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Bioetica
ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL NASCITURO
Ignazio Nocera*
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Figura 1. Leonardo da Vinci, Codice Windsor. Studî sull’embriologia. Collezioni reali del Castello di Windsor.
«Q uando gli ultrasuoni all’inizio degli anni ’70 mi misero di fronte alla vista dell’embrione nell’utero, allora semplicemente persi la mia fede nell’aborto su richiesta» [1]. Così Bernard Nathanson, nella sua biograMia, racconta come cambiò idea, divenendo, da medico abortista, un attivista pro-life. Ciò che prima era nascosto, adesso può essere visto, e la vista impone alla ragione di prendere atto. Come nella lingua degli antichi greci, οἶδα, ho visto e dunque so. Di fronte alla vista non si può più Mingere. Nathanson ebbe il coraggio di andare Mino in fondo, trovò la forza di fare una scelta che non prescindesse dalla logica. Tuttavia, non sempre è così. Si potrebbe dire infatti che, a volte, l’uomo non abbia Mino in fondo il coraggio di
*Farmacista, studente del ciclo di dottorato presso la Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Ponti<icio Regina Apostolorum - Roma.
conoscere, e soprattutto che non voglia fare i conti con quello che ha conosciuto. Il motto kantiano sapere aude potrebbe essere applicato alla scienza contemporanea, nel senso di avere coraggio di essere conseguenti, di avere comportamenti conseguenti di fronte all’evidenza dei fatti [2]. Sembrerebbe, piuttosto, che motivi di opportunità, o una qualche utilità, consiglino di asservire la conoscenza della realtà alla soddisfazione del desiderio o all’ottenimento di un determinato vantaggio. La possibilità tecnica di manipolare gli embrioni — di produrli in vitro, fuori dal corpo della donna, di crioconservarli, di utilizzarli per risolvere il problema dell’infertilità, come anche per destinarli alla ricerca e poi alla distruzione — è una presente realtà, con la prospettiva di nuovi ulteriori scenarî, che si aggiunge al problema antico e sempre attuale dell’aborto. Questioni antiche e nuove, dunque, che riguardano l’inizio della vita umana, ci interrogano su come considerare la vita prenatale dell’uomo, sul riconoscimento del suo essere vita umana, vita individuale, vita personale [3]. Ovvero se i concetti di dignità e di persona sono egualmente applicabili al nascituro (embrione-feto) così come al nato. Tali questioni hanno riacceso il dibattito MilosoMico sulla persona e si ripercuotono, con importanti ricadute, nel dibattito pubblico e giuridico, che culmina nella elaborazione delle leggi. Come considerare allora il concepito? Un “giovanissimo essere umano” [4], come lo deMinì il genetista Lejeune, o un “mucchio di cellule” che solo in potenza è un essere umano?
EMBRIONE-FETO, “QUALCOSA” O “QUALCUNO”?
AfMinché si possa formare un essere umano, è necessario che due cellule chiamate gameti — l’ovocita e lo spermatozoo —, altamente specializzate e teleologicamente programmate, si fondano [5]. La fusione è seguita da una fase molto rapida, detta singamia, durante la quale la testa dello spermatozoo si introduce nel citoplasma dell’ovocita [6], così da ristabilire il corredo diploide di 46 cromosomi [7]. Le attività che seguono indicano chiaramente che i gameti non si comportano come entità indipendenti, ma operano come unico sistema funzionale [8]; questo nuovo ente che si è venuto a formare prende il nome di zigote, o embrione ad una cellula. Alcuni autori spostano la formazione dello zigote soltanto al termine della duplicazione del DNA e dell’unione dei cromosomi materni e paterni sulla piastra metafasica [9], e riferiscono con il nome di “ootide” l’ovocita fecondato dallo spermatozoo, con i corredi cromosomici materno e paterno ancora separati [10]. Tale distinzione appare tuttavia speciosa, perché sembra voler introdurre il concetto di “pre-zigote”, ovvero di un ovocito fecondato — dunque costituito in unità funzionale — ma da non considerarsi ancora zigote [11]. Come nota il Comitato Nazionale per la Bioetica, la continuità di sviluppo è un principio che va applicato immediatamente dopo la penetrazione spermatica, in quanto vi è una compartecipazione dimostrata di fattori provenienti dall’ovocito e di fattori spermatici alla realizzazione di un processo di sviluppo evidentemente orientato [12].
