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Apotheca & Storia
LA SCOPERTA DELLA VITAMINA A
Giusi Sanci*
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La vitamina A è una vitamina liposolubile che si trova in natura sotto diverse forme come il retinolo (vit. A1) e il deidroretinolo (vit. A2) e si forma nell'organismo a partire dai caroteni. La vitamina A si trova esclusivamente negli alimenti di origine animale e le maggiori quantità si trovano nel fegato, ma anche il latte, le uova, i formaggi, il burro e i pesci ne contengono quantitativi apprezzabili. Nei vegetali è presente sotto forma di β-carotene (appartenente al gruppo dei carotenoidi) un precursore che viene trasformato a livello intestinale in vitamina A. I carotenoidi sono responsabili della colorazione giallo-arancione di determinati tessuti vegetali. Particolarmente ricchi sono quindi i frutti e gli ortaggi di colore gialloarancione e gli ortaggi a foglia. La sua attività è legata alla sua struttura molecolare, per cui è importante proteggerla dall'azione dell'ossigeno atmosferico, nei confronti del quale è abbastanza sensibile. Anche il calore e i raggi UV favoriscono l'alterazione della sua struttura, con conseguente perdita della sua attività biologica, ed è per questo motivo che buona parte di questa sostanza viene persa durante i processi di cottura. Questa vitamina, sotto forma di retinale, ha una funzione fondamentale nel processo della visione, e in particolare nell’adattamento della visione nell’oscurità e nella percezione delle forme e dei colori. Risulta anche utile per i tessuti della cute, in quanto interviene nei processi di differenziazione cellulare degli epiteli ed ha un possibile ruolo nella stimolazione immunitaria. In Egitto, intorno al 1500 a.C., viene descritta per la prima volta una forma di cecità notturna che oggi sappiamo essere dovuta ad una carenza di vitamina A. All'epoca venivano consigliate applicazioni topiche di fegato arrostito o fritto. Ippocrate, secoli dopo, consiglia di mangiare fegato di bue per curare questo stato morboso. A metà del XIX secolo viene descritta per la prima volta in Brasile e in Africa, un'affezione degli occhi, che colpiva in prevalenza gli schiavi denutriti, la xeroftalmia, ovvero una secchezza della congiuntiva, che può portare a cecità per gravi lesioni corneali. Nel 1887 viene osservata una nictalopia (cecità notturna) endemica fra i cattolici ortodossi russi che digiunavano durante la Quaresima. In seguito viene anche osservato che i lattanti di madri che digiunavano tendevano a sviluppare una degenerazione spontanea della cornea. A questo proposito comunque dobbiamo risalire a una prima importante osservazione fatta un anno prima, nel 1886, dal medico giapponese Inouje, il quale riferisce che molti bambini, tra il secondo e il terzo anno d’età, venivano colpiti da una strana malattia degli occhi, il cui tessuto connettivo, sfaldandosi e seccando, portava in breve tempo quei bambini alla cecità. In seguito, un’altra osservazione degna di nota, e dello stesso Inouje, riportava che i bambini guarivano facilmente se ad essi veniva somministrato del fegato di pollo. Nel 1913 si osserva che nei ratti alimentati con una dieta priva di grassi si veri_icavano alterazioni dell'occhio e che l'aggiunta nella dieta di burro, tuorlo d'uovo e olio di fegato di merluzzo impediva tale degenerazione. Durante la Prima Guerra Mondiale si accerta che la xeroftalmia nell'uomo è causata da una diminuzione della componente grassa del latte, ove si riscontra la presenza di una sostanza speci_ica identi_icata come vitamina e chiamata vitamina A. Fu appunto durante la Prima Guerra Mondiale che questa malattia, ancora sconosciuta nel nostro continente, si presentò anche in Europa. In questo periodo, il burro della Danimarca (la cui componente grassa era di origine vegetale e non animale) divenne un articolo prezioso e ricercato, tanto da indurre i danesi a cedere quasi integralmente la loro produzione ai consumatori dei Paesi belligeranti, che lo pagavano ad alto prezzo, e dato che la Danimarca era produttrice di grandi quantitativi di margarina, pensarono che questo succedaneo del burro potesse sostituire facilmente l’alimento stesso. Fu così, che qualche tempo dopo i bambini danesi, abituati a nutrirsi con forti quantità
*Farmacista
a) b)
Figura 1. a) retinolo; b) retinaldeide; c) β-carotene.
