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Delle Arti

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RINASCERE NEL SACRO

Storia di una chiesa e di una periferia: Falsomiele

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Irene Luzio*

Figura 1. Modello in creta dell’aquila che sarà scolpita in marmo dallo scultore Cody Swanson e collocata sull’ambone.

Falsomiele è un rione di Palermo Est, nato sulla sponda meridionale dell’Oreto. È lontano dagli itinerari dei turisti e gli stessi concittadini della “Palermo bene” dif>icilmente vi mettono piede. Un reticolo di caseggiati di edilizia economica, anni ‘50-‘60, densamente abitato. Strutture sociali minimali: una ASL, una banca, un uf>icio postale, il Consultorio Familiare, due centri sportivi, un cinema e quattro scuole (dall’infanzia alla secondaria di primo grado). I presìdi delle forze dell’ordine, semplicemente, non esistono. Disoccupazione e scarsa assistenza rimpinzano il grasso ventre della malavita. Tuttavia, chi scegliesse di avventurarvisi con pasoliniana benevolenza, troverebbe che una luce splende nelle tenebre: la chiesa di San Giovanni Battista Maria Vianney, la principale del quartiere. Il territorio della parrocchia comprende più di 10.000 persone, stando ai dati della Curia. È retta da don Sergio Mattaliano, un sacerdote animato dallo stesso spirito evangelico che, nei primi anni ’60, spinse il Cardinale Ruf>ini a pretendere ed ottenere l’edi>icazione della stessa chiesa, nel quartiere allora nascente. Tra celebrazioni, preghiere, confessioni, direzione spirituale, catechesi e formazione, le porte restano aperte dalle 8:00 alle 22:00, ogni giorno. La

*Università degli Studi di Palermo. Parte di questo testo è stata pubblicata su Cultur elite il 21 aprile 2021

https://www.culturelite.com/categorie/arte-e-spettacolo/rinascere-nel-sacro-storia-di-una-chiesa-e-di-una-periferia-falsomiele-di-ireneluzio.html?highlight=WyJmYWxzb21pZWxlIl0= N. B. alcune delle foto pubblicate in questo articolo sono state scattate prima dell’inizio della pandemia di Sars CoV-2.

Figura 2. Palermo, il quartiere Falsomiele.

carità del parroco ha suscitato nella gente una risposta di grande fervore e devozione. Così, se il prete edi>ica le anime, i fedeli — con il prete — edi>icano la chiesa. Non solo in senso spirituale: la chiesa del Santo Curato d’Ars è un cantiere brulicante da vent’anni, a cui tutta la comunità contribuisce con grande dedizione.

Il cantiere

Era il lontano 1 marzo 2001. Il giovane don Sergio — ordinato appena tre anni prima — aveva convocato una coppia di architetti, esperti di arte e artigianato sacro, per ristrutturare il presbiterio: Ciro Lomonte e Guido Santoro. Ma, arrivati sul posto, i due architetti si erano trovati dinnanzi a ben altro problema. Acqua. Risaliva dal terreno, su cui poggiavano direttamente le fondamenta, danneggiando i pavimenti; s’in>iltrava dal tetto; corrodeva le coppie di pilastri, celanti caditoie di creta, pensate in principio per il drenaggio dell’acqua piovana ma logorate dal tempo. Bisognava intervenire su tutta la struttura, e in fretta (una chiesa “gemella”, San Paolo a Borgo Nuovo, è oggi irreversibilmente danneggiata dall’umidità e a breve verrà demolita). Era necessario scavare, creare una struttura antisismica in calcestruzzo armato, che si ponesse come camera d’aria e isolasse il solaio dal terreno umido. In più, bisognava inglobare in pilastri unici le coppie di pilastri preesistenti e aggiungere delle colonnine intermedie, possibilmente costituendo a metà altezza

Figura 3. Particolare della statua marmorea di S. G. B. M. Vianney posta sul prospetto della chiesa. Foto di Guido Santoro.

Figura 4. Palermo, Falsomiele. La chiesa di S. Giovanni Battista Maria Vianney prima dei lavori di ristrutturazione. Foto di Guido Santoro.

Figura 5. Alcune immagini del cantiere. Foto di Guido Santoro.