Essere umano
Lo zigote è dunque un ente unitario che evolve secondo un orientamento intrinseco e determinato dal suo genoma [13]. Il corredo genetico conferisce allo zigote una precisa identità umana, un’incontestabile appartenenza al genere umano in modo singolare, cioè distinguibile da ogni altro zigote umano [14]. Ogni istante che segue alla singamia rappresenta una fase dello sviluppo graduale di un essere già in atto, capace di autocostruirsi in base al genoma che contiene [15]. Geni posizionali permetteranno alle cellule di posizionarsi lungo gli assi; geni selettori regoleranno la produzione di fattori di trascrizione che, attraverso dei meccanismi di attivazione o di inibizione, andranno a modellare le strutture in formazione; geni realizzatori agiranno nel tempo e nello spazio a formare i tessuti [16]. Il succedersi Minemente regolato di ogni attività biochimica esprime la caratteristica della coordinazione [17]; e non potrebbe esserci coordinazione se non ci fosse unità dell’essere, ovvero se l’embrione fosse un mero aggregato di cellule distinte [18]. La successione degli eventi è altresì continua e graduale, procede cioè senza interruzioni e gradualmente verso la forma Minale, seguendo una legge teleologica intrinseca di sviluppo [19][20]. Non si tratta pertanto, come sostiene Norman M. Ford, di:
«un grappolo di cellule individuali distinte, ciascuna delle quali è un individuo vivente centralmente organizzato o una entità ontologica in semplice contatto con le altre» [21].
In un articolo pubblicato nel 2002 sulla rivista Nature, dal titolo Your destiny from day one, si afferma chiaramente che l’embrione precoce non può essere considerato dai biologi come un informe mucchio di cellule:
«What is clear is that developmental biologists will no longer dismiss early mammalian embryos as featureless bundles of cells» [22].
Figura 2. Jérôme Jean Louis Marie Lejeune (Montrouge 1926 - Parigi 1994).
Individuo
Pur ammettendo la natura umana dell’embrione nelle prime due settimane — Mino cioè alla comparsa della stria primitiva —, alcuni autori ne contestano il carattere di individuo. Nel 1986 l’embriologa Anne McLaren — che aveva preso parte ai lavori del Comitato Warnock — dichiarò alla rivista Nature che l’uso del termine embrione per il concepito prima del quattordicesimo giorno è improprio, in quanto Mino a quel momento l’embrione non esisterebbe affatto, e suggerì l’uso del termine “pre-embrione”:
«[…] the embryo does not exist for the =irst two weeks after fertilization. […] Alternative terms for this mass of cells, and any earlier stage back to the fertilized egg, include conceptus, zygote, pre-embryo and pro-embryo» [23].
Come nota il genetista Angelo Serra, tale affermazione è in sé contraddittoria, infatti:
«[…] sulla base di una logica induzione dai dati, non c’è affatto un primo ciclo di 14 giorni di un essere vivente anonimo, geneticamente umano, che termina allo stadio di disco embrionale, seguito da un secondo ciclo di un reale essere umano dal disco embrionale in poi. Al contrario c’è una ininterrotta e progressiva differenziazione di un ben determinato individuo umano, secondo un piano unico e rigorosamente deMinito che inizia dallo stadio di zigote» [24].
Vale la pena, a tal proposito, ricordare anche quanto dichiarò Jérôme Lejeune durante il processo di Maryville:
«Noi non avevamo alcun bisogno di una sottocategoria deMinita pre-embrione, perché prima dell’embrione non c’è niente. Prima dell’embrione ci sono lo spermatozoo e l’ovulo ed è tutto. E lo spermatozoo e l’ovulo non possono essere un preembrione, poiché non si potrebbe dire quale embrione si otterrà dal momento che non sappiamo quale spermatozoo penetrerà in un dato uovo. Ma una volta che ciò è avvenuto, voi avrete uno zigote che si divide e diventa embrione. È tutto. Credo che questa precisazione sia importante perché alcuni potrebbero ritenere che un pre-embrione abbia un signiMicato diverso da quello dell’embrione. Al contrario, la prima cellula ne sa di più ed è più specializzata, se così posso dire, di qualunque altra cellula che si troverà più tardi nel nostro organismo» [25].
Il parere prevalente nel Comitato Warnock era quello di ritenere l’embrione nelle prime due settimane
Figura 3. Hugo Tristam Engelhardt Jr. (1941 - 2018).
