornici, evocativi di boschi e giardini lussureggianti, con tarsie di madreperla e tartaruga. Sono impressionanti le arditezze di marmi mischi e tramischi (esemplari quelli di Casa Professa a Palermo), composti con apparente e disarmante semplicità come se fossero disegni alla lavagna con cui il docente spiega al discepolo le materie più difAicili. Fino ai capolavori in stucco dell’inimitabile Giacomo Serpotta, il più grande scultore artigiano del passaggio fra il Barocco ed il Rococò, dalle cui mani il gesso si lasciava modellare docilmente come lui stesso si lasciò guidare docilmente dai direttori spirituali che scrissero i programmi iconograAici dei tanti oratori a cui dedicò la sua perizia estrosa. Nello stucco, in modo simile all’argento e all’oro, la monocromia fu resa parte attiva del linguaggio: il bianco è la luce; le superAici dorate evocano il divino, il Sole attorno al quale tutto ruota; quelle argentee la Madonna ed i santi, la Luna che dona luce riAlessa. Dovremmo accantonare una volta per tutte – oggi che viene imposto in tutti gli ambiti dell’arte un gusto minimalista, più tipico del design che dell’artigianato – una visione sprezzante del Barocco, quasi fosse soltanto ostentazione irrazionale di sfarzo ridondante. Più apriamo gli occhi, più ci accorgiamo che gli artisti dell’epoca vollero rappresentare con un sistema omnicomprensivo una visione ottimista del mondo. Potrebbe restituire speranza anche a noi.
Bibliografia e note
1. Genesi 1, 26-29. 2. Genesi 2, 4-9. 3. Genesi 2, 15-17. 4. Vitruvio Pollione Marco, De architectura libri decem, libro primo, II, 4. Nella traduzione curata da Migotto L.,
Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1990, il brano si trova a p. 23. 5. Cfr. Ward-Perkins J.B., Architettura Romana, Electa,
Milano 1989, p. 85. 6. Genesi 1, 31. 7. Cfr. Innocenti E. (a cura di), La gnosi dei perfetti nell’arte e nell’estetica. Sacra Fraternitas Aurigarum, Roma 2016.