(circa 5 mt) dei matronei — caratteristici delle chiese alto-medievali — sopra le due navatelle: una soluzione che avrebbe permesso di coniugare le esigenze di !irmitas con l’utilitas di ottenere almeno 200 nuovi posti a sedere e con la venustas della soluzione formale. L’eccentrica abside triangolare andava chiusa da una parete piana. Sarebbe stato opportuno riprendere anche l’area d’accesso, realizzando tre ingressi e uno spazio esterno, il quale al contempo permettesse la sosta e raccordasse al corpo della chiesa le scalinate e gli scivoli per i fedeli affetti da disabilità motorie: l’idea era una rielaborazione del nartece — un vestibolo, tipico dell’architettura sacra bizantina, riservato ai

Figura 6. La navata centrale. Foto di Guido Santoro.

catecumeni — che richiamasse visivamente il Palazzo Episcopale di Astorga e il Bellesguard di Gaudì (forma a castelletto, archi parabolici e nicchie a paraboloide iperbolico). In>ine, gli ambienti destinati alla vita del parroco e alle attività pastorali erano da risanare, se non da costruire ex novo. Soltanto dopo questi massivi interventi strutturali, ridisegnare lo spazio liturgico sarebbe diventata un’opzione praticabile. Un progetto ambizioso, per la copiosità e complessità dei problemi, non meno che per i costi. Ma a Dio e agli uomini di buona volontà, nulla è impossibile: tra >inanziamenti pubblici e la commovente generosità dei fedeli, il — metaforico — giorno dopo, le ruspe portavano via quintali di terra umida. Ingegneri, imprese edili, muratori, carpentieri, gli stessi architetti e don Sergio in persona davano corpo alla squadra che tirava avanti il cantiere. Laddove possibile, venivano coinvolte maestranze locali, perché fossero gli stessi abitanti a costruire col sudore della propria fronte la loro chiesa: come nei cantieri medievali, la comunità intera partecipava. Ad oggi — vent’anni dopo — i lavori strutturali non possono dirsi del tutto conclusi. Il coronamento della facciata manca, i due campanili vanno completati, e inoltre si prevede di trasformare il “tiburio” cubico in una cupola. Ma si è potuto intervenire nello spazio liturgico e renderlo più consono alle funzioni sacre a cui è destinato. Indoratori, fabbri, gessai, elettricisti, rivenditori di ceramiche, rivenditori di marmi, marmisti, argentieri, lo scultore Cody Swanson e il giovane pittore Luca Crivello si sono aggiunti alla squadra; molti di loro stanno ancora lavorando.

La navata centrale

Oggi, lo sguardo che si affacciasse dal nartece all’interno della chiesa verrebbe immediatamente catturato dalla pavimentazione: marmi bianchi, gialli e rossi si succedono in larghe fasce orizzontali e >luiscono verso il presbiterio. Un mare simbolico, che rimanda alla visione della Liturgia Celeste nel libro

Figura 7. Altare. Foto di Guido Santoro. Figura 8. Ambone. Foto di Guido Santoro.

ARCHITETTURA SENZA DEMIURGHI

Gli uomini hanno bisogno di comprendere che senza architetti non possono realizzare luoghi abitabili. Gli architetti hanno bisogno di comprendere che se non creano luoghi abitabili le loro opere sono astruserie disumane. Le avanguardie artistiche del Novecento hanno elaborato un metodo di progettazione falsamente taumaturgico, luciferino, elitario, spiritualista. L'architettura tradizionalista nasce come reazione, ma in realtà si basa su presupposti gnosticheggianti molto simili. Il fai da te favorito dalla facilità di costruzione offerta dal calcestruzzo armato (i mastri di una volta dovevano misurarsi con le dif>icoltà della stereotomia) complica ulteriormente le cose. In tale panorama brilla l'esempio di Antoni Gaudí i Cornet. Un vero e proprio antidoto ai veleni della modernità immanentista. Se verrà canonizzato, gli artisti avranno ancora più chiaro un modello di genio creativo capace di tradurre in bellezza la comprensione di tre tappe fondamentali: - Dio creò l'uomo af>inché lavorasse e custodisse il creato; - l'armonia è stata infranta dal mistero dell'iniquità; - Gesù Cristo ha attirato a Sé, sulla Croce Redentrice, tutte le cose. Figura. Antoni Gaudí i Cornet, interno di Casa Su questi presupposti si può realizzare un'architettura senza Batlló. Foto: Tim Adams - Opera propria, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php? aggettivi. Paradossalmente si può ottenere — nel senso corretto curid=38260409 dell'espressione — un'architettura senza architetti, senza quella caricatura della creatività che è il progetto demiurgico. Si può evitare la pratica del concorso. Si può sviluppare una nuova cultura architettonica diffusa che consenta di af>idare ad esperti del grande libro della natura il compito di continuarne l'opera anche nell’arti>icio.