c)
di burro, manifestarono i primi sintomi dei disturbi visivi già lamentati dai piccoli giapponesi. Si era nel 1917. Contemporaneamente nei vari fronti di guerra, questi sintomi fecero pure la loro apparizione, specialmente su quei soldati che non ricevevano i pacchi contenenti quei viveri casalinghi inviati dalle loro famiglie. I medici chiamati in causa misero in rapporto questo fatto con gli esperimenti di Stepp del 1909, e designavano col nome di fattore di crescenza liposolubile una sostanza che assicurava la regolare crescita degli animali e, nello stesso tempo, impediva la comparsa di certi sintomi patologici come la xeroftalmia ed il rachitismo, sostanza che doveva certamente essere contenuta nel burro. Oltre a ciò, venivano presi in considerazione anche gli esperimenti che Hopkins nel 1912 fece sul latte. In tali esperimenti egli designava col nome di fattore accessorio alla crescita una certa sostanza ivi contenuta. Si pensò quindi che, somministrando del burro o del latte fresco ai soldati ammalati, si sarebbe riuscito in breve tempo a guarirli completamente. Cosa che infatti avvenne. Nel 1913 E.V. McCollum e M. Davis dimostrarono che nel burro e nel tuorlo d’uovo è contenuto un fattore liposolubile essenziale per la crescita dei ratti. Nel 1916 McCollum indicava tale fattore con la lettera A, mentre con la lettera B raggruppava gli altri fattori essenziali idrosolubili. Nel 1917 Drummond dimostrò che nei bambini la carenza del fattore liposolubile A determinava disturbi sia della crescita che del processo visivo. La relazione esistente tra l’insorgenza di disturbi visivi (cecità crepuscolare) e una nutrizione non adeguata è nota sin dai tempi degli antichi egizi, com’è testimoniato dal papiro di Ebers (1500 a.C. ca.). Nel 1920 Drummond chiamò i due fattori di McCollum “vitamina A” e “vitamina B” e propose di utilizzare le successive lettere dell’alfabeto per ulteriori fattori nutrizionali essenziali. Nello stesso anno si osservò che il carotene possiede attività vitaminica A, e nel 1929 se ne capì il motivo quando von Euler-Chelpin e P. Karrer dimostrarono che nei ratti il β-carotene è convertito in vitamina A (von Euler, 1928; von Euler e Karrer 1931). L'isolamento e l’identi_icazione della struttura di questa vitamina avviene nel 1931 da parte dello svizzero Paul Karrer (premio Nobel per la chimica nel 1937) che, identi_icando sia la struttura dei carotenoidi che della vitamina A, mise in evidenza la stretta relazione esistente tra questi due gruppi di sostanze (von Euler e Karrer 1938). Tra il 1934 e il 1935 G. Wald isolò dalla retina una sostanza coinvolta nel meccanismo della visione e nel 1944 R.A. Morton dimostrò che questa sostanza è la forma aldeidica della vitamina A, che per questo motivo ha ricevuto il nome di “retinaldeide”. Nel 1946 J.F. Arens e D.A. van Dorp ottennero per sintesi un’altra forma della vitamina A: l’acido retinico. Nel 1968 D.S. Goodman e collaboratori isolarono una proteina in grado di legare e trasportare il retinolo (RBP). Sebbene il ruolo della vitamina A nel promuovere la crescita e la differenziazione cellulare sia noto da tempo, i meccanismi biochimici della vitamina A, o retinolo, sono rimasti sconosciuti _ino al 1987, quando M. Petkovic ha isolato proteine recettoriali nucleari che in seguito al legame con l’acido retinico regolano l’espressione genica. Mentre nei Paesi in via di sviluppo la carenza di vitamina A è assai diffusa specie nei bambini _ino a 6 anni a causa di un apporto del tutto insuf_iciente, in quelli industrializzati le manifestazioni carenziali sono rare e si osservano solo in particolari condizioni non tanto per mancato apporto quanto per diminuita utilizzazione della vitamina introdotta. Essendo una vitamina liposolubile, il suo assorbimento dipende dai processi di digestione e assorbimento dei lipidi e dalla secrezione di bile; quindi qualsiasi processo che compromette il metabolismo lipidico nel tratto gastrointestinale ne compromette di conseguenza il suo assorbimento e il suo utilizzo. Anche la quantità e il tipo dei lipidi
Figura 2. Hans Karl August Simon von Euler-Chelpin (1873-1964), premio Nobel per la chimica nel 1929. Figura 3. Paul Karrer (1889-1971), premio Nobel per la chimica nel 1937.
presenti nella dieta possono condizionare i livelli ematici di vitamina; infatti l’assorbimento della vitamina A richiede la sua incorporazione in micelle costituite da acidi grassi, monogliceridi e sali biliari. Quando la dieta è priva di grassi e/o in presenza di una ostruzione delle vie biliari, non formandosi le micelle, la vitamina non può essere assorbita, per cui i suoi livelli ematici risultano inferiori alla norma. Poiché l’assorbimento, il trasporto, l’utilizzazione della vitamina A sono strettamente legati all’attività di numerose proteine che agiscono da carriers o sono enzimi, è chiaro che la componente proteica della dieta, e quindi lo “stato nutrizionale proteico” dell’individuo possono condizionare i livelli ematici della vitamina. Anche nei casi di stress di qualsiasi origine si osserva una caduta dei livelli ematici di vitamina A; è probabile che la secrezione di corticosteroidi indotta da queste situazioni riduca le riserve di vitamina A, favorendone la sua eliminazione dall’organismo. I segni clinici della carenza si manifestano principalmente a livello dell’occhio, con anomalie funzionali della retina , con secchezza e atro_ia della congiuntiva e con opacità della cornea e ulcerazioni; a livello delle cellule epiteliali con cheratinizzazione del rivestimento epiteliale del tratto gastrointestinale, respiratorio, urogenitale e della pelle. Oltre a questi segni speci_ici, in carenza di vitamina A si ha una maggiore incidenza di malattie di tipo infettivo; la maggiore esposizione alle infezioni virali è da ricondursi al fatto che la barriera epiteliale, che gioca un ruolo importante nel meccanismo protettivo contro la colonizzazione batterica e le infezioni, è profondamente alterata nei soggetti carenti.
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