come un essere umano, ma di non riservare ad esso un rispetto assoluto, bensì da porre in relazione ai beneMicî eventualmente derivanti da un suo utilizzo nella ricerca [26]. Andando ancora oltre, con le affermazioni di McLaren, si giunge al tentativo evidente di inserire un termine ambiguo, preembrione appunto, che, riferito ad una massa di cellule, ne permettesse una più facile manipolazione, priva di implicazioni di carattere etico [27]. L’obiezione più forte mossa al carattere individuale dell’embrione, prima della comparsa della stria primitiva, è legata al fatto che Mino a quel momento è possibile che si veriMichi il fenomeno della gemellanza omozigotica. Sebbene le cause di questo eccezionale fenomeno non siano del tutto chiare — errore indotto geneticamente o dall’ambiente —, esso è simile ad una gemmazione, cioè alla comparsa di un secondo piano di sviluppo, seguito da un deMinitivo distacco del nuovo embrione [28]. Ma è del tutto evidente che il secondo sistema si è originato dal primo, e il primo non ha mai interrotto o mutato il proprio ciclo di sviluppo, conservando la propria individualità [29]. Secondo un’altra opinione, l’embrione non sarebbe individuo Mino al suo impianto in utero, perché, come sostiene Abel, al momento dell’impianto si acquisisce l’informazione proveniente dalla madre, e la coesistenza con essa sarebbe indispensabile per l’appartenenza alla “comunità umana” [30]. Non è difMicile, tuttavia, notare la mancanza di consistenza di questa tesi, dato che è dimostrato che lo scambio di informazioni con la madre inizia prima; inoltre, come dimostrano le stesse tecnologie in vitro, l’individuo embrione può essere formato e svilupparsi anche fuori dal corpo della madre. Per di più, come nota ancora Serra, non si capisce perché debba essere il contatto con la madre a determinare l’appartenenza alla comunità umana [31].
Persona
Da quanto esposto Minora, è possibile affermare che a partire dalla singamia si è venuto a formare un nuovo individuo umano, originato dai gameti parentali, ma del tutto nuovo e unico, che procede nel suo sviluppo senza soluzioni di continuità Mino alla morte. Il suo accrescersi e modiMicarsi è un aspetto che riguarda il divenire e non modiMica la sua essenza; afferisce all’ordine della quantità e non della qualità. Se la qualità dell’essere non muta, e ci troviamo cioè di fronte allo stesso essere [32] — embrione ad una cellula, a quattro cellule, feto, infante, adolescente, adulto, anziano —, allora il suo status di persona emerge Min da subito. Tuttavia, non pochi tra i MilosoMi, i medici e i teologi sono restii a considerare l’embrione appena formato e non ancora impiantato come persona a tutti gli effetti, al pari di un essere umano adulto, perché l’embrione non agisce come quest’ultimo [33]. Nel dibattito contemporaneo sulla persona, molti autori sostengono che un essere umano diventi persona, allorché siano osservabili determinate funzioni minime [34]. La scelta di quali funzioni, tuttavia, Minisce sempre con l’essere arbitraria; e corrisponde, sotto l’aspetto pratico, come sostiene Palma Sgreccia, alla «possibilità di disporre della vita dell’essere umano nelle prime fasi del suo sviluppo» [35]. Fino ad arrivare ai casi più estremi (travalicando la vita prenatale), come l’accusa di “specismo” — cioè di razzismo verso le specie non umane —, mossa da Peter Singer, nei confronti di chi sostiene che gli esseri umani abbiano una dignità speciale rispetto agli appartenenti ad altre specie animali [36]. O, altresì, la ricerca di signa personae [37] fatta dai funzionalisti come H. Tristam Engelhardt Jr., che nel suo noto Manuale di bioetica afferma:
«Ciò che distingue le persone è la loro capacità di essere consapevoli, razionali e interessate a meritare la lode e a evitare il biasimo. […] D’altra parte, però, non tutti gli umani sono persone. Non tutti gli umani sono autocoscienti, razionali e capaci di concepire la possibilità del biasimo e della lode. Feti, infanti, ritardati mentali gravi e malati o feriti in coma irreversibile sono umani, ma non sono persone. […] Per queste ragioni, in termini laici generali non ha senso parlare di rispetto dell’autonomia per feti,
Figura 4. Robert Spaemann (Berlino 1927 - Stoccarda 2018).
infanti o adulti gravemente ritardati che non sono mai stati razionali» [38].
In questa prospettiva, diventa fondamentale la distinzione tra essere umano e persona [39], e l’essere umano è chiamato a dimostrare di essere anche persona, attraverso la capacità di autocoscienza e di concepire la possibilità di biasimo e di lode. La distinzione tra esseri umani e persone — anche quando non giunge a conclusioni così drastiche — costringe a mantenere una linea piuttosto ambigua, come nel caso di Michael J. Sandel. Il Milosofo statunitense, infatti, se da un lato sostiene che gli embrioni non siano inviolabili, dall’altro ammette che essi non siano da considerarsi cose a nostra disposizione, ritenendo che si tratti di persone potenziali, ma non ancora in atto [40]. Così facendo però, il rispetto e la tutela, che egli chiede per l’embrione umano, conservano un fondamento piuttosto fragile. E si potrebbe obiettare: come “qualcosa” diventerebbe “qualcuno”? Come osserva il Milosofo Robert Spaemann:
«Per l’appartenenza alla famiglia umana non importano qualità empiriche. O questa famiglia è Min dall’inizio una comunità di persone, oppure il concetto di persona come “qualcuno” che è tale di diritto non è stato ancora scoperto o di nuovo è caduto nell’oblio. […] non si dà alcun passaggio graduale da “qualcosa” a “qualcuno”» [41].