Ciro Lomonte

dell’Apocalisse. Il bianco allude alla Purezza, il giallo alla Gloria, il rosso alla Divinità di Colui che dimora nel tabernacolo, sotto le specie del Pane. Tre larghi gradini, di un verde molto intenso, fanno da sponda e segnano il passaggio dalla navata, dove stanno i fedeli, al luogo più sacro, in cui si svolge la celebrazione: il presbiterio.

Il presbiterio

Al centro del presbiterio si trova l’altare. Come da tradizione, l’altare è simbolo della Nuova ed Eterna Alleanza tra Dio e gli uomini, instaurata da Cristo — vero Dio e vero Uomo, e unico Ponte>ice — versando il Suo Sangue sul Golgota, per la Remissione dei peccati: quello stesso Sacri>icio, in forma incruenta, si rinnova tra le mani consacrate del sacerdote ad ogni Santa Messa. L’altare è decorato da due formelle in marmo bianco, incorniciate ciascuna all’interno di un arcobaleno di marmi policromi: un rimando all’alleanza stretta tra Dio e Noè dopo il diluvio, pre>igurazione dell’Alleanza de>initiva nel Redentore. La formella del fronte ritrarrà il sacri>icio di Isacco, anticipazione del Sacri>icio di Cristo. La formella del retro sarà ornata da tralci e grappoli, in riferimento alla Chiesa, la Nuova ed Eterna Alleanza tra Dio e gli uomini in Cristo: «Io sono la vite»; il retro ospiterà anche delle reliquie. La parete absidale si aprirà in due ampie arcate, affrescate dal giovane pittore palermitano Luca Crivello. Il programma iconogra>ico è in fase di de>inizione. Si pensa di suddividere pittoricamente le arcate in due livelli — superiore e inferiore — e di mantenerle separate da uno spazio centrale. Questo ospiterà, nel livello inferiore ma in posizione soprelevata e ben visibile, il tabernacolo: il vero cuore dell’intero spazio sacro; sopra, si trova già collocato l’antico Croci>isso della parrocchia, in legno dipinto. Ai lati, nella parte superiore delle arcate, visibili in scorcio dalla navata centrale, troveremo gli altri due croci>issi: il buon ladrone, Disma, e il cattivo, Gesta (questi i nomi che ci tramandano alcune tradizioni). Il livello inferiore delle due arcate ospiterà i patriarchi, in attesa di quella che l’iconogra>ia de>inisce Anastasi (dal greco ἀνάστασιϚ, identi>ica la rappresentazione della discesa di Cristo agli inferi e la liberazione dei padri): Adamo ed Eva, Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuda, Davide, San Giuseppe e San Giovanni Battista; forse

Figura 9. Navata sinistra, cappella dell’Immacolata Concezione. Foto di Guido Santoro.