Nella visione personalista ontologicamente fondata, l’uomo è persona Min dall’inizio, a prescindere dal dato quantitativo fornito dallo stadio di sviluppo, o dalla effettiva manifestazione di capacità e funzioni [42]. Viene cioè riconosciuta la presenza di un principio sostanziale, determinato dalla unicità e continuità dell’essere; senza andare alla ricerca di funzioni che, in fasi precoci dello sviluppo, o anche più in là, a causa di impedimenti temporanei o permanenti, mancano. Secondo il personalismo ontologico, è semplicemente “l’esserci” a comunicare la presenza del soggetto, che è già persona in atto con la sua conseguente dignità [43]. Tale impostazione deriva dalla classica deMinizione di persona data da Boezio nel Liber de Persona et Duabus Naturis: «Persona est naturae rationalis individua substantia». In questa deMinizione, la razionalità viene ancorata alla natura della sostanza, e non legata alla capacità di eseguire operazioni [44], questa capacità anzi segue dalla natura dell’essere. Ne deriva che ogni essere umano è persona, e non vi sono esseri umani non-persone. Come nota Spaemann, il termine persona ha avuto, sulla scia di Boezio, il valore di nomen dignitatis, e sulla scia di Kant ha giocato un ruolo centrale nel dare fondamento ai diritti umani [45]. Mentre oggi il
Figura 5. Natalia Levi Ginzburg (Palermo 1916 - Roma 1991). suo ruolo si è rovesciato; cioè il concetto di persona è utilizzato per distruggere l’idea che gli uomini possano avere dei diritti in quanto uomini, per sostituirla con l’idea che si abbiano diritti solo se, oltre ad essere uomini, si è anche persone [46]. In questo modo, si può pensare che ci siano vite umane a disposizione, strumenti e non Mini in sé stesse.
Riassumendo
Non riconoscere come persona l’essere umano a partire dal primo istante della sua esistenza comporta, di necessità, l’introduzione di un criterio di graduale acquisizione di valore della vita umana. Chi porrà l’accento sul momento dell’annidamento dell’embrione, sarà portato a ritenere di poco o di nessun valore l’embrione non impiantato; e dunque eticamente irrilevanti l’uso della contraccezione d’emergenza, la produzione di embrioni in vitro (e i pericoli a cui questi sono esposti), la crioconservazione, o anche l’uso di embrioni a Mini di ricerca. Chi sposterà più in là la soglia minima della dignità umana, o la legherà alla autocoscienza e alla espressione della razionalità, accetterà la possibilità di soppressione del feto, o ne sminuirà il valore. Tutti comunque sono accomunati dall’idea di embrionefeto come persona potenziale, con una dignità in =ieri separata dalla natura umana.
MANIPOLAZIONI DEL LINGUAGGIO
«Trovo ipocrita affermare che abortire non è uccidere. Abortire è uccidere. Il diritto di abortire deve essere l’unico diritto di uccidere che la gente deve chiedere alla legge» [47]. Una tale sconcertante sincerità — simile a quella contenuta in queste affermazioni di Natalia Ginzburg — è assai difMicile da trovare nel panorama intellettuale dei sostenitori dell’aborto. La strategia di comunicazione, usata per promuovere l’aborto — e rivelatasi vincente —, è stata, e continua ad essere, di segno opposto. L’uso di un linguaggio appropriato si è dimostrato di fondamentale importanza per normalizzare l’aborto e farlo accettare dall’opinione pubblica. Lo aveva già notato Pier Giorgio Liverani, utilizzando il termine “antilingua”, per indicare una lingua che asseconda «la paura che una parte della cultura odierna ha del signiMicato vero delle parole» [48]. Come sostenuto da Mario Palmaro [49], il primo passo è stato quello di cancellare il concepito. Termini come “uccidere”, “sopprimere” non vengono mai utilizzati e sono sostituiti da espressioni neutre e tecniche a partire da “interruzione volontaria di gravidanza”. Il concepito va espulso dal genere umano e considerato come materiale biologico non determinato. Se la gravidanza è voluta e il Miglio desiderato, è di uso comune l’espressione “aspettare un bambino” [50]; ma quando la gravidanza è indesiderata il bambino smette di essere tale e diventa “mucchio di cellule” o “grumo di sangue” o, con maggior tecnicismo, “prodotto del concepimento” [51]. Si va cioè alla ricerca di locuzioni che allontanino dalla mente l’idea che si tratti di una vita umana: il concepito deve essere considerato “qualcosa”. Al contempo, occorre rappresentare l’aborto come “dramma della donna”, onde sottolineare che la
Figura 6. Aldous Leonard Huxley (Godalming 1894 - Los Angeles 1963). 1957 Bettmann/Getty Images.
donna è l’unica protagonista [52] che vive un dramma e cerca di porre Mine alle sue sofferenze. In questa prospettiva, il diritto alla vita del Miglio deve essere negato («non si può essere costrette a partorire»), negata è l’esistenza del Miglio come tale, e l’aborto stesso diventa un diritto per la donna, in nome della sua libertà e della sua autodeterminazione. Madre e Miglio vengono posti l’una contro l’altro, ove i desiderî dell’una conMliggono con l’interesse dell’altro. E dopo essersi fatto strada, il concetto di “diritto di aborto” viene a rafforzarsi Mino a divenire inviolabile, perché segno del progresso della società, sebbene sia antitetico al diritto alla vita. “Dramma della donna” indica inoltre che la Migura del padre deve essere tenuta da parte [53], l’aborto è un problema che non deve riguardare il sesso maschile, ed è così in Italia anche di fronte alla legge. Si ricorre poi alle espressioni retoriche di “sconMitta per la società” e di necessità di “socializzare l’aborto”, che si esaurisce poi nell’esecuzione di un intervento a carico della sanità pubblica, senza che però si faccia nulla di concreto per rimuovere le cause dell’aborto. Semplicemente si distoglie lo sguardo, perché tutto si faccia con discrezione, nel silenzio, in strutture autorizzate. Perché infatti l’aborto non è visto come male in sé, è male solo se clandestino, non è un male se fatto a norma di legge [54]. L’atto compiuto è il medesimo, ma la valutazione etica dipende soltanto dal rispetto o meno della norma. Se fuori dalla legge è uno scandalo, un crimine, entro la legge non solo è possibile, ma va rivendicato come diritto [55]. E ancora, “contraccezione d’emergenza” o “contraccezione post-coito” indica l’assunzione di preparati attivi Mino a cinque giorni dopo il rapporto sessuale, quindi come se potesse esserci contraccezione anche dopo il concepimento. Oltre ai già menzionati termini di “ootide” e “preembrione”, sono numerosi gli esempi di come si possa manipolare utilmente il linguaggio per offrire una visione distorta o edulcorata della realtà.
ABORTO COME “SALUTE DELLA DONNA”
Come rilevato, l’aborto in molti Paesi non è giudicato come un male in sé, ma distinto tra clandestino e legale. Così, ad esempio, nei programmi della Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nei quali aborto, strategie di contraccezione e contraccezione d’emergenza vengono associati al tema della salute della donna. Sovente, oggi, parlare di salute della donna signiMica proprio parlare di contraccezione ed aborto. Questo complica il dibattito pubblico, perché il contrasto all’aborto viene di conseguenza visto come un modo di attentare alla salute delle donne. Chi guarda alla vita del concepito, dunque, odia le donne. I programmi dell’OMS [56] sono volti a promuovere l’aborto “libero” e “sicuro”, inserito nel contesto più generale della crescita di una mentalità contraccettiva, e sono indirizzati specialmente ai
Paesi in via di sviluppo. Malgrado quanto affermato in alcuni testi normativi — come anche all’art. 1 della legge italiana (194/78) — l’aborto è di fatto uno strumento di controllo delle nascite, rappresentando l’ultima frontiera della contraccezione. Aborto libero e contraccezione costituiscono i pilastri di quella che viene chiamata “procreazione responsabile”, e rientrano nell’agenda dei governi di molti Paesi, quali soluzioni al problema della sovrappopolazione. E che la sovrappopolazione desti notevoli preoccupazioni, ne è prova quanto si può leggere nell’ultima edizione italiana del Goodman & Gilman, il più autorevole testo di farmacologia:
«Malthus aveva ragione. […] la scienza medica ha anche cominciato ad assumersi una parte della responsabilità della sovrappopolazione e degli effetti negativi che questo comporta. A questo scopo sono stati sviluppati farmaci sotto forma di ormoni e loro analoghi per controllare la fertilità umana» [57].