altri. Nelle arcate frontali del presbiterio si collocheranno l’Addolorata con le Pie Donne e San Giovanni, San Longino, i membri ostili del Sinedrio e i soldati romani. Intorno e dietro l’altare, saranno disposte le sedi dei ministranti, tra cui, all’estrema sinistra e in posizione privilegiata, la sede del celebrante (anche queste in >ieri). Saranno realizzare in muratura e rivestite di mosaici in ceramica (il cosiddetto trencadis catalano). La sede del celebrante sarà inoltre decorata da due pannelli laterali, raf>iguranti un asinello e l’asina madre — in riferimento all’ingresso glorioso del Signore in Gerusalemme, nella Domenica delle Palme. Sull’estrema destra sono già collocati il leggio e l’ambone, in fase di ultimazione. Si tratta di due strutture adiacenti, rivestite di onice bianco e rosato, alle quali si accede da due scalinate ben distinte e invisibili dalla navata. La più imponente tra le due, sulla destra, è l’ambone. Come da tradizione, rappresenta il Sepolcro vuoto di Cristo — e propriamente il Gobel, il masso circolare che ne sigillava l’ingresso e che venne rotolato dall’angelo all’annuncio dell’avvenuta Resurrezione. Il fronte dell’ambone, che affaccia sulla navata centrale, presenta perciò un simbolico rimando al Gobel e una cavità — l’interno del sepolcro — rivestita in pietra di Comiso. Tra l’ambone e il Cero Pasquale, sulla destra, sarà posta la scultura dell’angelo. In origine, l’ambone era riservato alla lettura dell’Exultet, ma — dal momento che ogni domenica è “l’ottavo giorno” — è stato adattato anche alla lettura del Vangelo e all’omelia: avrà come supporto per i testi sacri una maestosa aquila di marmo. La struttura di dimensioni più modeste, a sinistra dell’ambone, rappresenta il sepolcro vuoto di Maria dopo l’Assunzione e funge da leggio per le altre letture ordinarie. Al centro del fronte, sarà collocata una scultura del Leone di Giuda. I marmi utilizzati qui — e in tutta la chiesa — sono di gran pregio e in larga misura sono stati donati dal rivenditore stesso, in segno di devozione. Le sculture saranno opera di Cody Swanson, artista americano, naturalizzato >iorentino. Ai >ianchi del presbiterio, ricavati dalle estremità delle due navatelle laterali, si trovano due ambienti, trattati con cupole a paraboloide: il coro e la cappella dell’Immacolata.

La navata sinistra

La cappella dell’Immacolata è collocata sulla sinistra. Conserva una statua della Vergine, già appartenente alla parrocchia, a cui i fedeli sono particolarmente devoti: è posta sopra un ampio ripiano ed ha per sfondo un ovale marmoreo di un blu molto intenso (azul macaubas) circondato da una raggiera di stucco, che sarà rivestita di mosaico vitreo, a ricreare la sorgente luminosa che La circondava durante l’apparizione a Guadalupe. Lungo la parete della cappella, come in processione verso la statua, saranno disposte tre nicchie, affrescate da Luca Crivello. La prima narrerà proprio la storia dell’apparizione di Maria a Juan Diego, Guadalupe, 1531; l’impressione acheropita della Sua sacra

Figura 10. Bozzetti degli affreschi di Luca Crivello per la navata sinistra. In alto a sx Madonna di Guadalupe, a dx Immacolata Concezione, sotto Madonna di Lourdes. Foto di Guido Santoro.

immagine — rivoluzionaria per l’iconogra>ia dell’Immacolata — sulla tilma dell’indio convertito, che ha prodotto miracoli per quasi cinque secoli, restando incomprensibile agli occhi degli scienziati. La seconda nicchia mostrerà il patto di sangue che i palermitani strinsero con la Madonna nel 1624, in occasione dell’ultima grande pestilenza che af>lisse la città: in cambio della Sua protezione, giurarono di proteggere l’onore dell’Immacolata >ino allo spargimento di sangue (la verità dell’Immacolata Concezione era, allora, fortemente dibattuta tra i teologi). Nella terza ed ultima nicchia, la più prossima all’altare, verrà descritta l’apparizione di Nostra Signora a Santa Bernardette, Lourdes, 1858; le Si rivelò — nel suo stesso dialetto stretto — come l’Immacolata Concezione: il dogma era stato proclamato appena quattro anni prima, da Pio IX, ed era impossibile che una pastorella provenzale illetterata lo sapesse.

La navata destra

A destra si trova il coro, in cui sono scavate sei nicchie paraboliche che saranno decorate con angeli cantori, affrescati da Luca Crivello. Allontanandoci dal presbiterio incontriamo il battistero, la cappella del Santo Curato d’Ars e la penitenzeria. Il battistero ha un’articolazione complessa. Il fonte è costituito da un’ampia vasca ottagonale, rivestita di onice all’esterno, di ceramica all’interno. È profonda 120 cm, perciò consente di praticare il battesimo per immersione. La vasca è sormontata da due semicupole, trattate a foglia d’oro, ed è abbracciata

BENEDETTO XVI E L’ARTE SACRA

Il 23 settembre 2015 ebbi il grande privilegio di un incontro privato con Benedetto XVI nel Monastero Mater Ecclesiæ, dove vive ritirato a partire dal 2013. L’occasione venne propiziata da un caro amico sacerdote che sapeva quanto stia a cuore a Benedetto XVI l’arte sacra e pensava che gli potessimo offrire un piccolo dono con i nostri racconti. Il mio amico sapeva dell’Appello per la rinascita di un’arte sacra autenticamente

cattolica, che avevamo rivolto al Papa nel 2009. Fummo ricevuti in quattro, seduti in salotto per 40 minuti abbondanti. Gli portai in omaggio una copia del discorso inaugurale della Monreale School of Arts & Crafts (Quale bellezza salverà il mondo?), stampato su carta pregiata, con un fermaglio d’argento realizzato dal cesellatore Benedetto Gelardi con il logo dell’Associazione Magistri Maragmæ. Mi domandò a quali forme di artigianato di eccellenza volessimo preparare i giovani. Ascoltando con attenzione, chiese ulteriori precisazioni, per es. a proposito della ceroplastica. Commentò che c’è un’enorme necessità di scuole di formazione, per affrontare il gravissimo problema della disoccupazione giovanile. Aggiunse che purtroppo solo i Salesiani e l’Opus Dei se ne occupano seriamente in tutto il mondo. Bisognerebbe fare molto di più. Si interessò poi al Master in Architettura, Arti Sacre e Liturgia. Gli precisai che usavamo come testo di riferimento il suo Introduzione allo spirito della liturgia. Aggiunsi che avevo trovato illuminanti le sue osservazioni sulla musica sacra: il rock ed il pop non possono essere impiegati nella celebrazione liturgica, perché non hanno il >ine di elevare l’animo, bensì di scatenare gli istinti e banalizzare le emozioni. Allo stesso modo non si possono adottare — gli feci presente io — i linguaggi dell’architettura contemporanea, nati nell’alveo dello spiritualismo anticristiano della Società Teoso>ica. Di fronte alla sua curiosità, dichiarai che su questo argomento Romano Guardini aveva sbagliato ad af>idarsi a Rudolf Schwarz per sistemare il Castello di Rothenfels, dove si radunava sotto la sua guida pastorale la gioventù cattolica del Quickborn o Jungbrinnen. La scarni>icazione della decorazione architettonica, il sottomettere tutto ad un minimalismo glaciale, il ricoprire le pareti di vernice bianca, aveva reso i luoghi strumentali a forme di “empatia” inadeguate al mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio ed a quello della Sua Passione, Morte e Risurrezione. Al che mi sorprese affermando di avere trovato sempre strano quel posto e di avere capito soltanto adesso il perché! Avevo rischiato grosso puntualizzando tali aspetti problematici dell’operato di Guardini, che Benedetto XVI ha indicato sempre come uno dei suoi maestri. Eppure ciò è stato utile per imparare ancora una volta dall'umiltà e dall'onestà intellettuale di quel grande uomo di cultura e di fede che è Josef Ratzinger. Quei quaranta minuti restano indelebili nella mia memoria. Spero di essere capace di farne tesoro come meritano.

Ciro Lomonte

posteriormente da tre alte pareti, sulle quali Luca Crivello affrescherà altrettanti episodi evangelici: la strage degli Innocenti (sinistra), il Battesimo di Cristo (centro) e la vocazione dei primi due apostoli (destra), Andrea e Giovanni, ai quali il Battista indica l’Agnello di Dio. Il fonte sarà protetto da un parapetto in vetro e pilastrini di ferro dipinto, che simulano fasce di canne da zucchero, ora in fase di ultimazione: si tratta di un riferimento simbolico originale e signi>icativo. Nell’antichità, l’unico dolci>icante conosciuto in Sicilia era il miele; nel X secolo venne importata la canna da zucchero — una pianta di origini asiatiche — che proliferò proprio sulla sponda meridionale dell’Oreto e lo zucchero divenne noto a tutti col nome di falso-miele. Queste fascelle di canne richiamano quindi il nome del quartiere e il suo passato, ma esprimono anche il desiderio che la comunità ha oggi di rigenerarsi e crescere rigogliosa, attingendo alla Fonte della Vita, per tornare ad essere nuovamente una miniera