Sovviene il racconto distopico di Aldous Huxley, Il mondo nuovo, in cui le donne indossavano le cosiddette “cinture malthusiane” [58]. Durante la pandemia da COVID-19, inoltre, in molte parti del mondo, sono stati presi dei provvedimenti per facilitare ulteriormente l’accesso all’aborto, puntando soprattutto sulle tecniche farmacologiche. In Italia, ad esempio, l’accesso all’aborto farmacologico, dal 12 agosto 2020, è possibile Mino al 63° giorno, e non è più necessario il ricovero ospedaliero, mentre in precedenza era consentito Mino al 49° giorno, con l’obbligo di ricovero in ospedale «Mino alla veriMica dell’espulsione del prodotto del concepimento» [59]. Tanta apparente preoccupazione per la salute della donna denota la propria ipocrisia, allorché vengono nascosti i traumi che possono accompagnare e seguire l’evento abortivo. Infatti, oltre alle eventuali complicanze legate all’intervento chirurgico, e a quelle conseguenti all’assunzione dei farmaci [60], occorre ricordare la sindrome post-aborto [61]. Un disturbo che rientra nella categoria dei disturbi da stress post-traumatico — molto simile alla sindrome dei reduci di guerra, o dei sopravvissuti a calamità naturali — e che può presentarsi anche a distanza di molto tempo, con ansia, senso di colpa, depressione, ideazione suicidaria. Tali sintomi si riacutizzano spesso nella ricorrenza dell’anniversario dell’aborto, o anche in corrispondenza della probabile data in cui sarebbe dovuto avvenire il parto. Occorre molto tempo per superare questo trauma, ed è di fondamentale importanza ricorrere all’aiuto qualiMicato di uno specialista. I percorsi terapeutici si basano sulla elaborazione del lutto [62]; ma se l’embrione è realmente “qualcosa”, perché occorre elaborare un lutto? Sono noti in letteratura casi in cui l’aborto di uno dei Migli ha determinato conseguenze psichiche sui fratelli già nati [63]. La sindrome post-aborto può colpire anche gli uomini coinvolti, sia che abbiano condiviso la scelta di abortire, sia che vi si siano opposti [64][65]. Va notato inMine che la decisione di abortire, anche nei casi in cui viene presa di comune accordo dagli sposi o dai Midanzati, spesso rappresenta la principale causa di frattura della coppia [65][66].
IL FIGLIO AD OGNI COSTO
PianiMicare la propria esistenza, in nome della capacità di autodeterminarsi, può voler dire riMiutare una gravidanza inattesa, o — e converso — desiderare un Miglio a tutti i costi. Il legittimo e nobile desiderio di paternità e maternità fa i conti con l’incremento di incidenza di infertilità e sterilità, dovuto soprattutto all’innalzamento dell’età in cui si cerca di avere dei Migli. Le tecniche più frequentemente adoperate, come FIVET e ICSI, comportano la formazione dell’embrione in vitro, cioè fuori dal corpo della
Figura 7. Copertina della prima edizione del 1932 disegnata da Leslie Holland.
madre, ed un successivo trasferimento in utero. È inoltre necessario produrre un numero di embrioni superiore a quelli che verranno effettivamente trasferiti, per aumentare le probabilità di successo della procedura, invero piuttosto basse [68]. I problemi etici derivanti dal ricorso a questi interventi sono molteplici, a cominciare dal frequente pericolo di morte a cui è soggetto l’embrione prodotto. Vi è poi il dilemma riguardante il destino degli embrioni in eccesso, detti soprannumerarî, che vengono crioconservati sine die [69]. L’embrione crioconservato può morire al momento dello scongelamento, o anche durante la fase di crioconservazione, perché nel tempo tende a deteriorarsi [70]. Gli embrioni prodotti possono essere selezionati prima del trasferimento, attraverso una diagnosi preimpianto, in modo da scartare ed eliminare gli embrioni malati [71] — procedura di carattere eugenetico. Nessuna coppia che si afMida alla fecondazione in vitro accetterebbe di ritornare a casa con un Miglio malato [72], sarebbe un disservizio. Frequenti sono le gravidanze gemellari, i nati sottopeso e alto è il rischio di malformazioni a livello cardiaco e genito-urinario (soprattutto con l’uso di ICSI) [73]. Nella procreazione medicalmente assistita, si pone inoltre il problema dell’identità del nascituro, allorché si faccia ricorso ad una fecondazione eterologa o addirittura alla maternità surrogata. In questi casi, l’intimità e l’esclusività della coppia sono profondamente turbate dalla presenza di uno o più donatori di gameti, o anche di una madre surrogante. Possono darsi casi in cui le persone coinvolte nel processo di procreazione arrivino anche a cinque, ipotizzando due donatori, una madre surrogante e una coppia committente. In questa ipotesi l’identità del Miglio è chiaramente compromessa da una donna che ha portato avanti la gravidanza e due genitori biologici, con i quali non potrà avere rapporti, e i genitori che lo hanno voluto, ma che non hanno con lui alcun legame biologico. I soggetti che nascono in contesti analoghi presentano notevoli difMicoltà nella elaborazione del senso di appartenenza ad una famiglia, mancano cioè di radici, e non perché siano rimasti orfani a causa di una disgrazia o per abbandono, ma perché così sono stati chiamati alla vita. La surrogazione della maternità è utilizzata spesso — ma non esclusivamente — da coppie omosessuali. Nella surrogazione di maternità, la provenienza eterologa di entrambi i gameti instaura una gravidanza allogenica che può causare alla gestante le stesse reazioni di rigetto che si osservano nei trapianti d’organo [74]. Le donne che si prestano a questa pratica — attualmente vietata in Italia — sono in gran parte spinte dal bisogno e disposte a rischiare la vita. Se la procedura va a buon Mine, il Miglio appena nato viene loro tolto, come da contratto, non avranno più sue notizie e, inMine, negheranno a sé stesse di provare affetto per il bimbo che hanno tenuto in grembo.