Figura 11. Navata destra, Battistero. Foto di Guido Santoro. “d’oro bianco”. Lo stesso motivo ornamentale sarà ripetuto nei rivestimenti in ceramica delle colonne. La cappella del Santo Curato d’Ars è stata completata qualche anno fa. È dedicata al patrono della parrocchia ed è stata destinata a due funzioni: l’Adorazione perpetua del SS. Sacramento e la preparazione della Confessione. È introdotta da un alto cancello in ferro battuto, ispirato alle opere di Gaudì, e rimanda ai nodi interiori che vengono sciolti dal sacramento della Riconciliazione. L’interno si presenta come un ambiente intimo e raccolto, dominato da colori cangianti che richiamano i boschi in cui il Santo trascorse parte dei suoi anni e le campagne che verdeggiavano nei pressi del rustico paesello di Ars. Il pavimento è un mosaico di quattro tipi d’onice (legno, tunisino, viola e verde), dalla geometria irregolare; profuma di muschio, terriccio e pietra. Le pareti sono rivestite inferiormente da una successione di lastre di marmo (green forest, onice rosso, soap stone), diseguali e dall’andamento capriccioso, coronate da un costolone serpentiforme rivestito di mosaici vitrei; rievocano pareti rocciose e tronchi d’albero, e improvvisi squarci di luce tra di essi. La volta è formata da otto velari di gesso, dalle curve dinamiche e sinuose, dipinta d’un blu luminoso e vibrante, che verrà puntellato di stelle: una volta celeste che si china sulla terra, trattenuta a stento dagli otto costoloni. La parete di fondo, sopra l’altare, ospita una nicchia: al suo interno, la statua di S. Giovanni Battista Maria Vianney spicca contro il fondo di marmo verde intenso, circondata da una raggiera di stucco e mosaici vitrei, che richiamano il calore e la brillantezza della luce sovrannaturale; lo

Figura 12. Modello per la realizzazione delle fasce di canne da zucchero per il parapetto del battistero.

Figura 13. Cappella del Santo Curato d’Ars. Foto di Guido Santoro.

stesso motivo è replicato attorno alle due piccole >inestre, ai lati. Sotto, si trova un altare in pietra di Comiso, lavorato in modo da richiamare le Cinque Piaghe di Nostro Signore. Sull’altare si dipana un roveto d’argento — quattro candelabri — al centro del quale >iorisce un roseto argenteo — l’ostensorio >isso: rinviano alla prima epifania di Dio Padre nel roveto ardente e all’Epifania de>initiva, quando, a Betlemme (città del Pane), la Madonna (il roseto) ha mostrato ai pastori e ai Magi il Bambino Divino che stringeva in seno. Prima di raggiungere l’uscita, sulla navatella destra si apre un’ultima porta. Dà su un ambiente che conduce, da una parte, alle scale per il matroneo; dall’altra, alla penitenzeria. La penitenzeria è un progetto ancora in >ieri. Si sa solo, al momento, che ospiterà tre confessionali — tre ambienti chiusi e isolati — così che più sacerdoti possano confessare più fedeli, contemporaneamente. La decorazione della sala è ancora da de>inire.

Conclusione

Si potrebbero sviluppare cinque concetti per ripercorrere i vent’anni di cantiere nella chiesa di S. Giovanni Battista Maria Vianney a Falsomiele: travaglio, simbolo, frammento, monastero, santuario. Travaglio. Come ha predicato nella sua vita S. Josemaría Escrivá, di cui don Sergio Mattaliano è molto devoto, l’uomo è stato creato ut operaretur, af>inché lavorasse, custodendo e coltivando il giardino della creazione. Avrebbe avuto la gioia di impiegare i talenti ricevuti dal Signore, migliorando la terra, se non avesse ceduto alle lusinghe della superbia, essenza della tentazione di Satana e del peccato originale. Dopo la caduta, l’uomo si è condannato alla morte, al sudore della fronte, all’invidia, alla gelosia, alla guerra. Giunta la pienezza dei tempi, il Figlio di Dio si è incarnato, assumendo la natura umana per pagare il prezzo del riscatto di donne ed uomini. Con la sua vita nascosta e ordinaria di artigiano e >iglio di artigiano, ha mostrato l’essenza santi>icante del lavoro. In>ine, sulla Croce Redentrice, ha trasformato le fatiche della natura caduta in occasioni di offerta di sé a Dio, in unione con Gesù Cristo. Il dolore, le contrarietà, i sacri>ici, sono divenuti anch’essi strada verso la felicità relativa dei >igli di Dio sulla terra e verso quella piena e de>initiva del Cielo. Vent’anni di sofferenze di questo cantiere hanno anche questo senso. Non a caso in siciliano lavorare si dice travagghiari. Simbolo. Nell’arte sacra bisogna impiegare il simbolo, cioè quel segno inequivocabile — per quanto denso di signi>icati — che riconduce alle realtà trascendenti ed alla Storia della Salvezza. L’arte contemporanea, nata in seno a movimenti gnosticheggianti, è spiritualista, ha una visione

Figura 14. Nartece. Sotto: corridoio di collegamento fra canonica e chiesa. Foto di Guido Santoro

negativa della materia, è elitaria, è ermetica ed iniziatica. Usa il simbolismo, >inendo con l’attribuire un senso arti>icioso e complicato a gesti insulsi e noiosamente provocatori. I fedeli hanno bisogno di ben altro, soprattutto in una terra come la Sicilia in cui l’arte ha sempre avuto i connotati della gioia, del colore, della >iducia. Quando è stata terminata la cappella del S. Curato d’Ars, per quanto innovativa, i parrocchiani hanno ringraziato don Sergio perché «lì si prega bene». Frammento. Ripeteva sempre Joan Bassegoda i Nonell, il grande biografo di Gaudí, «non copiatelo, guardate dove guardava lui». L’architetto catalano guardava alla natura con la consapevolezza che essa è frutto della sapienza di Dio, il Quale ha af>idato all’uomo il compito di continuare la Sua opera. Il creato è l’architettura di Dio. Esso non ha le forme scatolari, raggelanti, obitoriali, dell’architettura contemporanea. È ricco di esuberanza ed imprevedibilità, allo stesso tempo ef>icace strutturalmente ed espressivo di un’anima vitale. Per questo l’autore della Sagrada Familia trovava inadeguati gli ordini classici e le “stampelle” gotiche, amava l’architettura bizantina e utilizzava la poetica del frammento. Quella che si sta riproponendo a Falsomiele. Monastero. La cinta perimetrale della chiesa di S. Giovanni Battista Maria Vianney, di cui è stato realizzato sinora solo un prototipo all’ingresso della canonica, è ispirata al muro di recinzione di Park Güell. Per quanto vivacemente decorato, esso offre insieme all’imponente nartece un’immagine di maestosa severità, di netta separazione dal caos del circondario. Come nel caso dei monasteri che sorsero in Europa dopo il V secolo d.C., si tratta di generare un’oasi per la rinascita in mezzo alla brutalità della non civiltà contemporanea. Brutalità è peggio di barbarie, perché i barbari furono attratti dalla civiltà classica mentre i contemporanei sono indotti ad inseguire chimere animalesche. La parrocchia si presenta pertanto come un rifugio per la rigenerazione di una civiltà autenticamente cristiana, principalmente nelle attività pastorali, ma anche nelle forme eloquenti dei luoghi che le accolgono. Santuario. S. Giovanni Battista Maria Vianney è stato un apostolo dell’umanità che attinge alle sovrabbondanti acque della Redenzione attraverso i sacramenti. Don Sergio ha ottenuto una reliquia del patrono dei parroci e cerca di seguirne l’esempio, soprattutto nella disponibilità costante, 24 ore su 24, ad amministrare i sacramenti. Sarebbe bello che questa chiesa divenisse un santuario frequentato non solo dai parrocchiani ma anche da tutti coloro che cercano il senso più profondo della propria vita. Questo dovrebbe essere il >ine dell’architettura sacra. Sempre. La chiesa del Santo Curato d’Ars rappresenta per tutti un mirabile esempio di fede, speranza e carità. Fede nella possibilità di realizzare una chiesa che sia originale e moderna e al tempo stesso bella, in cui le pietre stesse cantino la gloria di Dio. Speranza di vederla crescere >ino al completamento, malgrado le avversità, grazie al sostegno costante della Provvidenza e allo sforzo continuo della squadra e di tutta la comunità. E carità, perché è l’Amor di Dio — e delle anime — che «move il Sole e l’altre stelle». Non resta che augurarsi che sia d’ispirazione ad altri.

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