CONCLUSIONE
Un malinteso senso della libertà, la volontà di autodeterminarsi possono spingere l’uomo a fuggire dalla realtà, e respingere le responsabilità che derivano dal suo agire. Come è emerso, i dati biologici offerti dalla buona scienza possono essere confutati dalla cattiva coscienza a Mini strumentali. L’amore per la verità è sostituito dall’ottenimento di un proMitto, dalla soddisfazione di un desiderio. La vita umana, al suo sorgere, non sfugge alla logica della produzione che sostituisce la procreazione. E quando non è voluta e intralcia il cammino la si elimina, non prima di aver riMiutato di riconoscerla come vita umana. L’unica via d’uscita sembra proprio quella di riconoscere l’uguale valore di ogni essere umano, l’uguale dignità di ciascuno dal concepimento alla morte naturale [75]. Con speciale riguardo per le fasi dell’esistenza più fragili e nascoste. Come nella lingua degli antichi greci, abbiamo visto, e dunque sappiamo, che l’embrione è uno di noi.
Bibliografia e sitografia
1. Nathanson B.N., La mano di Dio. Il viaggio dalla morte alla vita del famoso medico abortista che cambiò opinione. Tau 2021, p. 173. 2. Cfr. Serra A., Lo stato biologico dell’embrione umano.
Quando inizia l’«essere umano»?, in Lucas Lucas R.,
Sgreccia E. (edd.), Commento interdisciplinare alla
«Evangelium Vitae». Libreria Editrice Vaticana, Città del
Vaticano 1997, p. 575. 3. Cfr. Faggioni M.P., La vita nelle nostre mani. Manuale di bioetica teologica. EDB, Bologna 2016, pp. 273-274. 4. Lejeune J., L’embrione segno di contraddizione. Casa editrice Orizzonte Medico s.r.l. 1992, p. 51. 5. Serra A., Lo stato biologico dell’embrione umano…, p. 576. 6. Ibid. 7. De Felici M. et al., Embriologia umana. Morfogenesi, processi molecolari, aspetti clinici. Piccin-Nuova Libraria,
Padova 2020 3° edizione, p. 135. 8. Serra A., Lo stato biologico dell’embrione umano..., p. 577. 9. De Felici M. et al., op. cit., p. 140. 10. Ibid. 11. Cfr. Navarini C., Etica della procreazione umana. Alcuni nodi fondamentali. If Press, Morolo (FR) 2012, pp. 69-75. 12. Cfr. Comitato Nazionale per la Bioetica, Considerazioni bioetiche in merito al cosiddetto “ootide”, 15 luglio 2005, 5. Cfr. Bompiani A., Il processo della fecondazione umana: considerazioni a margine del dibattito sul c.d. “ootide”,
Medicina e Morale 54/5 (2005), in https:// medicinaemorale.it/index.php/mem/article/view/377 13. Serra A., Lo stato biologico dell’embrione umano..., p. 577. 14. Ivi, p. 578. 15. Ibid. 16. Ivi, pp. 586-587.
17. Ivi, p. 589. 18. Ibid. 19. Ivi, pp. 589-590. 20. Cfr. Van Blerkom J., Extragenomic regulation and autonomous expression of a developmental program in the early mammalian embryo. Annals of the New York
Academy of Sciences 442 (1985), pp. 58–72. 21. Ford N., When Did I Begin?: Conception of the Human
Individual in History, Philosophy and Science. Cambridge
University Press, Cambridge Cambridgeshire; New York 1988, p. 139. 22. Pearson H., Your destiny, from day one. Nature 418/6893 (2002), 14–15, p. 15. 23. McLaren A., Embryo research. Nature 320/6063 (1986), p. 570. 24. Serra A., L’uomo embrione. Questo misconosciuto.
Cantagalli, Siena 2003, p. 48. 25. Lejeune J., op. cit., p. 42. 26. Serra A., L’uomo embrione…, pp. 48-49. 27. Ibid. 28. Serra A., Lo stato biologico dell’embrione umano..., p. 593. 29. Ibid. 30. Cfr. Abel F., Nascita e morte dell’uomo: prospettive della biologia e della medicina, in Biolo S. (ed.), Nascita e morte dell’uomo: Problemi =iloso=ici e scienti=ici della bioetica.
Marietti, Genova 1993, 256, pp. 37-53. 31. Serra A., Lo stato biologico dell’embrione umano..., pp. 594-595. 32. Cfr. Guardini R., Il diritto alla vita prima della nascita.
Morcelliana, Brescia 2005, p. 31. 33. Meyer J.R., The Ontological Status of Pre-implantation
Embryos, in Eberl J.T. (ed.), Contemporary Controversies in
Catholic Bioethics, Catholic Studies in Bioethics, Springer
International Publishing 2017, pp. 17–34. 34. Ibid. 35. Cfr. Sgreccia P., Fondamenti storico-culturali della vita prenatale, in Larghero E., Lombardi Ricci M. (edd.), Venire al mondo tra opportunità e rischi. Per una bioetica della vita nascente. Edizioni Camilliane 2013, 15–42, p. 37. 36. Cfr. Singer P., Speciesism and Moral Status.
Metaphilosophy 40/3/4 (2009), pp. 567–581. 37. Cfr. Faggioni M.P., op. cit., p. 279. 38. Engelhardt H.T. jr, Manuale di bioetica. Il Saggiatore,
Milano 1999, pp. 159-160. 39. Cfr. Faggioni M.P., op. cit., p. 279. 40. Cfr. Sandel M.J., Contro la perfezione. L’etica nell’età dell’ingegneria genetica. Vita e Pensiero, Milano 2007, p. 121. 41. Spaemann R., Persone. Sulla differenza tra «qualcosa» e
«qualcuno», ed. Allodi L., Laterza, Roma; Bari 2005 5° edizione, p. 234. 42. Cfr. Sgreccia P., op. cit., p. 38. 43. Ivi, p. 39. 44. Cfr. Russo G. (ed.), Bioetica medica. Per medici e professionisti della sanità. Elledici, Messina: Leumannn (Torino) 2009, p. 127. 45. Cfr. Spaemann R., op. cit., p. 4. 46. Ibid. 47. Ginzburg N., Corriere della Sera, 7 febbraio 1975, citata in, Palmaro M., Ma questo è un uomo. Indagine storica, politica, etica, giuridica sul concepito. San Paolo Edizioni,
Cinisello Balsamo, Milano 1996 3° edizione, p. 125. 48. Liverani P.G., Dizionario dell’antilingua. Le parole dette per non dire quello che si ha paura di dire. Collana Sagitta
Problemi & Documenti nuova serie, n. 42, Edizioni Ares,
Milano 1993, p. 14. 49. Cfr. Palmaro M., Aborto & 194. Fenomenologia di una legge ingiusta. SugarCo, Milano 2008, p. 153. 50. Ivi, p. 104. 51. Ibid. 52. Ivi, p. 97, p. 115. 53. Ivi, p. 157. 54. Ivi, pp. 110-114. 55. Cfr. Liverani P.G., Aborto anno uno. Fatti & misfatti della legge 194. Dossier 2, Edizioni Ares, Milano 1979, pp. 21-33. 56. «Abortion», World Health Organization, in https:// www.who.int/westernpaciMic/health-topics/abortion. 57. Brunton L.L., Hilal-Dandan R., Knollmann B.C., Goodman & Gilman. Le basi farmacologiche della terapia. Zanichelli,
Bologna 2019 13° edizione, p. 865. 58. Cfr. Huxley A., Il mondo nuovo - Ritorno al mondo nuovo,
Mondadori 2021. 59. Agenzia Italiana del Farmaco, Determinazione AIFA n. 865/2020 di “Modi=ica delle modalità di impiego del medicinale Mifegyne a base di mifepristone (RU486)", in https://aifa.gov.it/-/determinazione-aifa-n-865-2020-dimodiMica-delle-modalita-di-impiego-del-medicinalemifegyne-a-base-di-mifepristone-ru486-. 60. Cfr. Morresi A., Roccella E., La favola dell’aborto facile.
Miti e realtà della pillola RU 486. Franco Angeli, Milano 2010 2° edizione. 61. Cfr. Cantelmi T., Cacace C., Pittino E., Maternità interrotte.
Le conseguenze psichiche dell’IVG. San Paolo Edizioni,
Cinisello Balsamo (Milano) 2011. 62. Ivi, pp. 154-184. 63. Ivi, pp. 162-165. 64. Ibid. 65. Cfr. Vanni A., Lui e l’aborto. Viaggio nel cuore maschile. San
Paolo Edizioni, Milano 2013. 66. Cfr. Cantelmi T., Cacace C., Pittino E., op. cit. 67. Cfr. Vanni A., op. cit. 68. Cf. Peris C., La Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) tra mito e realtà, in Larghero E., Lombardi Ricci M. (edd.),
Venire al mondo tra opportunità e rischi. Per una bioetica della vita nascente. Edizioni Camilliane 2013, pp. 57–76. 69. Ibid. 70. Cfr. Lejeune J., op. cit. 71. Cfr. Peris C., op. cit. 72. Cfr. Brambilla G., Luci e ombre del potere biotecnologico nel tempo prenatale e perinatale, in Larghero E.,
Lombardi Ricci M. (edd.), Venire al mondo tra opportunità e rischi. Per una bioetica della vita nascente. Edizioni
Camilliane 2013, pp. 185–204. 73. Cfr. Peris C., op. cit. 74. Ibid. 75. Cfr. Casini M., I diritti dell’uomo, la bioetica e l’embrione umano. Medicina e Morale 52/1 (2003), pp. 67–110.